Comprensione incarnata - In-Mind
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Comprensione incarnata: Alla riscoperta del corpo dalle scienze cognitive alla psicoterapia In-Mind Italia V 1–6 http://it.in-mind.org ISSN 2240-2454 Laura Galbusera e Thomas Fuchs Università di Heidelberg. Germania Keywords Approcci incarnati e enattivi, intersoggettività, co-costruzione del significato, psicoterapia Verso una comprensione incarnata ed enattiva della mente Nella vita quotidiana siamo abituati a descrivere le nostre azioni con espressioni come “io taglio una fetta di pane” oppure “io ti stringo la mano.” Secondo il senso comune, dunque, la comprensione delle azioni quotidiane implica la presenza di un soggetto “io,” seguito da un verbo che esprime un’azione. Diamo generalmente per scontato il fatto che noi siamo l’”io” e che agiamo sull’ambiente circostante. Tuttavia, che cos’è questo “io”? É il nostro sé, la nostra mente? Cosa intendiamo con questi termini astratti e dove possiamo trovare ciò che è “mente” nel processo del nostro agire? Come Gregory Bateson notò nel 1972, se guardiamo un uomo cieco con il suo bastone, sarebbe problematico cercare di stabilire dove il suo “io” inizia e dove finisce, nel processo di percezione e comprensione della realtà circostante. Possiamo porre un confine tra il cervello dell’uomo e il suo corpo? O tra il suo corpo e il bastone che usa per percepire lo spazio circostante? O persino tra il bastone e la realtà circostante? Gregory Bateson, considerando questi come confini senza senso, radicò il concetto di mente in un sistema più esteso: “Si può dire che la ‘mente’ è immanente in quei circuiti cerebrali che sono interamente contenuti nel cervello; oppure che la mente è immanente nei circuiti che sono interamente contenuti nel sistema: cervello più corpo; oppure, infine, che la mente è immanente nel più vasto sistema: uomo più ambiente” (Bateson, 1972, p. 306). Nonostante il concetto di mente incarnata sia illuminante, Bateson era in anticipo sul suo tempo. Il senso comune è ancora oggi basato sulla divisione cartesiana tra un concetto astratto di mente, relegato in una qualche dimensione inef- Fig. 1. Dance (Henri Matisse, 1910): La comprensione può essere vista come una danza dinamica e partecipativa. fabile dentro di noi, e il mondo materiale, che comprende il nostro corpo e la realtà esterna. Lo sviluppo delle scienze cognitive – che hanno l’obiettivo di comprendere la mente e i meccanismi della cognizione – rimase bloccato sin dagli anni ‘50 nel classico problema della divisione cartesiana tra mente e corpo (si veda il glossario). La distanza epistemologica (si veda il glossario) tra mente e materia, radicata nel nostro modello occidentale di scienza, influenzò il programma di ricerca scientifico delle scienze cognitive sin dagli esordi, minando già alla base i suoi risultati potenziali. Soltanto negli ultimi decenni si è verificato un cambiamento verso un approccio alla cognizione più incarnato e contestualizzato: Questo nuovo paradigma sta lentamente rimpiazzando la tradizionaCorrispondenza: Laura Galbusera M.Sc. Clinic for General Psychiatry University of Heidelberg,Voss- Strasse 4, DE-69115 Heidelberg, Germany E-mail: [email protected] 2 le visione astratta e mentalistica della cognizione. L’approccio cognitivista: Rappresentare la realtà esterna e le menti degli altri nella nostra testa La prima metafora della mente proposta dalla tradizione cognitivista fu la metafora del computer. Paragonando la mente a un computer, il funzionamento dei processi mentali consisteva dunque nell’elaborazione di simboli interni che rappresentano il mondo esterno. Ciò che era considerato come mentale apparteneva al software, l’hardware non era nemmeno preso in considerazione: L’azione computazionale della mente era disconnessa dal corpo. Inoltre, questi processi cognitivi computazionali venivano considerati inaccessibili alla consapevolezza personale e radicalmente separati da coscienza e significato. Il cognitivismo, quindi, non solo fallì nel risolvere il classico problema della divisione tra mente e corpo ma creò una nuova divisione tra esperienza soggettiva e processi cognitivi, che venivano descritti come computazionali e inconsci; questa nuova separazione viene chiamata “divisione mentemente.” Il modo in cui esperiamo soggettivamente la realtà era dunque irrilevante per la comprensione mentale di questa stessa realtà (Thompson, 2007). Nelle scienze cognitive, il problema della cognizione sociale (si veda il glossario) ebbe origine dal presupposto che le menti degli altri sono inaccessibili e che quindi abbiamo bisogno di particolari capacità cognitive per riuscire a inferire, rappresentare e comprendere lo stato mentale del nostro prossimo. Le due principali teorie sulla cognizione sociale, la teoria della teoria della mente (TT) e la teoria della simulazione (TS), sono basate su questi presupposti. Secondo queste teorie, per riuscire a comprendere lo stato mentale di un’altra persona, abbiamo bisogno di applicare delle credenze basate sul senso comune riguardanti il comportamento altrui o abbiamo bisogno di simulare nella nostra mente lo stato mentale dell’altro, come se fossimo nella sua situazione. I processi di astrazione e inferenza degli stati mentali altrui sono considerati le modalità primarie con cui comprendiamo il nostro prossimo. Questo significa che abbiamo dunque sempre bisogno di creare una rappresentazione interna dello stato mentale dell’altro per poterlo capire (Gallagher, 2008). Volendo spiegare i processi basilari della cognizione sociale facendo riferimento a tali elevate abilità cognitive, non soltanto li si colloca in una mente cartesiana disincarnata, ma li si decontestualizza e separa dall’ambiente circostante. Di conseguenza, gli esseri umani sono considerati come osservatori distaccati, che cercano di comprendere il mondo Galbusera & Fuchs. circostante e i loro simili da un punto di vista esterno, da una posizione in terza persona che osserva. Gli approcci incarnati ed enattivi alla cognizione: Mettendo in atto un mondo di significati Soltanto verso gli inizi degli anni ’90, Varela, Thompson e Rosch (1991) proposero un’alternativa alla dominante tradizione cognitivista: un approccio incarnato ed enattivo alla cognizione (si veda il glossario). Vent’anni dopo il concetto batesoniano di mente incarnata, la consapevolezza che i nostri cervelli sono incarnati e che i nostri corpi sono immersi nel mondo circostante, si è diffusa gradualmente nell’ambito della psicologia e delle scienze cognitive. Questo ha avuto delle implicazioni importanti anche per la cognizione sociale, come vedremo nel paragrafo successivo. In opposizione alla tradizionale visione della cognizione basata sulle rappresentazioni mentali, gli approcci incarnati ed enattivi considerano elemento fondante per la cognizione l’accoppiamento sensomotorio tra organismo e ambiente. Secondo una prospettiva enattiva, non percepiamo la realtà in modo passivo ma attraverso la nostra continua attività corporea (tastando una superficie con le mani, esaminando un oggetto con lo sguardo ecc.). Già nell’atto percettivo gli oggetti si presentano come elementi che offrono possibilità di interazione con il nostro corpo. A seconda dei nostri bisogni e della nostra condizione affettiva, gli oggetti circostanti possono sembrare attrattivi, interessanti, significativi o minacciosi, repulsivi. L’affettività è dunque la modalità primaria con cui un organismo attribuisce significato al suo ambiente. Di conseguenza, non percepiamo il mondo da una posizione neutrale e distaccata: ogni individuo esperisce la realtà in modo diverso e l’esperienza soggettiva ha un’influenza fondamentale sulla comprensione di questa stessa realtà. Gli approcci enattivi alla cognizione cercarono in questo modo di integrare una considerazione incarnata della mente e una considerazione fenomenologica della soggettività (si veda il glossario). Non soltanto il nostro corpo ma anche la nostra esperienza soggettiva gioca un ruolo fondamentale nel costituire e definire i cicli di percezione, cognizione e azione (Thompson, 2007). Il corpo e l’esperienza soggettiva, dunque, sono aspetti correlati, entrambi centrali per la cognizione. Un elemento fondante dell’approccio enattivo consiste nel considerare l’essere umano come un sistema dinamico auto-organizzato: I concetti di autonomia, o chiusura operazionale, e di adattività sono alla base di quest’idea. Da un lato, autonomia è la proprietà di un sistema che può Il corpo nella pratica clinica 3 cettivo, già possiamo cogliere il significato di quello che percepiamo, senza bisogno di ulteriori passaggi inferenziali o interpretazioni (Gallagher, 2008). De Jaegher e Di Paolo (2007), nonostante abbiano riconosciuto l’importanza di questo cambiamento a livello teorico, hanno criticato queste nuove proposte sulla cognizione incarnata per essere sempre e comunque rimaste all’interno di una cornice individualista. Seguendo la loro linea di argomentazione, se vogliamo davvero comprendere la cognizione secondo una prospettiva enattivista, e se dunque vogliamo considerare l’essere umano come un sistema dinamico, non possiamo fermarci al livello dell’individuo. I due autori propongono quindi un nuovo approccio enattivo alla cognizione sociale: Il concetto di co-costruzione partecipativa del significato (participatory sense-making). Applicando gli attuali risultati della ricerca empirica sulla coordinazione interpersonale e sulle azioni congiunte, descrivono come le dinamiche di coordinazione tra due agenti sociali possono effettivamente modificare lo svolgersi di un incontro. Il processo d’interazione stesso viene quindi descritto come processo emergente, auto-organizzato e autonomo. De Jaegher e Di Paolo (2007) prendono come esempio una scena di vita quotidiana per chiarificare quest’idea: quando due persone si vengono incontro, camminando in direzione opposta in uno stretto corridoio, devono decidere ad un certo punto se spostarsi a destra o a sinistra per continuare il proprio cammino. Potrebbe tuttavia succedere che le due persone si muovano simmetricamente, ritrovandosi quindi di nuovo una di fronte all’altra. A questo punto, a causa dello spazio limitato del corridoio, è probabile che i due si muovano ancora in modo Una comprensione enattiva della speculare, bloccandosi ancora una volta la strada. cognizione sociale: Co-costruire L’obiettivo iniziale dei due individui è di passignificati in interazione sarsi accanto e di continuare sulla propria strada; L’approccio incarnato alla cognizione ha messo possono tuttavia emergere involontariamente delle in discussione il presupposto alla base delle tradi- dinamiche di coordinazione che prolungano l’intezionali teorie sulla cognizione sociale (teoria del- razione. Tale processo d’interazione prende quinla teoria della mente e teoria della simulazione), di vita propria, superando le intenzioni dei singoli ovvero che le menti degli altri siano inaccessibili. individui. Durante questo momento d’incontro, Non abbiamo bisogno di simulare o rappresentare può addirittura accadere che gli obiettivi dei sinciò che gli altri hanno in mente per riuscire a com- goli cambino e che decidano di continuare l’inteprenderli, possiamo infatti averne accesso attraverso razione (ad esempio, iniziando una conversazione). Da un esempio del genere emerge in modo chiaro modalità più corporee, primarie e dirette. Secondo Gallagher (2008), ad esempio, il momento stesso come il processo stesso dell’interazione possa prodella percezione gioca già un ruolo importante nel durre nuove intenzioni e significati (De Jaegher & processo di comprensione degli altri. Quando ve- Di Paolo, 2007; De Jaegher, Di Paolo, & Gallagher, diamo una persona, entriamo immediatamente in 2010). I singoli individui non soltanto sono agenti risonanza: “Vediamo emozioni. Non vediamo con- costituenti delle loro interazioni sociali ma allo stestorsioni facciali per poi inferire che sta provando so tempo vengono costituiti da queste tramite il progioia, dolore, noia” (Wittgenstein, 1980, citato in cesso partecipativo di co-costruzione dei significati: Gallagher, 2008; traduzione nostra). Entro l’atto per- la comprensione sociale, dunque, avviene anche nelauto- organizzarsi e auto-costituirsi da solo. Dall’altro, per poter preservare la sua identità, un sistema autonomo ha bisogno di regolare il suo comportamento in risposta alle perturbazioni dell’ambiente circostante, deve saper anticipare e agire in base a ciò che può supportare la sua auto-costituzione e ciò che la potrebbe minacciare. Questa capacità è chiamata comportamento adattivo o adattività (De Jaegher & Di Paolo, 2007; De Jaegher & Froese, 2009). I sistemi autonomi e adattivi costituiscono o mettono in atto un mondo di significati, nella loro interazione dinamica e ricorsiva con l’ambiente. Le strutture e i processi cognitivi emergono da interazioni senso-motorie ricorrenti che includono il cervello, il corpo e l’ambiente. La mente è quindi un sistema dinamico immerso nel mondo piuttosto che essere un organo rispecchiante la realtà esterna dentro la testa (Fuchs, 2011; Thompson, 2007). Per concludere, un agente cognitivo non può essere determinato dall’esterno come un computer, che risponde agli input con gli output predeterminati dal programmatore: Gli agenti cognitivi, al contrario, costruiscono attivamente significati, liberi da determinazione esterna. Inoltre, da un punto di vista enattivo, le azioni e il movimento giocano un ruolo fondamentale nell’attività di attribuzione di significato di ogni individuo: È infatti proprio attraverso il nostro movimento che agiamo un mondo di significati e in questo processo costruiamo la nostra identità. È tuttavia l’essere umano l’unico agente costituivo della sua identità? Siamo davvero gli unici capitani delle nostre anime, del nostro comportamento e delle nostre interazioni sociali? 4 lo spazio tra le persone, nell’interazione che si svolge istante per istante tra due soggetti incarnati (De Jaegher & Froese, 2009; Fuchs & De Jaegher, 2009). Fig. 1I. Un passo di tango argentino: Un esempio di comprensione intuitiva e corporea che si svolge istante per istante nell’incontro tra due persone. Le implicazioni per la psicoterapia e per la pratica clinica Da questa breve carrellata sullo sviluppo degli approcci incarnati ed enattivi nelle scienze cognitive, emergono tre concetti principali che sembrano essere di particolare interesse per la psicoterapia: incarnazione, interazione e presenza. Innanzitutto, il concetto di incarnazione, ovvero l’idea derivata dall’enattivismo per cui diamo un senso alla realtà attraverso il nostro corpo e il nostro movimento, ha implicazioni importanti per la pratica clinica. La maggior parte degli approcci psicoterapeutici, infatti, sono basati sulla comunicazione verbale. Sin dalla “cura delle parole” freudiana, esse sono state il mezzo più potente per il trattamento psicologico e la principale fonte di cambiamento terapeutico. Senza voler sottovalutare questo strumento, gli approcci incarnati ed enattivi ci ricordano semplicemente che, in ogni conversazione e incontro, comunichiamo anche con il nostro corpo e con il nostro movimento. Le storie di vita sono nelle nostre parole così come nella nostra carne. Nella pratica clinica, il corpo viene considerato in diversi tipi di terapia come strumento per avviare il cambiamento terapeutico, come nella psicoterapia corporea, nella terapia della danza e nel psicodramma. Ad esempio, negli approcci di psicoterapia corporea mirati al trattamento della schizofrenia (Röricht, 2000), esperienze anomale come il transitivismo (cioè la perdita esperienziale dei confini tra se stessi e gli altri) vengono affrontate principalmente al livello implicito del corpo. Per metterla in parole semplici, invece di paffrontare e elaborare verbalmente il problema dei confini personali, la terapeuta può agire. Un intervento possibile può essere camminare verso un paziente raggiungendo il punto più vicino che Galbusera & Fuchs. può tollerare; l’esercizio viene ripetuto più volte, in diverse direzioni, e ogni volta la terapeuta chiede di essere fermata alla distanza in cui il paziente si sente a suo agio. Attraverso questo tipo di esercizi sulla regolazione delle distanze i pazienti possono cominciare a sentire, a livello anche e soprattutto corporeo, che c’è un confine che non deve essere oltrepassato. Tramite queste esperienze implicite e corporee, i pazienti iniziano a percepire i propri confini, il proprio spazio personale e cominciano a entrare in relazione con gli altri, percependoli come esseri separati. Il cambiamento terapeutico può essere quindi ottenuto agendo primariamente a livello implicito e corporeo. Secondo il principio di bidirezionalità della teoria dell’incarnazione (Niedenthal et al., 2005), infatti, il movimento e le interazioni corporee costituiscono il livello base dei processi di costruzione di senso e influiscono quindi retroattivamente sul livello fenomenale, emotivo e cognitivo (Koch, Morlinghaus, & Fuchs, 2007; Ritter & Graf Low, 1996). Questo potrebbe avere importanti implicazioni in particolare in contesti terapeutici dove è impossibile o comunque non auspicabile un intervento condotto soltanto a livello verbale (ad esempio con pazienti molto gravi, con bambini). Il secondo concetto emergente, ovvero quello di interazione, si riferisce al ruolo costitutivo dei processi di interazione per la comprensione dell’altro e per la costruzione stessa dell’identità. Nella pratica clinica, questa idea si può già trovare in approcci terapeutici basati sul costruzionismo sociale che si sono principalmente sviluppati dalla tradizione di terapia sistemica e da approcci costruttivisti (vedi Neimeyer & Raskin, 2000; Ugazio, 1998/2012). Secondo il costruzionismo sociale, gli esseri umani sono non soltanto sistemi auto-organizzati ma sono anche costituiti nel contesto delle loro relazioni sociali: La realtà è dunque costruita attraverso processi conversazionali di co-costruzione di significato (Cronen, Johnson & Lannamann, 1982; Gergen, 2009). In ogni interazione ci sono due livelli di costruzione di significati: in primo luogo, quello individuale caratterizzato da una dimensione strategica, che fa riferimento agli obiettivi e alle intenzioni che ogni partecipante porta nell’interazione. In secondo luogo, il livello interattivo della co-costruzione dei significati che è caratterizzato dalla contingenza e imprevedibilità dello svolgersi di un’interazione (De Koster, Devisè, Flament, & Loots, 2004; Fruggeri, 1998; Ugazio, 1985). Di conseguenza, la psicoterapia può essere considerata come un luogo in cui i significati vengono co-costruiti nella conversazione e dove è proprio l’incontro tra il terapeuta e il paziente a creare possibilità di cambiamento. La posizione del terapeuta Il corpo nella pratica clinica deve dunque essere più partecipativa che istruttiva. Infine, il ruolo che lo svolgersi contingente dell’interazione gioca sui processi di costruzione di significati evidenzia l’importanza della dimensione del qui e ora. Questo porta al terzo concetto, quello di presenza: “La comprensione dell’altro emerge nell’interazione tra due soggetti istante per istante” (Fuchs & De Jaegher, 2009, p. 476; traduzione propria). Secondo Stern (2004a), il cambiamento in psicoterapia è il risultato dell’interazione contingente tra due individui, che non può essere pianificata o controllata da un solo partecipante. Stern descrive il processo della psicoterapia come un processo di continua approssimazione, un processo di co-creazione imprevedibile che porta all’emergere di proprietà che non possono essere attribuite ai singoli individui: “Questo processo di cambiamento è analogo a diverse situazioni interattive, come le negoziazioni, dove due o più persone stanno cercando di arrivare ad un obiettivo, ma dove l’obiettivo non si può conoscere precisamente sin dall’inizio. Soltanto alcuni suoi contorni sono prestabiliti. L’attuale obiettivo finale (non l’obiettivo desiderato) non si può scoprire, deve essere creato, perché non esiste a priori. E il processo per arrivare all’obiettivo viene creato nel procedere verso di esso, all’interno di certi contorni” (Stern, 2004b, p. 368; traduzione nostra). A differenza della tradizione psicoanalitica, focalizzata principalmente sul passato, Stern (2004a) sottolinea l’importanza della dimensione presente, del coinvolgimento nel qui e ora, per la psicoterapia (si veda anche Stanghellini & Lysaker, 2007). Egli inoltre sostiene che la natura del momento presente implichi qualcosa in più di una semplice risposta tecnica: Si tratta di un’esperienza condivisa, un incontro. Ciò dunque richiede risposte autentiche, appropriate alla situazione, invece di risposte terapeutiche neutrali. Anche se l’imprevedibilità dei momenti presenti può provocare ansia, il fatto di nascondersi dietro interventi tecnici standard può impedire un autentico incontro esperienziale che possa essere di beneficio (Stern, 2004a). Un ultimo esempio di quello che intendiamo qui per presenza è l’approccio open dialogue alle psicosi acute (OD; Seikkula & Olson, 2003), secondo cui lo svolgersi della conversazione è il cuore del processo di trattamento (Seikkula & Trimble, 2005). L’efficacia del trattamento, infatti, non dipende dall’attuazione di interventi ben pianificati da parte dei professionisti ma dal processo di dialogo tra i partecipanti. “Nonostante i contenuti della conversazione siano d’importanza primaria per i membri della rete, il focus primario per i membri del team è il modo in cui si parla dei contenuti. Più importante di ogni regola metodologica, è es- 5 serci, nel momento presente, adattando le proprie azioni a ogni svolta nel dialogo. Ogni incontro di trattamento è unico; tutti i temi affrontati negli incontri precedenti acquistano nuovo significato nel momento presente” (Seikkula & Trimble, 2005, p. 467; traduzione nostra). Qui infatti la conversazione viene considerata come un processo incarnato, supportato da un atteggiamento partecipativo (invece che istruttivo) e modulato sulla contingenza del momento presente (Seikkula & Trimble, 2005). Abbiamo visto come gli sviluppi più recenti delle scienze cognitive e della filosofia della mente possono far vedere sotto una nuova luce il processo della psicoterapia. Al fine di comprendere come questi nuovi concetti e scoperte possono arricchire e mettere in discussione la ricerca e la pratica terapeutica, è necessaria e auspicabile più collaborazione scientifica a livello interdisciplinare. In quanto esseri umani, diamo un senso alla realtà e alle nostre relazioni inter-agendo in esse, con il nostro corpo. La cognizione non è solo nel cervello e la psicoterapia non è solo nelle parole. Glossario Problema della divisione mente-corpo. Il problema della divisione mente-corpo è un problema filosofico sul modo di considerare la relazione tra mente e materia. Il dualismo cartesiano ha creato una divisione tra la mente non-materiale e il corpo materiale, aprendo quindi la discussione su come concepire la relazione tra mente e materia, tra natura e coscienza. Epistemologia. L’epistemologia è una branca della filosofia che indaga la natura della nostra conoscenza, come possiamo riconoscere e comprendere cose e persone. Cognizione sociale. il problema della cognizione sociale è di spiegare come possiamo comprendere le menti degli altri, le loro intenzioni e le loro credenze. Approcci incarnati. La tesi della mente incarnata nasce dal presupposto che la mente è immersa nel nostro corpo e il corpo è immerso nell’ambiente circostante. I processi cognitivi dunque non possono essere confinati nel cervello ma si formano in connessione e vengono influenzati dall’intero sistema corporeo. Approcci enattivi. L’enattivismo, approccio iniziato da Varela, Thompson e Rosch (1991), condivide i presupposti basilari dell’approccio incarnato alla cognizione, il quale prevede che la mente non possa essere compresa separatamente dal corpo. Inoltre, l’enattivismo utilizza il contributo della teoria dei sistemi dinamici e della fenomenologia, cercando di integrare queste due prospettive teoriche per comprendere la mente. Fenomenologia. La fenomenologia è una branca della filosofia che studia la coscienza e la struttura stessa dell’esperienza (ad es. corporeità, temporalità, spazialità, intersoggettività etc.). Questa tradizione filosofica ebbe inizio con il lavoro seminale di Edmund Husserl. 6 Riferimenti bibliografici Bateson, G. (1972). Steps to an ecology of mind. New York, NY: Ballantine. Cronen, V., Johnson, K., & Lannamann, J. 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Filosofo e psichiatra, il suo lavoro di ricerca sulla psicopatologia mantiene sempre un impegno interdisciplinare e si colloca nell’intersezione tra filosofia, psichiatria, antropologia, psicologia, neuroscienze e scienze cognitive. È attivamente coinvolto in diversi progetti di ricerca come “The Brain as an organ of interrelations – Interdisciplinary perspectives on the development of socially induced capacities”, “TESIS”, “Neuroscience and concepts of personhood”.