Luca Ferrieri BOLLETTINI DEL TRAFFICO

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Luca Ferrieri BOLLETTINI DEL TRAFFICO
Luca Ferrieri
BOLLETTINI
DEL TRAFFICO
VOCI PER IL CATALOGO car storming
camionista casa-cabina tedeschi / turisti
lavoratori della strada lavori in corso
paracarri ruota di scorta termos baule
moglie persa all'autogrill polizia della
strada pulizia della strada carreggiata a
senso alterno doppio senso di marcia sesso
unico alternato cani al guinzaglio avantreno
e
servosterzo
pioggia
traversa
nel
tergicristallo notte nell'area di parcheggio
tubo di scappamento / mi scappa la pipì / è
scappata di casa sorpassi. sfide. roulette
russa. coltelli al semaforo. sorpassare il
tir mettere una mano nel radiatore alzo di
spuma detergente spray per fascicolare le
alette posteriori la mia vita in un tunnel
la mia vita per te avanti tutta a tutta
birra bevi che ti passa canta che ti passa
cantare in auto la chitarra nello zigomo
taci tu che sei stonato metti la freccia
corsia di emergenza sos carro attrezzi sassi
dai viadotti mira la mira cantieri lavori in
corso
rallentare
panne
triangolo
rosa
automorta
manomorta
cimitero
d'auto
muraglioni pendagli
forche caudine gru
paesaggi di lamiere insenature golfi di
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paraurti
favorisca
la
patente
bollo
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I
CODE AL CASELLO
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1
Di mattina mi accoglie la nebbia e alla sera
è più fitta. I bollettini diramano la norma,
la previsione programmata probabile.
Regolare è ciò che con regolarità ci attanaglia.
Scorrevole è il traffico che ci scorre addosso.
L’abitudine è il dio che ci salva e ci uccide.
Io nel mio tuorlo sento battere al guscio,
faccio finta di nulla. Anoressico ischemico
anemico ho sentimenti sdruciti, sogni inarrivabili.
Vecchie glorie come alibi ed abiti, e la pelle
che attende il tocco. Sento battere al guscio.
Se io uscirò, sarò solo, nell’affollato deserto
della norma. I bollettini diranno che l’esodo
ha avuto le sue vittime, ma tutto scorre.
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2
Nella toilette era iniziato quel vapore dolce
orina saponata al tumefatto occhio che bruca
il resto. Orina solida ben spalmata dentro il tost
che brucia mentre la coda cresce. E’ colonna,
laggiù, prenda la Tramontana. Colonna di fumo.
In cenere il pasto. Orina virata arancio nelle lattine,
paglierina frizzante. Strìzzami asciùgami spàzzolami.
Orina rappresa dall’auto cola ai fianchi. Strapàzzami.
Via, si riparte! Avanti, avanti. La tramontana
apre la sua ferita nella valle e spalanca il mare.
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3
L’uomo bruno alto con la sua diva sottochiave
lascia il motore acceso. Spire avvolgono
la cervice indifesa. Lì sotto lo stelo piega
la corolla, non saprà mai ch’è primavera.
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4
La sicurezza della calotta a prova d’urto
cranicamente vuota è la nuova frontiera
è ciò che divide le marche, le sarabande
nemiche. Si fanno concorrenza a palloni
gonfiati a barre intruse e contuse a pedaliere
mobili a poggiagomiti ad assetto variabile.
La grana dei finestrini più fine di sabbia
e ruote di luna. Se spegnessi il motore
fratello sentiresti il rombo del silenzio.
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Blocco mortale. Nemmeno un pedone passa
nel muro di lamiera. Agli incroci fanno guerra
le file, per un metro d’asfalto. Avanti, avanti!
Ma io ho secco in gola, manco d’aria. Esco, rientro,
stiro una gamba, mi concentro sul semaforo, spengo
la radio, chiudo gli occhi. Quando si ferma anche
la corsia opposta, so che ci hanno murato vivi
in questa trappola di piombo, e lascio il mio
testamento al motociclista che mi si è addormentato
sul cofano.
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6
Questa ragazza che io non conosco è morta
d’asfalto, qui a Sesto San Giovanni, addì
ventisette luglio novantasei. Lo scrivo
per te, passante: perché cento che partirono
dal capolinea erano giovani e forti,
e sono morti
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II
AUTO DI FAMIGLIA
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Piove, Mercedes, sulle tue ciglia
metallizzate, piove sui parafanghi
irti di scaglie fulgenti. Taci.
Ascolta. Odi. C’e solo uno spasmo
più fioco nel primo pistone sinistro
qualcosa che batte, trema, si spegne.
Ancora... Poi s’ode il croscio sul tetto,
gocciole e gocciole varie che danno
un suono di culla. Sentivo mia madre,
poi nulla...
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8
Dove terge la spazzola s’apre la radura dei fari
ma presto è acqueo puntiforme mistero. Fèrmati,
amore. Come batte l’addio sul dolore.
Rivoli sui cuscinetti, gli occhi gonfi, lunare
la bocca divisa dal neon. Gocciola la musica
che fece di due nella tenda una vita sola,
una chimera che ora mostra l’aguzza coda
di serpente. E dove il foglio, la promessa,
le mani e il lapislazzuli? Non è il tempo
che divide, non solo. Sui cristalli la nostra vita
dice che siamo noi ad aver tracciato la riga
del diamante.
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Giù nel fondo del bagagliaio la chiave inglese
che ho rubato da giovane, l’aureola a stella
croce e delizia il primo amore. Per finire
a ruggine viva, quest’ulcera che ai dadi
fa tanta paura. Poi te la prestai, per autodifenderti, quando avevi i capelli lunghi
e i pensieri spettinati.
Giù nel fondo del bagagliaio, alle curve
sobbalza e allegramente risuona.
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La chiamavamo Astronave panciuto motore
a strappo, a spinta dei nostri ventanni.
Avevamo mozzato i sedili, il tetto dipinto
con graffiti di insurrezioni anticelerine.
Metti le ali caro amico quelle che ci mancano
quelle che al troppo sole ci ha bruciato
questa giovane vecchiaia.
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Mia madre aveva l’auto bloccata nel traffico
e io l’attendevo al cancello col cuore in gola.
Per un ragazzo è semplice capire che la vita
cessa: è quando non ha più suono quel grembo.
Mi è capitato anche dopo, nelle corsie,
l’ho vista controluce sul mare che rovesciava
la notte. Appena il medico ha scosso la testa
ho riconosciuto la mano dal finestrino.
La mia infanzia al muro come un quadro
o un’esecuzione. Non ha avuto più asilo.
E la notte mi sveglio pensando: come potrò
portarla al pronto soccorso se è già morta.
Mia madre è stata l’infanzia, la sola vita
vera. Quando aprì il gas la salvarono
quelle due cucciole batuffole, noialtri
eravamo tutti via.
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Mio fratello in quel salotto buono settimanalmente
lucidato abita come un dispendioso maître
una stanza dei giochi tutta sua con gli attrezzi
i suoi corni da sciamano. Lui è l’auto:
l’abitacolo imbottito la pelle metallica
sinuosa organza la musica dell’accensione
il battito la presa l’aderenza la propulsione
a tavoletta. Poi decelera e fluisce dai pori
come una danza delle superficie lucenti
quel suo parlare accorto che batte in testa
che batte in ritirata che tradisce una fuga.
Là in fondo al corridoio è lui che ancora
mi chiama. Non posso giocare, ora, direi,
e scatta la serratura, sgomma la sua rabbia
di monello perbenista.
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Mia sorella eredita le auto le battezza
dà vita alle lamiere le guida con quel tanto
di sconcerto, incredula del meccanismo,
stupita della servile maestà e dell’imperfezione
finale. Strumenti così, a una sola corda,
uggiolanti fuori tempo, al suono curvo, rauco,
talvolta perfino ghermiscono la notte
lancinando quello stridulo aiuto, quel grido.
Di ciò di cui non si può parlare,
bisogna udire.
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Mio padre ha acquistato un’auto nuova:
dalla plancia straboccante di lumini
lui spunta ardito e mostra la ripresa.
Non si è mai interessato d’automobili,
mio padre. Ora dice che abbiamo ragione
noi comunisti, che i ricchi vivono meglio. Ora
parla tanto e ancora troppo poco. Si ferma
sulla soglia. Esita. Esiteremo fino all’ultimo
padre mio rimanderemo il gesto
che abbiamo disimparato da giovani
e non s’apprende da vecchi. Esiteremo
per pudore o per orgoglio ed è lo stesso.
Hai chiuso il cancelletto alle tue spalle
mi hai accompagnato alla macchina.
Mi deve dire qualcosa, pensavo. Ma era per
salutarmi.
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Sono un padre ingombrante come è stato
il mio, anche se per altre ragioni. Lo so
e mi dispiace. Quattro volte hai centrato
il marciapiede e accanto a te io scalpito
come un vero istruttore di guida. Ma dove
guidarti e come dirti che non ho la mappa
non ho la via. Che se questa è la tua poesia
è la mia. Nel retrovisore guardo i miei anni
e ammiro i tuoi. Non ero io così lancinante
negli aggettivi, farneticante nella dolcezza:
non io come te così simile a me. Che inutile
la mia parte. Che gioia essere inutile. Sei tu
alla guida, ora: nella ciambella del sedile
mi culla la tua allegria di chilometri.
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III
DELIZIE DELL’ABITACOLO
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Oh l’auto, l’auto, l’autoerotismo. Sinuose
curve, air-bag, air-conditioned, ariosi
luoghi comuni. Ti chiudi in bagno
la guardi patinata modellata scattante
di schiena al fiume come Lorca o la bagnante
d’Ingres, sinceramente ora non ne hai più
bisogno, basta sognarla, accompagnarla
nelle curve, sussurrarle sconcezze e fremere
quando taglia l’aria, quando sul marciapiede
la sua nuvola resta ancora un poco ma lei
è lontana.
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D’un tratto esisti, sguardo a filo d’orizzonte
lieve che si alza da una carta e ondeggia:
siamo vicini e parlano le nostre intenzioni
mute. Le tue gambe sui pedali hanno
l’irrequieta circonvallazione delle dita
e appena un gesto potrebbe ma non scocca.
Se tu sapessi che mi hai tolto al digiuno.
Se tu mi ascoltassi nel baleno di un’ora persa
raccontare la felicità. Se tu avessi per me
quel filo d’occhi che ti ho rapito sul portone.
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Allo specchietto la tua occhiata di sbieco
e per poco non facevo secco il pedone:
che vuoi, è stato l’attimo di una vita, dopo
era tutto finito, ma ormai sapevamo, ci aveva
tradito nel retrovisore la gibigianna dell’occhio
che trema nell’altro, quando come un budino
taglia l’anima in due, affila l’amore tacendolo.
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Nella trachea il gas di scarico insuffla
la gioia di esistere in terza fila, la disciplina
del codice, la civiltà di chi sgozza per un sorpasso.
Non ho mai capito perché inquina di più l’abitacolo
e non l’inferno fuori della portiera, la vaporiera
che sbanfa e sbafa e sbava: si sta bene, qui,
puoi anche mollare gli ormeggi, inclinare
l’assetto. Puoi molle la carne ravvizzita
spampanare, puoi sentirti a casa, rivoltare
l’orlo scamiciato e se ti vien da piangere,
fai pure, che nessuno se ne accorge.
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IV
SULLA STRADA
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Hai preso tutto? Sicuro? La xamamina
la farmacia portatile la pila lo spazzolino
l’indirizzo? Sua madre sulla porta
con il suo magone attorcigliato, appena
un broncio tenero: lui no, lui se ne va,
la prima auto, la prima fuga, e scrolla
le spalle, si strappa all’addio, respira
a pieni polmoni. Si è così impotenti
con la bontà. Lui sa che non potrebbe farle
peggio e, facendolo, risponderebbe
il suo cuore per le scale: ti sei fatto male
bambino mio?
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Arranca l’utilitaria stracarica di sacchi a pelo
di ragazzi felici. Uno intona l’altro stona
e la chitarra nello zigomo è perforante
come un diapason nel tornante. Raucedine
di fumo, di notti insonni: partire così, come
se fosse l’Everest, il Sahara, la luna, partire
per Rimini!, per la riviera, per le brume stirate
di sonno, strigliarsi con uno zufolo d’acqua,
disertare la città delle cravatte e manichini.
Per perdere la strada di casa hanno falsificato
le carte, han dato alla fuga quelle ali increspate
che bruceranno sul ciglio della strada tra i copertoni
delle puttane.
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Dormire in auto alla fine dell’autostrada
serrare le portiere abbattere i sedili aspettare
l’alba su questo mare d’asfalto aspettare
una giornata nuova per fare all’indietro
i chilometri per giungere a un passo
dall’arrivo.
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Riti di viaggio, scaramanzie che compi a valigie
chiuse; poi sgomitoli il mondo e voli via.
Nottetempo ti raggiungo sulle ramblas,
ti sorprendo a uno scalo secondario, e ti amo così.
Chi l’avrebbe mai detto, viaggiatrice. Io
ho controllato ben bene la manopola del gas,
ma non sono sicuro che sia chiusa. Chi l’avrebbe
mai detto, viaggiatrice. Che avessi tu la gioia
di un porto, di un ridotto; e io la curiosità
di chiudere casa. Di cambiar pelle. Laggiù,
sulle tue spiagge, si invecchia meno, si ride
di più.
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Nemici leggermente, ora, come capita a due
che si sono toccati sul vivo; la constatazione
amichevole potrei anche sottoscriverla
ma i danni li abbiamo avuti entrambi
e anche le colpe cosiddette sono equamente
divise.
Te ne andrai per la tua strada io anch’io
se ne avessi: del resto per un boccone
d’amore io baraccato di affetti indigesto
io credulone in cerca di sconfitti: io che
negli occhi ho dischiuso tremando
il tuo incerto bagliore.
Il niente dei corpi uno accanto all’altro
l’hai tumulato prima - prima che avvenisse.
Fin che vita non ci separi.
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Dall’isola dove arrivammo in tanti
ripartimmo uno a uno: e lei per il suo
autostop sbriciolata ragazza che nella tenda
aveva corso senza placarla la sua sete.
Fu violentata da un camionista. Non vorrei
essere mai negli occhi di quell’altro
che con lei legato subì senza subirla
la ferita.
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Non sapevo se prenderlo a bordo o carrellarlo
fuori del campo visivo. Che vuole a brancolare
pazzo sul ciglio senz’auto senz’emergenza
pericoloso forse assassino o assassinato
o alla deriva per altro, per suoi privati fatti.
Scendendo ho visto ch’ero io, reduce
da quello strano incidente. Tremavo a rivedermi
in quello stato, alla luce traversa, alla folata
dei fumiganti autostradali. Sali, sali, ho detto:
che t’han fatto, chi è stato, perché? Ed era
la commozione, come sempre, a farmi muto
d’aiuto.
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Il manubrio della moto decapitò la donna che sedeva al posto del passeggero.
Il motociclista fu catapultato sul tetto e poi finì venti metri più avanti.
Una gamba però rimase incastrata nel cruscotto.
Dell’incidente è stato redatto apposito verbale.
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Abbiamo
quei moncherini così buffi al posto delle mani,
abbiamo sul vestito della festa graziose
macchie di sangue che non verranno più via
che non si lavano nemmeno in lavanderia.
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Quando zampillerà sull’asfalto la chiazza
accanto a una valigia squarciata al pullulare
dei miei segreti, le lancette incastrate
diranno che ancora ti penso.
Grappoli d’appunti alla mia scrivania,
voci al telefono, lettere, ancora per poco.
Tutto ciò che è rimasto a metà si torce e poi
accetta di non avere più meta. Ma tu silenziosa
rassetta la mia vita e non avere né lacrime
né rabbia: parlami ancora.
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V
STIAMO LAVORANDO PER VOI
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Per le barricate si sceglievano auto di lusso,
stemmi multinazionali, frangiflutti ai candelotti.
Quando acre la gola annebbiava la vista, quando
il compagno che aveva bevuto quel gas era bianco
e ululava la sirena, come formiche impazzite
battevamo la ritirata assetati d’aria rigidi di paura
ghiacce le mani la fronte; e i gipponi
allora sbucavano maledetti quattro ruote quattro
elmetti puntavano davano di sbando e così
è morto zibecchi.
Sai, è passato tanto tempo, ma quel rivolo
ancora anela la foce.
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Dall’angolo cieco dove erano acquattati
subito dopo la curva sbucano come un grappolo
cileno elmetti fucili e lager di ordinanza.
E’ solo un normale controllo. Favorisca
la patente. Io penso a Victor Jara alla chitarra
mozzata. Non vedo il foglio complementare.
Alla Moneda Allende disse: andate voi, io resto.
E il bollo, il bollino blu, il triangolo rosa... E’ solo
una normale fucilazione. Ma prima avranno
cura di enucleare un occhio nel palmo della mano
di infilarti nel midollo un filo spinato di farti
ammirare il cervello del tuo amico lastricato
dal battistrada. La scadenza è scaduta.
Ho mirato al più alto, sembrava il capo.
E’ volato via l’elmetto, come un puntolino
all’orizzonte.
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All’incrocio il marocchino latino polacco
saluta sghembo. Io aspetto che alle mille lire
risponda la sua lama a doppio taglio.
Scenda, señor. Ora la strada è nostra
e anche l’auto e la vita, la sua è finita.
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non si ribelleranno mai i pedoni o i viottoli
calpestati o l’albero cui tendevi la sega elettrica
o i cani falciati in autostrada,
non si ribelleranno mai le montagne pazienti
o i mari zeppi di petrolio, catini sporchi
dei nostri panni: non si ribelleranno?
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34
Stiamo lavorando, chi può dire di no. Fervono
i preparativi, le grandi manovre del nulla.
I cantieri sono operosi. Nessuno sta fermo.
E quel che facciamo lo facciamo per voi
chiunque voi siate. Fiduciosi cordialmente
salutiamo.
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I - CODE AL CASELLO
II - AUTO DI FAMIGLIA
III - DELIZIE DELL’ABITACOLO
IV - SULLA STRADA
V - STIAMO LAVORANDO PER VOI
autoedizione per gli amici
ciclinproprio - 1996 -
46
pag. 3
pag. 13
pag. 23
pag. 31
pag. 43
tutto regolare tiri di elastici parenti in
tiro tiro al piccione tiramisu sanguisuga
sangue dal naso teste rotolanti "ti sei fatto
male
bambino
mio?"
specchi
specchietto
retrovisore controllare il ciuffo il nodo
della cravatta ravviarsi / riavviare l'auto
farsi la barba farla in barba specchietto di
cortesia
gibigianna
in
camporella
auto
infrattata fari spenti nella notte amore sul
cambio nuda dalla ventola guasto coitus
interruptus tracce seminali nella benzina
fermomacchina
sbiellata
/sbudellata
/sbidonata ingolfata vomitare mal d'auto, mal
di terra xamamina famacia portatile curve e
ricurve
e
tornanti
telefoni,
cabine,
telefonini fax in auto fascio di fogli
fascisti in auto di rango, d'alto bordo, auto
da crociera alitare sul fanale altare da
campo svenevole lampeggio oh l'auto, l'auto,
l'autoerotismo
fuochi
sul
ciglio
sali.
quanto. rimorchiare rimorchio di traverso bus
pullman
air
conditioned
vita
a
bordo
traversate autostradali attraversamenti di
animali
traversine
ferroviarie
traversie
trapassi e trattori tratto dissestato tratte
di pendolari tradotte traditi dalla fretta
travolti da un pirata di dosso in dosso senza
niente indosso nel fosso
o h a i u t o l'a u
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t o a u t o e
MATISSE, Coppia
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