L`INCONTRO C`era una volta una ragazza che aveva una bellezza
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L`INCONTRO C`era una volta una ragazza che aveva una bellezza
L’INCONTRO C’era una volta una ragazza che aveva una bellezza straordinaria. Nessuna poteva guardarla perché non c’era nessun persona tranne lei, sua vecchia zia e il miope maggiordomo. Tutti e tre abitavano fuori città, in una fattoria enorme. La fattoria era come un paese deserto. Si vedeva apparentemente che c’era stata del bestiame. Le stalle dei cavalli erano vuote e oscure. Le mucche erano già state vendute. Non c’era neanche una pecora. Sembrava che tutti gli animali avessero abbandonato questa fattoria. I campi erano come capelli in disordine. Il grano erano fuori controllo. Che pazzia! Erano un esercito sconfitto, sembravano giù di morale. I girasoli avevano perso la speranza e non potevano guardare il sole. Gli alberi erano giganteschi, non si riusciva a vedere il cielo. I rami tremavano come dei vecchiotti. Volevano dire che non potevano sopportare di essere così alti. La bellissima ragazza faceva dei giri ogni giorno in questo ambiente disperato, ma per lei non esisteva un altro mondo. Era nata qui e abitava nella fattoria da 13 anni. Questi giri erano un nuovo viaggio nel suo mondo, perché non c’era niente da fare, ma veramente niente! La sua vecchia zia era rigida ma non le aveva mai proibito niente. La ragazza poteva giocare, cantare, gridare, poteva fare quello che lei voleva. C’era solo una regola che non poteva uscire fuori della fattoria. La ragazza aveva 13 anni e i giochi non bastavano. E lei passava il tempo con i vecchi libri. Ce n’erano tantissimi. A lei piaceva leggere i racconti, le fiabe. I romanzi le davano fastidio. Lunghissimi! Pesanti! Non capiva nulla! Diceva sempre “Che palle!” La sua immaginazione fece amicizia con le fiabe. A volte immaginava di essere una principessa che abita con una strega e un drago. A volte lei era la bella addormentata sotto gli alberi. Faceva finta di esser stata baciata da un principe. Non capiva ancora! Diceva di se stessa: “Come sarebbe il bacio del principe? Forte? Dovrebbe essere forte perché lei si è svegliata. Che scema sono,io!” Rideva ogni volta. Da sola. Ogni sera la pungente voce della zia terminava gli spettacoli della ragazza. Mentre correva a casa, lungo la via pensava di dovere tornare a casa prima di mezzanotte. Correva come se il diavolo la inseguisse. La zia aspettava alla porta di casa. La zia aveva un’abitudine. Lei gridava il nome della ragazza prima di entrare a casa. “Silvia! Torna a casa.” “Arrivo.” La porta si apriva con grandi cigoli. Ogni sera faceva rumori spaventosi. Silvia pensava che la porta avesse grandi dolori. Non voleva mai tornare a casa ma la zia le narrava una fiabe nuova prima di andare a letto. Ma la porta era insopportabile. Durante la cena Silvia e la zia si sedevano vicino l’una all’altra e non parlavano tanto. La zia diceva così. Era un’altra regola. Ma Silvia non si lamentava mai, perché c’era la nuova fiaba sicuramente. La tavola era lunga e stretta. Era una vecchia tavola dei tempi nobili e lussuosi. Ma i vecchi cucchiai e le forchette d’argento stavano provando a brillare. La zia metteva dei fiori sulla tavola ogni sera. I fiori erano tantissimi e stravaganti. Anche loro avevano un compito: dovevano nascondere la povertà della cena. Silvia si spaventava ogni sera, perché lei non conosceva un’altra tavola o un altro cibo. Vedeva i cibi modesti sulla tavola. C’erano due zuppiere nelle quali c’era la minestra che era quasi acqua. Si potevano vedere dei vermicelli nuotere. Silvia contò i vermicelli e ogni volta che metteva il suo cucchiaio, provava a prendere uno dei vermicelli come un pesce. Aveva già visto un disegno del pescolino nero nel suo libro. Conosceva bene la forma di un pesce. Si sentiva vigorosa guardando i vermicelli. Dopo la sua vittoria contro i pesci-vermicelli, il secondo e l’ultimo piatto stavano arrivando. Era un piatto inventato. Una grande mescolanza delle verdure che la zia coltivava nel suo piccolo giardino vicino al cancello della fattoria. Il cancello era dietro alla casa. Per Silvia era vietato giocare lì. A Silvia non piaceva per niente questo piatto e quindi non le interesseva mai di fare un giro vicino al giardino. La cena era passata senza dire una parola. L’ora della fiaba si era avvicinata. Silvia era impaziente. Ma sua zia non poteva cominciare. Lei sembrava un po’ strana. Voleva parlare ma non poteva. Voleva guardare negli occhi della ragazza ma non poteva. Finalmente: “Silvia? Sai che oggi è il tuo compleanno? Hai 13 anni. Sei una donnina d’ora in avanti. Vuoi ascoltare la tua nuova fiaba? Stasera sarà una fiaba diversa.” La zia provava a dire le cose semplicemente e chiaramente. Ma aveva grande difficoltà. Sua nipote era un’ adolescente. Stava cambiando, anche Silvia si sentiva qualcosa diversa ma non riusciva ad esprimersi per mezzo delle parole. La zia aveva un’idea. Pensava che potesse chiarire la sua situazione tramite le fiabe. La zia disse: “Silvia, sei pronta? Posso cominciare a raccontarla?” La zia sperava che tutto andasse bene quella sera. Silvia guardava con gli occhi scioccati e sembrava aver dimenticato di respirare. Silvia si era svegliata e disse: “Zia voglio ascoltarla. Cosa vuol dire ‘’donnina’’? Mi sembra come una specie d’insetto. Donnina. Donnina. Donnina. Don-ni-na. Non capisco.” Rise alla fine. La zia era annoiata però era nervosa. Perché era sicura che Silvia avrebbe voluto sapere le cose fuori della fattoria. Lei avrebbe trovato delle risposte per i suoi pensieri strani. La zia cominciò a raccontare: “Stasera la fiaba sarà un po’ diversa. Tanti anni fa c’era una ragazza che si chiamava Dafne. Lei era bellissima, aveva i capelli fragranti. A lei piaceva cacciare, fare i giri nei boschi da sola. Non voleva sposarsi mai. Per niente! Lei odiava gli uomini.-“ Silvia: “Zia? A che cosa serve sposarsi?” La zia disse: “Devi ascoltarmi. Una sera il dio Apollo l’aveva vista nel bosco. Dafne aveva cominciato a scappare da Apollo. Non poteva guardarlo. Correva e correva. Apollo la inseguiva dicendo che lui si era innamorato di lei. Faceva dei complimenti. Dafne preghiava alla madre terra di nasconderla, per aiutarla. Gaia le aveva risposto e l’aveva trasformata in un albero con le foglie profumate. Apollo l’aveva lasciata dicendo che lui avrebbe fatto una corona delle sue foglie. Apollo aveva abbracciato il tronco di Dafne e sentiva i battiti del suo cuore. Per ringraziarlo Dafne aveva accennato con la testa. Silvia? Che ne pensi?” Silvia disse: “Sono confusa. Non ho capito nulla. Perché lei correva? Perché lei voleva stare da sola?” La zia rispose: “Dafne aveva fatto una scelta. Buona o cattiva. Ma era la sua scelta.” Silvia: “Hai fatto una scelta, tu?” La zia era rimasta tranquilla. Stava pensando alle sue scelte. Anche lei aveva fatto le sue scelte tanti anni fa. La zia era tornata con la mente ai tempi giovani, adoloscenti e ai tempi quando lei era una nuova donnina. A lei sembravano lontani ma si ricordava ancora benissimo. La zia recuperò la sua coscienza. Silvia era curiosa. Aveva svegliato qualcosa dentro. Le domande volavano nella sua testa. Era confusa e sicuramente voleva sapere cosa era sucesso nel passato. La zia aveva capito che la fattoria non sarebbe rimasta di nuovo in pace. “Silvia, è tardi. Dobbiamo andare a letto. Buona notte, cara!” disse la zia. Silvia rispose inconsapevolmente: “Notte, zia!” Compleanno, il racconto, le scelte, avere 13 anni, sua zia… Silvia era veramente diversa quella sera. Non sarebbe più potuta ritornare ai tempi nei quali si sentiva più leggera. La notte non era passata facilmente. I pensieri non l’avevano lasciata in pace. Non poteva dormire. Questa era la prima volta nella sua vita di tredicenne. Quando lei ripetava 13 anni ad alta voce, le sembravano tantissimi anni. “13 anni, 13 anni” disse Silvia. Aveva capito che se 13 anni fosse stato un tempo lungo, lei sarebbe stata la vera bella addormentata. Perché era ovvio che c’erano tante cose che lei non aveva mai sentito. Sposarsi, Dafne, gli uomini, le scelte… Una notte da incubo. La mattina dopo si era svegliata un po’ tardi. Era strana. Si sentiva strana, come se non fosse attaccata alla fattoria, alla sua vita prima dell’ultima sera, prima di Dafne. Quando si alzò dal letto, il primo motivo era il silenzio di sua zia. Cosa era successo? “Perché mi è vietato andare nel suo giardino? Cosa c’è fuori dal cancello? Voglio sapere. Mi sento pesante. È vietato anche per lei? Cosa fa il maggiordomo? Potrei parlare con lui prima. Sì, sì… Sarebbe meglio.” disse Silvia se stessa. Silvia aveva fretta. Doveva trovare subito il maggiordomo. Lui abitava da tanti anni con la zia. Lui era vecchiotto ma si ricordava bene il passato. Quando lui stava per dire “Signora, si ricorda quando lei era una bambina…” la zia lo zittiva. Ma quando gli diceva di portare il caffé lui dimenticava. Silvia aveva pensato che lei era furbissima. Era corso verso nella cucina. Lui non c’era. L’aveva cercato nella cantina. Non c’era. Aveva deciso di cercarlo nella fattoria. Pensava che il vecchiotto non potesse allontanarsi dalla casa. Silvia aveva sceso le scale della cantina. Era corsa verso la porta. E la porta aveva fatto il suo rumore assordante. Silvia stava per buttare un calcio alla porta ma non voleva perdere neanche un secondo. Aveva girato intorno alla casa. Non aveva potuto trovarlo. Era rimasto soltanto il giardino della zia. Le sue gambe tremavano dalla paura perché era la prima volta che lei stava per andare contro l’ordine di sua zia. A lei sembrò che la via fosse più lunga da 13 anni che lei aveva passato nella fattoria. Ma lei non c’era mai stata, forse era veramente lontana dalla casa. Nascondendosi guardava il maggiordomo che non vedeva bene, e sua zia che parlava con lui seria. Sembrava molto nervosa. Non l’aveva mai vista così distratta. Perché lei non poteva decidere cosa fare sulla terra. E Gaia non la aiutava. Era rimasta, nel giardino, da sola. Il miope vecchiotto non diceva nulla, anche lui sembrava confusa. “Cosa succede?” disse Silvia. Aveva deciso di tornare a casa. Pensava di non venire a sapere nulla quel giorno. Doveva aspettare. Doveva essere paziente. Silvia si sentiva più grande dentro. Qualcosa non poteva stare nel suo corpo: la curiosità! Il desiderio di sapere! Il giardino! Al mattino non era potuta andare nel giardino. Ma tutte le notti erano libere. “Non dormirò presto stanotte.” Aveva passato il pomeriggio leggendo e giocando. Dopo cena non voleva ascoltare il racconto della zia. La sua curiosità stava crescendo ai limiti impossibili da tenere. Anche sua zia era distratta dal racconto. Si era scusata ed era andata dal letto. La fattoria non era ancora in pace. Silvia era andata nella sua stanza. Era buia, l’oscurità era peggiore degli occhi del maggiordomo. Aveva trovato una candela finita sopra il comodino. L’aveva presa e si era messa uno scialle che sua zia aveva lavorato a maglia. Era come un arcobaleno. Ma nell’oscurità a cosa servivano così tanti colori? Silvia scendeva giù delle scale in punto di piedi. Era arrivata davanti alla porta. La porta era la parte peggiore della casa. “Un altro cigolo!” disse a bassa voce. Aveva provato ad aprirla poco. Pregava Gaia. La porta aveva fatto un piccolo stridio. Silvia cercava di passare da una stretta apertura. I battiti del suo cuore era fortissimi e le avevano fatto perdere l’equilibrio. Ma la porta era pesante, era impossibile muoverla senza forza. Silvia era stata fortuna al primo colpo. Finalmente! Era fuori! L’altra parte della porta! L’oscurità aveva fatto la porta un gigante. Silvia aveva vinto il gigante. Aveva cominciato a camminare verso il giardino vietato. C’era un vento sottile. Si sentiva fresca e gli alberi facevano i rumori con i loro rami e le loro foglie. Silvia era arrivata all’ingresso del giardino. Era circondato con recinti. C’era una piccola porta. Silvia disse: “Che palle! Un’altra porta anche se è una piccola porta, mi fa schifio!” Aprì la porta, entrò, vide le verdure, i fiori sulla terra. Camminava prestando attenzione. Arrivò alla fine del giardino e arrivò al cancello della fattoria. La fine dei margini. Non poteva uscire dal cancello. C’ era un’altra porta. Era la porta più grande nella fattoria. Non aveva corraggio di toccarla. Si era avvicinata al cancello e aveva provato a guardare l’altra parte del cancello. C’erano i campi, le montagne, gli alberi, i cespugli. Dopo aver finito di guardare le cose lontane, aveva cercato di vedere le cose vicine a lei. Il cancello era lungo e pieno di ruggine. Accanto al cancello c’era un albero. Il vento portava un buon profumo. Lei conosceva questo profumo. Aveva cercato di trattenere la sua voce: “Dafne!” Allora era molto contenta di aver fatto una spedizione nel giardino vietato. Aveva visto il giardino, ma c’era la grande voglia di vedere l’albero di Dafne. “Voglio ascoltare i battiti del suo cuore.” disse a sé stessa. Il cancello sembrava chuiso a chiave. Si era avvicinata al cancello e lo guardava. Non aveva le chiave del cancello quindi si era ricordata dei rumori della porta di casa. Aveva pensato che un cancello così grande con ruggine facesse dei rumori come i tuoni. Aveva deciso di lasciarlo in pace. Era tornata nel giardino. Cercava una scala per salire sul muro. La candela lavorava per illuminare con molta forza. Trovò la scala e tornò al muro e salì sul muro. Vide l’albero. Aveva una grande voglia di saltare ma ora lei non era solo coraggiosa era anche attenta. C’era l’edera fuori del muro. Scesò giù. Era fuori della fattoria! Non aveva fatto nessun rumore. Guardò il cancello dicendo a bassa voce: “Sono Silvia, sono stata brava e tu grande cancello hai perso!” Aveva camminato verso l’albero. Guardava intorno all’albero nel buio. Non poteva vedere nulla. Ma si era avvicinata all’albero. L’aveva toccato. L’aveva abbracciato e disse: “Dafne? Ci sei?” Non c’era nessun risposta. Silvia mise il suo orecchio per sentire il cuore di Dafne. Non capì nulla perché il suo cuore batteva come il cuore dà un cavallo. Si sedette ed aspettò. Il giorno stava spuntando. Vide il sole sorgere per la prima volta. Da due giorni le erano succese tante cose nuove e strane. Ma non aveva nessuna paura sotto l’albero. Abbracciò l’albero un’altra volta e appoggiò il suo orecchio. Poteva vedere i fiori morti e freschi intorno dell’albero. L’alba le aveva fatta vedere chiaramente che qualcuno visitava l’albero lasciando dei fiori. Mise il suo orecchio sul tronco di nuovo e sperò di sentire il cuore di Dafne questa volta. Sentì una voce sottilissima. Pensò di sognare. Provò di nuovo e sentì la voce sottile che chiedeva chi era lei. Silvia era scioccata e rispose che lei si chiamava Silvia. Dafne fece uno sbadiglio e disse: “Ho capito. Sei la nipote. Piacere. Ti aspettavo più presto. Vabbè! Cosa vuoi da me?” Silvia: “Perché hai voluto essere un albero? Perché mia zia ha fatto delle scelte? Cos’è una donnina? Sono confusa.” Dafne: “Tua zia era un esempio straordinario come me. Aveva voluto che tutte le cose andassero come lei voleva. Quindi aveva scelto di abitare lontana dagli altri. Aveva abbandonato suo marito, la sua famiglia e una persona molto importante per lei.” Ma Silvia la guardava con gli occhi spalancati. Dafne capì la confusione negli occhi di Silvia. Comincò a parlare senza respiro. “Silvia, vorresti ascoltare la fiaba di tua zia?” Silvia le fece un cenno col capo. Dafne le disse: “Va bene. Tua zia era una ragazza bellissima come te. Tutti i ragazzi si erano innamorati di lei. Ma lei non voleva stare con nessun ragazzo. Perché aveva già incontrato un ragazzo straniero dagli Stati Uniti e nato in Libano. Questo ragazzo si chiamava Khalil. Khalil e tua zia parlavano sui temi diversi come la religione, l’arte, la spiritualità sotto la mia ombra. Anch’io li ascoltavo mentre discutevano. Avevano un’amicizia profonda, ma il tempo non accettava un’amicizia con uno straniero perché tua zia era già fidanzata con un altro. Khalil aveva una moglie in Libano. Se non avesse avuto una moglie, sarebbero stati insieme. Tua zia doveva sposarsi con quel nobile ragazzo. Non voleva stare con lui, ma non poteva negare suo padre. C’era stato un matrimonio incredile e Khalil lo guardava con me fuori dalla fattoria. E aveva lasciato dei fiori bianchi per lei con una lettera dicendo che la amava e che sarebbe tornato a rivederla fra due mesi. Tua zia l’aveva aspettato con grande gioia. Lei portava i fiori bianchi ogni giorno come faceva durante gli incontri con Khalil. Suo marito Giuseppe era arrogante e non la ascoltava, non le dava attenzione per niente. Lei si sentiva sola. Due mesi erano passati e Khalil era arrivato. La sua decisione era buffa. Lui disse che aveva pensato e aveva deciso che loro dovevano stare insieme. Anch’io avevo riso da morire. Lui disse che sarebbe tornato ogni anno per una settimana per rivederla. Tua zia era scioccata perché lei era convinta di avere grande voglia di lasciare suo marito anche se questa azione significava lasciare tutta la sua famiglia per sempre. Khalil era furbissimo, era vigliacco. Tua zia non poteva guardarlo. Tutte le sue pensieri strani erano soltanto parole. Non significavano nulla! Bugiardo! Ma tua zia non aveva smesso di vivere. Era stata una donna bravissima e coraggiosa .Abbondonò suo marito e scelse di abitare con le sue regole. E ogni giorno mi porta dei fiori bianchi e bellissimi per ricordarsi della sua giovinezza. Non è triste perché lei non è stata abbondonata ma ha scelto la sua vita.” Silvia aveva avuto un momento dell’illuminazione. Il sole stava brillando e Silvia riusciva a vedere tutti i campi, le altre fattorie, le nuovole di un altro cielo. Silvia ringraziò Dafne per aver raccontato una fiaba perché non ne aveva sentita una ieri sera. Dafne scosse le sue foglie. Silvia sentì il buon profumo e la salutò. Cominciò a camminare verso i campi.