111vergine-il-c-d-disastro-ambientale
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Il c.d. “disastro ambientale”: l’involuzione interpretativa dell’art. 434 c.p. (quando una norma caratterizzata da una “clausola di riserva” viene trasformata dalla giurisprudenza in una norma caratterizzata da una “clausola generale”) [ Alberta Leonarda Vergine ] Prof. Agg. di Diritto Penale dell’Ambiente nell’Università di Pavia SOMMARIO: §1. L’inefficacia del sistema penale ambientale e il conseguente ricorso ad ‘altre’ norme. §2. Il delitto di cui all’art. 434 c.p. §3. La nozione di ‘altro disastro’. §4. La (negata) indeterminatezza dell’espressione ‘disastro’. §5. Il comma 2 dell’art.434 c.p. §6. Il c.d. disastro innominato colposo. §7. Il c.d. “disastro ambientale”. §8 Le ragioni dell’attuale (troppo) frequente ricorso al delitto de quo da parte della magistratura §1. L’inefficacia del sistema penale ambientale e il conseguente ricorso ad ‘altre’ norme Su questa rivista solo pochi mesi fa un illustre magistrato della terza sezione della Corte di Cassazione noto per la sua precipua competenza in campo ambientale1, alla condivisibile affermazione per la quale “la politica legislativa in materia ambientale, [è] caratterizzata, come è noto, dall'adozione di disposizioni di dubbia efficacia, tra loro non coordinate e, non raramente, finalizzate alla tutela di interessi particolari e diversi dalla tutela dell'ambiente e della salute delle persone”, ha fatto seguire una conclusione dalla quale recisamente dissentiamo. Infatti, egli ha concluso sostenendo che da ciò conseguirebbe che “si rende ancora oggi valido il ricorso alle ben collaudate disposizioni del codice penale per perseguire condotte illecite anche gravi, le quali resterebbero, altrimenti, prive di sanzioni. Tra [queste] l'articolo 434 c. p., la cui funzione di norma complementare e di chiusura del sistema dei delitti contro la pubblica incolumità ben si attaglia ad alcune condotte di sicuro rilievo in campo ambientale”. Noi, piuttosto, condividiamo, e non certo solitari nella scelta2, la lapidaria dichiarazione di indiscussa dottrina (proveniente, per altro, dai ranghi della magistratura) per la quale, al contrario, “la contaminazione dell’ecosistema esorbita dall’ambito di applicazione dell’art. 434 c.p.”3. Prima di illustrare le ragioni della totale condivisione dell’ultima affermazione – e, quindi, del dissenso per la precedente -, vale a nostro avviso la pena di mettere nella dovuta evidenza come già a metà degli anni sessanta dello scorso secolo la giurisprudenza si trovasse nella medesima attuale necessità di cercare (e trovare) nel codice penale o in altre leggi complementari, fattispecie utili per reprimere condotte che ponessero in pericolo o ledessero in modo più o meno rilevante risorse ambientali, ma, allora, ciò non 1 RAMACCI, Il “disastro ambientale” nella giurisprudenza di legittimità in questa Rivista, 2012, 8-9, 722 ss. Cfr. anche GARGANI, La protezione immediata dell’ambiente tra obblighi comunitari di incriminazione e tutela giudiziaria, in (a cura di Vinciguerra e Dassano) Studi in memoria di Giuliano Marini, Napoli, 2011, 403 ss. , in specie 418 ss.; MARTINI, Il disastro ambientale tra diritto giurisprudenziale e principi di garanzia, in Leg.pen., 2008, 339 ss.; MILOCCO, nota a GIP del Tribunale d Santa Maria Capua a Vetere, 8.11.2004,est. Guariello, in RGA, 2005, 830 ss. 3 Così PIERGALLINI, Danno da prodotto e responsabilità penale. Profili dogmatici e politico-criminali, Mialno, 2004, 289. 2 1 conseguiva alla conclamata inefficacia del pletorico sistema incriminatorio, come succede oggi, ma era determinato dal fatto che norme di settore proprio non ve ne erano. In buona sostanza, ieri era l’anomia normativa4 in campo ambientale che costringeva la giurisprudenza a applicazioni per così dire ‘adattative’ di norme previste nel sistema penale per finalità affatto diverse5; oggi è l’ipertrofia normativa che caratterizza il settore che induce la giurisprudenza a cercare altrove, rispetto alle attuali e troppe norme ambientali - tutte, o quasi, inefficaci -, presidi sanzionatori che in qualche misura arginino il sempre crescente fenomeno delle condotte pericolose per l’ecosistema e o le sue singole risorse. Allora si ricorreva con frequenza alla legge sulla pesca del 19656 o ai delitti di cui agli artt. 6357, nella forma aggravata, 439, 440, alla contravvenzione di cui all’art. 674. Non particolarmente elevato, anzi, tutt’altro8, l’indice di gradimento di quell’art. 434, il c.d. disastro innominato, che, al contrario, attualmente è tra i preferiti, insieme alla “sempreverde” contravvenzione dell’art. 674, vero e proprio cavallo di battaglia di noti magistrati particolarmente attenti alle problematiche ambientali9 e talvolta ancora all’art. 63510. Le ragioni della inefficacia dell’attuale sistema sanzionatorio (penale) ambientale, sono note e tra le molte ricordiamo sia la pessima qualità di “scrittura” delle norme incriminatrici - redatte il più delle volte nella indifferenza totale per le delicatissime questioni di continuità o discontinuità tra incriminazioni che si susseguono nel tempo e per il coordinamento tra previsioni che, dettate nell’ambito di discipline relative a risorse diverse, troppo spesso si calpestano i piedi l’una con l’altra -, sia il fatto che tutte le incriminazioni, con l’eccezione dell’art. 260 d.lgs.152/0611, prevedono ostinatamente solo contravvenzioni - con relativo corredo di pene, talvolta alternative e quindi anche oblazionabili, di molto contenuta entità, e quindi spesso sospendibili, e di termini prescrizionali facilmente superabili, soprattutto quando relativi a reati consistenti nel superamento di limiti soglia dal lungo e tecnicamente complesso accertamento12-. 4 Secondo l’antica, felice espressione di BAJNO, La tutela dell’ambiente nel diritto penale, in RTDPE, 1990, 345 ss. Conforme MARTINI, Il disastro, cit. 340 6 Oggi abrogata dal d.lgs. 4/2012, v.la commentata da PONZONI, La disciplina penale della pesca dopo il d.lgs.4/2012: tra punti fermi, problemi nuovi e scenari futuri, in R.G.A., 2012, 727 ss. 7 Cfr. BAJNO, Evento e dolo nel delitto di danneggiamento di acque pubbliche, in R.I.D.P. 1972, 878 ss. 8 Basta, a conferma, quanto asserito dal GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nell’ordinanza 8.11.2004, cit., che, riconoscendo riconducibile all’art.434 c.p. la “condotta illecita violatrice di leggi, regolamenti, ordini, discipline che determina un danno all’ambiente” (nel caso: attività di cava illegittima) testualmente afferma “questo giudice non ha trovato precedenti della giurisprudenza di legittimità relativi al reato ex art. 434 c.p. in relazione a casi di disastro ambientale” cfr. in RGA, 2005, 884 con nota di MILOCCO, cit. Curioso che qualche anno dopo sia altro giudice dello stesso Tribunale a muoversi in direzione opposta lamentando non solo la genericità e indeterminatezza della norma, ma anche la difficile riconducibilità ad essa dei c.d. disastri ambientali, sul punto cfr. infra § 6. Del resto anche una rapida scorsa ai codici commentati dell’epoca manifesta il totale disinteresse della giurisprudenza per l’ “uso” del disastro innominato per punire illeciti ambientali, cfr per tutti Codice penale commentato (a cura di Padovani), III ed., Milano, 2003, 2054 ss. 9 Sul punto, per tutti, cfr. AMENDOLA, Radio Vaticana, elettrosmog e Cassazione : una sentenza molto discutibile, in www.leambiente.it ; in generale sulla norma de qua cfr. il recente contributo di RAMACCI, Art.674 c.p.: emissioni in atmosfera e giurisprudenza di legittimità, ivi. 10 Cfr. Cass. sez. IV 9.3.2011, n. 9343 laddove anche interessanti affermazioni in punto negata natura di reato permanente del danneggiamento aggravato, ma di ciò meglio in seguito sub § 4 11 Non riteniamo possa più essere annoverato tra le eccezioni degne di menzione il delitto di cui al comma 4 dell’art. 258 considerato che è ormai opinione condivisa anche dal SC collegio quella per la quale la sua portata applicativa è estremamente ridotta cfr. VERGINE, Disposizioni penali maldestramente redatte, decisioni correttamente assunte, immeritate critiche (nota a Cass. pen. n. 15732/2012), in questa Rivista, 2012, 7, 616 ss., né è ancora annoverabile l’altra eccezione di cui all’art.260 bis stante la sua ‘sterilizzazione applicativa’ a causa della mancata entrata in vigore a pieno regime del sistema di controllo del trasporto dei rifiuti , il c.d. SISTRI 12 Conforme MARTINI, Il disastro, cit. 340-1 5 2 Ciò tuttavia, se contribuisce a spiegare perché il sistema repressivo degli illeciti ambientali non funziona o funziona male, non aiuta a comprendere la preferenza che la giurisprudenza nell’ultimo periodo ha manifestato per l’art. 434. La norma non è cambiata negli anni, allora, forse, è cambiata la “sensibilità” dell’interprete, o di alcuni degli interpreti, verso questo delitto, ma di ciò meglio in seguito. Ora è il caso di esaminare la fattispecie in questione. §2. Il delitto di cui all’art. 434 c.p. La previsione è stata voluta, è noto agli studiosi di settore e basta leggere i lavori preparatori del codice penale per averne piena conferma, come norma di chiusura di un sistema che in questa disposizione volutamente ampia e generica vedeva una possibilità di estesa tutela di fronte a pericoli, all’epoca ancora ignoti, ma considerati certi, derivanti dal futuro sviluppo della tecnologia Una sorta di “figura-cerniera idonea a espandersi, rectius a espandere e adattare in continuazione l’ambito di protezione penale in funzione dei mutamenti tecnologici e delle nuove esigenze indotte dal progresso”13. Accanto all’ipotesi di tentativo di crollo di costruzioni (o di parti di esse), è stata prevista quella di tentativo di “altro disastro” o, stante la scrittura “a maglie larghe” della fattispecie14, tentativo di “disastro innominato”, sintagma che tanto ricorda il vecchio “abuso innominato” in atti d’ufficio sostituito, opportunamente, dal legislatore di fine secolo con un ben più “nominato” comportamento abusivo del p.u. (art. 323 c.p.). Non siamo certo solo noi che consideriamo la ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 434, un “tentativo assunto a reato consumato”15, l’opinione è diffusa e condivisa – e sinceramente difficilmente confutabile -- e ciò comporta che, stante l’espressione utilizzata “fatto diretto a cagionare un altro disastro”, per potere contestare detto delitto si debba accertare che “la condotta diretta a cagionare il disastro [sia] a ciò idonea (pericolo concreto) attraverso la creazione di un pericolo per l’incolumità pubblica”16. Riepilogando: proprio in ragione dell’espressione usata, sul piano dell’elemento soggettivo non sembrerebbe17 contestabile che il soggetto debba agire sostenuto dalla volontà finalizzata alla realizzazione del disastro e che, in concreto, il pericolo per l’incolumità pubblica, in quanto elemento costitutivo del fatto, debba essere oggetto di rappresentazione e volizione da parte dell’agente18, in altre parole la “struttura del dolo [di questo delitto] è composita: dolo intenzionale con riferimento al compimento della condotta di attentato [personalmente preferiamo utilizzare l’espressione ‘tentativo]19, dolo, anche solo eventuale, con riguardo al 13 Così CANESRARI CORNACCHIA Lineamenti generali del concetto di incolumità pubblica, in (a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa) Trattato di diritto penale, Parte Speciale, IV, Utet, 2010, 19. 14 Così De SANCTIS, Diritto penale dell’ambiente. Un’ipotesi sistematica, Milano, 2012, 167 15 Così MARINUCCI, voce “Crollo di costruzioni”, in Enc. Dir., vol XI, Milano, 1962, 411; GARGANI, Reati contro l’incolumità pubblica, Tomo I, Reati di comune pericolo mediante violenza, Milano, 2008, 423 che ricorda come proprio in questo senso si fossero espressa la Relazione Ministeriale . 16 De SANCTIS, Op.cit., 169 17 Cfr. sub § 6 per giustificare l’uso del condizionale. 18 Cfr. CORBETTA, op.cit., 617 19 Anche GARGANI, Reati, cit, 422 ritiene quanto meno “dubbia” la riconducibilità del reato de quo nell’ambito delle fattispecie di attentato 3 pericolo della pubblica incolumità”20. Ciò che equivale a affermare che il reato de quo non può essere contestato con dolo eventuale, stante la ancora di recente confermata incompatibilità tra il dolo eventuale e tentativo21. Sul piano oggettivo bisogna distinguere le ipotesi del comma 1 da quelle del comma 2. Il comma 1 presenta “i connotati propri di una fattispecie a consumazione anticipata22 [ove] la soglia della punibilità è attestata sulla mera commissione di fatti diretti a tale obiettivo”23 ed è necessario che, per rilevare, detti fatti, oltre che diretti a cagionare l’evento “altro disastro”, debbano anche essere idonei a cagionarlo24: Nel comma 2, invece, il verificarsi del disastro provoca un aumento di pena. Il legislatore ha scelto di utilizzare la non particolarmente felice espressione “la pena è della reclusione da tre a dodici anni se […] il disastro avviene” e ciò ha prodotto notevoli incertezze interpretative potendo sostenersi, sulla base di comunque apprezzabili argomenti, che al comma 2 si preveda sia una circostanza aggravante, sia un reato aggravato dall’evento, sia una condizione di punibilità, sia una fattispecie autonoma di reato. Con conseguenti ricadute sul piano processuale in specie di notevolissima importanza, ma anche di ciò meglio in seguito. §3. La nozione di ‘altro disastro’ Qui merita spendere qualche parola sul concetto di “disastro” che, per rilevare ai fini di questa incriminazione deve essere anche “altro”. Ci troviamo dinnanzi una norma “muta” che non precisa la condotta punibile e “scolpisce l’evento verso cui sono dirette la volontà e la attività dell’agente mediante un termine vago, quale appunto ‘disastro’ senza ulteriori connotazioni”25 con ciò distaccandosi dalla tecnica utilizzata per altre fattispecie del Capo I del titolo VI laddove o “l’evento rappresenta lo sbocco di una condotta sufficientemente tipizzata” come ad esempio nell’art. 426 c. 2 o 429 c. 2, oppure “è accompagnato da un attributo che, individuando un determinato ambito, offre all’interprete una preziosa chiave ricostruttiva” (è il caso del disastro aviatorio, del disastro ferroviario ecc.); nella fattispecie, invece, “non solo la condotta non risulta in alcun modo caratterizzata, ma nemmeno il termine ‘disastro’ è in qualche modo definito attraverso l’individuazione del settore di attività da cui deve scaturire, essendo usato in maniera neutra e residuale”26 arricchito dall’aggettivo “altro” che opera solo per sottrazione, caratterizzando questo disastro come qualcosa di diverso dai disastri di cui alle altre norme dello stesso Titolo27. E, come è stato evidenziato da illustre dottrina che ha dedicato alla tematica studi assai approfonditi, “il rischio è che, in considerazione della indeterminatezza strutturale e teleologica, la fattispecie […] venga 20 Così CORBETTA, op.cit. 639; GARGANI, Reati, cit. , 425, costante la giurisprudenza del S. Collegio, nel qualificarlo come reato (il comma 1) connotato da dolo intenzionale per tutte, cfr. Cass. sez.I 19.1.2011, n. 1332; Cass. sez. IV 11.10.2011, n.36626; da ultimo così Cass. sez. II, 13.4.2012, n. 14034 21 “Il dolo eventuale non è configurabile nel caso di delitto tentato, in quanto è ontologicamente incompatibile con la direzione univoca degli atti compiuti nel tentativo” così Cass. sez. II, 13.4.2012, n. 14034, cit. 22 In giurisprudenza, ancora di recente Cass.sez. IV 11.10.2011, n.36626 23 Così GARGANI, Reati, cit., 421 24 Cfr. CORBETTA, op.cit. 615 25 Così CORBETTA , op.cit. 628 26 Così CORBETTA, , ibidem 27 Nello stesso senso ARDIZZONE, voce “Crollo di costruzioni e altri disastri dolosi ” in NN.mo Dig. It, III, Torino, 1989, 275 4 ‘strumentalizzata’ in chiave punitiva e ‘snaturata’ strutturalmente, per assicurare la ‘copertura penale’ di fenomeni di recente emersione, ritenuti di particolare gravità sul piano sociale e privi di un’adeguata disciplina ad hoc”28. Tanto più quando, ed è ciò che a noi, ai fini limitati di questo contributo, maggiormente interessa, si pretenda di adattare la norma alle “esigenze” di concreta tutela ambientale. A confermare la preoccupazione il rilievo, ancora recentemente formulato dall’illustre dottrina appena citata, per la quale la giurisprudenza, “incurante dei riflessi sul piano della legalità formale, […] si richiama tout court al disastro ambientale, senza nemmeno ‘passare’ più attraverso il riferimento al disastro innominato di cui all’art.434”29. §4. La (negata) indeterminatezza dell’espressione ‘disastro’ “L’elasticità semantica dell’enunciato normativo”, ma, soprattutto, il timore che “l’applicazione giurisprudenziale dell’art. 434 c.p. alla materia ambientale finis[se] per dar vita alla creazione giurisprudenziale di un tipo delittuoso non previsto dalla legge”30, ha indotto, nel 2006, il G.U.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a chiedere alla Consulta di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di tale norma, in specie in punto sufficiente determinatezza31. La decisione con la quale la Corte ha dichiarato non fondate le questioni sollevate32 è interessante per più di una ragione. Non potendo addentrarci in una approfondita analisi della articolata motivazione, indichiamo sommariamente i punti più significativi, ai fini limitati di questa indagine, del percorso argomentativo. Anzitutto la Corte ammette che “il concetto di ‘disastro’ […] si presenta di per sé scarsamente definito: traducendosi in una espressione sommaria, capace di assumere nel linguaggio comune una gamma di significati ampiamente diversificati”, quindi dà conto della esistenza di una “nozione di disastro accolta dalla giurisprudenza di legittimità , con un indirizzo che [..] appare apprezzabile […] in termini di diritto vivente” e della consapevolezza che “l’esistenza di interpretazioni giurisprudenziali non valga di per sé a colmare l’eventuale originaria carenza di precisione del precetto penale”, ma ricorda anche che “ciò non esclude […] che l’esistenza di un indirizzo giurisprudenziale costante possa assurgere ad elemento di conferma della possibilità di identificare, sulla scorta d’un ordinario percorso ermeneutico, la più puntuale valenza di un’espressione normativa in sé ambigua, generica o polisensa”. Posto quindi che, in ragione di quanto precede, secondo la Corte l’espressione utilizzata dal legislatore “non può ritenersi priva di un senso sufficientemente definito”, la stessa conclude dichiarando non fondate le questioni, ma fa precedere detta dichiarazione da un auspicio, invero un po’ singolare: “è tuttavia auspicabile che talune delle fattispecie attualmente ricondotte, con soluzioni interpretative non sempre scevre da profili problematici, al paradigma punitivo del disastro innominato – e tra esse segnatamente l’ipotesi del c.d. disastro ambientale, che viene in discussione nei giudizi a quibus – formino oggetto di autonoma considerazione da parte del legislatore penale, anche nell’ottica dell’accresciuta attenzione alla tutela ambientale e a quella della integrità fisica e della salute, nella cornice di più specifiche figure criminose”. 28 Così GARGANI, La protezione immediata, cit. 454 In questi termini GARGANI, La protezione immediata, cit., 420 30 Così GIUNTA, I contorni del ‘disastro innominato’ e l’ombra del ‘disastro ambientale’ alla luce del principio di determinatezza, in Giur. Cost,, 2008, 3541. 31 Cfr. Ordinanza 7 dicembre 2006 est. Piccirillo, imp. R.E., v.la in www.diritto.it 32 Cfr. C.Cost. sent. 1.8.2008, n. 327, est. Flick, in Giur. Cost. 2008, 3529 ss. Con nota di GIUNTA, I contorni del ‘disastro’, cit.. 29 5 In altre parole, la questione proposta all’attenzione della Corte, e sulla quale la stessa si è espressa, era quella della indeterminatezza del “disastro innominato” in sé, ma la questione nasceva nel più ristretto ambito del “disastro ambientale”. Come è stato giustamente osservato, “la questione di costituzionalità sollecitava la ridefinizione del ‘disastro innominato’ in ragione del suo impiego come delitto ambientale caratterizzato da una portata applicativa residuale e aggiuntiva rispetto all’ambito operativo degli specifici reati ambientali”33; la Corte, sulla base della giurisprudenza di legittimità creatasi sull’art. 434 successivamente alla presentazione dell’ordinanza, con una sentenza interpretativa di rigetto l’ha dichiarata non fondata delineando una nozione unitaria del ‘disastro innominato’ che traeva spunto dal “diritto vivente”, ma al contempo non ha potuto esimersi dal considerare il particolare angolo visuale del rimettente. Ciò che spiega l’ ‘auspicio’ conclusivo dietro al quale si intuisce il timore, fondatissimo come dimostra l’attuale tendenza interpretativa giurisprudenziale, che, stante il carattere polisenso e multidimensionale dell’ambiente, in ogni fatto offensivo dell’ecosistema si possa (voglia) riconoscere un potenziale pericolo per la incolumità pubblica34. Non per nulla la citata dottrina ha sottolineato come tale “ammonimento avrebbe dovuto estendersi alla giurisprudenza, eccessivamente creativa, anche al fine di chiarire che la ritenuta determinatezza del ‘disastro innominato’ non equivale a ratificare la creazione giurisprudenziale di un autonomo delitto di ‘disastro ambientale’”35. Premesso perciò, che un conto è discettare in generale sul ‘disastro innominato’ e altro è verificare la tenuta del tentativo di ricondurre ad essa una particolare ipotesi di ‘disastro’ che abbia ad oggetto comportamenti che ledano o pongano in pericolo l’ecosistema o una delle sue componenti, la nostra attenzione si focalizza, per evidenti ragioni di materia, solo sul c.d. disastro ambientale che, e con ciò anticipiamo le nostre conclusioni, con indubbia efficacia è stato definito da illustre dottrina “singolare figura di creazione accusatoria, che nulla ha a che vedere con il disastro innominato di cui all’art. 434 c.p.”36. §5. Il comma 2 dell’art.434 c.p. Tuttavia, prima di affrontare questo aspetto della questione, è necessario spendere qualche parola sulla struttura della seconda delle due ipotesi previste dal legislatore nell’art. 434. Si è già detto del comma 1: reato a consumazione anticipata37, con esso si punisce il tentativo di ‘altro disastro’ ogni qual volta i fatti realizzati dall’agente siano diretti a cagionarlo, la condotta sia oggettivamente idonea a cagionarlo, o a non impedire il suo verificarsi38, e purchè, in conseguenza degli atti diretti a cagionarlo, si verifichi il pericolo per il bene della pubblica incolumità, “locuzione breviloquente da intendersi come pericolo di lesione per la pubblica incolumità”39. La collocazione sistematica di detto pericolo vede minoritaria la tesi che lo vorrebbe ricondotto alle condizioni obiettive di punibilità, e come tale, 33 Così GIUNTA, op.cit. 3541-2 In questo senso GIUNTA, op.loc.cit. 35 Così GIUNTA, op.loc.cit., 36 PIERGALLINI, Danno da prodotto, cit. 289 37 Anche la giurisprudenza è conforme, per tutte cfr. Cass sez. IV, 11.10.2011, CED 251428, cit. 38 CORBETTA, op.cit., 614 39 CORBETTA, op.cit., 616 34 6 escluso dal dolo40 e prevalente quella che, considerato il bene tutelato, lo ritiene elemento costitutivo del fatto41. Quanto alla fattispecie di cui al capoverso, “come suggerisce il tenore letterale della norma, […] il ‘disastro’ deve rappresentare la conseguenza della condotta descritta dal comma 1”42 e quindi del “fatto diretto a cagionare un altro disastro”. Dovendosi in sede processuale dimostrare il nesso di causalità tra la condotta, omissiva o commissiva, e il verificarsi del disastro, ovviamente detta nozione gioca un ruolo fondamentale. Si è già detto che sul punto la norma è “muta” e che la giurisprudenza ha dovuto surrogare il silenzioso legislatore elaborando una serie di requisiti alla luce dei quali può affermarsi sussistere un “(altro) disastro” e che anche la Corte Costituzionale ha dato conto di questi arresti giurisprudenziali tutti ormai concordi nel definire disastro un “impatto violento e traumatico nella realtà materiale, ossia un ‘macro-danneggiamento’, di carattere tendenzialmente istantaneo, che ponga in pericolo la vita o l’integrità fisica di una pluralità indeterminata di persone”43. E si è anche già anticipato come la, forse non particolarmente felice, scelta lessicale operata a suo tempo dal legislatore abbia aperto la strada a molteplici opzioni: la più banale è quella che, su tutto, fa prevalere il dato testuale confrontando la formulazione utilizzata nel comma 2 con quelle utilizzate nelle altre norme dello stesso Capo I.. Nella norma all’esame si prevede una pena più grave qualora si verifichi effettivamente l’evento che nel primo comma viene indicato come quello verso la cui realizzazione debbono essere indirizzati i fatti che, per rilevare, debbono aver cagionato il pericolo per l’incolumità pubblica. Il legislatore non ha scritto, come ad esempio negli artt. 428 o 430: “chiunque cagiona un disastro è punito …”, ha scritto: “se il disastro avviene” la pena è più grave. Nella disposizione sono quindi “spariti” sia l’aggettivo “altro” che, sia pure solo in limitata misura qualificava, per differenza, il vaghissimo termine disastro, sia il riferimento al pericolo per la incolumità pubblica. Omissioni comprensibili se si considera il c. 2 una circostanza aggravante del reato base di cui al comma 1, ma molto meno giustificabili, e più gravide di concrete conseguenze, se si ipotizza trattarsi di reato autonomo. Chiaramente non possiamo dar conto in questa sede di tutte le ragioni che militano a favore dell’una o dell’altra opzione interpretativa, qui basta ricordare che, tra l’altro, alcuni degli argomenti utilizzati dalla dottrina più risalente a sostegno dell’opzione a favore della fattispecie autonoma di reato, vedevano alla loro base un regime delle circostanze oggi non più vigente e pertanto in questa particolare ottica quelle tesi sembrerebbero attualmente poggiate su basi meno solide. 40 In questo senso già MANZINI, Trattato, vol. VI, Torino, 19??, 346 e, assai più di recente, ARDIZZONE, voce Crollo di costruzioni e altri disastri dolosi, in Dig.Pen. III, Torino, 1989 , 275; GIZZI, Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi (artr.434) in (a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa) Trattato di diritto penale, cit. 230. 41 Per tutti CORBETTA, op.cit., 617 ecc…. 42 Così CORBETTA. op.cit. 628 43 Così GARGANI, La protezione immediata, cit., 422; RIBERA AURIEMMA, Le tecniche investigative e l’acquisizione della prova in materia ambientale, Relazione alla Giornata di studio del CSM su I crimini in danno dell’ambiente e del territorio, Roma 22.5.2012 si riferiscono a “un danno di enorme potenzialità, comunque tale da minacciare un numero indeterminato di persone” p.99 del dattiloscritto. Cfr. anche Cass. sez. III 29.2.2008, n. 9418 ove si fa riferimento al fatto che il “requisito che connota la nozione [..] è la potenza espansiva del nocumento [e che il termine] implica che sia cagionato un evento di danno o di pericolo per la pubblica incolumità straordinariamente grave e complesso […] che il nocumento abbia carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo collettivamente un numero indeterminato di persone”; Cass. sez. IV 30.11.2012, n. 46475, ove si allude a un “evento fortemente connotato sul piano naturalistico e contrassegnato da forza distruttiva di dimensioni assai rilevanti”; Cass. sez. IV 15.5.2012, n. 18678 fa riferimento a un “avvenimento grave e complesso con caratteristiche diffusive e con conseguente pericolo per la vita o l’incolumità di persone indeterminate” 7 Se, come il dettato letterale impone, almeno ad avviso di chi scrive, si concepisce il comma 2 come circostanza aggravante, il silenzio sul pericolo, come l’eliminazione dell’aggettivo altro, non dovrebbero riverberare significativamente in concreto. Il fatto tipico sarebbe infatti quello di cui al comma 1, il disastro avvenuto dovrebbe pertanto essere diverso dai (nel seno non riconducibile ai) disastri già disciplinati nel Capo I, e comunque dovrebbe possedere tutte le caratteristiche qualitative e quantitative che lo rendono ad essi omologo, e il pericolo per l’incolumità pubblica, essendo un elemento costitutivo del fatto tipico “base”, dovrebbe essere provato come esistente e causato da quel “altro” disastro che nell’ipotesi si è anche verificato. Inaccettabile oggi, almeno ad avviso di chi scrive, la tesi che considera “del tutto equivalenti” le espressioni disastro e pericolo per l’incolumità pubblica sulla base del rilievo per il quale le espressioni pericolo comune o pericolo per l’incolumità pubblica “si trovano usate più spesso, in omaggio alla tradizione e per la loro specificità, a denotare la classe (titolo VI: “dei delitti contro l’incolumità pubblica”) e il gruppo (“Capo I “dei delitti di comune pericolo mediante violenza”[…]), mentre [l’espressione disastro] denomina talune figure specifiche o compare al loro interno”44. E’ noto che si tratta, “anche a livello concettuale, [di] due realtà distinte: l’uno attiene alla fisionomia oggettiva con cui si manifesta un certo evento; l’altro esprime invece una relazione di probabilità che da quel fatto possa verificarsi la lesione della vita di un numero indeterminato di persone”45. Tanto è vero che non sono infrequenti ‘disastri’ non pericolosi per l’incolumità pubblica, e eventi pericolosi per l’incolumità pubblica che si manifestano privi di quelle caratteristiche qualitative e quantitative che “tipizzano” il disastro46. Posto, dunque, che il silenzio del legislatore non deve essere interpretato come volontà di allontanarsi dal ‘modello di riferimento’ del comma 1 - ipotesi che, nonostante la sua vaghezza, al confronto del comma 2 si palesa come “maggiormente carico di elementi qualificanti o caratterizzanti”47 -, va da sé che per affermare che non di una aggravante si tratta, ma di un reato autonomo, l’illustre dottrina già più volte richiamata48 si è dovuta avventurare in una rilettura della disposizione che la stessa ha definito “più razionale e lineare”, ma che, almeno a chi scrive, lineare non pare del tutto. Anzi, ci sembra che questa proposta interpretativa, voluta dall’autore per evitare ‘deformazioni’ del senso dell’ incriminazione attraverso “soluzioni e conclusioni ermeneutiche distoniche sia rispetto al quadro sistematico, sia rispetto alle esigenze di natura politico-criminale”, rappresenti essa stessa una forzatura (eccesiva) del disposto normativo. Per approdare alla conclusione che si tratta di fattispecie autonoma, la citata dottrina capovolge completamente la struttura della norma disegnata dal legislatore e ripropone un “nuovo” art. 434 nel quale la figura base o principale sarebbe quella di cui al comma 2 e relega il comma 1 a ruolo di ipotesi residuale di anticipazione della tutela a un momento precedente il realizzarsi del disastro ove il riferimento agli atti diretti a cagionarlo e al pericolo concreto per l’incolumità pubblica circoscriverebbero l’ambito di detta anticipazione. 44 MARINUCCI voce Crollo, cit. 418 CORBETTA, op.cit. 632 46 Ad es. Cass. sez.IV 15.05.2012, n. 18678, cit. nega la sussistenza del disastro in assenza di prova dell’efficacia diffusiva dell’arsenico dispersosi nell’ambiente e nella comunità dei lavoratori. 47 GARGANI, Reati, cit., 426 48 GARGANI, ibidem 45 8 In altri termini, il comma 1 della norma avrebbe l’unica funzione di “sostituirsi all’ipotesi di tentativo, altrimenti implicita nella previsione della ipotesi di risultato, per effetto dell’art. 56”. Previsione, quella del comma 1, necessaria in quanto in assenza della stessa, in specie, “in assenza dell’espresso riferimento al pericolo per la pubblica incolumità, l’obiettivo tipico della condotta – […] altro disastro – assumerebbe una portata forse evocativa, ma certamente non ‘qualificativa’”. Non possiamo in questa sede dare conto di tutte le raffinate argomentazioni portate a sostegno di tale teoria, va da sé che, così opinando, tra l’altro sembra che sia condivisa la tesi per la quale il disastro rappresenti la concretizzazione del pericolo per la pubblica incolumità, di guisa che non ci sarebbe disastro senza pericolo, o che comunque tutti i disastri recherebbero in loro la prova del pericolo per l’incolumità pubblica. Ma si è già anticipato che altra parte della dottrina, alla quale si allinea anche chi scrive, non ritiene che ad ogni ‘disastro’ corrisponda sempre un pericolo per la pubblica incolumità, come che a ogni pericolo concreto per la pubblica incolumità corrisponda sempre come causa un ‘disastro’ nel senso in cui ad oggi lo si intende in questo contesto49. Del resto, anche chi considera il c. 2 caratterizzato dal pericolo presunto, ammonisce “resta peraltro impregiudicata, ai fini della conformità di tali fattispecie al dettato costituzionale, l’esigenza di un riscontro, rispetto all’evento di danno, della sussistenza di determinati parametri che fungano da indici rivelatori del pericolo per una pluralità indeterminata di persone : la verifica della causazione del danno non potrà quindi mai valere a surrogare quella dei suoi connotati strutturali e tipologici che evidenziano una dimensione pericolosa in rapporto al bene finale collettivo”50 §6. Il c.d. disastro innominato colposo Preferire l’opzione che vede nel comma 2 una circostanza aggravante, piuttosto che una fattispecie autonoma, riverbera in maniera pesantissima sulla contestabilità dello stesso per colpa. Va infatti da sé che se si condivide l’affermazione per la quale il dolo del comma 2 “ha caratteristiche identiche a quelle richieste per la fattispecie di cui al comma 1”, ciò significa che per contestare il comma 2 è necessario provare, come nel caso del comma 1, “il dolo intenzionale con riguardo al verificarsi del […] disastro, che rappresenta lo scopo preso di mira dell’agente”51 oltre che il dolo, anche solo eventuale, di pericolo per l’incolumità pubblica. Ma se così è, sarebbe allora la struttura stessa della fattispecie aggravata, al pari di quella del comma 1, che renderebbe improponibile la contestazione del comma 2 per colpa52. 49 A dimostrazione due recenti decisioni del S.C. che negano sia riconducibile alla nozione di disastro innominato, l’una il crollo di due pannelli della controsoffittatura di una palestra causato da continue infiltrazioni d’acqua dal tetto, avvenuto, tuttavia, durante la notte quando la palestra era chiusa, nella quale la Corte ha rilevato come l’evento, pur se innegabilmente pericoloso per l’incolumità pubblica, non costituiva “disastro” per “mancanza del verificarsi di un accadimento di gravità, complessità ed estensione straordinari”, così Cass. IV, 30.11.2012, n.46475; e l’altra l’abbattersi al suolo da un’altezza di circa 20 metri di una campana pesante 18 quintali, nonostante che da detto evento fossero conseguite lesioni seppur non gravi per una delle diverse persone presenti sul posto, in quanto si è ritenuta assente la “connotazione straordinaria distruttività che contraddistingue il tipo”. Cass. sez. IV, 02.05.2012, n. 22038. 50 Così CANESTRARI CORNACCHIA, Lineamenti generali del concetto di incolumità pubblica, cit. 15 51 CORBETTA, op.cit., 640 52 Al contrario l’A. citato nella nota precedente, che pure ha affermato che il dolo del comma 2 ha le stesse caratteristiche di quello del comma 1, sostiene, del tutto indifferente al fatto che trattasi di dolo intenzionale, che la contestabilità per colpa non è consentita con riferimento alla fattispecie del c. 1 per mancanza di espressa previsione normativa, mentre lo sarebbe per il comma 2 stante l’espresso disposto dell’art.449 che fa riferimento al “disastro.” 9 Si dice: il comma 1, cioè il ‘tentativo di disastro’, non può essere punito per colpa perché le disposizioni che espressamente prevedono la punibilità per colpa di (alcuni) dei delitti del Capo I non fanno ad esso esplicito riferimento. Non l’art. 449 (“Delitti Colposi di Danno”) in quanto lo esso prevede la punizione di coloro che cagionino per colpa “… un altro disastro preveduto dal Capo I di questo titolo”, mentre la condotta di cui al comma 1 dell’art. 434 è quella di “fatto diretto a cagionare … un disastro”. Nè si dimostra utile alla bisogna l’art. 450 (“Delitti Colposi di Pericolo”) ove si fa riferimento alla condotta di chiunque, con la propria azione od omissione colposa, fa sorgere o persistere il pericolo di una determinata serie di eventi tra i quali non è espressamente indicato il disastro innominato. Ma, invero, almeno a nostro sommesso avviso, se ambedue le condotte sono sostenute da quel dolo intenzionale che ha fatto affermare che al primo comma si punisce un ‘tentativo di disastro’ e al secondo si prevede che la pena sia aumentata quando il ‘tentativo di disastro’ sia coronato da successo, sempre e comunque dato per dimostrato anche il pericolo per la incolumità pubblica derivato dalla condotta, la contestabilità per colpa di entrambe le fattispecie sarebbe impedita da “una ragione per così dire ‘ontologica’: se si muove dal concetto comune di tentativo [di disastro, in questo caso] come atto intenzionalmente diretto a un risultato, ipotizzare un tentativo ‘involontario’ [di disastro] appare logicamente incongruente”53. O, in altri termini, se l’espressione “fatti diretti a” viene intesa come “un riferimento soggettivo alla direzione della volontà criminosa o si ritiene dia rilievo, sul piano della tipicità, ai motivi o scopi, dell’autore, appare evidente la distanza dalla tipicità e dalla colpevolezza colposa”54. Di tutta evidenza che, al contrario, qualora si considerasse il comma 2 come una fattispecie autonoma, nessun problema sorgerebbe per la contestabilità dello stesso per colpa. E, infatti, la giurisprudenza più recente preferisce accedere a questa opzione interpretativa in modo, non solo da poter punire anche condotte illuminate dal mero dolo eventuale o solo colpose, ma anche da allontanare il termine prescrizionale in quanto, leggendo la previsione come fattispecie autonoma d’evento, i termini decorrerebbero dal momento di concreta realizzazione dell’evento disastro; al contrario, nel caso si concepisse il comma 2 come aggravante, il momento consumativo del reato sarebbe quello, ben precedente, della realizzazione del fatto diretto a cagionare il disastro. Ma in realtà, di recente, la giurisprudenza di merito si è spinta ancora oltre nelle sue interpretazioni, ben più che adattative, della norma in questione ai fini di efficace (a tutti i costi) repressione di episodi di danneggiamento di risorse ambientali. Un emblematico esempio è rappresentato dalla corposissima (713 pagine) sentenza con la quale il Tribunale di Torino, Sezione I Penale, nel febbraio 201255 (a conclusione del c.d. Processo Eternit) ha condannato gli imputati anche per la commissione del delitto di cui all’art. 434. In questa pronuncia il Tribunale propone una approfondita disamina anzitutto del comma 1 della norma in questione per concludere, in punto condotta, nel senso che quella “posta in essere dal soggetto attivo, deve avere l’intrinseca idoneità o, se si preferisce, l’attitudine causale a cagionare il disastro”, disastro, si badi, che “non deve verificarsi trattandosi di un reato di pericolo, ancorchè concreto”. Tuttavia, e immediatamente, il Tribunale 53 Così FIANDACA MUSCO, Diritto penale, Parte generale, Bologna, 2009, 475 Così RAMPONI, Delitti colposi riguardanti i disastri, in (a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa) Trattato di diritto penale, cit. 348 55 Cfr. Tribunale di Torino Sez. I Pen.,13.02.2012, est. Casalbore, Pironti e Santangelo, imp. S.Schmidheiny e L. De Cartier De Marchienne 54 10 precisa che “nel caso in esame, per altro, l’accertamento della condotta necessaria all’integrazione della fattispecie disciplinata dal comma 1 dell’art. 434 c.p. assume un’importanza relativa, perché non siamo in presenza di un fatto soltanto diretto a cagionare un disastro, bensì di un fatto che ha provocato un disastro di portata catastrofica, come si evince dalla descrizione di quanto realmente è accaduto e continua a accadere56 e dal numero delle persone offese, purtroppo non ancora definitivamente quantificabili”57. Con il che, sarebbe legittimo aspettarsi che la disamina fosse conclusa in quanto la fattispecie di riferimento dovrebbe essere quella del comma 2. Invece il Tribunale prosegue precisando, in modo invero inaspettato, che “grande attenzione, soprattutto con riferimento al caso concreto, merita l’elemento soggettivo del reato”, sempre di quello di cui al comma 1, sembrerebbe. Quindi, dato conto che dottrina e giurisprudenza, conformi e compatte, ritengono trattarsi di delitto caratterizzato da dolo intenzionale stante la formula “fatto diretto a cagionare un altro disastro” impiegata dal legislatore, conclude sostenendo che, tuttavia, al Tribunale stesso “sembra preferibile58 ritenere che a [detta espressione] debba essere assegnata una valenza oggettiva, più che soggettiva, considerando che l’attitudine causale a provocare il disastro debba connotare solo la condotta posta in essere e non l’elemento soggettivo dell’autore del reato” in quanto “se […] si richiedesse nel soggetto attivo la specifica volontà di perseguire il risultato di cagionare il disastro, essendo tale accadimento estraneo alla fattispecie del comma 1 dell’art. 434 c.p. e non necessario per la relativa sussistenza, si correrebbe il rischio di trasformare l’elemento soggettivo utile all’integrazione del reato in un dolo specifico, effetto che la Corte di Cassazione espressamente esclude”. In altri termini, pur di non ‘correre il rischio di trasformare’ un dolo intenzionale in un dolo specifico, e quindi per non rischiare di contraddire la Suprema Corte che lo ha escluso, il Tribunale contraddice palesemente e apertamente la Suprema Corte che più volte ha qualificato il dolo di cui al comma 1 come intenzionale59 e lo trasforma in ‘generico’. Siamo perplessi. E ancora più perplessi, quando leggiamo che da ciò il Tribunale fa derivare la conclusione per la quale “il dolo richiesto per il reato de quo, dunque60, può consistere nel dolo generico” e conseguentemente affermare la possibile contestabilità del comma 1 anche solo per dolo eventuale61, nonostante qui non si corra semplicemente il ‘rischio’ di sostenere qualcosa che la Corte di Cassazione ‘espressamente esclude’, ma si afferma l’esatto contrario di quanto sostenuto ancora di recente dalla Cassazione62. In aggiunta, il 56 Cfr. infra nota 70 Tribunale Torino, 13.2.2012, cit., 501E’ lo stesso Tribunale che dà conto che per il P.M. proprio perché la condotta degli imputati, cessata da tempo, continuava a provocare effetti dannosi, ben poteva affermarsi che “il reato non po[teva] considerarsi consumato”, 510 58 La sottolineatura è di chi scrive 59 Cfr. supra sentenze citate in n.20 60 Anche in questo caso la sottolineatura è di chi scrive. 61 Il ricorso al “dolo eventuale” all’interno di questa “singolare figura di creazione giurisprudenziale” (così PIERGALLINI, Danno, cit. 289) preoccupa molto chi scrive che ricorda come tale elemento soggettivo flessibile, versatile (DEMURO, Sulla flessibilità concettuale del dolo eventuale, in www.dirittopenalecontemporaneo) o, se si preferisce, evanescente (CAMAIONI, Evanescenza del dolo eventuale, incapienza della colpa cosciente e divergenza tra voluto e realizzato, in R.T.D.P.P., 2012, 508 ss.) sia oggi “oggetto di crescente valorizzazione giudiziale […] proprio allo scopo di lanciare messaggi dissuasivo stigmatizzanti” (così FIANDACA, Sul dolo eventuale nella giurisprudenza più recente, tra approccio oggettivizzante-probatorio e messaggio generalpreventivo, in www.dirittopenalecontemporaneo). GARGANI, I reati cit. 463, pur condividendo la tesi per la quale il coefficiente psichico di cui al delitto del comma 1 sia limitato al “dolo intenzionale o diretto”, comunque si dichiara favorevole alla contestabilità del delitto di cui al comma 2 anche quando sostenuto dal solo dolo eventuale. 62 Cfr. Cass. sez I 27.10.2009, n. 41306 laddove si afferma: “è possibile ipotizzare la tipologia teoretica del dolo eventuale soltanto allorchè la legge non richieda espressamente che il soggetto agente si sia determinato alla consumazione della condotta con un determinato fine” dopo aver sostenuto, senza esitazione alcuna, con riferimento al comma 1 dell’art .434 che “la tipizzazione codicistica richiede per la sussistenza del reato che l’agente commetta ‘un fatto diretto a […]’,di guisa che nella ipotesi il fatto consumato sia stato posto in essere non già per conseguire questo risultato […] ma per conseguire altra finalità, viene a mancare 57 11 Tribunale, contraddicendo anche quella parte della giurisprudenza di legittimità che vede nel comma 2 una circostanza aggravante del delitto di cui al comma 163, ulteriormente “preferisce64 considerarla come autonoma figura di reato” con conseguente contestabilità per colpa ai sensi dell’art. 449 e, come si anticipava, slittamento del termine prescrizionale che viene quindi fatta decorrere solo a partire dalla concreta realizzazione del disastro65. Ma su questo atteggiamento della recente giurisprudenza, si tornerà in conclusione. §7. Il c.d. “disastro ambientale” Vale adesso la pena di tornare all’accennata problematica riconducibilità del c.d. disastro ambientale nell’alveo del disastro innominato. Le ragioni per le quali non pochi studiosi del settore considerano il disastro ambientale non riconducibile alla fattispecie di disastro innominato sono molte. Andando per sintesi: l’evento sussunto sotto l’art. 434 deve presentare “i medesimi requisiti strutturali e morfologici sottesi alle figure nominate di disastro” senza che sia possibile trascurare “lo specifico profilo modale dell’offesa che distingue le fattispecie di disastro (nominato o meno) dai delitti contro la persona e contro il patrimonio” di guisa che non è consentita “l’applicabilità della norma a fatti non omogenei al pericolo comune mediante violenza 66[…] che agisce cioè con un’estrinsecazione di energia fisica in un processo concentrato nel tempo […]. L’accadimento dovrebbe, dunque, risultare puntualmente individuabile nel tempo e nello spazio, con caratteristiche di istantaneità, al fine di determinare lo specifico momento di innesco causale nel quale il delitto si perfeziona, non potendo quest’ultimo consistere in un processo di avvenuta trasformazione della materia accertato ex post, ma storicamente indeterminabile, secondo lo schema della consumazione frazionata di un unico evento (da non confondere con l’esecuzione frazionata di tale risultato)”67. E ancora: il bene tutelato dal delitto di disastro innominato non sarebbe riconducibile al bene ambiente: la previsione del disastro innominato “tutela il bene giuridico della pubblica incolumità, bene cioè collettivo (o sovraindividuale), ma comunque non indeterminato come il bene ambiente, provvisto di una consistenza immateriale e diffusa e forse anche istituzionale (sotto il profilo della gestione delle risorse ambientali)”68. Non per nulla, attenta dottrina ha al riguardo affermato che “la figura giurisprudenziale del disastro ambientale presuppo[ne] una sorta di torsione estensiva del bene giuridico tutelato dalla fattispecie di cui all’art. 434”69. sia l’elemento oggettivo del reato […’fatto diretto a’...], sia l’elemento psicologico del reato dappoichè il dolo delineato nella […] fattispecie criminosa all’esame comporta la volontà diretta a cagionare detto […] disastro” 63 Da ultimo ancora Cass. Sez.IV 11.10.2011, n. 36626, cit. 64 La sottolineatura anche in questo caso è di chi scrive 65 Per una conferma del fatto che spesso le interpretazioni “forzate” delle disposizioni penali siano finalizzate allo spostamento in avanti del termine a partire dal quale decorre la prescrizione, cfr. Cass.09.03.2011, n. 9343, cit. 66 Contra RUGA RIVA, Diritto penale dell’ambiente, Torino, 2011, 180 67 Così GARGANI, La protezione immediata, cit., 422-3 i corsivi sono dell’aut.. Convinto, al contrario, che “il requisito della violenza contenuto nella rubrica del capo I va[da] inteso semplicemente come condotta non fraudolenta caratterizzata dall’impiego di energia fisica” è RUGA RIVA, Op.loc.cit., ove anche confuta la tesi per la quale “il bene ambiente implicato nel c.d. disastro ecologico non sarebbe compatibile con il disastro innominato”, considerandola non persuasiva. 68 PIERGALLINI, Danno da prodotto, cit., 289, contra RUGA RIVA, op.cit. 181 69 Così MARTINI, Il disastro, cit. 353 12 Infine, caratteristica precipua del c.d. ‘reato ecologico’ è rappresentata dalla “offensività cumulativa seriale [ma questo] stratificarsi nel tempo di micro-eventi di danno è estraneo alla rapida e macroscopica modificazione di un contesto presupposta dalla nozione di disastro”70. Ancora, va evidenziato come in altre circostanze, si sia cercato di “aggirare l’ostacolo rappresentato dal necessario riscontro di tutti gli elementi costitutivi” del delitto in discorso, di guisa che “quando nessuno dei verificati eventi di danno assumeva la fisionomia del disastro così come elaborata dalla stessa giurisprudenza , l’organo giudicante [ ha analizzato] nel loro insieme i singoli esiti di danno come se rappresentassero, unitariamente, un unico fenomeno macro-lesivo e disastroso” dilatando la nozione di disastro sino a comprendere in essa “un insieme di ‘sotto-eventi’ avulsi da qualsiasi vincolo di interdipendenza”71. Questo significa che quel che oggi viene indicato come ‘disastro ambientale’ previsto e punito dall’art. 434 c.p., nella realtà dei fatti è solo una copia sbiadita ed imperfetta dell’ ‘altro disastro’ per come tratteggiato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento a situazioni non riconducibili ai c.d. reati ecologici e al quale la Corte Costituzionale ha riconosciuto un sufficiente tasso di determinatezza. Sfumati i connotati quantitativi e qualitativi che dovrebbero tipizzare l’evento; il pericolo concreto per l’incolumità pubblica è degradato a mero rischio72 per la salute e talvolta individuato nel semplice superamento degli ultracautelari73 limiti-soglia che tanto spesso caratterizzano i reati ambientali; del tutto trascurato il profilo teleologico della potenzialità offensiva dell’accadimento materiale nei confronti della pubblica incolumità; il modello della ‘causalità individuale’74 è completamente evaporato; il macro-evento di danneggiamento, tipico della figura codicistica, è disinvoltamente sostituito da una sommatoria di micro-eventi di danneggiamento di risorse ambientali; il “danno ambientale” di cui all’art. 300 del d.lgs.152/06 spesso confuso con il “disastro”75; la “istantaneità” dell’accadimento materiale è “spalmata” su un periodo di tempo 70 GARGANI, La protezione immediata, cit., 423, i corsivi sono dell’A.; nello stesso senso già prima MARTINI, Il disastro, cit., 353 71 Così MARTINI, , Il disastro, cit., 350 che ricorda come emblematica di questo atteggiamento Cass.20.02.2007, in F.I. 2008, II, 358 e, al contrario, come positivo esempio di esclusione della contestazione del delitto de quo pur in presenza di una “stratificazione nell’arco di anni di una miriade di microeventi inquinanti, per quanto essa alla fine si fosse trovata ad assumere delle dimensioni lesive estremamente accentuate”, in assenza della possibilità di individuare”lo specifico momento di ‘innesco’ nel quale il delitto si perfeziona, dal momento che i micro eventi si sono succeduti senza soluzione di continuità” la decisone sul Petrolchimico di Porto Marghera. 72 Con buona pace della rilevante differenza tra l’uno e l’altro, per tutti l’ancor attuale contributo di cfr. STORTONI, Angoscia tecnologica e esorcismo penale, in R.I.D.P.P. 2004, 71 ss.; PERINI, Rischio tecnologico e responsabilità penale. Una lettura criminologica del caso Seveso e del caso Marghera, in Rass.it.crim. 2002, 404 ss. 73 In questi precisi termini (“il limite soglia costituisce una indicazione sempre e comunque ultra-prudenziale…..il limite non indica la misura del pericolo reale” Tribunale di Venezia 2.11.2001, n.137, p. 799, in www.petrolchimico.it. Sul principio di precauzione cfr. anche GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, in Criminalia, 2006, 246 ss.; MASSARO, Funzioni e limiti del principio di precauzione de iure condito e condendo, in www.dirittopenaleconmtemporaneo ; CASTRONUOVO, Principio di precauzione e diritto penale. Paradigmi dell'incertezza nella struttura del reato, I “libri” di Archivio Penale, Ibs.it, 2012; CASTRONUOVO, Principio di precauzione e beni legati alla sicurezza, in www.dirittopenalecontemporaneo.it 74 Vedi per tutti, STELLA, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, Milano 3 ed. , Milano, 2003, passim e in specie 221ss. 75 Cfr. Cass. sez. V 7.12.2006 ove si precisa come “si profili in linea astratta esigua la linea di demarcazione tra disastro e il danno ambientale allorchè questo sia costituito da una importante contaminazione di siti destinati ad insediamenti abitativi o agricoli con sostanze pericolose per la salute umana, e come siffatta demarcazione si riveli inesistente allorchè l’attività di contaminazione diretta e indiretta […] assuma connotazioni di durata, ampiezza e intensità tali da risultare in concreto straordinariamente grave e complessa”.Cfr. anche Cass. 16.1.2008, n.9418, in R.G.A, 2008 con nota di CASTOLDI, laddove si prospetta riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 434 “una inedita ‘progressione offensiva’ che dall’inquinamento pericoloso passa attraverso il danno ambientale, per poi raggiungere il massimo livello del disastro (pericolo per la salute collettiva cagionato mediante il danno all’ecosistema)” così GARGANI, La protezione immediata, cit. 421. 13 che talvolta sembra non finire mai76 e che induce a ritenere il delitto de quo un reato permanente o un reato a esecuzione o a consumazione frazionata77; l’elemento soggettivo è affievolito fino al rango di dolo generico; la prova della concreta realizzazione dell’evento disastro assunta a prova anche del pericolo per il bene tutelato78. In conclusione: il disastro ambientale, per come descritto da questa giurisprudenza, si appalesa come ‘altro’, non nel senso di cui al comma 1 dell’art. 434, ma nel senso di completamente diverso dalla nozione codicistica del Capo I, e anche da quella “giurisprudenziale” alla quale s’è riferita anche la Corte Costituzionale, il tutto “con la benevola approvazione [di parte79] della dottrina”80 che per nulla si preoccupa o meraviglia che si continui a contestarlo in supplenza o in concorso con norme ambientali specifiche. §8 Le ragioni dell’attuale (troppo81) frequente ricorso al delitto de quo E veniamo all’interrogativo che abbiamo proposto in esordio: se la norma è la stessa dal 1930, come mai solo da pochi anni la giurisprudenza lo utilizza con tanto ‘entusiasmo’ per reprimere condotte che pongono in pericolo o danneggiano risorse ambientali? Forse perché, per una molteplicità di ragioni che non possiamo certo esaminare in questa sede, il processo, in questi ultimi anni, è andato modificando la propria fisionomia fino a trasformarsi in “un centro di produzione di norme penali” nel quale si opera una “selezione occulta” sia dei fatti penalmente rilevanti, che dei loro autori82 . E ciò probabilmente anche in conseguenza di quella sorta di “mutazione genetica”83 che negli ultimi anni ha subito la c.d. interpretazione costituzionalmente orientata delle norme penali. “Il diritto penale ‘postmoderno’, chiamato a ‘governare’[…] la complessità della società del rischio e a ‘lottare’ contro la criminalità, si ispira più al criterio della tutela, anche ‘anticipatissima’ e ‘totalizzante’, del bene da proteggere, disdegnando il modello della ‘modalità di lesione’ a favore del modello della ‘completezza’ della tutela e quindi della lesione tout court del bene giuridico. Le garanzie del diritto penale liberal-democratico cedono il passo […] ai nuovi 76 Cfr. Tribunale di Torino 13.02.2012, cit. che alludendo alle conseguenze della condotta, a dire del tribunale riconducibile al delitto all’esame, si riferisce a qualcosa che “è accaduto e continua a accadere”. 77 GARGANI, La protezione immediata, cit., 423 sottolinea come sia errato confondere “lo schema della consumazione frazionata di un unico evento […] con l’esecuzione frazionata di tale risultato”. La giurisprudenza è tornata ancora di recente sulla questione dei reati caratterizzati dalla “consumazione prolungata” o dalla “condotta frazionata”, per annoverare tra essi il delitto di danneggiamento di acque pubbliche (art. 635 c.p.) nel quale, ad avviso della S.C., “le plurime immissioni di sostanze inquinanti nei corsi d’acqua successive alla prima non [rappresentano] un post factum penalmente irrilevante, né singole e autonome azioni costituenti altrettanti reati di danneggiamento , bensì singoli atti di un’unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione fino all’ultima immissione e […] l’inizio della decorrenza della prescrizione” così Cass.sez. IV, 9.3.2011, n.4393 cit. . Come si può notare il fine della proposta ricostruzione è quello di “spostare” in avanti il dies a quo per calcolare la prescrizione, stesso traguardo che si pone il Tribunale di Torino 78 Cfr. Cass. sez. III, 13.12.2011, n. 46189 ove si sostiene, in maniera non particolarmente limpida, che il reato di cui al comma 1 dell’art. 434 “si perfeziona con la condotta di immutatio loci, purchè questa si riveli idonea in concreto a mettere in pericolo l’ambiente; esso si realizza quando il pericolo concerne un danno ambientale di eccezionale gravità, seppure con effetti non necessariamente irreversibili qualora venga a verificarsi, in quanto il danno provocato potrebbe pur sempre essere riparabile con opere di bonifica”. 79 Ad es RUGA RIVA, op, loc.cit. è convinto della correttezza di questa opzione ermeneutica, op.cit. 80 Così GARGANI, La protezione immediata, cit., 420 81 Ci permettiamo di rinviare a VERGINE, nota a commento di Tribunale di Udine, ud. 13.12.2010, dep. 12.3.2011, in R.G.A., 2011, ??? 82 Così GARGANI, Dal concreto all’astratto: genesi della fattispecie incriminatrice, Relazione al Convegno dell’Associazione Franco Bricola “Diritto e processo penale fra separazione accademica e dialettica applicativa, Bologna 22.23 marzo 2013 83 Così FLORA, Vincoli costituzionali nella interpretazione delle norme penali, Relazione al Convegno “Il volto costituzionale del diritto e del processo penale”, Ferrara, 18-19 gennaio 2013, in www.dirittopenalecontemporaneo 14 idoli della efficacia e della efficienza. Scopo del processo non è più quello di accertare la responsabilità di singoli soggetti per un fatto materiale umano e antigiuridico commesso con colpevolezza, ma essenzialmente quello di contrastare ‘fenomeni’ criminali.[…]. Sia la legislazione, sia l’elaborazione teorica (che sembra quasi proporsi come una nuova dogmatica non più votata alla sistemazione di norme legislative, ma alla sistemazione di ‘arresti’ giurisprudenziali) e, soprattutto, la prassi applicativa sembrano ormai instradate verso questo modello di diritto e di processo penale […] che concepisce il diritto penale come sistema coercitivo di controllo sociale, dove primeggiano efficienza e effettività.[…]. Una volta prescelto come criterio caratterizzante l’attuale diritto penale quello della efficienza/effettività e della completezza della tutela del bene, diventa consequenziale la valorizzazione, anche in sede interpretativa, delle esigenze di tutela emergenti dalla Costituzione. Con il primo devastante risultato di dover ricorrere, a volte nemmeno tanto surrettiziamente, alla analogia in malam partem per colmare quelli che vengono assunti come irragionevoli vuoti di tutela”. E dietro alla recente “preferenza” per questa “singolare figura di creazione accusatoria”84 ci sono, ad avviso di chi scrive, sia la tendenza a utilizzare il processo penale come anomalo centro di produzione di norme penali, sia una ‘stravolta’ lettura costituzionalmente [dis]orientata delle norme penali da parte di una giurisprudenza sempre più insistente nell’attribuirsi un ruolo di supplenza dell’ignavo legislatore85. A fronte di una “sistema penale ambientale” indubbiamente inefficace e inefficiente, e quindi a un palese vuoto di tutela, e a fronte dell’innegabile “valore costituzionale” del bene ambiente, parte della giurisprudenza, insensibile all’incontestabile rilievo in base al quale “non si può valorizzare unicamente l’oggetto della tutela a scapito del modo di tutela che la Costituzione scolpisce nei principi di tassatività/determinatezza”86, e noi aggiungeremmo anche di legalità – che non possono e non debbono essere relegati al ruolo di “nostalgici rigurgiti di una asfittica metafisica delle garanzie di mero rilievo accademico”87 - privilegia una interpretazione volta alla tutela totalizzante dello stesso. Indifferente anche al fatto che ciò significa “sfigurare il volto costituzionale della tutela penale che è necessariamente ‘frammentaria’, per ‘tipi’ di condotte aggressive, dove le ‘lacune’ ne sono caratteristiche fondanti e ineliminabili”. Insistendo nel ritenere riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 434 (commi 1 e 2) condotte di sia pure grave contaminazione ambientale e di pericolo per la salute88 umana, ma prive di tutte le caratteristiche quantitative e qualitative che deve possedere l’evento-disastro per rilevare nell’ambito del delitto in esame, questa giurisprudenza non solo dimostra disinteresse per i principi costituzionali di tassatività e determinatezza (e anche di offensività)89 – al proposito si è parlato con estrema efficacia di “deriva dei principi”90 -- ma arriva anche di fatto a trasformare surrettiziamente un norma caratterizzata da una clausola di riserva come dovrebbe essere quella di cui all’art. 434 c. 1, in una previsione caratterizzata da 84 Così PIERGALLINI, Danno da prodotto, cit. i289 GARGANI, La protezione immediata, cit. 428, al proposito parla di “angustia e riduttività del diritto positivo” attuale. 86 Così FLORA, op.cit. 87 L’efficacissima immagine è di GARGANI, La protezione immediata, cit., 427 88 Recentissimamente è stato affermato con riferimento a bene “salute” che l’errore dei giudici spesso “sta nell’attribuire alla salute la qualità di far ottenere cose e non l’accesso a relazioni sociali e giuridiche che sono governate da leggi scientifiche” così SANTOSUOSSO, Giudici mattoidi quadrano cerchi, in Il sole24ore, Inserto della domenica, 14 aprile 2013. 89 Così CORBETTA, op.cit., 628 e prima 36 90 Così GARGANI, op.ult.loc.cit. 85 15 una clausola generale91 a valenza analogica, con tutti i gravissimi effetti che da ciò discendono non solo sul piano concreto92. 91 “Le clausole generali possono rappresentare una messa in discussione del vincolo del giudice alla legge, tutte le volte in cui mediante le stesse (in maniera “intenzionale” ovvero, laddove euristicamente necessitate per l’indisponibilità o inopportunità di una soluzione maggiormente tassativa, in maniera quantomeno “consapevole”) si aprano spazi per l’esercizio di un ruolo creativo da parte dell’interprete, chiamato a svolgere un’operazione, più o meno vasta e profonda, di adeguamento dinamico in funzione di concretizzazione” Cosi CASTRONUOVO, Clausole generali e diritto penale, in www.dirittopenalecontemporaneo 92 Una preoccupazione del genere, sia pure con toni più sfumati, era stata manifestata a suo tempo da GARGANI, Reati, cit., 454 e poi recentemente ribadita con maggior cattiveria. Cfr. GARGANI, La protezione immediata, cit. 420 laddove l’A. si riferisce tra l’altro all’art. 434 come a “un ‘relitto’ del diritto comune, un ectoplasma, su cui si è edificato ‘a buon mercato’ un delitto ambientale qualificato dalla messa in pericolo della collettività”. Messa in pericolo, tra l’altro, come si è visto in precedenza, spesso presunta e provata con la mera prova del realizzarsi dell’evento “disastroso”. 16