Misura della velocita` della luce nell`aria

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Misura della velocita` della luce nell`aria
Università degli Studi di Firenze
Facoltà di Scienze Mat., Fis. e Nat.
Corso di Laurea in Fisica e Astrofisica
Anno Accademico 2008-2009
Corso di Esperimentazioni IB
Dr. Marco Romoli
Appunti su:
ESPERIENZA SULLA MISURA DELLA VELOCITÀ DELLA LUCE NELL’ARIA
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Introduzione
La velocità della luce in un mezzo omogeneo e isotropo è definita classicamente come il rapporto
tra lo spazio L percorso da un impulso di luce monocromatico e l’intervallo di tempo t impiegato
a percorrerlo.
L
(1)
t
La velocità della luce dipende dal mezzo nel quale la luce si propaga e dalla lunghezza
d’onda della radiazione.
L’esperienza consiste nella determinazione della velocità della luce attraverso la misura della
lunghezza del cammino e la misura del tempo di transito di un breve impulso di luce. Nel vuoto
la luce si propaga con velocità c = 299792458 m/s. In un mezzo trasparente la luce si propaga
sempre con velocità inferiore a quella del vuoto. Le caratteristiche del mezzo che determinano
la velocità della luce definiscono un parametro n detto indice di rifrazione. L’indice di rifrazione
di un mezzo trasparente è un numero reale maggiore di 1 e dipende dalla lunghezza d’onda λ
della radiazione. La velocità della luce in un mezzo caratterizzato dall’indice di rifrazione n è
data da:
v=
c
.
n
v=
(2)
Poiché n = n(λ) il mezzo si dice cromatico.
Volendo generalizzare l’Eq.1 al caso in cui il cammino di un raggio luminoso attraversi una
successione di m mezzi trasparenti, omogenei e isotropi con indice di rifrazione ni , si deve far
uso dell’Eq.2 e scrivere:
Pm
Li ni
i=1 ti
i=1
c= P
m
(3)
dove il numeratore rappresenta il cammino ottico della luce all’interno del mezzo i-esimo,
definito in un enunciato alternativo del principio di Fermat [EspIOttica].
2
Misura della velocità della luce
L’esperienza di laboratorio consiste nella misura indiretta della velocità della luce attraverso la
misura dello spazio percorso da un impulso di luce e dal tempo che questi impiega a percorrerlo.
La tecnica di misura è una versione moderna delle misure effettuate da Fizeau con il metodo
della ruota dentata e da Foucault e Michelson col metodo dello specchio rotante [EspIOttica].
In entrambi i casi, la misura consisteva nell’impulsare meccanicamente un fascio di luce, facendolo passare attraverso le cavità di una ruota dentata, oppure facendolo riflettere su uno
specchietto in rotazione, in modo da determinare indirettamente, con accorgimenti ottici, il
tempo impiegato dall’impulso a percorrere una distanza nota.
Adesso, con l’aiuto dell’elettronica, è possibile generare impulsi quasi monocromatici molto
brevi e misurare il tempo impiegato da questi impulsi a percorrere, in laboratorio, una distanza
misurabile.
1
Tabella 1: Indice di rifrazione dei più comuni materiali trasparenti
Materiale
n a λ=589.3 nm
elio
1.000036
◦
aria secca (p=1.013 hPa, T=0 C)
1.0003
anidride carbonica
1.00045
ghiaccio
1.31
◦
acqua (20 C)
1.333
etanolo
1.36
quarzo
1.458
olio d’oliva
1.467
glicerina
1.473
sale
1.516
vetro
1.5 - 1.9
diamante
2.419
Principio di misura: Una serie di impulsi luminosi molto brevi (20 ns) vengono emessi
da una sorgente a diodo laser e percorrono un cammino di lunghezza nota, dell’ordine di alcuni
metri, prima di venire rivelati da un fotodiodo che li trasforma in impulsi di tensione. Gli
impulsi vengono letti per mezzo di uno oscilloscopio. L’oscilloscopio, misurando anche l’impulso
di tensione del segnale in uscita dalla sorgente, fornisce la misura del tempo impiegato dalla
luce a percorrere il cammino ottico. L’oscilloscopio funziona quindi da cronometro.
La misura del cammino percorso dall’impulso si effettua utilizzando un metro a nastro.
Cammino della luce: La sorgente di luce, S, è un diodo laser rosso (λ = 650 nm) (vedi
Figura 1). Esso genera un pennello di luce con un angolo solido di propagazione di qualche
milliradiante, sufficiente per rimanere “compatto” (qualche centimetro), dopo aver percorso
distanze dell’ordine di un paio di decine di metri.
Il pennello di luce viene inizialmente suddiviso in due parti da un cubo “beam-splitter”, B,
il quale contiene una superficie di separazione tra due mezzi trasparenti diversi. Metà fascio
passa attraverso la superficie e l’altra metà viene riflessa a 90◦ . La prima metà del pennello di
luce viene intercettata all’uscita del “beam-splitter” dal fotodiodo D1 detto di “start”, avendo
percorso un tratto s di spazio corrispondente al lato del cubo. Uno dei canali dell’oscilloscopio
registra l’impulso del fotodiodo. L’altro fascio viene diretto attraverso il laboratorio, verso uno
specchietto di rinvio, M , posto a distanza d dal cubo, che, una volta allineato, lo riflette di
nuovo verso il cubo. Il fascio attraversa il cubo e viene rifocalizzato da una lente di camera,
C, sul secondo fotodiodo, D2 , detto di stop. La distanza che percorre l’impulso dall’uscita dal
cubo a D2 sia q. I cammini di start e di stop, x1 e x2 , hanno, rispettivamente, le seguenti
misure:
x1 = s
x2 = 2s + 2d + q
La differenza tra questi due cammini è la distanza, L, percorsa dalla luce tra l’impulso di
start e l’impulso di stop.
2
Figura 1: Cammino ottico del pennello di luce prodotto dal diodo laser per la misura della
velocità della luce.
L = x2 − x1 = 2d + s + q.
3
(4)
Messa in opera degli strumenti
Occorre innanzitutto collegare elettricamente i dispositivi per la misura secondo lo schema
mostrato in Fig.2. La scatola dell’elettronica contiene sia il circuito di generazione degli impulsi
elettrici di alimentazione del diodo laser sia i due circuiti di lettura dei fotodiodi di start e di
stop. Una volta acceso il circuito, il diodo laser è alimentato con un generatore di impulsi ad
alta frequenza (6.25 MHz), ciascuno dei quali ha una larghezza minore di 20 ns.
Prima di iniziare la misura occorre allineare i componenti ottici in modo da illuminare i
fotodiodi di start e di stop con il pennello di luce che percorre i due diversi cammini1 . Poiché il
1
L’occhio vede un fascio luminoso continuo, a causa del fenomeno di persistenza dell’immagine sulla retina.
L’occhio non è in grado di percepire variazioni periodiche di illuminazione se queste avvengono con frequenza
superiore ad una frequenza critica (mediamente di circa 30 Hz). L’occhio vede, quindi, un segnale continuo
attenuato di una quantità definita dalla frazione di tempo durante la quale l’impulso alimenta il diodo laser
divisa per il periodo della generazione di impulsi. Questa quantità prende il nome di duty cycle e nel caso
3
Figura 2: Collegamenti elettrici tra i dispositivi utilizzati per la misura della velocità della luce.
diodo laser, il cubo beamsplitter e il fotodiodo di start condividono lo stesso supporto meccanico, per il loro allineamento occorre verificare che il fascio del laser illumini l’area sensibile del
fotodiodo. Si può perfezionare l’allineamento aggiustando la posizione del diodo laser e quella
del fotodiodo massimizzando l’ampiezza dell’impulso elettrico emesso dal fotodiodo e visualizzato sull’oscilloscopio. Il cubo beamsplitter riflette metà del fascio laser nella direzione parallela
al binario ottico sul quale sono montati i componenti. Si deve regolare la piattaforma del cubo
con la vite micrometrica, in modo che il pennello di luce uscente sia orizzontale. Si dispone lo
specchio di rinvio in modo da intercettare il pennello di luce e lo si regola mediante le due viti
micrometriche in modo che la luce riflessa incida di nuovo sul cubo beamsplitter. Si posiziona
quindi la lente di camera dietro il beam splitter i modo che questa rifocalizzi il fascio laser. Sul
piano focale della lente si pone il fotodiodo di stop, e si completa l’allineamento aggiustando le
regolazioni del cavaliere su cui è montato il fotodiodo. Si verifica sull’oscilloscopio che si veda
il secondo impulso di luce.
descritto è pari a circa il 6%.
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4
Uso dell’oscilloscopio
Prima di illustrare come si predispone l’oscilloscopio per la misura dell’intervallo di tempo t,
si descrivono brevemente le caratteristiche e le funzioni principali di questo strumento. Quello
che segue non vuole essere un manuale d’uso dell’oscilloscopio, ma fornisce solamente alcune informazioni base sul funzionamento dello strumento, che permettono di eseguire semplici
operazioni.
L’oscilloscopio in uso presso il laboratorio è un oscilloscopio analogico a 2 canali Tektronix
mod. 2235 con frequenza 100MHz. La Figura 3 mostra un’immagine dello strumento.
Figura 3: Oscilloscopio analogico Tektronix mod.2235, 2 canali, 100MHz.
L’oscilloscopio è uno strumento di misura elettronico che consente di visualizzare, su un
grafico bidimensionale, l’andamento temporale di segnali elettrici. L’asse orizzontale del grafico
solitamente rappresenta il tempo, rendendo l’oscilloscopio adatto ad analizzare segnali variabili col tempo, dalle grandezze periodiche agli eventi casuali e non ripetitivi. L’asse verticale
rappresenta la tensione.
La banda passante dello strumento (100MHz nel mod. 2235) indica la frequenza massima
dei segnali visualizzabili, cosı̀ come la risoluzione temporale, ovvero la più rapida variazione
rilevabile. Sul pannello frontale si trovano sia lo schermo di visualizzazione dei segnali sia tutti
i pannelli di comandi. Allo schermo è sovrapposto un reticolo allo scopo di favorire la lettura
dei dati. Ogni intervallo del reticolo è chiamato divisione, sull’asse orizzontale le divisioni sono
solitamente 10, sull’asse verticale 8.Ciascuna divisione è ulteriormente divisa in 5 intervalli. A
destra dello schermo c’è il pannello della scala delle ampiezze, mostrato in Figura 4 che gestisce
due canali (CH1 e CH2). A fianco si trova il pannello base dei tempi che è comune a entrambi
i canali e a destra il pannello del trigger.
Il segnale da misurare viene introdotto attraverso un apposito connettore (tipo coassiale
BNC). In modalità semplice, un punto luminoso percorre lo schermo da sinistra a destra a
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Figura 4: Pannello con la scala verticale e i connettori di ingresso (CH1 e CH2) (blu); pannello
con la base dei tempi (rosso) e pannello del trigger (verde).
velocità costante, ridisegnando ripetutamente una linea orizzontale. La velocità di scansione
è selezionabile per mezzo di una manopola presente sul pannello, la quale comanda il circuito
base dei tempi. Questo circuito genera precisi intervalli di tempo, che possono variare da pochi
secondi a qualche nanosecondo, i valori, espressi in unità di tempo per divisione, sono riportati
sulla manopola e permettono di selezionare la portata temporale dello strumento.
In assenza di segnale, la traccia è solitamente al centro dello schermo, e l’applicazione di
un segnale all’ingresso, provoca la deflessione verso l’alto o verso il basso, in funzione dalla
polarità del segnale. La scala verticale è espressa in volt per divisione, e può essere regolata
da decine a millesimi di volt. L’altezza iniziale del grafico (offset) può comunque essere decisa
dall’utente, cosı̀ come è possibile escludere la componente in corrente continua presente nel
segnale in esame.
In questo modo si ottiene la visualizzazione di un grafico di tensione in funzione del tempo.
Se il segnale è periodico, è possibile ottenere una traccia stabile regolando la base dei tempi
in modo che la frequenza di scansione coincida con la frequenza del segnale o con un suo
sottomultiplo. L’oscillatore della base dei tempi, non essendo sincronizzato con il segnale in
analisi, impedisce di avere una traccia stabile e ferma, questa fluttuerà lentamente da destra a
sinistra o viceversa.
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Per ottenere una traccia stabile gli oscilloscopi dispongono di una funzione chiamata trigger
(innesco), questo circuito fa partire la scansione solo in corrispondenza del verificarsi di un
evento sul segnale in ingresso, per esempio il superamento di una soglia di tensione positiva
o negativa. Dopo avere completato la scansione da sinistra a destra, l’oscilloscopio rimane in
attesa di un nuovo evento. In questo modo la visualizzazione rimane sincronizzata al segnale e
la traccia è perfettamente stabile. La soglia di sensibilità del trigger, cosı̀ come altri parametri
è regolabile. Il circuito del trigger può essere configurato per mostrare una sola scansione di un
segnale non periodico, come un singolo impulso o sequenze di impulsi non ripetitivi.
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Messa in opera e taratura dell’oscilloscopio
L’oscilloscopio funziona da cronometro. Esso consente di visualizzare gli impulsi elettrici di start
e di stop. La misura dell’intervallo di tempo intercorso tra i due impulsi, effettuata direttamente
sullo schermo dell’oscilloscopio, fornisce il tempo impiegato dalla luce a percorrere il cammino
L.
Per ottenere la corretta visualizzazione dei due impulsi sull’oscilloscopio occorre effettuare
le seguenti impostazioni:
• Scala verticale
– vertical mode: selezionare both per visualizzare entrambi i canali;
– vertical mode: selezionare alt;
– vertical mode: selezionare come trigger source il canale corrispondente al
segnale di start;
– selezionare dc, tramite la leva posta sotto la manopola delle ampiezze;
– una volta visualizzati i segnali aggiustare la scala verticale volts/div per massimizzare l’ampiezza del segnale sullo schermo.
• Base dei tempi
– selezionare a su horizontal mode;
– scegliere la portata della base dei tempi (sec/div) in modo che l’intervallo di tempo
da misurare occupi la massima estensione orizzontale visualizzata sullo schermo, per
minimizzare l’errore relativo. In caso sia necessario tirando il bottone rosso (cal) si
ottiene un’amplificazione della base dei tempi x 10.
• Trigger (innesco)
– selezionare a source: int (interna);
– a trigger: auto oppure norm;
– aggiustare slope e la manopola level in modo da vedere il segnale di start in modo
completo, che includa cioè il suo picco.
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È necessario effettuare la taratura della base dei tempi per verificare che essa corrisponda
realmente al valore in secondi per divisione riportato sulla manopola corrispondente 2 . Poiché
ad ogni valore di portata della base dei tempi corrisponde un circuito elettrico leggermente
differente, la taratura corrispondente a ciascuna portata sarà in generale differente. Conviene
quindi effettuare le misure di taratura dopo aver terminato le misure di intervallo di tempo che
servono a determinare la velocità della luce, quando si conosce quante portate della base dei
tempi sono state utilizzate.
Per ogni portata, la taratura si effettua collegando a uno dei due canali dell’oscilloscopio,
con un BNC, l’uscita dell’oscillatore a quarzo della scatola elettronica dell’impulsatore del
laser, quella indicata con osc. L’oscillatore al quarzo incluso nel circuito genera un’onda di
frequenza di 100 MHz3 , ovvero di periodo di 10 ns, con una accuratezza di una parte per
10000 (0.01%), molto maggiore dell’accuratezza con cui si è in grado di misurare il periodo.
La taratura consiste nel confrontare il periodo dell’onda generata dall’oscillatore, T , fornito
dalle specifiche, con quello misurato con l’oscilloscopio. Per misurare il periodo si visualizza
l’onda con l’oscilloscopio e si misura l’intervallo di tempo, τ , compreso tra i due picchi estremi
visualizzati e si divide tale quantità per il numero di periodi compresi tra questi due picchi, N .
La costante di taratura k sarà:
k=
NT
τ
(5)
con errore relativo:
∆τ
∆k
=
k
τ
(6)
avendo trascurato l’errore su T .
Come già detto la costante di taratura è in generale differente per portate differenti.
6
Misura della distanza L percorsa dall’impulso di luce
La distanza L percorsa dall’impulso di luce è data dalla somma di tre distanze, 2d, s e m (vedi
eq.4).
La distanza s è quella percorsa dalla luce all’interno del cubo beam-splitter, ed è data dalla
lunghezza del lato del cubo. Si misura con il calibro.L’errore su questa misura è dato dall’errore
di sensibilità del calibro.
La distanza si misura con il metro a nastro dalla faccia del cubo allo specchio di rinvio M .
Per stimare l’errore su questa misura si ripete la misura di d in diversi punti del cubo. Si stima
il valore di d come la media delle misure e l’errore ∆d come lo scarto massimo tra queste misure.
Se si ottiene sempre lo stesso valore, l’errore sarà dato dall’errore di sensibilità del metro,
La distanza q é la distanza tra il cubo e il fotodiodo si misura con il calibro o con un righello
dalla faccia posteriore del cubo al fotodiodo D2 , con la stessa procedura descritta per d.
2
L’oscilloscopio fornisce la base dei tempi con un’accuratezza di qualche percento.
Il circuito dell’impulsatore del laser riduce la frequenza dell’oscillatore di un fattore 16 tramite un circuito
detto “divisore”
3
8
Come vedremo più avanti in un esempio, non serve un’elevata accuratezza nella misura di
L.
7
Misura del tempo impiegato dall’impulso luminoso a
percorrere la distanza L
L’oscilloscopio visualizza contemporaneamente gli impulsi elettrici di start e di stop generati
dai due fotodiodi D1 e D2 . La misura dell’intervallo di tempo t che intercorre tra i due picchi
degli impulsi fornisce il tempo impiegato dalla luce a percorrere il cammino L, a meno di una
costante di taratura k descritta nel paragrafo 5. L’errore sull’intervallo di tempo è il doppio
dell’errore di lettura nella posizione dei picchi di start e di stop.
8
Determinazione della velocità della luce
La misura di L e la misura di t si ripetono più volte, spostando lo specchio di rinvio M a
distanze diverse dalla sorgente impulsata, utilizzando come appoggio i banchi del laboratorio.
Una volta misurati L (d, s, q), t e k la velocità della luce in aria si ottiene facendo uso
dell’eq.1 e dell’eq.4 e ricordando l’eq.3:
snv 2d
q
c
=
+
+
(7)
n
ktn kt kt
dove n è l’indice di rifrazione dell’aria, e nv è l’indice di rifrazione del vetro di cui è costituito
il cubo beam-splitter.
Facciamo la seguente approssimazione, che giustificheremo in seguito:
v=
L
s + 2d + q
c
'
=
(8)
n
kt
t◦
dove t◦ = kt. Essa è equivalente a considerare che l’impulso di luce percorra tutto il suo
cammino in aria.
Con questa approssimazione si può fare a meno di conoscere l’indice di rifrazione nv .
L’errore relativo sulla misura della velocità si ricava utilizzando il metodo della derivata
logaritmica:
v=
∆v
∆L ∆k ∆t
=
+
+
v
L
k
t
(9)
dove ∆L = ∆s + 2∆d + ∆q.
Facciamo un esempio numerico per ottenere una stima a priori dell’incertezza con la quale
si misura la velocità della luce e per giustificare l’approssimazione appena fatta di considerare
il cammino dell’impulso di luce interamente in aria.
Consideriamo i seguenti valori per le grandezze misurate:
• d = (9.000 ± 0.001) m
9
• s = (0.02500 ± 0.00001) m
• v ' 3 · 108 m/s da cui t '= 60 ns
• ∆t = 1 ns
Con questi valori, e assumedo q = 0 e k = 1, si ottiene:
∆v
∆L ∆t
1
1
'
+
'
+
' 1.7%
(10)
v
L
t
9000 60
Da questa stima si vede subito che il principale contributo all’errore su v è dato dall’incertezza su t, per questo la lunghezza del cammino percorso dalla luce può essere misurata con
un’incertezza di qualche centimetro, senza che questa influenzi l’accuratezza della misura.
Se si calcola poi l’errore sistematico relativo δv/v che si commette trascurando che parte
del cammino della luce è nel vetro (nv ∼ 1.5), sottraendo l’eq.8 all’eq.7 si ottiene:
δv
s(nv − n)
=
' 0.06%
(11)
v
ktnv
Essa risulta, come atteso, di più di un ordine di grandezza inferiore all’errore che si compie
sulla misura della velocità della luce.
Si può anche mostrare che con il livello di precisione fornito da questa misura, non è possibile
discriminare tra la velocità della luce in aria (n = 1.0003) e quella in vuoto. Infatti per poter
distinguere le due velocità occorrerebbe un’accuratezza relativa nella misura:
c − c/n
1
1
δv
'
=1− '1−
' = 0.03%
v
c
n
1+
10
(12)