La scienza non attira per cultura e per DENARO

Transcript

La scienza non attira per cultura e per DENARO
22-23 quirinale analfa
19-12-2005
15:28
Pagina 22
25 NOVEMBRE 2005
25 NOVEMBRE 2005
GIORNATA PER LA RICERCA SUL CANCRO
La scienza non attira
per cultura e per DENARO
di Alessandro Mazzucchelli
Calano le iscrizioni alle facoltà scientifiche
e aumenta il rischio per il ricambio generazionale:
colpa di un retaggio culturale troppo legato
all’umanesimo ma anche di retribuzioni
e carriere poco incentivanti
N
arrano le cronache che per i casting da ‘velina’ in TV o per
partecipare al ‘Grande Fratello’, migliaia di giovani italiani
si mettono in fila, per ore o addirittura notti intere. Le statistiche dicono invece che le aule universitarie delle facoltà
scientifiche restano mezze vuote e che le aziende del settore
fanno sempre più fatica a trovare i laureati in chimica, piuttosto
che in fisica.
Un segno dei tempi, ma anche un problema molto serio.
“Lo sviluppo dell’Italia richiede misure urgenti per il rilancio
della scienza e dell’alta tecnologia” ha commentato Enrico Predazzi, presidente della Conferenza nazionale dei presidi delle
facoltà scientifiche. “La disaffezione dei giovani italiani verso la
cultura e le carriere scientifiche ha raggiunto livelli drammatici.
Nel corso degli ultimi 50 anni, l’incidenza delle iscrizioni universitarie a facoltà scientifiche è passata dal 16 al 10 per cento del
totale. E ciò succede proprio quando tutti gli indicatori economici e tutti gli studi sociologici ci dicono che, nell’era della conoscenza tecnologica, il benessere e il progresso economico di un
paese si rapportano in modo diretto alla sua capacità di fare
ricerca scientifica avanzata”.
Una preoccupazione condivisa anche da Umberto Veronesi:
“Se l’Italia investe in ricerca scientifica appena l’1 per cento del
suo PIL, percentuale tra le più basse in Europa, la ragione è
soprattutto culturale. In Italia si va diffondendo un sottile scetticismo nelle capacità della scienza di migliorare la nostra vita sul
22 Fondamentale gennaio 2006
pianeta. Lo vediamo nei nostri giovani che si stanno allontanando dalla scienza. Oggi abbiamo una classe forte di ricercatori, che
ci garantisce l’avanzamento della ricerca, ma domani cosa succederà, in assenza di un ricambio generazionale? I ricercatori
sono stati poco considerati. Per anni non ci si è impegnati abbastanza per procurare percorsi di carriera e sbocchi professionali
adeguati. Il risultato è la rinuncia o la migrazione all’estero, per
chi ha i mezzi per farlo. È urgente creare le condizioni perché i
giovani si riavvicinino alla scienza”.
La crisi delle vocazioni
Scrive Teresa Mariano Longo, docente di Educazione comparata presso l'Università di Picardia Jules Verne di Amiens, in
Francia, nelle conclusioni della sua recente ricerca
‘Scienze, un mito in declino?’: “La crisi colpisce
soprattutto le discipline teoriche (fisica, chimica,
matematica) e determina la chiusura di importanti
centri di ricerca universitari. La crisi delle vocazioni
sta promuovendo una specie di mercato dei cervelli.
Gli europei partono per
università più prestigiose
(in genere
americane) e i giovani dei paesi meno ricchi vengono in Europa.
L’Africa perde ogni anno circa 4 miliardi di dollari perché più di
20.000 esperti ad alto livello di istruzione lasciano il continente”.
Le ragioni del fenomeno? Tante, diverse e complementari. Per
Teresa Mariano Longo dipende anche dalla scuola e dai mezzi di
comunicazione di massa: “La scienza si allontana sempre più
dalla vita della gente e il distacco motiva il disinteresse dei giovani. La ricerca scientifica non fa parte dei grandi interessi, delle
grandi problematiche culturali e politiche, né dei saperi normalmente condivisi”.
Della stessa idea anche Piero Angela, il più famoso divulgatore di scienza in Italia: “Certamente incide lo scarso successo dell’educazione scientifica nella scuola, nella società, nell’informazione, nonché la difficoltà di far uscire il sapere scientifico dal
suo recinto tecnico, per renderlo interessante e stimolante, sviluppando il gusto della conoscenza e il piacere della scoperta”.
In Italia si vive tra l’altro in un contesto socio-economico che
incentiva davvero poco la ricerca scientifica. “In Italia solo l’8 per
cento delle imprese è classificata ad alta intensità di ricerca, di
fronte al 25 per cento della Francia e al 30 per cento degli USA”
scrive sempre Teresa Mariano Longo. “Un modello di sviluppo
come quello italiano gioca un doppio ruolo in negativo: da una
parte svaluta economicamente il lavoro scientifico, dall’altra
delega ad altri Paesi il ruolo di produttori di ricerca scientifica”.
Carriera lunga e pochi soldi
Infine, c’è il problema di un mercato del lavoro scientifico che
lascia spesso a desiderare. La carriera del ricercatore è lunga,
difficile, spesso precaria e priva di certezze. Per questo tra i possibili rimedi alla crisi delle vocazioni scientifiche gli esperti citano retribuzioni competitive, detassazione delle borse di studio,
defiscalizzazione delle spese per la ricerca. Oltre che maggiore
educazione dei giovani alle scienze, a partire dalla scuola primaria, e crescita della sensibilità scientifica del Paese. Sì, perché
quella che sta tramontando è un po’ la fiducia nella scienza con
la esse maiuscola, mentre va esaurendosi il mito positivista che
la scienza possa risolvere tutto.
“La scienza è passata dall’essere vista come il rimedio a tutti
i mali all’essere fonte di sospetto” ha detto Enrico Pedrazzi.
“Molti sono gli esempi di reazioni negative da parte dell’opinione
pubblica, che spesso confonde la scienza con alcune sue applicazioni tecnologiche e nella quale un’analisi razionale lascia il
posto a reazioni a volte scomposte (nucleare, OGM eccetera)”. Il
risultato è che, anziché impegnarsi a controllare meglio gli sviluppi tecnologici e ad ampliare l’esplorazione scientifica, si tende
a demonizzarla.
“In Italia la cultura umanistica continua a godere di un privilegio
nei confronti di quella scientifica”, dice Pier Paolo Di Fiore, direttore dell’IFOM di Milano. “È un’idea che penalizza la vita dei nostri
laboratori. Senza una piena consapevolezza della cultura scientifica
non si comprende neanche l’importanza della ricerca per assicurare un futuro di progresso, di sicurezza e di maggiore prosperità”.
Per contrastare i processi in corso, le autorità italiane e internazionali qualche cosa hanno cominciato a fare. La Commissione europea, con la collaborazione di diverse istituzioni scientifiche, ha per esempio sviluppato il progetto ‘Centro Risorse’, che
punta a migliorare l’immagine della scienza grazie ad una serie
di azioni didattiche da sviluppare presso musei e ‘città della
scienza’. In Italia è stato avviato per il triennio 2004-06 il ‘Progetto Lauree Scientifiche’, a opera del ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca. Prevede che alle 43 facoltà scientifiche della penisola siano dati mezzi economici per incentivare
e sostenere le immatricolazioni, attraverso rimborsi delle tasse di
iscrizione, specie agli studenti più meritevoli, con criteri diversi
da ateneo ad ateneo.
Un fenomeno non solo italiano
La crisi delle vocazioni scientifiche interessa tutto il mondo
occidentale. Colpisce l’Europa ma non ne vanno immuni gli Stati Uniti,
dove pure si registra un calo consistente nelle iscrizioni alle facoltà
scientifiche, compensato solo dall’afflusso di un gran numero di
studenti stranieri che, ottenuta la laurea nel proprio Paese di origine o
negli States, rimangono quasi sempre a lavorare presso i laboratori
americani. Unica eccezione sembra essere per ora il Giappone che,
grazie a fortissimi investimenti effettuati nell’istruzione, ha fatto
registrare negli ultimi anni un aumento delle iscrizioni alle Università,
con le discipline scientifiche che mantengono il passo.