Un viaggio come metafora

Transcript

Un viaggio come metafora
Un viaggio come metafora, in La responsabilità di essere liberi. La libertà di
essere responsabili, L’Era di Antigone, Quaderno n° 5 del Dipartimento di
Scienze giuridiche della Seconda Università degli Studi di Napoli, F. Angeli,
Milano 2012, ISBN 9788856846799, pp. 305-307.
1
Un viaggio come metafora
di Giuseppe Limone
Si è recentissimamente svolto – in gennaio – un viaggio degli studenti della
Seconda Università di Napoli presso le Istituzioni dell’Unione Europea. Cento persone
– fra studenti e docenti accompagnatori – hanno viaggiato insieme in aereo e in bus,
per paesi e climi diversi, percorrendo in quattro giorni migliaia di chilometri al giorno,
con scarsissime soste. Un’esperienza bella, ma dura. Le mete degli spostamenti erano
delle più ambite e prestigiose. Francoforte, sede della Banca centrale europea.
Lussemburgo, sede della Corte di Giustizia delle Comunità Europee e della Corte dei
Conti. Strasburgo, sede del Parlamento europeo e della Corte dei Diritti dell’uomo.
Bruxelles, sede del Consiglio dell’Unione Europea e della Commissione Europea. E, in
ogni tappa, la visita non ha riguardato solo i luoghi delle Istituzioni, ma momenti
cruciali della loro vita istituzionale. I ragazzi hanno potuto assistere a dibattiti e
processi di grande importanza; hanno potuto discutere con funzionari dell’Istituzione
visitata; hanno potuto preparare e continuare la discussione coi loro docenti.
I circa cento studenti – vincitori di un concorso svoltosi nell’ambito delle
manifestazioni dell’Euro-day tenutesi al Sito reale di San Leucio, sede della Scuola di
specializzazione Jean Monnet – questi cento studenti rappresentavano tutta la Seconda
2
Università di Napoli. Ne erano la voce, l’esperienza, la testimonianza, il desiderio forte
di esserci. Un pezzo vivo dell’Università si muoveva con le loro persone.
Ma le riflessioni su un tale viaggio vanno, ad avviso di chi qui scrive, ben oltre
il mero resoconto di una cronaca, pur cospicua, fatta di esperienze e conoscenze.
Si è trattato, infatti, di un viaggio che può rappresentare una precisa risposta a
un’interrogazione sull’Università – sul senso di ogni Università.
Questo viaggio è infatti una metafora. In più sensi. Vediamone alcuni.
1. Un’intera comunità di studenti che si sposta in Europa rappresenta un
illuminante modo di rappresentare quello che deve essere un’Università per gli
studenti. Una rottura del loro coquillage. Il coquillage – il ricovero da conchiglia – è il
luogo in cui ogni ragazzo può tendere, per pigrizia intellettuale o ambientale, a
rannicchiarsi, per mantenere il calore e la protezione di un circùito domestico che,
mentre lo protegge, lo chiude. Il coquillage è quel luogo di comodità vegetativa in cui ci
si recinge, e che paradossalmente prepara le massime scomodità dell’avvenire: una vita
provincio-centrica, incrostata di ruggine localistica, grezza, gretta, strozzata, senza
aperture mentali. Una comunità viaggiante è la rottura clamorosa di ciò. E’ la rottura
delle paratìe dolci e stringenti. E’ la rottura delle false sicurezze. La vera cultura critica
è sprovincializzazione.
2. Un’intera comunità di studenti che si sposta per l’Europa è un’interrogazione
alle istituzioni e sulle istituzioni, un’interrogazione che non si accontenta del libro
scritto, ma lo perfora. Per aver da fare con luoghi di carne e di sangue, dove la vita
pulsa con mille interrogativi e problemi. Dove la pagina scritta pur resta stringente e
preziosa, ma quando sa arrivare non solo prima ma dopo l’esperienza vissuta, per
esserne la radicale rilettura e rimessa in questione.
3
3. Un’intera comunità di studenti che si sposta in Europa è la sperimentazione
salutare dello choc che spaesa. E’ la scoperta di altre lingue, di altre esperienze, di altre
modi, di altre tradizioni. Per coglierne il bello e il diverso, il nuovo e il brutto,
l’inquietante e il meraviglioso. Per sapere che da altre tradizioni c’è da imparare e
capire. E che il mondo in cui viviamo non è l’unico che esiste.
4. Ma un’intera comunità che si sposta in Europa è, al tempo stesso, la
riscoperta delle proprie tradizioni confrontate con le altrui. E’ capirne aspetti che prima
non si erano capiti, e che l’abitudine impediva di capire. Perché l’abitudine troppo
presto trasmoda in pigrizia mentale, e la pigrizia mentale confisca l’intelligenza a chi
l’ha. Ma capire ciò è accorgersi a un tratto che la civiltà appartiene ai diversi. E che
l’unità si fa a partire dalla molteplicità, non dalla sua soppressione. Perché la vera
uguaglianza non è mai abrogazione della diversità: ne è il rispetto. E infatti, al di là
delle nuove certezze monetarie, – non sempre ciò appare – sta qui, forse, la più vera e
più grande scommessa di questa Europa da fare, pur fra i suoi evidentissimi limiti e
ritardi. Realizzare per la prima volta nella storia un’unità che non nasce da guerre né
da cessioni e conquiste, ma da riconoscimenti di antiche matrici comuni. Costruire
un’unità che non nasce indossando nuove bardature istituzionali, fossero anche a
suffragio elettorale, ma contribuendo a seminare e ad animare – anche con un semplice
viaggio – in tutte le sedi il senso dell’appartenenza vissuta, che è il primo vero modo
per essere un’istituzione. Appartenenza all’Europa. Madre unica e antica di popoli
diversi ed uguali.
Una comunità di persone viaggianti in Europa è una metafora viva. Del mondo
d’oggi. Delle sue sfide. Ma, soprattutto, una metafora della criticità. Che, se è vera, è
creativa. E mai si ferma alla superficie del convenzionale e dell’ovvio, perché sa andare
oltre i fatti per capirne i come e i perché.
4
E i ragazzi hanno dimostrato di aver capito tutto questo. Nel dibattito
organizzato per fare il punto sul viaggio, le riflessioni sono state appassionate e
penetranti. Se ne dovrà far circolare il senso. Lo si dovrà immettere in seminari e
incontri, disciplinari e interdisciplinari, che possano dare sedi di maturazione e percorsi
ai semi gettati.
Ed è stato forse questo l’ultimo, importantissimo traguardo. Aver potuto,
all’improvviso,
sentire
in
sé
stessi,
direttamente
sperimentata,
la
forza
dell’appartenenza. Sentirsi appartenenti a un’Università che tiene a un rapporto diretto
fra studenti e docenti. Sentirsi appartenenti a un modello didattico che tiene a un
rapporto dialogico fra studenti e docenti. Sentirsi appartenenti a un modello di
apprendimento che può essere anche esigente e severo, se è giusto. Sentirsi
appartenenti a una comunità di studi. Sentirsi appartenenti a un modo d’essere insieme
che piace.
5