Jane Chaplin racconta il suo rapporto con il personaggio più
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Jane Chaplin racconta il suo rapporto con il personaggio più
[QUESTIONE DI FAMIGLIA/CHAPLIN] A quel padre famoso definito “il più grande attore di tutti i tempi” (Laurence Olivier) e “come Adamo, progenitore di tutti i registi” (Federico Fellini), assomiglia in alcuni tratti: la bocca o gli occhi azzurri (dettaglio sfuggente nelle pellicole in bianco e nero). Da sua madre – Oona, figlia del drammaturgo Eugene O’Neill – ha preso invece il largo sorriso. E gli amici lo sanno, Jane ride e sorride spesso. Jane Chaplin ha lasciato la natia Svizzera da anni (lì suo padre aveva scelto il suo DI MARCO RONCALLI rifugio negli anni Cinquanta, dopo le accuse di attività antiamericane e filocomuniste) sistemandosi in Colombia, a Cartagena, dove non è difficile trovarla nelle caffetterie del centro. E solo qui è riuscita a concludere un’opera tante volte immaginata. Un libro, confessa, che l’ha aiutata a ritrovare quel papà anziano con tanti successi alle spalle eppure sempre troppo impegnato per avere tempo con lei. E con il quale ha conversato a tu per tu in tutta la vita solo diciassette minuti, a diciassette anni. Un libro su quell’uomo dalle mille facce comiche, noto in tutto il mondo come Charlot, che era suo padre ma che non poteva dire di aver conosciuto. Sino a Diciassette minuti con mio padre, qualcosa più di un libro, ancora non uscito in Italia. «Scrivendo sul filo dei ricordi in famiglia, ho scoperto che era una persona molto gradevole, ma io sono cresciuta credendo a quanto mi dicevano e cioè che era un “figlio di buona donna”. Non era così... E io ora mi sento cambiata, libera dal passato. È stata una terapia. All’inizio provavo rabbia la “ricerca del padre”. Confessa: «Sì, ci sono venuta a vivere per amore ed è per un grande amore che conto di restarci. Ma qui riesco a lavorare. È una città generosa, la più tranquilla di quelle colombiane. La gente è meno depressa che in Svizzera. Sì, le vie del centro o questi conventi trasformati in hotel, dove sembrano aleggiare i fantasmi, il clima di calma ma anche di allegria, ne hanno fatto il posto giusto per il libro». E, sibillina, aggiunge: «In qualsiasi altro posto non avrei potuto scoprire ciò che ho QUEI 17 MINUTI CON MIO PADRE Jane Chaplin racconta il suo rapporto con il personaggio più celebre della storia del cinema verso di lui, adesso ho capito chi era e ho fatto pace con lui. E ora dovrò fare pace con mia madre. Chissà». Jane Chaplin, classe 1957, lavora nel cinema come sceneggiatrice. «Sono stata la prima assistente personale di Milos Forman, ho recitato in un film di Alejandro Jodorowski, ho prodotto Cristoforo Colombo: la scoperta», ma la sua vera vocazione è la scrittura, che l’assorbe da quando, dopo periodi a Parigi, Londra, Madrid, Orlando, si è stabilita a Cartagena. Scelta geografica che, a suo dire, le ha reso possibile 96 FEBBRAIO 2009 CLUB3 scoperto. Se avessi saputo allora ciò che so ora dopo questo libro, credo che la mia vita e quella dei miei fratelli e delle mie sorelle sarebbero state molto diverse». Penultima degli otto figli avuti da Chaplin con Oona, sposata nel 1943 dopo tre precedenti divorzi e scandalosi flirt, Jane non parla spontaneamente di sua madre ma quando la nominiamo c’interrompe: «Quando sono nata, mio padre aveva 68 anni ed era una celebrità in ritiro. Mia madre, però, era più giovane di trentasette anni. Suo padre si oppose al matrimonio con Charlie Chaplin al punto da diseredarla. Tra genero e suocero c’erano solo sei mesi di differenza». Ma qual era il carattere dei suoi genitori e la loro vita? «Lui era profondamente umano, incredibilmente agile, autentico, ipersensibile e creativo. Lo ricordo sempre al lavoro. Amava la puntualità: se si tardava un minuto all’ora di pranzo o di cena urlava». “ ” Fu l’unica volta in cui ci parlammo, avevo diciassette anni e mi fece capire che ci vuole coraggio anche per essere ridicoli IN DIECI PER STARE INSIEME Jane Chaplin, seconda da sinistra, in una foto con papà Charlie, mamma Oona e i fratelli CLUB3 97 FEBBRAIO 2009 [QUESTIONE DI FAMIGLIA/CHAPLIN] “ ” A volte è dura vivere con un cognome così importante. Io sono cresciuta più temendo che conoscendo mio padre Jane sorride e continua: «La sua vita con mia madre? Penso che anche per l’età fosse molto protettiva nei suoi confronti, lo lasciava lavorare facendo in modo che non fosse disturbato. Molti hanno detto che mia madre fosse il primo amore della sua vita, ma la sua vita privata è stata tutt’altro che tranquilla. Certo aveva un grande affetto per lei, ma definirla il primo amore della sua vita, mi sembra troppo, non l’ho mai percepito come tale. Mio padre amò molto profondamente un’altra donna prima di mia madre, ma morì giovanissima e nel tempo era sempre lei che ricercava. Credo che forse mia madre avesse qualcosa di lei dentro di sé». Torniamo al peso di un grande cognome, Chaplin: «A volte è dura vivere alla sua ombra. Sono cresciuta più temendo che cono- Già. Il talento dei suoi film: preferenze? «Lui era orgoglioso de Il monello, gli ricordava l’infanzia. A me piace Luci della città». Vedevate i suoi film da piccoli? «Sì alla Tv, nei giorni di festa. Ma lui non stava a rivederseli con nostalgia: viveva il presente». Un padre moderno? «No. Mi ha mandato in un collegio di suore per quattro anni. Era per la disciplina, per un’educazione vittoriana, ma io ho fatto la mia rivoluzione da sola. Anche la televisione per lui non era una cosa buona. E non sono mai stata neanche una volta al cinema con lui. L’ho detto: 17 minuti con mio padre». Perché così poco? Ci parli di questi 17 minuti. «Era il 17 novembre 1974. Nevicava. Stavo in casa. Giravo inquieta ed ero nervosa: dovevo fare un esame per un corso di reci- Mi disse: “Figlia mia, un genio è semplicemente una SET E FAMIGLIA Charlie Chaplin in una pausa sul set, con le figlie Geraldine e Jane, e con la moglie Oona 98 FEBBRAIO 2009 CLUB3 scendo mio padre: quasi un alieno inaccessibile, con mia madre a dirmi che nessuno l’avrebbe eguagliato. Ma adesso, attraverso questo libro, ho davvero incontrato mio padre: per la prima volta». Era credente? «Apparentemente non aveva alcuna religione, ma so che credeva in Dio: forse non in modo religioso ma spirituale: come me». In quali altre cose gli somiglia? «Interiormente, in sensibilità, intuizione, senso del ridicolo e del silenzio. Ma mi piacerebbe anche pensare di aver ereditato un po’ del suo talento». tazione e superarlo per me significava tutto. Credevo di avere poco talento e, con un padre come il mio, sospiravo. Mia madre doveva uscire e aveva bisogno che qualcuno desse un colpo d’occhio a papà e mi chiese di farlo. Salii con lei le scale al primo piano ed entrai nell’accogliente studio di papà che era sala da proiezione e biblioteca. Il camino era acceso. Papà stava sulla sua poltrona preferita a vedere una partita di calcio in Tv, ma senza il sonoro. Mia madre gli disse che sarebbe rientrata in mezz’ora. Dal tavolo dove ero seduta notai che il silenzio s’impossessò della casa. Subentrò il panico, più grande quando mi sedetti vicino a lui. Persino cambiare posto mi parve minaccioso. “Rompiamo il silenzio?”, mi disse e si schiarì la gola: “Tua madre racconta che sei nervosa per l’esame”. “Sì, credo di morire. E se sospendo tutto?” E lui: “Perché?” Gli replicai che non ero un genio come lui. “Un genio?”, sorrise guardandomi sorpreso. “Sì, papà, tutti dicono che sei un genio”. E lui: “Tu ci credi?”. Alzai le spalle. “Non so come sono i geni: però so che sei mio padre”. Allora mi prese la mano dicendomi: “Figlia, un genio è semplicemente qualcuno che lavora e si dà da fare. Più lo fai, più perfezioni la tua arte”. Gli risposi che per lui era facile perché non aveva dovuto imparare niente, perché aveva doti naturali. Mi avuto il coraggio di essere ridicola.” Due giorni dopo il professore mi chiamò. Voleva sapere chi mi aveva detto che serviva coraggio per essere ridicola: “Mio padre, Charlie Chaplin”, gli risposi. Il giorno dopo fui accettata nel corso». Potremmo concludere qui. Ma resta da aggiungere qualcosa sulla famiglia. Jane ci parla dei suoi fratelli e delle sorelle lontani, specialmente di Geraldine (nota anche per un’interpretazione di Madre Teresa). E dei due figli avuti dal suo precedente marito. Chiediamo se c’è affinità con il nonno. «Orson ha vent’anni, vive negli Stati Uniti e studia musica. Quando aveva dieci anni gli feci vedere un film del nonno, ma mi disse che non gli piaceva perché in bianco e nero. Un’altra volta mi disse: “Non sapevo che tuo “ ” Scrivendo un libro sul filo dei ricordi ho riscoperto mio padre e ho capito che era meglio di come l’avevano descritto persona che lavora e si dà da fare per perfezionarsi” bloccò: “Chi ti ha detto questo?”. Risposi: “Tutti. Le baby sitter, i professori”. E lui: “Jane, non è stato così facile per me. E ho lottato tanto solo per farmi notare. Inoltre, ho avuto dubbi per tutta la vita: mai stato sicuro di nulla”. “Davvero?”. Fece di sì con la testa. Gli chiesi se sarebbe stata dura anche per me. “Non lo so, però so una cosa: se quel che vuoi è fare l’attrice e lo vuoi con tutte le forze e tutto il tuo coraggio e non hai paura di essere ridicola, ce la farai”. “Però, la verità è che non sono molto estroversa e stanno cercando studenti che lo siano”. “Perché uno sia estroverso, bisogna dunque decidere anche se sia intelligente e abbia talento?” Feci spallucce. E lui:“Io mi sono sempre fidato anche di quelli che sono passati alla storia come i meno avvertiti. In un’abitazione piena di gente, c’è sempre una persona seduta, sola, in silenzio. E credo che questa abbia più cose da rivelare di qualunque altra persona estroversa. Se il tuo professore ha un po’ di senso comune, si renderà conto che dietro la tua timidezza c’è talento”. All’improvviso arrivò mia madre. Abbracciai mio padre e lo ringraziai. “Mostra che hai talento: non avere paura di essere te stessa, né di essere ridicola”. L’esame fu un fiasco. Professore e studenti, dissero che ero ridicola: “Guarda, una Chaplin!” “Sì, guardate”, dissi loro, “però almeno ho padre fosse così importante”. Parlare a loro della fama del nonno mi interessava poco. Aspettando che crescessero, ho preferito trasmettere loro le cose più importanti apprese da mio padre: disciplina e humour. Osceola, l’altro figlio, ha dodici anni. Vive con me. È autistico, il suo mondo è muto. A lui piacciono i film del nonno. È lui la continuità con mio padre. Rammentate? Chaplin non fu mai attratto dal sonoro e non lo usò nei lavori migliori. Diceva: “Guasta la pantomima e annienta la bellezza del silenzio”». 왎 CLUB3 99 FEBBRAIO 2009