L`AMBITO DI APPLICAZIONE: LA NOZIONE DI SERVIZIO

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L`AMBITO DI APPLICAZIONE: LA NOZIONE DI SERVIZIO
L’AMBITO DI APPLICAZIONE:
LA NOZIONE DI SERVIZIO PUBBLICO LOCALE
A RILEVANZA ECONOMICA
Monica Delsignore
1.
2.
3.
4.
5.
Il servizio pubblico locale come frutto della scelta politico amministrativa
dell’ente locale
La rilevanza economica
Considerazioni quanto alla falsa generalità dell’ambito di applicazione
Il controllo dell’ente locale, responsabile della scelta politico amministrativa, sulla organizzazione e gestione del pubblico servizio: il contratto di servizio
L’utente e la carta del servizio
1. IL SERVIZIO PUBBLICO LOCALE COME FRUTTO DELLA SCELTA POLITICO AMMINISTRATIVA DELL’ENTE LOCALE
Individuare l’ambito di applicazione dell’art. 23- bis significa cimentarsi con la nozione di servizio pubblico locale a rilevanza economica 1,
poiché alla stessa rimanda espressamente la disposizione.
Precisato che la locuzione scelta dal legislatore è stata da sempre tanto discussa, quanto, ancora oggi, in discussione, se ne tratteggiano le li nee essenziali, contestualizzandole nella disciplina in commento.
Come è stato puntualizzato 2, infatti, nell’ordinamento nazionale le
nozioni giuridicamente rilevanti di servizio pubblico sono molte e apparentemente contraddittorie, perché funzionali all’applicazione di disci pline diverse: la definizione di pubblico servizio che attinge al microsi stema normativo in questione diventa così necessariamente parziale, ma,
forse, è questo l’unico modo possibile per ponderare correttamente e tu-
1
Per un argomentato commento chiarificatore, cfr. G. C AIA, I servizi pubblici locali
di rilevanza economica.
2
Così G. NAPOLITANO, Servizi pubblici, 5517 e nello stesso senso, da ultimo, D. S ORACE, I servizi «pubblici» economici.
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telare gli interessi ritenuti meritevoli di protezione da parte dell’ordinamento giuridico.
Ciò vale ancor più per il servizio pubblico locale, che del servizio pubblico costituisce una ulteriore e peculiare declinazione.
Si ritiene, perciò, corretto procedere dapprima definendo il servizio
pubblico locale, per discernere, poi, quello a rilevanza economica da
quello cui – proprio in quanto privo di tale rilevanza – è estranea l’applicazione del regime di cui all’art. 23-bis.
Sulla nozione di servizio pubblico tanto si è scritto e detto, ma, ai fini
del presente lavoro, pare sufficiente rinviare all’autorevole e cospicua
dottrina che si è cimentata sul tema3. Entrambe le nozioni, soggettiva ed
oggettiva, di servizio pubblico contengono elementi utili a descrivere
l’attività svolta dall’Amministrazione in favore dei cittadini, sicché l’antitesi «si rileva falsa e fuorviante: perché l’uno implica l’altro» 4.
Nemmeno risolutivo è il riferimento al diritto comunitario, che, se
pure ha inciso fortemente nella disciplina dei servizi pubblici 5 – soprattutto quando si tratti di attività economica –, introduce una nozione diversa e distinta da quella nazionale, che muove e ruota intorno alla nozione comunitaria d’impresa 6. Il punto di vista del diritto comunitario è
diverso, poiché esso guarda al modo nel quale i servizi pubblici si inseriscono in un ambiente economico nel quale vigono il principio dell’aper-
Tra i tanti si ricordino, anche per i ricchi riferimenti ivi contenuti, A. DE VALLES, I
servizi pubblici ove tradizionalmente si ricostruisce la nozione soggettiva; U. POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, ove compare la teoria della natura oggettiva del pubblico servizio;
F. MERUSI, Servizio pubblico; N. RANGONE, I servizi pubblici; F. GIGLIONI, Osservazioni;
C. F RESA, Servizio pubblico; S. C ATTANEO, Servizi pubblici; L. P ERFETTI, Contributo ad
una teoria; E. SCOTTI, Il pubblico servizio; G. CAIA, La disciplina dei servizi pubblici.
4
Così A. POLICE, Sulla nozione di «servizio pubblico locale» e, similmente, Spigolature sulla nozione, che ricorda in proposito lo scritto di A. R OMANO, Profili della concessione. Ugualmente G. C AIA, Organizzazione dei servizi pubblici locali ritiene, a p. 3170,
afferma che «nel nostro ordinamento coesistano entrambe le nozioni , quella di servizio
pubblico in senso soggettivo e quella in senso oggettivo».
5
Si pensi, ad esempio, al servizio pubblico universale e agli obblighi di servizio de rivanti da tale nozione che sono bene evidenziati, tra gli altri, da M. C LARICH, Servizio
pubblico e servizio universale , N. R ANGONE, I servizi pubblici, p. 289 e R. C AVALLO PERIN, I principi, p. 42.
6
Da ultimo la Corte costituzionale nella sentenza 17 novembre 2010, n. 325 (per un
commento alla quale si rinvia a C. PETTINARI, Le questioni di legittimità costituzionali
pendenti sull’art. 23-bis del d.l. n. 112/2008 e successive modificazioni, in questo volume,
ritiene la nozione comunitaria di contenuto «omologo» a quella nazionale, ma di fatto
individua poi solo taluni profili di contatto assai generali.
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L’ambito di applicazione: la nozione di servizio pubblico locale a rilevanza economica
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tura dei mercati e quello della competizione tra le imprese non falsata
dagli interventi degli Stati 7.
Il comma 1 dell’art. 23- bis contiene un riferimento chiaro al diritto
comunitario, laddove ravvisa la finalità del nuovo regime nell’« applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorir e la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera pr estazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione
di servizi di interesse generale in ambito locale », ma, nel definire l’ambito
di applicazione, richiama, poi, i servizi pubblici locali – che risultano, pertanto, distinti e diversi dai servizi di interesse generale.
Se, infatti, i servizi di interesse generale, a dire di alcuni8, inducono alla ricostruzione soggettiva e, secondo altri 9, alla nozione oggettiva di servizio pubblico, in ogni caso essi certo non impongono una nozione, né si
riferiscono ad attività in grado di pienamente sovrapporsi a quelle consi derate di servizio pubblico nel nostro ordinamento 10.
I servizi di interesse generale restano, infatti, funzionali all’intento di
fornire una disciplina comune ad attività omogenee nei diversi Stati nazionali così da favorire la crescita e gli scambi in un mercato che sia, di regola, concorrenziale 11, poiché il modello comunitario è quello della concorrenza nel mercato, in cui vi è competizione tra più operatori nello svol
gimento dell’attività d’impresa.
Solo laddove il servizio di interesse economico generale non è in grado
di raggiungere la propria missione secondo le comuni regole di mercato,
ci si riavvicina alla concezione nazionale del servizio pubblico12. Nell’ipo-
Così F. TRIMARCHI BANFI, I servizi pubblici nel diritto comunitario, che precisa che
il diritto comunitario riconosce certo la funzione svolta dai servizi pubblici per l’attuazione dei valori comuni dell’Unione e ammette che essi siano perciò sottratti dall’osservanza delle disposizioni del Trattato, quando ciò sia richiesto per l’assolvimento dei
compiti loro assegnati dai poteri pubblici.
8
E. SCOTTI, Il pubblico servizio.
9
L. PERFETTI, Contributo.
10
F. G IGLIONI, L’accesso al mercato tenta di rielaborare la nozione interna alla luce
dell’intervento comunitario.
11
L. AMMANNATI, I servizi pubblici locali, afferma che i servizi di interesse economico generale, secondo la nozione usata nel Trattato CE, possono comprendere «una gamma di attività non definibile una volta per tutte alle quali si applicano i principi che rego lano il mercato interno tra cui quello della concorrenza».
12
D. SORACE, Servizi pubblici locali e iniziativa privata , Note sui «servizi pubblici locali» e Servizi pubblici e servizi economici ; F. TRIMARCHI BANFI, I servizi pubblici nel diritto comunitario; G. CORSO, La gestione dei servizi; L. AMMANNATI, Sulla inattualità.
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tesi derogatoria emerge, infatti, il ruolo dell’intervento pubblico che in terviene per mezzo di imprese che agiscono come strumenti dei pubblici
poteri, sicché è lì che la nozione comunitaria interseca quella interna.
Infatti, elemento peculiare del servizio pubblico è, quale che sia la nozione che si sceglie di sposare, la titolarità del pubblico servizio in capo
al soggetto pubblico. La scelta politica di intervenire per la fornitura ed
erogazione del servizio alla collettività è necessaria ed ineliminabile perché il servizio sia pubblico 13, finanche nella concezione oggettiva.
È l’ente territoriale che, nell’esercizio delle sue funzioni di indirizzo
politico-amministrativo, stabilisce che un certo servizio ha una rilevanza
pubblicistica e che per esso, in considerazione delle condizioni di «contesto», la gestione deve avvenire secondo determinati obblighi e requisiti14:
le motivazioni sociali impongono l’esclusività della gestione sicché la
competizione e la libertà di iniziativa privata arretrano. La formula orga nizzativa diventa necessaria, in quanto legislativamente obbligata, una
volta deciso di assumere l’attività come servizio pubblico.
Il servizio pubblico locale, in particolare, evoca, ancor più del servizio
pubblico tout court, il ruolo dell’Amministrazione, locale appunto, nel
mettere a disposizione del cittadino utente quell’attività qualificata come
servizio pubblico. L’elemento della titolarità, intesa quale scelta in capo
all’ente locale di qualificare l’attività di pubblico servizio, è essenziale e
ineliminabile.
La centralità dell’ente locale si trova sottolineata anche nel parere del
Consiglio di Stato sul regolamento attuativo del nuovo art. 23- bis 15. Tale centralità promana dalla valorizzazione del principio di sussidiarietà
verticale, certamente operativo anche per i servizi pubblici, sia secondo
l’interpretazione estensiva dell’art. 118 Cost. sia in base alle fonti ordi narie, in cui il principio di sussidiarietà è invocato come criterio generale di allocazione dell’azione degli enti territoriali, anche con specifico riferimento ai servizi. La sussidiarietà è richiamata – facendo in parte proIl valore che assume l’atto di assunzione si trova evidenziato e sottolineato, tra i
molti, in R. VILLATA, I pubblici servizi; E. SCOTTI, Il pubblico servizio; D. SORACE, da ultimo, I servizi «pubblici» economici; M. CAMMELLI-A. ZIROLDI, Le società.
14
Assunzione e modalità di gestione sono scelte politiche che comportano responsabilità nei confronti della collettività D. S ORACE, I servizi «pubblici», qui a p. 40, che
precisa come tale decisione sfugge, in realtà, anche alla minuziosa disciplina dell’art. 23bis, ma è nondimeno necessaria e comporta, una volta presa, una responsabilità sul piano dell’indirizzo politico-amministrativo. Se non altro per via del vincolo derivante dall’art. 86, comma 1, del Trattato.
15
Parere Cons. St., sez. Cons. per gli Atti Normativi, 24 maggio 2010, n. 2415/2010.
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L’ambito di applicazione: la nozione di servizio pubblico locale a rilevanza economica
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pri gli insegnamenti della dottrina maggioritaria 16 – anche nella dimensione orizzontale: nell’attuale momento storico si registra un indirizzo
volto a favorire in prima istanza l’iniziativa privata nell’erogazione dei
servizi pubblici e, solo in caso di inefficacia dell’iniziativa privata, ad
esaltare il ruolo delle istanze più vicine ai cittadini, cioè gli enti locali, che
peraltro procedono ordinariamente nello svolgimento dei servizi loro
spettanti tramite affidamento a terzi.
È bene, allora, chiarire se esistano limiti o vincoli nella scelta riservata all’Amministrazione quanto alla riconduzione di un’attività al servizio
pubblico. Non sempre, infatti, è corretto parlare di scelta dell’Amministrazione, poiché, talora, l’istituzione del servizio rappresenta la mera
esecuzione di previsioni di legge.
Si è osservato 17 che se la tipicità è stata nel tempo tassativamente applicata al momento organizzativo dei pubblici servizi, assai maggior li bertà si è da sempre riconosciuta all’ente locale nella determinazione di
quali attività debbano essere assoggettate a quel regime organizzatorio.
Storicamente, la l. 29 marzo 1903, n. 103 (c.d. legge Giolitti) 18 per
prima disciplina l’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni 19; con il successivo T.U. del 1925 20 si giunge ad un’elencazione di
tali servizi, sulla tassatività 21 e vigenza 22 della quale si è a lungo discus16
La dottrina assume due orientamenti diversi. Vi è chi ritiene che il servizio pub blico esista solo nei casi di fallimento di mercato o, diversamente, chi afferma che co munque l’incapacità del privato a fornire il servizio pubblico secondo determinate garanzie legittima l’intervento diretto di un soggetto pubblico nella produzione ed erogazione del servizio stesso. Essa si trova precisamente richiamata da G. PIPERATA, Tipicità
e autonomia, 216 ss., che – diversamente da chi scrive come meglio si darà conto nel proseguo – non condivide la prima impostazione, ritenendo il fallimento del mercato non
idoneo da solo a far acquisire ad una qualsiasi attività economica la natura del servizio
pubblico. L’Autore sostiene che il principio di sussidiarietà non possa essere visto come
un criterio utilizzabile per definire un servizio pubblico, ma semplicemente esso possa
essere utilizzato solo come un criterio organizzativo.
17
Nel volume di G. P IPERATA, Tipicità e autonomia, passim, ma soprattutto 74 ss.,
cui si rinvia per una trattazione più completa, nonché per la ricchezza dei riferimenti in
dottrina.
18
Sul valore politico del tentativo di «allargare la società» all’interno del nuovo stato unitario che si andava delineando si veda, pur per cenni, S. R OMANO, Storia d’Italia,
162 ss.
19
U. BORSI, Le funzioni del Comune, 279.
20
Di cui al r.d. 15 ottobre 1925, n. 2578.
21
M.S. GIANNINI, Profili giuridici delle municipalizzazioni, 539.
22
Riassume efficacemente il dibattito, G. PIPERATA, Tipicità e autonomia, 76.
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so. Già allora, sarebbe stata l’esigenza di contrastare una possibile rea zione degli operatori economici privati a determinare la necessità di una
copertura legislativa all’assunzione e organizzazione dei servizi pubblici
locali precisamente elencati 23.
Nella l. n. 142/1990 e poi anche con il TUEL la delimitazione della
nozione di servizio pubblico assume tratti assai meno precisi, riferendosi in genere alle attività «che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico
e civile delle comunità locali». La definizione, talmente ampia da abbracciare qualsiasi attività, finisce per riconoscere piena autonomia – e, quindi, anche piena responsabilità politica – in capo al comune e all’ente locale, salvo non esista l’indicazione del legislatore quanto all’obbligato rietà del servizio.
Esistono, perciò, attività che sono, senza alcuna scelta in capo all’Amministrazione locale, servizi pubblici perché così definiti dal legislatore
statale e regionale. Accanto ad esse gli enti locali sono, però, autorizzati
ad individuarne altre, nell’interesse dei loro cittadini, a cui appunto poi
si applicherà il regime organizzativo previsto per i pubblici servizi.
Se, per esempio, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani debbono essere predisposti necessariamente dall’ente locale in base all’art. 198
del Codice dell’ambiente, diversamente si deve ragionare in merito al l’organizzazione da parte del Comune del servizio di scuola-bus gratuito: essa attiene alla libera scelta di svolgere quell’attività in favore della
collettività.
La giurisprudenza 24 spiega la generalità della disposizione di cui al l’art. 112 TUEL quale conseguenza della genericità dei fini che fanno capo all’ente locale e da ciò ricava «precipuo rilievo» per la scelta politico23
In tal senso, G. P IPERATA, op. ult. cit., 144 che ritiene che da sempre l’intervento
tipizzante del legislatore svolge una funzione di garanzia di tutti quei privati la cui ca pacità di iniziativa economica è destinata in questo settore a cedere il passo all’azione
pubblica, per poi concludere (p.170), però, che non basta disciplinare con legge i casi
dei modelli tipici per convincere l’operatore economico della ragionevolezza della scelta politica di escluderlo da un mercato ormai divenuto appetibile.
24
Cons. St., sez. V, 13 dicembre 2006, n. 7369 «... gli enti locali, ed il comune in particolare, sono enti a fini generali dotati di autonomia organizzativa, amministrativa e fi nanziaria (art. 3 TUEL), nel senso che essi hanno la facoltà di determinare da sé i propri
scopi e, in particolare, di decidere quali attività di produzione di beni ed attività, purché ge
nericamente rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile
della comunità locale di riferimento (art. 112 TUEL), assumere come doverose. Quel che
rileva è perciò la scelta politico-aministrativa dell’ente locale di assumere il servizio, al fine di soddisfare in modo continuativo obiettive esigenze della collettività».
L’ambito di applicazione: la nozione di servizio pubblico locale a rilevanza economica
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amministrativa del Comune di assumere il servizio, al fine di soddisfare
in modo continuativo obiettive esigenze della collettività.
Si è così considerato servizio pubblico locale il trasporto scolastico, il
parcheggio, l’ormeggio e l’attracco di imbarcazioni da diporto, non in vece il riscaldamento di edifici comunali, la polizia locale e il servizio di
tesoreria 25.
Anche l’analisi della discussa, e per certi versi ancora incerta26, distinzione tra concessione ed appalti di pubblici servizi 27 permette di escludere dai servizi pubblici locali tutte quelle attività che non mirano a rea lizzare un fine sociale o a soddisfare un bisogno della collettività, ma, invece, rispondono a necessità dell’ente locale. È lo scarto causale che di stingue la concessione dall’appalto di pubblici servizi. T utte le attività
strumentali – in quanto prestazioni rese in favore dell’ente locale – non
hanno quale destinatario l’utente, che semmai ne beneficia solo indirettamente. Non rispondono, pertanto, a quella caratteristica di bene o utilità disponibile per la comunità in modo continuo, in situazioni di egua glianza e a condizioni economiche ragionevoli e predeterminate, secondo
l’art. 112 TUEL. In proposito, si discute, ad esempio, se correttamente la
giurisprudenza qualifichi servizio pubblico locale il servizio di tesore ria 28: certo il cittadino è indirettamente favorito dal pagamento anche
tramite bonifico e dalla diversificazione delle modalità di riscossione, ma
l’attività svolta dall’ente bancario è sicuramente a favore del solo ente locale.
L’art 23-bis nulla aggiunge al fine di definire l’ambito entro il quale individuare l’attività da assumere a pubblico servizio, richiamando semplicemente la nozione, sicché in proposito la scelta resta senza dubbio ri messa ad autonome valutazioni degli enti locali, in relazione ai differenti
contesti socio-economici e territoriali.
25
Per la citazione della giurisprudenza, nell’ambito di una più ampia ricostruzione
critica della nozione di servizio pubblico locale e di una riflessione quanto alla progressiva liberalizzazione, si rimanda a A. VIGNERI, La liberalizzazione.
26
In proposito, M. MARTINELLI-F. PACCIANI, Gestione calore.
27
Per un’ampia e attenta analisi del dibattito dottrinale e giurisprudenziale in merito, si rinvia R. VILLATA, Pubblici servizi, 99.
28
In proposito si rinvia ancora a R. VILLATA, Pubblici servizi, 139, che critica anche
la formulazione dell’art. 30 del Codice degli appalti in tema di concessione di servizi e
alcune decisioni che qualificano pubblico servizio il servizio di tesoreria degli enti pubblici o la gestione di una casa da gioco. In tali casi manca, infatti, una prestazione fornita agli utenti.
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L’unico limite attiene, allora, al contesto istituzionale nel quale si svolge l’azione dell’ente ed alla conseguente e necessaria motivazione quanto alle esigenze della collettività prese di mira.
In proposito la giurisprudenza ha messo in evidenza che occorre una
giustificazione oggettiva della pubblicità di quel servizio, nel senso di
una correlazione diretta e immediata alle esigenze della collettività 29. Il
sindacato del giudice amministrativo quanto alla validità della scelta non
si è, sino ad ora, mostrato particolarmente incisivo, limitandosi a verificare la possibilità di ricondurre in qualche modo l’attività alla collettività
di riferimento.
Similmente, nell’applicare l’art. 86, comma 2 del T rattato, il giudizio
sulla proporzionalità del mezzo (deroga alle regole del Trattato) rispetto
allo scopo (conseguimento dell’obiettivo di interesse generale) rientra
nello scrutinio cui sono sottoposte le misure statali, a condizione che i
fatti necessari all’accertamento della proporzionalità-necessità siano stati
introdotti in giudizio dalla parte che vi ha interesse 30. Provare che le misure statali eccedono quanto necessario allo scopo non è facile, così come
non è facile provare che i bisogni della collettività troverebbero eguale
garanzia e soddisfazione senza l’intervento del Comune.
Il giudizio circa l’esistenza di valide alternative implica l’apprezza mento di dati economici, finanziari e sociali, sicché di fatto la motivazione, dello Stato come dell’Ente locale, è esauriente e esaustiva anche se residuino dubbi reali circa la concreta capacità del mercato di soddisfare i
bisogni della collettività.
È chiaro che quanto più attento si farà il sindacato del giudice sulla
scelta dell’Ente locale, tanto più ne gioverà la gestione del servizio: nel
motivare, infatti, l’Amministrazione è costretta ad un’analisi economica
e finanziaria dell’attività che certo sarà utile alla decisione.
La necessità di una scelta motivata in capo all’Ente locale permette di
rilevare l’improprietà del richiamo del legislatore alla « più ampia diffusione dei principi di concorr enza» nei pubblici servizi quale finalità propria della disposizione.
Ciò è frutto dell’imprecisione – che si rinviene anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale 31 – con cui ci si riferisce, indistintamen-
Espressamente in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 14 dicembre 1988, n. 818, Cons.
St., sez. VI, 12 marzo 1990, n. 374, TAR Calabria, 24 ottobre 2007, n. 1076.
30
F. TRIMARCHI BANFI, I servizi pubblici nel diritto comunitario.
31
Si veda il contributo di C. PETTINARI, Le questioni di legittimità costituzionali pen29
L’ambito di applicazione: la nozione di servizio pubblico locale a rilevanza economica
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te, alla tutela e promozione della concorrenza, nonché alla loro indifferente coesistenza con il regime di esclusiva pubblico.
Nel definire la nozione di pubblico servizio emerge, infatti, che suo
connotato essenziale è che una certa attività in favore della collettività
debba essere sottoposta alla cura dell’Ente locale, che provvede alla gestione ed alla vigilanza nella corretta prestazione del servizio: in ciò con siste l’assunzione di un servizio quale pubblico servizio. È, cioè, necessa rio che in assenza di intervento dell’Ente locale il bisogno della collettività
resti insoddisfatto o non soddisfatto secondo condizioni e modalità ade guate 32 e tale profilo deve emergere nella motivazione dell’atto di assun zione da parte del Comune.
Il regime organizzativo ha da sempre fortemente sottolineato la va lenza sociale del servizio pubblico locale, sicché i modelli di gestione – in
economia, con azienda municipalizzata o in concessione a terzi – tutti
evidenziavano e riconoscevano il ruolo dell’intervento pubblico, nella
conformazione dell’erogazione dell’attività per mezzo di imprese che
agiscono come strumenti dei poteri pubblici.
Anche nella disciplina successiva, in cui si introduce il modello societario, il ruolo dell’intervento locale resta centrale, in quanto l’attività si
qualifica servizio pubblico perché è in tal senso la scelta politica del legislatore o dell’amministrazione medesima. L’attività non solo deve essere
considerata ragionevolmente rilevante per la comunità di riferimento e
quindi tale da dover essere resa disponibile, fornita a quella comunità,
ma deve realizzarsi un’altra condizione. Si è, infatti, precisato 33 che la
domanda dei servizi aventi tali caratteristiche non deve poter essere soddisfatta da imprese private, che operino nel pieno rispetto delle regole e
delle condizioni di mercato. La decisione dell’ente locale implica, cioè, il
giudizio che, lasciando al mercato la produzione dei servizi, la domanda
della comunità resterebbe insoddisfatta o comunque non pienamente
soddisfatta, malgrado l’azione politica dell’ente locale. Il ruolo dell’ente
locale ha senso, infatti, in quanto determini una alterazione dei risultati
del libero esplicarsi delle regole del mercato e, conseguentemente, si risolva in una compressione, più o meno rilevante, della libertà di iniziatidenti sull’art. 23-bis del d.l. n. 118/2008 e successive modificazioni, in questo volume, infra, 387.
32
F. T RIMARCHI BANFI, Lezioni; L. B ERTONAZZI-R. V ILLATA, I servizi di interesse generale; F. CINTIOLI, I servizi pubblici locali.
33
Così D. SORACE, Pubblico e privato, 57 e anche in Note sui «servizi pubblici locali»,
1145 ss.
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va privata. Diversamente, sarebbe sufficiente l’intervento del legislatore
atto a stabilire le regole comuni per l’esplicarsi di quell’attività.
Se, infatti, quei servizi fossero reperibili nel mercato, l’intervento dell’ente risulterebbe inutile in quanto non giustificato dall’interesse pub blico e pertanto illegittimo sotto il profilo del diritto amministrativo comune. Ma la sua illegittimità emergerebbe anche sotto il profilo del diritto comunitario poiché si otterrebbe il risultato di imporre in fatto un
monopolio, in tal modo violando il principio della libertà di iniziativa
economica privata e le regole della concorrenza, senza che ciò sia necessario per il raggiungimento di alcuna missione.
La scelta dell’ente locale richiede, pertanto, una motivazione rigorosa
in grado di giustificare la scelta di fornire il servizio pubblico in sostituzione del mercato.
Il richiamo alla diffusione dei principi della concorrenza nella disposizione in commento vale solo ove la si intenda come concorrenza per il
mercato e non come concorrenza nel mercato.
L’intervento del legislatore, che generalizza l’affidamento della gestione del servizio attraverso la gara, non è certo teso a creare un mercato tra
i privati.
La libertà privata è, infatti, ancora limitata, non tanto perché soggetta alle regole ed ai criteri definiti dall’ente locale, nonché al suo successivo controllo: ciò accade, infatti, anche quando l’attività privata sia sog getta ad autorizzazione per il suo svolgimento. Si pensi, ad esempio, allo
svolgimento della professione medica.
Il limite sta nella scelta di intervenire da parte dell’ente locale, che implica la valutazione circa l’effettiva incapacità della libera iniziativa privata di soddisfare adeguatamente le esigenze della collettività e, perciò,
esclude che quell’attività sia liberalizzata, riservandone lo svolgimento
ad un solo soggetto in esclusiva.
La riforma, piuttosto, individua nel soggetto privato, concessionario
o socio operativo, quello meglio in grado di occuparsi della fornitura del
servizio, così limitando la gestione in proprio degli enti locali. La libera
iniziativa privata è comunque limitata dalla scelta di intervenire dell’Amministrazione: la gara per la scelta del socio privato implica la previa valutazione che quell’attività, in quanto servizio pubblico, debba essere
svolta da un solo soggetto, appunto la società di gestione, di fatto in monopolio su quell’ambito territoriale.
Laddove, poi, sussistano i peculiari requisiti, di cui al comma 3, la libertà privata è affatto esclusa poiché l’amministrazione, con l’affidamento diretto, di fatto riserva a sé stessa o ai suoi controllati la gestione del
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servizio. Non sfugge, inoltre, l’indeterminatezza dei canoni alla stregua
dei quali può operare l’eccezione 34.
La concorrenza per il mercato rappresenta l’alternativa più lontana
dalla concorrenza nel mercato, posto che la gara implica necessariamente
una forte limitazione (un numero necessariamente predeterminato) di
imprese che possono avervi l’accesso 35. Lo svolgimento dell’attività di
servizio pubblico, secondo la valutazione dell’ente locale, è riservato ad
un solo gestore, realizzando una chiara ed inequivoca deroga al principio
della concorrenza.
Il richiamo continuo alla concorrenza pare, piuttosto, necessario a sostenere giuridicamente l’intervento del legislatore con la disciplina qui in
commento 36.
Se la disposizione in commento si mostra ancora incerta fra il mantenimento dei servizi pubblici nell’alveo degli enti locali e la definitiva dismissione del servizio a favore del mercato 37, essa si giustifica sul piano costi tuzionale solo alla luce dell’intervento a tutela o in favore della concorrenza 38 e forse ciò spiega l’insistente richiamo alla liberalizzazione nel settore.
Il comma 10, lett. g) della disposizione in commento affida ad un successivo regolamento governativo il compito di « limitare, secondo criteri
di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e razionalità economica, i casi
di gestione in regime d’esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le
altre attività economiche di prestazione di servizi di inter esse generale in
ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del
servizio pubblico locale».
Al momento attuale, pertanto, non è corretto ragionare di mercato e
concorrenza tra privati, semmai di concorrenza per il mercato. Quest’ultima, nell’intento del legislatore, dovrebbe preludere ad un successivo
intervento, ad opera, però, del Governo, al fine di concretamente libera-
Critiche analoghe muoveva già A. P ERICU, Fattispecie e regime dei servizi pubblici
locali, ragionando di servizi pubblici a rilevanza industriale e della nozione comunitaria
di servizi di interesse economico generale.
35
In proposito, A. PERICU, Servizi pubblici locali e diritto comunitario.
36
In tal senso ragiona, infatti, la Corte costituzionale nella recente sentenza 17 novembre 2010, n. 325, al punto 7 della parte in diritto.
37
Critico in tal senso, pur ragionando allora della disciplina contenuta nel TUEL, è
V. DOMENICHELLI, I servizi pubblici locali, 311.
38
Si rimanda in merito al contributo di C. P ETTINARI, Le questioni di legittimità costituzionali pendenti sull’art. 23- bis del d.l. n. 112/2008 e successive modificazioni , in
questo volume.
34
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lizzare il settore dei pubblici servizi locali 39, individuando attività erogabili in un mercato, che pure si ammette resti regolato in vista delle ga ranzia dell’universalità ed accessibilità del servizio.
2. LA RILEVANZA ECONOMICA
Si è detto, quindi, che è l’intervento dell’ente locale, Comune o Provincia, ad identificare i bisogni della collettività da soddisfare e l’attività
necessaria al soddisfacimento come servizio pubblico.
Molto più difficile è distinguere in concreto quali siano i servizi pubblici locali di rilevanza economica.
Eppure il riferimento alla rilevanza economica appare obbligato dopo la nota sentenza 40 in cui la Corte costituzionale afferma la legittimazione dell’intervento del legislatore statale solo laddove lo stesso sia ri conducibile alla tutela della concorrenza, intesa come materia trasversale; laddove manchi la rilevanza economica la disciplina statuale recede di
fronte ad una diversa disciplina regionale.
La distinzione è, chiaramente, mutuata dall’ordinamento comunitario, al comma 2 dell’art. 86 del Trattato, né è certo nuova al nostro ordinamento.
L’art. 35 della l. n. 448/2001, come noto, aveva introdotto la distin zione tra «servizi pubblici locali di rilevanza industriale» e «privi di rilevanza industriale», rinviando ad un regolamento l’elencazione esaustiva
in applicazione del criterio.
Con l’art. 14 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito in l. 24 novembre 2003, n. 326 il servizio di rilevanza industriale è sostituito dal
servizio di rilevanza economica, affidandosi all’interprete, e non più al
regolamento, il compito di interpretare il sintagma 41.
39
Già in dottrina si erano levate critiche nei confronti dell’incerta e insufficiente
riforma nel settore realizzata nel 2001 e alla debolezza della scelta di anteporre nella
riforma la privatizzazione dei soggetti che operano nel settore alla liberalizzazione dello
stesso. In tale senso L.R. PERFETTI, I servizi pubblici locali, 575 e G. PIPERATA, op. ult. cit.
La stessa dottrina (B. G ILIBERTI-L.R. P ERFETTI-I. R IZZO, La disciplina, 257) ha, da ultimo, riproposto la critica nei confronti del riformato art. 23-bis.
40
Corte cost. 27 luglio 2004, n. 272.
41
Per un commento sugli effetti del passaggio di servizi a rilevanza industriale ai servizi di rilevanza economica, G. CAIA, Autonomia territoriale.