La crisi e le responsabilità degli economisti BERTOCCO G.
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La crisi e le responsabilità degli economisti BERTOCCO G.
Recensione del volume: La crisi e le responsabilità degli economisti◊ BERTOCCO G. a cura di Lorenzo Pecchi* UniCredit, Roma La teoria economica si è sviluppata sin dalle sue origine non solo come strumento per interpretare il mondo economico ma anche per influenzare ed indirizzare le politiche economiche e sociali. Questo ha implicazioni importanti per il ruolo e le responsabilità degli economisti. Come ci ricorda l’autore del libro: «mentre la probabilità che si verifichi un terremoto non dipende dalle teorie elaborate dai sismologi per spiegarne l’origine, le crisi economiche non sono indipendenti rispetto al modo in cui gli economisti teorizzano il funzionamento di una economia». La responsabilità della professione economica per la crisi finanziaria globale che ci ha travolto dal 2007 ad oggi sarebbe quella di aver coadiuvato le autorità monetarie con modelli e strumenti teorici che hanno ispirato e guidato la deregulation iniziata negli anni ‘80. Questi modelli hanno presentato i mercati come meccanismi autoregolanti ed efficienti. L’idea che i mercati potessero essere soggetti a forti instabilità veniva esclusa a priori. La visione sui mercati mostrata dalla professione economica negli ultimi 40 anni appare molto diversa da quella che si venne a formare a seguito della crisi del ‘29 quando i più ritenevano che i mercati finanziari fossero fondamentalmente instabili, soggetti a manipolazioni e capaci di dar luogo a severe crisi economiche. Per proteggere il paese dall’instabilità economica, il governo statunitense riformò il sistema della Federal Reserve e introdusse un rigido sistema di regolamentazione degli intermediari finanziari ◊ Brioschi Editore, Milano, 2015, ISBN 9788895399942, pp. 314. * <[email protected]>. 345 Rivista di Politica Economica April/June 2015 (separazione tra banche di investimento e banche commerciali, garanzia su i depositi, regionalizzazione dell’attività bancaria). Misure simili furono adottate anche nei paesi europei. Queste hanno garantito la stabilità dei sistemi bancari dal 1945 al 1971, un periodo durante il quale non si è verificata nessuna crisi. Tutto questo però non avveniva senza costi. La cosiddetta repressione finanziaria introduceva molte inefficienze alterando la funzione di allocazione degli investimenti degli intermediari finanziari. Il risultato sarebbe stato l’emergere di una nuova domanda di deregulation. Ma con lo smantellamento del sistema protettivo degli anni ‘30 sarebbero riapparse le crisi finanziarie dando luogo ad un vero ciclo di regulation/deregulation (Bordo et al., 2000). Se negli anni Trenta il problema era il mercato e la soluzione era l’intervento pubblico tramite la regulation o in certi casi attraverso il controllo diretto della proprietà delle banche, nell’era recente le cause delle crisi vengono solitamente individuate nell’inconsistenza delle politiche governative o nei problemi di moral hazard creati dall’intervento pubblico. La tesi sostenuta con forza nel libro del Prof. Bertocco è che la teoria economica mainstream, escludendo che l’instabilità economica possa emergere dal normale funzionamento dell’economia capitalistica, induce a percepire la crisi come un errore, un fenomeno accidentale, che si abbatte su un meccanismo di scambio di mercato che, altrimenti, condurrebbe in maniera naturale ad un risultato coerente ed ottimale. Bertocco individua almeno tre spiegazioni basate sul concetto di errore. La prima imputa la responsabilità della crisi nell’eccessiva espansione monetaria della Fed tra il 2000 e il 2004 a seguito del crollo azionario della dot-com bubble. La seconda spiegazione individua nella creazione dello shadow banking e quindi nel settore finanziario e bancario la responsabilità principale, mentre la terza spiegazione fa ricorso agli squilibri internazionali e all’eccesso di liquidità proveniente dall’Asia che si sarebbe riversata sull’economia americana. La prima spiegazione è stata sostenuta da John Taylor secondo il quale se la Fed avesse applicato la stessa regola nel fissare il tasso di interesse seguita nei 20 anni precedenti, la bolla speculativa del mercato immobiliare sarebbe stata fortemente mitigata e così anche la successiva caduta dell’output. Questa spiegazione però, fa osservare Bertocco, non ci dice nulla sul fatto che le banche abbiamo privilegiato finanziare il settore immobiliare piuttosto che altri settori dell’economia. Su questo ci viene d’aiuto la seconda spiegazione avanzata da Raghuram Rajan. Questa mette nel banco degli imputati le investment banks che spinte dalla ricerca di incrementare i ritorni sul capitale avrebbero creato un vero sistema di shadow banking costituito da istituzioni finanziarie fuori dai controlli dei regulators che 346 Rassegna bibliografica erogavano i mutui alle famiglie più povere. Questo modello di business, noto come origination and distribution, che si finanziava direttamente sul mercato dei capitali attraverso l’emissione di asset-backed securities, avrebbe fatto saltare tutti i meccanismi di mitigazione del rischio utilizzati dalle banche tradizionali. La terza spiegazione, suggerita dall’ex-governatore della Fed, Ben Bernanke, vede nell’eccesso di risparmio proveniente dai paesi asiatici che si riversava sul mercato americano la causa dell’eccessivo ribasso dei tassi a lungo termini che, a loro volta, avrebbero stimolato l’inflazione degli asset azionari ed immobiliari. Queste spiegazioni, non necessariamente in contrasto l’una con l’altra, hanno fatto parte della narrativa ufficiale che è stata ripetuta come un mantra dagli economisti in questi ultimi anni. Quello che sorprende è il fatto che queste narrative sono state accettate dalla professione economica in maniera acritica senza chiedersi se esse fossero coerenti con le teorie economiche prevalenti insegnate nei principali dipartimenti di economia europei ed statunitensi. Uno degli aspetti più originali del libro di Bertocco è aver evidenziato come esse siano in aperto contrasto con le proposizioni fondamentali delle teorie mainstream. La teoria di Taylor che stabilisce un nesso tra tasso di interesse, offerta di credito e prezzi deve presupporre che sia in azione un meccanismo wickselliano in cui la domanda di moneta può essere soddisfatta senza limiti dalle banche attraverso l’erogazione dei crediti. Il processo di creazione di credito, moneta bancaria e aumento dei prezzi si innesca quando il tasso monetario è inferiore a quello naturale che corrisponde al tasso di equilibrio tra risparmio ed investimento. Negli ultimi anni gli economisti neoclassici hanno riportato in auge la teoria wickselliana per giustificare il fatto che la politica monetaria veniva effettuata da tutte le banche centrali del mondo attraverso il tasso di interesse e non con il controllo degli aggregati monetari come prescrivevano i vecchi modelli di tipo monetarista che lasciavano che il tasso di interesse si determinasse liberamente nel mercato (Woodford, 2002). Se, tuttavia, la teoria wickselliana può spiegare l’aumento dei prezzi attraverso la manovra sul tasso, non può spiegare perché si crea una bolla speculativa nel settore immobiliare. In un problema simile si imbatte anche la spiegazione fornita da Bernanke secondo il quale «l’effetto più importante sui prezzi degli asset dovuto all’eccesso del risparmio globale (saving glut) appare essere avvenuto nel mercato dell’investimento immobiliare residenziale, dove i bassi tassi dei mutui hanno stimolato la costruzione di case e portato un forte aumento nei loro prezzi» (Bernanke, 2005). Egli osserva poi che l’aumento del valore delle case fa aumentare significativamente il rapporto ricchezza/reddito delle famiglie che, a sua volta, per l’ef347 Rivista di Politica Economica April/June 2015 fetto ricchezza induce a risparmiare di meno. In questo modo s’innesca un circolo vizioso per il quale a seguito della riduzione del risparmio privato aumenta ulteriormente il deficit di partite corrente e la dipendenza degli Stati Uniti dai capitali esteri. Bernanke suggerirà come misura di politica economica per contrastare questi effetti, quella di ridurre immediatamente il deficit pubblico. Ma se la teoria del saving glut può spiegare la riduzione del tasso d’interesse e l’aumento degli investimenti, essa deve ricorrere ai concetti di speculazione e credit bubbles per spiegare l’inflazione immobiliare, i quali sono estranei alla teoria mainstream della finanza per la quale i prezzi degli asset riflettono accuratamente tutte le informazioni disponibili sui fondamentali economici. Alla domanda se le inefficienze del mercato del credito fossero riconducibili ad una credit bubble che avrebbe inflazionato i prezzi degli assets, recentemente Eugene Fama, uno dei padri dell’ipotesi dei mercati efficienti, ha risposto candidamente: «Una credit bubble significa che la gente ha risparmiato troppo in quel periodo? Non so cosa credit bubble voglia dire. Non so neanche cosa bubble significhi. Queste parole sono diventate di moda. Non penso abbiano alcun significato…». D’altro canto la teoria di Rajan che sostiene che sono state le innovazioni finanziarie a creare nuovi rischi nel sistema finanziario facendo saltare i meccanismi tradizionali di mitigazione del rischio si trova completamente in contrasto con le teorie correnti più accreditate degli intermediari finanziari. Secondo queste gli intermediari finanziari esistono per diversificare il rischio, che in un rapporto diretto tra creditori e debitori sarebbe difficile da ottenere, oppure per superare problemi di asimmetrie informative tra creditori e debitori, che come ha suggerito Akerlof studiando il mercato delle macchine usate (lemons) condurrebbero ad equilibri sub-ottimali. Secondo Bertocco dall’impossibilità della teoria mainstrean di spiegare l’origine della crisi se non ricorrendo a concetti ad essa estranea discendono due conclusioni: a) che la teoria mainstream è inadatta a spiegare le economie contemporanee; b) che è necessario elaborare un modello teorico in cui: 1) l’offerta di credito è indipendente dalle decisioni di risparmio; 2) la finanza può creare rischio; 3) la speculazione è un fenomeno rilevante ed intrinseco dei sistemi finanziari. Il programma di Bertocco suggerisce quindi di abbandonare la teoria mainstream e ricominciare con un nuovo approccio che s’ispiri alla tradizione alternativa all’economia neoclassica. Philip Mirowsky nel suo recente libro «Never Let a Serious Crises go to Waste» affronta temi molto simili a quelli affrontati da Bertocco. In questo lavoro l’eco348 Rassegna bibliografica nomista e storico della scienza pone alcune interessanti domande: come è possibile che il sistema finanziario sia rimasto più o meno invariato dopo il verificarsi della più grande crisi dai tempi della Grande Depressione? Perché la Sinistra, che Mirowsky identifica negli economisti progressisti che lavorano all’interno dello schema dell’economia mainstream come Paul Krugman, Joseph Stiglitz, Jeffrey Sachs e Amartya Sen, è stata così inefficace nell’influenzare le decisioni di policy dei governi? Per Mirowsky l’economia mainstream soffre di una seria miopia che gli impedisce di prendere in considerazione punti di vista e fonti alternative di conoscenza. Mirowsky ritiene che questo sia riconducibile al fatto che nel corso degli anni l’economia abbia completamente abbandonato l’approccio storico-filosofico che l’aveva caratterizzata alle origini in favore di quello analitico-matematico. Nonostante però la manifesta incapacità della teoria mainstream di razionalizzare e spiegare il fenomeno della crisi, fa osservare Mirowsky, essa riemerge inalterata esattamente come il sistema finanziario globale che è rimasto praticamente invariato rispetto alla fase pre-crisi. Come è mai possibile che gli economisti e le loro teorie siano usciti così indenni dalla crisi? Il fatto è che essi, secondo Mirowsky, vivono all’interno di un mondo protetto, fatto di prestigiose istituzioni accademiche, riviste accademiche autoreferenziali, potenti banche centrali e organismi internazionali, ricche think-tanks, immuni ad ogni forma di autocritica. Come le banche anche gli economisti are too big to fail. Inoltre la filosofia neo-liberista che pervade queste istituzioni, sempre secondo Miroswky, riesce a trionfare perché si è profondamente radicata nella vita quotidiana della gente senza distinzioni di classe sociale. Nella società neo-liberista contemporanea i mercati non servono per rispondere ai bisogni, ma gli individui vengono condizionati per servire i mercati. L’imprenditorialità diventa il modello etico di come vivere indipendentemente dalla posizione che uno occupa nella società. Il lavoratore come l’imprenditore deve essere flessibile e re-inventarsi continuamente in una realtà in mutazione. Mirowsky presenta un mondo dominato da una prospettiva neo-liberista che, a differenza del liberalismo di tipo hayekiano che aveva insistito sulla spontaneità nella formazione delle istituzioni sociali, vede lo Stato come un attore decisivo nel regolare e costruire il sistema di mercato e la società come nel modello ordoliberista tedesco. L’alternativa allo status quo avviene per Mirowsky attraverso la ricostruzione di un discorso economico che esce dagli schemi neoclassici dei quali gli stessi economisti progressisti sono di fatto prigionieri. Tuttavia Mirowsky non riesce a de349 Rivista di Politica Economica April/June 2015 clinare una proposta concreta e compiuta oltre all’auspicio di recuperare una prospettiva storico-filosofica che l’economia ha oggi smarrito. Rifiuta un ritorno a un keynesismo prima maniera, così come è critico nei confronti dei marxisti che rappresentano il neo-liberismo come un mero strumento di dominio della classe dominante sulle masse (Harvey, 2005). Per Mirowsky è importante prima di tutto comprendere la natura del neo-liberalismo come filosofia pervasiva e totalizzante, gli strumenti e la strategia che utilizza e solo dopo si può pensare d’impostare un piano alternativo. Se l’atteggiamento di Mirowsky non sembra facilitare il dialogo tra le diverse scuole economiche eterodosse, Bertocco, al contrario, propone la ricostruzione di un nuovo paradigma partendo dalle intuizioni degli economisti eretici come Marx, Keynes, Schumpeter e Minsky le cui teorie non guardano alla crisi come a un fatto accidentale, ma come fenomeno endogeno al processo di sviluppo capitalistico. Bertocco rilegge la Teoria Generale di Keynes come Teoria Monetaria della Produzione. Come è ben noto Keynes inizia la sua carriera come economista neoclassico formatosi alla scuola marshalliana. Il suo allontanamento dalla teoria tradizionale inizia con il Trattato della Moneta, ma il cambiamento radicale avviene solo nel 1932 quando varierà il titolo del suo corso a Cambridge da Teoria Pura della Moneta a Teoria Monetaria della Produzione. Keynes adotterà nelle lezioni la famosa formula di Marx M-C-M’ per evidenziare il problema della “realizzazione” del profitto nel sistema capitalistico. Questo potrà sembrare a molti un fatto triviale, ma poche teorie offrono un pieno riconoscimento di questo aspetto. Nel sistema capitalistico i beni sono prodotti per realizzare profitti in forma di denaro, la produzione come soddisfazione dei bisogni è incidentale. La migliore sintesi della Teoria Monetaria della Produzione verrà espressa da Keynes nel capitolo 17 della Teoria Generale. In questo capitolo la teoria dell’interesse è generalizzata a tutti gli asset per mettere in evidenza che in una economia monetaria è il tasso di interesse monetario che regola la produzione dei nuovi beni capitali. Le proprietà della moneta caratterizzata da un alto premio di liquidità, bassi costi di mantenimento e un’elasticità di produzione quasi pari a zero ne fa una forma di ricchezza del tutto particolare. In una situazione con aspettative negative sul futuro i capitalisti preferiscono lasciare i mezzi di produzione inutilizzati e la ricchezza si riversa sugli asset con alto premio di liquidità, la moneta in primis. La piena occupazione non diventa più profittevole in queste condizioni. Un punto su cui Bertocco torna più volte nel suo libro è che l’offerta di credito è indipendente dalla capacità del sistema di creare risparmio. Una delle idee sbagliate della teoria mainstream è di vedere le banche come meri intermediari che 350 Rassegna bibliografica prestano ciò che i risparmiatori depositano presso di loro. In realtà le banche commerciali creano moneta nella forma di depositi bancari quando erogano un nuovo prestito. Questo processo è potenzialmente senza limiti con buona pace del modello del moltiplicatore bancario. I vincoli sono creati in ultima istanza dalla politica monetaria che influenza il tasso d’interesse. Queste caratteristiche dei moderni sistemi finanziari erano già state enfatizzate più di 100 anni fa da Wicksell. Tuttavia sarà Schumpeter ad evidenziare che la moneta creata dal sistema bancario mette in grado gli imprenditori-innovatori di sottrarre risorse alle imprese esistenti al fine di realizzare le innovazioni. Sono i nuovi investimenti finanziati dalla moneta creata ex novo dalle banche attraverso un processo inflattivo dei profitti a creare il risparmio e non viceversa (risparmio forzoso). Nel modello di Schumpeter come in quello di Keynes e di Marx l’economia viene rappresentata come un processo continuo dove il capitale-come-denaro viene trasformato in capitale-come-merce e poi successivamente in capitale-come-più denaro attraverso la realizzazione del profitto. Bertocco ci ricorda che l’accumulazione senza limiti attraverso l’innovazione implica che i bisogni degli individui siano insaziabili. In questa economia il sistema produttivo non serve a soddisfare un dato insieme di bisogni, ma è il mezzo attraverso il quale quei bisogni vengono modificati continuamente. Secondo questa visione il capitale non è quindi una cosa materiale ma un processo che utilizza cose materiali e modifica i bisogni in continuazione. L’altro tema ricorrente nel libro di Bertocco è quello della crisi come fenomeno endogeno. Qui viene in soccorso la teoria di Hyman Mynsky che ha evidenziato come un sistema economico robusto possa trasformarsi in un sistema vulnerabile a causa di cambiamenti endogeni nei flussi di cassa. Per Minsky è proprio nei momenti di crescita che si pongono le premesse per la successiva crisi. Nell’analisi di Minsky sono i comportamenti dei soggetti economici che si indebitano e delle istituzioni finanziarie che li finanziano la causa dello scatenarsi delle crisi finanziarie. L’eccesso di ottimismo accompagnato da alto indebitamento e le successive difficoltà di potersi rifinanziare o attraverso il sistema bancario o il mercato dei capitali, quando le condizioni del ciclo economico divengono avverse, inducono processi cumulativi al rialzo e al ribasso che spesso culminano in una crisi finanziaria. Bertocco tiene a precisare che affermare la natura endogena della crisi non significa ritenere che essa sia inevitabile. Le crisi economiche sono fenomeni sociali che possono essere evitati se sono correttamente comprese. È invece molto improbabile che da una diagnosi errata possa scaturire una terapia efficace. Un punto che desta qualche perplessità nell’argomento generale di Bertocco è se sia proficuo da un punto di vista strategico per ridefinire un nuovo paradigma 351 Rivista di Politica Economica April/June 2015 creare una dicotomia così netta tra le teorie dei cosiddetti economisti eretici e la teoria mainstream come egli presenta nel libro. In questo modo si rischia di dare un’immagine dell’esistenza di una teoria mainstream ben ordinata, unita ed organizzata che probabilmente non corrisponde affatto alla realtà. Un tema simile esiste anche con la rappresentazione che Mirowsky da del neoliberismo come filosofia pervasiva e tentacolare che invade e si radica in molti aspetti della vita quotidiana. Non si rischia anche qui di sopravvalutare importanza e funzione del neoliberismo? È sintomatico il fatto che Bertocco ignori nel suo libro la letteratura teorica ed empirica degli ultimi dieci-quindici anni sulle crisi finanziarie dove si affrontano temi quali asset bubble, boom creditizi, crisi bancarie e valutarie1. Ciò probabilmente è perché Bertocco vuole dare il chiaro messaggio che per affrontare questi temi sia oggi necessario riacquisire la prospettiva che si è persa degli economisti eretici, che neppure quella letteratura ha nella sostanza recepito. Sarebbe però illusorio pensare di poter riformare l’economia moderna solo appellandosi a Keynes, Schumpeter e Minsky. Il primo compito dell’economia è quello di capire come funziona il sistema economico. Nel fare questo è auspicabile che essa recuperi un approccio più induttivo e meno assiomatico, orientato verso la raccolta di fatti e dati e, allo stesso tempo, più aperto alla contaminazione di altre discipline come suggerisce Mirowsky. In questa prospettiva le intuizioni di Marx, Keynes, Schumpeter e Minsky non possono che portare benefici. Il libro di Bertocco ha senz’altro il merito di mettere in evidenza ciò che ancora oggi è valido e rilevante di questi autori. In questo senso può essere visto come un contributo per far sì che “una seria crisi non vada sprecata”. 1 Vedi CLAESSENS S. e KOSE M.A. (2013) per una rassegna recente di questa letteratura. 352 Rassegna bibliografica BIBLIOGRAFIA BERNANKE B., The Global Saving Glut and the US Current Account Deficit, Speech at the Federal Reserve of St. Louis, 2005. BORDO M.D. - EICHENGREEN B. - KLINGEBIEL D. - MARTINEZ-PERIA M.S., «Is the Crises Problem Growing More Severe?», Economic Policy, vol. 16, 2001, pp. 51-82. CLAESSENS S. - KOSE M.A., «Financial Crises: Explanations, Types, and Implications», IMF Working Paper, no. 13/28, Washington DC, 2013. HARVEY D., A Brief History of Neoliberalism, Oxford University Press, UK, 2005. MIROWSKY P., Never Let a Serious Crisis Go to Waste - How the Neoliberalism Survived The Financial Meltdown, New York, US, Verso, 2013. WOODFORD M., Interest and Prices: Foundation of a Theory of Monetary Policy, Princeton University Press, US, 2003. 353