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AISRe
L’Associazione Italiana di Scienze Regionali (www.aisre.it) è membro della European Regional Science
Association (www.ersa.org) e della Regional Science Association International (www.regionalscience.org).
Per il triennio 2004-2007 il Consiglio Direttivo è composto come segue: Fabio Arcangeli, Dino Borri
(Presidente), Grazia Brunetta, Aurelio Bruzzo, Antonio Calafati (Segretario), Roberto Camagni, Roberta
Capello, Giuseppe Capuano, Lidia Diappi, Romano Fistola, Gioacchino Garofoli, Marco Percoco (Tesoriere),
Roberta Rabellotti, Giovanni Rabino, Carlo Tesauro.
I membri del Collegio dei revisori dei conti sono: Francesco Lapiana, Elena Maggi, Ilaria Mariotti.
Per ulteriori informazioni si veda il sito web dell’Associazione: www.aisre.it
XXVI Conferenza scientifica annuale
Napoli, 17-19 ottobre 2005
Comitato d’onore
Guido Trombetti, Rettore dell’Università “Federico II” di Napoli
Aniello Cimitile, Rettore dell’Università degli Studi del Sannio
Antonio Bassolino, Presidente della Regione Campania
Riccardo Di Palma, Presidente della Provincia di Napoli
Rosa Russo Jervolino, Sindaco del Comune di Napoli
Comitato organizzatore locale
Fabio Arcangeli (Università di Verona), Dino Borri (Politecnico di Bari, Presidente AISRe), Antonio Calafati
(Università Politecnica delle Marche, Segretario AISRe), Romano Fistola (Università degli Studi del Sannio),
Carlo Tesauro (CNR-IBAF-US, Napoli)
La Conferenza è stata realizzata grazie al contributo e alla collaborazione di:
Università “Federico II” di Napoli
Università degli Studi del Sannio
Comune di Napoli
Provincia di Napoli
Fondazione Banco di Napoli
Camera di Commercio di Napoli
Unione Industriali di Napoli
Azienda Napoletana di Mobilità
Metrocampania Nordest
Autorità Portuale di Napoli
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Logica
Consorzio T.R.E.
Con il patrocinio di:
Regione Campania
Provincia di Napoli
Comune di Napoli
Unione Industriali di Napoli
Camera di Commercio di Napoli
Ringraziamenti
L’Associazione Italiana di Scienze Regionali ringrazia Immacolata Caruso e Tiziana Vitolo dell’ISSM-CN di
Napoli e Rosa Anna La Rocca, Enrica Papa ed Emilia Trifiletti del Di.Pi.S.T. dell’Università “Federico II” di
Napoli per la preziosa collaborazione nell’organizzazione della Conferenza.
XXVI Conferenza scientifica annuale
Città e regioni del Sud Europa
Trasformazioni, coesioni, sviluppo
Napoli, 17-19 ottobre 2005
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Centro Congressi Partenope
L’arretratezza economica del Sud Europa - e il suo inserimento stabile nel sistema socio territoriale europeo - è diventata dagli anni Ottanta uno dei temi costitutivi del Progetto
Europeo. Da questioni nazionali quali erano state fino agli anni Settanta, i dis-equilibri
economici, sociali, spaziali del Sud Europa sono via via diventati un tema centrale delle
politiche pubbliche dell’Unione Europea. Dopo il Trattato di Maastricht, tuttavia, è iniziato un
lento cambiamento del Progetto Europeo che sta avendo profonde ripercussioni sulla
traiettoria di sviluppo economico e spaziale del Sud Europa.
Il processo di ampliamento dell’Unione Europea, l’unificazione monetaria e il processo di
internazionalizzazione dell’economia europea - i tre caratteri costitutivi del nuovo Progetto
Europeo - hanno determinato una tensione nella posizione del Sud Europa, oggi incerto tra
continentale e integrazione mediterranea. Da una parte, sullo sfondo dei processi di
ampliamento, all’interno del Progetto Europeo è profondamente cambiata la mappatura dei
dis-equilibri territoriali. Dall’altra, come conseguenza dei processi di internazionalizzazione
della società (e dell’economia) e della riconfigurazione dei prezzi relativi determinati
dall’introduzione della Moneta unica e dall’apertura del mercato europeo, i confini
dell’Unione Europea sono diventati, in misura ancora maggiore che in passato, dei luoghi nei
quali si manifestano intense dinamiche di integrazione economico-sociale. Il Sud Europa è
investito da questi cambiamenti in forme specifiche e con una intensità elevata.
Il Sud Europa confina - e di esso è parte integrante - con un sistema relazionale, il
Mediterraneo, che, oltre ad avere una straordinaria salienza storica e geografica, sta
attraversando una fase di profondi cambiamenti economici e di ri-orientamento delle relazioni
economiche e sociali. Per le città e le regioni del Sud Europa il Mediterraneo è tornato a
costituire un ambito relazionale naturale, sia per prossimità geografica che culturale. Allo
stesso tempo, il Sud Europa, con le sue città e le sue regioni, i suoi dis-equilibri e le sue
potenzialità, resta un tema fondamentale del Progetto Europeo. Sarajevo, Tirana, Bari, Napoli,
Reggio Calabria, Palermo, Catania, Barcellona e così via sono città europee sia per storia che
per progetto. Sono l’espressione di dinamiche regionali che concorrono a determinare la
traiettoria di sviluppo dell’Europa.
Questa tensione tra integrazione europea e mediterranea si esprime in forme complesse,
minaccia di generare rilevanti dis-equilibri, di nascondere opportunità, di rendere incoerente il
quadro delle politiche pubbliche. La sua analisi non è affatto facile, richiede una pluralità di
livelli di descrizione e l’uso di saperi disciplinari diversi e sarà certo uno dei grandi temi
scientifici dei prossimi anni.
Il tema centrale della conferenza verrà sviluppato attraverso due sessioni plenarie e alcune
sessioni parallele. La Conferenza scientifica, come è tradizione, dedicherà gran parte delle
sessioni parallele ai temi metodologici, teorici e applicati tipici delle scienze regionali.
La formazione del reddito disponibile delle famiglie nelle regioni italiane negli anni 19952003
Alessandra Agostinelli
Francesca Tartamella
Istat
Sommario I conti nazionali per settore istituzionale sono uno strumento essenziale per comprendere i flussi di formazione e
distribuzione dei redditi tra i settori di attività economica. Essi vengono elaborati a livello regionale solo per le famiglie. I conti delle
Famiglie permettono di evidenziare il contributo dei vari fattori di produzione alla formazione del reddito familiare disponibile per il
consumo ed il risparmio. Infatti l’articolazione regionale del reddito primario consente di valutare la capacità relativa degli operatori
economici della regione di produrre un reddito come imprenditori, lavoratori dipendenti o percettori di redditi da capitale, dentro o fuori
ai suoi confini. È possibile poi esaminare come il reddito prodotto venga ridistribuito all’interno del territorio nazionale essenzialmente
attraverso l’intervento delle Amministrazioni pubbliche. Il reddito disponibile delle famiglie che risulta alla fine del processo di
redistribuzione è un indicatore di benessere materiale non solo delle famiglie ma dell’intera regione, qualora si ritenga che il concetto di
benessere debba riguardare più l’individuo che non le unità produttive. L’articolazione di tali conti viene condotta separatamente per le
famiglie consumatrici e le famiglie produttrici Il primo gruppo comprende gli individui o i gruppi di individui nella loro funzione di
consumatori, il secondo le famiglie nella funzione di produttori, include l’attività produttiva di liberi professionisti, imprese individuali e
piccole società semplici e di fatto. Tale separazione permette di valutare separatamente il contributo di tali attività alla formazione del
reddito disponibile delle famiglie nel complesso del saldo del conto della generazione dei redditi primari. I criteri fondamentali che
hanno guidato l’impostazione della metodologia sono: - completa congruenza concettuale con le valutazioni a livello nazionale per
quanto riguarda sia il metodo di stima che le fonti utilizzate; - ricorso, ove possibile, a rilevazioni dirette sulle unità territoriali; - scelta di
indicatori con il maggior grado di correlazione col fenomeno da regionalizzare e il massimo livello di dettaglio, ove sia necessario
ricorrere a metodi di regionalizzazione di tipo discendente. Il centro di interesse economico delle famiglie coincide con la regione nella
quale esse risiedono (per le unità consumatrici) o nella quale è localizzata l’impresa che esse gestiscono (per le unità produttrici). La
logica sottostante la costruzione dei Conti Regionali per le famiglie è, dunque, quella di ricompattare nella regione di residenza gli effetti
economici di tutte le operazioni che le unità ivi residenti compiono anche al di fuori di tale territorio. A tale fine è, quindi, necessario far
emergere dei flussi economici tra le diverse aree territoriali, che saranno trattati come transazioni esterne, analoghe, cioè, a quelle di uno
Stato nazionale con il Resto del Mondo. L’analisi dei risultati per il periodo 1995-2003 mostra un complessivo miglioramento delle
regioni meridionali in cui il reddito disponibile è cresciuto più velocemente nel Mezzogiorno; la crescita più debole si riscontra invece
nelle regioni del Nord-Ovest. Il livello del reddito disponibile delle famiglie delle regioni meridionali resta, nonostante, ciò,
sostanzialmente inferiore nei livelli rispetto alle regioni del Nordovest. La migliore performance delle regioni meridionali è imputabile
essenzialmente all’andamento favorevole dei redditi primari: particolarmente vivace è stata la crescita dei redditi da capitale netti e,
soprattutto, del reddito misto, il cui peso sul complesso del reddito primario si è, tra l’altro, ampliato a scapito di tutte le altre
componenti. La spinta maggiore viene, però, dall’aumento dei redditi da lavoro dipendente che costituiscono la componente principale
del reddito primario. La redistribuzione del reddito operata dalle Amministrazioni Pubbliche attraverso il prelievo di imposte e contributi
ed il versamento di prestazioni sociali sembra, invece, aver svantaggiato il Sud sebbene in misura decrescente.
Parole Chiave Conti regionali famiglie, conti economici, contabilità nazionale, reddito disponibile.
Beyond hub-and-spoke and point-to-point configuration: some network measures
Marco Alderighi
Università della Valle d’Aosta
Alessandro Cento
KLM Royal Dutch Airlines
Peter Nijkamp
Free University of Amsterdam
Piet Rietveld
Free University of Amsterdam
Sommario This paper aims at providing new measures for airline network configuration which take into account the complexity of
current airline carriers. The main measures proposed in literature play a role in detecting hub-and-spoke vs point -to-point structures but
they produce poor results in more complex settings (f.e. multi-hub and multi-base configurations). Hence, we propose to use two
different indicators that capture the main characteristics of the network configuration: the spatial dimension and the temporal dimension.
The first dimension is measured by the Freeman index or the Bonacich centrality index coming from the social science literature. The
second dimension, which usually is not considered in transport literature, is measured by the share of indirect connections over the total
connections. Accordingly to these new indicators, we investigate the configuration of the largest full service carriers (FSCs) and low cost
carriers (LCCs) in Europe. Data show that the temporal dimension provides a clear cut between FSCs and LCCs whilst the spatial
dimension helps to identify the peculiarities within groups.
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A.I.S.Re
Il sistema di previsione della spesa degli interventi inclusi negli APQ
Carlo Amati
Francisco Barbaro
Fabio De Angelis
M. Alessandra Guerrizio
Francesca Spagnolo
Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione - Unità di verifica degli investimenti
pubblici
Sommario Il Dipartimento per le Politiche di Sviluppo (DPS) del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) promuove la
programmazione e l’attuazione degli investimenti pubblici nell’ambito delle Intese Istituzionali di Programma sottoscritte fra Stato
centrale e Regioni e articolate operativamente in Accordi di Programma Quadro (APQ).
Nel quadro generale degli investimenti pubblici, gli Accordi di Programma Quadro (APQ) rappresentano il principale strumento per la
politica regionale in Italia: essi coinvolgono tutte le Regioni e le Province autonome e comprendono oltre 10.000 interventi per un valore
complessivo che supera i 56.000 milioni di euro. Tali interventi sono oggetto di un monitoraggio semestrale, che ne descrive
l’avanzamento procedurale ed economico, sia con dati effettivi, riferiti all’andamento riscontrato, sia con dati di previsione
sull’andamento futuro. Da un monitoraggio all’altro, tuttavia, i dati di previsione non si trasformano sempre in dati effettivi ma possono
subire modifiche e la spesa viene riprogrammata su anni successivi rispetto alle previsioni iniziali.
Ai fini di un’efficace allocazione delle risorse pubbliche è emersa la necessità di uno strumento che consentisse di anticipare in modo
sistematico le previsioni annue di spesa rilevate con il monitoraggio. Per rispondere a tale esigenza, l’Unità di Verifica degli investimenti
pubblici del MEF ha sviluppato un apposito sistema di previsione della spesa per gli investimenti pubblici, applicato agli interventi
inclusi negli APQ.
L’impostazione del sistema di previsione parte dall’ipotesi fondamentale che ciascun intervento evolva lungo un percorso attuativo che
va dalla progettazione alla realizzazione e che può essere suddiviso in due fasi principali:
–
la prima va dalla progettazione alla consegna dei lavori. In questa fase la realizzazione di spesa è pressoché nulla, l’impatto sul
territorio è sostanzialmente “progettuale” (in senso tecnico, economico, sociale, ecc.) e l’avanzamento si realizza
prevalentemente su una dimensione temporale;
–
la seconda comprende l’esecuzione dei lavori, fino alla conclusione dell’intervento. In questa fase si produce la spesa vera e
propria, collegata all’intervento sulla realtà (materiale e immateriale) del territorio e al rapporto (spesso fortemente dialettico)
tra committenza, ditte, soggetti interessati.
Il sistema si compone dunque di tre modelli statistici, tra loro concatenati:
–
un modello di regressione logistica per la previsione del ritardo nell’avvio dei lavori;
–
un modello di durata per la previsione della durata del ritardo;
La combinazione di questi primi due modelli permette di stimare la data di avvio per gli interventi non ancora avviati.
–
un modello di regressione lineare per la previsione del profilo di spesa di tutti gli interventi a partire dalla data di avvio dei
lavori.
Dall’applicazione del sistema agli interventi APQ emerge che la previsione della spesa è slittata in avanti rispetto a quella dei piani di
spesa del monitoraggio e suggerisce che anche le previsioni delle amministrazioni dei monitoraggi più recenti continuano a essere
sovrastimate, rispetto a quanto emerge dai dati della spesa realizzata. Secondo le previsioni del modello infatti, la spesa degli interventi
APQ sarà distribuita su un arco di tempo più ampio rispetto a quanto indicato dalle amministrazioni, i volumi di spesa annuali saranno
decisamente più contenuti.
Parole Chiave Investimenti pubblici, accordi di programma quadro, dati longitudinali, previsioni di spesa..
Sistemi locali di offerta turistica e distretti turistici: linee strategiche di sviluppo
economico della Sicilia
Francesco Antonio Anselmi
Università degli Studi di Palermo - Dipartimento SEAF
Sommario Il turismo è diventato un fenomeno molto complesso. Le motivazioni e le esigenze del turista sono cambiate rispetto al
passato. L’approccio alla vacanza è cambiato: non è una semplice manifestazione di consumo saltuario ed occasionale, come un bene di
lusso, bensì momento sempre più frequente nella vita di ognuno, espressione di un bisogno sempre più sentito. Il modo di vivere la
vacanza è diventato molto più pretenzioso rispetto a qualche tempo fa. Nella sostanza, il prodotto turistico oggi tende a divenire un
prodotto sistemico, in quanto il turista cerca di avere di fronte a sé un territorio che è articolato in varie attrattive, ciascuna della quali
deve essere utilmente interconnessa con tutte le altre. Il prodotto turistico rileva il maggior grado di intersettorialità e pertanto è uno dei
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principali motori per lo sviluppo dell’economia di molte aree ed ha una forte valenza territoriale ed è intuitivo, ma questo non fa sistema.
Le caratteristiche di un sistema sono due: 1) la specializzazione funzionale delle parti che lo compongono; 2) i legami di
interconnessione che collegano le parti. Le analisi del turismo in Sicilia, dal lato dell’offerta, mostrano con chiarezza che il prodotto
turistico siciliano presenta un potenziale notevole, ma rileva un livello di sviluppo ancora limitato( è sfruttata solo parte della fascia
costiera, l’indice di densità turistica e l’indice di sfruttamento territoriale sono al di sotto della media nazionale ecc.), una serie di
strozzature impediscono uno sviluppo vero del settore (problema dei trasporti, situazione ambientale, intoppi burocratici) in termini di
creare un prodotto sistemico di qualità e successivamente indirizzare una adeguata attività di promozione e commercializzazione. In
questo contributo si vuole mostrare che la strategia vincente per lo sviluppo sistemico del turismo in Sicilia è, in prima istanza,
promuovere i sistemi locali di offerta turistica (SLOT), il cui obiettivo è altamente innovativo e consiste nel fare in modo che
amministratori locali, produttori, consumatori operino congiuntamente per dare una forte identità turistica ai loro territori (espressione di
qualità e marca), per creare una realtà di produzione nell’ottica della filiera, dei sistemi di rete e in seconda istanza di creare dei distretti
turistici (DT), che rappresenterebbero dei poli in grado di assumere una triplice valenza: 1)strumento per programmare lo sviluppo
sostenibile per le aree minori; 2)supporto operativo per riposizionare i territori del turismo maturo; 3)elemento trainante per le aree ad
alta potenzialità turistica ma a mancato decollo. Nei distretti turistici è l’aggregazione intersettoriale sul piano economico e sociale che fa
emergere quel vantaggio competitivo che distingue le località. Ovviamente il presupposto fondamentale del successo di una politica
turistica trasversale è il coordinamento tra enti pubblici, preposti alla programmazione e l’instaurarsi di rapporti cooperativi pubblici e
privati. Il sistema dei distretti, come è noto, con le sue caratteristiche peculiari: 1) elevata capacità di scambio di esperienza; 2) velocità
di rinnovare i sistemi organizzativi, è secondo gli esperti il modello economico ideale da coniugare ad una nuova offerta di servizi e di
sviluppo del sistema turistico in particolare siciliano. In conclusione, per realizzare una offerta turistica articolata di questo genere,
occorre realizzare un adeguato sviluppo turistico in Sicilia, che offrirebbe opportunità occupazionali a tanti giovani desiderosi di attivarsi
nel mondo del lavoro, sciogliendo il nodo della disoccupazione e dello sviluppo economico territoriale.
Parole Chiave Slot, distretti turistici, sviluppo turistico regionale.
Determinanti della cresci ta della domanda turistica in Sicilia
Francesco Antonio Anselmi
Andrea Cira
Università degli Studi di Palermo - Dipartimento SEAF
Sommario Nell’ultimo decennio si è assistito ad una consistente crescita del settore turistico che, da settore residuale, com’era
considerato fino a qualche tempo fa, è divenuto oggi oggetto di costante attenzione da parte dei policy maker, i quali hanno preso
coscienza dell’enorme potenzialità di tale settore di influenzare positivamente l’economia di una regione. Il turismo oggi è l’attività con
maggior grado di intersettorialità e rappresenta perciò uno dei principali motori per lo sviluppo dell’intera economia di molte aree.
Regioni, come la Sicilia, con un’economia poco sviluppata ma con un alto potenziale turistico inespresso, rappresentato da risorse
naturali e culturali che costituiscono un vantaggio competitivo per tutto il territorio regionale, non possono prescindere dal ruolo
determinante del turismo, considerato il carattere di trasversalità di tale comparto e la sua capacità di attivazione di altre economie. Oggi
la disponibilità pura e semplice di beni naturali e culturali non costituisce un prodotto turistico che dà un valore economico. L’interesse
di questo contributo è in primo luogo analizzare la situazione turistica della rispetto alle altre regioni dell’Italia attraverso l’uso di indici
in grado di evidenziare i punti di forza e di debolezza della regione e in seconda istanza di analizzare i fattori che influenzano la domanda
turistica al fine di costruire un modello teorico che possa servire ad analizzare le componenti turistiche e ad dirizzare le scelte dei policy
maker, in considerazione del fatto che la connessione tra risorse turistiche e redditività deriva fondamentalmente dalle modalità di
trasformazione delle risorse disponibili. A tal fine si cercherà di costruire un modello capace di stimare il peso di alcune variabili
economiche sullo sviluppo turistico dell’Isola. Partendo da modelli teorici di stima della domanda si cercherà di esaminare un set di
variabili che, da un punto di vista teorico, dovrebbero spiegare i motivi della crescita dei flussi turistici in Sicilia. Il modello matematico
che permetterà di definire le relazioni fra la domanda turistica in Sicilia e le variabili da cui essa dipende, sarà un modello di tipo lineare
ed i parametri delle variabili saranno stimate sulla base di un campione panel riferito all’Italia. In questa maniera si cercherà di stabilire
se la Sicilia rispetto, alle altre regioni del panel data, ha specifiche caratteristiche che rendono l’Isola più appetibile come meta turistica
per via delle sue caratteristiche generali ed irriproducibili. L’obiettivo finale sarà quello di formulare una serie di considerazioni che
possano servire come base per formulare proposte di politica economica regionale a sostegno dello sviluppo turistico.
Parole Chiave Domanda turistica, Sicilia.
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A.I.S.Re
Il ruolo dell’ingegneria dei sistemi di trasporto nella governance del trasporto merci: il
caso di logica (agenzia campana di promozione della logistica e del trasporto merci)
Dario Aponte
Logica
Ennio Cascetta
Università degli Studi di Napoli “Federico II” - Dipartimento di Ingegneria dei Trasporti
Zeno D’Agostino
Logica
Vittorio Marzano
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Andrea Papola
Università degli Studi di Napoli “Federico II” - Dipartimento di Ingegneria dei Trasporti
Sommario L’Agenzia Campana di Promozione della Logistica e del Trasporto Merci (LOGICA) è una società mista pubblico/privata,
creata nel 2003 al fine di supportare in Campania il processo di pianificazione nel settore delle merci e della logistica, di monitorare tutti
gli aspetti della sua implementazione e di offrire al tempo stesso funzioni di consulenza e di promozione attraverso marketing territoriale;
essa rappresenta, quindi, un osservatorio ed un punto di riferimento per tutti gli attori operant i e potenzialmente attratti nel settore delle
merci e della logistica. In particolare, la sua divisione di ricerca è coinvolta in numerosi progetti INTERREG, nel corso dei quali si è
instaurata una collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria dei Trasporti dell’Università di Napoli, chiamato a prestare un supporto
teorico e metodologico: tale esperienza costituisce un’ampia ed intensiva applicazione, di diversi ed avanzati modelli e metodi di
simulazione del trasporto merci a scala regionale, a problemi di governance. Il presente contributo propone pertanto una sintesi delle
azioni condotte nel corso di questa esperienza. Il primo obiettivo di LOGICA è stato la creazione di un sistema informativo di tipo GIS
per la rappresentazione, da un lato, di dati di accessibilità attiva e passiva rispetto a tutti i poli produttivi ed ai nodi logistici regionali
(porti, interporti, piattaforme logistiche e così via), e dall’altro di indicatori di tipo territoriale (densità di aziende e di imprese per ciascun
settore ATECO, parametri di intensità d’uso e così via). Per questo motivo, uno stato dell’arte delle misure di accessibilità è stato
condotto e, coerentemente, è stato definito un insieme di indicatori con differenti pesi e livelli di aggregazione spaziale. Lo strumento è
stato intensivamente applicato per supportare l’attività di marketing territoriale: ad esempio, ha consentito di definire le localizzazioni più
adatte per nuovi nodi logistici e piattaforme di distribuzione a livello regionale. In qualità di consulente, LOGICA ha inoltre realizzato
uno studio di fattibilità per l’istituzione di un servizio Ro-Ro tra Campania e Francia/Spagna, progettato sulla base di un’indagine Stated
Preferences ad un campione di spedizionieri e trasportatori nel Sud Italia, basata su un confronto di tempi e costi tra modalità di trasporto
alternative. LOGICA ha inoltre analizzato, attraverso l’utilizzo di un sistema di modelli merci di tipo MRIO (Multi-regional inputoutput), gli effetti dei cambiamenti sulla struttura del tessuto produttivo conseguenti ad interventi normativi nel settore dei trasporti
(introduzione della patente a punti e così via). Un altro progetto che ha previsto l’utilizzo di strumenti di simulazione quantitativi, ha
riguardato la distribuzione urbana delle merci in Costiera Sorrentina; in particolare, per superare le difficoltà strutturali conseguenti
all’orografia accidentata del territorio ed all’assenza di adeguata capacità infrastrutturale, sono stati testati schemi di distribuzione
alternativi attraverso l’utilizzo del metrò del mare e di ferrovie di tipo metropolitano.
Parole Chiave Logistica, merci, governance, modelli di simulazione.
Innovazione tecnologica e processi urbani
Stefano Aragona
Università Mediterranea Reggio Calabria - DSAT
Sommario Trasformazione, recupero e/o riqualificazione di spazi e servizi urbani e territoriali hanno nell’innovazione tecnologica un
motore, sempre più potente, e la causa del loro essere. Processi antropici che sono riflesso anche dell’attenzione particolare posta verso i
centri urbani maggiori, spesso esito di scelte politiche nazionali e/o comunitarie,in molti casi anche contraddittorie. Considerando il fatto
che sarebbero invece auspicabili più equilibrati processi di antropizzazione, vari attori istituzionali e non, per motivi sia di tipo
ecoambientale che sociale, hanno recentemente elaborato progetti per evidenziare il ruolo strategico delle piccole realtà (APAT, 2004).
Sono poco più di una decina i Comuni calabresi sopra i 15.000 abitanti. Spesso isolati ed interni. Occorre mettere in rete queste realtà
sparse. Sostenere la diffusione dell’informazione e della tecnologica, costruire la “tecnologia colta” di cui parla Del Nord (1991). In tal
senso, come illustrato precedentemente (Aragona, 2003) la regione inizia ad appartenere al villaggio globale e le indicazioni comunitarie
(Ue, 1994; 1995; 1996) trovano politiche e spazi di attuazione (Società dell’Informazione, POR Calabria 2000-2006; RIS+ 2001-2002).
Il paper quindi si pone un serie di quesiti che continuano tale discorso. Come stanno attuando e si stanno trasformando, fisicamente e
culturalmente, alcune tra queste realtà territoriali che hanno implementato, a più livelli, l’innovazione tecnologica? Quale impatto stanno
avendo le strategie e le scelte sugli assetti spaziali, funzionali e sociali? La efficacia sociale, la qualità della vita di cui parla Gasparini
(1990) migliora? Potrebbe essere invece il risultato dell’assenza di concentrazione insediativa come è il caso di altre realtà territoriali con
sviluppo reticolare (Dematteis, 1990)? Soprattutto da valutare, ammesso che la dotazione tecnologica in reti e devices sia sufficiente, il
ruolo dell’innovazione come volano/veicolo di crescita culturale e di consapevolezza complessiva. Stimolo e/per conoscenza che supera
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la mera questione della informatizzazione e propone l’-. Quindi un percorso di formazione ed informazione per costruire nuovi strumenti
di azione e pianificazione locale in connessione e competizione, coopetition, globale. Identificazione di logiche insediative diverse
(Appold e Kasarda, 1990), formazione di spazi urbani come segni della memoria (Augè, 2004) ma anche segno di un nuovo sviluppo e di
coesione sociale, nuova cittadinanza (Cacciari, 1991)
Parole Chiave Innovazione, identità urbana, globalizzazione.
I modelli territoriali ex-urbani e lo sviluppo regionale
Enzo Fabio Arcangeli
Università degli Studi di Verona - DSE
Sommario Il tema “ex-urbano” è salito alla ribalta delle analisi antropologiche e sociologiche negli Stati Uniti, e negli ultimi mesi questa
prospettiva si è altresì presentata come una possibile chiave di lettura della netta spaccatura dell’elettorato tra cluster di Stati, ma anche
tra aree urbane “blu” ed aree rurali “rosse”. Nella lettura dell’autore-inventore di Exurbia, è proprio in queste frange metropolitane
“sfrangiate”, collocate persino ai margini di deserti e paludi, che si è giocata la conquista dell’elettore mediano previsto dai modelli
politologici di Hotelling - Nash - Downs e quelli di equilibrio inter-generazionale della Nuova Politica Economica. Lo spostamento di
scala e semantico della tematica territoriale è quello dalla città “compatta o diffusa” all’area metropolitana di fatto diffusa, secondo
particolari attrattori auto-organizzati, e sempre meno compatta arttorno a tradizionali potenziali come gli assi di trasporto. Ma i geografi
(e.g. Eric Sheppard) ci insegnano che nessun cambiamento di scala è neutrale all’analisi ed alle sue conclusioni. Una prima implicazione
della nuova prospettiva è quella alla scala regionale, sul tema di una regione competitiva in quanto “efficiente” nei sistemi urbani ed
infrastrutturali. In questo primo contributo sull’argomento, si esplorano alcune questioni concettuali e si considerano alcuni laboratori
empirici del fenomeno. Sul piano astratto, la teoria regionale post-keynesiana deve tener conto, uscendo da certe illusioni tecnocratiche,
che non esiste né è definibile (AS IF) alcun modello astratto di comportamento spaziale, da cui si possa dedurre un ottimo. Pertanto la
regione che si porta in dote asset spaziali competitivi, ergo dummy qualitative positive nelle proprie equazioni di crescita, potrebbe
essere quella in cui - molto semplicemente, laicamente - “quegli abitanti lì vivono meglio”: fenomenologicamente (nelle loro autorappresentazioni condivise) non teleologicamante, perché approssimino un ottimo a priori. Sul piano empirico, saltano all’occhio alcune
sorprendenti similitudini sociologiche tra i “patio men and women” delle ex-urbie Nord-americane e del Sud Europa: Spagna costiera,
Sud Francia, Nord-Est e Mezzogiorno in Italia. Ci si chiede se non vi siano qui dei laboratori dell’iper-moderno, ed il prolungamento
dell’egemonia delle civiltà Atlantiche su quelle Pacifiche non sia funzione di questa innovazione psico-sociologica continua: essere
sempre un passo avanti nella “moda”, mentre Giappone poi Corea, Cina ed India si impigliano nel declinante post-moderno. In
definitiva, il contributo: da un lato avanza un sistema di ipotesi sulla possibile revisione della teoria pura dello sviluppo regionale, ai fini
di includere i fenomeni ex-urbani; dall’altro raccoglie alcuni fatti stilizzati su detti fenomeni, sia negli Stati Uniti che nel Sud Europa.
La riqualificazione dello spazio pubblico: paesaggio urbano e percezione sociale
Marina Arena
Giuseppe Fera
Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria
Sommario Una interpretazione a volte riduttiva della sostenibilità, tende ad orientare la qualità urbana in senso ecologico e sembra
affievolire l’attenzione nei confronti di una ricerca di qualità legata anche alla percezione della fisicità ed al disegno dello spazio urbano.
Pertanto, a garanzia di una qualità urbana percepibile anche dal punto di vista visivo ed emotivo, riteniamo che la nozione di paesaggio
urbano divenga, in tal senso, fondamentale. Infatti, la necessità di un “disegno” della forma urbana lega intimamente il progetto urbano al
paesaggio urbano conferendo un ruolo strategico determinante a quei particolari spazi urbani che sono gli spazi pubblici (fondamentali
spazi simbolici in cui l’identità individuale si trasforma in identità collettiva). Accanto allo studio ed al progetto dello spazio fisico della
città, si tratta di considerare altre dimensioni che, simultaneamente, in esso convivono. In questa direzione sembra importante riprendere
quel filone di studi, inaugurato da Kevin Lynch alla fine degli anni Cinquanta, che fa leva soprattutto sulla collaborazione tra psicologia
ambientale ed architettura. Il percorso metodologico proposto è quello di mettere a punto una lettura del paesaggio urbano
contemporaneo attraverso l’individuazione e la ricostruzione dei legami complessi che in esso si stabiliscono, in senso sia cognitivo che
emotivo, tra individui, gruppi e spazio fisico. Si intende porre in relazione, in particolare nell’ambito dello spazio pubblico, la forma
dello spazio fisico con il vincolo visivo ed affettivo stabilito con esso; ne scaturisce un’attenzione alla territorialità intesa come
appropriazione dello spazio, come processo cioè in cui sono le attività realizzate dalle persone ed il loro vissuto a rendere significativi i
luoghi urbani. Lo scopo operativo è quello di costruire percorsi, materiali e strumenti utili come supporto per la progettazione
urbanistica, con un particolare riferimento allo spazio pubblico inteso come strategico rispetto alla qualità del paesaggio urbano. La
percezione dello spazio pubblico non può presentarsi solo come rilevazione esterna di un comportamento sociale da parte del tecnico, ma
deve essere in qualche modo convalidata dall’abitante, dal fruitore stesso. Per questo motivo la ricerca prevede anche la messa a punto di
modalità di coinvolgimento diretto dei cittadini. La percezione sociale dei luoghi e le sue implicazioni teorico-applicative sono,
chiaramente, di grande interesse progettuale; suggeriamo di assumere come ambito di progettazione anche l’insieme delle relazioni che
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portano a produrre un certo paesaggio in quanto esito di un processo e non più oggetto prodotto in maniera predeterminata. Nella
costruzione di tale percorso metodologico sarà considerato fondamentale il ruolo giocato dalla partecipazione della gente. Inoltre saranno
esaminati ed illustrati alcuni concetti chiave quali: paesaggio urbano, percezione (individuale e sociale), progetto urbano e si fornirà un
quadro ragionato dell’attuale dibattito scientifico disciplinare attorno all’argomento, cercando in particolare di far emergere i vari
contributi disciplinari che si confrontano sul tema: progettazione urbanistica, architettura del paesaggio, sociologia urbana, psicologia
ambientale, ecc..
Parole Chiave Riqualificazione, spazio pubblico, paesaggio urbano, percezione.
L’evoluzione della spesa regionale delle famiglie italiane: un’analisi per coorti
David Aristei
Università degli Studi di Verona - Dipartimento di Scienze Economiche
Luca Pieroni
Università degli Studi di Perugia - Dipartimento di Economia
Sommario L’obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare l’evoluzione della spesa regionale delle famiglie italiane attraverso una
decomposizione degli effetti coorte, età e tempo (Deaton e Paxson, 1994), finalizzata a verificare da un lato la persistenza di
comportamenti simili nel consumo aggregato tra le regioni del Nord e quelle del Sud negli ultimi venti anni e, dall’altro, ad indagare
l’effetto che l’eterogeneità della struttura familiare può indurre nella definizione di profili differenziati a livello generazionali e
territoriali. Molti studi, infatti, hanno evidenziato l’opportunità di seguire la disaggregazione degli effetti coorte, età e tempo
considerando l’incidenza dei differenti comportamenti generazionali nelle variabili economiche rilevanti. Attanasio (1998), per illustrare
il declino nel tasso di risparmio pro-capite negli Stati Uniti, assume che tutti i trends lineari osservati nei dati possono essere attribuiti
agli effetti coorte ed età. Peraltro, a livello italiano Jappelli (1999) identifica le modifiche intervenute nella ricchezza delle famiglie
collegandole direttamente alla variazione negli effetti generazionali. Inoltre, un range di modelli di disaggregazione sono stati utilizzati
da Gibson e Scobie (2003) per distinguere i comportamenti di risparmio, reddito e consumo di differenti generazioni, evidenziando in
particolare il significativo impatto della struttura familiare sui livelli di consumo e di risparmio. Uno scopo preliminare del nostro lavoro
è quello di verificare la presenza di effetti generazionali tra le regioni italiane e la conseguente coerenza con l’ipotesi teorica del ciclo di
vita. L’analisi è sviluppata a partire dall’indagine sui bilanci delle famiglie (fonte Banca d’Italia) per gli anni 1984-2002. Il dataset
corrisponde, dunque, ad una serie di cross-section ripetute; per questo si rende necessario l’utilizzo di tecniche pseudo-panel (Verbeek e
Nijman, 1992; Deaton, 1985; Moffitt, 1993) al fine di investigare le dinamiche della spesa. In una seconda fase, la caratterizzazione dei
comportamenti regionali è arricchita dall’introduzione di variabili demografiche e socio-economiche della famiglia, al fine di delineare
profili eterogenei in contesti territoriali comuni. Un ulteriore obiettivo dell’indagine è di caratterizzare le differenze nel reddito pro-capite
tra le generazioni; infatti, come evidenziato da Kapteyn, Alessie e Lusardi (2001) il reddito pro-capite può rappresentare una misura della
produttività e spiegare le dinamiche tra le coorti. In maniera analoga, nel versante del consumo l’indicatore del reddito pro-capite può
spiegare i differenziali e la persistenza di spesa tra famiglie residenti al Nord rispetto a quelle del Sud. Questo indicatore è inserito come
una delle variabili esplicative del modello econometrico finale, la caratterizzazione per macro-aree ha l’obiettivo di recuperare le
diversità territoriali.
Parole Chiave Consumo, coorti, differenziali regionali, pseudo-panel.
Contabilità ambientale di Piemonte e Svizzera: realtà territoriali a confronto
Marco Bagliani
Simona Cantono
Fiorenzo Ferlaino
Fiorenzo Martini
IRES Piemonte
Sommario Grazie alla crescente convinzione in sede europea dell'urgenza di riconsiderare i termini dell’espansione del sistema
economico rispetto agli ecosistemi che lo sostengono, da ormai mezzo secolo siamo spettatori di una lunga sfilata di tentativi volti a
definire il concetto di sviluppo sostenibile. Coerentemente all’approccio territorialista di sviluppo sostenibile, le connessioni tra società
ed ambiente non hanno un nesso causale predefinito. Società ed ambiente si intersecano continuamente e l’uno non include l’altro o
viceversa. Il territorio li sostiene entrambi ed assume la forma di uno spazio attraversato da scambi e flussi di ogni genere.
Gli sforzi compiuti in questo ambito hanno dato vita a diverse soluzioni con lo scopo di incorporare tali variabili in modelli esplicativi. In
particolare alcune correnti teoriche si sono rivolte all'approfondimento delle relazioni tra l'economia e l'ambiente indirizzando
l'attenzione verso una maggior integrazione: tra queste il calcolo dell'impronta ecologica attraverso l'analisi di input-output (Leontief,
1970; Bicknell et al., 1998; Giljum, Hubacek e Sun, 2004; Ferng, 2001; Bagliani et al., 2002; per una rassegna critica si veda anche
Martini e Cantono, 2004). Proprio in questa direzione si muove la nostra ricerca che, per i casi studio del Piemonte e della Svizzera, ha
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concretizzato tutti gli sforzi teorici dando vita ad un modello di contabilità economico ambientale territoriale integrato. Dai risultati
ottenuti è infatti possibile una lettura dell'interazione tra ambienti antropico e naturale confrontando anche i dati su due territori
morfologicamente simili, che intrattengono scambi economici tra di loro e con l'estero contribuendo in tal modo all'uso di risorse naturali
ubicate anche al di fuori dei confini territoriali. L’esito della comparazione è una sorta di deficit/surplus ecologico il cui valore indica
quanto la popolazione considerata consumi risorse localizzate sul proprio territorio o altrove. Inoltre è presentata un’analisi comparativa
tra la performance economica (identificata dal valore aggiunto) e quella ambientale.
L'intuizione originaria di legare l'impatto ambientale ad una variabile economica quale il consumo (Wackernagel e Rees, 1996), permette
di integrare gli aspetti naturale e sociale (quest'ultimo considerato nelle manifestazioni strettamente economiche). Il supporto della
metodologia di analisi input-output partecipa attivamente al fine di incorporare l'analisi tradizionale in un contesto economico più
completo e dotato, anche se limitatamente alle ipotesi di partenza, di potere previsionale.
Parole Chiave Contabilità ambientale territoriale, integrazione economia e ambiente.
La valutazione integrata nel processo di formazione dei piani e programmi regionali: il
modello della regione Toscana
Paolo Baldi
Alessandro Cavalieri
Maria Chiara Montomoli
Regione Toscana
Sommario La revisione della L.R. 49/99 avente ad oggetto la programmazione regionale, la contemporanea revisione della legge
regionale in materia di governo del territorio (L.R. 1/2005) e l’entrata in vigore, dal luglio 2004, della direttiva europea 2001/42/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001 concernente la valutazione ambientale di piani e programmi strategici, ha indotto
la Regione Toscana a introdurre la valutazione integrata di piani e programmi all’interno del proprio processo programmatorio.
La valutazione si definisce integrata in quanto, da un lato, comprende al suo interno i la valutazione degli effetti delle scelte strategiche in
relazione ai profili ambientali, territoriali, sociali e economici e degli effetti sulla salute umana. Dall’altro lato, la valutazione mette in
relazione i diversi piani e programmi verificandone i raccordi di complementarità/conflittualità rispetto ad un insieme di indicatori
predefiniti.
In quest’ottica la valutazione, nell’ambito della programmazione regionale, diventa uno strumento a supporto per la trasparenza dei
processi decisionali. In particolare, attraverso il metodo di analisi/valutazione ex ante si cerca di dare una maggiore razionalizzazione alle
scelte contenute nei piani/programmi e di porre le basi per le successive attività di monitoraggio e valutazione (in itinere, finale ed
eventualmente ex post).
Il processo di valutazione integrata “accompagna” quello di formazione di un piano/programma come elemento di “warning process” e
gli esiti di tale valutazione confluiscono, quale parte integrante dello strumento di programmazione, in un apposito documento allegato
allo stesso. In questo modo, la valutazione integrata costituisce il momento di verifica della coerenza generale delle scelte
programmatiche, non soltanto da un punto di vista settoriale (coerenza interna del piano/programma) e intersettoriale (coerenza del
piano/programma nei confronti di altri atti di programmazione), ma anche dal punto di vista degli effetti attesi su un insieme di aspetti
(territoriale, ambientale, sociale, economico e salute umana) derivanti dalle scelte effettuate.
La valutazione si colloca così all’interno del processo di formazione di piani e programmi regionali, comprendendo anche gli elementi di
valenza ambientale previsti dalla direttiva europea 2001/42/CE.
Il coordinamento tecnico dei processi di valutazione integrata è affidato al Nucleo unificato di valutazione e verifica degli investimenti
pubblici (NURV) istituito in Regione Toscana ai sensi della L.144/99. Tale organismo ricopre, nel nuovo modello di valutazione
integrata, il ruolo di assistenza nei riguardi dei responsabili dei piani e programmi durante la fase di elaborazione di un atto di
programmazione, soprattutto in relazione alle tecniche valutative adottate, e quello di “validatore” finale dell’intero processo di
valutazione integrata svolto sull’atto stesso.
Parole Chiave Valutazione integrata, piani/programmi, programmazione regionale.
La logistica territoriale integrata nel Medocc: il caso del Piemonte
Cristina Bargero
Fiorenzo Ferlaino
IRES Piemonte
Sommario Da dove nasce un così spiccato interesse per la logistica, riferita soprattutto alla zona del Mediterraneo Occidentale? Da una
serie di motivi, taluni legati al rinnovato peso del Mediterraneo negli scambi mondiali, altri invece a fenomeni economici di crescita del
settore. L’incremento del traffico contenitori nei porti mediterranei è stato negli ultimi anni percentualmente superiore a quello dei porti
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del Nord Europa. Di conseguenza, oggi i servizi logistici ( la logistica e il suo indotto) hanno un peso del 22% circa sul Pil nazionale e
rappresentano una risorsa imprenditoriale sia a livello microeconomico-aziendale che macroeconomico, ma soprattutto un settore
“catalizzatore” intorno cui si organizza e si pianifica il territorio e i suoi diversi sistemi glocali. Nei sistemi glocali i mercati mondiali dei
fattori produttivi risultano sempre più integrati, con conseguenti fenomeni di delocalizzazione industriale e di trasferimento delle fasi di
lavorazione a più basso valore aggiunto in paesi a basso costo della manodopera, mantenendo nei sistemi centrali le fasi a più elevato
valore aggiunto. Lo sviluppo di una rete di nodi logistici lungo le regioni costiere del Medocc è un fattore di primaria importanza per i
traffici e l’economia di questi territori, in quanto consente di poter sfruttare i vantaggi che possano derivare dallo short sea shipping
all’interno del Mediterraneo e di dar luogo alle cosiddette autostrade del mare. Partendo dai dati (raccolti tramite la somministrazione di
questionari, nell’ambito del progetto europeo Interreg IIIB Port-NET-MEDPLUS, e l’utilizzo delle banche dati ufficiali esistenti) di
dotazione infrastrutturale più in generale di strutture logistiche e dai flussi di merci transitanti per le principali vie di comunicazione del
Medocc e per i più importanti centri merci ( interporti, piattaforme logistiche integrate, porti, aeroporti) si delineerà il ruolo svolto
attualmente dalla logistica nello sviluppo economico delle Regioni del Mediterraneo Occidentale e in particolare del Piemonte. Si
cercherà inoltre di cogliere come le policies europee (Libro Bianco dei Trasporti)e nazionali (Piano Generale dei trasporti e della
logistica) diano impulso alla logistica e al trasporto intermodale e verso quali direzioni di sostenibilità economica e ambientale spingano.
Scopo del seguente paper sarà quello di costruire ipotesi di scenario che prevedendo la diffusione di centri e piattaforme logistiche,
secondo una logica reticolare di hub e spokes, rendano le zone retroportuali del Mediterraneo Occidentale e, in particolare del Piemonte,
ridiano centralità a territori che, altrimenti, rischiano di essere marginalizzati.
Parole Chiave Logistica, Mediterraneo, occidentale, Piemonte.
Quali politiche in materia di assi e nodi di trasporto nell’Arco Latino?
Cristina Bargero
IRES Piemonte
Cesare Paonessa
Provincia di Alessandria
Sommario Oggetto del seguente paper è uno studio sulle policies che possono intraprese dal punto di trasportistico, partendo
dall’individuazione dei principali assi di trasporto del Mediterraneo nell’ambito dell’Arco Latino, nel processo di integrazione tra le aree
europee e nordafricane. L’Arco Latino è la base territoriale della politica mediterranea dell’Europa. Non si tratta solo della facciata
dell’Europa sul Mediterraneo. Ed è molto di più di una apertura sul Maghreb e il Medio Oriente. E’ un luogo di scambi tra l’Europa e il
Mediterraneo. Esso rappresenta così la dimensione mediterranea che è essenziale all’identità dell’Europa. Dalla coesione dell’arco latino
dipende l’ancoraggio dell’Europa a Sud, la sua capacità di sviluppo di relazioni privilegiate con la riva Sud del Mediterraneo e
l’equilibrio tra il Nord e il Sud dell’Europa. Dal punto di vista dello spazio territoriale Arco Latino (ed in particolare del Mediterraneo
Occidentale, tra Italia Meridionale e Insulare e Spagna affacciata all’Atlantico, oltre Gibilterra), il principale asse di connessione con i
Paesi esterni all’Unione (in questo con i Paesi del Maghreb, eventualmente anche con la Libia se non, per ragioni di più compiuta
funzionalità, con lo stesso Egitto e il Canale di Suez) è rappresentato dalle “autostrade del mare”. Appaiono quindi fondamentali
adeguate policies tarsportistiche, che riprendendo gli indirizzi forniti dalla Comunità Europea nel Libro Bianco dei Trasporti, disegnino,
tenendo conto della particolarità territoriale, assi di sviluppo per il Mediterraneo Si tenterà di individuare le policies e le azioni concertate
che gli stakeholders dovranno mettere in atto, per rendere l’Arco Latino una base territoriale per un Europa aperta al Mediterraneo e ai
Paesi del Nord Africa, in particolare -la razionalizzazione-distribuzione dei traffici interni (del Mediterraneo), che sono supportati dalle
autostrade del mare. -una politica dei nodi del Mediterraneo ( porti, aeree retroportuali, aeroporti che rappresentano il vero elemento di
valorizzazione delle reti; in particolare di quelle che meno infrastrutturate (quali le autostrade del mare e le aviolinee) ma di nodi ad
elevata efficienza organizzativa, economica, amministrativa. - lo sviluppo delle relazioni con la riva Sud del mediterraneo (i Paesi del
versante africano del Mediterraneo), in particolare del Maghreb, con investimenti legati ai traffici Questo è un altro particolare punto da
approfondire in termini di geografia economica, di piani di sviluppo dei Paesi del Maghreb, di strutture di governo nazionali e locali, di
agenzie di sviluppo, di centri di ricerca e sviluppo tecnologico.
Parole Chiave Arco Latino, nodi, trasporti.
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Utilizzo della tecnologia RFID nell’analisi di flussi economici di filiera
Giovanni Luca Barletta
Abm Management Company
Dino Borri
Domenico Camarda
Giovanni Circella
Politecnico di Bari
Sommario L’utilizzo di sistemi basati sulle tecnologie a identificazione tramite radiofrequenze (RFID) ha conosciuto, negli ultimi anni,
uno sviluppo esponenziale sia sul fronte delle applicazioni di campo (alcune delle quali già consolidate) che sul fronte della ricerca. La
ragione principale di questa rapida diffusione consiste nella flessibilità di utilizzo di questa tecnologia, qualità che ne ha facilitato
l’introduzione in molti paesi, anche se con diverse finalità e diversi gradi di penetrazione. Nata come evoluzione del codice a barre per
l’identificazione univoca di singoli oggetti (e non di categorie merceologiche), la tecnologia RFID si è consolidata nei settori del
controllo dei processi industriali, della identificazione e controllo degli animali di allevamento, della bigliettazione elettronica e del
controllo degli accessi. Tali applicazioni si sono finora basate sull’utilizzo di tags di tipo passivo (privi di batteria, se sollecitati da un
campo magnetico generato dall’apposito lettore, consentono la trasmissione di dati in un raggio d’azione limitato). L’interesse delle
sperimentazioni più moderne è invece rivolto alla realizzazione di sistemi basati sull’integrazione di transponder RFID attivi (muniti di
batteria interna, trasmettono autonomamente il segnale ai lettori in raggi notevolmente superiori rispetto ai tag passivi) con altre risorse
wireless (wi-fi, wiMax, reti di fonia mobile) in diversi ambiti applicativi. In questo lavoro viene presentato un possibile ambito
applicativo in cui la tecnologia RFID viene utilizzata per la classificazione e la quantificazione dei flussi economici e commerciali, sia
lungo le filiere produttive già formalizzate che in ambiti non ancora perfettamente formalizzati. L’utilizzo della tecnologia RFID, già
diffuso a livello globale ed in costante crescita, lungo la supply chain e lungo le filiere produttive e distributive, permette, infatti,
l’accesso ad informazioni maggiormente dettagliate sui flussi produttivi nelle economie locali e nazionali. In particolare, l’analisi dei dati
di flusso può risultare utile per una maggiore comprensione dei meccanismi delle economie “informali” (ancora fortemente presenti nelle
zone rurali, specie nel mezzogiorno, e, se possibile, incrementate dai flussi migratori), nelle quali l’organizzazione delle attività
economiche si basa su rapporti personali e norme di comportamento di tipo “tradizionale”, non sempre inquadrabili secondo i metodi ed i
modelli classici dell’economia. In altri termini, la proposta avanzata da questo lavoro consiste in un utilizzo sperimentale della tecnologia
RFID quale strumento per la “quantificazione” sia di economie già formalizzate (controllo del ciclo di produzione lungo la filiera) che di
economie la cui conoscenza è, ad oggi, basata su indagini di tipo meramente qualitativo. Tale approccio risulta utile per il controllo del
passaggio delle merci attraverso le infrastrutture puntuali di trasporto (porti ed interporti), che costituiscono un punto di osservazione
privilegiato delle dinamiche economiche locali e globali. La stessa infrastruttura tecnologica può essere peraltro utilizzata per il controllo
e l’organizzazione logistica interna al nodo di trasporto, costituendo uno strumento tecnologico unico e versatile per la gestione delle
informazioni associate alle merci in transito.
Parole Chiave RFID, supply chain, logistica.
Dalla progettazione alla gestione del territorio. Un GIS per il litorale tirrenico della
provincia di Reggio Calabria
Vincenzo Barrile
Università Mediterranea di Reggio Calabria - DIMET
Enrico Costa
Università Mediterranea di Reggio Calabria - Dipartimento S.A.T.
Vincenzo Cotroneo
Università Mediterranea di Reggio Calabria - DIMET
Antonio Maria Leone
Università Mediterranea di Reggio Calabria - Dipartimento S.A.T.
Sommario In questi ultimi anni il nostro tempo è segnato da profondi quanto repentini mutamenti strutturali che stanno avvenendo nella
società, nell’economia. Il controllo dei diversi fenomeni che investono il territorio e l’ambiente rappresenta uno degli scopi primari dei
processi di gestione urbana e territoriale. Inoltre la crescente complessità del sistema di relazioni, combinandosi con l’esigenza di
conoscenza, ha permesso di valutare con maggiore attenzione il contributo dato dalle nuove tecnologie informatiche applicate al territorio
generando una riflessione sul rapporto tra basi conoscitive, rappresentazioni del territorio e nuove forma di piano. La maggior parte delle
problematiche relative alla progettazione ed alla gestione del territorio hanno bisogno di metodologie decisionali che siano basate su
sistemi d’informazione geografici e territoriali. La ricerca di “mezzi” affidabili di supporto alle decisioni, oltre che di ausilio ai processi
di pianificazione, ha messo in luce l’importanza dei Sistemi Informativi, nella loro veste di strumenti capaci di studiare il territorio non
solo come un insieme di parti, di oggetti, di frammenti analizzabili singolarmente, ma relazionando le singole entità tra loro. Il Sistema
informativo territoriale e Osservatorio delle trasformazioni territoriali S.I.T.O. introdotto nella legislazione calabrese dalla L.R. 19/2002
rappresenta un indispensabile strumento per l’attuazione di una concreta politica di innovazione tecnologica. Obiettivo del presente
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lavoro è quello di creare procedure di gestione integrata delle zone costiere capaci di considerare la complessità del sistema territoriale e
il traìt d’union tra le variabili che consentono di esaminare il problema. A questo scopo è stato creato, in ambiente GIS, un modello di
gestione del demanio spiagge da sperimentare su alcuni Comuni del litorale tirrenico della provincia di Reggio Calabria. Dopo un
inquadramento teorico si passerà all’architettura del sistema che lavorerà su due fronti. Da una parte sarà costruito un classico Sistema
informativo con i layer di pertinenza dell’area demaniale, dall’altra sarà sviluppata un’applicazione specialistica. Il presente contributo,
che costituisce il risultato di una serie di ricerche sul tema dell’innovazione tecnologica, mira a riqualificare e gestire tali spazi in modo
compatibile con il contesto territoriale ed al contempo di automatizzare le procedure di rilascio delle concessioni urbanistiche
memorizzando per ogni area di riferimento gli elementi di pressione antropica. Ciò allo scopo di monitorare e valutare, attraverso un
database spazio-temporale interrogabile che sia di supporto alla formulazione di decisioni di pianificazione territoriale.
Parole Chiave Conoscenza multidisciplinare, pianificazione, sistema informativo territoriale.
Stima per piccole aree e mercato del lavoro nei distretti industriali lombardi
Eleonora Bartoloni
Istat - Ufficio Regionale per la Lombardia
Sommario La letteratura empirica ha dato di recente (in particolare nell’ultimo decennio) notevole impulso ai problemi di stima di
aggregati a livello territoriale “fine” grazie anche alla spinta proveniente dalla crescente domanda di informazione statistica affidabile per
aree geografiche subnazionali sulle quali sempre più si concentrano gli interventi di policy a livello regionale, nazionale e sovranazionale. In questo contesto, la stima di alcuni aggregati relativi al mercato del lavoro nei distretti industriali lombardi costituisce
l’oggetto di questo studio. Utilizzando come base informativa i dati elementari dell’indagine campionaria sulle forze di lavoro condotta
dall’ISTAT, questo contributo si inserisce nel filone di studi relativi alla stima per piccole aree (small area estimation) e ne costituisce
un’applicazione empirica. Il concetto di “piccola area” è legato proprio all’impiego ormai ampiamente diffuso di indagini di tipo
campionario progettate per ottenere, con riguardo a una pluralità di fenomeni osservabili, stime affidabili non solo a livello dell’intera
popolazione di interesse, ma anche per strati di “sub-popolazione” (domini). In questo quadro è possibile pervenire a stime dirette
(ovvero basate unicamente sulle osservazioni campionarie) di adeguata precisione nei domini pianificati nell’ambito del disegno
campionario dell’indagine (grandi aree). Per piccola area si intende invece un dominio di stima non pianificato nell’ambito di
un’indagine campionaria e non sufficientemente grande per poter supportare stime dirette di adeguata precisione. L’utilizzo di stimatori
diretti a livello di piccola area dà origine a stime approssimativamente corrette ma caratterizzate da elevata variabilità in quanto basate su
un numero di unità campionarie troppo esiguo. La variabilità delle stime è, inoltre, tanto maggiore quanto più l’area di riferimento è
piccola in termini di unità primarie (comuni) e secondarie estratte (le famiglie). E’, infine, tanto maggiore quanto più l’aggregato oggetto
di stima è di ridotta entità. In questo ambito si rende pertanto necessario il ricorso a stimatori indiretti che, basandosi su un numero più
ampio di unità campionarie, consentono di ridurre l’errore quadratico medio delle stime. In questo contributo, pertanto, i distretti
industriali lombardi costituiscono le piccole aree di interesse in quanto domini non pianificati nell’ambito di un’indagine campionaria
progettata per fornire stime di adeguata precisione a livello provinciale e regionale. Tra gli stimatori di tipo indiretto vengono proposte
alcune formulazioni alternative di stimatore sintetico. Lo stimatore sintetico, estendendo alla piccola area (il distretto) la validità dello
stimatore diretto costruito per un’area più grande (macro-area) entro cui il distretto è compreso, consente di ridurre la variabilità delle
stime ma è potenzialmente distorto se le caratteristiche della macro-area che si sceglie come riferimento differiscono sensibilmente da
quelle del distretto in esame. L’esigenza di mediare tra queste caratteristiche opposte dello stimatore diretto (approssimativamente
corretto ma a varianza elevata) e dello stimatore sintetico (più preciso ma potenzialmente distorto) determina l’esigenza di ricorrere a
stimatori di tipo COMPOSTO che, basandosi su opportune combinazioni dello stimatore diretto e di quello sintetico consentano di
ridurre la variabilità delle stime, sebbene a costo di accettare maggiori gradi di distorsione. Le performance di tutti gli stimatori proposti
(di tipo diretto, indiretto sintetico e indiretto composto) verranno valutate e confrontate in termini di distorsione e di efficienza. Per fare
questo verrà condotta una Monte Carlo Simulation che consiste nell’applicare ai dati censuari della popolazione lombarda il disegno di
campionamento dell’indagine sulle Forze di Lavoro. Dopo aver estratto ripetutamente un numero R di campioni indipendenti, verranno
valutati, per ciascun distretto industriale, la distorsione e l’errore quadratico relativi in media sulle R replicazioni. Infine una valutazione
complessiva sulla performance degli stimatori proposti deriverà dall’analisi della distorsione e dall’efficienza relative medie sul
complesso dei distretti lombardi.
Parole Chiave Stima per piccole aree, distretti industriali.
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Strutture e flussi di popolazione nel bacino del Mediterraneo e nell’Unione Europea
Sara Basso
Annalisa Busetta
Antonio Golini
Cristiano Marini
Università degli Studi di Roma “La Sapienza” - Dipartimento Scienze Demografiche
Sommario Obiettivi Il fattore demografico, già molto influente negli ultimi 20 anni, con ogni probabilità giocherà nel Bacino del
Mediterraneo e nella Ue un ruolo ancora più importante nei prossimi decenni. È necessario infatti valutare se e come il fattore
demografico sarà in grado di mantene-re, a parità di altre condizioni, le potenzialità di sviluppo economico, tanto per i paesi della ri-va
Nord - che saranno caratterizzati da un forte invecchiamento e da un accentuato calo della popolazione in età lavorativa - quanto per
quelli della riva Sud - caratterizzati invece da forte crescita - e se i paesi saranno in grado di gestire i flussi migratori che necessariamente
conti-nueranno ad aversi. È inoltre fondamentale analizzare i problemi di urbanizzazione che le va-riazioni quantitative e di distribuzione
di popolazione vanno determinando. Diventa, quindi, cruciale, in una situazione di profondo e continuo mutamento, l’analisi delle
politiche di popolazione e della pianificazione territoriale per gestire tale cam-biamento. Metodologia L’analisi dell’influenza del fattore
demografico in termini quantitativi e di distribuzio-ne territoriale è condotta utilizzando i dati delle Nazioni Unite. Per consentire una
lettura sin-tetica e agevole della situazione, si è fatto ricorso ad una classificazione dei paesi per area ge-ografica: i paesi della riva Sud
sono stati divisi in due gruppi - il Maghreb e un gruppo com-posto da Mashrek e Turchia; quelli della riva Nord - i sette paesi Ue del
Mediterraneo (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro e Malta); gli altri 18 Paesi Ue non mediterranei. Tutta l’analisi
descrittiva ha utilizzato la suddetta classificazione. Contributi attesi L’analisi dei dati e delle tendenze della popolazione e della
urbanizzazione, utilizzan-do anche alcuni parametri economici e sociali, mostra come l’area del Mediterraneo non pos-sa non tendere a
diventare un’unica area con diversi livelli di sviluppo economico e demogra-fico che possono compensare le proprie carenze attraverso
un processo virtuoso di interscam-bio culturale, economico e di capitale umano nel quale resta necessariamente coinvolta anche il resto
della Ue. L’integrazione non può, infatti, che giovare a entrambe le parti ed in partico-lare alla Ue, poiché una più rapida crescita
economica della riva Sud le aprirebbe, fra ’laltro, nuovi importanti mercati e funzionerebbe da drenaggio per la prevedibilmente
massiccia emi-grazione dall’Africa sub-sahariana. Il fattore demografico, visto come driving force, deve, dunque, essere osservato in
un’ottica congiunta. Nel breve-medio periodo, infatti, le migrazioni nell’area, le rimesse degli immigrati, il commercio, le università
possono ulteriormente contribuire a questa fruttuosa, crescente interazione fra le due rive. Nel medio-lungo periodo, poi, non si può non
immagi-nare una piena integrazione economica della Ue con tutta la riva Sud del Mediterraneo.
Parole Chiave Bacino del Mediterraneo, Unione Europea, popolazione, dinamiche.
L’immagine del territorio: da problema di marketing a strumento di politica
Nicola Bellini
Scuola Superiore Sant’Anna
Sommario Lo strumentario delle politiche di innovazione e sviluppo territoriale tende ad arricchirsi di strumentazioni di “seconda
generazione” (Bellini, 2005), che operano in misura prevalente (anche se non esclusiva) sulle dimensioni cognitive dei network locali nel
tentativo di governarne l’evoluzione attraverso la formazione di percezioni ed aspettative. In questa prospettiva assume particolare rilievo
il ruolo dell’immagine di un territorio (di una regione, di una città…). La questione dell’immagine è spesso associata alle problematiche
di marketing territoriale ed in particolare alle questioni di comunicazione (Caroli, 1999; Bellini, 2000; Ulagaa et al., 2002). Tuttavia,
l’immagine non è mai (solo) il risultato di azioni ad hoc, bensì riflette e interpreta in termini strategici le realizzazioni effettive e la
visione prevalente riguardo al futuro. E’ quindi sia un risultato delle politiche di sviluppo del passato sia un mezzo per contribuire a
focalizzare le politiche attuali sui potenziali esistenti (Bellini, Landabaso, 2005). Il paper, dopo aver collocato l’immagine nel contesto
delle strumentazioni “cognitive” delle politiche di innovazione e sviluppo territoriale, discute il significato assunto da questo termine
nelle strategie di marketing territoriale e approfondisce criticamente i principali risultati della letteratura, ponendo particolare attenzione
sul senso di alcune questioni solo apparentemente riconducibili a mere problematiche “tecniche” di comunicazione (vedi, ad esempi, il
problema della coerenza tra immagini diverse del territorio). Il paper approfondisce quindi le valenze più ampie dell’immagine con
particolare riferimento: - al ruolo dell’immagine nel contesto della “nuova geografia del talento” (Florida, 2005), come strumento di
attrazione di capitale umano qualificato. L’immagine del territorio è interpretata come strumento per la creazione di aspettative positive
da parte dei membri della “classe creativa”; - al ruolo dell’immagine come stimolo collettivo allo sviluppo ed all’innovazione, nel senso
del riconoscimento della imprenditorialità (e specialmente della imprenditorialità innovatrice) come “valore”; - alla gestione dei gap tra
“immagine” e “realtà” del territorio. Tali gap possono essere il risultato di un eccessivo peso delle logiche di comunicazione slegate da
una valutazione realistica degli assets effettivi del territorio e possono originare pericolose perdite di credibilità del territorio e delle sue
prospettive di sviluppo. In altri casi, invece, situazioni di lock-in politico e cognitivo in contesti territoriali “post-paradigmatici” possono
produrre immagini datate e penalizzanti le dinamiche innovative in atto.
Parole Chiave Immagine, marketing territoriale, sviluppo regionale.
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Aree protette e sviluppo sostenibile: il caso del parco naturale regionale campano del
Roccamonfina
Antonio Bertini
CNR-DAST
Sommario La regione Campania ha investito molto nella protezione della natura. Nel 2004 ha istituito ben 12 aree protette: 8 parchi
naturali e 4 riserve. Circa un terzo della superficie dell’intera regione fa così parte di un complesso ed articolato sistema di protezione
della natura che deve essere pianificato e gestito negli anni a venire. In questo contesto molte delle aree protette individuate sono
collocate in aree interne, in aree marginali rispetto ai flussi di attività economiche che interessano la regione e il Paese in generale.
L’occasione che viene offerta alle comunità locali è quella di investire nella protezione della natura per aumentare la capacità economica
delle popolazioni che in quei luoghi vive, cercando di innescare meccanismi tali che consentano anche la stabilizzazione della
popolazione presente e il ridursi dei fenomeni di abbandono delle aree interne. Uno dei parchi di maggiore interesse nel contesto
campano è quello del Roccamonfina, un’area che oltre a comprendere il complesso vulcanico del Roccamonfina include anche il tratto
terminale del fiume Garigliano, proprio al confine tra le regioni Campania e Lazio. La metodologia utilizzata per compilare lo studio è
simile a quella comunemente definita SWOT, dove la conoscenza approfondita del territorio, ottenuta attraverso la consultazione di
materiale bibliografico, visite in loco, riprese fotografiche, acquisizioni e rielaborazioni cartografiche, acquisizione e rielaborazione di
banche dati socio-economiche, interviste con le comunità locali (soprattutto con la “comunità del parco”), contatti con le amministrazioni
locali e le associazioni rappresentative della comunità, riveste un ruolo prioritario. Partendo da un’elaborazione di tutto il materiale
raccolto si è proceduto all’individuazione delle potenzialità, intese come fattori positivi sui quali incardinare le politiche di sviluppo, e
delle problematiche, intese come fattori negativi rallentanti od ostacolativi nei riguardi dello sviluppo, siano esse naturali ed antropici,
per poi definire un quadro di possibili soluzioni sostenibili. Un ruolo centrale è attribuito alle comunità locali e ai centri abitati, luoghi
privilegiati per la promozione culturale, economica e sociale del Parco. L’obiettivo è quello di creare un documento di analisi e di
proposte capace di supportare l’Ente Parco e la “comunità del Parco” nella scelta delle politiche, delle strategie, degli interventi per la
programmazione, pianificazione e gestione dell’area protetta.
Parole Chiave Aree protette, analisi swot, supporto alle decisioni.
I fondi strutturali Obiettivo 2 nelle regioni d’Europa
Paola Bertolini
Enrico Giovannetti
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Sommario I fondi strutturali europei sono divenuti uno strumento di grande importanza per la coesione economica e sociale delle regioni
europee, specie dopo gli importanti avvenimenti degli anni ‘90 (integrazione monetaria ed allargamento). Il paper si propone di
esaminare la distribuzione degli aiuti nell’ultimo ciclo di programmazione 2000-2006 relativamente all’obiettivo 2 e con un livello di
disaggregazione territoriale NUTS 2. L’obiettivo 2, che rappresenta per ordine di importanza l’azione strutturale più significativa dopo
quella prevista dall’Obiettivo 1, riguarda un territorio europeo abbastanza vasto. Nel corso del tempo, con il succedersi dei diversi cicli di
programmazione, sono aumentate le risorse finanziarie messe a disposizione; al tempo stesso si sono accresciute anche le regioni
interessate alle azioni previste dall’obbiettivo, sia la loro eterogeneità. Nel corso del tempo le risorse si sono per gran parte indirizzate
verso il sostegno dell’ambiente competitivo, anche se vengono mantenute altre azioni quali la difesa del territorio o quella ambientale, in
relazione alle priorità individuate dalle varie regioni. Nel paper si esamina il ciclo di programmazione in corso (2000-2006), al fine di
confrontarlo con i precedenti cicli di programmazione, sia per quanto riguarda gli aspetti finanziari (distribuzione delle risorse per paese),
sia relativamente agli obiettivi specifici emergenti sul territorio europeo; in questa parte il livello di analisi viene condotta a livello di
paesi membri dell’UE a 15. Si passa poi ad esaminare più in dettaglio come si configura il quadro attuale di programmazione; qui
l’analisi verrà condotta a livello regionale (NUTS 2), per tutte le regioni interessate dall’obbiettivo. L’analisi interesserà sia la
destinazione finanziaria per regione, tenendo conto dei diversi attori che possono contribuire all’impianto delle differenti azioni (UE,
contributi nazionali, attori privati), sia le principali azioni previste nelle varie regioni europee. Questa prima parte dell’indagine consente
di esaminare l’entità della destinazione finanziarie tra le varie regioni e di condurre una riflessione sulla capacità di coinvolgimento del
settore privato nell’attività di programmazione; inoltre, si cercherà di evidenziare eventuali patterns emergenti tra i diversi territori
dell’Europa, tenendo conto in particolare delle differenze tra aree settentrionali, continentali e meridionali. La seconda parte del paper
mette a confronto i dati relativi ai finanziamenti previsti, a livello NUTS 2, con quelli di natura strutturale, disponibili nell’archivio
Eurostat, database Regio, al fine di procedere ad una prima valutazione di coerenza tra obiettivi previsti ed assetto strutturale delle
regioni. Per tale valutazione, si prevede di stimare un modello descrittivo, basato su un’analisi multivariata, in grado di separare e pesare
gli effetti delle differenti variabili (la struttura produttiva, gli andamenti demografici, il livello occupazionale, l’efficienza del sistema
paese, la presenza di aree svantaggiate, ecc.).
Parole Chiave Fondi strutturali, Obiettivo 2, integrazione europea, regioni europee.
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Airport charges: an application of Madrid Barajas
Ofelia Betancor
Juan Carlos Martín
Universidad de Las Palmas de Gran Canaria - Departamento de Análisis Económico Aplicado - Spain
Sommario There still exists an important debate about the pros and cons of the different approaches that have been applied in the past to
the economic regulation of airports. In fact, many of the most important private airports have been re-regulated in Australia, the UK and
New Zealand in the last years. Policy makers and regional planners are usually confronted to whether it is preferable to adopt a single-till
or dual-till approach.
However, the convenience of such regulatory schemes has been put under scrutiny. It has become evident that some price-caps at
congested airports have resulted in a reduction of price-capped charges for aeronautical activities to levels below short -run marginal
costs. Other problems are more implicitly linked to the retail activities which can be or not formally excluded from the scope of the price
caps. The range of airport activities subject to regulation may be extended without an explicit mention if the price caps take into account
the retail revenues when determining the admissible charges. And finally, at non-congested airports the price-caps may not be effective
and charges could be optimal.
In this paper, we will assess the potential impacts of different airport charges schemes that can be applied in Madrid Barajas airport. In
our case we will use a model that has already been applied in the literature to calculate the social welfare of the different schemes. The
term social welfare refers to the social welfare generated from only aeronautical services, while the social welfare created from nonaeronautical activities will not be discussed here. We define, as is common in the literature, that the social welfare is the sum of
consumer surplus and producer surplus. We will analyze the potential impact of different pricing policies using the values obtained on
social welfare, and using the concept of ‘potential loss of social welfare’ when the lack of adequate capacity preclude the potential
demand from using the airport. Thus, we could evaluate the “losses” or “gains” of each alternative pricing policy.
L’articolazione dello sviluppo rurale e agroalimentare nell’Unione Europea
Alessandra Bettocchi
Elisa Montresor
Università degli Studi di Verona - Dipartimento di Scienze Economiche
Sommario Negli ultimi anni una crescente attenzione è stata rivolta allo studio dei processi di crescita agricola e agro-alimentare, con un
particolare riferimento alle trasformazioni territoriali nel lungo periodo. Sempre più necessario è infatti conoscere come i sistemi
territoriali si adattano ai cambiamenti in atto nei mercati ed alle riforme della politica comunitaria, nonché quali saranno i meccanismi
attraverso cui si produrranno gli aggiustamenti spaziali, che potranno comportare declino e crisi in alcune realtà o la crescita in altri
sistemi territoriali.
Obiettivo della comunicazione è di fornire alcuni elementi metodologici per l’individuazione e l’analisi dei principali sistemi agroalimentari e rurali presenti nell’Unione Europea. In particolare nello studio, condotto a livello regionale (NUTS 2 e 3), utilizzando
tecniche statistiche multivariate (cluster analysis a due stadi e analisi delle componenti principali), verranno impiegate non solo variabili
settoriali agricole, ma anche altri parametri del contesto economico, sociale e ambientale. Le fonti delle informazioni statistiche sono la
FADN Europea, che pur con i limiti imputabili alle differenti modalità di campionatura, consente di costruire gli indicatori relativi alle
specializzazioni agricole, e la Banca Dati Regio.
Le ragioni di questa impostazione integrata possono essere così riassunte: a) il livello di concentrazione e di specializzazione delle
produzioni agricole e agro-alimentari varia notevolmente tra gli Stati membri; b) le disparità territoriali sono sempre più determinate
dalle relazioni commerciali che si instaurano fra Stati e Regioni ed assumono un peso diverso a seconda dei comparti, provocando
importanti riflessi sulla struttura e sulla competitività territoriale; c) le modalità di sviluppo rurale si presentano estremamente
differenziate nel scenario europeo, con differenti livelli di tutela dell’ambiente; d) gli allargamenti della UE e la globalizzazione in atto
nei mercati mondiali costituiscono elementi decisivi nel determinare nuovi vantaggi competitivi, con un sostanziale mutamento nella
distribuzione geografica dei produttori e delle produzioni agro-alimentari. In particolare saranno costruiti indicatori demografici relativi
all’evoluzione della popolazione residente e all’accessibilità del territorio; indicatori economici, relativi a tutti i settori produttivi;
indicatori strutturali e di specializzazione agro-alimentare.
I risultati attesi sono:
Primo stadio: individuazione dei principali macro-gruppi presenti nell’Unione Europea in relazione alle principali dinamiche in atto nello
sviluppo agricolo e rurale
Secondo stadio: individuazione di alcuni sistemi territoriali in relazione all’impatto delle politiche agricole e rurali, attraverso
l’utilizzazione di ulteriori indicatori agricoli, differenti a seconda delle peculiarità dei macro-gruppi individuati in precedenza.
Valutazione delle nuove strategie adottate dall’Unione Europea, anche in relazione all’ampliamento ai nuovi Paesi membri.
Parole Chiave Metodologie di analisi territoriali, dinamiche regionali, integrazione europea.
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A.I.S.Re
Questione urbana e programmazione regionale: la pianificazione strategica nel nuovo
assetto delle politiche di coesione
Carmelina Bevilacqua
Università degli Studi di Reggio Calabria
Claudia Trillo
Regione Campania - NNVIP
Sommario Il rilancio della questione urbana all’interno delle politiche di sviluppo regionale rappresenta un elemento significativo della
svolta strategica delle politiche di coesione, attraverso una spinta più competitiva che solo le città sono in grado di avviare. A parte le
origini teoretiche che possono essere alla base di tale direzione (si pensi alle teorie della città come incubatrice di innovazione e di
diffusione dell’informazione risalenti a Marshall e Schumpeter) la dimensione urbana dello sviluppo è in un certo senso il concept area
per l’impostazione strategica dei documenti programmatici futuri. Questo perché la politica di coesione nella sua svolta strategica
proposta dalla Commissione comporta forti effetti in termini di sviluppo spaziale che richiede un cospicuo sforzo a livello regionale ai
fini del governo delle trasformazioni. In tale contesto la questione urbana diventa peculiare per ricomporre la politica di coesione
secondo valenze non solo redistribuitive ma anche competitive. Alla luce degli orientamenti europei, che con la connotazione strategica,
e quindi competitiva, della politica di coesione indirizza la nuova programmazione 2007-2013 e nazionali, che supporta tali indirizzi
dotando i contesti urbani di strumenti di pianificazione strategica, il contributo intende delineare all’interno di questo quadro un profilo
comparativo dell’esperienze di pianificazione strategica poste in essere nel Mezzogiorno a seguito della delibera Cipe n.20/2004. In
particolare, il contributo intende cogliere da un lato la componente strategica che caratterizza i documenti programmatici ai vari livelli
decisionali, dall’altro analizzare le interrelazioni con gli strumenti urbanistici vigenti e le risposte “locali” alle sollecitazioni
programmatorie regionali, nazionali ed europee. In tale contesto, la recente delibera CIPE n. 20 del 29/9/2004 “Ripartizione delle risorse
per interventi nelle aree sottoutilizzate” per il periodo 2004-2007 nell’ambito della distribuzione delle risorse attribuisce una quota di
riserva per le aree urbane per la redazione di documenti strategici di città (o di insiemi di piccole città) che consentono di indirizzare la
questione urbana all’interno della politica di sviluppo della Regione, sia in termini pianificatori che programmatici. Nell’ambito della
proliferazione degli strumenti di governo del territorio e, soprattutto, con l’esperienza decennale dei programmi complessi la
predisposizione di documenti strategici da parte dalle amministrazioni locali potrebbe innescare un meccanismo di gestione delle
trasformazioni urbane dettate più dalla disponibilità di finanziamenti (e dall’imperativo della spesa) che dal reale fabbisogno di assetto
urbano e territoriale. Alla luce di queste considerazione, l’analisi comparativa proposta intende indagare se i quadri di coerenza e
conformità (ambientale, sociale, economica) posti alla base dell’azione strutturante il governo del territorio siano stati alterati dal
meccanismo di attivazione di finanziamenti e fondi.
Parole Chiave Competitività, coesione, programmazione, asse città.
Reti di imprese e innovazione: il caso del polo areonautico in Campania
Massimiliano Bianca
Università degli Studi del Sannio - DASES Dipartimento di Analisi dei Sistemi Economici e Sociali
Immacolata Caruso
Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo - ISSM - CNR
Sommario I processi di innovazione avvengono in presenza di particolari condizioni quali le competenze tecnologiche ed imprenditoriali
ma anche un efficace supporto di istituzioni intermedie. Come asserito da una vasta letteratura, infatti, differenti performance
nell’innovazione, considerata come un processo evolutivo non lineare ed interattivo tra l’azienda ed il suo milieu, possono essere
attribuite piuttosto che alle strutture industriali vere e proprie ad un insieme di risorse, principalmente intangibili, sviluppate dalle
imprese e dal contesto locale in cui esse sono inserite. Fra queste risorse intangibili il capitale relazionale ha un ruolo rilevante nella
creazione e nello sviluppo di network, che costituiscono una caratteristica significativa nei casi di successo dei processi di innovazione.
Ne sono un esempio i distretti industriali, così come le molte catene di subfornitura che hanno messo insieme le grandi imprese e il loro
indotto, oppure le reti locali che organizzano molte piccole imprese intorno ad un baricentro, a un centro propulsore, consolidando i
rapporti con il territorio. Anche nel Mezzogiorno si sta tentando di promuovere la formazione di questo tessuto connettivo, cercando di
riprodurre anche qui le forme complesse che lo sviluppo ha assunto in altre regioni italiane ed europee. Del resto nei nuovi orientamenti
delle politiche di sviluppo che hanno ispirato la programmazione dei fondi europei 2000-2006 il richiamo al territorio è costante, specie
sul fronte produttivo. È ormai prevalente l’idea che la competitività è sempre meno un fenomeno aziendale e sempre più un fenomeno
territoriale. Sono, infatti, i territori a gareggiare e per renderli maggiormente competitivi occorre conoscerli e verificarne le effettive
potenzialità e gli eventuali limiti da superare per rafforzarle. Partendo da queste premesse il presente studio si propone di analizzare il
caso del polo aeronautico in Campania, verificando: 1) quanto sia salda ovvero debole la rete di relazioni costituitasi tra le grandi e
piccole e medie imprese che operano nella regione; 2) se esistano e quali siano in una regione obiettivo1 come la Campania le possibilità
di rafforzare una maggiore integrazione produttiva e dei flussi di conoscenza, quali presupposti della presenza di processi di innovazione
e di competitività territoriale; 3) ed infine quali siano le relazioni finalizzate al sostegno di un polo produttivo specialistico come quello
areonautico stabilite dal sistema locale con le imprese. L’analisi, che si inserisce nel contesto operativo più ampio del progetto
International Knowledge and Innovation Networks for European Integration, Cohesion and Enlargement (IKINET), finanziato dall’UE
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nell’ambito del VI Programma Quadro e coordinato dall’Università di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Economia e Istituzioni Facoltà di Economia, sarà condotta, dal punto di vista metodologico, sulla base del framework teorico di riferimento e delle conoscenze e
dei dati acquisiti sul campo attraverso una serie di interviste ai principali attori coinvolti nel processo di sviluppo del settore aeronautico
in Campania.
Parole Chiave Reti di imprese, innovazione, polo areonautico, Campania.
L’innovazione formale, questa (semi)sconosciuta
Giuliano Bianchi
Università degli Studi di Siena
Sommario Il paper ripropone il tema dell’innovazione formale, cioè, del mutamento di forma del prodotto, considerato come categoria
concettuale autonoma nella tassonomia standard delle innovazioni.
L’innovazione formale è decisiva per produzioni come quelle della moda, dell’arredamento, ecc. Qui l’innovazione non dipende da
fattori ingegneristici, come nel caso dell’innovazione tecnologica, ma da fattori intangibili come la creatività e il gusto.
Questo sentiero innovativo è però spesso considerato come pseudo-innovazione, anche perché non transita dai canali canonici della
ricerca scientifica, non è verificabile dagli abituali indicatori di innovazione come i brevetti, non apre nuovi mercati in quanto il prodotto
“innovato formalmente” sostituisce prodotti esistenti. Questa sostituzione è però resa possibile dalla percezione da parte dei consumatori
di una radicale differenziazione del nuovo prodotto, grazie ai suoi caratteri estetici e simbolici.
Nonostante la sua importanza questa tipologia d’innovazione non ha spazio nella letteratura economica.
Il concetto d’innovazione formale fu proposto nell’ormai lontano 1988, rielaborato nel 1994 e sottoposto al vaglio di due Conferenze
italiane di scienze regionali (la XVI, Siena 1995, e la XVII, Sondrio 1996) e del 36° Congresso ERSAC (Zurigo 1996), con esiti non
univoci: ci furono quelli (pochissimi) che accolsero il nuovo concetto e quelli (i più) che lo relegarono nella categoria tradizionale
dell’innovazione di prodotto.
La riproposizione attuale del concetto vuol segnalare, al tempo stesso, una sua evoluzione e la sua (iniziale) legittimazione nella
letteratura e nella prassi.
L’evoluzione scaturisce, anzitutto, da un accurato riscontro dei vari approcci (neo e post-schumpeteriani, keynesiani, ecc.)
all’innovazione, che fa riscontrare la totale assenza di un concetto autonomo di innovazione formale, e poi da una collocazione del
concetto nel quadro teorico delle asimmetrie informative e dell’appropriabilità, ove la contrapposizione all’innovazione tecnologica
permette di riconoscere che:
mentre l’innovazione tecnologica genera asimmetrie informative, per l’innovazione formale sono le asimmetrie informative ex-ante che
consentono di generare l’innovazione.
la condizione di appropriabilità risulta elevatissima nell’innovazione formale, essendo garantita dalla marca, dalla griffe o dalla firma,
mentre la conoscenza scientifica ha livelli di appropriabilità pressoché nulli, tanto da esser classificata come bene pubblico, e può solo
essere difesa da barriere economiche e/ giuridiche (brevetti).
Anche in termini d’autonomia di processo, l’innovazione formale si differenzia da quella tecnologica per il suo alto grado di
discrezionalità, dipendendo dalla moda e dalla creatività dei progettisti, mentre l’innovazione tecnologica è vincolata dai processi della
ricerca, di norma esogeni all’impresa.
L’evoluzione del concetto trova infine una riprova in tre recenti indagini dirette, che hanno consentito di accertare, rispettivamente: la
frequente simbiosi fra innovazione formale e altre forme d’innovazione; l’iniziale acquisizione del concetto da parte della cultura
imprenditoriale; l’avvio di politiche di sviluppo fondate anche su questa tipologia d’innovazione.
Il concetto è ormai presente, sia pure ancora in termini limitati, nella letteratura economica e in quella del design, mentre compare con
crescente frequenza nell’universo del Web, in particolare nell’area economico-culturale di lingua inglese, cui va quasi la metà delle
ricorrenze (45,5%).
Parole Chiave Innovazione formale, mutamento del prodotto.
Continuità e contendibilità della leadership dei progetti integrati territoriali: un’indagine
empirica
Tito Bianchi
Ministero Economia Finanze UVAL
Giuseppe Di Giacomo
Università degli Studi di Palermo
Sommario Le regole di governo dei processi di sviluppo locale - quelle che presiedono all’assegnazione dei principali incarichi di
progettazione e di amministrazione a livello locale - devono tenere conto dei rischi e dei vantaggi associati al consolidamento nel tempo
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di queste posizioni di responsabilità. Da un lato si vorrebbe che le competenze che si vanno accumulando nel tempo in materia di
progettazione e gestione non vadano perdute con l’avvicendarsi di progetti diversi, dall’altro è bene evitare il rischio che singoli individui
accumulino su di sé queste responsabilità a tempo indeterminato, andando a costituire posizioni di potere non-contendibili, legittimate
esclusivamente dal ruolo tecnico che svolgono di intermediazione delle risorse per lo sviluppo. Da un lato assicurare continuità agli
ambiti geografici investiti dalla programmazione d’area ed alle istituzioni ad essa preposte può dare ordine e certezza alla progettazione
di livello territoriale, dall’altro è da tutelare anche il valore della concorrenza tra diverse persone ed organizzazioni portatrici di idee
diverse, in quanto garantisce uno stimolo all’innovazione organizzativa e progettuale. L’indagine telefonica rivolta ai gruppi dirigenti dei
PIT nel novembre 2004 ha messo a disposizione dati che possono gettare una prima luce, anche se parziale, su questi temi. In particolare,
ai soggetti che occupano ruoli di responsabilità nei Progetti Integrati Territoriali - la principale modalità di promozione dello sviluppo
locale attualmente in fase di in attuazione nelle aree depresse del paese - sono state rivolte domande tese ad accertare ed a misurare il loro
grado di contemporaneo coinvolgimento in altri progetti per lo sviluppo dei medesimi territori, ed il loro coinvolgimento in altri progetti
di sviluppo locale in periodi precedenti. Distinguendo tra i soggetti tecnici e quelli più spiccatamente politici si è cercato di accertare, con
queste ed altre domande, il grado di radicamento territoriale di questi leaders locali, i momenti di cesura e quelli di continuità tra le
esperienze di sviluppo locale del presente e quelle del recente passato. Questo contributo offre una disamina critica di questi dati
quantitativi tesa a comprendere che cosa ci si può aspettare in materia di accumulazione delle competenze e di apertura a contributi di
conoscenze e progettualità diversi, dall’attuale quadro di attribuzione delle responsabilità per la progettazione e l’attuazione dei progetti
di sviluppo locale.
Parole Chiave Processi decisionali, progetti integrati territoriali.
Le implicazioni economiche ed ambientali delle politiche di trasporto pubblico urbano
integrate: il caso della città di Perugia
Simona Bigerna
Paolo Polinori
Università degli Studi di Perugia - Dipartimento di Economia
Sommario I recenti interventi amministrativi che si sono resi necessari nelle città italiane al fine di abbassare il livello d’inquinamento
(blocco dei mezzi non catalizzati, targhe alterne, ampliamento delle zone blu chiuse al traffico, etc.) hanno confermato una volta di più la
natura globale del problema che ha coinvolto non solo i grandi centri ma anche quelli più piccoli, prospettando la necessità di soluzioni
efficaci e sostenibili soprattutto nel lungo periodo e che siano tali anche dal punto di vista dell’equità. Chiaramente, sia per il problema
dell’inquinamento che per quello della congestione da traffico (Pellizzari, Fiorio 2003), una risposta iniqua verso le fasce
economicamente più svantaggiate e centrata sul cittadino privato non può costituire un rimedio accettabile. In altre parole la sempre
maggior competitività del mezzo privato nei confronti del mezzo pubblico può essere più efficacemente contrastata attraverso politiche
innovative di gestione del trasporto pubblico piuttosto che mediante provvedimenti tampone posti a limitare la libertà del singolo
cittadino. In tal senso la performance manifestata dal trasporto pubblico nella città di Perugia può rappresentare un esempio. Infatti,
secondo un’indagine dell’Istat (2001, p.327), nel triennio 1996-99 gli autobus hanno perso oltre il 44% dei passeggeri ad Ancona, il 4,6%
a Bologna ed oltre il 2% a Firenze. Un andamento contrario si registra invece a Roma con un leggero incremento (+0,25%) mentre
aumenti più significativi si sono avuti a Palermo (+8%), a Genova (+8,7%), a Napoli e Bari (+15%), e soprattutto a Perugia (+31%). Tale
performance, è bene ribadirlo, si è registrata in un periodo (1992- 1998) in cui le sole aziende aderenti a Federtrasporti avevano visto
diminuire i viaggiatori di quasi il 13,2% (Boitani, Cambini, 2001). Più in generale, in Europa, esempi di sistemi di offerta di trasporto
integrati sono ben conosciuti: relativamente alla Germania all’Austria ed alla Svizzera si veda Pucher e Kurth (1996) mentre per la città
di Madrid si rimanda a Matas (2004). Il concetto di integrazione è ovviamente alquanto ampio e generico e va adattato e contestualizzato
ai singoli casi, alle singole realtà alle diverse modalità di sviluppo urbanistico basti pensare alle diversità tra una città come Perugia ed
una città come Madrid. In virtù di queste osservazioni il concetto di integrazione adottato in questo contribut o è prettamente economico e
positivo in quanto inteso come rapporto di complementarietà/sostituibilità tra trasporto pubblico e privato ovvero come effettivo
spostamento della domanda di trasporto dal mezzo privato al mezzo di trasporto pubblico nelle sue varie forme. Per quanto riguarda la
città di Perugia le forme di trasporto pubblico “alternativo” hanno costituito da sempre oltre che una necessità anche un progetto che
vede accanto agli autobus per il servizio urbano le strutture integrate di trasporto ettometrico (People Mover) come le scale mobili e gli
ascensori che consentono di spostarsi liberamente tra i diversi punti della città coprendo anche dislivelli superiori al 30%. In un simile
quadro il contributo si prefigge l’obiettivo di individuare i motivi che stanno alla base della performance del trasporto pubblico a Perugia
ed in tal senso si stimerà una funzione di domanda aggregata che ci consentirà di ottenere parametri importanti relativi alle principali
prerogative del trasporto pubblico stesso. Il lavoro è strutturato in quattro sezioni. Nella prima si darà un analisi descrittiva degli ultimi
anni del trasporto pubblico a Perugia; nella seconda si illustrerà la metodologia e la banca dati utilizzata; nella terza saranno presentati i
risultati delle stime infine l’ultima sezione sarà centrata sulle considerazioni conclusive.
Parole Chiave Domanda ed offerta di trasporto pubblico, trasporto integrato, stima delle funzioni di domanda.
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Quartieri urbani emergenti: analisi della dinamica di un sistema multi agente con
l’approccio peak to peak maps (ppm)
Paola Bolchi
Lidia Diappi
DIAP Politecnico di Milano
Sommario Quasi tutte le città storiche presentano il fenomeno dei quartieri emergenti. Quartieri generalmente degradati, ma con una
certa storia e identità, che a partire da un certo momento improvvisamente decollano mostrando chiari segni di rigenerazione,
sostituzione funzionale, spontaneo recupero edilizio. I vecchi ceti popolari a poco a poco cedono il posto a popolazione più giovane,
acculturata ed affluente in grado di pagare prezzi in continua crescita (Gentrification).
Il fenomeno di rigenerazione è spontaneo; anche se gli interventi urbanistici possono aver creato le esternalità sufficienti al decollo.
Definiamo la rigenerazione dei quartieri urbani come “un fenomeno emergente” in quanto la sua genesi non è spiegata sufficientemente
dalle teorie della rendita urbana.
La dinamica spaziale e temporale del processo di “Gentrification” dei quartieri non sembra infatti correlata all’accessibilità e quindi alla
centralità dell’area, quanto a particolari condizioni locali capaci di innestare logiche di mercato favorevoli alla rigenerazione ( Ley, 1987
e 1996; Lipton, 1977).
L’“emergenza” del processo sembra prodursi dall’interazione dei micro-attori coinvolti (piccoli proprietari, inquilini, investitori
immobiliari), che si influenzano l’un l’altro nelle decisioni di investire o meno in manutenzione o ristrutturazione, poiché comunque la
qualità dell’intorno condiziona il valore attuale e atteso della rendita immobiliare.
All’interno del ciclo di vita degli edifici infatti, durante una fase di progressiva obsolescenza, anche chi volesse investire nel proprio
alloggio non può attendersi una rendita superiore a quella del vicinato (degradato). Si determina quindi un turn over degli abitanti verso i
livelli più disagiati. Al contrario in una fase di rigenerazione fisica e Gentrification ogni investimento su immobili degradati avrà un
ritorno positivo poiché la rendita sarà comunque allineata sui livelli degli edifici circostanti.
Il ciclo negativo cambia segno quando il divario tra rendita attuale, necessariamente bassa per il livello di degrado, e la rendita potenziale
che si potrebbe realizzare dopo l’intervento (valutazione questa che è basata su una conoscenza globale del mercato propria di grandi
operatori del mercato immobiliare) è sufficientemente elevata (il “Rent Gap” di Smith, 1979 e 1995).
Il contributo sviluppa in forma simulativa una precedente versione del modello in Sistema Multi Agente (SMA) (Diappi, Bolchi, 2004),
costruito su regole comportamentali dei diversi attori coinvolti: i proprietari abitanti, i locatori, gli inquilini e gli investitori immobiliari.
Attraverso le simulazioni vengono identificati i valori chiave dei parametri in rapporto agli andamenti nello sviluppo globale del sistema
stesso. In particolare verranno presi in esame parametri quali: la liquidità del mercato, il livello e la forma della rendita potenziale urbana,
i costi di costruzione, la dimensione del vicinato e il rapporto tra alloggi in proprietà ed affitto.
L’analisi della dinamica è stata sviluppata anche attraverso il metodo “Peak to peak dynamics” (PPD), che si basa su una mappa degli
andamenti dei valori massimi dei parametri nel tempo. In base ad essa l’ampiezza e il tempo di ritorno del picco successivo della
variabile di output può essere prevista in funzione dei picchi precedenti (Candaten, Rinaldi, 2000; Piccardi, Rinaldi, 2000). Si individua
quindi il comportamento, stabile, instabile o caotico del sistema.
Parole Chiave Gentrification, rendita urbana, processi emergenti, sistemi multi-agente.
Crescita e sviluppo nelle città metropolitane italiane nel decennio 1991 - 2001
Carlo Andrea Bollino
Paolo Polinori
Università degli Studi di Perugia - Dipartimento di Economia
Sommario Diversi percorsi di crescita e sviluppo economico esistenti all’interno di uno stesso paese non trovano determinanti di rilievo
nelle usuali variabili esplicative adottate a livello di analisi “cross-country”. L’omogeneità degli aspetti istituzionali riduce di molto la
variabilità esistente tra le diverse unità oggetto di analisi. In letteratura molte delle diversità esistenti tra regioni o unità sub-regionali
sono interpretate come risultato di differenze nelle dotazioni di capitale umano, capitale sociale, livelli di specializzazione settoriale solo
per indicare alcune determinanti (Per l’Italia si vedano solo a titolo di esempio: Forni e Paba, 2000; Peri 2004; Rizzi 2003). Il presente
contributo, sfruttando la ricostruzione statistica del valore aggiunto per 14 città metropolitane da noi effettuata in altra sede (Bollino et al.
2004) intende estendere questo tipo d’indagine a livello di città metropolitane controllando, vista l’importanza della dimensione
geografica dell’analisi (Magrini 2003) l’analisi alle diverse scale territoriali (sistemi locali del lavoro [SLL] e province) per le 14 realtà
italiane. L’interesse per queste realtà va tra l’altro ricercato nel ruolo svolto dalle aree metropolitane che trova riscontro nel peso che
queste hanno in termini demografici, sociali ed economici quando rapportato sia ai propri territori periferici che al contesto nazionale. Il
lavoro si articola in due sezioni: una breve introduttiva in cui si descrivono le grandezze ricostruite per le 14 città e si attua un confronto
con le relative unità a scala geografica maggiore; una seconda in cui si analizza la crescita e le sue determinati nel periodo 1991 - 2001
ponendo particolare attenzione al capitale umano e sociale. La prima sezione conferma l’importanza economica di queste realtà. Con
riferimento al 2001 in queste realtà risiede circa il 20 % della popolazione nazionale e secondo le nostre stime (Bollino et al. 2004) si
produce il 25% del valore aggiunto nazionale. Di un certo rilievo è anche il dato relativo alla frazione di valore aggiunto provinciale
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A.I.S.Re
attribuibile alla relativa città metropolitana capoluogo con il valore che si colloca tra il 35%, con i valori più bassi per due città del Sud,
Bari e Messina, ed il 90% per le due città “portuali” del Nord, Trieste e Genova. Nella seconda sezione usando le informazioni di nostra
ricostruzione si cercherà di indagare il successo economico delle realtà metropolitane controllando per variabili proprie del capitale
umano e sociale indagando anche la stabilità di queste relazioni alle tre diverse scale geografiche: città, SLL e province. Le analisi
saranno condotte sia con dati panel sfruttando per intero le serie ricostruite, sia con analisi cross section parametricamente più
parsimoniose. I risultati attesi concernono informazioni originali sulle realtà delle città metropolitane per l’Italia
Parole Chiave Città metropolitane, capitale umano, capitale sociale.
Un’analisi delle prestazioni di tecniche indirette nella stima di coefficienti e moltiplicatori
I-O
Andrea Bonfiglio
Università Politecnica delle Marche - Dipartimento di Economia
Sommario La costruzione di tavole I-O regionali rappresenta ancora un importante obiettivo per studiosi ed esperti regionali sia per la
possibilità offerta dai modelli I-O di misurare l’impatto nell’economia prodotto da politiche locali o sovra-locali, sia perché le tavole I-O
regionali si rivelano spesso la base di partenza per la costruzione delle SAMs e lo sviluppo di modelli CGE. Tuttavia la costruzione di
tavole I-O richiede la raccolta di un elevato volume di informazioni che, specie a livello locale, risulta di difficile reperimento. Per questa
ragione, nel corso degli anni sono stati sviluppati approcci alternativi per la derivazione di tavole I-O regionali, identificabili in tre
categorie principali: metodi “survey”, metodi “non-survey” e metodi ibridi. Attualmente i metodi “ready-made”, fondamentalmente
basati sull’utilizzo di tecniche “non-survey”, e quelli ibridi rappresentano i metodi più utilizzati dal momento che consentono di ridurre
drasticamente i costi di costruzione delle tavole e, nel caso dei metodi ibridi, di raggiungere livelli soddisfacenti di affidabilità. L’ampio
utilizzo di tecniche indirette per la derivazione di tavole I-O regionali, impiegate per la stima degli impatti di politiche e in generale per la
descrizione della struttura produttiva regionale, pone il problema di verificare le effettive prestazioni dei metodi di stima nel
rappresentare in dettaglio una data struttura produttiva (accuratezza partitiva) o nello stimare gli impatti il più fedelmente possibile
(accuratezza olistica). L’obiettivo di questo lavoro è quello di valutare le prestazioni di 8 metodi “non-survey” nel riprodurre un modello
I-O “survey” sia in termini di coefficienti I-O che in termini di moltiplicatori di output. La tavola di riferimento è una tavola I-O del 1974
relativa alla regione Marche e costruita attraverso una indagine campionaria. I metodi esplorati sono: il “Simple Location Quotient”
(SLQ); il “Purchases-only Location Quotient” (PLQ); il “West Location Quotient” (WLQ); il “Cross-Industry Location Quotient”
(CILQ); il “Semilogarithmic Location Quotient” (RLQ); il “Symmetric Cross Industry Location Quotient” (SCILQ); il “Flegg et al.
Location Quotient” (FLQ) ; e il “Supply Demand Pool” (SDP). Il confronto fra i metodi implica una scelta delle misure di distanza da
utilizzare. In letteratura, le statistiche che sono state scelte ed impiegate a questo scopo appaiano numerose. Dal momento che le varie
misure di distanza possiedono caratteristiche e proprietà diverse, uno dei problemi comuni agli studi empirici è che i risultati possono
essere condizionati dalla scelta iniziale. Inoltre nel caso di un utilizzo congiunto di più statistiche, vi è il rischio che alcune mostrino una
stessa struttura degli errori di simulazione facendo apparire un metodo migliore o peggiore di quanto in realtà non sia. Per ovviare ai
problemi sopra esposti, in questo lavoro viene selezionato un pacchetto di statistiche che sia il più ampio possibile ed escluda eventuali
misure ridondanti. Il processo di selezione si articola in 3 fasi sequenziali. Una fase esplorativa in cui vengono raccolte e descritte le
statistiche utilizzate negli studi empirici esistenti. Una fase investigativa in cui viene condotta una analisi della correlazione fra le misure,
applicate a una serie di matrici I-O generate casualmente. Infine una fase selettiva volta ad individuare e selezionare le statistiche che non
mostrano nessuna correlazione o mostrano una più alta correlazione rispetto alle altre. Le statistiche così selezionate vengono impiegate
per la valutazione delle prestazioni dei metodi “non-survey” nel riprodurre le stime campionarie. Particolare attenzione viene dedicata
all’analisi del comportamento del FLQ al variare del parametro “delta”.
Parole Chiave Matrici I-O, modello survey, tecniche non-survey, analisi delle prestazioni.
Un'analisi dei divari territoriali in un contesto duale: il caso Italia
Filippa Bono
Rosa Giaimo
Salvatore Sacco
Università degli Studi di Palermo
Sommario Abstact Le più importanti teorie offrono diversi approcci alla valutazione dell’ipotesi di convergenza. Tali studi si sono
occupati, in particolare, di dimostrare, se le regioni a basso livello di reddito crescono più rapidamente di quelle relativamente più ricche
e in secondo luogo, se la convergenza è influenzata da altri fattori quali il commercio e/o da fattori di mobilità. Gli studi sulla
connessione tra mobilità del lavoro e velocità di convergenza del reddito non hanno portato a risultati concordi. Barro e Sala-i-Martin
(1991, 1992, 1995) hanno dimostrato che sia in Europa che negli U.S., il tasso di convergenza entro le economie regionali è molto vicino
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a quello che si registra tra le nazioni o stati. La loro spiegazione è che la presunta, elevata, mobilità del lavoro tra gli stati dell’U.S. è,
invece, troppo bassa per avere effetto sulla velocità di convergenza. Molti autori sostengono, invece, che i risultati empirici sono
influenzati dall’omissione di alcune variabili nel modello teorico impiegato (Islam, 1995; Caselli et al., 1996; Quah, 1996). L’approccio
tradizionale all’analisi della produttività attraverso la stima di modelli medi (es. Solow, 1957) considerano l’assunzione che tutti gli
individui siano efficienti, in modo che la crescita nella produttività si può interpretare come movimento della funzione frontiera
(cambiamento tecnico). Gli approcci basati sulla frontiera massimante, tengono conto del possibile comportamento inefficiente delle
unità analizzate, misurando come inefficienza l’aumento potenziale del valore osservato nella produzione, calcolato sulla base della
frontiera di produzione massimante. Partendo dalla constatazione che le persone si muovono in prevalenza per migliorare le proprie
condizioni economiche, e dunque in cerca di salari più elevati, la mobilità territoriale, dovrebbe determinare un riequilibrio nei salari tra
le regioni. Partendo da queste basi, nel lavoro si vuole proporre un modello che tenga conto dei fattori (umani e materiali) che
contribuiscono alla crescita economica di un paese/regione, e dei fattori quali il livello di efficienza e la mobilità che, secondo il nostro
punto di vista, hanno un effetto nella determinazione dei divari economici di un paese e, sono stati in molti casi trascurati. A tale scopo si
intende utilizzare l’approccio non parametrico DEA adattato al caso in cui si lavora con dati di tipo cross-section e con una funzione di
distanza tendente a misurare l’ipotesi di convergenza delle regioni italiane. Il modello che si intende utilizzare è il context -dependent
DEA che tiene conto dell’effetto del contesto di riferimento nella valutazione dell’efficienza delle regioni italiane. In tal modo è possibile
studiare meglio l’influenza del contesto di riferimento nell’analisi dell’efficienza e gli effetti sul processo di convergenza tra le regioni.
Parole Chiave Divari, analisi, DEA.
La governance territorializzata. Tra azione collettiva e sviluppo locale
Nunzia Borrelli
Politecnico di Torino
Sommario Il paper che si desidera presentare in occasione della conferenza Aisre 2005 riguarda il tema della governance urbana e
territoriale. In maniera particolare l’attenzione è rivolta alle relazioni esistenti tra le azioni di governance e il territorio, dove il territorio
non indica esclusivamente le dotazioni fisiche ed ambientali, ma le relazioni tra ambiente fisico, antropico e costruito (Magnaghi, 2000).
La ragione per la quale interessa intraprendere questo tipo di ragionamento, è rintracciabile principalmente nel fatto che le stesse
politiche in contesti con problemi simili hanno evoluzioni ed esiti molto diversi. Tale diversità si ritiene possa essere attribuita ad alcune
differenze del contesto territoriale. Tali differenze sollecitano a sollevare il problema delle relazioni tra territorio e azioni di governance
territoriale, ed a comprendere in che modo “il territorio media la definizione delle azioni di governance” (Kearns, 1995). Considerato il
tema generale del paper, l’obiettivo è indagare le relazioni tra territorio e azioni di governance, individuando le caratteristiche delle
azioni di governance territoriale e urbana che ambiscono ad un trattamento positivo e attivo dell’insieme delle dotazioni del territorio,
ossia illustrando le caratteristiche di azioni di governance territorializzate. Il problema della territorializzazione delle azioni di
governance è un problema sollevato in più modi dalla letteratura. Il riferimento è ad autori come Le Galès (1997) quando definisce la
territorializzazione una delle dimensioni costitutive della governance; Cars ed Healey (2002) quando, per sottolineare che le specificità
dei luoghi concorrono alla definizione delle azioni di governance, definiscono la governance territoriale come governance place-focused.
E Dematteis (1999, 2003) e Governa (2005) quando parlano della governance territoriale come governance della territorialità, per
evidenziare che le azioni di governance possono essere il mezzo per la costruzione di relazioni positive ed attive con il territorio, ossia
sono lo strumento attraverso il quale mobilitare e valorizzare l’insieme delle dotazioni del territorio. L’interesse a tale problema
scaturisce dalle possibilità che esso offre di stabilire se le azioni di governance favoriscono l’innesco di processi di sviluppo locale. In
altro modo, aiuta a definire se le azioni, sollecitando la valorizzazione dell’insieme delle dotazioni endogene del territorio - conoscitiveculturali, socio-relazionali, politiche, economiche, fisiche e ambientali -, conducono all’autonomia degli attori ed alla valorizzazione
delle dotazioni del territorio. Il metodo che si utilizzerà per l’esposizione, implica l’individuazione, ricorrendo alla letteratura, delle
caratteristiche della governance territorializzata. Tali caratteristiche riguardano gli attori, le relazioni che essi intrattengono tra loro e con
le dotazioni del territorio ed infine le relazioni che il sistema locale territoriale intrattiene con l’eterno. Al fine di spiegare in maniera più
esaustiva quali sono le caratteristiche della governance territorializzata si ritiene opportuno introdurre due esempi, che riguardano due
territori del Sud Italia, uno il Nord-Est di Napoli, l’altro il Calatino Sud Simeto nella provincia di Catania. L’introduzione di due esempi
aiuterà a chiarire le caratteristiche della governance territorializzata, ed ad evidenziare cosa la lettura della governance in relazione al
territorio aiuta a comprendere della realtà. Le conclusioni dell’elaborato saranno, infine, dedicate ai possibili usi nella pratica di una
lettura della governance in riferimento al trattamento del territorio. Ciò su cui si punterà l’attenzione è il modo in cui, tale lettura può
essere utilizzata per stabilire gli effetti dell’attuazione di una politica di sviluppo, oppure per comprendere se un territorio, avendo
maturato capacità d’azione territorializzata, è in grado di intraprendere una politica di sviluppo.
Parole Chiave Governance territoriale, sviluppo locale, azione collettiva, territorio.
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Alunni stranieri, futuri cittadini: un confronto tra i percorsi formativi degli studenti
italiani e stranieri in Piemonte
Paola Borrione
Luisa Donato
Roberta Valetti
IRES Piemonte
Sommario Il paper intende mettere in discussione l’interpretazione restrittiva del concetto di integrazione sociale come chiave di lettura
dei fenomeni migratori nelle regioni italiane, a partire dal confronto dei percorsi formativi degli studenti italiani e stranieri al termine
dell’istruzione obbligatoria in Piemonte. L’uso del concetto di integrazione pone dei problemi di valutazione della stessa e di riflessione
rispetto a come immaginiamo il futuro della nostra società e le modalità di convivenza civile. Chi è integrato? Cosa significa? Quanto
incide la maggiore o minore integrazione, intesa come assimilazione, nella costruzione comune di una società plurale? La scelta di
analizzare i percorsi formativi dei giovani italiani e stranieri poggia sulla convinzione che la scuola, intesa come luogo di socializzazione,
sia uno strumento di costruzione dei cittadini e della società, nonché un osservatorio delle dinamiche e degli sviluppi che le nuove
generazioni contribuiranno a costruire. Le ipotesi su cui si fonda il nostro lavoro sono le seguenti: - il livello socio-culturale del nucleo
familiare di provenienza e il livello di istruzione dei genitori influenzano i risultati scolastici in misura maggiore rispetto alla nazionalità
di partenza. Per quanto riguarda i nuclei familiari composti da almeno un genitore straniero, è stato possibile conoscere il livello di
ambedue le variabili sia nel contesto di origine, sia in quello di immigrazione. Inoltre sono stati presi in considerazione indicatori del
livello di istruzione legati a stili di vita e di consumo culturale, quali, ad esempio, il possesso e la lettura di libri. - può accadere che la
piena integrazione rispetto al contesto socio-culturale italiano determini l’assunzione di un modello che non valorizza l’investimento
della famiglia immigrata e dello studente in istruzione, vista come uno strumento di crescita ed espressione personale e sociale. Tale
seconda ipotesi è suffragata dai risultati di eccellenza di alcuni studenti provenienti da diversi sistemi scolastici (Est Europa e Oriente),
inseriti al termine del percorso formativo obbligatorio italiano. Abbiamo messo alla prova tali ipotesi tramite l’analisi della base dati del
programma dell’OCSE PISA: Program for International Student Assessment. Il progetto PISA ha infatti come obiettivo quello di
monitorare i dati relativi alle competenze degli studenti che l’OCSE giudica necessarie perché le persone possano agire come cittadini
all’interno della società. Tali competenze, acquisite tramite i sistemi formativi, vengono misurate all’età di quindici anni poiché nei paesi
che partecipano all’indagine questo è il limite del percorso formativo obbligatorio (diritto-dovere). Al termine di tale percorso le persone
possono infatti scegliere se proseguire gli studi o se inserirsi all’interno del mercato del lavoro I dati esaminati ai fini della nostra analisi
sono relativi a: - performances degli studenti italiani, italiani con un genitore straniero, stranieri di prima e seconda generazione, nelle
prove PISA relative a lettura, matematica, scienze e problem solving; - percezione degli studenti rispetto al proprio livello di inserimento
all’interno del contesto scolastico e culturale.
Parole Chiave Immigrazione, istruzione, integrazione, investimento.
Misurare lo sviluppo sociale nelle regioni
Paola Borrione
Renato Cogno
Maria Cristina Migliore
IRES Piemonte
Sommario Il nostro lavoro propone una lettura ed interpretazione del sistema sociale ed economico del Piemonte, secondo una
prospettiva di confronto sincronico e diacronico con le altre regioni italiane. Tale tipologia di analisi si inserisce nel filone i ricerca che
ritiene che lo sviluppo e il benessere delle persone non dipendano solamente da elementi economici, ma siano influenzati anche da altri
fattori (SEN, 2000; UNDP, 1992). Si possono infatti notare diversi livelli di qualità di vita, differenti dinamiche sociali, differenti livelli
di coesione e sicurezza, in territori che mostrano invece indicatori economici, quali ad esempio il reddito procapite, molto simili. Lo
Sviluppo sociale è quindi un concetto distinto da quello economico, per il quale può rappresentare una risorsa, che abbraccia dimensioni
differenti. Al fine di cogliere e rappresentare, anche in termini “quantitativi”, tali fondamentali dimensioni dello sviluppo sociale, l’IRES
Piemonte ha elaborato il sistema di indicatori sociali regionali SISREG. Tale strumento, utilizzato quale modello per la presente analisi, è
infatti orientato a permettere una sintetica descrizione e comparazione dei caratteri dello “sviluppo sociale” delle regioni italiane.
SISREG è stato progettato a partire dal sistema di indicatori dell’OECD, grazie ad un lavoro di verifica della disponibilità dei dati, e
passando attraverso un esame del significato assunto dagli indicatori nel contesto di analisi comparative a livello intra-nazionale, in cui i
territori sono teoricamente più omogenei a dal punto di vista economico, sociale, culturale e istituzionale. È stato scelto quale modello di
riferimento il sistema di indicatori elaborato dall’OECD poiché, coerentemente con gli scopi dell’IRES Piemonte, ente di ricerca al
servizio delle pubbliche amministrazioni, esso è in grado di rispecchiare gli obiettivi delle politiche pubbliche, e in parte, attraverso il
confronto degli andamenti nel tempo dei diversi indicatori, di fornire indicazioni sintetiche sugli effetti delle stesse. L’intento di tale
sistema è quello di richiamare l’attenzione sulle relazioni tra le diverse dimensioni dello sviluppo, di evidenziare alcuni nodi sociali
problematici dello sviluppo delle regioni italiane e di rilevare presenza e intensità di specifiche politiche sociali (locali, regionali,
nazionali), sempre in termini di analisi comparata, con alcuni riferimenti anche ad altre regioni europee. Presentiamo quindi una lettura
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comparata del Piemonte e delle altre regioni italiani rispetto ai quattro domini in cui si articolano gli indicatori di SISREG,
corrispondenti a quattro diversi ambiti delle politiche sociali: - autonomia/sicurezza (self-sufficiency), intesa come misura
dell’autosufficienza personale e della partecipazione all’economia e alla società; - equità, intesa come misura delle differenze nella
distribuzione delle risorse viste prevalentemente in termini di risultato; - salute, che include alcune dimensioni del benessere fisico delle
persone e delle strutture atte a conservarlo; - coesione sociale, i cui indicatori sono stati individuati con riferimento ad alcune patologie
sociali considerate un effetto della mancanza di Coesione Sociale e ai comportamenti che innalzano il grado di coesione della società. Il
paper espone inoltre pregi e difetti del sistema di indicatori adottato e ne prospetta i probabili futuri sviluppi, sulla base da una parte dei
risultati ottenuti applicando il modello all’analisi dello sviluppo sociale piemontese, dall’altra della ricerca teorica che ha accompagnato
il lavoro di ricerca.
Parole Chiave Indicatori, benessere, sviluppo sociale.
Verso la stima di un indice composto di attrattività territoriale: un approccio
metodologico
Maria Teresa Borzacchiello
Università degli Studi di Napoli “Federico II” - Dipartimento di Ingegneria dei Trasporti “Luigi Tocchetti”
Francesca Torrieri
Università degli Studi di Napoli “Federico II” - Dipartimento di conservazione dei Beni Architettonici ed Ambientali
Sommario Negli ultimi tempi il tema della capacità di attrazione di un territorio è stato ampiamente dibattuto. Esistono molti studi e
ricerche empiriche (Fondazione Italiana Accenture 2004; Ambrosetti, Intesa BCI 2003) che partendo da alcuni indicatori si propongono
di individuare le determinanti di un fenomeno per sua natura articolato e complesso. In questo studio ci si pone l’obiettivo di valutare
l’attrattività di un sistema territoriale partendo dall’analisi diretta delle molteplici dimensioni del fenomeno complesso in oggetto,
proponendo un approccio metodologico integrato per la definizione di un indice sintetico. La necessità di costruire un indice sintetico che
rappresenti la capacità di un territorio di attirare, valorizzare e trattenere risorse nasce nell’ambito di una ricerca più ampia in cui si ci si
pone il problema di analizzare le complesse interazioni esistenti tra il sistema della mobilità e l’assetto del territorio, con particolare
attenzione alla valutazione degli impatti generati dalle trasformazioni territoriali sul sistema dei trasporti, e viceversa.
Gli assetti, territoriali, infatti, ed in particolare la capacità di un territorio di attrarre servizi ed attività può fortemente condizionare la
distribuzione dei flussi di persone e di merci sul territorio e di conseguenza la pianificazione del sistema della mobilità e delle
infrastrutture.
Nella consolidata tradizione della modellistica sui sistemi di trasporto (Cascetta, 1998, Ortùzar e Willumsen, 2001 et. al.), gli assetti
territoriali, sia attuali che futuri, sono sintetizzati e rappresentati attraverso il “sistema delle attività”; di essi si tiene conto quasi
esclusivamente attraverso variabili esogene di tipo socio economico che, introdotte come input in modelli di comportamento basati sulla
teoria delle scelte discrete (MacFadden, 1975, Ben Akiva, 1985), influenzano le previsioni circa l’entità della domanda attuale e futura.
Considerando che fasce crescenti di mobilità non sono rappresentabili attraverso i modelli classici di cui sopra, la ricerca si propone
l’integrazione di indici sintetici (quale ad esempio quello di attrattività), espressione delle trasformazioni territoriali, nelle analisi di
mobilità in modo da considerare il territorio non come un elemento indipendente su cui si insedia il sistema dei trasporti con i suoi attori,
ma come un sistema che nel lungo periodo si trasforma in dipendenza non solo delle scelte di programmazione strettamente territoriale,
ma anche delle strategie di sviluppo e di organizzazione della mobilità.
In altri termini, ci si pone come obiettivo quello di comprendere e formalizzare le relazioni reciproche tra le trasformazioni territoriali da
un lato, e l’evoluzione temporale degli scenari trasportistici dall’altro, per poter ipotizzare uno stato futuro “desiderato” di cui monitorare
e all’occorrenza modificare lo sviluppo nel tempo, a partire da uno stato attuale.
Si pone in particolare, l’attenzione su due problematiche :
1.
definire una metodologia per la costruzione di un indice sintetico che rappresenti la capacità di attrazione di un territorio;
2.
studiare una possibile relazione tra la capacità di attrazione di un territorio e la domanda di mobilità generata.
Al fine di raggiungere tali obiettivi è stata proposta una metodologia di analisi per la costruzione di un indice sintetico di
attrattività,sviluppata secondo una logica multidimensionale.
Tale metodologia verrà testata, nel prosieguo dello studio, su un’area test della Provincia di Napoli.
L’innovazione logistica in una filiera produttiva orientata all’esportazione
Flavio Boscacci
Politecnico di Milano - DIAP
Sommario I processi di rilocalizzazione industriale su vasta scala territoriale portano con sé nuove esigenze di supporto logistico alle
imprese e ai sistemi produttivi. Le imprese più attrezzate ricorrono al supply chain management come momento organizzativo dei servizi
di approvvigionamento dei fattori fisici della produzione e di distribuzione dei prodotti, mentre le aziende di più piccola dimensione
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anche da questo punto di vista sono penalizzate e tendono a perdere competitività. Nell’ambito degli obiettivi di recupero di margini di
vantaggio competitivo per le nostre esportazioni, si è proceduto ad effettuare un’analisi della situazione per quanto riguarda la filiera (o
sistema) della moda. Si è fatto riferimento, in questo caso, al cosiddetto “metadistretto della moda” nel territorio della Lombardia per
approfondirne le logiche localizzative e di funzionamento, nonché tutti quegli aspetti tecnologici e organizzativi del supply chain
management che sono in questo contesto considerati elementi significativi della competitività. La logica del metadistretto è stata assunta
per questa ricerca in quanto non solo consente di individuare le attività manifatturiere di produzione dei tessuti e delle confezioni di
abbigliamento, ma di risalire anche ai luoghi di ideazione, progettazione e governo delle filiere produttive interessate. In questo caso, la
città di Milano rientra a pieno titolo nel metadistretto regionale lombardo perché, pur non essendo area manifatturiera, è centro
direzionale e di supporto per tutte le attività di servizio e di promozione del prodotto. La relazione, da una parte, cerca di evidenziare le
logiche localizzative della produzione e in particolare la dinamica degli investimenti diretti all’estero; dall’altra si occupa di rilevare i
progressi nel trattamento logistico dei flussi di beni oggetto di questo tipo di commercio e, in particolare, dell’innovazione RFID, ovvero
dell’applicazione delle tecnologie e tecniche di tracciabilità del prodotto. Ciò, anche in vista del contrasto al commercio illegale e alla
concorrenza sleale cui le produzioni “made in Italy” sono ormai pesantemente soggette. L’indagine trova il suo quadro di riferimento
nell’evoluzione delle teorie della crescita e del vantaggio competitivo. Altri riferimenti specifici si trovano nella continuità delle ricerche
sulla logistica (domandata e offerta) svolte nell’ambito del Laboratorio di Economia, Logistica e Territorio (LabElt) del Politecnico di
Milano. Ricerche che hanno dato luogo a varie pubblicazioni, tra le quali due volumi curati dall’autore e pubblicati rispettivamente da
Egea (2003) e da Polipress (2004).
Parole Chiave Innovazione, logistica, filiera.
Le olimpiadi per il territorio
Marta Bottero
Claudia Cassatella
Roberto Gambino
Sara Levi Sacerdotti
Giulio Mondini
Attilia Peano
Marco Valle
SITI
Sommario Le Olimpiadi invernali del 2006 hanno offerto l’occasione per una esperienza di interesse non soltanto regionale ma anche
nazionale e internazionale, soprattutto per quanto concerne: - la gestione (e la pianificazione e la governance) dei “grandi eventi” ad
elevato potenziale impatto sul territorio, - la valutazione e il monitoraggio dei programmi complessi, nella fase preventiva, attuativa ed
ex-post. Il monitoraggio avviato da SITI nel 2004 si inquadra in un insieme complesso di attività di pianificazione, di valutazione e di
controllo, dal Dossier di candidatura alla VAS alle Valutazioni d’impatto specifiche, alle attività di monitoraggio e di osservazione critica
interne ed esterne al TOROC. Rispetto a tali attività, la ricerca SITI si caratterizza per: l’allargamento sistematico del campo d’attenzione
a tutti i territori che potranno essere influenzati in vario modo dalle azioni previste dal Programma, la focalizzazione sulle implicazioni
territoriali, in senso ampio ed integrato, delle azioni in programma, l’avvio di un’attività di monitoraggio prolungata nel tempo, sugli
effetti permanenti (dopo l’evento), dell’“eredità olimpica”. Al centro del campo si situa pertanto il rapporto Olimpiadi/Territorio,
considerando: - per quanto concerne le Olimpiadi, l’insieme non soltanto delle opere in Programma (previste dal Dossier, o connesse o
“d’accompagnamento”) o di compensazione, ma anche le azioni e le attività direttamente o indirettamente legate alla preparazione e alla
realizzazione dell’evento, materiali e immateriali; - per quanto riguarda il Territorio, non soltanto l’ambiente fisico naturale, il paesaggio,
i sedimenti storici e culturali, il patrimonio insediativo e i sistemi infrastrutturali, ma anche il tessuto economico e sociale e gli attori
locali. L’analisi del suddetto rapporto ha preso spunto da una griglia valutativa, che incrocia gli obiettivi da perseguire, in vista
dell’ottimizzazione delle ricadute territoriali delle Olimpiadi (funzionalità, efficienza, qualità della vita ed equità sociale) con gli aspetti
da considerare ai fini di una valutazione, socialmente condivisibile, delle suddette ricadute. La lettura d’insieme della griglia suddetta
consente di evidenziare 5 temi-chiave su cui si è concentrata l’attenzione: un territorio aperto: ossia la possibilità di potenziare il grado
d’apertura e d’integrazione del sistema territoriale locale nei confronti delle reti di scambio, competizione e cooperazione internazionale,
con particolare riguardo per le infrastrutture di comunicazione materiale e immateriale; un ambiente vivibile: ossia la possibilità di
concorrere a migliorare durevolmente la qualità del contesto ambientale in cui vivono le comunità locali, in termini di accessibilità e
fruibilità dei servizi, di infrastrutture urbane di base, di tessuto economico e sociale, di mercato immobiliare; le imprese e lo sviluppo:
ossia la possibilità di concorrere all’innovazione del sistema economico e produttivo ed al rafforzamento delle imprese locali, in termini
di coinvolgimento negli appalti relativi alle opere in Programma e di capacità di innescare processi di sviluppo; un nuovo turismo: ossia
la possibilità di concorrere allo sviluppo endogeno di forme nuove di turismo sostenibile, basate sulla crescita della cultura dell’ospitalità,
sull’uso equilibrato e prudente delle risorse, sull’auto-gestione dei sistemi locali, sulla diversificazione dei modelli di fruizione e sulla
diffusione territoriale dei benefici economici e sociali; la risorsa paesaggio: ossia la possibilità di concorrere alla valorizzazione del
patrimonio naturale, paesistico e culturale, in quanto fondamento e non limite dello sviluppo, affidando in particolare al paesaggio la
funzione chiave di rafforzamento, qualificazione e innovazione dell’identità e dell’immagine della città, della regione e delle valli
interessate.
Parole Chiave Valutazione ambientale strategica, eredità materiale e immateriale.
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Cambiamenti strutturali dei sistemi manifatturieri locali in Italia
Bruno Bracalente
Massimo Cossignani
Università degli Studi di Perugia
Sommario Il modello italiano di sviluppo di piccola e media impresa manifatturiera sta attraversando una fase di transizione
particolarmente impegnativa, dopo l’intenso sviluppo dei decenni passati. Il crescente impatto dei grandi paesi emergenti nella
competizione globale impone al sistema produttivo italiano di PMI una evoluzione strutturale verso produzioni e settori a più elevati
livelli di qualità e di innovazione tecnologica (Fortis M, 1998). In questo nuovo quadro sono note le difficoltà che in generale mostrano i
sistemi produttivi locali e gli stessi distretti industriali nell’attivare quei processi di innovazione tecnologica e organizzativa e di
terziarizzazione caratteristici proprio di questa fase di transizione verso la nuova economia fondata sulla conoscenza (Varaldo, 2004).
Peraltro, alcuni studi mostrano come nei distretti italiani, da un lato si rilevino segnali di cambiamento nella specializzazione produttiva,
verso i cosiddetti settori fornitori specializzati (De Arcangelis - G. Ferri, 2003) e dall’altro che essi appaiono sempre più eterogenei al
loro interno, e tra sistemi, in particolare a causa del ruolo differenziato che in una parte di essi hanno iniziato a svolgere le medie imprese
(Rabellotti R., Schmitz H., 1999; Whitford J., 2001) e a causa del diverso impatto che in essi producono i crescenti fenomeni di
delocalizzazione produttiva. Attraverso i dati dei censimenti dell’industria e servizi, lo studio propone una analisi di carattere generale
della differenziazione che, sotto la spinta di questo insieme di fenomeni, si è andata realizzando nei percorsi di sviluppo, o di declino, dei
distretti italiani e degli altri sistemi locali specializzati nella manifattura leggera. L’obiettivo principale è quello di identificare i sistemi
locali che più di altri hanno saputo mettere in moto, già durante gli anni Novanta, i processi di trasformazione che sono caratteristici della
transizione verso un’economia basata sulla conoscenza e che possano consentire a tali sistemi di meglio fronteggiare la nuova
concorrenza internazionale. Più precisamente, a partire dalla classificazione dei sistemi produttivi locali per tipologie operata dall’ISTAT
e da opportune riclassificazioni degli addetti sia dell’industria che dei servizi, vengono identificate, attraverso analisi statistiche dei dati
censuari a livello di sistema locale del lavoro: a) le più significative tipologie omogenee di cambiamenti strutturali che hanno
accompagnato i processi di crescita dei sistemi produttivi locali nel decennio intercensuario in termini di specializzazione produt tiva e di
struttura dimensionale del sistema delle imprese manifatturiere; b) le principali dinamiche settoriali e dimensionali che invece hanno
accompagnato il declino relativo o assoluto di una parte dei distretti industriali e degli altri sistemi produttivi locali di manifattura
leggera. In questo quadro analitico, tramite un appropriato indicatore statistico viene in particolare definita una classificazione dei sistemi
produttivi locali di manifattura leggera (distrettuali e no) secondo l’intensità dei cambiamenti strutturali verso attività a più elevata skill
intensity. L’obiettivo è quello di identificare i sistemi locali che hanno avviato l’evoluzione della struttura produttiva verso attività
economiche a maggiore qualificazione del lavoro; di verificare se da questo punto di vista si è avviato un processo di convergenza o di
divergenza nel sistema territoriale italiano di PMI; di valutare la significatività della relazione tra questo tipo di cambiamento strutturale
e l’intensità della crescita dei sistemi produttivi locali manifatturieri. Pur nella consapevolezza che il problema delle attività high tech e a
più elevata skill intensity è da valutare anche e soprattutto all’interno di ogni “settore” piuttosto che tra settori (Baldwin e Gellatly,
1999), una analisi come quella qui sviluppata costituisce un primo necessario passo verso una più puntuale considerazione dei processi di
evoluzione qualitativa dell’industria italiana e in particolare dei nostri sistemi produttivi locali di PMI.
Parole Chiave Sviluppo, sistemi produttivi locali, skill intensity, specializzazione.
Endogenous interrelated growth: phenomena
Alberto Bramanti
Università Bocconi - Istituto di Economia Politica
Massimiliano Riggi
Università Bocconi - CERTeT - IEP
Sommario This paper is based on the model first developed by Bramanti and Miglierina (1995). Since Solow (1956) neoclassical models
explain growth as a process stemming from capital accumulation. Based on the assumption of decreasing marginal productivity of
capital, this framework implies that different countries converge to a common steady state with zero growth rates. Regardless relevant
peculiarities, this model and other extensions, have been applied to regions. Several attempts have been implemented to extend and
improve such models, allowing for the endogenous process to be endogenous and account for some regions to keep on growing over
time, as empirically observed. Romer (1986, 1990) and Lucas (1988), in different ways and to different extends, account for the
persistence of inequalities through the inclusion of human capital as the way to endogeneise technological progress. Though this is in the
direction of filling in the gaps between neoclassical models and the empirical evidence, regional economists are still unsatisfied by such
an approach that simply relaxes the hypotheses of the model linked to the exogeneity features, to apply the same framework for both
regional and national economies. Regional economies are not simply smaller economies, but different units of analysis with different
engines for growth. Regions grow with innovative behaviours stemming from relational attitudes of their actors: the more robust a region
is, the more likely these innovative attit udes take place within a region. Another important feature of regions consists in their openness,
which is also an important channel of growth. The gap to fill in is not relaxing hypotheses, but a different paradigm that addresses
phenomena and agents rather than factors. The model of interrelated endogenous growth stresses these two related dimensions, external
connections to innovation, innovation to growth, growth to internal connections. The evolution of these dimensions shapes the growth
trajectories of the local systems. We aim at investigating which critical values resides behind different patterns of such evolution, with a
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particular attention to the role of human capital building as the main innovative driver. In particular, the existence of a balanced path
between external and internal connections determines to which extent the growth patterns can be sustained in the long run. Unbalances
between these two dimensions may alternatively cause a situation in which the local system is too open and fades out due to dispersion,
and a situation in which the system becomes too closed and refuse any windowing to the rest of the world, which provides essential
inputs to innovate.
Parole Chiave System dynamics, regional development, economic growth.
Metodi e i ndicatori per la ripartizione ex-ante di risorse per le politiche regionali
Monica Brezzi
Aline Pennisi
Francesca Utili
Ministero Economia Finanza UVAL
Sommario La politica per lo sviluppo regionale a favore delle aree sottoutilizzate in Italia ha lo scopo di promuovere la competitività e al
contempo di migliorare le condizioni di vita dei cittadini nelle aree oggetto di intervento. Questi principi si riflettono nei criteri adottati
per la ripartizione delle risorse di spesa pubblica in conto capitale che mirano a 1) assicurare che risorse consistenti siano assegnate a
quei territori, nell’ambito delle aree in ritardo di sviluppo, dove il potenziale di crescita è più elevato e a 2) garantire che le aree più
arretrate tra le aree in ritardo di sviluppo non siano lasciate indietro. Il Governo nazionale ha deciso quindi di adottare un meccanismo
con forti elementi di perequazione nell’allocazione delle risorse tra Regioni (l’ammontare di risorse per regione è commisurato alla
dimensione territoriale e di popolazione e incrementato in caso di particolari situazioni di svantaggio), mentre si richiede ai governi
regionali di concentrare gli interventi, all’interno del territorio regionale, in quelle aree che mostrano maggiore potenziale di crescita,
sulla base di criteri di efficienza. Questa divisione di compiti è coerente con il processo di progressiva devoluzione di risorse e
responsabilità a favore di enti territoriali decentrati che attribuisce a questi ultimi in larga parte la responsabilità di selezione e
localizzazione dei progetti, ma richiede anche trasparenza e condivisione nella ripartizione territoriale delle risorse finanziarie. Pertanto, i
criteri attraverso i quali quelle risorse sono ripartite tra Regioni sono chiari e conosciuti e la loro scelta e applicazione è stata condivisa
dai diversi soggetti direttamente interessati dalle responsabilità di intervento. Da ultimo, affinché la decentralizzazione di responsabilità
di selezione e spesa possa funzionare è necessaria certezza di lungo periodo delle assegnazioni; a questo scopo è costruito un quadro
finanziario di riferimento con orizzonte pluriennale dell’ammontare delle risorse finanziarie disponibili per ciascuna regione,
indispensabile per una programmazione di medio - lungo periodo di interventi strutturali che hanno la finalità di innescare dei processi di
sviluppo. Nel lavoro si illustrano i criteri e gli indicatori scelti per la ripartizione delle risorse nazionali del Fondo Aree Sottoutilizzate e
dei Fondi Comunitari (e del loro cofinanziamento nazionale) per il ciclo di programmazione comunitario 2000-06. Tali criteri sono
utilizzati annualmente a partire dal 1999. Sulla base dell’esperienza effettuata e di analoghe esperienze di riparto di risorse e
responsabilità di spesa che hanno luogo a livello nazionale (per esempio nel settore della sanità) e internazionale, si effettuano alcune
riflessioni e approfondimenti relative al metodo attualmente utilizzato. Le analisi effettuate riguardano innanzitutto i fondamenti generali
del meccanismo ovvero quanto, alla luce della letteratura esistente in tema di trade-off tra efficienza e perequazione, la divisione di
compiti e responsabilità, - accompagnata dalla trasparenza dei criteri e dalla certezza delle assegnazioni -, sia efficace e coerente con gli
obiettivi generali enunciati. In secondo luogo, si esamina l’impatto dei cambiamenti economici e sociali intervenuti nelle regioni
beneficiarie sul riparto delle risorse a parità di criteri e indicatori, e la sensibilità del riparto stesso a convincimenti metodologici diversi,
relativamente alla scelta degli indicatori e ai pesi da attribuire a ciascuno di essi. Infine, utilizzando come esempio la misurazione della
dotazione infrastrutturale, si discute la disponibilità di informazioni tempestive e adeguate a supporto di eventuali decisioni di modifica.
Parole Chiave Spesa pubblica, processi decisionali, distribuzione risorse.
Dagli standard quantitativi agli standard prestazionali: il piano dei servizi
Elisa Brolli
Michela Tiboni
Università degli Studi di Brescia
Sommario I servizi pubblici e di interesse pubblico o generale rappresentano un elemento centrale di quelle strategie che l’Unione
Europea ritiene indispensabili promuovere lo sviluppo territoriale, poiché essi contribuiscono nel definire la qualità della vita,
caratterizzano l’ambiente urbano assegnando un senso ed un ruolo differenziato ai diversi spazi e determinano l’attrattività di un centro
urbano rispetto al territorio circostante. Il Piano dei Servizi, introdotto recentemente nella legislazione lombarda dalla L.R.L 1/2001 con
il ruolo di elaborato obbligatorio del Piano Regolatore Generale, rappresenta un indispensabile strumento per l’attuazione di una concreta
politica dei servizi. Il 16 febbraio 2005 il Consiglio Regionale Lombardo ha approvato la L.R.L 12/2005 che rende il Piano dei Servizi
uno dei tre atti costitutivi del nuovo Piano di Governo del Territorio dei comuni. Ricerche recentemente condotte dalla Regione
Lombardia hanno evidenziato che i Piani dei Servizi redatti seguendo la L.R.L. 1/2001, oggi abrogata dalla nuova “Legge per il Governo
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del Territorio”, mostrano nella maggior parte dei casi ancora un forte radicamento alla logica ed alla pratica degli standard urbanistici e
comunque pochi sono stati i tentativi innovativi. Pur riconoscendo allo standard introdotto con il D.M.1444/68 l’enorme merito di aver
garantito un livello minimo di dotazione, là dove probabilmente sarebbe mancata del tutto esso appare insufficiente se si considera il
quadro radicalmente mutato: la società esprime bisogni sempre più differenziati a seconda degli utenti e delle realtà territoriali ed i
processi di trasformazione della città, in passato identificabili come espansivi verso l’esterno, si configurano sempre più come di
recupero dei tessuti consolidati. Per questi motivi i recenti strumenti legislativi propongono la necessità di passaggio dallo standard
quantitativo allo standard prestazionale: si deve superare il concetto di dotazione minima di superficie per abitante insediato o da
insediare recuperando il significato di standard come obiettivo legato alla reale domanda di servizi espressa dai city users. Il lavoro che si
intende sottoporre all’attenzione riporta i risultati di un’attività di ricerca finalizzata all’individuazione di un percorso metodologico per
la stesura del Piano dei Servizi, metodologia che è stata applicata ad un Comune di medie dimensioni (15.000 abitanti) per l’analisi
dell’offerta - lo stato di fatto dei servizi- e della domanda - i bisogni degli utenti. Si è utilizzato il supporto di un GIS, appositamente
strutturato, contenente dati relativi ai servizi presenti sul territorio ed alla popolazione. Il quadro conoscitivo dei servizi presenti ha
previsto una maggiore articolazione rispetto al D.M.1444/68, prevedendo 9 aree tematiche, articolate a loro volta in sotto aree ed ha
valutato localizzazione, dimensioni, fruibilità spaziale e temporale ed accessibilità delle attrezzature. Le informazioni presenti nel data
base sono state riportate in una schedatura: più le schede sono dettagliate più il servizio è monitorabile in tutti i suoi aspetti e,
conseguentemente, migliore può essere la gestione del piano, mentre schede semplicistiche, non aggiornabili e non inserite in un sistema
informativo sono utili solo per predisporre un Piano dei Servizi rigido e non in grado di adattarsi all’evoluzione della domanda locale.
Nella convinzione che una visione territorializzata della distribuzione dei residenti sia fondamentale per la pianificazione dei servizi e per
la misurazione dei carichi urbanistici è stato inserito nel GIS un data base di entità puntuali corrispondenti ai numeri civici
georeferenziati. Associando i residenti al rispettivo indirizzo è stato possibile compiere varie interrogazioni, quale, ad esempio, la
popolazione presente nel raggio d’azione di ogni servizio. Nel corso della ricerca sono stati utilizzati questionari alla popolazione ed
indicatori ICE, strumenti validi sia in fase d’analisi che di monitoraggio ed ancora raramente utilizzati dalle Amministrazioni locali.
Parole Chiave Servizi, piano, standard, GIS.
La valutazione integrata territoriale delle politiche insediative del commercio. Una
proposta metodologica per il monitoraggio e la gestione degli effetti territoriali
Grazia Brunetta
Politecnico di Torino - Dipartimento Interateneo Territorio
Sommario La relazione propone una metodologia per impostare un’azione sistematica di valutazione integrata territoriale (VIT) delle
potenzialità e delle criticità territoriali conseguenti ai nuovi sistemi di offerta commerciale realizzati negli ultimi cinque anni di
programmazione, in attuazione della “riforma Bersani” (D.lgs. 114/1998). L’impostazione della metodologia per la valutazione integrata
territoriale è stata sperimentata su alcuni ambiti insediativi della regione Piemonte, con l’obiettivo di esplorare le potenzialità e le criticità
di diversi sistemi dell’offerta commerciale, ed è orientata a mettere in luce: - la lettura delle forme insediative delle attività commerciali,
delle loro agglomerazioni e tipologie di trasformazione e delle relazioni che si attivano con il contesto territoriale locale; - gli strumenti
efficaci e le pratiche amministrative da avviare per la verifica in itinere ed ex post delle azioni realizzate alla scala regionale, in grado di
assicurare stabilità al grado di cooperazione raggiunta e di produrre accumulazione di consenso, rendendo visibili gli effetti positivi
prodotti e promuovendo nuove possibili forme di accordo; - le modalità di interazione tra gli strumenti di programmazione e le azioni in
attuazione della pianificazione di settore ai diversi livelli di governo del territorio; - la costruzione e la simulazione di nuovi scenari di
trasformazione e valorizzazione territoriale, a partire dalla rappresentazione delle potenzialità insediative locali conseguenti alle
dinamiche innescate dalla localizzazione delle nuove tipologia di offerta commerciale. In particolare, a partire da un Progetto di ricerca,
svolto nel corso del 2004 per la Direzione Commercio Artigianato della Regione Piemonte, si intende proporre una modalità di
descrizione e interpretazione degli effetti territoriali indotti - diretti e indiretti - e dei processi di riassetto insediativo in atto in diverse
subaree della regione Piemonte, interessate da intensi processi di trasformazione innescati dall’insediamento delle grandi tipologie di
offerta commerciale extraurbana. Con un approccio induttivo di analisi, l’obiettivo della relazione è di utilizzare i casi di studio per
mettere a punto la matrice teorica di valutazione e monitoraggio a partire dalla specificità - risorse/opportunità, punti di forza/punti di
debolezza - che ciascun ambito locale pone in sede di valutazione ex-ante ed ex-post per una programmazione integrata degli effetti
territoriali. La relazione propone una riflessione su prime indicazioni metodologiche e operative per la messa a punto di una possibile
griglia di criteri per un approccio “strategico” di valutazione delle politiche insediative del commercio. La sperimentazione dello schema
di analisi/valutazione proposto intende perciò esplorare le ricadute prodotte sul sistema decisionale e sulla progettualità istituzionale degli
attori locali, prestando particolare attenzione alle interazioni che, in ciascun ambito insediativo, si vengono a stabilire tra azioni di diversa
portata territoriale. Il significato di questa sperimentazione metodologica, che restituisce sia un quadro aggiornato delle trasformazioni in
atto e programmate, sia il grado di trasformabilità funzionale del sistema territoriale oggetto di sperimentazione, è di definire indicazioni
per la messa a punto di uno “strumento” conoscitivo che possa supportare il confronto tra i diversi attori locali per gestire e integrare gli
effetti territoriali, al fine di valorizzarne a pieno le potenzialità in termini di riqualificazione delle risorse territoriali e di diversificazione
dell’offerta distributiva locale.
Parole Chiave Valutazione strategica, processi di decisione, governo del territorio, politiche insediative.
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La dotazione di infrastrutture nel Nord e Sud d’Italia
Claudia Brunini
Francesca Paradisi
Istat
Sommario La Politica Regionale dell’Unione Europea è volta a ridurre le disparità esistenti tra gli Stati membri e tra le regione
all’interno degli stessi. In questa ottica di analisi degli squilibri territoriali, il presente lavoro intende fornire misure sulla dotazione delle
infrastrutture nelle province italiane con particolare attenzione al divario aree appartenenti al Nord e al Sud del paese. In letteratura è
ampiamente riconosciuta l’esistenza del legame tra infrastrutturazione e crescita economica di un area. L’approccio è quello aperto da
Aschauer che attribuisce al capitale pubblico, quale fattore all’interno della funzione di produzione, un ruolo determinante per la crescita
economica di un paese. Anche il lavoro di Biehl, che produce a livello europeo le prime misure della dotazione di infrastrutture,
riconosce queste quali determinanti lo sviluppo economico e sociale del territorio. L’Istat, all’interno dello stesso orientamento, ha
prodotto un sistema di indicatori di dotazione ed efficienza delle infrastrutture, al fine di costruire uno strumento di orientamento per le
politiche di sviluppo regionale. Il livello di infrastrutturazione di un’area è misurata sia in termini di dotazione di risorse fisiche in senso
stretto, sia, accogliendo un concetti più ampio di infrastruttura, in termini di servizi offerti. Questa integrazione consente di avere una
misura non solo della presenza, ma anche del funzionamento dell’infrastruttura. Se si tiene conto anche delle modalità con cui la
funzione viene attuata, si individua una ulteriore dimensione, denominata di efficienza, legata ad aspetti tipicamente qualitativi
dell’infrastruttura. Gli indicatori di dotazione e di efficienza si riferiscono alle infrastrutture di natura sia prevalentemente economica, più
direttamente connesse allo sviluppo del territorio, che prevalentemente sociale, componenti indirette della crescita. Le prime
comprendono i settori trasporti ed energia, le seconde sanità, istruzione, cultura e ambiente. Infine, strutture quali ricettività turistica, il
commercio e l’intermediazione monetaria, denominate strutture del territorio, pur non costituendo infrastrutture in senso stretto, sono
incluse nel sistema di indicatori poiché relative ad attività e servizi con effetti sull’attrattività e dinamiche di sviluppo del territorio.
L’analisi della dotazione di infrastrutture mira ad individuare e misurare le disparità territoriali, e a valutare la diversa funzione sullo
sviluppo delle infrastrutture economiche e sociali.
Parole Chiave Infrastruttura, sviluppo, disparità.
Le implicazioni per la finanza locale della mobilità degli individui nelle aree urbane e
metropolitane
Aurelio Bruzzo
Vittorio Ferri
Università degli Studi di Ferrara - Dipartimento Economia Istituzioni Territorio
Sommario Secondo la teoria economica della finanza pubblica il federalismo fiscale costituisce quella forma di rapporti tra livelli di
governo che ne consente una semplificazione, favorendo una maggiore rappresentazione delle preferenze degli individui e dando luogo a
discrezionalità decisionali e differenze di trattamento.
Un primo rilevante limite ai potenziali benefici derivanti dal federalismo fiscale è rappresentato dalla mancanza di coincidenza tra i
confini geografici all’interno dei quali gli enti locali producono beni pubblici ed hanno capacità impositiva, e quelli entro i quali si
distribuiscono le risorse fiscali (le basi imponibili).
Un secondo limite è riconducibile alle crescenti interdipendenze generate dalla mobilità delle persone che - a sua volta - causa la
presenza di popolazioni non residenti che utilizzano i servizi offerti da diversi governi (ed in particolare dal Comune “centrale” rispetto
ai Comuni periferici) i cui costi però gravano principalmente sulla popolazione residente.
Se dal punto di vista teorico la struttura ottimale del governo locale è quella che assicura una perfetta corrispondenza tra i confini delle
giurisdizioni che producono beni e l’area entro la quale si manifestano i benefici dei beni prodotti, in pratica le tensioni tra porzioni del
territorio e funzioni istituzionali trovano la loro espressione più evidente nelle aree metropolitane (in quanto la densità e la mobilità degli
individui è maggiore) con significative conseguenze sulla finanza pubblica locale, che trae giustificazione dalla controprestazione tra
imposte e servizi.
Poiché la responsabilità di applicare imposte ed erogare servizi in Italia si è recentemente spostata verso i governi locali, per effetto della
decentralizzazione di funzioni, competenze e risorse, il presupposto del presente paper, cioè il tema qui affrontato, è appunto costituito
dalla mancata corrispondenza tra l’uso effettivo che ogni individuo fa del territorio ed i confini amministrativi entro i quali operano i
governi nelle aree urbane e metropolitane.
Queste ultime sono considerate come territori di “circolazione”, dove emergono incongruenze, interdipendenze e asimmetrie tra azioni
collettive, pianificazioni, flussi di spesa, risorse finanziarie, soggetti pagatori e soggetti beneficiari di beni e servizi pubblici urbani.
Il contenuto del paper è una riflessione sulla scala territoriale e funzionale dell’azione pubblica a livello urbano e metropolitano ed una
trattazione dei principali effetti della mobilità degli individui sulle entrate tributarie dei governi locali, realizzata utilizzando la
metodologia e gli strumenti propri dell’economia e della finanza delle amministrazioni pubbliche. Particolare attenzione sarà dedicata
alle relazioni tra territorio/ mobilità/residenza/imposizione fiscale/voto, alla ripartizione asimmetrica dei costi e dei benefici tra le
popolazioni delle aree metropolitane (residenti e non residenti, utilizzatori).
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Il lavoro cercherà di rispondere alla domanda chi paga (o dovrebbe pagare) per la fruizione della città ed analizzerà le implicazioni sui
bilanci e sulle relazioni finanziarie tra i livelli di governo derivanti dalla fornitura dei servizi pubblici urbani, argomentando a favore
dell’istituzione di governi urbani e metropolitani che semplifichino la produzione delle politiche e dei servizi urbani attraverso la
riduzione delle interdipendenze, la redistribuzione delle funzioni ed il riequilibrio finanziario, principalmente tra il comune capoluogo e
gli altri comuni. Inoltre, verrà fornito un cenno ai riflessi prodotti dalla mobilità degli individui anche sulla democrazia locale.
Il risultato atteso dal lavoro, cioè l’obiettivo ultimo, è quello di produrre argomentazioni in grado di richiamare l’attenzione delle
discipline interessate e dei decisori politici, nonché di indicare alcune soluzioni dotate di un certo grado di semplicità, per ottenere una
riduzione degli effetti ineguali indotti dalla mobilità degli individui, un riequilibrio dei bilanci dei Comuni ed una più equa ripartizione
dei costi della città pubblica tra le varie popolazioni che la utilizzano.
Parole Chiave Mobilità degli individui, residenti, utilizzatori, riequilibrio finanziario.
Metriche per l ’analisi della complessità morfologica delle città
Matteo Caglioni
Università degli Studi di Pisa - Dipartimento di Ingegneria Civile - L.I.S.T.A.
Sommario Lo studio dei meccanismi che stanno alla base delle trasformazioni delle città e la costruzione di modelli che possano
interpretare lo sviluppo degli agglomerati urbani, sono operazioni molto complesse, che si basano sull’interazioni di numerose discipline,
tuttavia il punto di partenza è rappresentato dall’osservazione della struttura urbana nel tempo: a questo proposito sono rivolti tutti gli
sforzi della morfologia urbana. I cambiamenti nel tempo delle logiche insediative e conseguentemente delle forme delle città, hanno reso
necessario l’analisi di nuovi meccanismi che spiegassero la struttura di questi agglomerati, nonché la messa a punto di strumenti
innovativi per l’analisi del territorio: si è passati negli anni infatti da una città storica di tipo compatta, ad una più ramificata e dispersa
sul territorio, che presenta configurazioni filiformi accanto ad un centro omogeneo, denominata città diffusa. Il presente contributo è
volto all’analisi e alla valutazione della morfologia di alcune città europee sia attraverso la loro dinamica nel tempo, sia attraverso il
confronto fra loro dei risultati delle diverse realtà urbane esaminate. A questo scopo è stata utilizzata una cartografia di tipo vettoriale,
proveniente dal progetto MOLAND (Monitoring Land Use / Cover Dynamics) della Comunità Europea, di cui si è selezionato il solo
urbanizzato. Le città Europee a cui si fa riferimento nel presente contributo sono Milano, Palermo, Bilbao, Grenoble ed Helsinki, di cui si
ha a disposizione la dinamica temporale attraverso quattro mappe a differenti epoche, per ciascuna città. Lo strumento di analisi
utilizzato per lo studio della forma urbana è denominato Fragstats, un programma di analisi delle strutture spaziali, estremamente utile
per quantificare le forme territoriali. Grazie a questa applicazione è possibile calcolare direttamente sulle mappe, precedentemente
trasformate in griglie raster, delle metriche classiche come l’area e il perimetro di tutta la superficie urbana o delle singole aree edificate,
oppure metriche più complesse come l’indice di forma del territorio, l’indice di aggregazione e di divisione, la dimensione frattale, e
diversi altri. Le analisi effettuate sono riferite ad ogni singola struttura urbana presente nella città, oppure all’intero urbanizzato attraverso
delle elaborazioni statistiche dei dati ottenuti. Per una migliore comprensione dei risultati, si è ricorso alle potenzialità della
rappresentazione dei software GIS, avendo a disposizione mappe vettoriali e dati georeferenziati sul territorio. Questo lavoro dimostra
come Fragstats sia uno strumento molto utile nel campo della morfologia urbana, nonché un ottimo compendio di metriche per l’analisi
territoriale.
Parole Chiave Morfologia, metriche, analisi, urbanizzato.
Correlazione tra morfologia frattale e dati socio-economici in tre contesti metropolitani:
Milano, Torino, Genova
Matteo Caglioni
Università degli Studi di Pisa - Dipartimento di Ingegneria Civile - L.i.s.t.a.
Giampiero Lombardini
Dipartimento Polis Università degli Studi di Genova
Sommario Al giorno d’oggi lo studio della morfologia del territorio è divenuto sede di un’ampia convergenza pluridisciplinare, dove,
accanto alla geografia che per definizione studia la superficie terrestre e le sue articolazioni, si sono affiancate l’economia, l’urbanistica,
la statistica, la sociologia e numerose altre discipline ancora. Fondamentalmente questo è dovuto alla nascita e allo sviluppo degli
insediamenti urbani che hanno modificato sensibilmente il territorio in cui si trovano. Da un punto di vista ingegneristico, inoltre, risulta
importante conoscere i meccanismi che regolano le trasformazioni urbane, per poter così intervenire attraverso l’utilizzo di strumenti di
gestione territoriale, controllando o addirittura modificando l’evoluzione della città stessa. Il compito della morfologia urbana è proprio
quello di studiare le nuove forme urbane, dove accanto alle città dense e compatte, troviamo delle configurazioni filiformi, puntuali,
disperse sul territorio che sociologi e geografi identificano di volta in volta come distretti economici, megalopoli, città-regione, oppure
col termine di città diffuse. In questo nuovo scenario, le tradizionali misure dell’urbanistica, come ad esempio la densità di popolazione,
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il rapporto perimetro-area, risultano inefficienti. Nasce l’esigenza di avere nuovi strumenti di analisi, che possano anche essere svincolati
dalla classicità della geometria euclidea. A questo scopo la metodologia frattale fornisce un innovativo e valido contributo per lo studio
della città diffusa, in modo da giungere alla comprensione dei meccanismi che regolano il suo sviluppo. Il presente contributo si propone
di indagare le relazioni che sussistono tra le forme urbane (misurate attraverso l’analisi morfologica frattale) e alcune delle caratteristiche
socioeconomiche rappresentative della città. Il contesto di analisi è costituito da tre realtà metropolitane italiane, di cui si posseggono i
dati del censimento ISTAT, nonché le mappe dell’intero urbanizzato ottenute dall’elaborazione delle Carte Tecniche Regionali, e sono:
Milano, Torino, Genova, suddivise in diversi ambiti urbani. La morfologia dei diversi ambiti territoriali è misurata attraverso alcuni
strumenti della geometria frattale, fra i quali ricordiamo: l’analisi di dilatazione e l’analisi di correlazione. Grazie a queste analisi è
possibile ricavare un prezioso indicatore per lo studio della morfologia urbana, la dimensione frattale, che diviene la variabile dipendente
correlata alle caratteristiche socio economiche prese in esame nei diversi ambiti urbani. Lo scopo è quello di analizzare, attraverso il
confronto tra i risultati ottenuti per le tre aree metropolitane, i fenomeni di nascita, sviluppo e trasformazione delle forme urbane,
valutando potenzialità e limiti delle analisi frattali.
Parole Chiave Frattali, morfologia, indicatori, modelli urbani.
Agglomeration economies, industrial districts and business groups in Italy
Giulio Cainelli
Università degli Studi di Bari
Donato Iacobucci
Università Politecnica delle Marche
Sommario The importance and characteristics of business groups within Italian industrial districts have already been analysed in several
studies (DEI OTTATI, 1996; BALLONI and IACOBUCCI, 1997; BRIOSCHI, BRIOSCHI and CAINELLI, 2002 and 2004;
IACOBUCCI, 2002; CAINELLI, IACOBUCCI and MORGANTI, 2005). In particular, these recent contributions have shown, using
different methodological approaches and different empirical materials, that (i) business groups are more widespread in industrial districts
than in non-district areas and that (ii) business groups located in industrial districts - i.e. ‘district groups’ - are generally less diversified
and more spatially concentrated than groups outside industrial districts. The aim of this paper is to extend this kind of analysis. In
particular, using econometric techniques and a new and large data-set at firm-level, we intend to analyse the empirical relationship
between specific forms of spatial agglomeration economies such as localisation and/or urbanisation economies, and the presence of
business groups at local level in Italy: i.e., at Local Labour System and industrial district level. Recent regional economics papers have in
fact shown that these two different forms of economies of agglomeration can be measured, respectively, by a specialization and a variety
indicator. In fact, productive specialization encourages transmission and exchange (both implicit and explicit) of information, ideas,
knowledge, the imitation of products/process and the mobility of skilled workers between firms operating in the same sector. On the
contrary, productive heterogeneity, in favoring agglomeration processes, tends to stimulate the cross-fertilization of ideas, information,
and other factors between firms belonging to different industrial sectors. For these reasons, these two agglomerative forces may have a
positive impact on the performance and the growth processes of firms located in these areas and therefore they could affect the formation
of business groups. From an empirical point of view, this pap er takes advantage of a new data-set at firm level, recently developed by
ISTAT, merging the information drawn from ASIA with those from the Statistical Business Register on Business Groups. The resulting
sample, referring to 2001, consists of 511,118 manufacturing firms (with 4,564,891 employees) of which 116,884 (with 3,151,848
employees) are joint-stock firms. Of these 26,181 firms (with 1,863,886 employees) belong to a business group. Thanks to the data
drawn from ASIA on the firm’s geographic location, we also have information about the membership of these firms to the 784 LLSs and,
therefore, to the 199 Italian industrial districts. In this way and using information drawn from Italian industrial census to calculate
specific indicators - i.e. specialization and variety indicators - for capturing spatial agglomeration, we are able to empirically identify the
role played by this latter in explaining the presence of business groups within the 784 LLSs and within the main Italian industrial
districts.
Parole Chiave Business groups, industrial districts, spatial agglomeration.
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Le governance rurali: aspetti teorici e problematiche relazionali nella pianificazione
integrata
Tommaso Calabrò
Anna De Luca
Claudio Marcianò
Università Mediterranea di Reggio Calabria
Sommario Tra gli strumenti attuativi dei Fondi strutturali previsti da Agenda 2000 sono presenti i Piani Operativi Regionali (POR), che
prevedono l’attuazione di progetti integrati, tra cui i Progetti Integrati Territoriali (PIT), i Piani Integrati per le Aree Rurali (PIAR), i
Piani Integrati Strategici (PIS), i Piani Integrati di Filiera (PIF). Un approccio specifico allo sviluppo rurale è rappresentato, inoltre, dal
Programma di Iniziativa Comunitaria (PIC) LEADER Plus. Per rendere operativi questi strumenti è stato necessario attivare forme di
governo sostanzialmente diverse da quelle tradizionali in cui la responsabilità delle decisioni era di esclusiva pertinenza delle Istituzioni
pubbliche, responsabili delle attività legate allo sviluppo rurale. Si è venuta a realizzare, così, una trasformazione nei modi e nei processi
di governo delle società rurali europee che ha gradualmente portato diversi studiosi ad approfondire tali tematiche (Goodwin, 1998). Gli
studi contemporanei, che hanno come focus le linee di sviluppo e del governo delle aree rurali in Europa, afferiscono a diverse discipline
delle scienze sociali ed economiche. Tra le diverse Nazioni, il Regno Unito è tra quelle che maggiormente ha affrontato la problematica
delle governance locali a supporto dello sviluppo delle aree rurali. Come evidenziano Marsden e Murdoch (1998), negli ultimi anni
l’agricoltura, ha perso il ruolo egemone tradizionalmente occupato in passato e, trasformandosi, ha assunto un nuovo ruolo
multifunzionale non più legato alla logica della semplice produzione. Questo nuovo ruolo, ampiamente dibattuto, implica una
moltitudine di processi politici ed economici necessari per rispondere alle diverse esigenze dello spazio rurale e di conseguenza,
comporta la ricerca di nuovi meccanismi di gestione della mutata realtà agricola. Alla diversa realtà del mondo rurale corrisponde, in
letteratura, un maggiore interesse posto da diversi studiosi verso la definizione dei sistemi che stanno alla base del governo delle aree
rurali. Si avverte la necessità di spostare l’attenzione dalle tradizionali forme di governo a più adeguati modelli di governance, termine
utilizzato con diverse accezioni da vari autori, per indicare forme di governo nuove e più complesse di quelle tradizionali ed attuate
tramite partenariati socioeconomici che coinvolgono soggetti pubblici e privati operanti sul territorio. Che la materia sia in piena
evoluzione è testimoniato dal Libro Bianco della Commissione Europea, in cui si esorta a ricercare nuove forme organizzative che
possano rendere efficaci, partecipati e percepibili gli strumenti finanziari della comunità stessa. Obiettivo dello studio è quello di
proporre alcune riflessioni sulle governance rurali approfondendone gli aspetti teorici, seguendone l’evoluzione storica nel contesto
europeo ed analizzandone il ruolo nell’ambito di alcuni casi studio, in cui sono state riscontrate e definite alcune problematiche relative a
relazioni interne, tra i soggetti del partenariato, e/o a relazioni esterne, tra il partenariato e le Istituzioni. Più in particolare, la finalità dello
studio è quella di evidenziare e codificare le problematiche relazionali riscontrate in diverse esperienze di pianificazione integrata in
Calabria, per dare un contributo alla loro ed agevolare i processi di pianificazione integrata che avranno un ruolo di rilievo anche nella
prossima programmazione comunitaria relativa al periodo 2007-2013.
Parole Chiave Pianificazione integrata, governance, partenariato, fondi strutturali.
From 'territory' to 'city' the conceptualisation of space in Italy since 1950
Antonio G. Calafati
Università Politecnica delle Marche - Dipartimento di Economia
Sommario The paper argues that the way in which social scientists and policy-makers have conceptualised the Italian territory has
significantly changed since the 1950s as a consequence of methodological shifts and attempts to capture the changing territorial
organisation of the economy brought about by the structural transformation of the production and consumption process. In retrospect, one
can in fact discern a conceptual trajectory from the standard ‘Northern Italy’/’Southern Italy’ partition, which prevailed until the 1970s,
to an interpretation of the Italian territory as a pattern of local systems which slowly emerged in the subsequent decades.
The paper suggests that the concept of ‘local system’, if correctly interpreted, may finally lead to rediscover cities as the fundamental
elements of the territorial organisation of the economic process in Italy. However difficult economists may find to insert ‘the city’ in the
categorical and theoretical framework of economics, it seems necessary to assign to the features of urban organisation of the Italian
society the economic importance they indeed have.
By moving from a modern interpretation of the concept of city – for instance by giving adequate consideration to the fact that in Western
economies practically all cities are ‘dispersed cities’ and functional rather than administrative borders are relevant – one can reach the
conclusion that most local systems are in fact cities. This way of looking at the Italian territory has important consequences. For instance,
it reinstates urban external economies and dis-economies in the position they deserve in determining the development trajectory of the
Italian economy. This perspective, moreover, re-assigns to the main Italian urban systems the economic role that they have indeed played
in recent decades with regard to the innovation and accumulation processes, and highlights the key position that large cities have in
reacting to the external shocks that accompany the changing international division of labour. Moreover, if the economic importance of
cities is not acknowledged, it is questionable whether effective regional and national development policies can be devised.
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The critical-historical analysis of the conceptualisation of the Italian territory since the 1950s conducted in this paper, highlighting the
conceptual barriers which have impeded appreciation of the role of cities, may prove functional to a paradigmatic shift which puts cities
at the centre of the stage – a shift which is also in line with the new orientation toward cities one finds in the EU territorial policies.
From urban to regional development: The case of the Marche region
Antonio G. Calafati
Francesca Mazzoni
Università Politecnica delle Marche - Dipartimento di Economia
Sommario The model of urban polycentrism that emerged in the Marche Region - but also in other regions in Central Italy - has
attracted much attention since the Seventies for different reasons. Firstly, it seems to show that industrialisation, economic growth and
development may take place in a territorially diffused way. Secondly, it seems to show that urban systems of small or medium size can
indeed generate external economies sufficient to sustain remarkable trajectories of local economic development. Thirdly, it seems to
show that urban systems with critical mass can emerge through a process of coalescence (or simply networking) among contiguous small
towns/urban systems. Yet not much attention has been devoted so far to understanding the urban systems’ economic trajectories and to
the analysis of their contributions to regional development.
This paper addresses this important issue and conducts a comparative analysis of the long-term economic performances of the Marche
Region’s main urban systems in the period 1951-2001. As the paper demonstrates, the Marche Region’s urban systems experienced
marked differences in their long-term performances. This fact warrants a more accurate comparative analysis and seem further to
corroborate one of the central tenet of the local development research in Italy, and namely that it is necessary to shift to local systems to
properly understand the logic of territorial development.
The comparative analysis of the economic structures and performances of the Marche Region’s urban systems conducted in this paper
allows to achieve some quite interesting conclusions as to the performances of its main cities, which account for about 70% of the
employment of the Region. Firstly, the urban systems are very much differentiated in terms of size (population) - ranging from about
200,000 inhabitants (‘Ancona’) to about 55,000 inhabitants (‘Fabriano’) - and socio-economic structures. This has led to strikingly
different contributions by each urban system to the growth of regional employment - largely beyond one could presume given their sizes
and structures. Secondly, in the past two decades differences in urban systems’ performances have further increased to the point that their
economic trajectories have become almost divergent. Thirdly, one can note that in the past two decades some of the urban systems which
mostly contributed to the industrialisation of the Region (1950-1980) seem to be entered a phase of structural transformation which has
resulted in stagnation. That is having a strong impact on the overall economic performance of the Marche Region.
The comparative analysis conducted in the paper raises many critical questions, shortly addressed in the paper, regarding the
interpretation of the factors of the Marches’ regional development and the nature of the regional policies that should be implemented to
face the current challenges.
Parole Chiave Sviluppo regionale, città, analisi comparata.
Using choice experiments to value alternative train noise mitigation programmes
Roberto Camagni
Politecnico di Milano - DIG
Paulo A.L.D. Nunes
School for Advanced Studies in Venice Foundation - Ca’ Foscari University of Venice - Fondazione Eni Enrico Mattei
Chiara M. Travisi
Politecnico of Milano - Group of Regional Economics - Dept. of Management Economics and Industrial Engineering
Sommario The railway noise abatement has today an important priority in the European environmental policy agenda. This reflects inter
alia the fact that in the recent years policy makers have been promoting the use of this means of transport over road transport so as to
reduce a set of negative externalities, including air pollution, traffic congestion and risk of road accidents. The implementation of noise
abatement measures involves a significant financial cost that are associated either to an investment in the train technology, including
wagons and railway tracks, or to an investment in noise barriers (or a combination of both). The effectiveness of the noise abatement will
depend on the type of policy intervention adopted, i.e. on the type of noise abatement instrument adopted. In addition, alternative noise
mitigation policies will also have different effects in terms landscape-aesthetics and cost. As these factors need to be addressed in the
discussion regarding the choice and evaluation of alternative policy interventions, this paper explores the use of a choice experiment
(CE) survey so as to assess the economic value of alternative policy interventions, and respective instruments.
In a typical CE study, respondents are asked to choose between two or more goods (or policy scenarios), each of which is described by a
set of few attributes, one of which is usually its cost to the respondent. Attributes are varied across scenarios, and the scenarios are
usually matched in such a way that the respondents have to trade off attributes. For the purpose of statistically modelling the respondent’s
choice in a CE, it is assumed that the respondent chooses the alternative that gives the highest utility. Utility is a function of the
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alternative’s attributes and of residual income (income net of the cost of the alternative under consideration), plus a random term.
Depending on the assumption about the distribution of the error term, the resulting statistical model is either a conditional logit, a
multinomial probit, or a related choice model (Green, 2002). The implicit marginal prices of each attribute and the welfare changes
associated with changes in the level of the attributes can then easily be derived.
The choice experiment survey has been held in Trento, Italy, in order to assess the marginal WTP for noise reduction, aesthetics and
environmental attributes with respect to alternative railway noise reduction plans. In addition, the present paper provides an original
contribution in the valuation literature since we explore the measure and test the marginal WTP estimates exploring its econometric
robustness with respect to the use of a the introduction of a new regional tax and two possible tax reallocation schemes.
Matrici verdi dei paesaggi. un contributo di analisi in un contesto montano di area vasta
Sandra Camicia
Daniele Cianchetti
Lunella Ferri
Mariano Sartore
Università degli Studi di Perugia - Dipartimento Uomo e Territorio - Sez. Urbanistica
Sommario I processi di diffusione insediativa e di artificializzazione del territorio, dovuti principalmente allo sviluppo di pratiche
agricole intensive, alla realizzazione di opere di sistemazione idraulica, di infrastrutture e reti tecnologiche e di trasporto, hanno
comportato un progressivo impoverimento e degrado degli habitat naturali e una crescente banalizzazione dei paesaggi. Ciò è avvenuto
con modalità e intensità differenti nei vari contesti d’area, interessando sia gli spazi periurbani delle concentrazioni insediative, sia
territori a più elevata naturalità. A partire da questa consapevolezza, da qualche anno, anche in Italia, il tema della pianificazione e
gestione degli ecosistemi urbani e agro-silvo-pastorali ha assunto una nuova centralità nel dibattito scientifico e nelle esperienze
applicative, diffondendo e portando alla ribalta temi e problematiche della landscape ecology (Forman R.T.T., Godron M., 1986;
Ingegnoli V. 1993; Pignatti S. 1994), e, più in generale, rendendo il sistema degl i spazi aperti un ambito d’azione privilegiato. A ciò si è
aggiunto, sulla scia di direttive comunitarie europee, una vasta e differenziata attività istituzionale di tutela di aree di pregio naturalistico
finalizzata alla costituzione di “reti ecologiche” (Malcevscki S. 1996). Pur tuttavia, largamente da colmare appare il vuoto di carattere
gestionale che segue l’apposizione di vincoli e tutele sul territorio, così come occorre ancora sviluppare modalità di conoscenza e
valutazione più integrate con altre componenti e dimensioni del territorio. Il lavoro di ricerca svolto, relativo ai territori montani della
dorsale appenninica umbra (territori a dominante naturalistica ma soggetti a fenomeni significativi di trasformazione), si sviluppa a
partire da una rivisitazione dei modelli e delle esperienze della landscape ecology, proponendo però un’accezione più ampia di “matrici
verdi”, la cui rilevanza si esplica non solo in rapporto al mantenimento degli equilibri ecologici ma anche come fattori costitutivi delle
forme del paesaggio, delle risorse identitarie e delle culture locali. Muovendo da questo presupposto, mediante la definizione di
procedure originali di riconoscimento di tematismi pertinenti relativi agli usi del suolo, sviluppate con metodi e tecniche di elaborazione
e trattamento di immagini acquisite in remote sensing, e la successiva implementazione in ambiente GIS, la ricerca ha sviluppato alcuni
indicatori sia di natura qualitativa che quantitativa: densità, dispersione, contiguità, connettività, frammentazione. Sono state realizzate,
infine, a livello di area vasta, elaborazioni e rappresentazioni del sistema vegetazionale, in relazione al contesto spaziale di inserimento, a
variabili topologiche, alle interdipendenze morfologiche e funzionali con le reti idrografiche e viarie, con la tessitura agraria e con
l’edificato. L’individuazione di tali nessi apre le prospettive di ricerca verso l’esplorazione delle pratiche sociali di modificazione e uso
degli spazi verdi, come condizione ineludibile per una gestione efficace dei processi di trasformazione in atto o prevedibili.
Parole Chiave Matrici verdi, paesaggio, pianificazione di area vasta, remote sensing.
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Spesa in infrastrutture e crescita del settore turistico: il caso della Campania
Rosaria Rita Canale
Università degli Studi di Napoli “Federico II” - Facoltà di Economia
Oreste Napolitano
Università degli Studi di Napoli “Partenope”
Sommario La creazione dell’Unione Monetaria Europea ha modificato profondamente le regole della politica economica, poiché la
teoria dominante ritiene che la politica monetaria genera risultati efficienti ed è in grado di garantire, nel lungo periodo, la convergenza
verso il tasso di disoccupazione naturale solo se è accompagnata da regole rigide nella gestione della politica fiscale. Ma l’esistenza di
divergenze regionali nei tassi di crescita ha fatto emergere in modo prepotente il trade-off - almeno nel breve periodo - fra la riduzione
della spesa pubblica e gli interventi necessari a sostenere lo sviluppo. Molti studiosi affermano che la strategia che consente di eliminare
questo trade-off è lasciare che le forze di mercato operino liberamente. Esse, nel lungo periodo, realizzano crescita stabile, convergenza
regionale e deficit contenuti. La riduzione della presenza dello Stato nell’economia e la maggiore concorrenza fra i lavoratori abbassano
il salario di riserva, attraggono investimenti privati e assorbono la disoccupazione. Una crescita sostenuta, naturale risultato di questa
strategia, ha l’effetto di dare un ulteriore contributo al risanamento dei conti pubblici. Ma i bassi tassi di crescita registrati negli ultimi
anni in tutta Europa e in particolare la difficile condizione di aree come il Mezzogiorno hanno aperto una interessante discussione ed una
più ampia riflessione che individua nella spesa in infrastrutture una condizione preliminare necessaria allo sviluppo ed alla crescita
dell’occupazione. Il lavoro si propone di inserire all’interno di questo ampio dibattito sull’intervento pubblico in economia, un piccolo
contributo che esamina gli effetti sull’economia locale della spesa in investimenti con particolare riferimento al settore turistico. Infatti,
questo lavoro intende esaminare la dinamica dello sviluppo del settore turistico in Campania a seguito dei crescenti investimenti in
infrastrutture e trasporti avvenuti negli ultimi dieci anni. L’analisi è articolato su due livelli: un primo teorico, che ricostruisce le
problematiche relative alla dimensione della spesa pubblica e agli affetti della spesa in infrastrutture sull’occupazione. Un secondo di
economia applicata che, utilizzando la metodologia dei minimi quadrati ordinari ed analizzando sia dati settoriali che dati aggregati
relativi alla Campania, cerca di giungere alla conclusione, attraverso la suddetta analisi econometrica, che esiste una relazione diretta fra
investimenti pubblici e crescita della domanda turistica.
Parole Chiave Turismo, infrastrutture, sviluppo regionale.
L’agricoltura biologica in Sicilia tra sostenibilità e crescita
Donatella Cangialosi
Istat
Alessandro Hoffmann
Università degli Studi di Palermo - Dipartimento ESAF
Giuseppe Notarstefano
Università degli Studi di Palermo
Sommario Il lavoro prende spunto da uno studio, nell’ambito della valutazione intermedia del Piano di Sviluppo Rurale della regione
Sicilia, relativo all’impatto economico presso le aziende agricole della regione rispetto alle misure agro-ambientali. Si intende in primo
luogo offrire una rappresentazione delle caratteristiche delle aziende agricole biologiche e, in una prospettiva di analisi di filiera,
dell’intero settore agro-biologico regionale, collocandolo nel panorama più complesso della struttura produttiva agricola siciliana. Il
settore biologico in Sicilia è notevolmente cresciuto negli ultimi anni sia a motivo di scelte individuali riconducibili ad una generazione
“nuova”, generalmente giovane, di produttori che sceglie il biologico non solo in base all’opzione della sostenibilità ambientale dei
processi di produzione, ma come vera e propria occasione di mercato. Il lavoro intende esplorare ed identificare anche le diverse
tipologie di produttori, a partire da una serie di variabili soggettive ed oggettive. Si è sviluppato uno studio sulla distribuzione delle
aziende biologiche, a partire dai dati dell’ultimo censimento dell’Agricoltura del 2000, che ha reso disponibili alcuni dati, attraverso una
nuova sezione del questionario non presente nelle precedenti edizioni. L’analisi è stata condotta con riferimento alla distribuzione
territoriale e alle diverse tipologie colturali. L’ipotesi alla base dell’indagine è verificare se il biologico costituisce realmente una
“innovazione” per l’agricoltura regionale, in grado di svilupparsi a partire dalla “convenienza” degli imprenditori e dalla loro capacità di
coniugare l’opzione ambientale e le prospettive di mercato o piuttosto se essa si configura con una delle tante forme, più o meno velate,
di contributo alla produzione. Un primo livello dello studio è costituito dallo studio della concentrazione spaziale delle coltivazioni
biologiche, utilizzando apposite misure statistiche offerte dalla più recente letteratura. Si intende confrontare le diverse misure statistiche
utilizzate per analizzare l’eterogeneità territoriale e la concentrazione spaziale a partire dal celebre Indice di Moran. Un secondo livello
dello studio è costituito dall’analisi dei dati di un’indagine sul campo, attualmente in corso, che consentirà di verificare l’ipotesi di
ricerca. Tale analisi empirica è stata effettuata su un campione di circa 150 aziende agricole, selezionate in base all’elenco delle aziende
che hanno partecipato alle misure ambientali in ambito PSR. Il tipo di campionamento tiene conto di due livelli di stratificazione: uno
relativo alla distribuzione colturale (sono state scelte alcune delle colture più rilevanti e sono state escluse le aziende zootecniche) ed un
relativo alla distribuzione territoriale (ciò in base alla provincia di residenza dell’impresa).
Parole Chiave Sviluppo rurale, agricoltura biologica, sostenibilità, concentrazione spaziale.
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Scenari territoriali per una nuova Europa: un modello quantitativo di analisi
Roberta Capello
Politecnico di Milano - DIG
Sommario Dal 1 maggio 2004 l’Unione Europea ha cambiato i suoi confini geografici e ampliato il suo territorio verso nuovi Paesi, con
realtà economiche, territori, strutture urbane e sviluppo molto diversi dall’Europa a 15 membri. La sfida che la Nuova Europa affronterà
drasticamente nel prossimo futuro dipende dalla capacità con la quale sarà in grado di crescere tenendo tuttavia sotto controllo le forti
disparità regionali che si sono create con l’allargamento; la revisione dei fondi strutturali, così come tutte le politiche europee, nazionali e
persino locali che si lanceranno, richiedono una valutazione ex-ante degli effetti che genereranno sulla efficacia e sulle disparità. Questo
lavoro presenta un primo stadio di un progetto ambizioso, il cui scopo è di fornire oggi scenari territoriali di un’Europa allargata fra 15
anni, sotto differenti ipotesi sui principali elementi condizionanti nella sfera economica, demografica, sociale, tecnologica e istituzionale.
La domanda a cui si cerca di dare una risposta è la seguente: come si configurerà sul territorio il sistema economico europeo nei prossimi
15 anni? La possibilità di dare una risposta ad una domanda di questo genere risulta estremamente interessante per ottenere l’evidenza di
quali saranno le principali opportunità e i principali fattori di stress che emergeranno sul territorio Europeo da qui a quindici anni, e quali
aree andranno a colpire in modo particolare. Riuscire ad evidenziare i futuri elementi di stress e le contraddizioni economico-territoriali
che potranno emergere in futuro aiuta a formulare suggerimenti per intervenire a loro correzione, anche tenendo conto delle opportunità
che potranno essere valorizzate. L’evoluzione delle opportunità di sviluppo e di crescita all’interno della nuova Europa dipenderà
dall’andamento di alcuni elementi determinanti lo sviluppo, alcuni endogeni, altri esogeni al sistema economico. Tra gli elementi
endogeni si collocano ad esempio l’andamento quantitativo e territoriale degli Investimenti Diretti Esteri, lo sviluppo tecnologico,
l’andamento di alcune variabili macroeconomiche, quali i tassi di cambio e di interesse, gli investimenti, la spesa pubblica, l’evoluzione
della struttura economica e fisica di aree urbane, rurali e periferiche; tra gli elementi esogeni si annoverano le scelte di politica
economica per quanto attiene le grandi infrastrutture di trasporto (e.g. dove e quando l’alta velocità), i fondi strutturali (suddivisione
territoriale e per tipologie di intervento), la riforma della politica agricola comunitaria Il paper, come già accennato, presenta il primo
stadio del lavoro, che consiste nel modello teorico concettuale alla base delle analisi econometriche scenariali e delle simulazioni. Il
paper sarà strutturato come segue: - una prima parte di analisi della letteratura sull’utilizzo dei modelli econometrici per la stima della
crescita regionale, evidenziando elementi di forza e di debolezza di questo approccio; - una seconda parte di presentazione del modello
MASST (Macroeconomic Sectoral Structural Territorial Model), che verrà utilizzato per la realizzazione degli scenari; - una terza parte
di presentazione delle ipotesi condizionanti sulle quali costruire gli scenari. Il particolare, gli obiettivi specifici del paper risultano: - la
presentazione di un modello teorico-concettuale che sottolinea l’importanza delle risorse materiali e immateriali per lo sviluppo locale; la presentazione delle specificazioni econometriche del modello; - la presentazione del database e degli indicatori costruiti in time series
e cross-section per la stima del modello; - la presentazione della stima sul passato e infine - alcune ipotesi per gli scenari territoriali. Gli
scenari saranno sviluppati a NUTS2, ossia a livello di regioni amministrative per 27 Paesi Europei.
Parole Chiave Disparità regionali, scenari territoriali, Europa allargata.
Knowledge economy, cities and spatial processes
Riccardo Cappellin
Università degli Studi di Roma
Sommario Spatial concentration and urban size have been traditionally explained by economies of scale and transport costs advantages
both in manufacturing activities and in public utilities. However, while the real nature of the “knowledge economy” is still subject to a
debate, it clearly appears that cities are the core of this far-reaching sectoral transformation of the national and international economy and
that the competitive advantage of cities and regions is not determined any more by lower production costs, but rather by a greater
increase of productivity and a faster change of technology. The model of the “knowledge economy” has become a paradigmatic
framework in Europe within which a proposal of new industrial and economic development policy can be designed. Usually, the concept
of the “knowledge economy” is used in order to indicate a development phase where the scientific knowledge and human resources
represent the strategic factors. In a knowledge economy the competitiveness of the firms is determined by the quality of the products and
processes and by the decrease of decision, production and delivery times of the adoption of new products and of technological and
organizational innovation in production processes. The factors, which determine the survival and success of firms, are increasingly less
the fixed investment and the financial resources and more the know-how, the intangible resources and the distinctive competencies.
Thus, it is crucial to develop the competencies and professional skills of the labour force and the intermediate and top managers. In this
study, the concept of knowledge economy has been identified with the concept of the “learning economy” and the analysis is focused on
the links between the processes of interactive learning, knowledge creation, innovation, competitiveness, growth and territorial changes.
In particular, this contribution will consider the relationships between: o “the changes in the spatial structure and the transition to the
“knowledge economy”; o “the territorial/urban policies and the innovation policies”. It will also focus on the changes in the role of cities,
due to the transition of the economy from a “fordist” organization to the model of the “knowledge economy”. Thus, this contribution will
first aim to define the interactive nature of the knowledge creation process. Then, it will illustrate how innovation affects the territorial
structure. Third, it will highlight how the territorial structure affects the patterns of innovation. Finally, it will illustrate the key roles of
cities in the complex relations between territorial structure and knowledge creation and innovation processes. This study represents a
contribution to the: “Concept of Spatial Policy of the State” of the Governmental Centre for Strategic Studies, Warsaw - Poland. A
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preliminary draft has been presented at the: Congresso Internacional, Ordinamento Territorial e Desenvolvimento Urbano 24-26
Novembro 2004, Instituto Superior de Ciencias Sociales y Políticas, Lisboa - Portugal.
Parole Chiave Knowledge economy, spatial structure, territorial urban policies, innovation.
Sviluppo regionale e libertà effettive: prime verifiche empiriche
Michele Capriati
Università degli Studi di Bari
Sommario L’analisi dei differenti percorsi di sviluppo regionale continua a privilegiare il reddito quale misura del benessere (Svimez,
vari anni; DPS, vari anni). Grazie all’intenso lavoro svolto da alcuni organismi internazionali (UNDP, vari anni), da quindici anni si sono
però intensificati gli studi volti a sostituire il PIL quale indice di benessere. Il punto di vista teorico che è alla base della maggior parte di
questi nuovi indicatori sono i contributi del premio Nobel A. Sen e la sua riflessione sulle capabilities. In particolare, per Sen (2000) lo
sviluppo può essere visto come un processo di espansione delle libertà reali godute da gli esseri umani ed è necessario emanciparsi dal
concetto di sviluppo basato sulla quantità di beni e servizi a disposizione degli individui (il PIL). Sen sottolinea l’importanza delle libertà
effettive per l’arricchimento della vita umana: essere in grado di sfuggire a certe privazioni -fame acuta, denutrizione, malattie evitabili,
morte prematura- nonché tutte le libertà associate al saper leggere, scrivere e far di conto, al diritto di partecipazione politica e di parola
(non soggetta a censura), e così via. A tal fine egli individua cinque tipi distinti di libertà strumentali, non esaustive e tra loro
interconnesse. 1. le libertà politiche, in senso ampio: partecipazione politica, capacità di critica e controllo dei rappresentanti, libera
discussione. 2. le infrastrutture economiche, intese come possibilità date agli individui di utilizzare risorse economiche per consumare,
produrre, scambiare. 3. le occasioni sociali, gli assetti della società in materia di scuola e sanità che influiscono sulle libertà sostanziali di
vivere meglio (in modo sano, senza contrarre malattie evitabili, non morire prima del tempo) 4. garanzie di trasparenza, la società
funziona grazie ad una fiducia di massima. Le garanzie di trasparenza hanno a che fare proprio con la necessità di quel grado di sincerità
che è ragionevole aspettarsi. 5. la sicurezza protettiva, nei confronti delle persone più vulnerabili o vittime di gravi privazioni in seguito a
trasformazioni materiali che agiscono in senso negativo sulla propria vita. Per costoro è necessaria una rete di protezione sociale che
impedisca di cadere in uno stato di miseria. Il contributo intende elaborare un set di indicatori idonei a rappresentare le cinque dimensioni
su indicate per le venti regioni italiane e operare confronti sul loro grado di sviluppo non quantitativo, giungendo ad elaborare un incide
sintetico.
Parole Chiave Sviluppo regionale, libertà, capabilities.
Dalla media impresa al “ceto medio” di impresa: aspetti teorici e evidenze empiriche con
particolare riferimento al Mezzogiorno
Giuseppe Capuano
Istituto Guglielmo Tagliacarne
Sommario Uno dei principali risultati del processo di trasformazione acceleratosi in quest’ultimo triennio a causa del “lungo tunnel”
della crisi, è la disarticolazione del nostro sistema di PMI manifatturiere, rendendo l’universo di imprese sempre meno omogeneo e
compatto, e rendendo gli stessi parametri di lettura del fenomeno inadeguati e obsoleti. Infatti, negli ultimi anni abbiamo conosciuto un
fenomeno di “ispessimento” del tessuto produttivo, caratterizzato da una forte propensione alla “relazionalità” spesso concretizzatasi
nella appartenenza a gruppi di impresa (un fenomeno in crescita negli ultimi anni) o a forme organizzate di associazionismo. Attualmente
assistiamo nei fatti ad un passaggio ulteriore, quale la nascita di un “ceto medio” dell’impresa manifatturiera. Un concetto che amplia
quello di media impresa e supera una lettura dei fenomeni limitata alla sola dimensione sia in termini di addetti che di fatturato (un
approccio al problema meramente statistico-quantitativo), pur non escludendola, seguendo un approccio che potremmo definire
“andropologico”. Al contrario, si utilizza un paradigma fondato principalmente sulla capacità di competere sui mercati esteri (ad esempio
la propensione ad esportare), sulla presenza di relazioni formali (ad esempio l’appartenenza a gruppi) ed informali (ad esempio formulare
accordi di cooperazione), sulla forma giuridica (essere, ad esempio, una società di capitale), sulla possibilità di avere un buon “rating”
presso il sistema bancario, etc. Sulla genesi che ha determinato la costituzione di un “ceto medio”, possiamo utilizzare quanto la teoria
economica ha già messo in evidenza nel passato in termini di relazione tra aumento del livello di sviluppo e redistribuzione del reddito:
quando una economia si sviluppa in termini di PIL anche la distribuzione del reddito nella società abbandona la sua classica forma
piramidale (è molto forte la concentrazione di reddito in una percentuale molto bassa della popolazione) e assume una forma a “fiasco”,
con un ampliamento della “middle class”. Con tutti i distinguo del caso, è quanto successo negli ultimi anni al nostro sistema
manifatturiero, ma non dal lato della domanda, quanto dal lato dell’offerta e quindi nelle modalità di produzione (in questo caso del
valore aggiunto), aumentando la base delle imprese che partecipano al suddetto processo (in particolare di quelle medie che producono il
21% del valore aggiunto manifatturiero totale) con la riduzione del peso della grande impresa (27% del totale). Un “ceto medio” al quale
appartengono non solo le medie imprese (con 50-249 addetti) ma anche numerose piccole imprese (10-49 addetti), e che è presente
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prevalentemente ma non esclusivamente nei distretti. A nostro avviso, la formazione di un “ceto medio” di impresa è tra i fenomeni più
importanti conosciuti dall’economia italiana negli ultimi anni e che hanno trovato nel lungo “tunnel della crisi” un fattore di sfida e un
terreno di coltura per sperimentare nuove strategie e modelli organizzativi. Cercando di quantificare il fenomeno, il “ceto medio” oggi è
rappresentato da quasi 95.000 imprese manifatturiere (pari a circa il 20% del totale), di cui 3.128 con 100-199 addetti e 2.054 con più di
200 addetti (fonte: Censimento ISTAT 2001). Circa 37.000 imprese di questo gruppo esportano continuativamente; il 19,7% di esse sono
società di capitale (nel 1995 erano il 16,5% del totale); sono organizzate spesso in gruppo (circa 35.000 imprese con 16.794 capogruppo
(fonte: Unioncamere); sono localizzate prevalentemente in distretti (199 secondo l’ISTAT, circa 240 secondo altre rilevazioni) o in
sistemi produttivi locali. Obiettivo del paper è, oltre ad affinare la base teorica del concetto del “ceto medio” di impresa e verificare se
esiste una relazione tra presenza del “ceto medio” e livello di sviluppo regionale, è realizzare una verifica empirica nelle realtà
regionali/provinciali del Mezzogiorno.
Parole Chiave Ceto medio, imprese, M ezzogiorno.
Transport chains and territorial competition in the Mediterranean basin: outlook and
policy implications for spatial development
Gianni Carbonaro
European Investment Bank
Francesca Medda
University College London
Sommario The economic geography of the Mediterranean basin has always been characterised by its multifaceted dynamics. Over the
past 20 years, it has been affected by the interplay between wider economic trends, demographic pressures and political instabilities,
which have created contrasting pressures on the location of economic activities and the pattern of locational advantage. Recently, the
enlargement of the EU towards the northeast and disappointing economic performance in the southern and eastern edges of the basin
have added to these uncertainties. By changing economic opportunities and sometimes exacerbating localised socio-economic and
environmental imbalances, these pressures have added to the range and complexity of policy challenges, risks and opportunities for the
region.
A wide body of professional and research literature has been produced, spurred by the geopolitical interest of the region both for the
European Union and for the larger international community, covering a wide range of interrelated subjects, having in common the
problem of securing a balanced and environmentally sustainable growth in the region. Against this background, the paper aims at
presenting an overview of the economic geography of the Mediterranean basin from the perspective of the spatial implications of the
evolving dynamics of transport chains in the basin, focusing in particular on investment priorities and tradeoffs for islands and coastal
settlements.
The analysis will pay specific attention to the recent evolution of transport chains in sea borne traffic and its implications for the
developments of ports and more generally logistic centres and clusters. Territorial competition and first mover advantage play a central
role in determining economic geography outcomes, since economies of scale and sunk costs condition the financial and economic
sustainability of logistic facilities. This is illustrated by the rapid growth of trans-shipment nodes at new locations, with commercial port
developments where operators can realise effective transport chain management in container traffic (e.g., Gioia Tauro, Valletta, Port
Said). In addition, the rapid growth of long-distance freight flows and containerisation has often clashed with land use and urban
development constraints along the coast. A related theme to be addressed therefore concerns the impact of changing Mediterranean
transport chains on coastal settlements, in particular port relocation, inter-modal connections (for instance to land TEN links) and, for
some of the larger conurbations, the need to re-shape the existing urban fabric (e.g. waterfront revitalisation projects in Barcelona,
Genoa, Athens).
The paper will take stock of recent thinking and draw conclusions on emerging trends and possible scenarios, and to what extent certain
“pro-active” or interventionist policies - as those intended by the EU in their Euro-Mediterranean partnership agenda - may be able to
address the emerging unbalances and direct the development of the basin toward a socially and environmentally sustainable path.
Sviluppo urbano e pianificazione territoriale in una “metropoli post-moderna” del
Mediterraneo: la città di Valencia”
Maria Carella
Università degli Studi di Bari - Dipartimento per lo Studio delle Società Mediterranee
Sommario Dalla fine della guerra fredda il Mediterraneo ha acquisito una nuova centralità, rappresentando una delle principali aree di
competizione economica e politica all’interno del panorama mondiale. Ciò nondimeno, ancora oggi i paesi affacciati su tale mare
presentano situazioni decisamente differenziate tra loro, dovute alla compresenza di diversi modelli demografici e al persistere di forti
divari di carattere economico-sociale. In particolare, l’evidente ritardo con cui si sta compiendo il processo di modernizzazione nei paesi
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delle sponde africana e asiatica del Bacino mediterraneo ha ulteriormente aggravato la dicotomia già esistente tra questi stati e quelli
della sponda europea. Ovviamente tale dualismo, osservabile a tutti i livelli, continua ad acuire le profonde eterogeneità esistenti
nell’area: così città moderne si contrappongono a villaggi privi di ogni tipologia di servizio e di strutture e, al contempo, forme di vita
urbana convivono con forme familiari oramai anacronistiche, caratterizzate da diffuso analfabetismo, da mancanza di politiche sociali e
di assistenza ai nuclei parentali o alle donne. Tuttavia, relativamente ad un tale contesto delineato da tante e forti contraddizioni, la
produzione letteraria recente in tema di geografia umana ed urbana sembra orientarsi verso lo studio delle realtà afferenti i centri urbani
del Mediterraneo che, per dimensioni geo-demografiche e/o per connotazioni socio-economiche e culturali, si collocano in una posizione
intermedia tra le grandi metropoli ed i piccoli centri rurali. Detti centri urbani, definiti per la loro attuale configurazione territoriale: città
a rete o sistemi urbani policentrici, identificano le “metropoli post-moderne” del Mediteranno (o “metropoli di seconda generazione”) in
cui le politiche urbanistiche hanno avuto il merito di controllare o perfino risolvere le emergenze prodotte dall’espansione urbana,
disordinata e spontanea, tipica delle città mediterranee. Alla luce delle considerazioni fin qui espresse, con il presente lavoro ci si
propone di analizzare determinanti ed implicazioni dello sviluppo urbano che ha interessato la città di Valencia collocata sul litorale
mediterraneo -levantino della Spagna. Obiettivo altrettanto prioritario del contributo qui proposto sarà quello di illustrare caratteristiche,
limiti e finalità dei piani regolatori che, dal 1946 ad oggi, hanno cercato di regolare le dinamiche della crescita urbana di Valencia. Lo
studio che si intende realizzare sarà articolato in due parti. Nella prima si inquadrerà la città di Valencia nel contesto regionale e
nazionale dal punto di vista demografico ed economico e si definirà la struttura di tale insediamento urbano, nonché il suo ruolo nel
proprio contesto territoriale. Congiuntamente verranno esaminate le componenti della dinamica demografica che hanno prodotto il
progressivo e rapido aumento della popolazione di Valencia dal secondo dopo guerra in poi. A riguardo, si approfondirà soprattutto lo
studio delle caratteristiche strutturali della popolazione valenciana, delle sue tendenze evolutive e della sua attuale
distribuzione/concentrazione nei distretti e nei quartieri della città Nella seconda parte del lavoro l’attenzione verrà rivolta agli effetti
generati dalla pianificazione territoriale con particolare riferimento ai tre piani regolatori (1946,1966,1988) ed alle leggi che hanno
regolato e che tuttora regolano lo sviluppo urbano di Valencia. Intento finale è quello di spiegare le trasformazioni ed il successo delle
politiche urbanistiche in una città mediterranea ancora in crescita e che, in quanto policentrica, dinamica ma anche “ordinata”, si
potrebbe definire post-moderna.
Parole Chiave Città mediterranea, Valencia, sviluppo urbano, politiche urbanistiche.
Distretti e impresa agricola multifunzionale
Paolo Careri
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie - Sez. Economia
Sommario La presente indagine si propone di sviluppare il tema dei distretti rurali e agroalimentari di qualità. La nozione di “distretto”,
ovvero un ambiente sociale in cui i sistemi di relazione tra gli esseri umani assume un peculiare carattere, prima che i giuristi, ha
interessato gli economisti ed in particolare gli studiosi di economia agraria. Diritto ed economia, in questa delicata materia, interagiscono
profondamente fino a fondersi. Il legislatore italiano, nel disciplinare l’istituto, ha preso atto dell’esistenza di alcune realtà già esistenti. Il
termine distretto è entrato nel linguaggio legislativo solo in tempi recenti, ed ancor di più l’espressione distretti agricoli o agroalimentari.
Tale acquisizione è indice del riconoscimento del ruolo del territorio che diventa fonte creatrice di regole giuridiche di cui sono
destinatarie le imprese agricole che ne fanno parte. La dottrina giuridica non può che attingere alle ricostruzioni teoriche effettuate in
sede di analisi economica e per questo chi si accinge a studiare i profili giuridici dei distretti in agricoltura deve assumere le vesti del
giuseconomista (Ferdinando Albisinni, Roma, 2004). Con l’analisi giuridica dei distretti in generale e dei distretti agricoli in particolare,
il territorio in cui l’attività d’impresa si svolge, acquista un rilievo centrale tanto che si parla di diritto agrario territoriale (Albisinni, 2004
- Jannarelli, 2004). Il distretto agricolo diventa uno strumento per creare un forte collegamento tra le imprese agricole allo scopo di
valorizzare, in un determinato territorio, la multifunzionalità e la pluriattività (Francesco Bruno, 2001). Di tutto ciò ha tenuto conto il
legislatore del 2001 che con il D. Lgs. 228, attuativo della legge delega n. 57/2001, ha definito i distretti rurali e i distretti agroalimentari
di qualità, inserendo tale disciplina in un più ampio contesto. Con tale documento, infatti, ha dato una nuova definizione di imprenditore
agricolo, modificando il testo dell’art. 2135 c.c. e positivizzando, con qualche adattamento, forse inopportuno, il criterio del ciclo
biologico (Carrozza, 1975), superando la nozione fondiaria dell’agricoltura, non più in armonia con la moderna realtà tecnico economica. Scompare il fundus visto in una logica individuale (Romagnoli, 2001) per diventare “il possibile, ma non necessario oggetto
della coltivazione”. L’attenzione si sposta, pertanto, dal singolo fondo all’intero territorio e alle imprese che operano al suo interno, in
collegamento tra loro e secondo le vocazioni produttive. La nuova impresa agricola non è necessariamente fondiaria ma è sicuramente
territoriale e, come tale, agisce in un determinato spazio che diviene elemento essenziale della struttura produttiva, oltre a consentire
all’impresa di inserirsi proficuamente sul mercato. Ciò che emerge dall’esame delle norme giuridiche una certa distanza concettuale fra
lo sviluppo della teoria dei distretti applicata in agricoltura e il testo di legge. Una risposta in tal senso si attende dall’attuazione della
legge 38/2003 con cui il Parlamento ha conferito al Governo una nuova delega di orientamento in agricoltura.
Parole Chiave Impresa, multifunzionalità, territorio, distretti.
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L'efficacia degli investimenti pubblici a livello territoriale: un approccio d'equilibrio
economico spaziale
Carla Carlucci
Pietro Cova
Unità di Verifica degli Investimenti Pubblici - DPS - MEF
Sommario Sebbene di difficile e incerta quantificazione, una corretta misurazione dell’efficacia degli investimenti pubblici risulta
fondamentale per garantire una allocazione territoriale e strutturale quanto mai efficiente delle risorse destinate agli investimenti
pubblici. La massimizzazione dell’efficacia degli investimenti pubblici è rilevante anche in funzione della loro capacità di aumentare gli
interscambi territoriali e, più in generale, di migliorare la qualità del territorio e la sua capacità ad attrarre risorse private, oltre che
pubbliche.
Scopo del presente lavoro è quello di quantificare l’efficacia degli investimenti pubblici a livello provinciale sul benessere della
collettività - imprese e famiglie - mediante un modello di “equilibrio economico spaziale” che tiene conto delle relazioni socioeconomiche esistenti tra più aree geografiche: relazioni a loro volta fortemente influenzate dagli investimenti pubblici che, per la loro
natura, tendono a influenzare gli interscambi, e le dinamiche di sviluppo tra le diverse aree, con effetti che possono variare tra il breve e
il lungo periodo.
A tal fine sviluppiamo un semplice modello di equilibrio economico che tiene conto dei benefici dovuti allo stock di infrastrutture
percepiti da famiglie e imprese situate su unità territoriali distinte. L’analisi si rifà ai lavori di Rosen (1979) e Roback (1982) finalizzati
alla stima di “modelli edonici”, nei quali si cerca di attribuire un prezzo monetario a delle variabili prive di un esplicito prezzo di
mercato, quali le amenità locali legate al clima e le caratteristiche personali dei lavoratori (formazione, esperienza, sesso, stato civile).
L’idea alla base di questo approccio è che il valore monetario di queste amenità e caratteristiche personali sia in qualche misura riflesso,
o capitalizzato, nei prezzi locali dei fattori produttivi (salari, valore dei terreni, costo del capitale). Rispetto agli approcci più tradizionali
quali la cost-benefit analysis e gli approcci basati sulla stima delle funzioni di produzione/costi dell’impresa rappresentativa, i dati
necessari per la stima di un modello di equilibrio spaziale sono ‘‘agevolmente’’ reperibili e ridotti ad un insieme di variabili statistiche
minimo. Inoltre, trattandosi di un modello di equilibrio economico si tiene conto contestualmente delle interazioni tra famiglie e imprese
e degli effetti che le variabili spaziali (amenità e altre caratteristiche locali) sono in grado di esercitare sull’intera collettività.
Il presente lavoro cerca, inoltre, di introdurre delle innovazioni rispetto al modello di base utilizzato in numerosi lavori. Tali estensioni al
modello di base rispecchiano i recenti sviluppi in materia di “nuova geografia economica”, che tendono a risaltare ai fini dello sviluppo
locale la presenza di effetti di agglomerazione, la struttura produttiva e di contrattazione salariale in regime di concorrenza monopolistica
e l’importanza del sistema creditizio locale.
Coerentemente con l’analisi teorica, le metodologie econometriche impiegate per stimare il modello tengono anche conto dei legami
spaziali che caratterizzano le unità e le variabili territoriali oggetto dello studio. A tal fine stimiamo un modello di panel data che sfrutta
alcune delle tecniche sviluppate nell’ambito dell’econometria spaziale.
Parole Chiave Economia regionale, investimenti pubblici, sviluppo territoriale, econometria spaziale.
Le cause dei divari regionali della disoccupazione in Europa
Floro Ernesto Caroleo
Gianluigi Coppola
CELPE
Sommario Il tema della convergenza economica tra i paesi e tra le regioni ha pervaso il dibattito che ha accompagnato il processo
economico e politico che ha portato alla nascita dell’Unione Europea. Infatti, soprattutto se si considerano i livelli regionali, la
convergenza in Europa, contrariamente a quanto avviene negli Stati Uniti, si presenta molto lenta, se non con periodi in cui vi è una
tendenza opposta di divergenza o di persistenza dei divari. Come esempi più evidenti di tali fenomeni vengono sottolineati:
l’unificazione tedesca (Marani, 2004), i ritardi delle regioni del Mezzogiorno d’Europa, specie quelle italiane e il lento processo di
transizione dei paesi dell’Est europeo (C. Perugini M. Signorelli, 2004. Le implicazioni teoriche e di policy sono notevoli. Sotto il primo
aspetto si sottolinea come il caso europeo non sia spiegabile pienamente da nessuna delle teorie della crescita economica, quella
neoclassica, sia nella sua versione debole che nella versione forte, quella dello sviluppo endogeno e quella della “nuova geografia
economica”. Nel secondo caso si evidenzia come le politiche di coesione regionale dell’Unione Europea non siano state capaci di
promuovere l’integrazione economica, prerequisito fondamentale per il pieno funzionamento delle politiche monetarie e fiscali a livello
comunitario. Nell’ambito di questo dibattito, inoltre, vi è un quasi unanime consenso sul fatto che i processi di convergenza/divergenza
in Europa sono fortemente influenzati dalle condizioni economiche ed istituzionali che regolamentano il mercato del lavoro. Infatti tali
processi vengono misurati in genere in termini di GDP pro capite e/o nelle due componenti che lo compongono: tasso di occupazione e
produttività. Le stime econometriche in modo unanime concordano sul fatto che il lento processo di convergenza complessivo
riscontrato, e la formazione di gruppi di regioni omogenee, convergenti al loro interno ma divergenti tra di loro, è stato esclusivamente
dovuto all’andamento del tasso di occupazione, pertanto, alle caratteristiche del mercato del lavoro. Da qui la crescente attenzione ai
meccanismi istituzionali che sovrintendono le regolazione del mercato del lavoro e sulle caratteristiche della domanda e dell’offerta di
lavoro e la loro dipendenza dai fattori spaziali (Niebhur, 2002). Uno dei fatti stilizzati più importanti che caratterizza l’economia
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dell’Unione Europea è quindi costituito dalla presenza di divari territoriali all’interno della stessa Unione. Tali divari concernono sia il
PIL pro capite sia gli squilibri del mercato del lavoro misurati attraverso il tasso di disoccupazione sui quali si è concentrata
prevalentemente la letteratura scientifica In un precedente nostro lavoro (Amendola, Caroleo Coppola, 2004) è stata individuata la
struttura economica delle regioni europee attraverso l’utilizzo di alcuni indicatori dell’economia, della struttura produttiva, e del mercato
del lavoro. L’obiettivo del presente lavoro è quello di studiare i divari territoriali del tasso di disoccupazione, tenendo conto della
differente struttura produttiva ma soprattutto dei differenti assetti istituzionali delle regioni. A tal fine si verifica l’eventuale esistenza di
un legame funzionale tra il tasso di disoccupazione, considerato come variabile dipendente, e alcune variabili latenti che catturano le
caratteristiche produttive e del mercato del lavoro delle regioni, un indicatore del livello di accentramento della spesa pubblica, ed un
altro relativo al grado di centralizzazione della contrattazione Il metodo econometrico di stima utilizzato è un panel per gli anni 19922000.
Parole Chiave Divari territoriali, disoccupazione, panel data, istituzioni.
Evoluzioni e tendenze dell’ICT in Italia
Vito Arcangelo Carulli
Università degli Studi di Bari
Sommario Le tecnologie dell’informazione stanno modificando la natura dello sviluppo urbano e regionale, in termini di contenuti
nonché di strutture e di interazioni spaziali di produzione. Il mercato ICT italiano sta crescendo anno dopo anno a ritmi interessanti che
spingono ad un’analisi che riguarda sia l’andamento del settore ICT nel suo complesso, che l’andamento e gli impatti che questo
comparto ha sui principali settori della domanda di nuove tecnologie, con riferimento alle realtà regionali. L’occasione di promuovere
questo tipo di analisi nasce con lo sviluppo dei primi progetti di eGovernment, a partire dal 2002, da parte del Ministro per l’Innovazione
e le Tecnologie. Si tratta di un’analisi molto puntuale sulla dimensione dei mercati regionali dell’Information Technology, a partire dai
dati sul mercato ICT nazionale, con confronti specifici tra i diversi mercati regionali e con riferimenti ai parametri che
contraddistinguono le singole realtà regionali (PIL regionale; valore degli investimenti in macchinari e attrezzature a livello regionale;
numero degli occupati per Regione; numero delle imprese attive per Regione). Il presente lavoro intende analizzare il mercato
dell’Information Technology presso le Regioni italiane, attraverso la quantificazione della spesa IT a livello locale, la determinazione dei
trend di mercato e la lettura di alcuni indicatori di penetrazione dell’IT presso i sistemi industriali locali. L’obiettivo è quello di avviare
un’attività che porti, nel tempo, a colmare un gap di conoscenza relativo allo stato di utilizzo dell’IT delle nostre Regioni: ad oggi infatti,
non esistono analisi sistematiche relative alla domanda di Information Technology a livello regionale e, tanto meno, dati di spesa
puntuali che permettano di cogliere evoluzioni e tendenze nell’uso delle tecnologie da parte del sistema della domanda IT nell’ambito
delle Regioni italiane. Ciò che generalmente viene affrontato negli studi condotti a livello locale è infatti lo stato e il sistema dell’offerta,
mentre raramente si analizzano le correlazioni tra ciò che l’offerta propone e ciò che chiede la domanda, rispetto alle proprie esigenze e
peculiarità. È possibile riassumere gli obiettivi di tale lavoro in tre principali macrotemi: 1. effettuare una prima analisi del tema, che si
propone di fornire alcuni primi strumenti di approfondimento dell’analisi dei mercati locali della domanda di IT, attraverso indicatori
macroeconomici e indicatori di penetrazione; 2. quantificare la spesa IT regionale e per area geografica, evidenziandone il trend
dell’ultimo triennio e, partendo da tali dati, illustrare i drivers che guidano il dimensionamento della domanda a livello locale. Questo
aspetto è considerato cruciale, e può permettere di comprendere numerose dinamiche, soprattutto nella situazione attuale in cui lo
sviluppo del mercato IT risulta sempre più guidato dalle esigenze delle aziende utenti e quindi dalle effettive richieste della domanda
piuttosto che dalle politiche di marketing dell’offerta; 3. valutare le differenti condizioni della domanda locale di Information
Technology e analizzare il digital divide presente tra le Regioni italiane. Questo aspetto assume particolare importanza anche per valutare
il grado potenziale di successo dei piani di e-Government all’interno di ciascuna Regione: è infatti evidente che un buon livello di
penetrazione e di utilizzo dell’IT e una buona dotazione infrastrutturale siano i presupposti necessari per il successo dei piani governativi
di incentivo all’utilizzo di Internet e della tecnologia, sia presso la PA che presso l’utenza locale. Il lavoro presenta, quindi, i principali
risultati dell’analisi effettuata, proponendo alcune chiavi di lettura della situazione attuale dei mercati regionali dell’IT e le principali
tendenze evolutive.
Parole Chiave ICT, regioni italiane, trasformazioni, sfida.
Modelli di distribuzione: stato attuale e sviluppi futuri
Ennio Cascetta
Francesca Pagliara
Andrea Papola
Università degli Studi di Napoli “Federico II”- Dipartimento di Ingegneria dei Trasporti
Sommario 1.INTRODUZIONE I modelli di distribuzione ripartiscono la domanda totale di spostamenti emessi da ciascuna zona di
origine per un dato motivo, in una data fascia oraria tra le varie destinazioni. La modellizzazione della scelta della destinazione é una
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operazione complessa che coinvolge varie discipline e, pertanto, è stata trattata da esperti di vari settori, quali gli economisti, i geografi, i
trasportisti, gli urbanisti, ecc. Questo articolo vuole fare ordine su tale step del modello a quattro stadi, presentendo una classificazione
dei modelli oggi in uso e confrontandoli, per quanto possibile, attraverso alcuni criteri. 2.I DIVERSI APPROCCI ALLA
MODELLIZZAZIONE DELLA SCELTA DELLA DESTINAZIONE I primi metodi proposti sono stati quelli che introducono dei
growth-factors, ovvero essi considerano una matrice degli spostamenti relativa all’anno base e la proiettano al futuro attraverso un fattore
di crescita. A partire dagli anni ’50 sono stati specificati e calibrati diversi modelli di scelta della destinazione in analogia con le leggi
della fisica; tra di essi il modello gravitazionale ed i modelli entropici (Wilson, 1970), che da essi derivano, sono alcuni esempi
significativi. Un altro approccio ha considerato l’uso di un fattore intervening opportunities (IO) introdotto da Stouffer (1960), il quale
propone: “the number of persons going a given distance is directly proportional to the number of opportunities at that distance and
inversely proportional to the number of more accessible opportunities called intervening opportunities”. Nel modello gravitazionale,
l’impedenza è definita dalla distanza o costo generalizzato; viceversa, nel modello con IO, l’impedenza è rappresentata dalle opportunità
che si interpongono tra l’origine dello spostamento e le possibili destinazioni. Alcuni autori (Goncalves e Ulyssea-Neto, 1993) hanno
pensato di unificare i due approcci e di considerare un’unica funzione di impedenza, che tenga conto sia del costo generalizzato che delle
opportunità. A tal fine, sono stati specificati modelli chiamati gravity-opportunity. Con lo sviluppo dei modelli di utilità casuale è stato
possibile specificare molti modelli, con diverse forme funzionali, applicabili a diversi contesti ed, in particolare, la loro introduzione ha
permesso di considerare una varietà di attributi al fine di rappresentare meglio la scelta della destinazione (Cascetta, 2001). Un contributo
significativo alla definizione dell’insieme di scelta delle alternative lo si deve a Fotheringham (1986) con l’introduzione del modello
delle “competing destination”. Da quanto detto, si deduce una possibile classificazione dei modelli di distribuzione in 1) metodi con
fattore di crescita; 2) modelli gravitazionali (modelli entropici; modelli di localizzazione); 3) modelli di utilità casuale [logit; nested logit
(size function); competing destination] 4) modelli con intervening opportunities, 5) modelli misti (gravity-opportunity; utilità casuale con
IO, ecc.). 3.CONCLUSIONI In questo articolo si propone una classificazione dei modelli di scelta della destinazione ed un loro
confronto attraverso alcuni criteri. L’analisi dei vari approcci consente di evidenziare “strengths” e “weaknesses” dei modelli
relativamente alle variabili considerate, alla procedura di calibrazione, alla loro capacità previsionale e di individuare possibili sviluppi
futuri.
Parole Chiave Trasporti, modelli di distribuzione, intervening opportunities, modelli di utilità casuale.
Gli elementi della valutazione dei piani e dei progetti urbani
Stefania Castagneri
Politecnico di Torino - DICAS
Sommario Negli ultimi anni sono stati avviati i lavori relativi ai grandi interventi di trasformazione di aree urbane spesso collocate nelle
parti più centrali della città. Si tratta di interventi che prevedono la ricostruzione di ampie parti del tessuto urbano aventi un elevato
valore strategico, sociale, economico ed urbanistico nella riorganizzazione della città grazie alla loro estensione, qualità ambientale e
localizzazione. Ogni trasformazione che si intende avviare in un territorio deve tenere presente tutte le caratteristiche che lo connotano: la
situazione sociale, le carenze funzionali, i luoghi della memoria storica,…. La perdita di questi elementi durante la fase valutativa, o la
sottovalutazione delle relazioni che l’intervento potrebbe instaurare con il contesto in cui si colloca, potrebbe compromettere l’efficacia
delle politiche che il piano intende avviare. Si tratta di prevedere nuove destinazioni d’uso, aumentare gli standard di qualità urbana, ma
soprattutto di ridar vita ai territori limitrofi in cui sono riscontrabili elevate forme di degrado. La valutazione dei piani e delle politiche di
questi interventi sia nella fase ex ante, sia nelle fasi in itinere ed ex post, è di fondamentale importanza al fine del raggiungimento dei
molteplici obiettivi che la Pubblica Amministrazione (ma non solo) si prefigge. Nello studio vengono così descritti e analizzati, dal punto
di vista economico, aspetti quali: - le funzioni, sia quelle già presenti nei territori circostanti sia quelle da realizzare per sopperire ad
eventuali mancanze del quartiere o della città. L’importanza di un territorio si può desumere dalle funzioni che in esso vengono
esercitate, dal loro raggio d’azione e dal loro impatto sulla vita sociale, per cui l’analisi funzionale di un’area ci rivela l’intensità, la
forma e la qualità dei suoi rapporti col resto del territorio. Lo studio delle attività, delle funzioni e delle destinazioni d’uso da inserire e di
quelle già presenti, aiuta a capire quali sono gli obiettivi che l’attuazione del piano permette di raggiungere, se il territorio è in grado di
ospitare le nuove attività e se vi sono o vi si possono creare, tramite opportune politiche economiche e sociali, le condizioni per innescare
gli sviluppi previsti nelle diverse fasi del piano (ex ante, in itinere ed ex post); - l’accessibilità, intesa come “insieme delle caratteristiche
spaziali, distributive ed organizzative […] che siano in grado di costruire la fruizione agevole, in condizioni di adeguata sicurezza ed
autonomia, dei luoghi e delle attrezzature della città” (F. Vescovo, 1992, L’accessibilità urbana: considerazioni di base e concetti
introduttivi, in Paesaggio Urbano n° 1/92, Maggioli editore, Rimini), che rappresenta uno degli essenziali aspetti qualitativi di base della
progettazione degli spazi costruiti; - il verde urbano, elemento che negli ultimi decenni ha assunto via, via, un sempre maggiore rilievo
nella pianificazione. Esso è stato indicato nell’Agenda 21 e nella Carta di Aalborg come elemento di grande importanza ai fini del
miglioramento della qualità di vita nelle città, per le diverse funzioni che può svolgere (ecologico - ambientale, sanitaria, protettiva,
sociale e ricreativa, igienica, culturale e didattica, estetico - architettonica). La valutazione di questi elementi permette di definire costi e
benefici per i diversi soggetti coinvolti, direttamente o indirettamente, altrimenti non percepibili; non considerarli attentamente potrebbe
condurre ad una errata valutazione delle politiche territoriali o ad una mancata possibilità di sviluppo per la città e per il territorio su cui
esse vengono attuate.
Parole Chiave Trasformazione urbana, valutazione economica, analisi funzionale.
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La pianificazione integrata. L’approccio della VAS ai processi di piano
Carmela Melania Cavelli
Nvvip della Regione Campania
Sommario La VAS, secondo la direttiva 2001/42/CEE, va sempre più caratterizzandosi come uno strumento forte per l’integrazione
della dimensione ambientale nei piani e nei programmi ai fini della sostenibilità. Del resto il principio di integrazione (che prevede fra
l’altro che gli obiettivi di tutela ambientale siano introdotti in tutte le politiche di settore, fin dalle prime fasi del processo decisionale)
caratterizza molte delle strategie della Comunità europea poiché: dà attuazione all’art. 6 del trattato dell’Unione Europea, introdotto ad
Amsterdam nel 1998; è un elemento chiave del VI Programma di azione ambientale dell’Unione Europea; la verifica della sostenibilità
ambientale degli interventi e il legame stretto che esiste fra economia e ecologia è previsto dalle due risoluzioni dei consigli europei di
Lisbona e Göteborg, a cui dovrà conformarsi la pianificazione futura. In particolare, l’integrazione della dimensione ambientale nei piani
e nei programmi ai fini della sostenibilità ambientale e sociale si attua principalmente attraverso la valutazione ambientale strategica, con
diverse modalità che la ricerca intende evidenziare. Verranno in particolare esaminati tre modelli di integrazione della VAS al processo
di piano, ovvero: 1) VAS tipo VIA; 2) Integrazione minima; 3) Integrazione piena. Particolare attenzione verrà attribuita ai processi e
esperienze di “integrazione piena” ove la valutazione ambientale accompagna tutte le fasi di redazione, approvazione, attuazione del
piano, in un processo continuo che va dalla valutazione ex ante, a quella in itinere e quella ex post. Una riflessione riguarderà il ruolo
della VAS ai diversi livelli del processo di pianificazione e in particolare: nella fase preliminare del Piano ove la Valutazione ambientale
consente di far emergere lo stato dell’ambiente nonché le criticità ambientali che dovranno essere prese in considerazione dal Piano o dal
programma; nella fase di identificazione degli obiettivi generali e specifici, caratterizzandosi come strumento per l’organizzazione dei
processi di partecipazione e di negoziazione; nella fase di costruzione degli scenari e di selezione delle alternative più efficaci rispetto al
sistema degli obiettivi; e infine nella fase di adozione e di attuazione del piano attraverso il monitoraggio degli esiti delle azioni
programmate per la stima del raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità e, in caso di esito non soddisfacente, per il riorientamento dei
contenuti del piano. Dopo aver evidenziato, ricorrendo ad esempi ed a riferimenti a casi concreti (relativi a piani a diversa scala e alla
valutazione ambientale dei programmi dei Fondi strutturali), come l’introduzione della VAS configuri un processo di pianificazione
continuo attraverso la sequenza decisione - attuazione - controllo degli esiti (e eventuale retroazione), si intende sottolineare come da un
lato la VAS abbia poca influenza nella “proliferazione dei piani” poichè la componente ambientale si prefigura come elemento forte della
ricomposizione della attuale frammentarietà e dall’altra parte si vuole evidenziare come la VAS abbia la capacità di innovare e rafforzare
la logica della pianificazione poiché contribuisce ad evidenziare la necessità e l’opportunità di disporre di piani strategici, valutati dal
punto di vista della sostenibilità, da cui partire per la programmazione e pianificazione settoriali.
Parole Chiave Valutazione ambientale strategica, pianificazione integrata, governance sostenibile.
Le organizzazioni dello sviluppo locale. Primi risultati di una ricerca sul campo
Domenico Cersosimo
Università degli Studi della Calabria
Giuseppe Farace
Contesti
Alessandra Perri
Università degli Studi della Calabria
Sommario L’obiettivo generale del paper è quello di analizzare e interpretare in profondità il tema delle Agenzie locali di sviluppo, ossia
le strutture e le organizzazioni finalizzate a promuovere, accompagnare e gestire interventi di sviluppo locale. L’origine di queste
esperienze si colloca nella seconda metà degli anni Novanta ed è riconducibile all’attuazione delle politiche e dei programmi nazionali e
comunitari o all’iniziativa autonoma delle amministrazioni pubbliche nell’ambito di nuove strategie di intervento volte a fronteggiare
situazioni di crisi economica e occupazionale oppure a sostenere processi di crescita endogena. Il paper rappresenta il principale output di
una ricerca sul campo che ha interessato 11 Agenzie localizzate nelle regioni Obiettivo 1, selezionate tra le strutture di gestione di
Leader, Patti Territoriali, Patti Territoriali per l’Occupazione o altri programmi, dotate di un’organizzazione di una certa dimensione (non
meno di 4 dipendenti), attive da almeno un quinquennio e coinvolte nella progettazione e/o nell’attuazione dei Progetti integrati
territoriali (PIT). La metodologia di indagine adottata è quella dello studio di caso, attraverso cui è possibile esplorare un fenomeno sia in
modo descrittivo che in modo esplorativo. Essa ci ha consentito di approfondire ed esplicitare gli aspetti relativi ai contesti operativi e
alle dinamiche evolutive delle Agenzie di sviluppo e di formulare alcune ipotesi interpretative frutto della comparazione dei singoli casi.
In particolare, la realizzazione degli studi di caso si è basata sull’analisi di documenti delle Agenzie e sulla realizzazione di interviste a
testimoni privilegiati “interni” (coordinatori, dipendenti, soci, ecc.) ed “esterni” (amministratori locali, consulenti, ecc.) alla struttura. Il
campo di analisi ha riguardato l’evoluzione e il posizionamento nel “ciclo di vita”, le relazioni con le Pubbliche Amministrazioni, le
funzioni svolte, le caratteristiche organizzative e l’efficacia dell’operato delle singole Agenzie. Lo scenario che emerge si presenta
alquanto variegato: si riscontrano diversi modelli organizzativi, specializzazioni, modalità di coinvolgimento degli attori locali, livelli di
competenze. Tuttavia, si rilevano tratti comuni per quanto riguarda gli effetti indotti dall’azione delle Agenzie. In particolare, gli
eterogenei processi istituzionali attivati nel quadro della nuova programmazione hanno contribuito in maniera significativa ad innovare
modalità e contenuti dell’ideazione e dell’implementazione dello sviluppo locale. Nello specifico, il valore aggiunto delle Agenzie
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attiene soprattutto alla loro capacità di costruzione e alimentazione di trame di rapporti inter-istituzionali, di mobilitazione di competenze
tecniche e relazionali, di conoscenza specifica delle risorse e delle potenzialità dei territori, di diffusione di metodologie e tecniche per
accrescere l’efficienza gestionale di programmi di sviluppo integrati.
Parole Chiave Agenzie locali di sviluppo, politiche territoriali, innovazione istituzionale.
Quali sistemi locali del lavoro?
Francesco Chelli
Università Politecnica delle Marche - Dipartimento di Economia
Augusto Merlini
Università degli Sudi di Roma “La Sapienza”
Sommario Il dibattito attualmente in corso sull’individuazione dei Sistemi Locali del Lavoro (SLL), intesi come aggregazioni di comuni
e derivati da un insieme di algoritmi basati sul movimento pendolare per motivi di lavoro, pone il problema di verificare se le
aggregazioni così ottenute descrivano effettivamente i confini di tali Sistemi o piuttosto, mancando di un modello teorico di riferimento,
non costituiscano degli artefatti privi di una qualsiasi utilità. La metodologia in esame si basa infatti sulla considerazione elementare
delle frequenze relative di una matrice di pendolarismo, alle quali viene applicata una serie di regole descrittive ascrivibili al principio di
auto-contenimento, e il cui risultato, in termini di aggregazioni di comuni, non è sempre facile da interpretare. Inoltre tali procedure
possono condurre a risultati dubbi se non addirittura fuorvianti quando ne viene proposta l’applicazione a problemi di natura più
generale quali ad esempio l’individuazione di entità territoriali di livello intermedio fra il comune e la provincia.
In effetti i sistemi locali del lavoro hanno già rilevato la loro insufficienza quando si trattò di individuare i distretti industriali sulla base
della normativa prevista dal decreto del 21/04/1993 n. 51 sulla “Determinazione degli indirizzi e dei parametri per l’individuazione da
parte delle regioni dei distretti industriali”. La normativa in esame stabiliva infatti che l’unità elementare fosse proprio il sistema locale
del lavoro, ma il riferimento imposto dalla Legge ai confini regionali costituiva, già di per sé, un vincolo inconciliabile con la struttura
dei SLL. Invero non è questo il problema più grande: dallo studio approfondito dei SLL è emerso in modo incontrovertibile che molte
realtà territoriali ritenute distrettuali dalla teoria economica e studiate come tali, perdono la loro caratteristica di distretto economico se
per definirle vengono seguite le metodologie di aggregazione in esame.
Le problematiche a cui abbiamo brevemente accennato, da un lato, e la mancanza di una qualche teoria di riferimento, dall’altro, ci hanno
indotto a condurre un semplice esercizio di verifica, con riferimento alla regione Marche, sui Sistemi Locali del Lavoro individuati
dall’ISTAT, per il censimento 2001,con quelli ottenuti sfruttando la teoria delle catene regolari di Markov (sebbene una tale teoria si
adatti meglio ad una matrice di cambiamenti di residenza che non di movimento pendolare). L’ipotesi di partenza è fondata sul
presupposto che i fenomeni sul territorio presentano una sorta di rigidità che rendono la individuazione dei SLL non particolarmente
sensibile alle tecniche utilizzate per determinarli. Resta comunque il problema di verificare se alcuni dei SLL comunque individuati,
possano effettivamente ritenersi tali. I risultati ottenuti sembrano essere di un certo rilievo.
Percorsi turistici di mobilità lenta: un nuovo modo di scoprire le risorse del territorio
Ersilia Chiaf
Michele Pezzagno
Università degli Studi di Brescia
Sommario Negli ultimi anni la crescente domanda di mobilità non-motorizzata di carattere turistico-ricreativo favorisce sempre più la
pianificazione di itinerari di scala territoriale lungo sistemi ambientali, storici e culturali. Tali itinerari, se connessi a sistema tra loro e
con altri di minor rilievo, consentirebbero di muoversi in spaccati territoriali all’interno del diversificarsi del paesaggio e dell’ambito
rurale, di quello della città consolidata e di quello del centro storico, nella suggestione di quanto l’opera concomitante della natura e
dell’uomo è riuscita a formare nel tempo. In Italia la rete per la mobilità non-motorizzata di ambito extra-urbano, costituita da sentieri di
montagna, strade e sentieri militari, mulattiere, itinerari naturalistici, ecc. è fortemente frammentata. La realtà offre una scenografia dalle
grandi potenzialità che dispone di itinerari in grado di soddisfare le diverse esigenze: esistono infatti, centinaia di chilometri di strade
arginali, alzaie di navigli e canali, tratturi, trazzere, sedimi ferroviari dimessi e sentieri storici che andrebbero valorizzati per recuperare la
memoria che ha fatto la storia di un popolo. Questi “percorsi verdi” potrebbero offrire un sistema di mobilità complementare a quello
tradizionale, che permetterebbe un tipo di movimento sicuro, lento e gratificante non solo in occasioni di attività ludico-ricreative
(mobilità non sistematica), ma anche per la mobilità legata al vivere quotidiano (mobilità sistematica). Per poter promuovere una
mobilità lenta che permetta di avvicinarsi al territorio e far sì che il termine “turismo” si possa accostare senza contraddire il concetto di
salvaguardia e di sostenibilità, occorre che gli itinerari proposti siano ben organizzati e serviti. Quando l’utente si pone di fronte alla
realtà territoriale, costituita da un insieme di elementi tra loro correlati ed interagenti, deve essere poter riconoscere un denominatore
comune che lo accompagni nel suo “viaggio”. Al fenomeno turistico, sotto il profilo della gestione culturale, comunicativa, partecipativa,
della tutela e valorizzazione dei “beni” ambientali e tradizionali, va riservata un’attenzione costante, aggiornata metodicamente, in grado
di avvalersi di contributi e prospettive interdisciplinari efficaci: sia dal punto di vista del miglioramento e dell’affinamento costante di
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una valorizzazione turistica accorta, altamente consapevole delle proprie potenzialità come dei propri limiti costitutivi, che sappia offrire
non solo l’immagine, ma soprattutto la realtà di una tradizionalità vivente. La valorizzazione del paesaggio e del patrimonio culturale,
che accresce il potere di attrazione delle regioni agli occhi degli investitori, del turismo e della popolazione, è un fattore importante di
sviluppo economico e contribuisce altresì in modo significativo al potenziamento dell’identità regionale. Affinché l’itinerario possa
svilupparsi come elemento fondamentale è importante diffondere la conoscenza del medesimo attraverso un’idonea promozione nelle
sedi locali, provinciali e regionali curando successivamente i rapporti con le istituzioni esistenti sul territorio, gestire direttamente o
indirettamente le attività collaterali e proporre attività di formazione necessarie per gli operatori. La ricerca COFIN 03 “Mobilità non
motorizzata e risorse territoriali: un confronto interdisciplinare e sperimentazioni per la progettazione” (coordinatore nazionale: Prof. R.
BUSI) svolta in interdisciplinarietà con le Università degli Studi di Brescia, l’Università Bocconi, l’Università Cattolica del Sacro Cuore
e l’Università degli Studi di Bergamo, cerca di riflettere su caratteri teorico metodologici volti ai criteri per la pianificazione, la
progettazione e la gestione di un sistema integrato per la mobilità non motorizzata. In quest’ottica tali metodi vengono tarati al caso di
studio in esame che prevede il recupero dell’alzaia lungo il fiume Adda nel tratto che scorre da Brivio a Trezzo. La pianificazione non
deve limitarsi al sistema di infrastrutture ma deve studiare le connessioni con le risorse dell’itinerario; solo in questo modo viene a
delinearsi un corridoio strutturato di percorsi che attraversino e sappiano far vivere l’intero ambito di notevole interesse turisticoricreativo.
Parole Chiave Mobilità non motorizzata, risorse del territorio, turismo sostenibile, Greenways.
Mediterraneo: un’opportunità per la Sicilia
Giuseppe Ciaccio
Banca d’Italia - Sede di Palermo
Sommario Pur ospitando il 7 per cento della popolazione mondiale l’area del Mediterraneo produce il 16 per cento della produzione
industriale e concentra circa un terzo dei flussi turistici mondiali. Tuttavia la ricchezza si concentra nei paesi della sponda Nord, che
consumano oltre l’80 per cento dell’energia elettrica prodotta nell’area e coprono circa il 90 per cento delle esportazioni; nel Sud, invece,
si concentra l’espansione demografica. In un’epoca di globalizzazione dell’economia e di liberalizzazione sempre maggiore del
commercio internazionale, i paesi della sponda Sud del Mediterraneo rischiano di rimanere quasi isolati, a causa della scarsa
competitività delle loro economie e della limitatezza dei mercati di riferimento dovuta ai bassi livelli reddituali. Il partenariato
euromediterraneo, inaugurato con gli Accordi di Barcellona del 1995, potrà favorire la loro apertura ai mercati internazionali. Tuttavia, i
costi delle necessarie riforme economiche e il richiesto cambiamento di cultura politica ed amministrativa imposto dall’apertura alla
concorrenza straniera di mercati tradizionalmente protetti, stanno rallentando la creazione dell’area di libero scambio con l’UE, prevista
per il 2010. Per l’Italia, e ancora di più per la Sicilia, la politica mediterranea e la creazione di un’area di libero scambio a ricchezza più
diffusa si impongono come raggiungimento e difesa di precisi interessi strategici: dall’accesso a fondamentali risorse naturali, quali il gas
e il petrolio, al contenimento della pressione demografica e dei conseguenti flussi migratori, dal mantenimento della pace nel mare che ci
circonda e della sicurezza attraverso la lotta al terrorismo, alla creazione di nuovi mercati per le nostre produzioni. Ma cosa è oggi l’area
mediterranea? Così come non esiste un unico Mezzogiorno italiano, allo stesso modo non esiste un solo Mediterraneo. Ogni nazione ha
le sue peculiarità, e in questo lavoro si forniranno le principali indicazioni sulla struttura politica ma soprattutto economica dei paesi
dell’area che hanno aderito al partenariato con l’UE. Si verificherà il grado di apertura commerciale e la specializzazione di tali nazioni
nel commercio estero. In particolare si descriverà l’evoluzione, tra il 1991 e il 2004, degli scambi commerciali della Sicilia con le
principali nazioni del Mediterraneo meridionale. Allo scopo di verificare quali siano le opportunità di sviluppo economico siciliano
legate alla crescita dei mercati mediterranei, si calcoleranno inoltre indici di somiglianza tra le esportazioni siciliane e quelle delle
singole nazioni mediterranee, così da accertare in quale misura la struttura produttiva regionale e quella dei paesi del Nord Africa e del
Medio Oriente siano complementari e in quali settori, invece, tali paesi potrebbero divenire concorrenti della Sicilia sui mercati
internazionali.
Parole Chiave Sicilia, Mediterraneo, esportazioni, concorrenza.
Tra localizzazione e globalizzazione. Riflessioni a partire dalla trasformazione del
distretto calzaturiero di Casarano
Maria Antonietta Clerici
Politecnico di M ilano
Sommario Questo contributo si occupa dei recenti processi di riorganizzazione produttiva e territoriale dell’area calzaturiera di Casarano
e della capacità delle politiche di accompagnare, dopo una lunga fase di disattenzione, la sua trasformazione, accelerata dalla
globalizzazione dell’economia.
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Il caso prescelto è emblematico sia perché il comparto calzaturiero è fra i più esposti ai contraccolpi dell’internazionalizzazione
produttiva e della concorrenza dei Paesi a più basso costo del lavoro, sia perché Casarano è un’area di sorprendente vitalismo
imprenditoriale che ha acquistato visibilità, sulla scena nazionale, solo a partire dagli anni ‘80 ed è inserita in un contesto - come quello
del Sud Italia - nel quale per molto tempo è stato escluso potessero attecchire autentiche forme di organizzazione della produzione di tipo
distrettuale.
In passato legata al ruolo-guida dei grandi calzaturifici (come Filanto e Adelchi), l’area di Casarano si sta trasformando in direzione di
una maggior disintegrazione dei cicli produttivi e della formazione di “reti” di imprese e ciò è sorprendente non solo perché molti
distretti con analoga specializzazione sembrano coinvolti da processi di segno opposto (aumentano pressoché ovunque le dimensioni
medie delle unità locali), ma anche perché l’area è contemporaneamente molto aperta a pratiche di delocalizzazione oltre frontiera
(Albania) delle lavorazioni più banali, quelle stesse che ben si presterebbero ad essere affidate alle piccole unità subfornitrici locali che si
sono moltiplicate negli anni più recenti.
Le trasformazioni vissute dalla produzione caratterizzante si ripercuotono sul territorio: si “muovono” i confini dell’area calzaturiera ed è
possibile cogliere la formazione di “sistemi territoriali” differentemente caratterizzati e coinvolti dai processi di riorganizzazione
produttiva. A livello aggregato, il “capoluogo” e i comuni circostanti vivono processi di trasformazione di segno opposto, dopo essere
stati a lungo accomunati dal medesimo trend ma non ci si può limitare a tale contrapposizione per descrivere il mutamento
nell’organizzazione della produzione; se si recupera il ruolo delle infrastrutture per la mobilità come “elementi ordinatori” degli spazi
della produzione, emerge un’immagine più complessa dell’assetto del calzaturiero, nonché la sua capacità di specializzare un territorio
vasto e di relazionarsi, nei diversi contesti, con altre specializzazioni produttive, a dar vita ad un “distretto plurisettoriale”.
Il contributo si avvale di dati statistici aggiornati per rendere evidente il cambiamento vissuto dall’area calzaturiera e, nella parte finale, si
interroga sulla capacità del Pit Salento-Leccese, recentemente approvato, di “fare tesoro” dell’interpretazione dell’attuale complessa
organizzazione della produzione per accompagnare la trasformazione del sistema produttivo locale verso la scarpa di qualità. Le
maggiori perplessità riguardano in particolare l’effettiva capacità di coinvolgere gli imprenditori, che continuano ad essere soggetti
sfuggenti. Viene inoltre sostenuta la necessità di riconoscere che, in epoca di globalizzazione, si può essere distretto in molti modi, al di
là della forma “canonica” teorizzata dalla letteratura degli anni ‘70.
Parole Chiave Distretti industriali, globalizzazione, trasformazione, geografia della produzione.
Potenzialità e limiti della regionalizzazione del trasporto pubblico
Renato Cogno
IRES Piemonte
Sommario Il trasporto pubblico veniva fornito -fino alla fine degli anni ‘90-in regime di concessione regionale da una moltitudine di
imprese. Il costo era largamento garantito dal contributo pubblico, commisurato alla produzione erogata. Ne risultavano tanti piccoli
monopoli locali di servizio, con sovrapposizione di linee, scarso controllo dell’utilizzo effettivo. Le tariffe avevano utilità molto limitata,
sia come informazione sulla domanda di servizio, sia come copertura dei costi di produzione. La riforma del settore (nota come decreto
Burlando) ha introdotto molti cambiamenti: contratti di servizio a durata temporanea, scelta dei produttori dei servizi con procedura
competitiva, affidamento dei servizi per bacini, copertura tariffaria minima dei costi e quindi tetto al contributo pubblico, decentramento
alle regioni dei servizi ferroviari locali.
Questo lavoro illustra gli esiti del processo in Piemonte, a 5 anni dall’avvio. Si mettono in evidenza l’evoluzione dei principali parametri
produttivi del servizio, le modificazione dell’assetto di mercato, le strategie adottate dalle imprese, i limiti nella capacità di regolazione
pubblica del processo.
La Regione ha acquistato un grosso ruolo di indirizzo: decide il proprio stanziamento per il complesso dei servizi di TPL, indirizza le
interazioni tra trasporto su gomma e trasporto su rotaia, indirizza investimenti e innovazioni nei sistemi di trasporto, verifica effetti e
interazioni tra sistemi di trasporti e sviluppo dei territori. Anche se alcuni elementi decisivi per un effettivo governo del settore sono
sottratti alla competenza regionale, e rimangono governati dallo stato: la firma dei CCNL dei lavoratori del settore, ma soprattutto
l’adeguamento ad essi del sistema di finanziamento delle Regioni; forme di controllo sulle infrastrutture delle ex-ferrovie dello Stato
(stazioni, reti, magazzini); il monitoraggio dei costi dei servizi ferroviari locali. Un esito del processo è l’integrazione modale che
semplifica le modalità di viaggio da parte degli utenti. Si avvale di accordi di integrazione tariffaria, cioè l’unificazione del regime
tariffario tra i diversi vettori operanti in un certo bacino e la possibilità di usarli indifferentemente. L’integrazione modale viene
consentita anche dalle stazioni di interscambio tra servizi ferroviari, e su gomma, urbani ed eextraurbani, collettivi e individuali, grazie
alla presenza di ampi parcheggi. Più lenti a vedersi paiono invece i risultati a livello aziendale ed economico. Il quadro normativo
nazionale non ha incentivato quella liberalizzazione nell’affidamento dei servizi proposta alla fine degli anni novanta. E la possibilità di
affidare porzioni di servizio attraverso meccanismi competitivi (con procedure di gare o altro), ha ricevuto poco interesse nella nostra
regione. A fronte della elevata frammentazione aziendale, la legislazione proponeva il ricorso ad associazioni temporanee di imprese ATI- in grado di garantire l’intera offerta di ogni bacino, soluzione che avrebbe dovuto preludere ad operazioni di consolidamento
aziendale. L’affidamento dei servizi per l’intero bacino da parte delle Province, non ha ancora portato i risultati attesi. Dal 1999 i servizi
sono stati affidati ad associazioni temporanee di impresa (ATI) formate dalle imprese che operano su quel particolare territorio, ma
queste finora hanno portato ad una sola fusione (la Granbus a Cuneo). Le due aziende del capoluogo si sono fuse nel gruppo TT, e
costituiscono indubbiamente un “player globale”, auspicato per sviluppare la diversificazione qualificata del sistema produttivo
piemontese. Non vi è stato invece il consolidamento delle imprese medie, l’assetto proprietario rimane relativamente statico, e non
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risultano nuovi ingressi di operatori privati. Esse mantengono la veste di multiutility a servizio del comune e non sviluppano politiche di
espansione territoriale e di aumento delle quote di mercato.
Parole Chiave Trasporto pubblico, regolazione, cattura del regolatore.
Value chains in the agricultural sector: The case of a rural district
Francesco Contò
Università degli Studi della Basilicata
Francesco Prota
Università degli Studi di Napoli “Partenope”
Sommario The agricultural industry is in the midst of major structural change — changes in product characteristics, in worldwide
production and consumption, in technology, in size of operation, in geographic location. And the pace of change seems to be increasing.
Agriculture in the 21st Century likely to be characterized by: (i) adoption of manufacturing processes in production as well as processing,
(ii) a systems or food supply chain approach to production and distribution, (iii) negotiated coordination replacing market coordination of
the system, (iv) a more important role for information, knowledge and other soft assets (in contrast to hard assets of machinery,
equipment, facilities) in reducing cost and increasing responsiveness, and (v) increasing consolidation at all levels raising issues of
market power and control. These profound changes in the agricultural industry present new challenges and new opportunities that require
new ideas and concepts to analyze and implement. The require new learning and thinking. Concepts from various fields of behavioural
science may provide useful components of a conceptual framework to study changes in structure and coordination systems. These fields
include: (i) transaction cost and principal agent theory, (ii) strategic management, (iii) negotiation/power and performance incentives,
and (iv) organizational learning. The challenge is to integrate the appropriate concepts into a comprehensive analytical framework.
Agency theory is directed at the relationship in which one party (principal) delegates work to another (agent) who performs that work.
Two common problems are encountered in principal agent relationships. The first is the “agency problem” that arises when (1) the
desires or goals of the principal and the agent conflict, and (2) asymmetric information makes it difficult or expensive for the principal to
verify the agent’s actions. The second is the problem of risk sharing that arises when the principal and the agent have different attitudes
toward risk and alternative incentive arrangements in contracts change the agent’s risk position. The key ideas within agency theory are
that principal-agent relationships should reflect efficient information and risk bearing costs, incentive alignments, and the contract as the
unit of analysis. Given agency problems, we cannot expect a firm to function as well economically as it would if all information were
shared without any cost involved or if the incentives of principal and agent could be costly aligned. This shortfall is called agency costs.
Agency theory addresses problems of moral hazard and adverse selection in the principal-agent relationship, as well as the problem of
risk sharing. One of the constraints of advancing these concepts into more useful analytical tools has been the challenge of empirical
validation. Agency and transaction costs are more difficult to measure than traditional production costs and encompass activities such as
compiling and transmitting information, time delays caused by more inter- and intra-firm centralized decision making, and imperfect
commitment costs. Aim of this paper is to apply this methodology to the analysis of a rural district in Basilicata, a small Italian
Mezzogiorno region.
Parole Chiave Value chain, organizational structure, principal agent, rural district.
Un sistema di modelli per la simulazione delle interazioni trasporti -territorio
Pierluigi Coppola
Agostino Nuzzolo
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”- Dipartimento di Ingegneria Civile
Sommario Un sistema di trasporto può essere definito come quell’insieme di componenti e di loro interazioni che determinano, da una
parte, la domanda di spostamenti fra punti diversi del territorio e, dall’altra, l’offerta di servizi di trasporto per il soddisfacimento di tale
domanda. In quanto componenti del più vasto e complesso sistema delle attività urbane, sia la domanda di mobilità che l’offerta di
trasporto interagiscono con gli altri sistemi delle attività urbane quali ad esempio quello delle residenze, delle attività economiche, il
mercato immobiliare e così via. Ad esempio, la distribuzione delle famiglie e delle attività sul territorio costituisce il fondamento della
domanda di trasporto che deriva dalla necessità di utilizzare le diverse funzioni urbane in luoghi diversi. Le famiglie, o meglio i loro
componenti, sono gli utenti del sistema della mobilità ed effettuano “scelte di viaggio” (frequenza, orario, destinazione, modo, percorso,
sequenza degli spostamenti) per svolgere delle attività (lavorare, studiare, fare acquisti, ecc.) in luoghi diversi. D’altra parte, le
caratteristiche dell’offerta di trasporto (tempi di viaggio, costi di trasporto, congestione,…) determinano l’accessibilità relativa delle
diverse zone della città, rendono cioè più o meno agevole raggiungere una certa zona dalle altre (accessibilità “passiva”), ovvero
raggiungere da una zona tutte le altre zone (accessibilità “attiva”). Entrambi gli aspetti dell’accessibilità condizionano le decisioni
localizzative delle famiglie e delle attività economiche e quindi il mercato immobiliare. Esistono, diversi cicli di retroazione tra le
componenti del sistema di trasporto e le componenti del sistema urbano. Per analizzare gli effetti della localizzazione delle attività urbane
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sulla domanda di mobilità, e più in generale sul sistema di trasporto, è possibile utilizzare i tradizionali modelli di domanda a quattro
stadi che permettono di determinare la struttura spazio-temporale della domanda di trasporto, i flussi sugli elementi dell’offerta e le
accessibilità (attive e passive) delle singole zone. Viceversa per analizzare gli effetti che le modifiche dell’offerta di trasporto inducono
sulle scelte localizzative di famiglie, attività commerciali e di servizi (ovvero sull’uso del suolo urbano) occorre è necessario ricorrere a
modelli di simulazione più complessi (modelli d’interazione trasporti-territorio). In questa memoria si presenta un sistema di modelli che
simula le interazioni tra sistema delle attività e sistema di trasporti attraverso un approccio comportamentale d’equilibrio. Il sistema di
modelli è composto da: - un sottomodello del sistema di trasporto che nota la distribuzione delle residenze e delle attività sul territorio,
consente di stimare la domanda di mobilità e le prestazioni dell’offerta di trasporto (costo generalizzato tra le coppie OD e accessibilità
delle singole zone); - un modello di localizzazione delle residenze, il quale, noti i costi generalizzati del trasporto e la distribuzione sul
territorio delle attività economiche, noti i prezzi e le superfici immobiliari disponibili, fornisce il numero di residenti in ogni zona,
distinto per categorie socioeconomiche; - un modello di localizzazione delle attività economiche (sostanzialmente servizi privati e attività
commerciali), che noti i costi del trasporto e le distribuzione spaziale delle residenze, fornisce il numero di addetti per i diversi settori
economici in ogni zona. Viene presentata la struttura generale del sistema di modelli nonché i risultati della calibrazione disaggregata dei
modelli effettuata su un campione d’utenti intervistati nell’area urbana di Roma. Si presentano, inoltre, i risultati di alcune applicazioni
all’area urbana di Roma per la simulazione degli effetti di lungo periodo sia sulla domanda di mobilità che sulla distribuzione delle
residenze e delle attività derivanti dalla realizzazione di nuove infrastrutture di trasporto.
Parole Chiave Trasporti-territorio, domanda di mobilità, modelli matematici, equilibrio.
Dinamiche distrettuali per la cultura in una città post-industriale: il ruolo del capitale
identitario
Valeria Corna
Università Bocconi
Massimiliano Nuccio
Università Iulm
Sommario Negli ultimi anni si è assistito ad una diffusione di politiche di valorizzazione e di rigenerazione urbana concentrate su
iniziative di natura artistica e culturale. Accanto ad esse si sono affermati concetti quali il city marketing e il turismo culturale e si sono
definiti alcuni modelli di distretto culturale nell’ambito delle teorie sullo sviluppo endogeno. Il seguente lavoro ha analizzato e
interpretato le strategie di riqualificazione urbana implementate nell’area di Newcastle-Gateshead, nel Nord-Est dell’Inghilterra, al fine di
delineare un modello di distretto culturale che non si limiti all’applicazione automatica dei principi fondanti la teoria distrettuale o che
non si serva della “cultura” come panacea. Tali strategie si sono concentrate su un consistente investimento in infrastrutture culturali
(flagships), grazie alle quali tale area è oggi riconosciuta a livello nazionale e internazionale: l’opera di Gromley Angel of the North, il
Millenium Bridge, il centro d’arte contemporanea BALTIC e la SAGE Opera House. La compresenza di tali opere milionarie unita agli
eventi che ne hanno accompagnato la realizzazione (per esempio il Garden Festival e il Festival delle Visual Arts) e alle varie iniziative
dedicate al tempo libero sorte in concomitanza, si configura come un processo di nascita di un distretto culturale. Analizzando tale
distretto secondo alcune dimensioni individuate in letteratura (BIANCHINI et al,1993; MOMMAAS, 2004) emergono alcune dimensioni
fondanti: a)l’importanza dei ruoli rivestiti dagli agenti pubblici locali; b) il meccanismo di tipo bottom-up che, senza una definizione a
priori degli investimenti da effettuare e delle strategie da implementare, ha permesso il progressivo coinvolgimento di varie categorie di
stakeholders e l’attrazione di investimenti di capitale privato nella zona; c) la multifunzionalità fondata sulla compresenza di svariate
attività di produzione e consumo e sull’integrazione verticale e orizzontale dei processi. E’ importante rilevare che la trasformazione
fisica delle aree cittadine, il riposizionamento dell’immagine della città e della regione e l’attrazione di capitali pubblici e privati
appaiono obiettivi intermedi e strumentali ad una politica di medio-lungo termine che si propone di modificare totalmente la percezione
di Newcastle-Gateshead (BAILEY et al, 2004). L’indagine si è fondata sulla raccolta di due tipologie di dati: dati primari ottenuti tramite
la realizzazione di interviste semi strutturate a soggetti coinvolti nell’iniziativa (membri delle singole istituzioni culturali, investitori
privati e membri delle organizzazioni pubbliche promotrici dell’iniziativa) e dati secondari relativi alle singole istituzioni coinvolte,
all’area geografica interessata e ai suoi abitanti. Le informazioni raccolte sono state elaborate ed integrate in un modello teorico che ha
consentito di evidenziare le differenti tipologie di investimenti in capitale che hanno caratterizzato la nascita e lo sviluppo di questo
distretto (SACCO et al, 2003). Il caso mostra che gli investimenti sono stati concentrati nel capitale fisico per elevare la qualità
dell’offerta culturale e nel capitale simbolico con lo scopo di rafforzare il senso di appartenenza e di fiducia dei residenti. La
sperimentazione di efficaci politiche di governance locale ha consentito che tali investimenti attivassero un circolo virtuoso che ha
favorito la formazione della comunità e lo sviluppo imprenditoriale basato sulla conoscenza e sulla creatività. Lo studio sostiene che il
capitale culturale (THROSBY, 2003) non si riduce a mero strumento di attrazione turistica e di promozione del territorio, ma è un
catalizzatore intrinseco nelle attività ad alto contenuto conoscitivo e può positivamente influenzare i fattori umani e sociali dello
sviluppo.
Parole Chiave Rigenerazione urbana, distretto culturale, capitale identitario.
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Interventi di riqualificazione urbana a Krakow: limiti e prospettive future
Giancarlo Cotella
Politecnico di Torino - Facoltà di Architettura
Sommario Tema Sud geografico e “Sud economico”: l’intervento si propone di fornire un quadro delle possibilità di riqualificazione
urbana in Polonia, una realtà che presenta delle peculiarità causate dalle differenze economico-territoriale-sociale proprie di una nazione
sviluppatasi nell’ambito della politica economica di matrice sovietica. In particolare la situazione marginale in cui versano le città
polacche è analizzata attraverso la descrizione dei principali interventi di rigenerazione urbana che hanno interessato la città di Krakow
negli ultimi anni. Metodo In prima battuta viene fornita una lettura del coniugarsi degli avvenimenti relativi al periodo socialista con la
realtà venutasi a creare a Krakow in nove secoli di evoluzione, a cui vanno aggiunti gli stravolgimenti avvenuti dopo il 1989, in modo
tale da poter meglio comprendere una situazione attuale molto complessa ed affascinante. Vengono poi analizzate le principali peculiarità
delle linee guida recentemente pensate per promuovere lo sviluppo urbano dell’area metropolitana di Krakow: l’istituzione di aree
strategiche promotrici dello sviluppo della città e il coinvolgimento di Krakow in numerosi progetti internazionali sono esempi di come
l’amministrazione pubblica oggi stia facendo leva sul patrimonio storico e culturale per attirare l’attenzione di potenziali investitori.
L’analisi di quattro casi studio che riguardano altrettanti interventi di rigenerazione urbana nella città di Krakow contribuisce infine a
definire limiti e prospettive future della situazione attuale. Il primo esempio, in ordine cronologico, riguarda la riqualificazione del
distretto di Kazimierz guidata da un action plan di iniziativa pubblica, per ora realizzato in piccola parte. Il secondo caso è l’analisi della
trasformazione dell’area della stazione ferroviaria. Vengono descritte le posizioni di tutti i protagonisti principali, dall’amministrazione
pubblica alla società americana Tishman Speyer alla quale è stato affidato l’intervento. In questo caso gli interessi delle società
investitrici coinvolte prevalgono rispetto alle attese di riqualificazione della cittadinanza. La terza esperienza riguarda la vicenda dell’exstabilimento Solvay per la produzione della soda. E’ descritta la suggestiva ipotesi della trasformazione dell’area in parco urbano ripresa
dal piano particolareggiato del 1994. Si analizzano poi le cause dell’accantonamento di tale piano a favore di una sua modifica che ha
consentito la realizzazione del centro commerciale Carrefuor. L’ultima situazione presa in esame è la riqualificazione dell’area strategica
Krakow-Est, che comprende l’immenso kombinat Lenin. Vengono prese in esame l’evoluzione e la dismissione dell’impianto industriale.
Segue l’ipotesi di dare il via ad uno sviluppo urbano policentrico all’interno del quale l’area del kombinat potrebbe rappresentare uno dei
nodi principali. Si conclude definendo le ragioni per le quali tale ipotesi è stata definitivamente abbandonata. Risultati I risultati ottenuti
tramite il percorso di ricerca evidenziano come gli interventi a Krakow che hanno operato una effettiva riqualificazione del tessuto
urbano siano molto rari. L’impossibilità dell’amministrazione pubblica cittadina di porsi come soggetto forte nei processi di
negoziazione, la mancanza di strumenti urbanistici per agire sulle aree problematiche, la vulnerabilità nei confronti degli investitori
stranieri ha fatto sì che si sia fatto ricorso troppo spesso a interventi puntuali e inefficienti. Se in Europa occidentale è assodata la
necessità di considerare il complesso delle aree dimesso come un patrimonio da gestire nella sua interezza, in Polonia questa presa di
coscienza tarda ad arrivare a causa di contingenze negative figlie di repentini cambiamenti economici e politici che hanno creato un gap
economico e legislativo difficilmente colmabile in breve tempo. Possibili sviluppi Nel prossimo futuro, grazie all’ingresso della Polonia
nell’U.E, la situazione sembra destinata ad evolversi in maniera positiva. Sarà interessante rendersi conto dell’effettiva capacità della
pubblica amministrazione di sfruttare i fondi strutturali europei al fine di tradurre in maniera concreta la visione presentata nelle linee
guida del recente piano regolatore della città.
Parole Chiave Transizione, Krakow, riqualificazione urbana.
L’efficienza e l’efficacia competitiva dei siti turistici. Un’analisi delle destinazioni
turistiche italiane
M. Francesca Cracolici
Università degli Studi di Palermo
Sommario Il crescente processo di diversificazione di nuove mete turistiche, diverse dalle tradizionali e storiche destinazioni, capaci di
offrire un’esperienza di viaggio unica e rispondente alle attese del turista-consumatore, ha fatto registrare nella letteratura specialistica un
aumento di interesse sul tema della competitività delle destinazioni e sulla necessità di gestire un territorio in chiave di marketing.
L’esistenza di una domanda potenziale, che si traduce in domanda reale e, quindi, pagante fa sì, infatti, che le mete più disparate, un
tempo sconosciute, divengano desiderate nell’immaginario collettivo, in quanto consentono di vivere un’esperienza nuova, diversa
dall’usuale, una total leisure experience, oggetto delle aspettative e del desiderio del turista.
Da ciò deriva che lo spazio turistico non possa più intendersi solo come un’area d’attrazione delineata dalla presenza di beni naturali,
culturali, artistici, ma debba essere vista come un prodotto unico, ovvero come l’offerta complessa e integrata di un intero territorio, in
grado di rispondere alle attese del turista-consumatore.
Quanto fin qui detto, determina l’insorgere di quella competizione tra aree turistiche centrata non solo sui singoli aspetti del prodotto
turistico (trasporti, tour operator, ricettività, servizi turistici accessori ecc.), bensì sulla destinazione, considerata nella sua interezza ed
intesa quale ‘fornitore’ di prodotti, servizi ed esperienze. Per ogni destinazione, infatti, bisogna far sì che l’insieme delle attrattive di cui
essa dispone sia ben organizzato e gestito, così da offrire una vacanza di valore pari, se non superiore, a quella offerta dalle alternative
destination experience presenti sul mercato.
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Nel presente contribuito, seguendo una logica di destination benchmarking, si propone di misurare la competitività dei siti turistici in
termini di efficienza ed efficacia. Usando la tecnica non parametrica Data Envelopment Analysis è stato ottenuto - per le 103 province
italiane e per gli anni 1998 e 2001 - un indice di efficienza espressivo della capacità di un territorio di trasformare le proprie risorse in
flussi turistici. Per quanto riguarda, invece, la valutazione della competitività di una destinazione in termini di efficacia è stato introdotto
il concetto di holiday tourist well-being quale misura aggregata delle attrattive di un sito come percepite dal turista. Una misura di
holiday tourist well-being - per le regioni del Mezzogiorno d’Italia e per l’anno 2001 - è stata ottenuta ricorrendo, rispettivamente, ad un
metodo statistico parametrico non lineare e all’analisi in componenti principali. Il confronto e la lettura congiunta delle diverse misure
(efficienza ed efficacia) hanno consentito di identificare punti di forza e di debolezza del sistema turistico italiano.
Parole Chiave Competitività, denstination benchmarking, efficienza, efficacia.
Assessment of tourist competitiveness by means of estination efficiency
M. Francesca Cracolici
Università degli Studi di Palermo
Peter Nijkamp
Piet Rietveld
Free University of Amsterdam
Sommario The leisure industry has become a prominent economic sector in the Western world. More discretionary income and more
free time have created the foundation for a new lifestyle in our society where recreation and tourism make up major elements of daily
behaviour. In many regions and countries, tourism is regarded as one of the major growth vehicles.
Leisure time activities have indeed assumed a prominent place in the activity patterns of many people. At the same time, we observe that
the time spent on discretionary activities is very scarce, so that time competition is a real issue. This will have a far-reaching impact on
tourism, as more people wish to go more often on vacation, though usually for a shorter period.
Tourism has also become a global activity. The new trend in world tourism towards non-traditional and remote destinations is an
expression of the passage from mass tourism to a new age of tourism, and points to a change in the attitudes and needs of tourists. Distant
or previously unknown destinations have become places to explore, since they are potentially able to supply what the tourist expects, viz.
a total leisure experience.
All this leads to strong competition between traditional destinations seeking to maintain and expand their market share and new
destinations trying to earn a significant market share. This competition is centred not on the single aspects of the tourist product
(environmental resources, transportation, tourism services, hospitality, etc.), but in particular on the destination as a unifying and central
factor of the tourist system.
In the light of the above considerations, the notion and the measurement of destination competitiveness have received increasing interest
in the economics literature on tourism. The central subject of this paper - inspired by the conceptual competitiveness model developed by
Crouch and Ritchie - concerns the efficiency of tourist site destinations; in other words the work proposes a tourist site competitiveness
measure in terms of the efficiency. The paper aims to assess production frontiers and efficiency score for tourist destination sites.
Efficient operations of tourist sites are important in order to maintain or gain a national or/and international market share in tourism.
Based on a dataset of 103 Italian provinces for the year 2001, an economic efficiency analysis based on a production frontier approach
has been made. The work proposes a measure of tourist site competitiveness in terms of the efficiency using parametric and nonparametric methods, stochastic production function and data envelopment analysis, respectively.
Parole Chiave Tourist destination competitiveness, stochastic production function, data envelopment analysis.
Un’analisi comparata dei pattern di sviluppo di alcune città italiane
Fabio Crescenzi
Sandro Cruciani
Istat
Sommario Negli ultimi anni è aumentato l’interesse per le tematiche che riguardano i principali contesti urbani, interesse fortemente
manifestato anche in sede europea con il consolidarsi di alcuni progetti fra i quali può essere menzionato Urban Audit II, progetto
considerato di interesse strategico per le statistiche dell’Unione Europea. L’obiettivo è, come noto, quello di costruire un database di
indicatori descrittivi delle fondamentali dimensioni demografiche, sociali, economiche e ambientali dei principali contesti urbani
dell’Unione, coprendo circa 170 città e circa 66 milioni di abitanti. Anche se l’universo comprende città di medie dimensioni ed i dati
oggi disponibili risultano parzialmente incompleti, si verificherà la possibilità di effettuare confronti tra alcune realtà urbane italiane ed
analoghe situazioni in altri Paesi europei.
Particolare attenzione verrà data al settore dei servizi in quanto nei contesti urbani da molti anni si sta registrando una progressiva
concentrazione verso questi settori, spostando quindi sempre di più la loro vocazione verso le funzioni terziarie. In questo contesto si
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terrà conto anche delle evoluzioni delle dinamiche relative ai flussi migratori. Altri aspetti capaci di condizionare lo sviluppo dei contesti
urbani riguardano ovviamente anche la qualità della vita, l’ambiente, la cultura.
Le recenti tornate censuarie del 2001 hanno reso disponibili una serie di informazioni di carattere strutturale e soprattutto con una elevata
disaggregazione territoriale e settoriale. La qualità di questi dati, associata all’uso di strumenti GIS, consente di approfondire l’analisi
territoriale dei pattern di sviluppo in contesti urbani ristretti o allargati.
La stessa analisi dei dati consente inoltre di poter verificare la bontà e la capacità di geografia alternative (sistemi locali del lavoro,
province, zone urbane allargate, zone funzionali, ecc.) di rappresentare natura e vocazione delle città. Si cercherà inoltre di tenere conto
delle recenti novità introdotte dall’approvazione del Regolamento Comunitario sulla Nomenclatura Unificata del Territorio (NUTS) ed in
particolare sulla possibile estensione dell’attuale classificazione a livelli inferiori rispetto alle NUTS3.
Si focalizzerà l’attenzione su alcuni grandi comuni italiani e sulle rispettive aree di gravitazione, cercando di evidenziare le differenze
quali-quantitative dell’evoluzione temporale di indicatori costruiti per descrivere le funzionalità terziarie. Confrontando i dati relativi al
centro con quelli di corone di comuni via via più distanti si intende in particolare fare emergere l’intensità della dipendenza territoriale
“centro-periferia” e la sua evoluzione nel tempo. In particolare su tale dipendenza, che potrà essere studiata anche in questo caso
attraverso “corone” via via più esterne, si intende verificare il ruolo che giocano variabili attrattive sia di tipo socio-economico (presenza
di servizi, dotazione di infrastrutture, attività produttive, ecc.), sia di tipo più strettamente spaziale quali ad esempio alcune misure di
accessibilità (distanze euclidee tra i centroidi dei comuni, tempi di percorrenza, lunghezza dei percorsi stradali, ecc.)
Parole Chiave Modelli di sviluppo urbano, urban audit, strumenti GIS.
R&D, spillovers, regional innovation systems and the genesis of growth in Europe
Riccardo Crescenzi
Università degli Studi di Roma Tre
Andres Rodriguez Pose
London School of Economics - Department of Geography and Environment
Sommario The paper aims at understanding the differential effects of “endogenous” factors and “external” knowledge flows in the
process of innovation and growth of EU regions. Research on the impact of innovation on regional economic performance in Europe has
fundamentally followed three approaches: a) the analysis of the link between investment in R&D, patents, and economic growth; b) the
examination of geographical diffusion of regional knowledge spillovers; and c) the study of the existence and efficiency of regional
innovation systems. These complementary approaches have, however, rarely been combined. Important operational and methodological
barriers have thwarted any potential cross-fertilization. In this paper, we try to fill this gap in the literature by combining in one model
R&D, spillovers, and innovation systems approaches. A multiple regression analysis approach is conducted for all regions of the EU-25,
including measures of R&D investment, proxies for regional innovation systems, for each region and in neighbouring regions. The
empirical results highlight how the three above-mentioned factors interact thus uncovering the importance not only of “endogenous”
innovative efforts but also of local socio-economic conditions for the genesis and assimilation of innovation and its transformation into
economic growth across European regions. In addition, the quantitative analysis shows the importance of proximity for the transmission
of economically productive knowledge. The regression not only confirms that knowledge flowing from neighbouring regions improves
regional growth performance but it also shows that spillovers are geographically bound and that they decay with distance. This sheds
additional new light on the role of geogr aphy in the process of innovation by supporting the idea of there being a tension between two
forces: the increasingly homogeneous availability of standard “codified” knowledge and the spatial boundness of “tacit” knowledge and
contextual factors. Such tension is an important force behind the present economic geography of European regions and which is further
accentuated by the underlying socio-economic differences. Consequently, policies based on innovation may deliver, at the regional level,
very differentiated results, according to the possibility of benefiting from knowledge spillovers (location advantage) and favorable
underlying socioeconomic conditions (endogenous conditions). Thus R&D investment in “core regions”, which benefits from both a
location and social filter advantage, are overall more conducive to economic growth due to their impact on both local and neighboring
regions’ performance. Conversely, in “peripheral regions” where a reduced exposition to/generation of R&D spillovers is associated to
inadequate social filter conditions, investment in R&D may not yield the expected returns, unless the social conditions that reduce the
potential for the assimilation of innovation are addressed.
Parole Chiave Genesis of growth, regional innovation, innovation, research & development.
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Gli impatti del federalismo fiscale sulle infrastrutture e le aree urbane in Calabria
Giuseppe Critelli
Domenico Marino
Orazio Miloro
Dario Musolino
Università Mediterranea di Reggio Calabria - Dipartimento PAU
Sommario Il “decentramento delle funzioni pubbliche” e le condizioni finanziarie per realizzarlo vengono considerati, nel dibattito
economico-politico italiano, quasi come una specificità del nostro Paese.
Nel quadro internazionale, in particolare nei paesi dell’Unione Europea, un analogo processo coinvolge vari paesi, anche se in ciascuno
di esso assume connotazioni diverse.
In Austria, Belgio e Germania il secondo livello è praticamente uno stato vero e proprio; la Francia e la Spagna sono Stati unitari
caratterizzati da un livello regionale abbastanza pronunciato; vi sono Stati poi, come Danimarca, Gran Bretagna, Olanda e Svezia in cui il
governo locale è rappresentato da due livelli e Stati unitari il cui governo locale consiste soltanto nel livello comunale, Stati quali
Finlandia, Lussemburgo e Portogallo.
In Italia, le maggiori difficoltà (ma non le sole), al fine di realizzare il decentramento delle funzioni pubbliche, derivano dal rilevante
squilibrio economico strutturale tra le regioni del Nord e quelle del Sud.
Tale squilibrio pone difficoltà a disciplinare il nuovo ordinamento istituzionale con criteri di equità, entro i vincoli del “patto esterno di
stabilità e di crescita” e “di quello interno”.
Lo squilibrio comporta infatti “capacità fiscali” molto diverse, e pone problemi rilevanti alle regioni a minore “capacità fiscale”; queste
difficoltà permangono anche se si è deciso di integrare le entrate proprie delle regioni (o le compartecipazioni regionali) con interventi
perequativi.
Col principio della territorialità dell'imposta non tutti i territori potranno avere la possibilità di sostenere le loro spese di gestione con
mezzi propri (tributi propri e compartecipazioni riferite al territorio); quindi, nel testo di modifica della costituzione, si è inserito un
secondo principio di carattere fondamentale, il principio della perequazione, secondo il quale i territori più avvantaggiati “finanziano”
quelli meno avvantaggiati.
Francamente esistono notevoli problemi di applicazione del principio di perequazione a livello nazionale, una volta che, su settori così
importanti, ciascuna regione potrà gestire in maniera del tutto autonoma, al di fuori dell'ambito dei principi nazionali, le relative
politiche.
La perequazione, essenzialmente, altro non è che un trasferimento orizzontale di risorse finanziare: una volta, infatti, che le regioni
attiveranno potestà esclusive in determinate materie e acquisiranno funzioni e compiti diversi ed ulteriori, viene ad esse assicurato un
adeguato finanziamento, norma stabilita dall’articolo 119 della Carta che assicura sempre e comunque la copertura delle funzioni proprie.
Il paper si pone l’obiettivo principale di illustrare gli impatti che il federalismo fiscale può portare ad una regione in ritardo di sviluppo
come la Calabria.
Parole Chiave Federalismo, sviluppo regionale.
Gli utenti dei centri commerciali a Torino e a Genova
Silvia Crivello
Luca Davico
Politecnico di Torino
Sommario Le forte innovazione riscontrabile negli ultimi anni nel commercio pone numerosi interrogativi riguardo a suoi possibili, e in
molti casi già presenti ed evidenti, effetti sulla trasformazione della città e sull’organizzazione del territorio. Da un lato si ha un
cambiamento profondo delle abitudini del consumatore (che non solo tende ad effettuare i propri acquisti in luoghi diversi e spesso
lontani dalla sua residenza, ma ha anche, in molti casi, un atteggiamento diverso rispetto all’atto stesso di acquistare), da un altro lato un
cambiamento dell’organizzazione del commercio (con, ad esempio, lo spostamento di molte attività all’esterno della città e una sempre
maggiore commistione tra attività commerciali e di loisir). Entrambi questi cambiamenti portano a trasformazioni non solo sui modi di
vivere la città, ma anche sull’organizzazione della città stessa. In questo quadro la disponibilità di aree ex-industriali da recuperare in
parti periferiche (o semiperiferiche) della città può rappresentare un importante risorsa, per il commercio e per il tessuto urbano nel suo
complesso, tanto più importante quanto più tali operazioni di recupero si inseriscono coerentemente in un più ampio quadro di
trasformazioni strutturali della città. La realizzazione di centri commerciali in tali aree può rappresentare una possibile alternativa ai
grandi centri commerciali suburbani. Un’alternativa che, non rinunciando alle economie della grande scala e rispondendo ai nuovi stili di
consumo, sia indirizzata verso forme di commercio più sostenibile sia da un punto di vista ambientale che sociale. Per capire fino a che
punto questa occasione sia stata colta e per identificare quali possono essere in tal senso i casi di successo, diventa fondamentale
analizzare e comprendere le modalità con cui sono state condotte in anni recenti operazioni di recupero di aree ex-industriali e che ruolo
giochino a livello urbano i nuovi centri commerciali lì insediati. A tale scopo, è stata condotta un’indagine sul campo a Torino e Genova,
in sette centri commerciali sorti in anni recenti, intervistando in ciascun centro circa duecento utenti. L’indagine è stata condotta in
diversi giorni e in diverse fasce orarie in modo da poter ricostruire i diversi usi dei centro e le diverse popolazioni che lo frequentano.
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Tale indagine ha permesso di ricostruire un quadro delle modalità di utilizzo, delle finalità di frequentazione, dei tipi di mobilità e della
provenienza dei clienti delle grandi strutture commerciali.
Parole Chiave Commercio, città, aree industriali dismesse, consumatori.
Città progressiva o città parassitaria? Una rivisitazione del modello di Baumol sulla
“malattia da costi”
Augusto Cusinato
Università Iuav di Venezia
Sommario Utilizzando un modello assai stilizzato, Baumol (1967) prova l’esistenza di un trade-off tra aspetti quantitativi e qualitativi
dello sviluppo. Il modello contempla due settori, l’uno “progressivo”, caratterizzato da un incremento continuo della produttività del
lavoro, l’altro “stagnante”, nel quale tale incremento è assente. I prodotti istruzione, sanità, attività artistiche, servizi−del settore
stagnante sono peraltro reputati essenziali per la−sociali, pubblica amministrazione qualità della vita (Baumol, Oates, 1972). Nell’ipotesi
che i costi di produzione siano costituiti esclusivamente dai salari, che questi crescano nei due settori in proporzione agli aumenti di
produttività realizzati in quello progressivo e che la domanda dei beni dei due settori sia elastica rispetto al prezzo, Baumol dimostra che
il settore stagnante è destinato scomparire nel tempo oppure, nel caso di sviluppo equilibrato, che il sistema economico tende alla
stagnazione. Inoltre, poiché la produzione di gran parte dei servizi del settore stagnante avviene nella città, questa si trova di fronte
all’alternativa di rassegnarsi al declino, a causa della progressiva riduzione delle sue attività peculiari, oppure di assumere un ruolo
parassitario, qualora intenda confermare nel tempo la sua funzione di produttore di servizi “qualificanti”. La radicalità del dilemma è
stata attenuata allorché si è dimostrato (Bradford, 1969; Keren, 1972) che l’opzione a favore della crescita quantitativa non comporta la
scomparsa del settore stagnante, bensì la costanza della sua dimensione nel tempo. Le prospettive per la città non appaiono tuttavia meno
problematiche poiché, scongiurata l’eventualità del declino assoluto, permane quella del declino relativo, rispetto alle crescenti
dimensioni del settore progressivo. Il contributo si propone di riesaminare il modello di Baumol, come corretto da Keren, rimovendo
l’ipotesi di indipendenza strutturale tra i due settori, che è implicita anche nei successivi interventi di Baumol (1987, 1996). La
produttività del lavoro nonché il suo tasso di crescita nel tempo vi sono infatti considerati come dati, mentre in effetti la prima dipende da
una quota (almeno) dei servizi resi dal settore stagnante (istruzione e sanità) e il secondo viene correlato alle conoscenze accumulate e
alla dimensione del capitale umano (Romer, 1990). Per altra via, si indica nell’ambiente urbano un terreno di coltura particolarmente
fertile per la produzione di conoscenza e di innovazione (Amin, Thrift, 2000; Camagni, 1999; Crevoisier, Camagni, 2001; Lane, s.d.;
Porter, 1990). Integrando queste ipotesi nel modello di Baumol-Keren, si perviene a dimostrare che: (a) qualora la dimensione del settore
stagnante influisca soltanto sulla produttività del lavoro, le previsioni del modello rimangono tendenzialmente invariate; (b) qualora si
assuma, invece, che la dimensione del settore stagnante influisca sulla produzione di innovazione, il trade-off tra quantità e qualità dello
sviluppo si dissolve e il settore assumono il ruolo di propulsori dello− e, con esso, la città −stagnante sviluppo. Permane tuttavia,
all’interno del settore stagnante/urbano, almeno un comparto (quello della sanità) le cui dinamiche di crescita, derivanti da un intreccio di
aspetti tecnologici ed etici, possono confermare le previsioni di Baumol sulla “malattia da costi.
Parole Chiave Baumol, città, innovazione, sviluppo.
L’edilizia residenziale pubblica fra integrazione e segregazione. Una analisi diacronica
dell’edilizia sociale nelle città toscane
Valerio Cutini
Università degli Studi di Pisa - Dipartimento di Ingegneria Civile
Sommario Con riferimento alla sua localizzazione sul territorio, la produzione edilizia per le fasce sociali più deboli appare
tradizionalmente caratterizzata in Italia da due tendenze, opposte ed alternative. Da una parte, la penuria finanziaria degli enti preposti e
la logica del mercato immobiliare hanno sospinto la realizzazione degli insediamenti di edilizia sociale verso le collocazioni di minor
pregio posizionale, in collocazioni di scarsa appetibilità per la domanda residenziale: ne è risultata, tipicamente, una collocazione
marginale rispetto agli aggregati urbani nonché, di frequente, la segregazione e la penalizzazione ad opera di fattori locali o di elementi
contingenti. Dall’altra parte, si è cercato di contrastare tale tendenza favorendo, mediante specifici provvedimenti di legge e attraverso
strategie di politica locale, scelte localizzative non dipendenti (almeno in parte) dalla logica del mercato fondiario e immobiliare. Gli
eccellenti risultati delle sperimentazioni sull’analisi configurazionale attestano le tecniche che vi afferiscono come un affidabile
strumento di lettura e di comprensione della geografia urbana, utile in particolare per l’analisi e la ricostruzione della dinamica dei livelli
di centralità urbana a seguito delle trasformazioni del tessuto urbano. In particolare, l’analisi configurazionale si rivela indispensabile per
individuare e rendere manifesto il rapporto che intercorre fra la articolazione spaziale della griglia dei percorsi urbani e la distribuzione
delle correnti di traffico; ciò che ne influenza l’attrattività nei riguardi delle attività, la distribuzione delle funzioni insediate e, in
definitiva, l’andamento dei livelli di centralità sul territorio urbano. Tali tecniche sembrano pertanto prestarsi per studiare (e misurare) il
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livello di integrazione e di segregazione che caratterizzano le varie parti di un aggregato urbano, e, più specificamente, appaiono
particolarmente appropriate per analizzare le politiche territoriali di edilizia residenziale pubblica, individuandone gli esiti, ma, ancor più,
rendendone esplicite e manifeste le motivazioni e gli intenti. Su tali basi, sono stati assunte come casi di studio alcune città toscane
(Grosseto, Livorno, Lucca Pisa), nelle quali l’esperienza dell’edilizia sociale condotta nell’arco degli ultimi 80 anni, dalle realizzazioni
del periodo fra le due guerre a quelle attualmente in corso, è stata fatta oggetto di una estesa analisi, puntuale sui singoli interventi,
mediante un approccio di tipo configurazionale. I risultati di tali analisi evidenziano gli effetti delle trasformazioni della normativa sugli
esiti posizionali delle realizzazioni, e più in particolare sul livello di integrazione risultante nei riguardi dell’aggregato urbano esistente;
si mostra cioè il prevalere, nel tempo, di una o dell’altra delle due tendenze sopra accennate, ciò che di volta in volta ha favorito
collocazioni in posizione più o meno marginale e la realizzazione di insediamenti di più marcata o più debole integrazione con il tessuto
urbano esistente. Nei casi più eclatanti, non infrequenti, sono state individuate aree urbane interessate da tale destinazione e caratterizzate
da una marcata segregazione configurazionale. Inoltre, l’analisi diacronica rende evidente la diversità dei modi e degli intenti con cui la
medesima normativa sull’edilizia sociale è stata di fatto applicata nei diversi, pur geograficamente prossimi, contesti territoriali,
assecondando in maggiore o minor misura le istanze del mercato fondiario e le aspettative di una localizzazione accessibile dei complessi
di residenze a basso costo. Si mostrerà infine come una attenta valutazione degli aspetti osservati costituisca oggi, in considerazione delle
condizioni di degrado in cui attualmente versa una parte non trascurabile di tali realizzazioni, una operazione conoscitiva preliminare
necessaria per ogni ipotesi di riqualificazione.
Parole Chiave Edilizia sociale, analisi configurazionale, accessibilità.
Rete ecologica e programmazione regionale
Carmelo D’Agostino
Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria - Corso di Laurea in P.T.U.A.
Nicola Tucci
Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria - Dipartimento S.A.T.
Sommario Questo contributo nasce da una riflessione sui nuovi indirizzi che determinano la programmazione dello sviluppo economico
delle Regioni, con particolare riferimento all’importanza assunta dal sistema delle risorse naturali, specie se inteso nell’accezione più
generale di patrimonio ambientale. La politica dell’UE in materia di tutela ambientale trova applicazione già nel 1971 con l’adesione
all’accordo internazionale sulla protezione delle Zone Umide di Importanza Internazionale. Successivamente vengono presi ulteriori
provvedimenti legislativi, tra cui la Direttiva Uccelli 79/409/CEE che istituisce le Z.P.S. e la Direttiva Habitat 92/43/CEE che istituisce la
R.E.E. come insieme coerente di Z.S.C., denominata Natura 2000. I primi esempi di concetti legati alla reticolarità ecologica e alle
connessioni ambientali trovano una crescente affermazione nelle politiche nazionali di conservazione della natura e di pianificazione
territoriale di diversi paesi quali l’Olanda, la Germania etc. In Italia il progetto di R.E.N. nasce in occasione del convegno denominato
Cento idee per lo sviluppo tenutosi a Catania, e successivamente definito dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio
(S.C.N.), nell’ambito dei Fondi Strutturali 2000-2006. Obiettivi principali sono quelli di sviluppare e valorizzare quei territori
caratterizzati dalla presenza di valori naturali e culturali, tutelando i livelli di biodiversità esistenti e la qualità ambientale nel
complessiva. In questo quadro, e al fine di sollecitare processi innovativi sia sul piano interpretativo, metodologico ed operativo, la
pianificazione ambientale, territoriale ed urbanistica deve assume il ruolo di strumento di programmazione, pianificazione, attuazione e
gestione di fenomeni territoriali complessi tra loro integrati. Da quì l’ipotesi di integrare il sistema ambientale siciliano e quello
calabrese, delineando un possibile scenario di sviluppo ambientale sostenibile integrato per le due Regioni in un’unica ipotesi di Rete
Ecologica Mediterranea. Essa infatti può configurarsi come un’infrastruttura naturale ed ambientale ad alto valore naturalistico su cui
esplicitare strategie integrate di tutela e conservazione delle risorse ambientali, sociali ed economiche, rafforzando, allo stesso tempo,
l’interesse delle comunità locali alla cura del territorio. La Regione Calabria, al fine di valorizzare e sviluppare gli ambiti territoriali
regionali caratterizzati dalla presenza di rilevanti valori naturali e culturali, garantendo al contempo l’integrazione tra i processi di tutela
ambientale e di sviluppo sociale ed economico, ha approvato il Progetto Integrato Strategico Rete Ecologica, finalizzato alla creazione
della R.E.R.. La struttura della Rete è composta da aree naturali protette esistenti, aree naturali protette di nuova istituzione, aree naturali
ed ambientali che completano la rete. In altre parole il sistema si è formato non solo da biotopi strettamente naturali sostenuti, ma anche
da biotopi seminaturali. In tal senso acquista particolare evidenza il ruolo giocato dal sistema agro-forestale. La Regione Sicilia, per
l’attuazione della R.E.R., ha messo a punto una strategia di intervento mirata, dotandosi di strumenti specifici di intervento che hanno
interessato in particolare la programmazione dei fondi strutturali nei quali si sono elaborate specifiche misure e strumenti di
progettazione integrata territoriale e strategica. Inoltre, attraverso la collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio, sono state sviluppate forti sinergie con i Progetti di Sistema Nazionali che concorrono alla realizzazione della R.E.N. La
struttura della R.E.R. si compone da quattro Sistemi Integrati Territoriali definiti prioritari, e tredici Sistemi ed Ambiti Naturali di
completamento, su cui applicare quindici tipologie di intervento. In entrambi i casi il progetto di R.E.R. costituisce uno strumento di
programmazione in grado di orientare la politica di governo del territorio regionale verso una nuova gestione di processi di sviluppo,
integrandoli con le specificità ambientali delle aree, con una corretta gestione dei rifiuti, e partecipando alla attuazione della strategia
paneuropea sulla diversità biologica e paesaggistica nei contesti territoriali ad elevata naturalità, in cui i rifiuti compostabili sono una
valenza e non una negatività.
Parole Chiave Risorse naturali, rete ecologica, sviluppo sostenibile, sviluppo regionale.
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Il contributo dell’analisi multidimensionale per la domanda di trasporto
Luigi D’Ambra
Guido Rodia
Università degli Studi di Napoli “Federico II” - Dipartimento di Matematica e Statistica - Facoltà di Economia
Sommario Obiettivo del presente contributo è quello di specificare un modello di scelta modale della domanda di trasporto utilizzando
una strategia di analisi basata sull’analisi esplorativa. L’approccio esplorativo adottato è quello dell’analisi non simmetrica delle
corrispondenze (D’Ambra e Lauro, 1989); mentre, per quanto riguarda la domanda di mobilità, si prenderà in considerazione un modello
di ripartizione modale, volto a determinare la componente di domanda relativa alla scelta del modo di trasporto (Cascetta E., 2001). Il
lavoro prende le mosse dall’attività svolta all’interno del Centro Regionale di Competenze “Trasporti” (CRdCT) e analizza il data-set
fornito dall’Assessorato ai Trasporti della Regione Campania, relativo all’indagine volumetrica e motivazionale condotta sugli utenti del
trasporto in Campania (ITER 2003). In tale indagine sono stati rilevati, su un campione di 9.696 utenti intervistati, residenti nella
Regione Campania e con età superiore ai 14 anni, una serie di indicatori sia socioeconomici che sul livello del servizio, per un totale di
oltre 40 variabili. Data la dimensionalità del fenomeno, per una descrizione della struttura dei dati, si è ritenuto opportuno un approccio
di tipo fattoriale, capace di evidenziare e visualizzare le relazioni tra le variabili in un sottospazio con una capacità informativa di
massima inerzia; nonché di tener presente le relazioni di antecedenza tra le variabili: la scelta del modo di trasporto dipende, infatti,
dall’insieme di caratteristiche dell’utente, nonché dalle caratteristiche del mezzo prescelto. È evidente che ci muoviamo in un contesto
multidimensionale in cui è presente una relazione asimmetrica tra i caratteri considerati. Come anticipato, la metodologia cui faremo
riferimento, nella prima parte del contributo, è l’analisi non simmetrica delle corrispondenze (ANSC) generalizzata al caso di tabelle di
contingenza giustapposte. L’analisi fattoriale preliminare permetterà una descrizione del fenomeno, l’individuazione dell’insieme di
scelta del decisore e la selezione, in modo sequenziale secondo l’importanza della capacità predittiva nella ricostruzione delle
sottotabelle, delle variabili più esplicative del modo di trasporto, nonché l’identificazione di classi omogenee di decisori razionali. Tale
schema sarà strumentale alla scelta degli indicatori più significativi da introdurre nella successiva modellizzazione del fenomeno, che
verrà effettuata utilizzando modelli decisionali di scelta discreta. La seconda parte del contributo è focalizzata sulla costruzione di un
modello in grado di analizzare il comportamento di scelta degli utenti del sistema di trasporto, in particolare di simulare la scelta del
modo di trasporto. Lo scopo del lavoro è quello di presentare un approccio integrato tra le tecniche fattoriali e quelle modellistiche, che
consenta: da un lato di definire l’insieme di scelta per il modello di ripartizione successivo; dall’altro di fornire uno schema decisionale
per le variabili che maggiormente caratterizzano le preferenze del modo di trasporto. Inoltre, l’utilizzo dei modelli decisionali a scelta
discreta, nella forma funzionale di Logit Multinomiale, costituisce un valido strumento per esplicitare le preferenze di mobilità dei
cittadini. A tal riguardo si è potuto, per esempio, stimare la probabilità di scegliere uno dei modi di trasporto possibili - l’auto invece
della metro o dell’autobus -; e con la stessa metodologia stimare la probabilità di spostarsi in una certa fascia oraria; o ancora verso una
certa destinazione. L’individuazione dei fattori determinanti le scelte di mobilità dei cittadini potrebbe consentire ai decsion makers
azioni di intervento volte al miglioramento del Sistema dei Trasporti (riduzione dei costi o aumento dell’affidabilità di un servizio di
trasporto collettivo, istituzione di nuove tratte).
Parole Chiave Analisi multidimensionale, tecniche fattoriali, domanda di trasporto, modelli di scelta discreta.
Ambiente urbano e pianificazione territoriale: verso una strategia tematica sull’ambiente
urbano
Cristina D’Andrea
Società Black & Veatch Italia - Roma
Maria Luce Mariniello
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio - Direzione
Tiziana Vitolo
Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo CNR
Sommario Il lavoro proposto si concentra sulle conseguenze ambientali generate dalle decisioni adottate negli strumenti di
pianificazione strategica in tema di sviluppo delle aree urbane.
In effetti, l’assenza di una pianificazione sistematica che assicuri una buona qualità dell’ambiente urbano é una delle cause del degrado
ambientale con forti ricadute sull’ambiente e sull’economia delle città e sui loro abitanti.
La pianificazione di un elevato livello di tutela ambientale è uno dei presupposti fondamentali per assicurare uno sviluppo urbano
sostenibile e per garantire una buona qualità di vita agli abitanti delle città europee.
La strategia tematica sull’ambiente urbano si configura come una tappa fondamentale nella realizzazione di questo obiettivo ed è per
questo che essa ha determinato la nascita di una serie di iniziative finalizzate allo sviluppo di una politica europea in materia.
In questa ottica, per adempiere al mandato stabilito nel Sesto programma di azione in materia di ambiente, la Commissione europea ha
adottato una Comunicazione dal titolo "Verso una strategia tematica sull'ambiente urbano" COM(2004)60 dell’11 febbraio 2004. Questa
strategia tematica sull’ambiente urbano è incentrata su quattro temi orizzontali che presentano un chiaro legame con i pilastri
economico/sociali dello sviluppo sostenibile e rappresentano i settori nei quali è possibile ottenere i progressi più significativi: gestione
urbana sostenibile, trasporto urbano sostenibile, edilizia sostenibile e progettazione urbana sostenibile.
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Rilevanti sono alcuni nodi problematici quali: i meccanismi di implementazione che impongono l’identificazione di strategie e di
strumenti volontari quali i sistemi di gestione ambientale (EMAS), basati sull’approccio volontario, che si sono rivelate infatti efficaci
perché tramutano la tutela dell’ambiente in opportunità di sviluppo.
La diversità urbana che richiede approcci differenziati da utilizzare per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale e
pianificazione strategica sostenibile.
Il ruolo della pianificazione strategica dovrebbe essere, infatti, quello di fornire uno spettro di strumenti diversi affinché le città possano
scegliere gli approcci più appropriati alla loro realtà territoriale.
La sussidiarietà che richiede di valutare il valore aggiunto di un’integrazione verticale tra la disciplina obbligatoria e programmatica
adottata a livello comunitario e gli strumenti di pianificazione esistenti a livello nazionale e locale.
In particolare, assume rilievo l’esperienza delle Agende 21 locali la cui previsione programmatica rappresenta un laboratorio di
sperimentazione fondamentale per l’attuazione dei principi della pianificazione strategica sostenibile.
Accanto all’approfondimento e al monitoraggio dell’attuazione degli strumenti volontari e della loro efficacia, il lavoro si soffermerà sui
sistemi di governance posti in essere a livello locale e sui meccanismi di comunicazione che consentano la partecipazione del pubblico
nei processi decisionali. La scelta di tale approccio è dovuta alla necessità di definire un solido quadro di riferimento che consenta di
individuare le pratiche più efficaci per una migliore gestione dell’ambiente urbano, nel rispetto delle sue peculiarità, tenendo conto del
ruolo svolto dai molteplici attori che vi operano.
Appare evidente il ruolo fondamentale che le città svolgono nell’esercizio delle loro funzioni per la collettività; proprio per consentire e
favorire tali funzioni, le città utilizzano una serie di elementi, tra i quali i servizi pubblici locali.
Il presente lavoro intende soffermarsi proprio su come l’impatto ambientale di tali servizi, (per essi intendendo acqua, energia, rifiuti,
trasporti), contribuisca all’impatto ambientale complessivo della città.
Nell’espletamento di tali servizi, i meccanismi di governance risultano particolarmente complessi, posto che le diverse politiche ai vari
livelli amministrativi competenti in materia agiscono spesso in maniera isolata le une dalle altre. Le conseguenze ambientali delle
decisioni politiche non sono considerate in modo adeguato.
Alla luce di queste considerazioni, il presente lavoro si pone l’obiettivo di analizzare i sistemi di governance posti in essere a livello
locale perseguendo uno sviluppo sostenibile, che assicuri nel contempo un’economia dinamica ed una società sana ed equa.
Parole Chiave Strategie di pianificazione, gestione urbana, sostenibilità, sussidiarietà e integrazione.
Politiche integrate di recupero urbano e valorizzazione dei centri storici in Campania:
un’applicazione della l.r. 26/02
Alessio D’Auria
Università degli Studi di Napoli - Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali
Roberta Di Lello
Libero professionista
Giambattista Giordano
Università degli Studi di Napoli - Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali
Sommario Il paper analizza gli esiti di un’applicazione della Legge Regionale 26/02 per la valorizzazione dei centri storici della
Campania.
La maggior parte dei centri storici minori e rurali della Regione conservano peculiarità paesaggistiche, storiche e culturali, che
posseggono una grande potenzialità socio-economica, in riferimento alla quale la nuova normativa ha inteso ridefinire le logiche di tutela
e valorizzazione in un’ottica integrata e globale.
Tali centri risultano, spesso, sprovvisti di attività produttive significative, sicché, al progressivo spopolamento, ha fatto seguito il degrado
e la manomissione del patrimonio edilizio, costituito spesso di piccole strutture e infrastrutture, realizzate nel corso dei secoli e che sono
testimonianze della identità storico-culturale della Campania.
Con la L.R. 26 del 18 ottobre 2002, “Norme ed incentivi per la valorizzazione dei centri storici della Campania e per la catalogazione dei
beni ambientali di qualità paesistica” la Regione si è dotata, per la prima volta, di una normativa per la valorizzazione dei centri storici
che, muovendosi non con lo strumento del vincolo, ma con quello dell’incentivo, ha consentito di avviare nei centri storici minori un
organico piano di interventi, finalizzati al recupero e alla rivitalizzazione.
Il principale strumento attuativo individuato dalla normativa è il Programma Integrato di Riqualificazione Urbanistica, Edilizia ed
Ambientale (P.I.R.U.E.A.), a sua volta costituito da elaborati dotati di autonomia funzionale: il Programma di Valorizzazione (P.V.), il
Piano del Colore, il Piano di Manutenzione Programmata.
Il Comune di San Giorgio La Molara (BN) si è dotato, nel corso del 2004, dapprima di uno studio di fattibilità per un P.I.R.U.E.A. e
successivamente anche di un P.V.. Gli obiettivi generali di questo Programma sono la tutela delle peculiarità storico-architettoniche ed
ambientali legate alla tradizione, ed allo stesso tempo lo sviluppo socio-economico attraverso la rivitalizzazione delle attività produttive e
commerciali compatibili con l’ambiente, la cultura locale e l’identità collettiva. In altri termini il P.V. pone l’attenzione non solo agli
aspetti formali del patrimonio antropico a carattere storico-culturale ma agli interessi collettivi sociali attraverso strategie di riuso
compatibile ed operativo delle risorse presenti nel centro storico.
Gli obiettivi specifici del Programma per il centro storico di San Giorgio La Molara, tengono conto delle peculiarità storicoarchitettoniche, culturali ed ambientali proprie degli insediamenti, secondo una struttura articolata in relazione: alla definizione di aree di
interesse; all’organicità delle iniziative; alla capacità di attivare azioni di sensibilizzazione; al coinvolgimento di risorse finanziarie
private formulato con atti formali; alla capacità di integrazione delle varie fonti di finanziamento.
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A.I.S.Re
Il paper, infine, mette in evidenza, partendo dal caso applicativo, l’originalità degli approcci proposti dalla L.R. 26/02: grazie
all’elaborazione nuovi strumenti per promuovere la conservazione del patrimonio culturale della Regione Campania, è stato possibile
attivare differenti forme di integrazione tra i livelli di intervento territoriale.
La prima forma di integrazione è connaturata al Programma stesso, ed è riferita all’integrazione tra politiche improntate all’attrazione di
nuovi flussi turistici, con politiche volte alla tutela del capitale manufatto e con politiche di sviluppo socio-economico ed occupazionale,
nel quadro di strategie di sviluppo sostenibile. Inoltre, appare opportuno parlare anche di “congruenza” tra le diverse politiche e i diversi
piani di intervento: la valorizzazione, pur esibendo una propria specificità, non può costituire un “corpo separato” nel complesso delle
attività di governo del territorio. A questa va aggiunta una ulteriore dimensione dell’integrazione, che potremmo definire
“interconnessione verticale” che segnala la connessione tra le azioni locali promosse dai diversi attori territoriali istituzionali.
Gli strumenti proposti dalla nuova normativa regionali si sono dimostrati particolarmente flessibili e orientati ad organizzare gli
interventi in termini di addizionalità, al fine di innescare una massa critica di azioni discrete che si muovono secondo una logica
incrementale.
Parole Chiave Valorizzazione, centri storici, sviluppo socio-economico, politiche urbane integrate.
Il recupero delle parti comuni degli edifici come strumento di conservazione integrata del
centro storico: il progetto SIRENA a Napoli
Alessio D’Auria
Università degli Studi di Napoli - Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali
Bernardino Stangherlin
S.i.re.na. Città Storica
Sommario Il paper intende illustrare l’esperienza del Progetto Sirena per la conservazione integrata del centro storico di Napoli. Il
programma di recupero è volto ad attivare, mediante una combinazione di contributi finanziari pubblici a fondo perduto e
regolamentazione delle imprese di costruzioni, un processo di riqualificazione diffuso su uno dei centri storici più vasti del mondo,
riconosciuto dall’UNESCO quale “patrimonio dell’umanità”.
Per perseguire questo ambizioso progetto, l’Amministrazione Comunale si è dotata di un braccio operativo, costituendo nel novembre
2001, in unione con l’Associazione Costruttori Edili della Provincia di Napoli, una società consortile mista per azioni denominata
“S.I.RE.NA.” (Società per le Iniziative di Recupero di Napoli), responsabile e gestore dell’omonimo Progetto. La Società è oggi
partecipata anche dalla Regione Campania e dall’Unione Industriali della Provincia di Napoli, per una quota complessiva in mano
pubblica pari a quasi il 60%.
Lo scopo principale del Progetto Sirena è quello di promuovere ed elaborare interventi di recupero edilizio all’interno delle diverse aree
definite “centro storico”, considerando dunque, non solo gli edifici compresi nel centro storico tradizionalmente inteso, ma anche quelli
insistenti nei “centri storici” delle aree periferiche e perfino gli edifici ricadenti nelle zone “B” di completamento delle periferie
degradate, arrivando ad interessare fino a quasi 3.000ha su un totale di 12.000ha del territorio comunale di Napoli.
Il Progetto consente ai privati proprietari di immobili, di ottenere contributi a fondo perduto per gli interventi di recupero che riguardino
le parti comuni degli edifici; i contributi erogati, fino ad un massimo di 120.000,00 € per ciascun edificio, coprono fino al 30%
dell’importo complessivo dell’intervento, elevabile al 35% in caso di compilazione del “libretto di manutenzione” del fabbricato. Ad
oggi sono stati finanziati 670 cantieri, ed assegnati contributi pari a 43,5 milioni €, per un ammontare complessivo di investimenti
stimato in circa 130milioni €. Le imprese coinvolte nel Progetto sono circa 350, tutte “certificate” attraverso l’iscrizione ad un apposito
elenco formulato dalla Società, per favorire condizioni di legalità nei cantieri di recupero, in particolare per la sicurezza ed il trattamento
previdenziale dei lavoratori.
Partendo dal recupero delle parti comuni del singolo edificio, il Progetto Sirena tenta di promuovere un processo di rinnovamento
graduale ma continuo della trama urbana. Tale processo non può essere conseguito intervenendo su parti limitate di città, con programmi
che investono al più alcuni isolati, e che, soprattutto, non siano legati a strategie di insieme, finalizzate a obiettivi più generali di
riqualificazione, su tempi di maggior respiro. Il paper si soffermerà sull’importanza di una regia dell’insieme degli interventi di recupero,
che dia ad essi una prospettiva di continuità e che limiti i rischi intrinsecamente connessi ad una prospettiva di lungo periodo derivanti,
ad esempio, dalla rinuncia, consapevole, ad una quota degli effetti di traboccamento naturalmente indotti da interventi di recupero
concentrati su porzioni limitate di città.
Nel paper si evidenzia, inoltre, l’importanza degli incentivi a fondo perduto, quali strumenti appropriati per fornire impulso alla
riqualificazione “spontanea” del patrimonio storico-culturale da parte dei soggetti privati. In tal modo, inoltre, il processo di
riqualificazione del capitale manufatto consente di promuovere un differenziale di qualità del capitale umano, attivando un processo di
capacity-building. Infatti, il Progetto Sirena ha conseguito nel 2004 il riconoscimento di “Good Practice” nell’ambito del Dubai
International Award, bandito, assieme con l’agenzia UN-Habitat di Nairobi, per porre all’attenzione mondiale le migliori pratiche attuate
per migliorare l’ambiente di vita urbano e per diffondere la conoscenza delle strategie di sostenibilità urbana coerenti coi principi
dell’Agenda Habitat.
Parole Chiave Centro storico, conservazione integrata, incentivi finanziari, partnership pubblico-privato.
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The impact of EU regional support on growth and convergence
Sandy Dall’Erba
University of Illinois at Urbana-Champaign - Regional Economics Application Laboratory - USA
Julie Le Gallo
Université Montesquieu-Bordeaux IV - IERSO (IFReDE-GRES) - France
Sommario With the aim of enhancing cohesion, structural funds are primarily allocated to compensate the regions which would be less
well placed to benefit from deeper integration. However, their capacity to favor cohesion is still under controversy (Rodriguez-Posé and
Fratesi, 2004). Indeed, they do not necessarily benefit to the region where they are implemented, and may even lead to increasing
regional disparities (Martin, 2000; Martin and Ottaviano, 1999).
In this context, this paper estimates the impact of structural funds on the per capita GDP and employment share growth between 145
European (NUTS 2) regions over the 1989-1999 period. We pay a special attention to the presence of spillover effects between regions.
This comes from the fact that EU regions are not isolated entities, since they are open economies and interact with other regions (through
trade or migration for instance). In addition, an important part of these funds is devoted to transportation infrastructures, which are also at
the origin of spatial dependences between regions (Vickerman, 1991, 1996). As a result, we perform spatial econometric estimations to
assess the impact of 1) the funds received by the targeted region itself and 2) the funds received by the targeted region and the
neighboring regions.
Compared to previous studies dealing with the impact of the funds on growth (see Ederveen et al., 2002 for a literature review), our
approach proposes four novelties. First we do include the presence of spatial effects on the whole European sample. Second we
differentiate the impact of the funds by objective (1, 2, 3&4, 5 and Community Initiatives) and third we take the presence of additional
funds into account in order to reflect the capacity of each region to accompany cohesion efforts. Fourth, the spatial weight matrix upon
which spatial effects rely, are not only constructed based on geographical distance, but also on the travel time by road between the most
populated city of each region.
For each of the studies variable, per capita GDP growth or regional employment share growth, the paper starts by using the formal tools
of exploratory spatial data analysis (ESDA) to study the spatial distribution of these variables, as in Ertur et al. (2005). Several spatial
weight matrices are built in that purpose. The results of spatial analysis display strong evidence of spatial autocorrelation in the
distribution of both variables. More precisely, two spatial regimes representative of the well-known core-periphery framework (Krugman
1991a, 1991b; Fujita et al., 1999), are persistent over the period and highlight spatial heterogeneity.
β
We then include these spatial effects and estimate the impact of structural funds on growth in the appropriate conditional
convergence model. Estimation results, obtained by Maximum Likelihood, indicate that the per capita GDP growth and employment
growth of each region is positively and significantly affected by the growth level of its neighboring regions. In addition, the presence of
the two convergence clubs described above remains significant over the studied period. The results do not show a significant impact of
structural funds nor total project cost on regional per capita GDP or employment growth. While objective 1 funds are supposed to
enhance the development level of peripheral regions and objective 3&4 funds the employment level in low employment regions, we dot
not necessarily find a significant impact of these funds on their designated objective. When the impact is significant, its extent is pretty
low or, sometimes, negative. Even the funds received by a region’s neighbors do not systematically affect its growth rate. As a
conclusion, our findings raise some doubts on the capacity of regional assistance to produce convergence and call for regional policies
targeted towards more innovative and region-specific development strategies.
The european regional growth process revisited: increasing returns and spatial dynamic
setting
Sandy Dall’Erba
University of Illinois at Urbana-Champaign - Regional Economics Applications Laboratory
Marco Percoco
Università Bocconi - Istituto di Economia Politica
Gianfranco Piras
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” - Facoltà di Economia
Sommario Most of the recent contributions based on spatial econometrics which measure convergence among regions rely on a crosssectional estimation of Solow’s (1956) model. However, this type of approach presents two drawbacks. The first one is the lack of
consideration for increasing returns to scale, which are at the origin of endogenous growth and new economic geography models. The
second concerns the incapacity of a cross-sectional approach to solve problems due to omitted variables and the complete regional
homogeneity it imposes. In that purpose, we use Fingleton’s (2001) model which links manufacturing labor productivity growth to
manufacturing output growth and technology gap and apply it to 207 European NUTS 2 regions (including those of Poland, Hungary and
the Czech Republic) over 1990-2004. The novelty comes from estimation results which are presented according to a spatial panel data
approach and a spatial cross-sectional approach, since both methodologies are complementary in a spatial dynamic setting.
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L’indice di sviluppo urbano sostenibile dei 103 comuni capoluogo di provincia italiani
Antonio Dallara
Università Cattolica del Sacro Cuore
Sommario Dopo la sintesi dello stato dell’arte sugli indicatori di sostenibilità territoriale costruiti a livello internazionale e nazionale, in
questo lavoro si richiamano alcune tecniche per la selezione di variabili quantitative elementari e si propone un indice di sviluppo urbano
sostenibile per i comuni capoluogo italiani. Dall’analisi della letteratura internazionale si traggono le variabili quantitative elementari
maggiormente utilizzate per descrivere le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: economia, società, ambiente. Si individuano i
fondamenti teorici alla base della scelta delle variabili che misurano la sostenibilità, le argomentazioni per l’eventuale esclusione di date
variabili e le giustificazioni per la ricerca di variabili-proxy nel momento in cui dalla definizione teorica si passa alla evidenza empirica e
alla costruzione di indici attraverso i dati disponibili e effettivamente rilevati dalle Istituzioni preposte. Relativamente al tema della
selezione delle variabili si propone una rapida distinzione tra i metodi cosiddetti “correlativi” (tra cui gli indici di Qualità della vita di
Italia Oggi, l’Indicatore di sviluppo sostenibile dell’Istituto per lo Sviluppo Sostenibile in Italia ISSI, gli indici di sostenibilità definiti
nell’ambito di un progetto promosso da Dexia-Crediop) e i metodi “non correlativi” (tra cui gli indici di Qualità della vita del Sole24
Ore; l’Indice di Sviluppo Umano dell’UNDP) (Merlini-Vitali, 1999), oltre all’approccio della “transvariazione” introdotto da Gini negli
anni Cinquanta. Alla introduzione teorica così definita segue la proposta di una metodologia per la costruzione di un indice di
sostenibilità economica-sociale-ambientale per i comuni capoluogo delle province italiane. L’indice proposto è stato ottenuto
combinando tre tecniche di statistica multivariata, l’analisi delle componenti principali, l’analisi cluster (approccio k-means), l’analisi
discriminante (approccio lineare di Fisher). Dopo una prima definizione formalizzata, si presenta una prima applicazione sui 103 comuni
capoluogo di provincia italiani, per gli anni 1999, 2000 e 2001. Gli indici così definiti sono un utile strumento per l’analisi del
posizionamento competitivo in chiave di sviluppo sostenibile delle città italiane. Al contempo sono una misura di sintesi dei cosiddetti
“swot comparati” (LEL, 1999), ossia dei punti di forza e dei punti di debolezza di ciascun ambito urbano italiano confrontato con tutti gli
altri sulla base delle medesime variabili. In più la selezione delle variabili in termini “correlativi” è una prima via per l’individuazione di
misure per la “certificazione dei territori”.
Parole Chiave Indicatori di sintesi, sviluppo sostenibile, ranking territoriale, SWOT comparati.
Grandi eventi, olimpiadi e sviluppo locale: costruire un’eredità olimpica condivisa nelle
vallate olimpiche
Egidio Dansero
Domenico De Leonardis
Alfredo Mela
Politecnico di Torino
Sommario Il presente contributo parte dalla presa d’atto che la marginalità dei piccoli comuni alpini sia acuita in molti casi dall’assenza
o scarsa efficienza di una rete locale di soggetti in grado di attivare processi di sviluppo locale. Questo si traduce da un lato in un freno
allo stimolo dell’imprenditoria locale (minor circolazione delle informazioni, scarsa incentivazione dei rapporti di fiducia, ecc.),
dall’altro rischia di portare ad un irrigidimento del sistema locale per via di un minor flusso di relazioni con l’esterno (anche in termini di
accesso a stimoli e finanziamenti). Il caso studio che si propone si concentra su un’area investita dalle trasformazioni innescate dal
grande evento rappresentato dalle Olimpiadi invernali di Torino 2006. I grandi eventi in generale costituiscono un potente fattore di
cambiamento per i territori coinvolti, sollecitate non solo a trasformarsi per poter adeguatamente accogliere l’evento, ma soprattutto per
cogliere tutte le opportunità potenzialmente offerte dallo stesso (vetrina, impulso all’economia locale, stimolo culturale, adeguamento
strutturale e infrastrutturale). Allo stesso tempo, una sempre più vasta letteratura e casistica di esperienze concrete mette in guardia da
facili ottimismi. Ospitare un grande evento è una scelta oltremodo impegnativa, da valutare attentamente, perché rilevanti sono i rischi e
gli impatti potenzialmente negativi ad esso connessi. Nella fase attuale del processo di preparazione delle Olimpiadi di Torino 2006,
diventa sempre più cruciale da parte dei territori coinvolti, occuparsi dell’eredità olimpica. Per quanto essa sia già in parte definita nel
programma di opere olimpiche e connesse in corso di attuazione, le modalità con cui essa si potrà trasformare in un’eredità positiva e
duratura per i territori dipende non soltanto dall’azione degli attori istituzionalmente preposti a vario titolo alla preparazione dell’evento
(Toroc, Agenzia Torino 2006, Regione ed enti locali), ma anche da come questa saprà interfacciarsi con le dinamiche e le progettualità
dei territori coinvolti. A partire da un’esperienza di analisi e animazione territoriale che gli autori hanno svolto nelle alte valli Chisone e
Germanasca (attorno agli ambiti di Pragelato e Prali), l’obiettivo del paper è quello di riflettere sulle modalità di costruzione di un’eredità
olimpica condivisa attraverso un percorso di ricerca-azione, volto a esplorare e costruire una serie di “spill overs” permanenti in termini
di eredità olimpica.
Parole Chiave Grandi eventi, eredità olimpica, partecipazione.
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Dimensione e innovazione: un binomio critico per le imprese siciliane
Maria Davì
Giuseppe Notarstefano
Università degli Studi di Palermo
Sommario Il lavoro intende presentare i primi risultati di un’indagine condotta su un campione di imprese siciliane, relativo
all’introduzione e all’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche. La struttura produttiva regionale si presenta caratterizzata dal
“vincolo” della piccola dimensione che costituisce, oltre che un ostacolo concreto alla crescita e all’efficienza del sistema produttiva,
anche un freno alla propensione all’innovazione. La realtà produttiva siciliana, dal confronto tra i dati censuari, appare sempre meno
specializzata e caratterizzata dalle microdimensioni. A ciò si aggiunge la difficoltà, a volte, l’incapacità a “fare sistema” (ciò spiega
anche la resistenza a realizzare contesti di tipo distrettuale, nonostante le diverse esperienze di programmazione decentrata e le forme di
programmazione locale integrata sviluppatesi in questi anni). A dispetto di ciò, si rileva un inaspettato dinamismo, espresso dal tasso di
formazione netta dovuto alle nuove “imprese create” nei settori della c.d. “Nuova Economia”, qualora si osservino i dati dell’archivio
Movimprese della camera di commercio Il legame tra imprenditorialità e apertura alle nuove forme delle comunicazione e
dell’informatizzazione dei processi organizzativi sono l’oggetto principale dell’indagine. Viene anche messo a fuoco l’utilizzo del
commercio elettronico, dei vantaggi che le imprese percepiscono e degli effettivi risultati in termini di produttività e di redditività.
L’indagine prende spunto dall’indagine nazionale condotta dall’Istat, già alla sua seconda edizione, ciò costituisce un importante
elemento di confronto tra la realtà regionale e l’intera struttura produttiva nazionale. L’ipotesi alla base dello studio prende spunto dagli
studi di Gambardella e Torrisi, i quali hanno rilevato la diffusione orizzontale delle NTI nei diversi settori produttivi, dovuta
all’introduzione delle nuove tecnologie e all’impatto che essa ha nella capacità ad innovare delle imprese, collegandola al miglioramento
della Produttività Totale. Dai primi risultati di un’indagine pilota, si è rilevata la stretta connessione tra fattori soggettivi e oggettivi,
questi ultimi legati soprattutto al contesto culturale e competitivo. Un ruolo fondamentale viene giocato dalla formazione e dal livello di
istruzione degli imprenditori, dal modello di gestione e dallo “stile di direzione” dell’impresa e dal grado di apertura al mercato.
Quest’ultimo fattore è strettamente connesso con un modello prevalente di radicamento locale che, in certi casi, si rivela un autentico
limite alla crescita e all’espansione dell’azienda.
Parole Chiave Dimensione, utilizzo NTI, capitale umano, competitività.
L’autocorrelazione spaziale presente in stime alternative della dotazione infrastrutturale
a livello regionale
Marusca De Castris
Claudio Mazziotta
Università degli Studi Roma Tre
Matteo Mazziotta
Istat
Sommario 1. Obiettivi e contenuto del lavoro La quantificazione del capitale pubblico (o dotazione infrastrutturale) a livello come si
riscontra nella letteratura−territoriale può essere effettuata sulla base di diversi−applicata in argomento degli ultimi dieci-quindici anni
approcci alternativi. Se si adotta il metodo dell’inventario permanente, il capitale pubblico viene calcolato come cumulata degli
investimenti in opere pubbliche al netto dei ritiri, dunque espresso in termini monetari (cfr., ad esempio, Picci, 2002); se si adotta il
metodo dell’inventario comune basato su dati di dotazione fisica, il capitale pubblico è il risultato di procedure di sintesi di indicatori
espressi in termini fisici (cfr., ad esempio, Di Palma e Mazziotta, 2002). Con riferimento ai risultati ottenuti con i due approcci
alternativi, per la verità molto diversi (Mazziotta, 2005), il lavoro intende verificare la presenza e l’intensità dell’autocorrelazione
spaziale, ossia dell’influenza della contiguità territoriale, sul livello di infrastrutturazione delle diverse aree del paese. È infatti verosimile
che si abbia un influsso rilevante della contiguità spaziale sul livello degli indicatori di dotazione infrastrutturale rilevati nelle ripartizioni
amministrative del territorio nazionale: in altri termini, sembrerebbe lecito attendersi che in aree contigue i livelli degli indicatori
infrastrutturali − siano esse province o regioni − siano più frequentemente concordi che discordi. 2. Approccio metodologico La verifica
dell’autocorrelazione spaziale condotta nel presente lavoro si articola in tre distinte, anche se connesse, questioni: i) accertare la presenza
del fenomeno con riferimento alla distribuzione territoriale del capitale pubblico e saggiarne la sensibilità al diverso grado possibile di
articolazione territoriale (ripartizioni, regioni, province); ii) verificare la diversa − fisico e monetario −intensità del fenomeno in funzione
dei diversi approcci che è possibile utilizzare per stimare la dotazione infrastrutturale a livello territorialmente disaggregato; iii)
evidenziare il contributo delle diverse unità territoriali considerate al livello, scarso o elevato, dell’autocorrelazione spaziale accertata.
Per la misura dell’autocorrelazione spaziale si fa ricorso principalmente all’indice di Moran (Moran, 1950, Cliff e Ord, 1973), di cui
vengono richiamate proprietà formali e modalità di applicazione, non escludendo peraltro di verificarne la robustezza sulla base di altri
indicatori. Viene inoltre utilizzata una misura di autocorrelazione spaziale a livello locale (ogni regione nei confronti delle regioni
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contigue), messa a punto da Anselin (1995), con lo scopo di quantificare il contributo di ciascuna area considerata al valore
dell’autocorrelazione globale.
Parole Chiave Capitale pubblico, autocorrelazione spaziale, regioni italiane.
Gli effetti territoriali degli incentivi alle imprese nel mezzogiorno
Marusca De Castris
Università degli Studi Roma Tre
Guido Pellegrini
Università degli Studi di Bologna
Sommario L’obiettivo del lavoro è analizzare come la presenza di incentivi agli investimenti abbia modificato la struttura settoriale,
dimensionale e tecnologica dei territori. Attraverso l’uso di appropriate tecniche econometriche rivolte all’analisi di dati spaziali, il
lavoro scinde le dinamiche spontanee dei territori da quelle attribuibili all’impatto delle politiche. L’analisi è rivolta all’impatto di due
principali strumenti di incentivazione di accumulazione privata di capitale sul territorio nelle regioni del Mezzogiorno, ovvero la legge
488/92 e i contratti di programma, nel periodo 1996-2001. Quest’ultimi sono finalizzati al sostegno di grandi progetti, promossi da grandi
imprese o gruppi industriali, gli altri invece sono un motore per gli investimenti prevalentemente di piccole e medie imprese. Studi
precedenti hanno verificato l’impatto positivo sui livelli occupazionali nelle aree dove esistono investimenti agevolati con tali strumenti
(Pellegrini, Carlucci, 2003; De Castris 2005) e inoltre è stata individuata una complementarietà sugli effetti indotti dai due strumenti
(Pellegrini, De Castris 2005). Non sono stati invece studiati gli effetti degli incentivi sul modello di localizzazione e diffusione delle
imprese sul territorio. L’ipotesi di fondo è che la concentrazione territoriale di più politiche di incentivazione favorisca l’aggregazione di
imprese, in modo tale da indurre esternalità positive nelle stesse aree. La metodologia di analisi utilizza indici di concentrazione
territoriale e indice di correlazione spaziale per misurare l’agglomerazione territoriale e la diffusione spaziale degli incentivi alle imprese
effettivamente erogati nel periodo in esame. Inoltre si tiene conto della presenza di possibili effetti di spill-over, positivi e negativi, tra
aree, mediante l’uso di tecniche econometriche spaziali. L’analisi richiede necessariamente l’uso di una griglia territoriale fine: lo studio
si è quindi basato sulla griglia definita dai sistemi locali del lavoro calcolati sulla base del censimento del 1991. Lo studio presentato
risulta innovativo rispetto alla letteratura valutativa su questo argomento per vari motivi: analizza l’impatto degli incentivi sui modelli
dinamici di diffusione locale dello sviluppo; considera contestualmente più strumenti di incentivazione, quali i contratti di programma e
gli incentivi ex legge 488 realizzati nelle regioni del Mezzogiorno; tiene conto dei possibili effetti di spillover spaziali tra aree
caratterizzate in base alle specificità settoriali e tecnologiche.
Parole Chiave Incentivi, sviluppo locale, agglomerazione di imprese, diffusione spaziale.
Reti Bayesiane per la gestione integrata del paesaggio: il caso Unesco/Diamantina
(Ferrara)
Mario De Grassi
Elena Gissi
Cristina Marziali
Berardo Naticchia
Università Politecnica delle Marche - DACS
Sommario L’articolo propone una metodologia di gestione integrata del paesaggio che utilizza come strumento di supporto un modello
basato sulle Reti Bayesiane. Tale metodologia è stata applicata al caso di studio della Diamantina, area situata vicino alla città di Ferrara,
dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità nel 1995, nell’ambito degli studi preliminari per il rinnovo del Piano Territoriale di
Coordinamento Provinciale di Ferrara. Le Reti Bayesiane sono modelli probabilistici di rappresentazione della realtà, che viene descritta
in maniera sistemica tramite legami causali fra variabili all’interno di una base di dati. In questo studio le dinamiche rilevanti del
territorio vengono rappresentate tramite variabili decisionali, variabili tecniche e parametri strategici, che confluiscono nella struttura
semantica delle Reti Bayesiane. Le trasformazioni del paesaggio vengono così integrate perché connesse tramite l’inferenza bayesiana fra
i nodi. L’algoritmo di apprendimento delle reti permette di verificare quantitativamente le relazioni ipotizzate. I modelli bayesiani sono
utili nell’analisi del rischio poiché offrono, rispetto ai modelli classici di simulazione o sovrapposizione di effetti, maggiori possibilità di
impiego dovute alla capacità di essere calcolati sia in senso diretto (forniti i valori delle variabili decisionali si ottengono i valori delle
variabili obiettivo) sia in senso inverso (forniti i valori delle variabili obiettivo si ottengono i probabili valori delle variabili decisionali
che consentono di ottenere tali obiettivi). I modelli fisico-percettivi delle dinamiche socio-economiche, infrastrutturali ed ambientali
proprie del territorio vengono costruiti tramite un processo di mediazione delle informazioni fra decisori pubblici, portatori d’interesse
(stakeholders) e sapere esperto. Infatti le reti permettono di organizzare in maniera dinamica e non deterministica la conoscenza del
territorio, favorendo la gestione di politiche integrate poiché il modello costituisce una piattaforma di discussione capace di simulare
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quantitativamente scenari rispetto ad ipotesi progettuali concertate. L’obiettivo specifico dello studio della Diamantina è quello di
indagare sulla portata dell’uso delle Reti Bayesiane come strumento di supporto nella gestione urbana e nella protezione del paesaggio, in
accordo con la Convenzione Europea sul Paesaggio (2000). Le politiche integrate di gestione del territorio sono ormai considerate come
indispensabili per favorire uno sviluppo sostenibile delle comunità umane. La sfida è quella di sviluppare una pratica metodologica
effettiva che consenta alle amministrazioni pubbliche di operare in ambito di decisioni multi-obiettivo, assicurando allo stesso tempo la
partecipazione attiva al processo decisionale di tutti i portatori di interesse. Si tratta quindi di implementare uno strumento di gestione
delle politiche del territorio. Su questa linea gli autori sviluppano inoltre delle tecniche che incoraggino e rendano possibile la piena
partecipazione degli stakeholders alla costruzione e gestione del modello di Rete Bayesiana del paesaggio. Si propone infatti una
procedura di coinvolgimento degli attori del territorio, che individua la metodologia per la costruzione del modello integrato, ne gestisce
e organizza le fasi, i tempi, gli strumenti e i campi di discussione. Il modello integrato di paesaggio costituisce quindi la base operativa
per la gestione della partecipazione collettiva al progetto di piano e alla successiva gestione dello stesso, perché permette di simulare gli
impatti di una dinamica o di una politica adottata considerando anche gli effetti secondari dovuti all’interrelazione tra i vari modelli.
Inoltre esso favorisce e supporta il processo di ‘visioning’ rispetto alle decisioni collettive, anche in fase di gestione per l’organizzazione
di politiche settoriali e strategie di protezione del patrimonio-paesaggio.
Parole Chiave Reti Bayesiane, gestione integrata, UNESCO, paesaggio.
PIL pro capite in standard di potere d’acquisto: un indicatore insufficiente per
l’obiettivo “convergenza”
Luigi De Iaco
Istat
Sommario Il presente lavoro s’inserisce nella vasta letteratura relativa agli indicatori sociali ed economici alternativi al PIL, ponendosi,
però, in un’ottica differente, al fine di colmare una lacuna nella stessa. Le critiche che vengono mosse al PIL come indicatore riguardano
il fatto che questo trascura molti aspetti della vita economica e sociale di fondamentale importanza, conteggiando solo le transazioni
monetarie e trascurando in gran parte i bisogni concreti degli individui: basta consultare il Sistema Europeo dei Conti 1995 (Sec95) per
accorgersi che nel Pil non sono compresi i lavori domestici ed i servizi personali se non prestati da personale dipendente (come ad
esempio il lavoro svolto dalle casalinghe, la cura dei bambini e degli anziani da parte dei familiari, ecc.), il valore del tempo libero speso
nelle attività creative, i servizi resi da volontari che non si concretizzino nella costruzione di beni, l’impatto ambientale della produzione,
sia dal punto di vista delle emissioni di sostanze nocive nell’ambiente, sia da quello dello sfruttamento delle risorse naturali. Nel Pil è
compreso anche l’enorme capitolo dell’economia sommersa, molto difficile da stimare, ma non è compresa l’attività illegale, nonostante
sia espressamente prevista dal Sec95 (Nell’attività illegale rientrano, per esempio, lo sfruttamento della prostituzione, la produzione e la
commercializzazione di droghe e così via: sia l’Italia che gli altri Paesi membri hanno deciso di non inglobare nel Pil questa particolare
porzione del sistema produttivo, nonostante il Sec95 lo preveda espressamente, a causa della attuale scarsa attendibilità e confrontabilità
internazionale dei dati). Inoltre, il Pil risulta essere un’espressione del volume complessivo d’affari, non discriminando tra transazioni
monetarie che effettivamente migliorano il benessere della collettività e quelle che invece lo riducono.
Generalmente la letteratura sull’argomento orienta la scelta degli indicatori alternativi al PIL tra quelli più adatti a rappresentare il
benessere della collettività, la crescita economica e la sostenibilità ambientale di un Paese, mentre in questo lavoro si vogliono costruire
degli indicatori che completino le informazioni fornite dal PIL pro capite in standard di potere d’acquisto che s’ispirino ai principi
fondamentali dell’Unione Europea. Da quanto risulta allo scrivente, non sono presenti in letteratura dei lavori in cui sono stati costruiti
degli indicatori compositi ispirati ai parametri dell’Agenda di Lisbona ed in cui sono state effettuate delle simulazione con i dati
disponibili sulla banca dati New Cronos di Eurostat: è proprio questo il contributo alla letteratura che si prefigge di fornire il presente
lavoro.
Parole Chiave Convergenza, indicatori socio-economici, crescita e sviluppo.
Grandi eventi e politiche ambientali: l ’eredità ambientale di Torino 2006 attraverso una
lettura trasversale dei rapporti periodici sull’ambiente
Domenico De Leonardis
Politecnico di Torino
Sommario I grandi eventi costituiscono un fattore di stimolo nei processi di sviluppo locale. Il contesto territoriale che ospita l’evento si
trova di fronte ad un acceleratore del cambiamento visto come passaggio necessario verso nuove declinazioni dello sviluppo. In questo
contesto le Olimpiadi invernali sono ritenute un evento unico del genere con forti ricadute sui sistemi locali ed ecologici particolarmente
fragili come quelli montani. In ambito olimpico, a partire dall’esperienza di Sydney fino ai giorni nostri, tuttavia, si è assistita ad una
crescente attenzione verso le tematiche ambientali. IL CIO ha elaborato una propria Agenda 21 Olimpica ed ha interiorizzato l’esperienza
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australiana facendo diventare la sostenibilità il terzo cerchio olimpico. Ogni città candidata ad ospitare i giochi olimpici attualmente deve
prevedere un proprio programma di interventi ambientali. In questo contesto è lo stesso territorio locale con i suoi attori e le sue politiche
territoriali a dare un suo contenuto specifico al concetto di sostenibilità dei Giochi. L’uso talvolta retorico del termine sostenibilità
tuttavia impone una verifica dei programmi e dei progetti contenuti nei dossier di candidatura. L’obiettivo di questo contributo è quello
di analizzare l’esperienza di Torino 2006 attraverso la lettura di diverse rappresentazioni territoriali ed ambientali. Il progetto di
sostenibilità dei Giochi di Torino 2006 si è caratterizzato per un approccio integrato ai problemi ambientali, rinunciando al meno in
partenza ad un approccio settoriale e di pura compensazione. Infatti l’esperienza torinese si è caratterizzata già dall’inizio per
l’applicazione nelle prime fasi del progetto olimpico della Valutazione Ambientale Strategica che ha rappresentato un elemento di novità
rispetto alle precedenti edizioni dei Giochi. L’adozione di questa metodologia ha permesso di superare in qualche modo la logica
settoriale e di mettere assieme un sistema di monitoraggio di tutto il progetto fino alla valutazione ex post al termine dei Giochi. Ad un
anno dai Giochi Invernali di Torino 2006 l’attenzione di molti attori sociali è rivolta al tema dell’eredità olimpica. Le analisi in atto sono
concentrate soprattutto sulle ricadute occupazionali, sociali ed economiche. In questo contesto si rischia di perdere l’occasione per
valutare se il territorio riesca a realizzare politiche di sostenibilità ambientale attraverso grandi progetti di trasformazione territoriale. Il
quadro informativo ambientale in questi anni si è evoluto ed arricchito in parte per volere degli organizzatori (si pensi al bilancio annuale
di sostenibilità del Toroc), in parte per interesse di alcuni attori istituzionali (ARPA, Politecnico), in parte per approcci volontari (Agenda
21 Locale) che erano avviati già prima dell’assegnazione dei Giochi e che hanno avuto un minimo di influenza, attraverso i loro
interlocutori chiave, nel definire alcuni aspetti del progetto olimpico. Anche il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) è intervenuto in
questo contesto, sia proponendo un proprio modello di monitoraggio e valutazione (OGGI), sia attraverso suggerimenti e integrazioni ai
processi avviati localmente. Il presente contributo intende analizzare le diverse esperienze di monitoraggio succitate al fine di avere un
quadro di sintesi delle problematicità e opportunità riscontrate, confrontando sia strumenti di lettura che hanno obiettivi istituzionali ed
informativi diversi, sia il ruolo e le percezioni di attori locali coinvolti a diverso titolo nell’allestimento dei Giochi.
Parole Chiave Grandi eventi, sviluppo sostenibile, eredità olimpica.
Un approccio metodologico integrato per l’implementazione di un piano di sviluppo
locale nell’ambito del Leader Plus in Calabria
Anna De Luca
Claudio Marcianò
Alfio Strano
Università Mediterranea di Reggio Calabria
Sommario Il Leader Plus rappresenta in ordine temporale la terza edizione dell’Iniziativa Comunitaria e, come le precedenti, si propone
di contribuire a generare nelle aree rurali dinamiche di sviluppo endogene e durature, puntando sui fattori competitivi specifici di ogni
area. Nel territorio calabrese la filosofia del Leader Plus si ispira ad uno sviluppo del territorio basato sull’integrazione delle tipologie di
progetto previste all’interno delle azioni, attorno al tema catalizzatore individuato dalle Regione Calabria per le diverse aree eleggibili
all’Iniziativa. In un precedente studio per la redazione di un Piano di Sviluppo Locale in Calabria è stata predisposta una metodologia di
pianificazione che utilizzando un modello di supporto alle decisioni ha facilitato il processo di convergenza delle scelte dei diversi
soggetti del partenariato verso una strategia di sviluppo condivisa (cfr. Calabrò et al. 2003a e b). La fase, attualmente in atto, di
implementazione del Piano mira al raggiungimento degli obiettivi definiti dalle attività di pianificazione attraverso la realizzazione nel
territorio di specifici progetti. Obiettivo di questo lavoro è quello di presentare nell’ambito dello stesso Piano di Sviluppo Locale un
percorso metodologico coerente con la filosofia di pianificazione e che contribuisca in questa seconda fase di implementazione ad una
concretizzazione degli obiettivi del Leader Plus. Per alcuni progetti da attivare nel territorio è prevista la pubblicazione di bandi di gara,
che devono essere approvati dalla autorità regionale, a cui partecipano i soggetti privati che operano nell’area Leader. Sulla base delle
recenti indicazioni della Commissione Europea appare sempre più evidente l’esigenza di fornire precise garanzie sulle modalità di
effettuazione delle selezioni e dei controlli in linea con le indicazioni contenute nei Regolamenti comunitari, sia sotto il profilo
dell’organizzazione delle strutture che sotto quello delle procedure operative. La finalità dello studio è quella di definire una metodologia
integrata di ausilio ai tecnici dei Gruppi di Azione Locale (GAL), ed un modello di valutazione che permetta di selezionare, in modo
trasparente, le proposte progettuali migliori da un punto di vista economico, ambientale e sociale. La metodologia prevede in una prima
fase, definita a livello tecnico e proseguita nei tavoli di concertazione, la costruzione di un set di criteri di valutazione. Segue la fase di
pesatura dei criteri svolta con l’ausilio di un modello di supporto alle decisioni di tipo interattivo, rivolto ai soggetti del Partenariato
Socio-economico, ovvero i soggetti politici, tecnici e le associazioni coinvolti nel processo decisionale. Successivamente, reperite le
domande di partecipazione ai bandi pubblici emessi dal Gruppo di Azione Locale, viene valutato l’insieme delle domande mediante un
modello multicriteriale discreto in cui i pesi dei criteri sono quelli derivati dai rappresentanti del partenariato nel tavolo di concertazione.
Il modello di valutazione multicriteriale si presenta versatile e trasparente ed il suo utilizzo ha efficacemente facilitato i lavori della
commissione di valutazione consentendo di allocare le risorse finanziarie in modo integrato, ovvero con il contributo dei membri del
partenariato, in linea con gli obiettivi prefissati in fase di pianificazione. La metodologia è stata applicata ad una specifica categoria di
progetti previsti dal PSL dell’area Leader Plus “Reggino Versante Tirrenico”, nell’ambito della Misura 1.2 “Innovazione e qualificazione
del sistema produttivo locale”. Nel futuro ci si pone l’obiettivo di trasferire il percorso metodologico delineato in questo studio,
nell’ambito di altri bandi pubblici che interesseranno il Gruppo di Azione Locale impegnato nella fase di implementazione del Piano di
Sviluppo Locale.
Parole Chiave Metodologie di valutazione multicriteriali, processi di sviluppo rurale, partenariato socio-economico.
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La misurabilità dei risultati dell’intervento pubblico: i numeri per valutare gli effetti
territoriali delle politiche
Simona De Luca
Federico Nusperli
Antonio Sferrazzo
Alessandra Tancredi
Mariella Volpe
Ministero Economia Finanze UVAL
Sommario L’analisi territoriale della spesa pubblica, possibile con un grado di attendibilità sempre maggiore, mostra come negli anni
recenti la spesa in conto capitale del Sud sia cresciuta in modo significativo. Si può inoltre osservare come la quota di tale spesa sia
superiore nel Sud rispetto alla rispettiva popolazione e ciò coerentemente con l’obiettivo di sviluppo dell’area, a parziale correttivo
all’andamento della spesa corrente, che contribuisce invece alla persistenza degli squilibri territoriali. Un’analisi più approfondita delle
componenti di tale spesa mostra tuttavia come la quota destinata a trasferimenti di capitale a imprese pubbliche e private rimanga assai
elevata contribuendo ad ampliare anziché ridurre lo squilibrio tra le due aree. La possibilità di misurare i risultati dell’intervento pubblico
e di valutarne gli effetti territoriali ha sostenuto e indirizzato alcune importanti scelte di policy: non soltanto sostenere e aumentare la
spesa in conto capitale al Sud ma concentrarla fortemente in investimenti pubblici che costituiscono la condizione per la riduzione del
gap infrastrutturale e l’organizzazione dei servizi ai cittadini e alle imprese. Sulla base del ricco set di informazioni reso disponibile dai
CPT (i Conti Pubblici Territoriali del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo, strumento finalizzato alla misurazione dei flussi
finanziari pubblici sul territorio), ci si propone di verificare tale interpretazione declinandola secondo numerose dimensioni. Sfruttando la
flessibilità dei CPT, il lavoro si propone di articolare i dati per regione, livello di governo, settore e categoria economica. Quest’ultima
dimensione sarà oggetto di uno specifico approfondimento per cogliere, al di là della definizione contabile di investimento diretto e
trasferimento a imprese e famiglie, l’effettivo significato economico dei flussi classificati in tali voci. Le elaborazioni che verranno
presentate consentiranno quindi di testare la tesi interpretativa proposta, verificandone la sensibilità ad esempio al variare del territorio
regionale considerato, del livello di governo coinvolto e del settore interessato. La disponibilità di dati tempestivi e la possibilità di
riferirsi ad un universo particolarmente ampio arricchiscono le analisi proposte, potendosi queste avvalere sia dei risultati dell’Indicatore
anticipatore dei CPT, uno strumento statistico che riduce il ritardo temporale a soli sei mesi, sia dei dati relativi alla componente allargata
del Settore Pubblico a livello centrale e locale, caratteristica distintiva dei dati CPT rispetto alle altre componenti del sistema delle
statistiche di finanza pubblica.
Parole Chiave Analisi territoriale, spesa pubblica, investimenti-trasferimenti, settore pubblico allargato.
Alla ricerca della progettazione integrata. profili teorici e riscontri empirici nel confronto
fra le esperienze della Campania e della Toscana
Mario De Pascale
Università degli studi di Siena - Facoltà di Economia
Sommario The purpose of this paper is to consider the idea of “integrated projecting” based on the analysis of two regional experiences
(the Italian regions Campania and Tuscany) in order to prove that, within the local development planning framework, and probably not
only there, different patterns of development should correspond to different purposes, methods and tools.
After a review of the main theoretical and cultural acquisitions in terms of local development and planning, with specific regard to the
literature about the territorial system of small business and to the so-called Nuovo Meridionalismo, an assessment grid for the two
experiences is provided.
The conclusion of the present work, starting from the results, is a critical opinion about the integrated projecting within the relevant
theoretical and cultural framework and proposes some directions for a methodological more correct and operationally more efficient
approach.
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“Club convergence” nelle regioni europee
Rita De Siano
Università degli Studi di Napoli “Partenope”
Marcella D’Uva
Università degli Studi di Napoli “l’Orientale”
Sommario Obiettivo di questo lavoro è testare l’ipotesi di “club convergence” applicando la nozione di convergenza stocastica di
Carlino and Mills (1993) a gruppi di regioni europee classificate in base ai livelli iniziali del PIL pro capite e di specializzazione
produttiva (De Siano, D’Uva, 2004). Per evitare problemi di distorsione nella selezione dei raggruppamenti abbiamo applicato una
tecnica innovativa, la regressione ad albero (Breiman, 1984 et al.), che seleziona endogenamente la variabili più significative al fine di
una ottimale identificazione dei gruppi. Numerosi contributi (Helg R. et al., 1995) hanno evidenziato l’importanza della similarità delle
strutture produttive nel determinare la natura e l’ampiezza delle risposte a shock esterni. In particolare, stressando il ruolo delle
esternalità dinamiche, recenti teorie (Romer, 1986, Lucas, 1988, Jacobs, 1969, Ottaviano e Puga, 1998, Brülhart, 1998) hanno
considerato l’influenza della localizzazione e della specializzazione dell’attività economica sulla crescita locale. Marshall (1980) e Porter
(1990), per esempio, evidenziano che la specializzazione geografica industriale favorendo gli spillovers intra- industriali, promuove
l’innovazione e la crescita economica. La nostra indagine è condotta in due step. Nella prima parte le regioni europee vengono
raggruppate mediante la tecnica di classificazione e regressione ad albero (CART) che fornisce partizioni binarie recursive mediante un
approccio non parametrico con l’obiettivo di costruire gruppi omogenei di regioni utilizzando come variabili “splitting” i regressori che
minimizzano l’“impurità” intra-gruppo. In questa analisi la regressione è condotta mediante il metodo dei minimi quadrati utilizzando
come variabile dipendente il tasso di crescita del PIL pro capite e gli indici di specializzazione come regressori. Nella seconda parte del
lavoro viene testata l’ipotesi di convergenza mediante un’analisi di serie storiche all’interno di ciascun gruppo identificato dall’analisi
CART. L’obiettivo è di indagare se il reddito pro capite di una regione converge verso la media del gruppo al quale appartiene. Se la
maggioranza delle regioni di un gruppo converge il gruppo può essere considerato un “club” di convergenza. L’analisi CART identifica
un albero di regressione con quattro nodi terminali (gruppi) di regioni europee caratterizzati da un comportamento omogeneo del tasso di
crescita del PIL pro capite e della specializzazione produttiva. I test sulla convergenza stocastica su ciascuno dei quattro raggruppamenti
evidenziano una convergenza “forte” tra le regioni europee più ricche ed un trend di convergenza “debole” tra i restanti gruppi,
confermando l’ipotesi di convergenza di Baumol (1986).
Parole Chiave Club convergence, regional specialization, classification and regression tree analysis.
Sistemi d’impresa e dinamiche manifatturiere: processi di riassetto del sistema
produttivo nella provincia di Torino
Vincenzo Demetrio
Politecnico di Torino - Dipartimento Interateneo Territorio
Sommario La formulazione di qualsivoglia considerazione relativa alla competitività di un sistema produttivo (provinciale, regionale in
senso lato) e ai processi di riassetto che lo caratterizzano, nell’era della tendenziale globalizzazione delle relazioni economiche e sociali,
non può prescindere da un’attenta valutazione delle capacità di quest’ultimo di imprimere un’identità ai prodotti che propone,
differenziandoli da quelli dei concorrenti, e di coordinare produttori, acquirenti, istituzioni e altri attori locali. La sfida è pertanto,
parzialmente, di natura organizzativa, involgente gli attori e la loro capacità di azione e comunicazione. Si tratta di una dimensione
dell’agire economico la cui affermazione va di pari passo con la presa d’atto dell’incapacità della teoria economica tradizionale (tuttora
dominante) di includere l’azione dei soggetti in un universo logico che non può emanciparsi se non si cessa di separare la dimensione
economica dalle altre dimensioni, le quali sono storicamente e territorialmente specifiche. Nonostante la nutrita presenza di studi
orientati all’approfondimento di segmenti più o meno ampi del sistema produttivo, continua a mancare un esauriente interpretazione
sistemica che evidenzi per il Torinese (assumendo con questa accezione l’area provinciale in senso lato) non soltanto le risorse specifiche
e non trasferibili dell’area che, entro un contesto internazionale, incrementano la capacità competitiva delle imprese co-localizzate, ma
soprattutto la natura e la forza dei legami che intercorrono tra gli attori presenti sul territorio. L’obiettivo (necessariamente limitato) che
ci si pone in questa prima fase del lavoro è la comprensione delle caratteristiche del sistema veicolistica attraverso la ricostruzione delle
relazioni interne ed esterne che lo caratterizzano. In particolare, attraverso la somministrazione di circa 200 questionari a imprese del
settore, si cercherà da un lato di chiarire il ruolo giocato da Fiat all’interno del sistema e dall’altro di comprendere la natura dei rapporti
di questo con altri sistemi di creazione del valore quali ad esempio beni strumentali, design e progettazione, I.C.T., ecc. che possono
rappresentare un utile supporto, grazie alla loro capacità di indurre processi identificazione, innovazione e riqualificazione. La scelta di
concentrarsi sulla veicolistica nonostante la progressiva perdita di centralità nel comparto della produzione auto è legata alla convinzione
che la provincia di Torino continui a essere una delle poche aree in cui esiste una pluralità di aziende in grado di fornire con elevati
standard qualitativi e con una buona variabilità dell’offerta, tutti i prodotti, le competenze e le professionalità per ideare e produrre
un’auto o le sue componenti. In sintesi, la vocazione veicolistica della provincia è tutt’oggi molto forte, nonostante lo spostamento della
centralità del sistema dalla produzione dell’auto alla produzione di componenti. Nell’approfondimento qualitativo, come dimostrato
dall’utilizzo del concetto di sistema anziché delle più restrittive immagini di cluster, aggregato o filiera, l’attenzione non si rivolgerà alle
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sole relazioni funzionali fra imprese appartenenti alla stessa industria, ma all’insieme delle relazioni su cui si fonda la competitività di un
territorio. Si tratterà di conseguenza di cercare di esaminare non soltanto i rapporti di fornitura, ma tutte quelle relazioni su cui poggiano i
processi di trasmissione e circolazione dell’innovazione e della conoscenza.
Parole Chiave Conoscenza, innovazione, tradizione, competitività.
La diffusione territoriale della grande distribuzione commerciale in Italia: un’analisi
econometrica del ruolo dell’accessibilità e della prossimità
Valter Di Giacinto
Banca d’Italia
Giorgio Nuzzo
Banca d’Italia - Filiale dell’Aquila
Sommario Il lavoro di ricerca mira a spiegare il diverso grado di sviluppo locale della grande distribuzione in relazione alle differenze
esistenti a livello di reddito pro-capite e dotazione infrastrutturale, ponendo inoltre l’attenzione sul problema dell’accessibilità. La
domanda potenzialmente servibile da un punto vendita, a parità di altre condizioni, aumenta all’aumentare della facilità con cui gli
individui possono spostarsi sul territorio. Questa a sua volta è stata ricondotta a tre determinanti, di cui due con effetto positivo
(dotazione di infrastrutture e di autoveicoli) e una con effetto negativo (congestione del traffico). Al fine di condurre l’analisi empirica i
tre fattori sopra elencati sono stati quantificati mediante degli indicatori costruiti sulla base delle statistiche disponibili a livello
provinciale. In particolare la disponibilità di mezzi di trasporto è misurata dal rapporto tra numero di autoveicoli e popolazione residente,
sulla base dell’assunzione che l’autovettura costituisca il mezzo di trasporto prevalentemente utilizzato dalla clientela dei grandi esercizi
commerciali. In assenza di rilevazioni dirette, il tempo di spostamento viene colto mediante in indicatore di congestione costruito dal
rapporto tra totale dei veicoli circolanti e superficie complessiva della provincia. Rispetto alla dotazione di infrastrutture ad un semplice
indicatore riferito ai chilometri di strade e autostrade è stato preferito l’utilizzo dell’indicatore composito di infrastrutturazione compilato
dall’istituto Tagliacarne. Questo consente, infatti, da un lato di tenere conto dello sviluppo di modalità di trasporto alternative a quelle
stradali, che possono contribuire a decongestionare il traffico su gomma, migliorando quindi l’accessibilità dei punti vendita. Da un altro
lato tale indicatore coglie l’incentivo alla localizzazione di grandi esercizi derivante, come sopra accennato, dal contenimento dei costi di
impianto e di gestione. L’analisi viene condotta su dati provinciali riferiti all’anno 2003 e la diffusione della grande distribuzione viene
misurata in base all’ammontare delle superfici di vendita, rapportato alla popolazione al fine di rendere confrontabili i dati tra aree di
diversa dimensione demografica. Nell’analisi condotta gli effetti di ‘contagio’ dalle aree contigue sono colti mediante l’inserimento, tra
le variabili esplicative, del grado di sviluppo della grande distribuzione nelle province confinanti. In sintesi, il modello utilizzato, che
utilizza anche tecniche di econometria spaziale, consente di dare conto del notevole divario nella diffusione degli esercizi della grande
distribuzione esistente tra Mezzogiorno e resto del Paese.
Parole Chiave Grande distribuzione, accessibilità, prossimità, localizzazione.
Gli scambi agroalimentari tra i paesi del Mediterraneo: struttura e prospettive nel
contesto del partenariato euromediterraneo
Donatella Di Gregorio
Università degli Studi di Reggio Calabria
Palma Parisi
Università degli Studi di Catania
Sommario L’area Mediterranea riveste un’importanza strategica per l’Unione Europea sia dal punto di vista geografico che economico e
politico.
La Conferenza Intergovernativa Euromediterranea di Barcellona del 1995, attraverso il progetto di creazione di un partenariato EuroMediterraneo, ha segnato l’avvio di una fase di collaborazione tra l’Unione Europea e i Paesi Terzi Mediterranei (PTM) a riprova della
particolare rilevanza che questi ultimi rivestono nell’assicurare condizioni di stabilità e pace nell’intera area mediterranea.
L’adesione dei PTM all’iniziativa lanciata dall’Unione Europea di costituire un’area di libero scambio entro il 2010 mediante accordi di
associazione volti alla liberalizzazione progressiva e reciproca degli scambi dei prodotti agricoli pur nel rispetto delle norme poste
dall’Organizzazione Mondiale per il Commercio, può rappresentare, per tali Paesi, una opportunità per colmare il divario che li separa da
un armonico inserimento nel quadro economico europeo. In questo scenario, diviene ipotizzabile anche il ricorso ad investitori stranieri i
cui capitali potrebbero incrementare il grado e il tipo di specializzazione economica che, nei PTM, assumono le caratteristiche tipiche dei
sistemi economici immaturi, in cui risorse primarie e beni manufatti a basso valore aggiunto costituiscono le principali voci di
esportazioni e contribuiscono, solo in parte, a compensare il volume delle importazioni.
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L’analisi in oggetto, nel sintetizzare le fasi attraverso le quali si è giunti all’adozione di politiche finalizzate alla stabilità economica e
politica nell’area mediterranea, delinea il quadro degli accordi in atto e pone attenzione alla disponibilità e all’utilizzazione delle risorse
economiche fruibili attraverso lo strumento finanziario appositamente istituito per supportare il processo di transizione di tali Paesi
(programma MEDA). Viene inoltre rilevata la fondamentale significatività del contributo del settore agricolo nei PTM nel contesto
economico e sociale ai fini della formazione del prodotto interno lordo e dell’occupazione.
Infine, si procede ad una analisi dei flussi commerciali tra i paesi mediterranei delle due sponde, per principali gruppi merceologici di
prodotti agroalimentari. A questo proposito va sottolineato che gli scambi tra UE e PTM sono consistenti: l’Europa assorbe circa il 51%
delle esportazioni dei PTM e fornisce loro il 53% delle importazioni. Nel settore agricolo lo scambio tra UE e PTM interessa, in termini
complessivi, quasi il 7% delle importazioni dell’Unione Europea mentre oltre l’8% delle esportazioni europee vengono destinate ai PTM.
In ordine di valore Francia, Germania e Italia costituiscono i maggiori e tradizionali partners dei degli stessi infatti insieme intercettano e
trattano quasi i due terzi dell’intero commercio tra Unione Europea e PTM. L’Italia è, dopo la Grecia, tra i paesi dell’Unione che
destinano la quota maggiore delle loro esportazioni ai PTM, e, nel contempo, anche il paese in cui le importazioni provenienti da detti
Paesi raggiungono le quote più elevate.
Per il Mezzogiorno l’operatività dell’area di libero scambio potrebbe costituire la naturale premessa per una intensificazione dei rapporti
tra le due sponde non solo per la vicinanza geografica, ma anche per le affinità culturali e produttive che, in ambito agricolo, risultano
ancor più rilevanti che negli altri settori produttivi.
Parole Chiave Partnership, euromediterranea, scambi, agroalimentari.
Valutazioni e conoscenze, razionalità parziali e prassi condivise
Donato Di Ludovico
Università degli Studi dell’Aquila
Pierluigi Properzi
Università degli Studi dell’Aquila - Dipartimento di Architettura e Urbanistica
Sommario Il tema della valutazione, entrato a far parte del vocabolario degli urbanisti nel 1985 con la Valutazione di Impatto
Ambientale, oggi sta diventando sempre più centrale, sia perché ad esse si sono affiancate la Valutazione d’Incidenza e la Valutazione
Ambientale Strategica, e sia per il rapporto fra i medesimi atti di valutazione e gli atti di verifica di compatibilità prevista da alcune Leggi
Urbanistiche Regionali. In tal senso la questione da affrontare riguarda, anzitutto, la negativa parzialità dei processi di costruzione della
conoscenza per le diverse valutazioni, ma anche la positiva separazione strumentale e concettuale dai progetti di sviluppo. La conoscenza
viene oggi costruita ad hoc, montata ad arte attorno all’argomento che deve essere valutato; la conoscenza non parte da una base
condivisa e spesso viene interpretata a ritroso (come per la VIA). Per il caso della VAS, ad esempio, viene raccomandato, in presenza di
un sistema di pianificazione gerarchico, di evitare la duplicazione delle analisi, anche se la valutazione di un piano locale fa riferimento
ad informazioni molto più dettagliate (e quindi da dettagliare rispetto a quelle dei piani sovraordinati) e dunque da reperire con modalità
diverse. Altra questione riguarda l’ambito di riferimento della valutazione. In special modo per la VAS, non si prevede un’unità minima
per la valutazione ma ci si riferisce ad un’area geografia degli effetti. Il sistema di indicatori viene costruito per la valutazione del relativo
piano o programma senza tener conto delle interazioni sull’ambiente o il paesaggio intesi nella loro complessità (ad esempio l’unità di
riferimento potrebbe essere l’unità paesistica). Tale atteggiamento è ancor più evidente per la VIA mentre la VI pone, quale unità di
riferimento per la valutazione, il Sito di Interesse Comunitario quale che sia la sua dimensione. Infine, una ultima questione riguarda il
mutuo rapporto fra le valutazioni (ad esempio valutazioni diverse su stessi oggetti) e il rapporto delle medesime con le verifiche di
compatibilità ambientale, cioè con verifiche fra piani, programmi e progetti di sviluppo con le caratteristiche territoriali, ambientali e
paesaggistiche. In tal caso, in una eventualità non remota, ci si trova di fronte ad una sovrapposizione di strumenti che potrebbero
riguardare lo stesso oggetto con letture simili ma fonti di conoscenza diverse. Una soluzione possibile è quella di partire, per tutti gli atti
di valutazione, da una base conoscitiva condivisa, che si occupi di tutto il territorio, che definisca e legga coerentemente le sue
caratteristiche e ne memorizzi le capacità. Una base conoscitiva che introduca già una prima valutazione dello stato del territorio, della
pressione e della performance delle sue strutture, costruita a monte di ogni atto di valutazione o di verifica. In questo modo valutazioni e
verifiche trovano un momento comune iniziale non negoziabile. Un esempio di base conoscitiva con tali caratteristiche è, ad esempio, la
Carta Regionale dei Suoli definita nella LR 23/99 della Basilicata; ma ancor più aderente è la proponenda Carta dei Luoghi e dei
Paesaggi del DDLUR Abruzzo, la quale, nel senso fin qui discusso, ha il duplice scopo di essere quadro delle conoscenze e carta delle
garanzie per uno sviluppo (attraverso la valutazione della sua trasformabilità) razionale e compatibile del territorio. Questo cambia molto
la prospettiva della valutazione stessa.
Parole Chiave Conoscenza, valutazione, indicatori, carta.
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Riqualificazione estetica della città: il ruolo delle Greenways
Melissa Duello
Maurizio Spina
Università degli Studi di Catania - Facoltà di Ingegneria - Dipartimento di architettura e Urbanistica
Sommario Il concetto di riqualificazione “estetica” della città appartiene, oggi, agli obiettivi prioritari dell’azione pianificatoria; in realtà
si tratta di un tema che, nel tempo, ha conosciuto fasi alterne soprattutto nei periodi di cambiamento sociale e produttivo in cui
l’attenzione veniva indirizzata verso problematiche più vicine ad una idea di “funzionalità”. Per questo motivo, nel formulare ipotesi sul
rapporto verde-estetica per una applicazione alla città contemporanea, da un punto di vista metodologico, non si può prescindere da una
analisi delle vicende urbanistiche che conducono ai giorni nostri. Ricostruire, sinteticamente, l’evoluzione storica della cultura del
“verde” significa, infatti, rileggere la storia dell’urbanistica ed incrociarne il contenuto “estetico” e le sue modificazioni. Oggi l’estetica,
la bellezza, a cui i processi di riqualificazione urbana aspirano, anche attraverso la progettazione del verde, è divenuta una scelta
obbligata ed è in grado di produrre risparmi nei tempi lunghi e ricchezza economica alternativa. Il verde urbano, o meglio il verde
territoriale, deve rappresentare i bisogni e le aspettative anche figurative che la società richiede, deve cioè corrispondere ai desiderata
degli abitanti, riaffermando specificità e caratteristiche che li coinvolgano non solo sotto l’aspetto emozionale ma anche per ciò che
riguarda la gestione degli equilibri ecologici per il controllo e lo sviluppo sostenibile della città e del territorio. Le attitudini artistiche e
scientifico-culturali, che si sono registrate nel corso dei secoli, corrispondono ai diversi modi di intendere il rapporto uomo-ambiente ma
la loro applicazione deve sempre derivare dalle problematiche specifiche e quindi attribuire all’elemento vegetale di volta in volta il
ruolo: di “rinnovamento urbano”, come nel caso di Barcellona; di “identità a luoghi di nuova trasformazione” ai margini della città, come
nel caso francese; di “connessione fra ambiente urbano rurale ed agrario”, come nei casi britannici che hanno consolidato già nel secolo
precedente il concetto di parco paesaggistico. Esistono diverse opportunità d’intervento in ambito territoriale ed urbano per zone e “vie
verdi” (greenways); possono essere ideate sulle emergenze morfologiche quali corsi d’acqua, linee di crinali, valli ecc., o su quelle
antropiche ad esempio in aree industriali dismesse, vecchi tracciati ferroviari, zone di vincolo o di rispetto di strade ed autostrade ecc.;
come nel caso di Pescara, dove il vecchio tracciato ferroviario dismesso è stato oggetto di riconversione in una “Via verde” che attraversa
in lunghezza la città, possono essere elementi di connessione, riqualificazione e nuova organizzazione di carattere urbano e territoriale.
E’ rilevante l’opportunità che le “vie verdi” offrono alle amministrazioni nel rispondere alla domanda dei cittadini, infatti con un impiego
di risorse relativamente modesto e con investimenti minimi, soprattutto quando le aree sono già proprietà delle amministrazioni
pubbliche, si possono acquisire e sistemare gli spazi aperti destinati ad esse. In particolare nelle periferie, dove è più semplice e meno
oneroso il reperimento di spazi aperti e/o lineari si deve intervenire, anche perché una delle caratteristiche intrinseche della via verde è
quella di svolgersi in lunghezza e quindi avere in sé la possibilità di connettere piccoli centri con aree metropolitane, periferie e
campagne, quartieri urbani tra loro, e assumere il ruolo di relazionare la gente al tessuto urbano e contemporaneamente divenire
strutturante per una rete degli spazi aperti.
Parole Chiave Riqualificazione, estetica, Greenways, sostenibilità.
I sistemi turistici a base territoriale: il caso del Monferrato
Enrico Ercole
Università del Piemonte Orientale - Dipartimento Ricerca Sociale
Sommario La legge 135/2000 ha introdotto modifiche di rilievo nell’approccio normativo al turismo che viene visto, in modo
innovativo, come sistema integrato locale. All’articolo 5 i sistemi turistici locali sono infatti definiti come “contesti turistici omogenei o
integrati, comprendenti ambiti territoriali appartenenti anche a regioni diverse, caratterizzati dall’offerta integrata di beni culturali,
ambientali e attrazioni turistiche, compresi i prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato locale, o dalla presenza diffusa di imprese
turistiche singole o associate”. L’innovazione contenuta nel testo di legge riguarda, da una parte, la rilevanza data alle realtà locali, il cui
ritaglio territoriale può superare i tradizionali contesti amministrativi, anche regionali. Dall’altra parte, è importante l’ampiezza di
opportunità legata al termine “sistema”, del quale fanno parte elementi esterni al settore turistico tout court, quali i beni culturali e
ambientali, i prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato locale. Al di là delle varie, e talora differenti, implementazioni della legge
nelle specifiche realtà regionali (relative alla natura giuridica dei sistemi turistici locali e alla determinazione degli elementi
indentificatori dei sistemi turistici locali) la legge, più in generale, prende atto delle trasformazioni avvenute nel comparto turistico, e
segnala agli operatori, pubblici e privati, del settore un orizzonte cognitivo ed operativo. In primo luogo l’elasticizzazione dei confini
territoriali che mette in crisi i modelli gerarchici tradizionali. In secondo luogo la relazione tra dimensione locale e globale: il sistema
turistico a base territoriale è espressione delle capacità organizzative e cooperative degli attori locali e della loro capacità di competere
sul mercato globale delle destinazioni turistiche. In terzo luogo la dimensione intenzionale e strategica dell’operare degli attori del
sistema locale. Questo approccio ha delle ripercussioni sul marketing turistico. Fino ad ora ci si è concentrati sulla “vendita” di un
prodotto in gran parte controllato da terzi. Per questa ragione era maggiormente concentrato sulle strategie e tecniche di comunicazione,
mentre minore attenzione era invece dedicata alla costruzione del prodotto. Viene inoltre focalizzata l’importanza della dimensione
intenzionale e strategica, particolarmente importante in un settore caratterizzato dalla presenza di un numero elevato di operatori di
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dimensioni non grandi. Le riflessioni sopra sintetizzate serviranno come base per l’analisi di un caso concreto: quello del Monferrato,
zona a cavallo tra le province di Alessandria ed Asti, caratterizzata da un mix di turismo culturale, enogastronomico e ambientale.
Parole Chiave Turismo, sviluppo locale, sistemi turistici locali.
La etnodiversità nell’Europa mediterranea: dalla deindustrializzazione alla città
interetnica
Gabriella Esposito
CNR
Sommario L’attuale scenario geopolitico, che si evolve velocemente all’insegna della globalizzazione dei fenomeni economicofinanziari prima e socio-culturali poi, è caratterizzato da una progressiva deindustrializzazione dei paesi tecnologicamente più avanzati nei quali si delinea una società a carattere urbano, erogatrice di servizi e teatro di scambi - a favore delle economie emergenti - nelle quali
si sta diffondendo una sempre maggiore capacità di ideazione e sviluppo. Tra le molteplici implicazioni del processo in atto, si
incominciano a vedere i primi effetti negativi, nel settore produttivo e occupazionale, così come sugli aspetti urbanistici, di politiche poco
lungimiranti, incapaci di interpretare le istanze di cambiamento. Di fatto, non si è saputo opporre un modello di sviluppo alternativo a
quello, declinato, dell’industrializzazione, che ha lasciato ferite, forse indelebili, sul territorio. In Italia, l’innovazione tecnologica nel
settore infotelematico, che si indicava quale alternativa alla dismissione dell’industria pesante, non ha ancora determinato gli effetti
sperati e, mentre la produzione in tutti i settori strategici è gradualmente scomparsa, il territorio ha incrementato esponenzialmente la
propria complessità per la dinamicità delle interazioni funzionali. Come sovente è avvenuto nelle svolte epocali del progresso scientificotecnologico, infatti, la permeabilità della comunicazione non ha ancora sortito gli sperati effetti nel governo della domanda a scala urbana
e territoriale né nella riorganizzazione funzionale e fisica dell’ambiente antropizzato. La Regione Mediterranea, anch’essa teatro di
mutamenti endogeni - quali la dismissione produttiva, la terziarizzazione, la diffusione insediativa, ecc. - presenta alcune peculiarità
rispetto allo scenario globale. In tale ambito, storicamente interessato da dinamiche “viscose” dei flussi migratori, si estremizzano
sinergie e conflittualità culturali, religiose, economiche, … delineando una compagine demografica assai diversa da quella attuale. La
radicale modificazione di offerta (risorse umane) e domanda (servizi) che si sta determinando per effetto di tali fenomeni darà luogo ad
una città diversa, nella quale la etnodiversità può rappresentare una risorsa per l’arricchimento culturale e per il rilancio di una economia
stagnante ma, nel contempo, costituisce un fattore di ulteriore complessificazione del territorio. Una società postindustriale e multietnica
richiede un modello gestionale che, in una logica sistemica, introduca nuova linfa nello scenario di dismissione e recessione. Il nodo
gordiano può essere sciolto “disegnando” un territorio, nel quale la trasformazione non sia casuale né governata da una logica additiva e
meramente votata al consumo di risorse materiali ed immateriali prodotte altrove. Ciò assume un carattere estremo in quelle realtà nelle
quali si registra una notevole accelerazione dei fenomeni in atto, di disagio sociale e di tensioni etniche. Sono molteplici i casi di
politiche che affrontano il tema esclusivamente in termini quantitativi, mediante l’incremento dell’offerta alloggiativi, generando nuove
forme di segregazione. In generale, le comunità immigrate sono vincolate, nelle proprie scelte localizzative, da molteplici fattori, tra i
quali domina quello economico; esse si innestano sovente nelle aree del degrado urbano, laddove è più facile accedere all’alloggio.
L’incontro tra etnie avviene, quindi, in un tessuto sociale in profonda crisi d’identità, esasperandone i problemi e le emergenze, quali
marginalità e disgregazione sociale, macro e microcriminalità, disoccupazione, sottoccupazione e lavoro “informale”, degr ado
ambientale e insediativo, evasione scolastica e povertà diffusa. Obiettivo del lavoro è offrire un contributo alla costruzione di una città
interetnica; partendo dall’indagine delle politiche orientate alla segregazione o all’integrazione etnica - poste in essere nelle aree del
bacino mediterraneo nelle quali il fenomeno migratorio appare consolidato - si indaga il rapporto tra le dinamiche e permanenze dei
flussi migratori nell’Area Metropolitana di Napoli e lo scenario del degrado urbano e della dismissione produttiva. La programmazione
straordinaria, che da decenni affronta i temi delle periferie, ormai consolidate, delle aree metropolitane italiane, offre gli elementi chiave
per la creazione di un nuovo modello di sviluppo orientato all’integrazione etnica.
Parole Chiave Interetnia, dismissione produttiva, degrado urbano, periferie.
Aree protette, parchi e i nuovi strumenti tra necessità e i nnovazioni tecnico-strumentali
Celestina Fazia
Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria - Dipartimento SAT
Sommario Contenuti e finalità. Il saggio è la presentazione di alcuni risultati della ricerca svolta dalla sottoscritta nell’anno in corso,
nell’ambito dell’assegno di ricerca “Governance in ambiti complessi, parchi, aree protette e politiche di sviluppo”. I contenuti del
contributo proposto saranno finalizzati a far emergere le implicazioni tecnico/strumentali: -dei rapporti tra politiche urbane e territoriali e
la nuova morfotipologia sociale; -dei rapporti con le strategie di sviluppo legate alla programmazione, gli articolati previsti dagli Stati
Membri e i nuovi istituti introdotti da Agenda XXI; -delle nuove strategie di gestione tra forme e modalità d’intervento. L’introduzione e
la definizione degli apparati di regolamentazione delle strategie, finalizzati al rafforzamento delle separazioni tra la funzione “alta di
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coordinamento e di scelte politiche”, e quella “discrezionale” degli enti locali e di “intreccio” con l’attività gestionale della pubblica
amministrazione, gli aggiustamenti legislativi e nuovi indirizzi per la competitività locale, sono temi che rappresentano una costante nella
struttura del saggio. Struttura del contributo. Elementi d’innovazione e cambiamenti introdotti dal corpus legislativo recente, nelle forme
e nella struttura degli strumenti di pianificazione, e i nuovi modelli organizzativi per la governance interistituzionale sono aspetti che
vengono affrontati nella prima parte del contributo. Il saggio presenterà nella seconda parte alcune considerazioni su possibili approcci e
nuovi modelli comportamentali definiti rispetto ad una casistica di buone pratiche e in riferimento: -alla semplificazione procedurale e
alla velocizzazione dell’iter amministrativo (attuabile attraverso strumenti esecutivi); -alla qualità, l’efficienza procedurale e la capacità
amministrativa. Rispetto a questo percorso investigativo gli ambiti complessi, i parchi e le aree protette, diventano le “occasioni”
irrinunciabili rispetto alle quali testare le nuove modalità d’approccio, auspicate a Durban, per la governance multilivello. Capacità
istituzionale, attivazione di politiche di sviluppo per la competitività locale, per la valorizzazione e la tutela degli ambiti caratterizzati da
un elevato grado di “specialità”, sono temi affrontati a chiusura della tesi. Si farà riferimento ad un caso-studio, il Parco
dell’Aspromonte, significativo di un particolare contesto economico, in uno scenario normativo nuovo dettato dalla Lur della Calabria. Si
analizzeranno contenuti innovativi di strumenti quali il Piano Pluriennale di Sviluppo Socioeconomico e gli orientamenti legislativi
emergenti rispetto alle nuove Linee guida della LUR Calabria deliberate dalla giunta regionale l’11/1/2005.
Parole Chiave Aree, protette.
I grandi progetti di restauro come occasione di sviluppo: il caso della “città dei giovani ”
nell’eco-edificio Real Albergo dei Poveri a Napoli
Carmela Fedele
Comune di Napoli - Ufficio progetto recupero del Real Albergo dei Poveri
Sommario Il Real Albergo dei Poveri -monumento unico per impianto architettonico, dimensione e articolazione volumetrica,
caratterizzato da ambienti di grandi dimensioni, manomesso e trasformato nella sua storia d’uso, danneggiato in seguito al sisma dell’80
e oggi in corso di restauro- costituisce per forma e dimensione, esempio ineguagliabile della magnificenza civile del 1700. L’ambizioso
progetto iniziato nel 1751 non ebbe però mai conclusione; pur nella sua vastità, infatti, l’edificio è incompiuto essendo realizzati i tre
quinti dell’impianto planimetrico e circa i due quinti dell’impianto volumetrico. Gli studi di fattibilità compiuti, soprattutto sugli aspetti
tecnici ed economico-finanziari, unitamente agli interventi in corso e alla conoscenza del monumento oramai acquisita, rappresentano
utili strumenti di supporto alla decisone politico amministrativa sulla destinazione d’uso del monumento. Decisione che non può ignorare
il tema della conservazione e valorizzazione del monumento, la vocazione originaria del sito, i programmi di riqualificazione urbana in
corso, l’attenzione dell’Amministrazione ai temi dell’accoglienza e dell’ospitalità. Per il riuso di un grande edificio occorre un progetto
ambizioso che sia capace di valorizzare il contenitore ed essere valorizzato dal contenitore. Occorre un progetto che possa essere
realizzato anche per fasi, che possa avere una regia unica (con controllo pubblico) e vedere, nel contempo, coinvolti più soggetti pubblici
e privati riuniti per realizzare un progetto unitario. La scelta di riuso è la realizzazione della “Città dei Giovani” all’interno del progetto
di recupero del Real Albergo dei Poveri. L’Amministrazione intende, con questa scelta, favorire il pieno sviluppo della personalità dei
giovani sul piano culturale e sociale, offrendo, in un unico contenitore, servizi e informazioni, spazi evento, luoghi per il tempo libero e
la cultura, spazi per l’ospitalità e l’accoglienza. L’Amministrazione intende, nel contempo, valorizzare e rivitalizzare il monumento che,
restaurato, sarà destinato ad essere vissuto ed animato in ognuna delle sue infinite stanze (oltre 430 ambienti mediamente di grandi
dimensioni) e in ogni metro quadro dei 100.000 mq. Si tratta di un progetto ambizioso da realizzare in un luogo unico. Al confronto le
poche esperienze italiane e straniere che oggi si propongono di valorizzare il mondo dei giovani hanno dimensione decisamente minore.
Il nuovo ruolo dell’edificio non potrà che dare nuovo significato al monumento: da luogo di ospitalità forzata a luogo di creazione e di
accoglienza, diretto ad intercettare le esigenze dei giovani, con l’ambizione di divenire un laboratorio e un incubatore di idee per la città.
Non può essere ignorata, infine, la localizzazione strategica della Città dei Giovani, la sua prossimità con la rete ferroviaria nazionale e il
nodo aeroportuale di Capodichino e i progetti di completamento della rete metropolitana che inserirà piazza Carlo III nel sistema dei
collegamenti urbani veloci. La piazza innanzi al monumento, infatti sarà attraversata dalla futura Linea 10, così come previsto dal Piano
delle 100 Stazioni nello scenario al 2011 (Comune di Napoli, 2004); tale linea partirà dal nodo di interscambio del Museo-Piazza Cavour,
attraverserà piazza Carlo III e si interscambierà con la Linea 1 in prossimità dell’Aeroporto di Capodichino.
Parole Chiave Restauro, sviluppo, giovani, Napoli.
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Banca dati comunale: archivio e strumento per l ’analisi del territorio
Michele Ferrara
Istat
Sommario La centralità della conoscenza del territorio nella programmazione delle politiche di sviluppo locale ha attivato una domanda
di dati ad un livello territoriale sempre più dettagliato da parte di tutti gli organismi istituzionali e non, coinvolti a diverso titolo in tali
problematiche. I processi di sviluppo territoriale, nella maggior parte dei casi, agiscono su aree che non coincidono con i confini
amministrativi, e quindi l’esigenza di informazioni su territori che sconfinano le zone circoscritte nei poligoni definiti a livello
istituzionale (Regione, Provincia, Comune) è sempre più forte. Particolari aggregazioni territoriali e specifiche caratteristiche del
territorio, sono necessarie quindi per l’identificazione di nuove aree di riferimento, direttamente legate alla programmazione per lo
sviluppo locale, per un informazione statistica secondo specifici livelli di aggregazione che supporti le attività di ricerca e di valutazione.
In questo quadro si inserisce il progetto di un modello di banca dati che prevede: la possibilità di individuare delle aggregazioni
territoriali funzionali a tali tematiche; la realizzazione di un corredo di metadati che permetta la comparabilità e la riproducibilità degli
indicatori contenuti nella base di dati; un modulo cartografico per la rappresentazione grafica del territorio a supporto dell’analisi dei
dati; una maschera di interfaccia che permette di importare dati esterni e agganciarli ai dati contenuti nella banca dati. Gli archivi
contengono dati censuari (Industria, Popolazione, Agricoltura), dati amministrativi, e stime per Sistema Locale del Lavoro.
Parole Chiave Analisi del territorio, banche dati, modelli.
Specializzazione produttiva e performance regionale: un confronto europeo
Vittorio Ferrero
Santino Piazza
IRES Piemonte
Sommario In un lavoro precedente gli autori avevano studiato gli effetti dell’integrazione europea sulla specializzazione dell’export
delle regioni italiane. Si era evidenziato un limitato mutamento nella specializzazione settoriale dell’export delle regioni italiane
(concentrazione) nel corso degli anni novanta, come possibile effetto degli accentuati processi di integrazione economica e monetaria a
livello europeo, parallelamente ad una divergenza nelle caratteristiche settoriali del commercio estero delle regioni italiane rispetto alla
media europea, evidenziando fragilità strutturali della struttura produttiva del nostro paese. Con il presente lavoro si intende valutare più
compiutamente il cambiamento nelle strutture produttive regionali intervenuto a seguito dei processi di integrazione, considerando le
strutture produttive e non solo del commercio estero, ed estendendo il confronto all’insieme delle regioni europee.
In questo lavoro si presentano, quindi, alcune nuove evidenze sui patterns di specializzazione produttiva regionale in ambito Europeo alla
luce dei processi di integrazione economica e monetaria, in particolare con riferimento al periodo 1995-2002. Utilizzando la base di dati
Eurostat Regio (livello di disaggregazione Nuts2) si calcolano indici di specializzazione per le regioni europee, nei limiti della
disaggregazione settoriale omogenea resa disponibile da Eurostat, per descrivere le caratteristiche delle diverse strutture produttive e la
loro dinamica temporale, con indici adatti a confrontare la concentrazione settoriale a livello regionale all’interno dei singoli paesi con la
concentrazione fra paesi diversi.
Si cerca di ricondurre la concentrazione della produzione settoriale in ambito europeo ad alcune determinanti individuate dalle diverse
teorie del commercio internazionale. Si valuta se la dinamica della concentrazione sia spiegata dalle diverse dotazioni fattoriali, come
previsto dalla teoria Heckscher-Holin, oppure dalle caratteristiche dei settori in termini di presenza di economie di scala, come indicato
dalla New Trade Theory, o dagli effetti di agglomerazione industriale, sulla base delle caratteristiche settoriali in termini di linkages di
domanda e/o costo, secondo la New Economic Geography, costruendo variabili proxy dei diversi fattori considerati.
Tuttavia, il mutamento nella struttura produttiva regionale nel periodo 1995-2002 è un effetto atteso dell’integrazione europea, ma anche
della crescente integrazione internazionale e dei suoi effetti sulla divisione internazionale del lavoro. Si cerca quindi di tenere conto
dell’effetto dei due diversi fattori di influenza.
Infine si studia attraverso un’analisi econometrica quale sia il legame tra la performance delle economie regionali da un lato, in termini di
crescita del valore aggiunto per abitante, le caratteristiche della specializzazione e il mutamento delle strutture produttive dall’altro,
evidenziando alcune determinanti della competitività regionale nel periodo considerato.
L’analisi si ispira a diversi lavori empirici svolti recentemente sulla localizzazione delle attività produttive in ambito europeo,
aggiornando le evidenze alla luce della disponibilità di nuove informazioni statistiche a livello regionale.
Parole Chiave Specializzazione produttiva, integrazione europea, competitività regionale.
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Fattibilità ed efficacia della pianificazione dei servizi
Vittorio Ferri
Università degli Studi di Ferrara - Dipartimento Economia Istituzioni
Stefano Moroni
Filomena Pomilio
Politecnico di M ilano - DIAP
Sommario Pur non essendo un tema nuovo nel dibattito urbanistico, negli ultimi anni esperienze legislative regionali, come quella della
Regione Lombardia, hanno riportato un’attenzione particolare sulla pianificazione dei servizi dimostrando un forte legame tra essa ed il
processo di revisione legislativa più generale che investe strumenti, contenuti e procedure di governo del territorio.
Il presupposto del lavoro è il processo legislativo recente della regione Lombardia in materia di governo del territorio. Una legge
regionale prima (L.r. n. 1/2001, “Disciplina dei mutamenti di destinazione d’uso di immobili e norme per la dotazione di aree per
attrezzature pubbliche di uso pubblico”) e una circolare orientativa poi (D.G.R. n. 7/7586 dicembre 2001, “Criteri orientativi per la
redazione del Piano dei servizi ex art. 7, comma 3, della legge regionale 15 gennaio 2001, n. 1”), hanno introdotto e definito lo strumento
Piano dei servizi comunale in Lombardia.
Tra gli argomenti che stanno alla base di tale processo di revisione, possiamo riconoscere:
il tema della flessibilità nella pianificazione, intesa come applicazione del principio di sussidiarietà e cooperazione tra soggetti pubblici e
privati e tra differenti livelli di governo e strumenti di piano, nonché in riferimento al rapporto tra alternative, valutazione e
contrattazione delle scelte;
il tema dell’interesse pubblico come interesse generale, che porta ad estendere la nozione di interesse pubblico all’interesse generale,
identificato come l’insieme degli interessi meritevoli di tutela in materia urbanistica.
L’ultima legge urbanistica regionale approvata, la “Legge per il governo del territorio” n. 12/2005, rivede gli strumenti di pianificazione
alla scala comunale introducendo tre atti di pianificazione generale che articolano il piano di governo del territorio: il documento di
piano, il piano dei servizi, il piano delle regole.
Tra essi, il piano dei servizi può essere letto come elemento nodale del collegamento tra le politiche di erogazione dei servizi ed i
problemi più generali di regolazione degli usi della città.
Assunto questo punto di vista, emergono alcune questioni di natura procedurale, sostanziale e ‘di processo’, il cui trattamento costituisce
il contenuto principale del lavoro presentato.
La prima questione riguarda il rapporto tra il piano dei servizi e la pianificazione e programmazione dei settori dell’amministrazione
comunale, i documenti di previsione di bilancio, la programmazione dei lavori pubblici, il piano economico e finanziario, gli strumenti di
finanziamento, con particolare riferimento agli oneri di urbanizzazione.
La seconda questione riguarda i contenuti che il piano dei servizi dovrebbe avere in ordine sia allo stato di fatto dei servizi, sia alle
previsioni future, considerando il piano uno strumento urbanistico di natura dinamica, che abbraccia diversi temi e argomenti inerenti
all’insieme delle attività che possono essere considerate ‘di servizio’ alla città ed in relazione alla loro qualità, fruibilità e accessibilità.
La terza questione riguarda la costruzione dei rapporti (di tipo verticale e orizzontale) con attori, strumenti, conoscenze, figure e
professionalità emergenti, finalizzati alla vita effettiva del piano e alla sua efficacia nel tempo.
L’obiettivo del paper è di evidenziare e valutare i meccanismi effettivi che, contestualmente all’introduzione dello strumento piano dei
servizi, complessivamente concorrono alla costruzione dello spazio pubblico e della qualità della vita urbana.
Parole Chiave Pianificazione dei servizi, programmazione economica, legislazione regionale.
Reti ecologiche e pianificazione territoriale: il caso della regione Basilicata
Andrea Fiduccia
Ministero dell’Ambiente
Luciano Fonti
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Hilde Leone
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Sommario La costruzione di modelli di reti ecologiche a scala regionale mostra un’ ampia casistica di metodi e risultati operativi in
genere affidabili. Nelle Regioni a obbiettivo 1 in particolare i Programmi Regionali richiedono l’inclusione della rete ecologica come
momento fondamentale nella riqualificazione del territorio e in particolare delle aree aperte. Ciò però richiede un adattamento alla rete
sia dei piani di settore (Forestazione, Sviluppo Rurale tec.) che degli stessi Piani Territoriali di Coordinamento provinciale qui
attualmente in itinere). Nel primo caso vengono richiesti interventi di ingegneria naturalistica e localizzazioni e sviluppo di aree agricole
particolarmente adatte. Nel caso della Regione Basilicata in particolare i PTCP prevedono sia per il sistema ambientale che soprattutto
per il sistema infrastrutturale e insediativo degli schemi di assetto sostanzialmente strategici da cui discendono per i diversi obbiettivi
specifici opportune azioni di intervento. Ora poiché il modello di rete ecologica da noi adottato,(e sperimentato da tempo dal gruppo di
A. Fiduccia),prevede una articolazione gerarchica di corridoi a differente impedenza per le specie focali, i risultati che ne derivano
tendono a focalizzare quelle aree territoriali che noi dobbiamo preservare o comunque ristrutturare ambientalmente, in modo da renderle
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adatte come supporto al passaggio delle specie. Ecco quindi che noi stiamo giustapponendo al già complesso sistema di aree naturali
protette (che costituiscono le testate nucleo della stessa rete),ulteriori aree protette (nelle forme e dimensioni più diverse),che in quanto
corridoi dalla trama estesa e articolata finiscono per configgere inevitabilmente con parecchie azioni specifiche dei Piani. Allora risulta
indispensabile “entrare” nel meccanismo dei piani stessi, predisporre una griglia di azioni flessibili compatibile colla rete e individuare
prescrizioni e normative adatte a superare i conflitti fra elementi di rete e elementi previsti dal Piano. Non solo,anche l’autonomia degli
Enti locali provoca ulteriori momenti di conflitto fra esiti dei piani strutturali e azioni ambientali per il sostegno ai corridoi di rete. In
questi casi si può operare in due modi: o si modifica il Piano o si modifica la rete. Ciò significa nel primo caso che ferma restando la rete
come invariante dobbiamo agire su una diversa localizzazione delle zone di sviluppo, sulla impermeabilità dei suoli, sull’ampliamento
delle aree aperte etc. Nel secondo caso invece si tratta di operare modifiche nella ristrutturazione ambientale lungo corridoi ai margini o
poco fuori dei confini del piano che consentano la riproposizione in luoghi diversi delle stesse condizioni strutturali di partenza della rete.
Parole Chiave Regioni, reti ecologiche, pianificazione, sostenibilità.
Commuters’ preferences and local transport policy: evidence from Trento (Italy)
Carlo V. Fiorio
London School of Economics - Department of Economics
Marco Percoco
Bocconi University - Department of Economics
Sommario For each policy of the local transports it is important to have a description of the population which uses the public and private
transport means in order to make the interventions more effective planned. Transport policies furthermore depend in a significant way on
the geographic context and town planning in which they are carried out: urban centres of reduced dimensions in fact have various
demands of greater censers, a province has various demands of a town. In this wise we present a study of the modal choice as a function
of the personal characteristics of commuters.
The present study bases on original data of 9.308 residents of the Province of Trento, but it is thought that the results are however of
interest also in a wider class of areas and provinces. We have carried out the analysis by using different types of Logit models (BenAkiva and Lerman, 1985; Greene, 2000). Among the independent variables we have included a set of socio-economic variables
characterizing individuals’ preferences
We found that probability to use private transport means is reduced meaningfully to the increase of the number of members of the family
and instead it increases nearly three times for every additional car to disposition of the family and approximately 50% for every every
day travel in more for study and job. The individuals of male sex are more inclined to use private means, probably also for the higher
labour participation rate. The possession of the patent is, comprehensibly, highly important for the preference to private means: who has
the patent more uses means of private transport beyond ten times than an individual without patent (when it is controlled for age, title of
study and type of occupation) and the coefficients are meant to be beyond 1%.
If the interviewed individual is a commuter, that is it exits from the just common one of residence in order to o to school or to the job, it
introduces in average a probability to use equal public means to approximately the half of who instead is not a commuter. The residents
of Trento and Rovereto have one probability to use considerably inferior private means to the residents of other common ones of the
PAT; moreover the residents in Trento of province have a tendency to use the private means that are approximately the half of that one of
the residents of Rovereto. The hour of departure only turns out to be variable a highly meaningful one if it is not controlled for the
flexibility of the working hours, even if the coefficient is next much to one indicating one variation of the probability to use private
means only minimally employee from the hour of departure. As far as the other variable explicative, it must be noticed as some of they
are not meaningful in nobody of the used specifications while others are meaningful single in some specifications but not in others. In
detail, the choice of means of transport does not seem to depend on the title it of study and they do not give the declared flexibility of the
working hours. The independent workers stretch to use private means with a probability that is between the 25 and greater 58% of the
employee workers but such coefficient introduce one extremely such variability elevated not to guarantee an equal level of significance
at least 10%, with the only exception of the specification of model 5. Various, who does not work uses private means meaningfully less
than who it is working employee. Finally, we test the sensitivity of the respondents to different road pricing schemes.
Parole Chiave Discrete-choice models, transport pricing policy, road pricing.
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Conoscenza per lo sviluppo; esperienze di ricerche valutative per l’analisi e
l’orientamento delle politiche di inclusione sociale
Marta Foresti
Ministero Economia Finanze UVAL
Sommario L’esclusione sociale è un fenomeno complesso e multidimensionale, la cui definizione, e a maggior ragione misurazione,
rimane controversa (Hills et al. 2002). Le diverse dimensioni dell’esclusione sociale sono correlate fra loro (come ad esempio la povertà,
la salute, rif. Burchardt, 2002) e sono trasversali a diversi ambiti di policy, (come lo sviluppo territoriale, le politiche per l’occupazione,
l’immigrazione, la scuola ecc). A partire dagli anni 90 si è particolarmente sviluppato il dibattito sul fenomeno dell’esclusione sociale e
si sono moltiplicati gli sforzi nei diversi ambiti di policy - sia a livello nazionale, sia comunitario - per promuovere approcci inclusivi
mirati alla riduzione del disagio sociale. In questi stessi anni va affermandosi l’idea che il benessere di un territorio, la sua competitività,
la capacità di attrarre risorse, dipendano non solo dalla crescita economica, ma anche dalla capacità di un sistema socio economico di
contribuire a migliorare la qualità della vita delle persone, di accrescerne le conoscenze e la possibilità di avvantaggiarsi delle
opportunità offerte e di facilitarne la partecipazione alla vita pubblica e sociale, con particolare riferimento alle persone a rischio di
esclusione (Sen 2000). In questo contesto la riduzione del disagio e la promozione dell’inclusione sociale sono da considerarsi aspetti
integranti dei processi di sviluppo economico territoriale. E’ quanto riconosce il Quadro Comunitario di Sostegno Obiettivo 1 2000-2006
(QCS) che affianca all’obiettivo di crescita del PIL quello della riduzione del disagio sociale. Proprio nell’ambito del QCS sono stati
realizzati alcuni ‘cantieri valutativi’ che si stanno confrontando con l’analisi e la valutazione delle politiche e interventi per l’inclusione
sociale: in particolare le analisi sulla relazione tra povertà economica ed esclusione sociale condotte dal DPS: la ricerca valutativa
condotta dall’UVAL sulle politiche e interventi di inclusione sociale nei programmi operativi del QCS e la valutazione indipendente
dell’iniziativa comunitaria EQUAL. Questo lavoro si propone di indagare in che misura la valutazione e i processi ad essa connessi
possono migliorare la comprensione di questi fenomeni complessi e multidimensionali e fornire al decisore elementi conoscitivi su cui
fondare il processo di costruzione di politiche efficaci per la riduzione del disagio e la promozione dell’inclusione sociale. In particolare,
si analizza come la valutazione può aiutare a comprendere la natura dei fenomeni di esclusione, a rendere espliciti gli obiettivi delle
politiche inclusive, e a migliorare la conoscenza degli effetti degli interventi sulle persone e sui territori considerati. In secondo luogo, si
considera la valutazione come opportunità di confronto e dialogo tra i molti attori coinvolti nelle politiche di inclusione sociale sul
territorio in cui e’ possibile identificare e accentuare le sinergie tra diversi programmi, progetti e iniziative con finalità inclusive, o
rafforzare le potenzialità tra iniziative con finalità complementari a sostegno di un approccio inclusivo in diversi campi di policy e di
intervento.
Parole Chiave Valutazione delle politiche, esclusione sociale, QCS.
Nuovi modelli di governance per uno sviluppo territoriale sostenibile
Alessandro Forni
ANCI
Sommario Oggetto della ricerca sono gli sviluppi e le implicazioni dell’applicazione dei nuovi modelli di governance per lo sviluppo
territoriale sostenibile, proposti e promossi dall’Unione europea in stretta relazione con le politiche di coesione comunitarie, al quadro
nazionale. Lo studio ha previsto l’analisi sia di documenti di carattere normativo sia di alcuni casi applicativi. I principali obiettivi della
ricerca sono: l’analisi della normativa europea in tema di governance in relazione alle necessità comunitarie di un maggior
coinvolgimento della società civile e di una diffusione di best practice per quanto attiene l’attuazione delle politiche comunitarie; l’analisi
delle modificazioni avvenute all’interno dei rapporti istituzioni-cittadini a livello nazionale; la valutazione dello stato di attuazione degli
strumenti di governance, così come vengono definiti ed articolati a livello europeo, negli ambiti locale e regionale del territorio italiano. I
casi di studio analizzati sono stati tre (caratterizzanti per quanto riguarda le criticità emerse, complementari dal punto di vista dei settori
di intervento e rappresentativi di contesti territoriali e culture di governo differenti): 1- il Polo Tecnologico Tiburtino della città di Roma;
2- il Progetto Integrato Territoriale campano “Città del Fare”; 3- il Progetto Integrato Territoriale siciliano “Palermo capitale
dell’EuroMediterraneo”. Lo studio intende fare emergere come, ed in che misura, queste novità procedurali stiano cambiando il modo di
governare di molti dei soggetti politici nazionali, mutando, al contempo, il rapporto cittadini-istituzioni. Per poter analizzare questi
eventuali cambiamenti si è dovuto prima rispondere alla domanda su come i processi di governance stiano modificando il quadro
amministrativo-gestionale dell’Italia. Si è poi cercato di illustrare il tema riguardante quanto siano radicali questi cambiamenti, o al
contrario se questi si configurano come semplici aggiustamenti, e in che misura si riverberino in elementi culturali territoriali,
organizzativi e finanche tecnologici. L’introduzione di un nuovo modello di governance pone infatti in rilievo come la differente capacità
di governo del territorio sia una delle disuniformità più volte richiamate tra le varie regioni, intese come territori e non semplicemente
come istituzioni. La ricerca intende inoltre valutare questi nuovi modelli in riferimento alle politiche di sviluppo territoriali, sintetizzando
quelle che sembrano essere le criticità della governance ed i suoi punti di forza, e quello che dovrà necessariamente essere il suo ruolo in
un contesto europeo in rapido mutamento (in particolare per quanto riguarda l’allocazione futura dei Fondi Strutturali all’Italia). Questa
valutazione tende forse a chiarire il vero significato che, nella pratica, rappresenta l’adozione di questi modelli da parte degli organi
istituzionali di tutti i livelli. In questo studio si è cercato di fornire una analisi il più possibile esaustiva, di alcune delle tematiche
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connesse alla governance, a fronte di una sua sicuramente più ampia diffusione, sia nei rapporti interni tra territori, che nei rapporti
internazionali tra Stati della UE e tra i soggetti decisori preposti allo sviluppo ed alla sua programmazione-gestione.
Parole Chiave Governance, sviluppo sostenibile, partenariato, valutazione.
Problematiche dell’integrazione degli strumenti di politica ambientale: VAS, EMAS
Federica Di Giampietro
Tesista ENEA-Università di Architettura Roma1 - C.R. Frascati
Andrea Forni
ENEA UDA-Advisor C.R. Frascati
Ferdinando Frenquellucci
ENEA-PROT C.R. Faenza
Ivano Olivetti
ENEA UDA-Advisor C.R. Frascati
Augusto Peruzzi
IGEAM srl
Pasquale Regina
ENEA UDA-Advisor C.R. Frascati
Federica Scipioni
Borsista ENEA C.R. Frascati
Sommario Lo studio approfondisce le problematiche nell’applicazione della VAS e delle nuove procedure EMAS II° relative ad aree
industriali e/o organizzazioni territoriali, ed analizza alcuni casi di studio. I casi di studio analizzati sono quelli del distretto di Solofra e
dell’area ASI di Trapani. I principali obiettivi del progetto sono parte integrante del progetto LIFE-SIAM 2005: definire analizzare il
grado di integrazione verticale (dalle direttive UE alle azioni locali) ed orizzontale (dal partenariato per la governance ai forum di
AG21L) dei principi della sostenibilità e della governance nel territorio a partire dalla localizzazione e gestione delle aree industriali; la
analisi dei metodi sperimentati di programmazione territoriale condivisa dello sviluppo, basati su di un approccio multidisciplinare,
comprendente partenariato, programmazione, valutazione e monitoraggio; l’analisi dei livelli di know how gestionale e progettuale
necessari allo sviluppo di un clima collaborativo e di efficaci rapporti tra le Autorità Locali, i cittadini, il sistema produttivo, gli esperti
ed il mondo scientifico; l’analisi delle dimensioni professionali necessarie e richieste al fine di formare nuove figure professionali in
grado di progettare e gestire la governance e lo sviluppo sostenibile, a partire dalle aree industriali. Questi obiettivi di analisi saranno
perseguiti attraverso la verifica sul campo dello stato di applicazione, l’adattamento e l’integrazione di differenti strumenti comunitari di
politica ambientale, quali la Valutazione Ambientale Strategia (VAS), ex Direttiva 2001/42/CE, e l’EMAS, ex Regolamento
761/2001/CE, nelle procedure di governance attuate sul territorio. Lo studio intende dare un contributo per mettere in luce le difficoltà
attuative nell’integrare differenti strumenti comunitari volontari all’interno di modelli, come la governance, o di policy, come lo sviluppo
sostenibile, e consentire un loro approccio innovativo, quanto più possibile inserito nella pianificazione e gestione territoriale. Inoltre
intende verificare nei casi di studio come altri strumenti dello sviluppo sostenibile, quali AG21Locale, abbiano influito sull’attuazione di
un nuovo modo di applicare i principi dello sviluppo sostenibile, incoraggiato l’integrazione delle politiche ambientali, sociali ed
economiche e sostenuto l’applicazione di un processo che coinvolge insieme le autorità locali, l’industria ed il pubblico in generale. Lo
studio intende verificare come nelle Istituzioni Locali si sia percepita la definizione e l’applicazione di un Modello di Area Industriale
Sostenibile, e come tale obiettivo sia inserito nella “governance territoriale”.
Parole Chiave Governance, sviluppo sostenibile, VAS, EMAS.
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Il Mediterraneo come opportunità: piani, progetti ed ipotesi di trasformazione per il
territorio di Messina
Adele Fortino
Osservatorio M essinafutura
Elena Mirenda
Università M editerranea di Reggio Calabria
Michelangelo Savino
Guido Signorino
Università degli Studi di M essina
Alessandro Tinaglia
Associazione Inarch M essina
Sommario La prospettiva di un Mediterraneo aperto ed integrato sembra costituire oggi l’occasione per ripensare strategie di sviluppo di
alcune realtà territoriali e soprattutto uno spunto “progettuale” di maggiore forza per riuscire a costruire un nuovo assetto territoriale per
alcune realtà particolarmente complesse. È il caso di Messina, città che soffre negli ultimi anni di un problematica assenza di disegno
strategico per il suo futuro, in presenza di una profonda trasformazione delle condizioni che ne hanno garantito sino a qualche decennio
fa la crescita e lo sviluppo, il rapporto con il suo territorio ma anche con l’esterno. Paradossalmente, Messina negli ultimi tempi è stata
interessata da numerosi progetti di riqualificazione urbana e numerosi altri sono in corso, ma sempre in assenza di un “frame” capace di
dare coerenza alle diverse azioni. L’Osservatorio “MessinaFutura” nasce con il duplice obiettivo di operare, da un lato, un’accurata e
necessaria ricognizione ed analisi di tutti i piani, progetti e programmi di trasformazione e sviluppo allo studio degli Enti cittadini
(Provincia, Comune, Ente Porto, IACP, ecc) oltre a quelli già avviati ed in fase di avvio a carattere regionale che nazionale, e dall’altro,
alla luce del quadro di riferimento emerso, delineare alcuni indirizzi possibili per il futuro della città di Messina. La necessità di
valorizzare un “pacchetto di opportunità” da spendere per il rilancio dell’immagine stessa della città della sua economia e che vede
proprio la ridefinizione del ruolo di Messina quale città degli scambi protesa verso il Mediterraneo ha spinto all’individuazione di alcuni
temi principali utili alla formulazione di strategie capaci di garantire non solo un innalzamento della qualità della vita collettiva, e la reale
capacità di dare risposte alle nuove ed emergenti necessità (come rispondere a bisogni regressi), ma anche di creare un percorso di
sviluppo diverso ed alternativo alla “città del transito”. I Temi principali individuati sono: Trasporti, mobilità di persone, beni e saperi;
attività commerciali e industriali; residenza; attrezzature e spazi collettivi; servizi materiali e immateriali) e dalla loro ibridazione, mentre
alcuni Assi indicano alcune fondamentali priorità: Il recupero delle funzioni “relazionali” della città, la ricchezza della “pluralità
portuale”, la tipicità delle produzioni e commercializzazioni dei comuni della provincia di Messina, i poli di eccellenza. Quanto descritto
fin qui, trova la sua localizzazione fisica in aree sia urbane che extraurbane pregiate, che, a breve aumenteranno il loro valore
commerciale, ma anche quello di valore in termini di polarità territoriali, cosa che innescherà cambiamenti profondi non solo negli assetti
proprietari, ma anche nel ruolo di Messina in relazione al contesto provinciale ed alle altre città metropolitane siciliane. Il presente
contributo intende presentare un “quadro d’insieme” di quello che il territorio messinese è adesso e che può e vuole essere nel suo
prossimo futuro, sottolineando alcuni nodi che vanno ancora sciolti, interrogativi cui dare risposta o comunque su cui avviare riflessioni e
scelte chiare, ma offrire anche una sorta di “piattaforma orizzontale” attraverso cui la città possa conoscere meglio se stessa, per poter
comprendere, discutere e scegliere consapevolmente. In questo già complesso scenario alcune riflessioni vanno fatte sia sulle priorità che
governanti e governati intendono supportare, ma anche sugli indirizzi che Enti e/o Società miste o private intendono promuovere e
gestire su alcune porzioni di territorio e sulle attività ivi concentrate o da impiantare.
Parole Chiave Sistema infrastrutturale, sistema relazionale, attrezzature, spazi collettivi.
International competition, international integration and regional policy
Ugo Fratesi
Politecnico di M ilano
Sommario The European economic landscape is experiencing a process of growing integration, due to the expansion of the European
Union and the deepening of integration inside it. At the same time, countries and regions are put under increasing pressure by
international competition, since new market opportunities come together with new competitors on a global arena. For this reason, it is
becoming increasingly difficult to run and justify policies aimed at reducing regional disparities within countries on a mere equity
ground. Even EU cohesion policies, which have in the past 20 years acquired a pre-eminent role in the development process of regions of
the western European countries, face the challenge of enlargement, which is bringing additional needs in measure far larger than
additional resources. As a parallel process, there is increasing attention to endogenous regional characteristics as key factors of
development, and, consequently, regional policy is intensifying its degree of adaptation to the different structures of regions, with a
process of “customization”. This paper investigates what is the effect of international competition on the choices of regional policy
adopted by the countries, in terms of extent of expenditure and spatial allocation. The fact that the international market becomes more
integrated may in fact induce a national government to invest more in its already richer regions (a policy based on “country champions”)
at detriment of the poorer but, at the same time, if congestion diseconomies prevail, the opposite policy may be preferable. The
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framework is more complicated when the regions composing a country are different in size or productive efficiency, or when some
factors are internationally mobile and can be attracted or lost depending on government behaviour. In this case the trade-off between
economic efficiency and spatial equity may be even more difficult to disentangle. In particular, this paper aims at exploring under what
conditions, in terms of size of the regions, regional characteristics and productivities, degree of integration of countries, mobility of
production factors, the competition between countries leads to sub-optimal regional allocations of national public spending. This analysis
will be run under different assumptions on the strength of agglomeration and congestion forces. In an historic moment in which some
countries may return increasingly in charge of financing their own regional development policy, this analysis is also expected to give
precious insights on the better level (national or supra-national) for cohesion policies in different economic conditions.
Parole Chiave International competition, regional policy.
Città a bassa densità: temi e strumenti per il governo del territorio
Laura Fregolent
IUAV
Sommario La città a bassa densità si caratterizza per una complessità di relazioni e forme, e per un deficit di governo dovuto da un lato
alla presenza di amministrazioni e competenze diverse sul territorio che non facilitano processi sinergici nell’avvio di processi di
trasformazione territoriale, dall’altro da un difficile decollo in contesto italiano, in particolare veneto, di strumenti di pianificazione
d’area. La pianificazione, strumento di traduzione immediata delle scelte urbanistiche e territoriali, assume, soprattutto in un contesto
frammentato, una funzione centrale, sia rispetto all’assunzione di ruolo che le spetta, sia dal punto di vista delle elaborazioni teoriche e
concettuali che è chiamata ad elaborare. Avviare pratiche di pianificazione nella città diffusa, se definita e considerata nella sua interezza,
potrebbe consentire una nuova gestione dei fenomeni territoriali così come sono andati manifestandosi e, quindi, avviare politiche di
governo mirate. Il presupposto è che sia necessario intervenire sulla dispersione urbana per governare un territorio frammentato, non solo
da un punto di vista fisico, attraverso strumenti e conoscenze adeguate, con soluzioni che non sono volte alla ricostruzione della città
compatta, ma ad un suo governo e se possibile ad una sua qualificazione formale e funzionale. L’obiettivo non è solo la riqualificazione
delle strutture minime disperse sul territorio, ma il territorio nella sua interezza e complessità, per perseguire la strada della «città
giudiziosamente diffusa», come possibile evoluzione della città diffusa stessa, intorno ai nodi urbani principali, allargando ed
intensificando la maglia del policentrismo tradizionale e storico. Vanno quindi approntate soluzioni politiche e di governo che pur
tenendo conto delle aspirazioni individuali, dei desideri dei singoli, siano capaci di far cogliere gli effetti “devastanti” delle singole
pratiche individuali e, almeno in parte, ri-orientare scelte anche consolidate. Per questo serve un livello politico e di governo deputato
alla gestione di questo complicato sistema fatto di città grandi e piccole, di capannoni e case sparse, di risorse ambientali e culturali
notevoli ma poco valorizzate, di cave e discariche, di strade sterrate che portano ad aree produttive, di intenso uso del mezzo privato, di
centri commerciali e cinema multisala. Lo strumento del piano d’area si presenta come lo strumento capace di regolare e dare forma ad
un processo di riqualificazione formale e funzionale dell’area, i cui frame culturali di riferimento non possono non essere le istanze dello
sviluppo sostenibile utilizzate come strumento di valutazione delle analisi del contesto, recepite quale indirizzo nella redazione dello
strumento di piano e quindi convertite in elementi strutturanti delle scelte di analisi del contesto e di redazione e di governo del territorio
nella sua interezza. A questo proposito, risulta di un certo interesse non solo confrontare questo frame con i caratteri di una sistema
territoriale complesso, quale quello della città diffusa dell’area centrale veneta, ma soprattutto con nuovi strumenti normativi e di
pianificazione approntati e in corso di definizione da parte della Regione Veneto, quali la nuova LUR 11/2004, il nuovo Documento
programmatico del PTRC e alcuni Piani provinciali in corso di revisione. In particolare il PTRC della Regione si caratterizza, almeno
nelle premesse, come documento di carattere strategico, che avvia un processo di elaborazione concertata di obiettivi e strategie, per un
governo del territorio regionale, che fa anche dell’urbanizzazione diffusa dell’area centrale veneta, uno dei temi significativi e centrali da
affrontare attraverso il potenziamento della rete metropolitana esistente, fondata sul policentrismo storico e la riqualificazione degli spazi
urbani esistenti alle diverse scale di pianificazione e ai diversi livelli e di intervento, in nome di uno sviluppo coordinato e sostenibile.
Parole Chiave Bassa densità, città diffusa, piano area vasta.
L’analisi dello sviluppo e della coesione economica e sociale attraverso la valutazione di
impatto di un asse del POR Sicilia 2000/2006
Larissa Fricano
Salvatore Tosi
Università degli Studi di Palermo - Facoltà di Economia
Sommario Sino a pochi anni fa concetti quali politica pubblica, valutazione delle politiche, indicatori, analisi di impatto; espressioni
quali qualità, efficienza, efficacia, economicità, pertinenza, produttività, ecc… erano completamente assenti dal linguaggio dei policy
makers italiani e poco trattati in quello accademico. L’estesa diffusione dei concetti più strettamente connessi con i policy studies, non ha
comportato solo un cambiamento lessicale, ma ha determinato una nuova consapevolezza che è sfociata in un approccio nuovo allo
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studio delle politiche pubbliche: la ricerca di schemi interpretativi che consentano la «quantificazione» degli effetti di tali politiche
pubbliche e, in particolare, di quelle che hanno lo scopo di innescare e attivare condizioni per lo sviluppo economico nelle aree più
svantaggiate. Tuttavia, c’è da rilevare che mentre esiste in letteratura un ampio e consolidato dibattito sul ruolo che le politiche pubbliche
rivestono per lo sviluppo locale, non altrettanto può dirsi per gli strumenti metodologici che consentono di quantificare la correlazione tra
politica di sviluppo e crescita economica: infatti, la presenza di “effetti esterni” non controllabili, rendono imprecisa la quantificazione
degli effetti delle politiche poste in essere. Il motivi che ha comportato tale interesse verso le politiche pubbliche e, conseguentemente,
verso la valutazione dei loro effetti, può certamente essere ricondotto anche all’influenza dei fondi strutturali e, più in generale, della
politica di coesione perseguita dall’Unione Europea. I precetti comunitari riservano alla valutazione un’attenzione particolare. È previsto,
infatti, che per valutare l’efficacia degli interventi strutturali, l’azione comunitaria sia oggetto di una valutazione ex ante, intermedia ed
ex post, volta a determinarne l’impatto e ad analizzarne le incidenze su problemi strutturali specifici. A tal proposito, non più tardi di un
anno fa, le Autorità di gestione dei fondi strutturali hanno pubblicato i risultati della valutazione intermedia dei programmi operativi, sia
nazionale sia regionali - meglio noti come POR e PON -, fornendo i primi risultati delle politiche pubbliche realizzate, e consentendo
così di «dare giudizi», in generale, sulla capacità di tali politiche di ridurre il divario di sviluppo economico esistente rispetto ad altre aree
del Paese. Quello che si intende proporre è la valutazione degli affetti di un Asse del Programma Operativo 2000/2006 gestito dalla
Regione Siciliana (risultati attesi) al fine di verificarne la effettiva capacità di realizzare gli obiettivi prefissati in termini di rafforzamento
della sua coesione economica e sociale, promuovendo “lo sviluppo armonioso, equilibrato e duraturo delle attività economiche, lo
sviluppo dell’occupazione e delle risorse umane, la tutela e il miglioramento dell’ambiente, l’eliminazione delle ineguaglianze e la
promozione della parità tra uomini e donne(Reg. Fondi Strutturali n.1260/99, art.1)”. Pertanto attraverso la ricerca si determinerà
l’efficacia del programma distinguendo i cambiamenti nella realtà economica causati dal programma stesso da quelli prodotti invece da
altri fattori e congiunture economiche esogene all’effetto dell’intervento. Per la valutazione di tale impatto verranno utilizzati metodi
quantitativi (metodologia) che permetteranno di limitare la portata delle “minacce alla validità” dei risultati ottenuti e nel contempo di
stimare l’effetto del programma su determinate variabili.
Parole Chiave POR, asse, valutazione, impatto.
Il “Croissant Mediterraneo”: l ’emergenza di una struttura reticolare macro-regionale da
Valenzia a Napoli
Giovanni Fusco
Université de Nice-Sophia Antipolis - Umr 6012 Espace
Sommario Nel contesto della metropolizzazione reticolare dei territori europei, una nuova macro-struttura regionale ha l’opportunità di
emergere: il “croissant mediterraneo”. Questo vasto spazio transnazionale abbina ai poli urbani dell’arco mediterraneo da Valenzia a
Napoli (passando per Barcellona, Marsiglia, la Costa Azzurra, Genova, Livorno e Roma), quelli del suo più diretto entroterra (Saragozza,
Tolosa, Lione, Grenoble, Torino, Milano, Bologna, Firenze). L’opportunità è costituita dai numerosi progetti infrastrutturali attualmente
in fase di valutazione (reti AV/AC in Italia, in Spagna e nel Sud della Francia, hub aeroportuali, autostrade del mare, ecc.), in grado di
dotare le metropoli del “croissant” di una rete densa e interconnessa di infrastrutture di trasporto rapido. Costituendo il principale motore
economico dello spazio euro-mediterraneo, il “croissant” ha il potenziale per divenire una macrostruttura comparabile alla “banana blu”
della dorsale europea. La sua emergenza potrà a termine contribuire ad uno sviluppo più equilibrato del territorio comunitario. Il presente
articolo esamina i diversi aspetti dell’emergenza della nuova macro-struttura regionale. Innanzitutto, è affrontato il tema delle nuove
infrastrutture dell’alta velocità ferroviaria come supporto per lo sviluppo di reti di città. In un secondo tempo, l’analisi porterà sulle
diverse scale territoriali che caratterizzano l’emergenza del policentrismo reticolare. Il recente progetto di alleanza tra Milano e Torino
mostra che il “croissant mediterraneo”, come già la “banana blu”, sarà una rete di reti metropolitane regionali. Alcune condizioni minime
dovranno però essere rispettate: i poli che vorranno strutturarsi in reti metropolitane dovranno poter beneficiare di relazioni da centro
città a centro città inferiori a 50-60 minuti, sviluppare le necessarie complementarità economiche e costruire dei forti progetti politici di
cooperazione istituzionale. Infine, un’analisi critica dei più recenti progetti infrastrutturali e di cooperazione metropolitana permette di
evidenziare potenzialità e limiti del “croissant mediterraneo”. In particolare, le riflessioni sviluppate nei diversi ambiti nazionali non
sembrano ancora iscriversi pienamente nella dinamica di “croissant”. Non tutte le realtà metropolitane coinvolte sono inoltre coscienti
degli effetti dello sviluppo reticolare: appartenere ad una macro-struttura regionale “forte” sarà un vantaggio per tutti, ma i maggiori
benefici andranno alle metropoli capaci di federare i poli urbani contermini e di posizionarsi su nodi a connessioni multiple nella rete.
Parole Chiave Croissant Mediterraneo, metropolizzazione, policentrismo reticolare, cooperazione metropolitana.
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Politiche culturali e grandi eventi come strumenti di politica urbana: il caso di Genova
Rossana Galdini
Università degli Studi della Calabria
Sommario Il contributo propone una riflessione sul ruolo delle politiche fondate su risorse di tipo culturale, punti di forza dei progetti di
rigenerazione urbana. Oggetto di approfondimento è il caso di Genova, esempio virtuoso di trasformazione sociale ed urbana, in cui
l’impatto economico e territoriale dei grandi eventi è stato particolarmente rilevante. Nel corso degli anni 90 le città europee hanno
assunto una progressiva consapevolezza del ruolo della cultura nei processi di trasformazione urbana; le attività ad essa complementari
assumono sempre di più una posizione centrale ed un ruolo di acceleratore della transizione verso forme di economia post-industriali.
Molti centri, dovendo ridefinire il proprio modello di sviluppo, tentano la carta dei processi di valorizzazione turistica e culturale,
consapevoli che le manifestazioni culturali e gli eventi, da soli, non sono sufficienti ad innescare questi processi, ma che l’organizzazione
di questi può configurarsi come l’occasione per un miglioramento delle infrastrutture, dei servizi, della riqualificazione di edifici, spazi
pubblici ed ambienti espositivi. Le politiche culturali sono viste come strumenti per contrastare il declino sociale ed economico delle
città, attraverso eventi in grado di richiamare consistenti flussi di visitatori. Esse assumono un ruolo determinante nella rigenerazione
fisica ed economica della città, costruendo un’immagine innovativa che agisce da catalizzatore di nuove attività provenienti dal mercato
internazionale e collegate allo sviluppo di settori quali il turismo, l’arte, le telecomunicazioni. I grandi eventi attivano forme di
comunicazione e promozione e, nello stesso tempo, costituiscono un’opportunità per finanziare, accelerare processi che richiederebbero
tempi più lunghi. Lo stato delle politiche culturali messe in atto nelle città europee, evidenzia la tendenza delle città a organizzare eventi
di rilievo. E’ il caso di Genova che attraverso una serie di “occasioni” ha sperimentato una convergenza non solo di finanziamenti ma
anche di intenti da parte dei diversi attori coinvolti. Genova, dall’inizio del 900 importante centro industriale, ha subito la crisi della
grande industria e oggi, mentre conferma la sua propensione alle attività tradizionali, scopre una vocazione all’arte, al turismo, alla
cultura. Per il raggiungimento di tali obiettivi importanti interventi strutturali sono stati collegati alla programmazione culturale, ad un
piano di comunicazione volto a diffondere la nuova immagine della città, con il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati. La logica di
intervento è quella di un approccio multidimensionale e integrato: sono state previste azioni volte sia alla riqualificazione fisica e alle
trasformazioni urbanistiche, sia alla sfera economica e sociale. La tesi che si intende sostenere è che le politiche culturali, i grandi eventi,
rappresentano dei percorsi possibili all’interno della città che cambia sotto la spinta di nuove domande, nuove esigenze. Tuttavia essi
sono da considerare come importanti aspetti congiunturali e non strutturali all’interno di un processo di rigenerazione urbana.
Indubbiamente svolgono un ruolo vitale, creano consenso, sviluppano relazioni, contatti, muovono capitali e assicurano un’enorme
visibilità alla città. Le varie esperienze realizzate in Europa ed in particolare a Genova, evidenziano la necessità di inserire queste
politiche in un disegno più ampio perché l’economia culturale da sola non può produrre effetti duraturi a meno che le politiche culturali
non si incrocino, nella realizzazione di una rete strutturale che possa dare origine ad occupazione, riqualificazione e miglioramento della
qualità urbana.
Parole Chiave Grandi eventi, politiche culturali, rigenerazione.
Politiche di rigenerazione urbana: l ’esperienza di Genova
Rossana Galdini
Università degli Studi della Calabria
Sommario Il presente contributo è un tentativo di riflessione sulle diverse capacità di rigenerazione urbana della città europea
contemporanea. Una rigenerazione pensata a partire dalla interpretazione della città esistente e determinata da una pluralità ed
eterogeneità di soggetti coinvolti. Le città europee rappresentano un luogo straordinario di innovazione e di trasformazione: molte di esse
hanno saputo ridefinire l’assetto fisico di alcune loro parti e invertire la tendenza al declino in campo economico e sociale. I cambiamenti
che attraversano la città hanno fatto emergere nell’ambito delle scienze sociali, dell’urbanistica e nella cultura, in genere, la
consapevolezza dell’enorme divario esistente oggi tra una realtà complessa che muta più velocemente di qualsiasi previsione e gli
strumenti analitici ed operativi di cui le discipline dispongono. L’impossibilità di utilizzare i tradizionali criteri pianificatori globali,
propri della tradizione razionalista, ha determinato il ricorso a nuove politiche urbane ed interventi finalizzati al rinnovamento della
struttura fisica, sociale e culturale della città contemporanea. La città esistente non è più considerata come una massa inerziale a cui
aggiungere il nuovo, ma è vista come risorsa da liberare e mettere a valore attraverso un processo di riprogettazione e di risignificazione.
Alcune città europee in cui la riqualificazione ha assunto connotati paradigmatici, offrono spunti interessanti per la riflessione e
l’identificazione di buone pratiche. Si tratta di città medio-grandi che hanno attuato piani di riqualificazione urbana assumendo la
rivitalizzazione fisica, la valorizzazione del patrimonio culturale,l’innovazione culturale e tecnologica come punti di forza dei progetti di
rigenerazione urbana. La tesi che si intende sostenere è che il processo in atto è il prodotto di un lavoro comune da parte di molte forze,
elemento imprescindibile è la compatibilità sociale ovvero il consenso degli abitanti, dei fruitori, di quanti vivono la città. Questa
strategia definisce azioni per lo sviluppo economico locale ed il sostegno di nuove attività. Il caso di studio prescelto riguarda Genova,
esempio di una realtà che ha superato la crisi urbana e tenta di ricollocarsi sugli scenari della competitività nazionale ed internazionale. Il
processo di trasformazione nel capoluogo ligure si basa su una forte diversificazione delle attività: da qui la scelta della riqualificazione
ambientale intesa come frutto della interconnessione tra i due termini conservazione e innovazione, non intesi in modo conflittuale, ma in
sinergia. Questo comporta in termini concreti la possibilità che interventi di manutenzione urbana possano coincidere con altri di forte
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innovazione intesi a rigenerare il volto della città segnato da innumerevoli episodi di degrado. Saranno pertanto, presi in esame gli
strumenti utilizzati per la realizzazione di questi interventi, proponendo una riflessione sulle caratteristiche del processo in atto. Tra
questi ad esempio l’integrazione evidente tra interventi fisici (quali la ristrutturazione e la riqualificazione di edifici e spazi pubblici) e
interventi di riqualificazione economica e sociale volti al miglioramento della qualità urbana. Il contributo si propone di mettere in rilievo
l’interazione tra aspetti sociali, urbanistici, economici e culturali presenti nel processo di rigenerazione urbana. L’obiettivo è quello di
riflettere sulle dinamiche attraverso cui una città medio - grande, utilizzando un complesso sistema di sinergie riesce a rimettersi in moto,
a riqualificarsi e a diventare competitiva.
Parole Chiave Rigenerazione urbana, politiche, strumenti, interazione.
Metodologie di valutazione dei costi esterni per la pianificazione dei sistemi di trasporto
ed applicazione al caso della regione Campania
Mariano Gallo
Università degli Studi del Sannio - Dipartimento di Ingegneria
Sommario In questa nota si esaminano le metodologie di valutazione dei costi esterni prodotti dai sistemi di trasporto e si individuano le
più idonee ad una valutazione in ambito regionale, tenuto conto anche dei dati di input disponibili. Le metodologie individuate sono
applicate alla stima dei costi esterni attualmente prodotti in Regione Campania ed alle previsioni sulla variazione di tali costi nei prossimi
anni in funzione delle politiche di trasporto previste in ambito nazionale e regionale. L’interesse per la valutazione dei costi esterni del
sistema dei trasporti è cresciuto notevolmente negli ultimi anni per diverse ragioni: - il sistema dei trasporti produce delle esternalità
rilevanti e assolutamente non trascurabili rispetto agli altri costi in gioco (costi sostenuti dagli utenti del sistema, costi di costruzione,
manutenzione e gestione, ecc.); - molte esternalità hanno impatti sulla salute, sull’ambiente e sulla qualità della vita non più accettabili da
una società moderna e sviluppata; - lo “sviluppo sostenibile” e, pertanto, anche la “mobilità sostenibile” è uno degli obiettivi strategici
dell’Unione Europea. L’interesse per l’argomento è dimostrato dai molteplici documenti di programmazione strategica prodotti a livello
internazionale (Protocollo di Kyoto, 1997), Europeo (White Paper, 2001) e Nazionale (Piano Generale dei Trasporti e della Logistica,
2001). In particolare, l’Unione Europea ha promosso e finanziato diversi progetti di ricerca nel settore, tra cui: UNIT E, EXTERNE,
CORINAIR. I costi esterni prodotti dal sistema dei trasporti possono essere classificati in principali e secondari. I primi sono quei costi
esterni che risultano essere quantitativamente rilevanti e che sono stati studiati più o meno ampiamente in letteratura. I costi esterni
secondari, invece, sono quelli che si presume abbiano effetti poco rilevanti e/o non facilmente quantificabili; in generale, essi non sono
stati oggetto di ricerche e studi sistematici. I costi esterni principali sono fondamentalmente riconducibili a: cambiamenti climatici dovuti
ai gas serra, danni alla salute prodotti dall’inquinamento acustico ed atmosferico, danni prodotti dall’incidentalità nel settore dei trasporti,
costi dovuti alla congestione stradale, costi economici connessi alla produzione, trasporto e smaltimento di carburanti e veicoli. Tra i
costi esterni secondari si possono individuare: l’inquinamento delle acque e dei suoli, danni causati dalle vibrazioni prodotte dai veicoli
di trasporto, intrusione visiva, effetti barriera, occupazione del suolo, effetti negativi generali sulla qualità della vita, inquinamento
elettromagnetico. In questo lavoro l’attenzione è rivolta prevalentemente ai costi esterni principali, la cui entità è stimata con riferimento
al sistema dei trasporti della Regione Campania; le metodologie di stima proposte sono valide, in generale, per stimare i costi esterni di
altre regioni italiane e possono, pertanto, essere utilizzate nell’ambito di sistemi di supporto alle decisioni per la pianificazione dei
trasporti.
Parole Chiave Costi esterni, trasporti, valutazione.
Alcune riflessioni sul ruolo delle preferenze sociali nel processo di reclutamento dei
lavoratori
Francesca Gambarotto
Università degli studi di Padova - Dipartimento di Scienze Economiche
Sommario Obiettivo di questo lavoro è quello di studiare il processo di reclutamento dei lavoratori partendo dall’assunto che le
preferenze sociali locali definiscono e quindi influenzano le preferenze degli imprenditori per i mix di competenze (tecniche e
relazionali) richieste. Secondo la teoria economica, nella fase di reclutamento la selezione del lavoratore più produttivo è difficile a causa
di due limiti informazionali: un’asimmetria informativa tra imprenditore e lavoratore sulle abilità del lavoratore e una simmetrica
ignoranza sulla potenziale produttività del lavoratore. Poiché la produttività del lavoratore non può essere misurata oggettivamente exante, il datore di lavoro la può inferire da informazioni indirette: per le competenze tecniche, la produttività viene in genere stimata a
partire dai risultati scolastici - quali il curriculum scolastico, il voto di diploma o di laurea, la specializzazione - oppure lavorativi - quali
le esperienze lavorative precedenti. Per le competenze relazionali, la valutazione si basa sulla stima delle motivazioni del candidato, il
suo equilibrio emotivo, la sua affidabilità. La teoria mette dunque in evidenza l’esistenza di una forte componente di rischio nella
definizione di una relazione di lavoro poichè risulta difficile definire l’obbligazione lavorativa e il suo self-enforcing (i lavoratori
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vengono pagati per il loro tempo e non per quello che producono). Gli studi fin qui svolti lasciano aperte diverse questioni: la prima
riguarda la ricerca dei criteri che vengono utilizzati dagli imprenditori per selezionare il personale. Dal nostro punto di vista, è
ragionevole pensare che tali criteri, in parte, siano modellati dalle preferenze sociali e che cambino nel tempo per effetto di cambiamenti
nel contesto socio-economico e per effetto del processo di apprendimento individuale. Non esistono dunque dei criteri-norma generali.
L’eterogeneità delle imprese e le diverse organizzazioni produttive nei diversi settori economici (dovute alla tecnologia adottata e alla
distribuzione del capitale) permettono di individuare caratteristiche specifiche al contesto sociale e alla fase congiunturale dell’economia.
La seconda questione riguarda la valutazione del rischio da parte dell’imprenditore: sebbene l’analisi teorica privilegi l’analisi dei
processi di valutazione (creazione delle aspettative) della produttività del candidato rispetto al prodotto (output prodotto/ore lavorate),
esiste un’ampia evidenza empirica di studi sociologici e psicologici che sottolinea la rilevanza, per l’imprenditore, delle competenze
immateriali del candidato. Tali competenze, definite “abilità relazionali” oppure intelligenza emotiva sono un fattore cruciale per
l’integrazione delle competenze del futuro lavoratore nella struttura organizzativa dell’impresa. In letteratura, queste abilità risultano
fondamentali per managers, ma non ci sembra azzardato ipotizzare che diversi mix di abilità relazionali e tecniche siano richiesti per
diversi ruoli in azienda; si tratta di capire le caratteristiche di questi mix rispetto alla dimensione dell’impresa e rispetto alle preferenze
sociali locali che influenzano la struttura relazionale dell’impresa con le altre imprese del sistema locale.
Parole Chiave Mercato locale del lavoro, reclutamento, preferenze sociali.
La valutazione nella pianificazione strategica
Franco Gava
Università Ca’ Foscari di Venezia - Dipartimento di Scienze Economiche
Sommario Il Piano Strategico si è affermato come un metodo di lavoro mediante il quale viene proposto un nuovo approccio ai problemi
e alle sfide che una comunità locale intende affrontare nel lungo periodo. Il presente lavoro prende in considerazione le esperienze dei
piani strategici della Provincia di Treviso e del Comune di Venezia quale esempi di processi di pianificazione prendenti avvio da una
fase di consultazione che ha visto coinvolte tutte le forze economiche, sociali e culturali presenti sul territorio. Superata questa fase, e
dopo aver configurato un portafoglio di progetti che dovranno tradursi in azioni concrete all’interno delle linee strategiche previamente
definite, la predisposizione di un sistema di valutazione si pone ora come un passo da affrontare per poter mantenere un legame tra le
decisioni che verranno intraprese e l'evoluzione della realtà.
Una valutazione di impatto delle azioni che deriveranno da tale processo assume quindi sempre maggiore importanza data la possibilità
ai cittadini di giocare un ruolo attivo all'interno di un modello di governance in cui sviluppare forme di partecipazione e democrazia
attiva. E’ pertanto previsto che tutti gli stakeholders diano un loro contributo affinché possa aumentare la competitività del territorio
attraverso delle strategie da cui derivino delle azioni che, considerando i fattori critici di successo legati al territorio, contribuiscano a
creare nuovo business, a sviluppare nuove infrastrutture e a migliorare il sistema della formazione in un quadro in cui le Istituzioni si
propongano nel ruolo di sostegno delle azioni che i cittadini considerino essenziali per uno sviluppo sostenibile.
Quale metodologia potrebbe essere applicata per misurare i risultati delle azioni derivanti da un processo di pianificazione strategica?
Dopo aver considerato l’analisi costi-benefici e l’analisi multi-criterio come tecniche che vengono normalmente applicate nella
valutazione dei progetti, per concludere, verrà proposto un nuovo metodo basato sull’uso dello strumento della balanced scorecard
individuando gli adattamenti necessari per applicare una metodologia normalmente utilizzata nel controllo delle strategie aziendali e che
ha suscitato in questi ultimi anni un certo interesse per il controllo strategico degli Enti Pubblici. Questo approccio alla valutazione
consentirebbe alle linee strategiche proposte dal piano di trasformarsi in obiettivi concreti tramite un monitoraggio da effettuare
all’interno delle seguenti prospettive: gli investimenti pubblici, la soddisfazione dei cittadini, la prospettiva di processi operativi interni
alle organizzazioni agenti sul territorio e, per concludere, la dimensione dell’innovazione e della capacità di crescita che comporterebbero
un miglioramento della qualità dei servizi offerti.
Concludendo si vuole sottolineare l’importanza di un sistema di valutazione per consentire un approccio integrato alla pianificazione
strategica. La presenza di tanti piani strategici riguardanti ambiti territoriali vicini appartenenti alla stessa regione pone infatti la
questione di come possa essere raggiunto un livello di coesione all’interno di un sistema composto da molteplici contesti locali
all’interno del quale un livello di governo regionale dovrebbe assumersi la responsabilità di aumentare la coesione e favorire tutte quelle
connessioni che possono contribuire alla formazione di un sistema policentrico più equilibrato e maggiormente competitivo sul piano
internazionale. Anche in questo caso una valutazione delle politiche e dei progetti potrà essere di aiuto sempre che derivi da un approccio
Bottom-Up in cui gli obiettivi e le strategie possono essere stabiliti e supportati dai soggetti istituzionali e sociali direttamente coinvolti
nello sviluppo locale.
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Piano strategico di Lodi: metodologie di costruzione del piano e valutazione del percorso
partecipativo
Elena Gazzola
Paolo Rizzi
Università Cattolica del Sacro Cuore
Sommario La pianificazione strategica è la nuova forma di “governo” del territorio che cerca di individuare orizzonti strategici in
sintonia con l’evoluzione degli scenari socio-economici nazionali e internazionali e definire nuove opportunità e occasioni di crescita
(Perulli, Ciciotti, Florio, Spaziante, Fedeli).
E’ in quest’ottica che si inserisce il processo di definizione del “Piano Strategico per lo Sviluppo della provincia di Lodi”, promosso dalla
Camera di Commercio e dall’Amministrazione Provinciale di Lodi agli inizi del 2005, quale “accordo formalizzato” che definisce in
maniera esplicita le tappe di sviluppo del territorio attraverso un metodo e un percorso volto ad aggregare e coinvolgere tutta la comunità
in una riflessione sul proprio sviluppo e sulle azioni e progetti per realizzarlo.
Il paper si propone un duplice obiettivo: analizzare il metodo di costruzione del Piano Strategico nella sua articolazione in strategie, linee
di azione e progetti e valutare le caratteristiche di partecipazione degli attori locali.
Il Piano nasce dalla volontà di programmare le azioni in base ad una visione condivisa e strategica del futuro del territorio lodigiano,
esplicitando le assunzioni di responsabilità da parte degli attori istituzionali in merito ai contenuti del piano stesso.
Per l’individuazione delle strategie di sviluppo il paper ha proposto l’analisi del “sistema” lodigiano in termini strutturali e prestazionali,
indagato sotto molteplici aspetti (economico, sociale, turistico, demografico). Dalla conoscenza del territorio e delle sue caratteristiche,
nonché dal posizionamento competitivo della provincia di Lodi rispetto ai vicini competitor (province lombarde) si costruisce l’analisi
SWOT, ovvero l’analisi dei punti di forza e di debolezza, dei vincoli e delle opportunità. Per ovviare ai limiti connessi alla disponibilità
delle informazioni quantitative sul territorio, l’analisi SWOT è stata oggetto di confronto e discussione con i diversi attori locali.
Partendo dai punti di forza e di debolezza, dai vincoli e dalle opportunità evidenziati per il lodigiano sono state definite le macro strategie
a cui deve essere ricondotto il processo di sviluppo del territorio stesso.
Sulla definizione delle linee strategiche sono stati chiamati a riflettere i membri del comitato strategico, istituito nella fase organizzativa
del piano. Il comitato è composto dagli stakeholder locali, ovvero dai rappresentanti di Enti Pubblici, delle associazioni di categoria, dei
sindacati, del mondo economico e di quello sociale, che con diverse modalità e ruoli partecipano alla definizione e al mantenimento nel
tempo dello sviluppo del territorio.
Le strategie sono emerse quindi a seguito di un processo partecipato di tipo bottom-up dalle istanze degli attori locali, tenendo sempre in
considerazione la coerenza con gli SWOT territoriali. Gli obiettivi strategici sono stati declinati in linee di azione e progetti funzionali al
perseguimento dello sviluppo locale, sui quali è stato raggiunto il consenso degli attori locali. Sono state definite le priorità di intervento
secondo opportune metodologie quali-quantitative.
Il paper si conclude con l’analisi dei fattori di successo e delle criticità del percorso pianificatorio e l’analisi comparata con altre
esperienze di piani strategici italiani.
Parole Chiave Piano, strategico, networking, governance.
Trapani città sostenibile: realtà o utopia?
Giacomo Genna
Università degli Studi di Palermo
Sommario L’attuale situazione economica della provincia di Trapani registra un elevato tasso di disoccupazione della forza-lavoro che,
per alcune classi di età, supera il 60%. Tale realtà, considerata da più parti e per diverse motivazioni “insostenibile” non è giustificata o
giustificabile dalla limitata disponibilità di risorse nel territorio, ma in gran parte è il risultato di una cultura economica che ha portato, a
detta del CENSIS, ad un sistema “autoreferenziale” il quale trova al proprio interno i riferimenti essenziali, etici e valoriali, con
conseguente refrattarietà ad accogliere impulsi esterni. Partendo dalla convinzione che questo è uno dei limiti più forti alla emersione e
valorizzazione delle risorse locali, lo studio si propone di indicare alcune linee di intervento per modificare la cultura economica locale;
in questo processo di rinnovamento culturale vengono coinvolte, oltre agli enti economici territoriali, anche le strutture scolastiche di
ogni ordine e grado e gli organismi economici privati. Nello studio non viene trascurato l’impatto che sul sistema economico provinciale,
nel recente passato, hanno avuto gli strumenti di intervento previsti dalla legislazione regionale, nazionale e comunitaria; in tale contesto
vengono indicati interventi per un miglioramento della circolazione delle informazioni e delle conoscenze nonché delle infrastrutture di
trasporto che, in questo territorio in particolare, costituiscono una delle variabili strategiche dello sviluppo economico. La presenza di
una elevata concentrazione di risorse ambientali e culturali crea la premessa per un inserimento a pieno titolo di Trapani e dell’hinterland
trapanese in un sentiero di sviluppo economico sostenibile. L’obiettivo ora indicato potrà essere raggiunto con una efficace politica
economica provinciale, la quale deve relazionarsi positivamente sia con le politiche regionali, nazionali e comunitarie che con le
politiche territoriali dei comuni appartenenti alla provincia. La ricerca si basa su dati ed informazioni forniti a vari livelli e riguardanti lo
stato e l’evoluzione delle variabili socio-economiche del territorio, il quale viene considerato non più una variabile accessoria alla quale
legare lo studio dei fenomeni, ma il punto da cui essi originano. Lo studio tiene conto del cambiamento istituzionale avvenuto negli
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A.I.S.Re
ultimi anni a seguito soprattutto delle recenti normative sul decentramento amministrativo, che ha visto un continuo trasferimento di
funzioni e competenze agli Enti territoriali ed in particolare a Province e Comuni. L’evoluzione di cui sopra ha portato alla necessità di
rivedere ed aggiornare la struttura informativa del territorio sulla sua situazione socio-economica ed ambientale; inoltre alcune variabili
immateriali, la cui percezione e misurazione non è semplice, assumono sempre più peso nello svolgimento dei processi produttivi
materiali, i quali sono strettamente collegati a fenomeni tangibili e delicati quali quello della disoccupazione delle risorse ed in
particolare della forza-lavoro. E’ auspicabile che lo studio possa servire sia a migliorare la conoscenza del territorio nelle sue diverse
realtà, che ad indicare e suggerire comportamenti a tutti i soggetti interessati al miglioramento quali/quantitativo del benessere delle
comunità locali.
Parole Chiave Sviluppo sostenibile, risorse umane, infrastrutture, conoscenze.
Economic report on southern Italy’s competitiveness
Vincenzo Genna
Università degli Studi di Palermo - Facoltà di Economia - Dipartimento SEAF
Sommario The aim of this paper is to analyze the present economic conditions of Southern Italy, particularly regarding the actual
competitiveness of this region and possible future developments. We will outline the various features of Southern Italy economy giving
emphasis to those limiting its competitiveness and, subsequently, suggesting opportune ways to improve it. The reason why it has always
been such hard work to manage this region and people living in it, in a good way, is a complex mixture of social and cultural factors.
While the North became a modern industrialized country the South remained an underdeveloped agriculture-based area. In the earliest
90’s Mezzogiorno economy was weaker compared to the rest of Italy, but nowadays there are very important signals coming from
exports and the establishment of new firms per year. Since 1996 export growth of Southern Italy is costantly higher than the national one
thus increasing its own share on the national total. Some significant foreign direct investments are also afforded but the total amount still
undervaluates the potential of the region. Anyway, the productive system of Mezzogiorno still shows a strong structural weakness with
quite a relatively high importance of the agricultural sector and low productivity private services. The agricultural sector still has an
important role within Southern Italy’s economy, even if the basic industry is still present with its large plants in some sectors (ICT sector
above all); thanks to low labour costs, skilled labour force, low turnover rates, growing involvement of local universities and fiscal
incentives, more and more ICT companies are discovering the South of Italy as one of the most convenient areas in Europe to invest.
Besides an opportunity coming from the international economic scenario, Southern Italy also has a great chance for its development from
its traditional sectors. New social and entrepreneurial developments and a big endowment of underutilized productive factors are the
strengths of Mezzogiorno economy. Moreover, it has really important environmental and cultural capitals which, besides an important
touristical attractive, represent a potential of competitiveness able to start up development processes. A positive feature comes from the
dynamic of population aging that is more favourable if compared to the European standards. The geographical position of Southern Italy
can also bring significant advantages: Mezzogiorno is right in the middle of the mediterranean area which is showing high development
potentials and is itself a large potential market (about 243 mln. inhabitants). Regarding the institutional and political context, the
governmental capacity of local administrations has improved over the last years and they started to pay more attention to increasing and
promoting territories’ resources. There has also been a major ability to face criminality and corruption and a new “social disapproval”
towards illegal phenomenons is growing. Among weaknesses the infrastructural endowment still seems to be inadequate. Transportation
infrastructures present low integration between the different modalities with the consequence of difficult reachable market outflows.
Logistic systems are still underdeveloped. Although there have been significant improvements, criminality is still strong in Southern Italy
limiting entrepreneurial initiatives, investments, establishment of new firms. Negative features are also present within the productive
system. Traditional businesses with scarce innovation capacity are still too strong and generally the whole system is not improving
network connections and scales economy. Then bureaucracy, even though much less than in the past, is an obstacle especially regarding
the start-up of new firms. A big threat is represented by the growing competitiveness of developing countries in some traditional sectors
of Mezzogiorno production. Final recommendations will result from the analysis of the actual and perspective economic situation
compared with the main developments of global economy.
Parole Chiave Sviluppo territoriale, mezzogiorno, competitività.
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Turismo sostenibile e sviluppo locale nelle aree protette: il caso della riserva marina delle
Isole Egadi
Vito Genna
Università degli Studi di Palermo - Dipartimento di Metodi Quantitativi per le Scienze Umane
Sommario La salvaguardia dell’ambiente naturale, e in particolare il tema delle aree protette che ne costituisce l’aspetto culminante, è
stato oggetto di riflessioni nel corso degli anni sia da parte di naturalisti che di analisti di problematiche territoriali. La teoria economicoambientale ha analizzato il tema delle aree protette considerando la protezione del territorio come un caso particolare di “bene pubblico”
che il mercato non garantisce, e tale approccio, applicato alla lettera, portava ad una concezione delle aree protette in termini meramente
vincolistici. Il nostro paese si è dotato di una legge quadro a tutela delle aree protette solo nel 1991 (l.n.394/91); pur con diverse lacune,
essa ha comunque rappresentato per l’Italia la prima legislazione organica in materia ambientale, ed ha proposto un nuovo modello
d’assetto territoriale in cui la conservazione della natura è affiancata allo sviluppo eco-sostenibile delle aree sottoposte a tutela. Lo spirito
di collaborazione auspicato fra i diversi attori operanti sul territorio (Ente Parco, Regione, Province, Comuni, popolazione residente
ecc.), dovrebbe promuovere lo sviluppo sociale, economico e culturale dell’ambito territoriale interessato, incentivando le attività
compatibili con le istanze ambientali e permettendo la fruizione turistica, le attività ricreative e del tempo libero, nei limiti di carico
sostenibili dagli ecosistemi locali. La realtà delle aree protette siciliane presenta una duplice caratteristica, per molti versi contraddittoria;
da una parte, infatti, larga parte del territorio regionale risulta essere sottoposto a particolari regimi di tutela, e non potrebbe essere
altrimenti, vista la straordinaria varietà e concentrazione di beni storico-artistici, ambientali e paesaggistici che rappresentano una delle
principali attrattive turistiche dell’Isola. Di contro, il sistema delle aree protette siciliane presenta a tutt’oggi gravi carenze, e, per molte
parti del territorio protetto regionale, l’immagine prevalente è quella di estese zone in stato di abbandono e di diffuso degrado; si registra
troppo spesso la mancanza, o comunque la scarsità, di quegli investimenti e quelle iniziative programmatiche e progettuali indispensabili
per avviare un processo di riqualificazione e valorizzazione territoriale che, integrando gli obiettivi imprescindibili di salvaguardia
ambientale con la promozione di attività turistiche ed economiche ecologicamente compatibili, possa innescare uno sviluppo locale
sostenibile in molti ambiti territoriali le cui potenzialità di sviluppo risultano al momento frenate. In tale ottica un segnale positivo è dato
dal fatto che, in qualche caso, l’Ente gestore dell’area protetta sta lentamente avviando un passaggio da una prima fase di gestione,
contrassegnata da forme di tutela passiva (regime di vincoli e divieti), ad una seconda fase di tutela attiva, dove alla tutela del patrimonio
ambientale si affiancano iniziative volte alla fruizione e alla valorizzazione turistica, in ottica sostenibile, di tale patrimonio. Nella prima
parte del lavoro si esaminerà il percorso che ha portato alla consapevolezza che l’area protetta debba assumere come proprio centro
l’ecosistema antropico, includendo al proprio interno anche le attività economico-sociali, in modo da valorizzare appieno l’identità
locale, e quindi la capacità di attrazione nei confronti di altre realtà territoriali. La seconda parte del lavoro focalizza l’attenzione su una
delle aree protette presenti in territorio siciliano, ossia la Riserva naturale Marina delle Isole Egadi, in provincia di Trapani, area protetta
che, con i sui 53.992 ettari di estensione, è la più estesa riserva marina d’Europa. Si effettuerà un monitoraggio circa le caratteristiche del
territorio protetto, le attività gestionali e la struttura della domanda e dell’offerta turistica, attraverso l’analisi dei dati disponibili e il
ricorso a interlocutori privilegiati. Infine, si delineeranno le problematiche inerenti ad una valorizzazione turistico-ricreativa del territorio
protetto, nel rispetto di criteri di sostenibilità ambientale, in modo da evidenziarne tanto le opportunità di sviluppo quanto gli eventuali
freni allo stesso.
Parole Chiave Aree marine protette, marketing territoriale, sviluppo locale, turismo sostenibile.
Qualità - tradizione - innovazione - i casi studio di Salerno e Catania
Paola Giannattasio
Vincenzo Magra
Università Mediterranea di Reggio Calabria - Dipartimento SAT
Sommario Il dibattito politico e culturale intorno al tema della riqualificazione urbana, al suo significato nella ricerca contemporanea,
sembra porsi oggi in termini diversi da quelli dell’inizio degli anni Ottanta. L’evoluzione stessa del significato di recupero urbano,
momento di trasformazione di un ambiente fisico non associato al concetto di trasformazione urbana, ha vissuto una rapida evoluzione
rintracciabile nei termini riqualificazione e riabilitazione, fino al più attuale concetto di rigenerazione urbana che riconosce alla
trasformazione stessa un insieme di azioni orientate non soltanto allo spazio fisico, ma processo in grado restituire identità o definirne di
nuove dando riconoscibilità ai luoghi. L’attualità disciplinare ed i grandi cambiamenti in atto sembrano individuare nelle politiche urbane
il superamento dei “nodi” della pianificazione tradizionalmente intesa, considerata obsoleta farraginosa e non più adeguata alla gestione
della complessità urbana. Da questa tensione critica, dall’esperienza della programmazione complessa si riapre il dibattito tra piano e
progetto. Se da un lato la “nuova strumentazione” ha fornito una visione multidisciplinare alla strumentazione tradizionale, con approcci
più confacenti all’attualità urbana, di contro ha indebolito l’impalcatura della pianificazione classica divenendo momento di scontri e
dibattiti. Le nuove tecniche di pianificazione hanno evidenziato i limiti del fattore temporale dei processi di pianificazione tradizionale,
ma nello stesso tempo hanno messo in rilievo i limiti di programmi e progetti puntuali su parti di città, non in grado di governare la realtà
urbana. Quello che si vuole evidenziare è la consapevolezza dei limiti della pianificazione tradizionale e l’introduzione dei nuovi
approcci trattati, il che non implica la completa sostituzione della “vecchia” strumentazione, ma la revisione della stessa, per una visione
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più attenta alle trasformazioni in atto, in grado di programmare attuare e gestire, in maniera flessibile i diversi scenari che si andranno a
prospettare. La riqualificazione della città contemporanea sembra dover ripartire da quegli spazi apparentemente senza luoghi e senza
storia che reinterpretati in chiave di “risorsa” possono porre le basi per un processo di riconoscibilità e di reidentificazione delle
specificità dei luoghi. La povertà urbana, il degrado diffuso edilizio ed ambientale, la cancellazione delle preesistenze - trame strutturali e
vecchie identità - esprimono l’involuzione qualitativa della città contemporanea, ma anche i limiti delle pratiche di intervento
settorializzate che le hanno determinate. Il dibattito si orienta sulla necessità di individuare nuove strumentazioni operative per introdurre
l’intervento di parti di città in nome della progettualità urbana. La recente richiesta di qualità ha vissuto negli ultimi decenni in Italia
significative esperienze che hanno visto l’attuazione di una molteplicità di interventi. I due casi studio proposti di Salerno e Catania, si
collocano in tale quadro e testimoniano, in una fase di sviluppo e di forti interessi costituiti ed espressi, l’esigenza di una nuova domanda
di qualità in grado di stimolare nuovi spazi in nome della progettualità urbana.
Metodi statistici per l’analisi di dati territoriali
Paolo Giordani
Università degli Studi di Roma “La Sapienza” - Dipartimento di Statistica - Probabilità e Statistiche Applicate
Sommario Quando i dati statistici si riferiscono ad unità elementari di territorio si parla di dati territoriali. Indipendentemente dalla
natura e dalle caratteristiche del dato territoriale in esame, tale tipologia di dato è caratterizzata principalmente dal venir meno
dell’ipotesi di indipendenza statistica tra le unità osservazionali (territoriali). E’ infatti plausibile assumere che unità territoriali contigue
siano tra loro correlate e presentino interdipendenza in tutte le direzioni nello spazio. La determinazione di un fenomeno in una specifica
unità territoriale influenza ed è influenzata dalle determinazioni di tutte le unità territoriali contigue. La peculiarità di questi dati ha
generato lo sviluppo di una area della statistica dedicata al loro studio ed alla loro analisi. In questo lavoro, vengono presentati alcuni
degli strumenti e metodi statistici per lo studio di dati territoriali. In particolare, i metodi introdotti sono distinti secondo due linee.
Da un lato, seguendo una ottica inferenziale, l’attenzione è rivolta ai modelli probabilistici il cui obiettivo è il problema
dell’interpolazione areale. Spesso, l’informazione su degli aggregati socio-economici è disponibile per un certo livello di
disaggregazione territoriale (ad esempio regionale) al tempo t, ma per un livello più dettagliato di disaggregazione territoriale (ad
esempio provinciale) solamente al tempo t-1. Le tecniche di interpolazione areale permettono di completare il quadro informativo
giungendo a delle stime dell’informazione mancante (provinciale all’anno t).
Dall’altro lato, seguendo una ottica esplorativa, l’attenzione si rivolge invece al problema della classificazione delle unità territoriali in
gruppi omogenei. In questo caso, le procedure di classificazione si riferiscono sia a dati a due vie (unità territoriali x variabili), in cui le
osservazioni sono rappresentabili come nuvole di punti, che a dati a tre vie (unità territoriali x variabili x occasioni temporali), in cui le
osservazioni sono rappresentabili come nuvole di traiettorie temporali. In entrambi i casi si adotta un approccio fuzzy al problema
dell’analisi dei gruppi, maggiormente adatto allo studio di fenomeni reali, in virtù della sua flessibilità e adattabilità. Tale approccio
consiste nell’assegnare le unità osservazionali ai gruppi secondo il cosiddetto grado di appartenenza che varia tra 0 ed 1 (0 nel caso di
completa non-appartenenza, 1 nel caso di completa appartenenza). Nelle analisi a due e tre vie, i metodi di classificazione fuzzy si basano
su appropriate misure di dissimilarità in grado di cogliere l’informazione essenziale contenuta nei dati. In particolare, nel caso a tre vie, si
possono introdurre misure di dissimilarità tali da poter studiare sia le caratteristiche statiche (la posizione) delle traiettorie che quelle
dinamiche (l’evoluzione). La componente spaziale interviene nell’algoritmo di classificazione introducendo una funzione di perdita tale
da garantire che i gruppi ottenuti siano perlopiù formati da unità territoriali contigue al fine di consentire la caratterizzazione spaziale dei
gruppi risultanti.
Parole Chiave Analisi statistica spaziale, interpolazione areale, analisi dei gruppi, approccio fuzzy, dati longitudinali.
Prima del piano strategico. Co-pianificazione e cooperazione istituzionale nei piani
specialistici. Un caso dell’Italia meridionale
Eleonora Giovene di Girasole
Università degli Studi di Napoli “Federico II” – Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici ed Ambientali
Giuseppe Guida
Università degli Studi di Napoli “Federico II” - Dipartimento di Urbanistica della Facoltà di Architettura
Sommario Da qualche anno diverse realtà metropolitane stanno affidando a piani cosiddetti “strategici” le occasioni di sviluppo che
troppo spesso hanno mancato per colpa della frammentazione istituzionale, di una distribuzione di risorse con una buona dose di
casualità e di strumenti urbanistici comprensivi e spesso velleitariamente deterministici. Questo scenario penalizza innanzitutto le areevolano dello sviluppo economico prima ancora dei territori in crisi e da rigenerare che proprio delle aree di eccellenza fanno leva, con un
effetto “traino”. All’interno di un piano strategico l’urbanistica è chiamata a dare un nuovo ruolo alle diverse dimensioni urbane e, in
particolare al Sud, agli specifici contesti territoriali legando gli obiettivi della riqualificazione e dello sviluppo alla contestuale
valorizzazione delle risorse territoriali locali. Il Sud della Penisola, spesso “laboratorio” di innovazione anche per le discipline territoriali,
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soffre della mancanza di veri strumenti di area vasta (in particolare Piani Territoriali Provinciali), spesso ancora agli esordi del loro iter e
che dovrebbero favorire la cooperazione istituzionale, orizzontale e verticale, ma che spesso restano ancorati a tutte le loro conclamate
difficoltà di costruire orientamenti convergenti delle singole politiche territoriali. A fronte di queste eccessive incertezze, emerge il ruolo
dei piani di settore (Piani Paesistici, Piani di Bacino, Piani del Parco) che, pur nell’ambito di una specifica competenza, sollecitano
istituzioni differenti verso una programmazione convergente, una co-pianificazione, stimolata proprio da una maggiore efficacia di questi
strumenti, di cui si tenterà di dimostrare un carattere “implicitamente strategico” che fa leva sulle risorse ma anche sui rischi e sulle
problematicità di un territorio. Attraverso il caso della Penisola Sorrentina, nell’area metropolitana di Napoli, si tenterà una verifica delle
ipotesi delineate. Su questo territorio insistono due importanti strumenti di pianificazione: il PUT (Piano Urbanistico Territoriale, uno dei
primi e più importanti piani paesistici ad essere approvato a seguito della legge Galasso) e due Piani di Bacino (quello del fiume Sarno e
quello del “destra Sele”). Tali strumenti determinano ed influenzano tutte le scelte di pianificazione territoriale e dello sviluppo dell’area
e hanno segnato importanti momenti di cooperazione istituzionale in un territorio il cui enorme potenziale è stato limitato spesso da
strategie sconnesse e foriere di una programmazione debole ed inefficace. Per aree sensibili come questa, i piani di settore appaiono,
cioè, utili nel definire i complessi processi di trasformazione urbana, territoriale ed ambientale che la investono. Il tutto con l’obiettivo di
integrare gli aspetti economici, infrastrutturali, culturali e sociali con quelli paesistico-ambientali, mettendo in discussione l’approccio
esclusivamente consumistico-territoriale. Attuare, anche attraverso la settorialità dell’intervento, un governo complessivo e una qualità
del mutamento del territorio capaci di realizzare “l’equilibrio dinamico tra le dimensioni economica, sociale ed ambientale” proprio dello
sviluppo sostenibile.
Parole Chiave Co-pianificazione, strategico, piani di settore, sviluppo sostenibile.
La net economy delle cooperative sociale della provincia di Perugia
Pierluigi Grasselli
Cristina Montesi
Università degli Studi di Perugia - Dipartimento di Economia
Sommario Questa relazione rappresenta una sintesi riveduta e corretta di un più ampio lavoro di ricerca, coordinato dal Prof. Pierluigi
Grasselli e condotto da Cristina Montesi, Valentina Capponi, Silvia D’Allestro, Simona Menegon sugli aspetti innovativi delle imprese
sociali umbre. L’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione dell’Umbria, nel quadro delle azioni strategiche previste dal Piano
Sociale Regionale nei confronti del Terzo Settore, ha promosso la realizzazione della ricerca su “La Net Economy delle cooperative
sociali della provincia di Perugia” ad opera del Dipartimento di Economia, Finanza e Statistica dell’Università degli Studi di Perugia. La
ricerca ha investigato, tramite la somministrazione di un questionario, la diffusione delle ICT (Information and Communication
Technologies) tra le cooperative sociali ed i consorzi sociali della provincia di Perugia iscritti all’Albo regionale al fine di disporre di
elementi di giudizio utili per la modernizzazione del settore e l’ottimizzazione della loro utilizzazione. Nella prima parte della ricerca
viene esaminato il grado di informatizzazione ed il grado di utilizzazione delle ICT nelle modalità più interattive (posta elettronica,
internet, siti web) rispettivamente analizzate per finalità, interlocutori principali coinvolti, tipologie di reti istituite. Si illustrano più in
dettaglio le diverse caratteristiche ed i vantaggi attesi e conseguiti dai siti web, gli ostacoli che hanno impedito la loro adozione da parte
di alcune cooperative sociali, il loro orientamento a volere in futuro colmare questo gap tecnologico anche grazie all’aiuto delle
istituzioni locali e di altri enti di sviluppo economico regionale ed al sostegno tecnico di figure (esterne o interne all’impresa). Nella
seconda parte vengono invece esposte le risultanze di una valutazione, effettuata in base ad una metodologia sperimentale appositamente
ideata per le cooperative sociali, dei siti web già esistenti delle cooperative di tipo A, di tipo B e dei consorzi, facendo un benchmarking
dei siti all’interno di ciascun gruppo di cooperative e tra i due differenti gruppi. Sempre sulla base delle risultanze della ricerca, si
ipotizza, per i suoi indiscutibili vantaggi conseguibili dal lato delle imprese sociali, degli utenti, di altri soggetti, la innovativa idea di
creazione di una nuova architettura relazionale per la Net Economy delle imprese sociali, ovvero la creazione di un portale, di cui si
delinea concretamente la struttura. Alcune riflessioni di sintesi ed indicazioni di policy chiudono la ricerca. La ricerca non è soltanto
“pionieristica” per la tematica trattata, che non ha precedenti in Umbria riguardo alle imprese sociali, ma è anche statisticamente
significativa avendo coinvolto l’intero universo delle cooperative sociali e dei loro consorzi, caratteristica questa particolarmente
rilevante anche per le indicazioni di policy che sono emerse dalla ricerca stessa. L’indagine non si è limitata alla descrizione del
fenomeno, ma ha avuto anche dei risvolti operativi. Ha consentito di fornire alle imprese sociali un servizio reale personalizzato
consistente nella valutazione dei siti web, nella rappresentazione grafica del loro stile comunicativo e nella formulazione di consigli per il
loro restyling. Ha permesso di far concretamente decollare la realizzazione del portale, vista l’esistenza di misure finanziarie comunitarie
rivolte al miglioramento dell’utilizzo della Tecnologie dell’Informazione e Comunicazione da parte di raggruppamenti di imprese
(Programma comunitario “Vision”), attraverso l’intervento di Umbriainnovazione, l’agenzia regionale deputata all’innovazione ed al
trasferimento di tecnologie. Nel titolo della ricerca risiede l’inedita chiave di lettura del fenomeno che, per la sua capacità di generare sul
piano virtuale delle comunità di apprendimento “ad intelligenza distribuita”, viene interpretata come Net Economy (ovvero come
Economia di Rete) e non semplicemente come New Economy (Nuova Economia), in linea con l’impostazione comunitaria del welfare
regionale racchiusa nel Piano Sociale Regionale.
Parole Chiave New economy, net economy, comunità virtuale, comunità di apprendimento.
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Divari economici e mutamenti strutturali nei sistemi locali italiani
Massimo Guagnini
Prometeia s.r.l.
Sommario La recente diffusione dei risultati del censimento delle attività produttive del 2001 e delle stime Istat su occupazione e valore
aggiunto a livello di sistema locale del lavoro fornisce un’occasione importante per affrontare l’analisi delle caratteristiche strutturali dei
sistemi locali italiani e delle loro tendenze evolutive, in particolare della loro capacità di affrontare con successo l’attuale fase di
innovazione tecnologica e di globalizzazione dei mercati. L’utilizzo delle nuove informazioni ha un duplice obiettivo: da un lato di
misurare l’entità dei divari economici che si manifestano a livello sub-provinciale, sulla base di informazioni statistiche di fonte ufficiale.
D’altro lato si tratta di individuare il ruolo che i fattori di tipo strutturale (composizione settoriale dei sistema locale, caratteristiche
demografiche, carattere metropolitano o distrettuale del sistema locale, ...) hanno nella formazione dei divari economici, fornendo quindi
un riscontro empirico al dibattito sul futuro dei sistemi locali italiani. Di particolare rilievo è la possibilità di sottoporre ad una prima
parziale verifica alcune teorie sullo sviluppo dei distretti industriali e sul ruolo economico dei sistemi urbani, evidenziando in particolare
il ruolo che può essere attribuito all’innovazione tecnologica. Il posizionamento tecnologico dei singoli sistemi metropolitano può essere
misurato riclassificando i dati derivanti dal censimento sulle attività produttive secondo le tassonomie settoriali recentemente predisposte
in analisi realizzate a livello europeo. In questo modo è possibile individuare, con un certo livello di approssimazione, quella che può
essere interpretata come la dotazione di fattori innovativi dei sistemi e verificare in quale misura impatti sul livello di sviluppo
economico del territorio italiano. L’analisi è caratterizzata da una dimensione territoriale particolarmente spinta, in quanto affronta i
problemi sopra indicati a livello dei 784 sistemi locali del lavoro, individuati da Istat e Irpet come aggregazione dei comuni. Si tratta
quindi di una scala geografica che offre, almeno potenzialmente, un dettaglio informativo molto spinto dal punto di vista della
disponibilità di informazioni statistiche, ma fornisce anche uno stimolo importante per le analisi, in quanti i sistemi locali sono stati
spesso utilizzati anche per la definizione dei distretti industriali e delle aree urbane / metropolitane. Si tratta quindi di un modo di
analizzare il territorio che non solo è ricco di suggestione, ma che offre la possibilità di fare riferimento ai risultati di analisi precedenti,
verificando con i dati più recenti le ipotesi sullo sviluppo del territorio italiano avanzate negli ultimi anni.
Parole Chiave Sistemi locali, divari PIL, città, distretti.
A Sud. La nuova periferia di metropoli mai nate
Giuseppe Guida
Facoltà di Architettura di Napoli - Dipartimento di Urbanistica
Sommario Lontana dai paesaggi e dai “fatti urbani” ricorrenti nelle narrazioni di un settentrione dove invece appare legata a positivi
percorsi di decentramento dello sviluppo, l’esperienza della diffusione insediativa al Sud viene in genere approssimata ad un’immagine
di degrado fisico e marginalità sociale. Questi caratteri del territorio meridionale appaiono incapaci di favorire e di rafforzare una
struttura per gli insediamenti a bassa densità e una gestione coerente delle intersezioni tra morfologie insediative e sociali. Del processo
della diffusione insediativa, la ricerca nazionale ed internazionale ha provato a darne varie interpretazioni attraverso diverse immagini.
Dalla città diffusa alla città dispersa e diramata, dalla explosió de la ciutat alla ville éclatée ad una revisione del concetto di großstadt,
queste «figure dello sguardo» sono state assunte dall’urbanista per costruire racconti che aggiornassero un modello culturale persistente
della città europea come città concentrata e contrapposta alla campagna prima e alla periferia poi, e per proporre progetti che potessero
assumere un senso in relazione a contesti specifici (Secchi). Proprio quei contesti che, dietro l’apparente omologazione del territorio
europeo o l’immagine facilmente evocativa di “territori sempre più simili”, sono definiti da quel mondo di storia, tradizioni, pratiche,
costumi, consuetudini ed istituzioni che dà attributi specifici e non omologabili. E questo non soltanto nelle diverse realtà di dispersione
delle diverse nazioni europee ma, con ogni evidenza, anche all’interno dei singoli confini nazionali. È in questo contesto che l’Italia si fa
specchio di quella scarsa omogeneità e diversità, in qualità e quantità, di capitale economico, capitale culturale e capitale sociale
(Bourdieu) che stridono con qualsiasi assimilazione forzata delle parti diverse del Paese. A voler recuperare la metafora “dei porcospini”
di Schopenhauer, utilizzata da Bernardo Secchi per le morfologie del territorio, spesso, e più spesso proprio al Sud, emergono forme di
un “progressivo adattamento” che consente a meccanismi informali di funzionare come sistemi di regolazione e di garantire il controllo
del conflitto assicurando la “riproduzione sociale”. Oltre un certo livello però, questo disordine - nelle regole, nelle morfologie fisiche e
nelle pratiche sociali - diviene consuetudine e senso comune, si legittima, cioè, come condizione possibile e razionale. Elementi che
spesso nel meridione d’Italia fanno degenerare il sistema attraverso “sottoprodotti” dell’azione singola o collettiva e che legittimano
quelle che Carlo Donolo chiama “pratiche sregolative”, delegittimando, dall’altro lato, gli strumenti “regolatori”. L’“arcipelago
metropolitano” che si può leggere nelle regioni dell’Italia Meridionale, così come descritto, è caratterizzato dall’assenza di vere e proprie
metropoli che, persa l’occasione di diventare tali, hanno spalmato la loro crescita su “territori inconsapevoli”, diventati, troppo
velocemente, estese conurbazioni. Partendo da questi assunti e dal contributo ad alcune ricerche internazionali, con il paper si tenterà di
affrontare alcuni quesiti, da verificare con uno sguardo particolare all’area metropolitana di Napoli. Come ricostruire il problema urbano
e il tema del progettare e riqualificare la bassa densità, per un’urbanistica che ancora riflette sul dualismo città-campagna e che in buona
parte dichiara di aver abbandonato le pratiche funzionaliste e le velleità deterministiche? Come leggere il diverso modo dei cittadini di
intendere il rapporto città-campagna, i diversi habitus e diversi habitat (Bourdieu), i diversi “fatti urbani”, le diverse declinazioni della
società multiculturale? (Corboz). E fino a che punto, dietro l’apparente uniformità artificiale dei diversi contesti che l’esperienza ci
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propone, è possibile riconoscere caratteri solidamente originali di molti paesaggi meridionali, che fanno leva su tracce di passate
antropizzazioni, su diversi modi di incidere del progetto pubblico e sui molteplici scostamenti individuali da questo progetto?
Parole Chiave Disordine, dispersione, meridione, progetto urbanistico.
ISIS: interregional socio - industrial system. Un modello per l’analisi di scenari
macroeconomici
Rolando Guzzi
CREA - Ecole Polytechnique - Paris
Simone Landini
IRES Piemonte
Sommario In questo lavoro presentiamo un modello macroeconomico finalizzato all’analisi di scenario delle economie nazionali e
regionali. ISIS è un modello basato sulla teoria della complessità, indotta dai sistemi dinamici non lineari. Operativamente il modello
deterministico (anche se non intrinsecamente) ed implementa un’economia aperta multisettoriale mediante in set di equazioni
differenziali che hanno due motori concettuali: la logica delle interdipendenze settoriali dell’economia e le diverse interazioni spaziali tra
le localizzazioni industriali. Questo strumento analitico, piuttosto che presentarsi come un modello di previsione esplica le sue
potenzialità da un punto di vista cognitivo, cercando cioè di comprendere quali siano le reazioni delle componenti a fronte di stimoli,
consentendo di valutare la capacità di reazione del sistema economico-localizzativo e di sviluppare scenari macroeconomici consistenti
con l’economia reale. L’obiettivo principale del modello è di fornire strumenti operativi e cognitivi con cui poter delineare scenari di
supporto al decision making, alla programmazione e alla lettura dei processi socioeconomici regionali. Questo obiettivo è raggiunto
ottenendo condizioni di ordine lontano dallo stato di equilibrio, attraverso processi di razionalità limitata del suo comportamento locale,
che si basano sul mantenimento della memoria e della dinamica storica del sistema entro vincoli di coerenza economica delle dinamiche
globali. Il modello si fonda su diverse componenti endogene (population, capital stock, backlog of orders, production, prices, inputoutput structure) per i settori industriali della contabilità regionale supponendo che ogni attore sia in grado di gestire, mediante opportune
politiche di investimento, la sua capacità produttiva, le sue tecnologie di produzione e l’offerta. Ogni attore è operativamente definito
come la congiunzione di una dimensione settoriale ed una territoriale e si suppone che sia a conoscenza della sua situazione locale e
pertanto ipotizziamo che disponga una incompleta percezione della situazione degli attori di altre realtà regional-settoriali. Altre
grandezze che vengo prese in considerazione sono: valore esportazioni, valore importazioni indice di utilizzazione della capacità
produttiva e attrazione relativa percepita tra agenti settorial-regionali differenti. Saranno presi in considerazione alcuni risultati derivanti
dai dati della calibrazione con i dati reali e infine si mostrerà il caso di uno scenario macroeconomico regionale ponendo particolare
attenzione alla performance del Piemonte nel contesto nazionale.
Parole Chiave Sistemi dinamici, complessità, modelli input-output, analisi di scenario.
La mobilità sostenibile come politica di sviluppo economico e coesione sociale
Raffaele Iaccarino
Angela Sannino
Università degli Studi Di Napoli
Sommario LA MOBILITA’ SOSTENIBILE COME POLITICA DI SVILUPPO ECONOMICO E COESIONE SOCIALE di Angela
Sannino e Raffaele Iaccarino In coerenza con le politiche comunitarie, la sfida principale da porsi per una politica di sviluppo è senz’altro
quella di riuscire a definire ed offrire adeguate prestazioni di governo all’evoluzione degli assetti socio-economici ed insediativi locali, a
fronte di una rapida evoluzione dell’economia e degli assetti produttivi che ha inevitabilmente come scenario il mercato globale. In
questo senso il PTCP diventa un elemento di strategia di area, un quadro di riferimento attraverso cui selezionare le strategie di relazione
interna ed esterna e i progetti che consolidino i punti di forza locali e immettano nuove identità dinamiche sul territorio, per mettere i
sistemi locali in condizione di affrontare le nuove sfide competitive imposte dalla continua e rapida evoluzione degli scenari di mercato.
L’idea chiave proposta dal presente articolo, per inquadrare le strategie di sviluppo territoriale, consiste nella “creazione di un territorio
che consenta l’interconnessione di grandi reti relazionali terrestri e grandi reti relazionali marittime”, al fine di uscire dalla situazione di
relativa perifericità in cui si trovano diversi sottosistemi territoriali e produttivi. La metodologia che si vuole proporre mette in risalto
alcuni elementi cardini da considerare per la realizzazione di un Piano di mobilità sostenibile che funga da volano per lo sviluppo
economico locale e contribuisca ad accrescere il livello di coesione sociale: - nuova programmazione delle attività sul territorio:
mettendo in risalto sempre più in relazione le politiche dei trasporti e una programmazione territoriale che superi la scala comunale dei
PRG e porti ad una programmazione di area vasta in modo da garantire densificazione degli insediamenti prevedendo così la
localizzazione di servizi logistici; - sviluppo della metropolitana regionale: attrezzando tecnologicamente le linee ferroviarie esistenti
realizzando l’interramento della maggior parte delle linee esistenti al fine di evitare che queste fungano da “barriera” rendendo,
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contemporaneamente, le stazioni (i nodi) dei poli di riqualificazione urbana; - creazione della intermodalità: organizzando il trasporto
senza la cosiddetta rottura dell’unità di carico attraverso l’uso coordinato di differenti mezzi (terrestri, marittimi, fluviali, etc.) al fine di
trovare la via più efficace ed economica per incrementare la prestazione complessiva dal punto di origine a quello di destinazione; realizzazione delle autostrade del mare: dirottando il trasporto merci attraverso le vie del mare, approvate dall’UE, riducendo il traffico
delle strade e realizzando un vero sistema intermodale; - riduzione della mobilità privata nelle aree urbane: attenuando la congestione
urbana attraverso la realizzazione di tramvie e metropolitane di superficie anche attraverso la sperimentazione di nuove tecnologie. In
sintesi, per creare una mobilità sostenibile bisogna prevedere la combinazione di diversi strumenti (migliore pianificazione dello sviluppo
territoriale ed economico, migliore pianificazione, gestione e utilizzazione delle infrastrutture e dei mezzi di trasporto, sviluppo dei
trasporti pubblici e miglioramento della loro competitività, promozione di un uso razionale delle autovetture private, innovazione
tecnologica) che coniughino un complesso di politiche ed interventi che vanno dalla corretta e moderna infrastrutturazione, allo
snellimento nella procedure autorizzative, al marketing territoriale.
Parole Chiave Mobilità, sostenibile.
La valutazione per la perequazione urbanistica
Antonio Iazzetta
Università degli Studi di Napoli
Sommario Il processo di piano è il momento nel quale si possono raccordare le istanze, gli obiettivi, i valori molteplici, eterogenei ed
anche conflittuali, di una comunità che dispiega la propria attività utilizzando lo spazio fisico naturale e costruito. Da sempre il processo
di elaborazione dei piani urbanistici e territoriali, per la natura stessa di questi strumenti, è intriso di valutazioni, anche se queste non
vengono mai rigorosamente esplicitate. Nella pianificazione urbanistica, l’ambito di applicazione delle valutazioni è il contenuto del
piano e cioè le scelte che il pianificatore compie nell’allocazione delle risorse coinvolte dal piano e dal loro uso. La valutazione, sotto
queste forme, ha sempre fatto parte dei processi di decisione in urbanistica, ma può svolgere, soprattutto nell’epoca contemporanea un
ruolo più incisivo. Negli ultimi anni sono numerosi i fattori che hanno posto nuove istanze. Fra tutti quelli che sembrano oggi giocare un
ruolo decisivo emergono una più condivisa ed articolata accettazione del territorio come risorsa globale (economica, sociale, storica,
estetica, ambientale, ecosistemica), la diversificazione degli strumenti di gestione del territorio, ed una più efficace integrazione tra
strumenti e politiche di piano e dispositivi di produzione ed allocazione delle risorse secondo criteri di equità distributiva. Il piano
urbanistico è, quindi, lo strumento che può combinare le istanze poste dalla conservazione con lo sviluppo, ricercandone i livelli
complessivamente più soddisfacenti.
L’efficacia del piano comporta che le decisioni assunte in merito all’uso delle risorse siano realizzabili, soprattutto in fase attuativa. In
questa fase, come abbiamo visto non si può prescindere dalla individuazione dei soggetti, delle risorse finanziarie e delle procedure su
cui si ritiene di poter fare affidamento. In questo quadro l’informazione estimativa risulta indispensabile e la sua attendibilità essenziale
perché il piano attuativo possa avere successo. Elementi conoscitivi elementari, a questo proposito, sono i valori immobiliari, i costi di
produzione, il costo del denaro, il prelievo fiscale, ecc. Altresì la fattibilità si confronta con la dimensione temporale della pianificazione.
Sino ad oggi la pianificazione ha avuto un carattere atemporale, ma di recente di tende a riconoscere l’importanza della separazione dei
contenuti di carattere strutturale rivolti al lungo periodo, da quelli di natura operativa di breve-medio periodo. La verifica di fattibilità
finanziaria, attraverso l’analisi della domanda, delle sua evoluzione, nonché l’analisi dell’offerta e della sua evoluzione; l’analisi dei costi
iniziali di investimento e di quelli di manutenzione/gestione; l’analisi dei canoni e delle tariffe applicabili, consente di controllare i
benefici netti nel tempo per ciascuno dei molteplici soggetti coinvolti, elaborando altrettanti bilanci finanziari. Risultano di grande utilità
le valutazioni che si fondano sui principi della scienza economica, quali la stima dell’investimento, l’analisi finanziaria, l’analisi
costi/benefici, ecc. A differenza di altre , queste tecniche, hanno il pregio di presentare sul piano scientifico, una notevole solidità
teorico-metodologica e, sul piano pratico, una elevata capacità di produrre risultati estremamente stringenti per il sistema degli attori
coinvolti.
Parole Chiave Valutazione, perequazione, urbanistica.
Valutazione di alternative di intervento per il recupero e la rifunzionalizzazione di
borgate alpine: il caso di Varda
Luisa Ingaramo
Manuela Rebaudengo
Politecnico di Torino - DICAS
Sommario Valutazione di alternative di intervento per il recupero e la rifunzionalizzazione di borgate alpine: il caso di Varda. Il presente
contributo illustra parte degli esiti delle verifiche di sostenibilità tecnica ed economico-finanziaria sviluppate nello studio di fattibilità per
il recupero delle borgate abbandonate di montagna, curato dal Politecnico di Torino (DISET) per la Regione Piemonte nell’ambito del
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progetto Alpcity. Il progetto AlpCity parte dall’idea che le comunità locali minori siano nell’ambiente montano di cruciale importanza
per la salvaguardia, la sopravvivenza e lo sviluppo sostenibile dell’economia, della società e della cultura alpina. Tale progetto si
inserisce in una politica europea che intende promuovere uno sviluppo policentrico equilibrato delle Alpi, in cui i Comuni di tutte le
dimensioni abbiano un ruolo da giocare e pari dignità. Esso parte dal presupposto che esistano già in alcune aree alpine condizioni
appetibili per chi apprezza e ricerca uno stile di vita diverso da quello proposto dai modelli urbani e metropolitani. In specifico il paper
sviluppa un’analisi della borgata Varda, frazione del Comune di Noasca, nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, scelta come caso pilota
del progetto AlpCity, con l’obiettivo di prefigurare un modello di recupero sociale ed economico integrato dei centri alpini minori
attraverso lo sviluppo di un turismo sostenibile. A partire da un esame del patrimonio edilizio della borgata per individuare le reali
condizioni di trasformabilità, di riuso e di accessibilità legate al sito, è stata sviluppata una valutazione delle possibili alternative per la
rifunzionalizzazione degli edifici, secondo differenti ipotesi di insediamento (attività residenziali, turistiche, agro-pastorali, artigianali e
produttive, ecc.). La scelta dell’alternativa di uso/riuso preferibile, su cui effettuare le successive verifiche economico-finanziarie, si basa
sulla teoria dell’analisi gerarchica ed è stata messa a punto attraverso l’utilizzo di un apposito software di calcolo (Expert Choice 2000).
L’applicazione del metodo gerarchico come strumento di aiuto alle decisioni consente di individuare, tra le alternative determinate,
quella più efficace, considerando i pesi ed i valori dei criteri utilizzati per la scelta: gli aspetti tecnici (in funzione del livello di
accessibilità del luogo e dell’articolazione dell’edificato), quelli sociali e quelli finanziario-gestionali, sia in termini di investimento
iniziale che di livello di “autofinanziamento dell’intervento” durante tutto il periodo di gestione.
Parole Chiave Multicriteri, fattibilità, borgata alpina, processo decisionale.
Innovazione e identità locale: un’analisi istituzionale e relazionale sul recupero e lo
sviluppo del centro storico di Palermo
Maria Ingrao
Università degli Studi di Palermo
Carmelo Provenzano
London School of Economics and Political Science
Sommario Negli ultimi anni in economia, ma anche nelle discipline che si occupano di pianificazione territoriale, si assiste ad una nuova
cultura del progetto e in particolare ad una nuova concezione dello sviluppo locale. Il territorio, inteso come spazio relazionale (che si
affianca e si contrappone allo spazio cibernetico del mondo globale di internet), con il suo DNA culturale e storico, con i suoi vantaggi
comparati e con la sua vocazione economica, diventa una delle principali chiavi di lettura attraverso cui vanno letti la complessità
produttiva dei centri storici e i loro possibili futuri scenari socio-economici. La dimensione territoriale recupera la sua componente
storica e diventa un elemento denso di significati, intrecciato da una fitta rete di relazioni e con una propria dinamica interna.
L’importanza dei contesti e delle loro specificità, è venuta crescendo con il passaggio dal polo industriale - dove la grande impresa
fordista costituiva il motore dello sviluppo - al distretto industriale - inteso come network relazionale tra piccole e medie imprese che si
integrano con il proprio retroterra culturale, sociale e ambientale. Nel sistema produttivo locale, si assiste così, non solo ad una mera
trasformazione tecnica degli input in output, ma ad una riproduzione dei presupposti materiali e umani da cui prende avvio il processo
produttivo stesso e ad una conversione delle competenze, delle informazioni e delle conoscenze locali. Quanto appena detto è ancora più
vero per i sistemi produttivi del centro storico concepito come un insieme di risorse materiali - strade, palazzi, monumenti - e di risorse
immateriali - relazioni interdipendenti tra diverse unità locali - che costituiscono un complesso sistema urbano in cui si sono sedimentate
la cultura e la storia dei popoli. Lo sviluppo e il recupero del centro storico si presenta, così, come il risultato di diversi agenti economici
competenti ed innovatori che, sulla base di dotazioni economiche e culturali, danno luogo ad un processo di interazioni virtuose che
promuove la generazione e l’accumulazione di nuova conoscenza. Il ruolo dell’identità locale e dell’innovazione nel centro storico, può
dunque essere meglio compreso se si cerca di approfondire le relazioni esistenti tra il processo di innovazione e la capacità dei singoli
agenti economici di instaurare, sulla base di istituzioni formali, informali e intermedie presenti nel territorio, una fitta rete di relazioni
sociali in grado di sviluppare un apprendimento collettivo e, in ultima analisi, di promuovere la crescita economico-sociale del area
oggetto di analisi.
Parole Chiave Innovazione, identità locale, sviluppo, centro storico.
Programmi integrati per il commercio in Toscana
Luigi Josi
Università IUAV di Venezia - Dipartimento di Pianificazione
Sommario Negli ultimi cinque anni abbiamo visto crescere in numero e qualità le politiche finalizzate al sostegno economico ed alla
promozione di progetti rivolti al settore del commercio di vicinato sia urbano che rurale o montano, da parte dell’ente regionale
all’indirizzo di enti locali, imprese, realtà associative di settore. Fra queste politiche vi è il sostegno e la promozione ad ampio raggio di
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“Programmi integrati di rivitalizzazione” per il piccolo commercio, di cui i comuni - secondo la normativa regionale, ora riordinata nel
nuovo Codice del commercio - hanno facoltà di dotarsi e perciò di concorrere ai relativi finanziamenti (sia regionali che Ue). La proposta
di programmi integrati va nella direzione di stimolare lo sviluppo, nel settore del commercio tradizionale, di pratiche associative, quando
non di tipo pseudo-distrettuale, che si attuino per mezzo della promozione di consorzi fra imprese le cui attività siano spazialmente
contigue, ma anche per mezzo della sollecitazione di accordi di tipo verticale fra produttori tipici e rete distributiva locale. La normativa
regionale ed il Piano Regionale di Sviluppo Economico favoriscono la sperimentazione e lo sviluppo di queste forme e mettono a
disposizione risorse economiche ed organizzative. Questo contribut o si propone come occasione di riflessione (e valutazione critica) di
alcuni Programmi integrati che sono stati esaminati direttamente. In particolare sono state osservate le azioni integrate in corso di
sviluppo nei comuni di Colle Val d’Elsa (Programma di Valorizzazione Urbana “Fabbrica Colle”), di Castelfiorentino (Centro
Commerciale Naturale “Tre Piazze”) e di Empoli (Centro Commerciale Naturale di Empoli), nonché una serie di azioni di minore
complessità - ma dagli sviluppi di sicuro interesse - di alcuni comuni della provincia di Pisa (“Rete del Monte Pisano”).
Attraverso l’esame dei singoli casi è difatti possibile evidenziare: a) in che modo è stato diversamente interpretato il requisito
(essenziale) dell’integrazione di attori pubblici, attori collettivi ed attori privati; b) il grado di successo, o i limiti, di iniziative la cui
natura è fondamentalmente empirica; c) il grado di sincronia ed il livello di sintonia fra operazioni che rinviano agli strumenti della
pianificazione urbanistica, ed operazioni che invece attengono al campo della promozione economica e del marketing urbano. Obiettivo
del presente intervento è individuare, sulla base degli esiti emersi dai programmi esaminati, gli elementi di forza e di difficoltà insite in
modelli di azione di tipo integrato; integrazione che non riguarda soltanto attori di parti logicamente avverse (pubblico e privato), ma
anche attori della stessa parte (pubblici diversi).
Parole Chiave Commercio, integrazione, partenariato.
La zonizzazione turistica del territorio urbano come strumento per la definizione delle
traiettorie di sviluppo. Il caso di Napoli
Rosa Anna La Rocca
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Sommario Lo studio rappresenta un approfondimento di un percorso di ricerca, precedentemente sviluppato, finalizzato alla costruzione
di una metodologia per la razionalizzazione dell’offerta urbana finalizzata all’uso turistico del territorio. In particolare, assumendo la città
di Napoli come territorio di sperimentazione, nello studio si propone uno schema di assetto relativo alle possibili traiettorie di sviluppo
turistico della città. Base dello studio è la considerazione che il turismo, per le dimensioni assunte e per la capillare diffusione raggiunta,
costituisce un fenomeno ad elevato impatto territoriale. L’attività turistica, infatti, ha profondamente modificato l’assetto fisico di interi
territori proponendo un modello di sviluppo sempre più omologato a specifici “stili”, rispondenti alle tendenze, alle mode e ai gusti che il
mercato propone in un particolare momento. Divenuto uno dei principali settori per gli investimenti economici, sia pubblici che privati, il
turismo è un fenomeno in forte espansione sostenuta e favorita da visioni di crescita e di sviluppo economico. Sono sempre più numerosi,
infatti, i paesi che, investendo nell’attività turistica, propongono le proprie risorse (artistiche, ambientali, paesaggistiche, culturali,
climatiche o gastronomiche) in termini di prodotto, per soddisfare una domanda che diventa sempre più consistente, diversificata ed
esigente. Tra le molteplici tipologie turistiche il “turismo urbano” si sta affermando con sempre più forza dando luogo ad un segmento
specifico di domanda che richiede elevati livelli di qualità. La città, infatti, rappresenta attualmente una delle destinazioni turistiche per
eccellenza. Le città contemporanee sono diventate “oggetto del desiderio turistico” non solo in qualità di principali contenitori di siti
pregiati ed oggetti di valore, bensì in virtù del loro essere “luogo privilegiato” nel quale si concretizzano le possibilità di prendere parte
ad eventi in qualche modo unici, che possano rendere “esclusiva” l’esperienza turistica. L’affermarsi di questa nuova domanda turistica,
che si concentra nelle città, ha favorito l’attivazione di numerose strategie di promozione urbana volte al miglioramento dell’immagine
della città. A tale miglioramento, spesso, si legano le possibilità di incrementare la competitività e lo sviluppo economico della città.
Intesa così, l’attività turistica da elemento destabilizzante può divenire occasione per innescare positivi meccanismi di riqualificazione e
rivitalizzazione urbana. Obiettivo di questo studio è mettere a punto uno strumento che consenta di ottimizzare gli interventi per uno
sviluppo turisticamente orientato in una città ad elevata vocazione turistica. A tale scopo, il lavoro, assumendo la città di Napoli quale
area di sperimentazione, propone di articolare il territorio urbano in ambiti turistici classificati sulla base di un indice di attrazione
definito in rapporto alle caratteristiche dell’offerta turistica presente. Tale zonizzazione del territorio urbano consentendo di localizzare le
aree suscettibili alla trasformazione permette di differenziare gli interventi e di indicare le possibili traiettorie per uno sviluppo turistico
compatibile con le caratteristiche e le risorse del territorio.
Parole Chiave Zonizzazione turistica, traiettorie di sviluppo, governo delle trasformazioni urbane.
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Il ruolo delle attività di R&S nella creazione di imprese: problemi di analisi e di policy
Maria Lamonarca
Università degli Studi di Bari
Sommario Si può affermare che oggi siamo in un regime di “economia della conoscenza” nel senso che nella funzione della produzione
le componenti immateriali dei beni e dei servizi tendono a superare quelle materiali in termini di valore. A differenza dei processi
tradizionali di produzione, quello di creazione di conoscenza ed innovazione (conoscenza applicata) non è più confinato entro l’impresa,
ma richiede il coinvolgimento di vere e proprie reti associative, che cooperino per la circolazione di conoscenza, tecnologia ed
innovazione, e per dar luogo a processi di interazione e di apprendimento (Vinding, 2001; Cohen, Levinthal, 1990).
L’esperienza ha dimostrato che la prossimità geografica favorisce i processi di spill-over informativi e conoscitivi, e la combinazione e
ricombinazione di conoscenze, per il fatto che crea un “ambiente” favorevole a creare e assorbire conoscenza/tecnologia. Laddove questo
processo risulti un’evoluzione spontanea, la nascita di una nuova generazione di imprese e di spin-off innovativi diventa un obiettivo di
policy con la missione di avviare processi di cambiamento tecnologico in un contesto che, avendo un’abbondanza di forza lavoro, è
spontaneamente portato a produrre beni ad elevato contenuto di lavoro (Acocella, 2004).
In questa ottica assume fondamentale importanza l’obiettivo di stimolare le imprese ad investire in ricerca e sviluppo potenziando sia le
strutture interne alle imprese sia le nuove opportunità di collaborazione nazionale ed internazionale tra imprese e centri di ricerca.
La necessità di individuare nelle attività di R&S uno dei capisaldi di una nuova strategia di sviluppo economico ha stimolato l’interesse
delle autorità pubbliche, dal livello comunitario a quello regionale, ad impegnare maggiori risorse nella promozione di politiche che
favoriscano gli investimenti in R&S, con l’obiettivo di creare un migliore contesto per la diffusione ed il trasferimento di conoscenza.
Alla creazione di tale contesto concorrono l’accesso a nuove tecnologie, know-how, fondi di capitale di rischio e di capitale di
avviamento, la disponibilità di programmi di tutoraggio e strutture di sostegno. In particolare, la consapevolezza che le imprese di piccole
dimensioni difficilmente svolgono attività di ricerca e sviluppo formalizzata e hanno difficoltà nell’accedere alle informazioni e alle
conoscenze tecnologiche, ha portato i policy makers ad investire soprattutto nella realizzazione di strutture di sostegno allo sviluppo
industriale e del trasferimento tecnologico.
Partendo dall’analisi della letteratura sul ruolo che le attività di R&S ricoprono rispetto alla nascita di nuove imprese, il presente lavoro
mira a esaminare le attuali politiche di sostegno alle iniziative imprenditoriali ad alto contenuto innovativo, fornendo alcune indicazioni
di policy.
Parole Chiave R&S, innovazione, effetti spill-over, politiche.
Info-mobility e propensione al telelavoro: un’analisi esplorativa per il Piemonte
Simone Landini
Sylvie Occelli
IRES Piemonte
Sommario Da quando, con la nascita di Internet, le ICT (Information Communication Technologies) hanno avuto un continuo e
progressivo sviluppo, attenzione crescente si sta rivolgendo al loro impatto ed ai loro effetti sui comportamenti di mobilità e sulla
localizzazione di individui ed imprese.
Comunemente definite come tecnologie che consentono l’aggiustamento spazio-temporale dei comportamenti delle attività, come
tecnologie abilitative o come tecnologie capaci di ampliare il campo delle opportunità di scelta, la loro introduzione solleva di fatto
numerosi interrogativi di natura sia operativa (come misurarne le conseguenze sull’organizzazione delle attività e sulle loro
caratteristiche insediative) sia teorica, ad esempio quale quadro concettuale adottare in una situazione quale quella attuale di
modificazione profonda dei paradigmi di analisi, che le stesse ICT contribuiscono ad alimentare.
Questo lavoro si propone di contribuire alla messa a fuoco di alcuni di questi aspetti, proponendo una riflessione sull’impatto potenziale
delle ICT sulla mobilità delle persone nella regione Piemonte.
Esso fa riferimento ai risultati di un’Indagine individuale della Mobilità delle Persone (IMP) condotta nel 2004 da l’Assessorato
Regionale ai Trasporti, da GTT e da IRES, nelle province piemontesi. Si tratta di un’indagine campionaria (che ha coinvolto circa l’1%
dei residenti piemontesi con più di 10 anni) volta ad investigare componenti della mobilità sistematica e non sistematica. Per le province
non metropolitane, inoltre, l’indagine si preoccupa anche di rilevare : a) se gli spostamenti effettuati abbiano fatto uso di informazioni
relative alla mobilità usufruendo di fonti informative tradizionali (cartine, orari) o di fonti avanzate, quali rappresentate dalle cosiddette
Information Communication Tecnologies (lCT) ; il telefono cellulare, Internet, i sistemi GPS, ecc. (le I,); e b) se l’utilizzo di queste
ultime sono ritenute vantaggiose.
Si noti, per inciso, che, anche in relazione della numerosità del campione, proprio la considerazione di questi aspetti rappresenta una
singolarità di questa indagine, che la rende una sperimentazione inedita nel panorama degli studi italiani.
Il lavoro si articola in tre parti principali.
La prima presenta alcune riflessioni generali sulle modificazioni delle caratteristiche della mobilità odierna relativamente, in particolare,
all’introduzione delle ICT.
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Sulla base dei risultati dell’indagine IMP mobilità suddetta, la seconda parte illustra i profili descrittivi che possono essere delineati per
render conto della percezione delle ICT relativamente agli spostamenti delle persone.
L’ultima parte, infine, commenta i risultati di alcune analisi esplorative volte ad investigare le potenzialità teoriche di diffusione del telelavoro nel sistema regionale. A partire dalle informazioni/esperienze di studio messe a disposizione per il Piemonte nell’ambito
dell’Osservatorio regionale sulle ICT, attenzione particolare sarà rivolta alla costruzione di scenari alternativi di adozione di telelavoro ed
all’esame dei loro effetti sulla riduzione dei livelli di spostamento nelle sub-aree della regione.
Alcune considerazioni riassuntive concludono il lavoro.
Parole Chiave Mobilità sistematica e non sistematica, informazione, ICT, tele-lavoro.
Un modello di valutazione territoriale integrata basato sulla sinergia fra GIS ed analisi
multiattributo
Alessandra Lapucci
Silvana Lombardo
Alessandro Santucci
Università degli Studi di Pisa - Dipartimento di Ingegneria Civile
Sommario La Valutazione è un’attività centrale nel processo di pianificazione territoriale perché consente di passare dai principi generali
della sostenibilità alla loro concreta realizzazione nello spazio fisico del territorio e di affrontare la complessità che pone lo sviluppo
sostenibile per ricercare soluzioni capaci di comporre,al più elevato livello possibile, obiettivi economici, ambientali, sociali e culturali
(Nijkamp 1997). La maggior parte dei problemi relativi alla progettazione ed alla gestione del territorio necessitano, pertanto, di
metodologie decisionali che siano a criteri multipli e basate su sistemi di informazione geografici GIS. Sistemi Informativi Geografici
GIS ed analisi a criteri multipli AMC, possono beneficiare una dall’altra: da un lato infatti le tecniche GIS rivestono un ruolo importante
nell’analizzare una grande varietà di dati necessari per il processo di decisione, dall’altro le metodologie di AMC offrono procedure
capaci di elaborare e modellizzare le preferenze dei decisori e di incorporare il processo decisionale all’interno di un sistema GIS. A
questo fine il ruolo dei modelli urbani e territoriali è quello di supportare i decisori nel raggiungimento di una maggiore efficacia ed
efficienza delle scelte che vengono prese per analizzare e risolvere complesse problematiche territoriali una delle quali è certamente la
previsione e la valutazione del rischio ambientale: in particolare verrà approfondita la problematica relativa al rischio di incendi boschivi
Il rischio è un concetto che associa due elementi fondamentali: il primo è la probabilità che un determinato evento sfavorevole si
verifichi, l’altro è la conseguenza che l’evento comporta. e pertanto può essere calcolato valutando sia la probabilità di accadimento della
calamità, sia il danno da essa provocato. L’obiettivo della nostra ricerca è quello di generare procedure di valutazione integrata del
rischio ambientale capaci di considerare la complessità del sistema territoriale e l’insieme delle relazioni fra le variabili che servono ad
analizzare il problema. A questo scopo è stato creato, in ambiente GIS, un modello di valutazione del rischio incendi a criteri multipli e
spaziale da testare su alcuni comuni della fascia settentrionale della provincia di Pisa Fra i vari metodi di analisi a criteri mutili integrati
con un GIS si fa riferimento all’analisi gerarchica AHP che permette di individuare quali porzioni di territorio, che nel nostro caso
rappresentano le alternative, siano sottoposte a maggior rischio di incendi. Attraverso la costruzione di “viste” GIS si gestisce l’intero
processo di valutazione Individuazione¬ gerarchica spaziale che si articola secondo le seguenti fasi: dei criteri e degli attributi necessari a
descrivere e ad analizzare il fenomeno del rischio incendi (pericolosità e danno)e loro rappresentazione in ambiente Costruzione
dell’albero decisionale¬GIS attraverso map layers georeferenziati; e gestione delle relazioni gerarchiche fra i diversi livelli,
strutturazione delle matrici dei confronti a coppie e calcolo dei pesi con il metodo di Saaty; Standardizzazione dei dati grezzi, contenuti
nei map layers degli attributi,¬ in un intervallo compreso fra 0 ed 1 e ricomposizione dell’albero secondo il principio di composizione
gerarchica tramite metodologie di map algebra. Per ogni cella/alternativa il rischio complessivo viene calcolato moltiplicando il valore
relativo al danno per quello della pericolosità ed i risultati così ottenuti permettono una completa zonizzazione delle aree di rischio del
territorio analizzato Questo modello si propone innanzitutto come uno strumento efficace per la definizione degli scenari di rischio e
rappresenta,di conseguenza, una solida base per mettere in atto misure preventive e piani di gestione antincendio per meglio tutelare le
persone ed i beni coinvolti
Parole Chiave Valutazione, rischio ambientale, GIS, analisi multicriteri.
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L'uso del Rough Set per la definizione delle aree periurbane
Giuseppe Las Casas
Beniamino Murgante
Anna Sansone
Grazia Scardaccione
Università degli Studi della Basilicata - Dipartimento di Architettura Pianificazione ed Infrastrutture di Trasporto
Sommario Nei documenti di pianificazione e nei riferimenti legislativi di governo del territorio è sempre più ricorrente il termine di area
periurbana. Nonostante questa espressione sia molto utilizzata, non esiste ancora una definizione chiara ed univoca che fornisca precise
indicazioni e descrizioni mirate alla perimetrazione di tali aree. Le principali ragioni di questa manchevolezza possono essere individuate
nella complessità del fenomeno da analizzare e nella molteplicità di contesti territoriali in cui esso si manifesta. Ci si trova di fronte a
definizioni alquanto diverse a seconda dei vari approcci disciplinari e dei diversi ambiti territoriali. In alcuni casi, queste definizioni
risultano insufficienti a supportare il pianificatore nella corretta individuazione di tali ambiti. L’obiettivo del lavoro è stato quello di
studiare il fenomeno del periurbano in maniera meno vaga. Per giungere ad una definizione precisa dell’area periurbana, in questo
lavoro, si è cercato di passare da un approccio che la vede come un ambito dal limite incerto collocato tra le aree urbane e rurali, definite
con certezza, ad un altro che la considera come un’area identificabile organicamente attraverso proprie regole, alla stregua di quelle
urbane e rurali. In quest’ottica, si è pensato di stabilire delle regole di inclusione e di esclusione che consentissero di individuare le aree
da considerare in tale ambito. Lo studio si è avvalso dell’ausilio delle tecniche di analisi spaziale, in particolare della point pattern
analysis, per costruire le grid degli strati delle regole di inclusione e di esclusione. L’individuazione del periurbano, invece, scaturisce
dalla classificazione dei vari strati informativi con le tecniche di rough set. Queste ultime, infatti, hanno consentito di definire la classe
periurbano rilevando le relazioni di indiscernibilità tra i vari livelli informativi. Le aree risultate indiscernibili rispetto alle regole di
inclusione e di esclusione rappresentano il luoghi in cui sono concentrate le aspettative alla trasformazione urbana. Questo approccio è
stato testato sul territorio della Provincia di Potenza che ben si presta a questo scopo, avendo una struttura del sistema insediativo
alquanto disomogenea. In quest’ambito, le relazioni di indiscernibilità hanno descritto con un buon grado di accuratezza il fenomeno del
periurbano. Stabilite le regole di inclusione e di esclusione, legate alle caratteristiche morfologiche e di distribuzione dell’insediamento,
il fenomeno è stato analizzato in particolare in due fasce di contiguità ai centri urbani, di diversa ampiezza in relazione alla forma del
centro stesso. Si è riscontrato, in particolare, che il fenomeno del periurbano può essere sintetizzato all’interno della prima fascia di
contiguità, in quanto in questa zona l’accuratezza dell’approssimazione della classificazione è risultata migliore che in una fascia più
ampia.
Traffico e inquinamento: i danni per la salute dell’uomo e i costi sociali
Patrizia Lattarulo
Monica Plechero
IRPET
Sommario Gli effetti negativi dell’inquinamento dell’aria hanno anche una dimensione economica, comportano infatti dei costi tanto di
natura sanitaria, dovuti alle cure, quanto di natura sociale, legati alla minor qualità della vita delle persone. La stima monetaria di tali
costi, fornisce informazioni sul peso economico sopportato dalla collettività in termini di spese per la cura delle patologie correlate agli
effetti degli inquinanti, e per i disagi e la perdita di benessere collettiva conseguenti ad un peggioramento della salute e della qualità della
vita dei soggetti esposti all’inquinamento. Questo aspetto può costituire un utile contributo informativo nella formulazione delle politiche
rivolte alla correzione dei comportamenti individuali - tanto di scelta di spostamento, in ambito di trasporto, che di scelta modale- e alla
tutela degli interessi della collettività.
Questo lavoro è rivolto ad una rassegna della letteratura sui metodi di stima dei costi sanitari e sociali dei danni alla salute provocati
dall’inquinamento dell’aria con particolare attenzione al valore assegnato alla vita umana. Il riferimenti di base è al Pathway approach,
che ripercorre tutto il processo dall’emissione di inquinanti, alla definizione della popolazione esposta e, quindi, agli effetti sulla
collettività. Verrà presentata una rassegna dei metodi di stima del valore della vita umana (dal capitale umano, al COI, alla WTP) e dei
risultati più recenti della ricerca in merito al valore assegnato alla vita statistica (VSL) e ad un anno di vita perso (VOLY). Inoltre si
presenterà una applicazione al caso delle maggiori realtà toscane stimando i costi sociali e sanitari dovuti all’inquinamento da traffico nei
principali centri urbani della regione.
La particolarità dell’inquinamento e del suo effetto in termini di rischio per la vita è che, a differenza di altre cause di morte, ad esempio
gli incidenti, questa non è una causa primaria e indipendente di decesso, così che non esiste una relazione diretta tra esposizione ed
evento, ma agisce come con-causa aggravando patologie preesistenti e, spesso, concorrendo con altri effetti quali fumo e mancanza di
esercizio fisco. Il numero totale di morti attribuibili all’inquinamento non è, quindi, direttamente osservabile e ciò rende inappropriato il
riferimento a questa unità di misura del danno alla salute (Rabl, 2003a). Oggi la mortalità da inquinamento è stimata, quindi, in termini di
riduzione dell’aspettativa di vita (Lost Life Expectancy - LLE). In questo contesto il danno alla salute viene ricondotto al numero di casi
di morte anticipata e al numero di anni di vita persi stimati a seguito dell’esposizione agli agenti inquinanti.
Parole Chiave Trasporti, inquinamento dell’aria, salute dell’uomo, esternalità.
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I programmi complessi e l ’innovazione delle politiche urbane
Valeria Lingua
Politecnico di Torino - Dipartimento Interateneo Territorio
Sommario Il quadro in cui nascono i programmi complessi è caratterizzato dal tentativo di mettere a punto strumenti di intervento
profondamente differenti e alternativi a quelli tradizionali, in un clima di cambiamento e di progressiva diffusione dell’innovazione. Nel
corso dell’avvicendamento di programmi avvenuto negli anni Novanta (Ppu, Pru, Priu, Urban I, Ppu II, CdQ, Prusst, Urban II, CdQ II),
gli entusiasmi iniziali cedono il passo ad una progressiva riflessione critica su questi strumenti. Se il “nuovo” è accolto subito con enfasi,
oggi, a distanza di più di un decennio, all’interno del dibattito emergono posizioni contrastanti: da un lato, la consapevolezza della
valenza di questi strumenti per il rinnovo delle politiche urbane, li promuove a portatori di nuove capacità progettuali, stimolo per un
atteggiamento più “manageriale” nella gestione pubblica dei progetti urbani, impulso alla ricerca di partenariati con i privati, propulsione
di nuove pratiche di rigenerazione urbana attraverso il coinvolgimento diretto dei cittadini. Dall’altro lato, da più parti viene messa in
dubbio l’efficacia dei programmi complessi come strumenti di governo delle trasformazioni urbane. Questo lavoro rappresenta dunque
un tentativo di mettere in discussione il paradigma dei programmi complessi come strumenti innovativi, capaci, in quanto tali, di
risolvere situazioni cui le politiche e gli strumenti tradizionali di governo del territorio non avrebbero saputo rispondere. Sulla base
dell’assunto che «non tutto ciò che è nuovo è di per sé innovativo» (Janin Rivolin, 2002, p.331), il contributo propone una riflessione
sull’evoluzione del dibattito relativo alla riqualificazione urbana attraverso i programmi complessi. In particolare, dall’analisi della
bibliografia a e dei bandi emergono alcuni ambiti di innovazione che sono stati rapportati ad una griglia di lettura unitaria e funzionale
alla valutazione dei programmi in itinere ed ex post: si tratta di un tentativo di ricondurre le “tracce” di innovazione individuate a cinque
ambiti predominanti, all’interno dei quali è possibile distinguere dei sottoambiti e degli elementi di innovazione di processo e di prodotto
che li contraddistinguono. Tale griglia di analisi è stata utilizzata per mettere a confronto l’applicazione della programmazione complessa
in due contesti molto differenti del contesto italiano: l’area metropolitana torinese e l’area provinciale senese. Si tratta di due territori che
presentano marcate differenze sia per il quadro culturale e socio economico che li contraddistingue, sia per l’apparato normativo che li
regola. La scelta di contrapporli non è stata casuale: si tratta, infatti, di verificare la reazione alla programmazione complessa di realtà
differenti per scala, contesto socio-economico, cultura urbanistica etc., allo scopo di individuare elementi di innovazione comuni ovvero
specificità di contesto.
Parole Chiave Programmi complessi, politiche urbane, valutazione.
Il governo della mobilità nelle aree urbane e metropolitane. Un modello di valutazione
Giampiero Lombardini
Università degli Studi di Genova - Dipartimento Polis
Sommario La problematiche legata all’adeguamento della infrastruttura logistica e trasportistica del nostro Paese rispetto agli standard
europei è divenuto negli ultimi anni un tema centrale nel dibattito sulle condizioni per lo sviluppo regionale, sulla spinta sia di linee di
indirizzo programmatiche europee (es.: lo Sdec) e nazionali (la nuova attenzione posta ai temi delle grandi infrastrutture), sia per la
“domanda” che nasce a livello locale di questo tipo di infrastrutture per sostenere la competitività regionale e delle aree urbane.
Nonostante da diverse parti venga riconosciuta l’importanza di operare (e non solo ex ante) una valutazione di tipo strategico
dell’impatto e sugli effetti che questo tipo di opere comportano per i territori interessati, il dibattito rischia di polarizzarsi, impoverendosi,
sui due fronti, spesso contrapposti, delle valutazioni di tipo ingegneristico ed economico da un lato (generando modelli valutativi a
partire delle tecniche dell’analisi costi-benefici) ed ambientale dall’altro (assumendo queste ultime, per lo più, una visione
“funzionalista” dell’ambiente). In questo modo si rischia di lasciare in secondo piano un tema rilevante: quello delle relazioni (positive e
negative) che possono stabilirsi tra potenziamento infrastrutturale e qualità dello sviluppo urbano (ossia della “sostenibilità” degli assetti
insediativi che vengono e prefigurarsi). Tentando di superare tale contrapposizione, il contributo tenta di esplorare alcune metodologie
per la valutazione di questi progetti, orientandosi verso la considerazione delle relazioni tra infrastrutture e territorio. La valutazione, in
particolare, si concentra sulla duplice dimensione rispetto alla quale il problema della mobilità regionale e metropolitana può essere
affrontato: l’intervento di potenziamento / adeguamento dell’offerta nelle reti di trasporto e della loro innovazione (politiche dei
trasporti) da un lato e il controllo degli usi del suolo dall’altro (politiche degli usi del suolo). Questi due tipi di politiche (non
necessariamente escludentesi a vicenda, ma qui considerate separatamente a fini conoscitivi) comportano costi (non solo economici, ma
anche sociali e ambientali) e benefici diversi e/o diversamente distribuiti. La valutazione delle politiche di intervento potenzialmente più
efficaci è il contributo che si intende portare con il contributo, così come la evidenziazione dei limiti presumibilmente insiti nelle
politiche esclusivamente settoriali. Tutto ciò costruendo un sistema di valutazione delle politiche pubbliche nei due ambiti menzionati ed
applicandolo ad un caso di studio reale: l’area metropolitana genovese. A partire dal case study costituito dalle diverse ipotesi di
potenziamento / adeguamento del nodo infrastrutturale genovese, l’attenzione si concentra in primo luogo sulla rappresentazione
dell’evoluzione delle forme urbane (reti, morfologie insediative, patterns di uso del suolo) in seguito alla realizzazione / potenziamento di
nuove opere infrastrutturali. In questa prospettiva, vengono utilizzati alcuni modelli morfologici urbani integrati con modelli
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trasportistici.. Una volta costruiti alcuni ipotetici scenari territoriali si esplorano attraverso metodi di valutazione multicriteriale spaziale
gli effetti e gli impatti prodotti da diverse alternative di sviluppo sia delle reti di trasporto che della struttura urbana.
Parole Chiave Valutazione, infrastrutture, modelli trasporti, modelli urbani.
Simulazione delle dinamiche territoriali all’interno del territorio albanese: integrazione
di G.I.S., datamining e automi cellulari
Silvana Lombardo
Massimiliano Petri
Università degli Studi di Pisa - Dipartimento di Ingegneria Civile
Sommario In Albania, a partire dal 1996 si è avuta la ridistribuzione delle terre, con il passaggio della proprietà fondiaria da pubblica a
privata. Lo scopo di questa ricerca è quello di investigare le trasformazioni, gli impatti e le evoluzioni temporali di uso del suolo in vaste
aree del territorio albanese, ovvero all’interno del confine del comune di Preza. In particolare qui analizziamo le connessioni esistenti tra
le suddette scelte politico-economiche delle Amministrazioni centrali nella gestione della proprietà fondiaria e lo sviluppo di uso del
suolo conseguente. Gli strumenti adottati sono molteplici: il primo e più “tradizionale” è il GIS (Zunino V. 1998), il secondo è uno
strumento che deriva dal campo del KDS (Knowledge Discovery Systems) il cui scopo è l’identificazione di relazioni e regole che stanno
alla base dell’evoluzione della dinamica degli usi del suolo che sono stati riscontrati nel territorio analizzato negli anni compresi fra il
1991 e il 2003. Abbiamo utilizzato, in particolare, un metodo di classificazione basato sugli alberi decisionali in quanto risultano capaci
di creare una struttura gerarchica molto efficiente e di produrre regole del tipo “IF/THEN” nelle quali la parte “IF” descrive lo stato
osservato in una parte del territorio e la parte “THEN” identifica la transazione in un’altro stato tra varie sezioni temporali (Quinlan J. R.
1993, Quinlan J. R. 1998). Sono già stati effettuati alcuni esperimenti relativi ad una porzione del territorio pisano (Lombardo S., Pecori
S. 2001) e le difficoltà riscontrate nell’analisi dei primi risultati sono principalmente dovute alle diverse scale di acquisizione delle
mappe dell’uso del suolo, costituenti i dati di ingresso al modello. Nella presente applicazione, al contrario, i dati di ingresso (uso del
suolo al 1991, 1996 e 2003) presentano la stessa scala e lo stesso dettaglio. L’applicazione include diverse fasi: a) Analisi preliminare
delle dinamiche in atto attraverso la costruzione di un Geodatabase a l’analisi statistica incrociata dei dati mediante lo strumento degli
OLAP CUBE (Giudici P. 2001); b) Costruzione di mappe relative ai diversi intervalli temporali; c) Costruzione di procedure
automatizzate interne al GIS al fine di elaborare diverse tipologie di analisi cartografiche quali, per esempio, il map overlay, l’analisi
delle adiacenze ed altro; d) Costruzione di tabelle riassuntive contenenti tutti gli attributi necessari a descrivere la struttura spaziale dei
dati; e) Estrazione delle regole di variazione dell’uso del suolo, mediante lo strumento degli alberi decisionali implementati all’interno
del software WEKA (Kirkby R. 2002, Witten I.H. & Frank E. 2000); f) Analisi delle regole ottenute al fine di individuare relazioni e
processi significativi; g) Implementazione di un Automa Cellulare la cui dinamica è guidata dalle regole suddette. L’obiettivo principale
della presente ricerca è l’individuazione di una metodologia semplice, facilmente ripetibile e non “avida” di dati costosi o difficili da
recuperare, capace di fungere da utile supporto nella pianificazione territoriale.
Parole Chiave Evoluzione dell’uso del suolo, G.I.S., datamining, automa cellulare.
L’analisi del dato
interpretazione
territoriale
multidimensionale:
dalla
rappresentazione
alla
Nicola Lonardoni
Università degli Studi di Bologna - DAPT
Giovanni Rabino
Politecnico di Milano - DIAP
Sommario Questo contributo rappresenta la continuità del lavoro svolto congiuntamente dagli autori sino ad ora. L’obiettivo generale
che questi si propongono è quello di studiare una metodologia esplorativa dei dati multidimensionali attraverso la sperimentazione di
differenti tecniche al fine di svelare quei fattori che incidono in modo determinante sulla qualità urbana e territoriale. Come noto, i
processi territoriali si sviluppano spesso con modalità assai complesse e di difficile interpretazione. La difficoltà principale risiede
nell’immenso intreccio di relazioni tra proprietà più o meno pesantemente coinvolte nell’interazione tra elementi e subsistemi. Lo
svolgersi di un fenomeno è quasi sempre condizionato da un numero finito, benché molto cospicuo, di fattori. Se da un lato l’aspetto
euristico offre una base per restringere i campi d’influenza interessati, dall’altro lato risulta ostico cogliere nel dettaglio elementi variabili
su cui impostare delle politiche o delle strategie. Lo studio prosegue pertanto sviluppando delle rielaborazioni sui risultati pubblicati
annualmente da “Il Sole 24 ore” al fine di tracciare delle guide metodologiche più che di produrre ulteriori arricchimenti conoscitivi a
quanto già divulgato dal giornale. Pur con lo scopo di sperimentare nuove tecniche permesse oggi dalla potenza computazionale
raggiunta dai moderni calcolatori elettronici, si è cercato di costruire un protocollo per definire un percorso dal dato all’informazione in
un contesto multidimensionale. Per fare questo è necessario considerare due ordini di fattori: il primo riguarda il livello dei dati di
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partenza, del loro grado di correlazione e/o dipendenza; il secondo, invece, riguarda l’elaborazione ovvero il modo con cui vengono
rilevate ed espresse le relazioni tra i dati che costituiscono la struttura fondamentale dell’informazione. Il momento computazionale ha il
preciso intento di rendere leggibile la realtà complessa, di ridurne la difficoltà interpretativa e di riproporla in modo più chiaro. Gran
parte della letteratura in materia concentra la propria attenzione sulle possibilità offerte dalla grafica. Tuttavia non sempre è possibile
ricostruire graficamente la realtà a causa della consistente perdita di informazioni dovuta alla necessaria approssimazione applicata in
fase di trasformazione. La pluralità dei dati ci pone quindi davanti ad una scelta che ci sembra obbligata tra una chiara rappresentazione e
un’alta precisione. Nel caso di questo lavoro si vedrà l’applicazione di tecniche di analisi cosiddette multiway, dove le caratteristiche
della qualità della vita delle Province Italiane verranno elaborate con un metodo in grado di esplicitare i fattori di maggior peso tentando
di porre in equilibrio i vantaggi di una buona rappresentazione con il rischio di una eccessiva approssimazione.
Parole Chiave Dati multidimensionali, analisi e interpretazione, statistiche, visualizzazioni.
Politiche regionali e crescita economica tra scenario nazionale e globale. Obiettivi,
strumenti e vincoli
Francesco Losurdo
Università degli Studi di Bari
Annamaria Stramaglia
Università degli Studi di Foggia
Sommario I pilastri sui quali si è poggiato il processo di integrazione regionale in Italia sono essenzialmente due: la predisposizione di
infrastrutture e il sostegno alle attività produttive, entrambi ispirati alla logica delle pari opportunità, secondo la quale il bene
classicamente considerato immobile (il capitale), deve essere portato nelle aree in cui vi è abbondanza di lavoro. Questa semplice
assunzione ha deviato più volte da un indirizzo (in sé coerente) le scelte di politica economica e di politica regionale, a seconda delle
contingenze politiche e dei vincoli di bilancio, per cui gli interventi tendenti a realizzare l’integrazione interregionale interna ha più volte
funzionato come tela di Penelope, senza mai dare l’idea di un convinto e coerente impegno per le aree in ritardo di sviluppo, nonostante
l’intervento si sia sviluppato per mezzo secolo ed abbia impegnato risorse finanziarie ingenti. Il tema che si affronta in questo paper è: a)
individuare le principali ragioni per cui l’esperienza di integrazione regionale italiana è risultata, rispetto a quelle di altri paesi europei
(Germania, Francia, Spagna, Irlanda), incompleta; b) verificare il contributo delle politiche regionali comunitarie (a lungo sostitutive di
quelle nazionali) al percorso di integrazione interregionale in Italia; c) analizzare le principali innovazioni strumentali introdotte sia in
termini di policy che di mezzi operativi, come la finanza di progetto o la fiscalità di vantaggio; d) dedurre un quadro di sostenibilità di
politiche di integrazione regionale alla scala nazionale nel mutato contesto dei confini di riferimento del processo di integrazione (ormai
sovranazionale) e della forma dello Stato nazionale (avviato ad una federazione di regioni). In particolare saranno analizzati gli aspetti
talvolta paradossali del processo di sviluppo regionale italiano, come quello di spostare sugli operatori privati parte degli oneri di
finanziamento degli investimenti fissi sociali (che sarà oggetto di particolare attenzione e valutazione anche in termini di dati) allo scopo
di verificare che:
1) il coinvolgimento di capitali privati non è sufficiente a realizzare la politica delle grandi infrastrutture, anche nel caso che non vi siano
restrizioni della spesa pubblica; 2) il ricorso a finanziamenti privati può essere episodico, ma non sistematico nelle regioni italiane in
ritardo di sviluppo laddove la produttività dei fattori è più bassa; 3) rifugiarsi in vincoli di bilancio e cercare di sostituire la spesa
pubblica con quella privata, non contribuisce ad accrescere in misura significativa la produttività del sistema; 4) le convinzioni che si
vanno diffondendo in ordine alla fattibilità e sostenibilità delle politiche di integrazione regionale in Italia, innestano pericoli di
strutturazione definitiva delle differenze regionali tra aree che producono beni ad elevata intensità di capitale ed aree con abbondante
disponibilità di lavoro e, quindi, ad elevata propensione a produrre beni ad alto contenuto di lavoro, oggi sottoposte ad una feroce
concorrenza interregionale ed internazionale. Le ipotesi avanzate verranno motivate sul piano teorico (con riguardo in particolare alle
relazioni tra crescita, imprenditorialità e spesa pubblica), e verificate empiricamente facendo riferimento ad informazioni desunte da
varie fonti.
Parole Chiave Politica regionale, crescita economica, imprenditorialità.
Il distretto serico comasco: problemi e prospettive
Andrea Luraschi
Università degli Studi dell’Insubria - Facoltà di Economia
Sommario Il distretto serico comasco ha conosciuto uno sviluppo formidabile durante gli anni ‘70 ed ‘80 del secolo scorso, tanto da
diventare il principale centro mondiale di produzione di tessuti ed accessori in fibre seriche. Tuttavia, durante gli anni ‘90 una perdurante
crisi ha investito l’area, mettendone in discussione la leadership. I dati degli ultimi Censimenti Istat e del commercio internazionale per il
settore tessile/abbigliamento in Provincia di Como rivelano delle dinamiche di medio-lungo periodo estremamente negative. Quel che è
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peggio, questo profondo malessere non solo si avverte con forza in senso assoluto, ma diventa ancor più critico in termini relativi, ossia
confrontando la Provincia di Como con la Regione Lombardia, il Paese e le principali Province tessili italiane. Oltre che per la gravità, il
“quadro clinico” dell’area negli ultimi anni si è caratterizzato anche per la complessità. In primo luogo, il settore tessile-serico ha
conosciuto nel corso degli anni ‘90 una profonda ristrutturazione, con conseguenze per lo più nefaste per i produttori lariani. In secondo
luogo, la globalizzazione ha significato anche (ma non solo) l’ingresso di nuovi agguerritissimi concorrenti nel settore. In terzo luogo, la
protratta apatia e la crescente instabilità della domanda nazionale ed internazionale sono state come benzina sul fuoco per gli operatori
lariani. Infine, numerose si sono rivelate le crepe interne allo stesso sistema locale. In effetti, le debolezze dell’area sono molte ed
importanti, ma sono pure larghi i margini di intervento per attenuarle o correggerle, sempre tenendo ben presente gli errori strategici
commessi in passato. In primis, paiono possibili una maggiore e migliore collaborazione tra le imprese ed un più efficace raccordo tra
imprese, istituzioni, scuola e mondo della ricerca. Fondamentali sono poi: la costruzione di una vera “intelligenza di sistema”,
presupposto irrinunciabile per una migliore governance del territorio; la disciplina della flessibilità produttiva, per attenuarne gli “effetti
indesiderati” sulla competitività della piccola impresa; il miglioramento delle strategie delle imprese; una rinnovata attenzione per i temi
del mercato del lavoro, della formazione e del ricambio generazionale di qualità; un adeguamento delle infrastrutture alle esigenze del
territorio. Vanno comunque rimarcati i vari punti di forza dell’area, ancora capace di generare significative economie esterne (savoir faire
diffuso, sistema informativo efficiente, ecc.) e cospicui vantaggi assoluti rispetto ai territori concorrenti (elevata capacità innovativa,
eccellente qualità dell’offerta globale). Solo perseguendo politiche e strategie oculate è pensabile minimizzare i rischi di rottura delle
trame distrettuali e proseguire lungo la “via alta allo sviluppo”, evitando così di imboccare la “via bassa allo sviluppo”. Tra questi due
estremi si frappongono degli scenari alternativi, come quello (non auspicabile) basato sull’intensificarsi delle relazioni gerarchiche tra le
imprese o come quello (più auspicabile) basato sulla penetrazione di nuove nicchie di mercato e/o sull’allargamento degli sbocchi di
mercato (strategia della diversificazione produttiva). In ogni caso, i comaschi dovrebbero provvedere alla stesura di un progetto di
sviluppo locale ordinato, sinottico e strutturato per punti, che potrebbe permettere di superare alcuni degli ostacoli che finora si sono
frapposti alla risoluzione dei problemi più pressanti dell’area, come la disorganicità, l’estemporaneità e la scarsa efficacia di molti degli
interventi realizzati. Condizioni necessarie per il buon fine di questo progetto sono la disponibilità al dialogo e, soprattutto, la
partecipazione attiva di tutte le principali parti in causa, a cominciare dalle stesse imprese.
Parole Chiave Como, distretto, seta, crisi.
Knowledge flows and regional disparities in Europe: Geographic VS. Functional distance
Mario Maggioni
Erika Uberti
Università Cattolica del Sacro Cuore - DISEIS
Sommario Aim of the paper is to analyse the impact of knowledge flows on regional disparities across 110 NUTS2 regions belonging to
five major European countries: Germany, Spain, France, Italy and United Kingdom. The manifold nature of knowledge is dealt through
the analysis of three distinct but complementary phenomena (Internet hyperlinks between universities websites, EPO co-patent
applications, Erasmus students exchange mobility) which describe knowledge flows as intrinsic relational structures (directly) connecting
people, institutions and (indirectly) territories across five European countries. Two are the main research questions addressed in the
paper: the first deals with the notion of regional disparities, the second refers to the concept of distance, either geographical or functional.
Traditionally, regional economic disparities have been ascribed to peripherality - measured by the distance from geographic centres of
population and economic activities - and/or to a high level of dependence on declining economic activities (mainly “mature industries”).
The diffusion of ICT and the increase in the knowledge content of goods and serviced have been seen as the driving forces behind a
major paradigm change in human history: the “death of distance”. After the burst of the “New Economy bubble” many claims of radical
changes and revolutions, coming from management gurus, have been silenced and the scientific community - especially economists and
geographers - has shown that the concepts of distance, space and clustering are still relevant (if not more relevant now than ever) in the
“Internet era”. However, it is interesting to study the different effects that physical distance - as opposed to functional distance - have on
different relational activities of different territories and, indirectly on regional performances. Looking for the sources of regional
disparities we use both social network analysis techniques and econometric estimations of gravity equation models in order to
empirically test whether “geographic distance” is responsible for such a phenomenon (peripherality exogenously causes poor
performances of regions, therefore determines the polarization of a rich core and a poor periphery) or whether “functional distance”, i.e.
difference in the levels of relevant information and innovation variables, endogenously plays a major role in determining the existence of
a much dense network (of more advanced regions) and a residual sparse set of relations (within the functional periphery) with a
distributional patterns almost independent from physical space. Finally we included in the econometric analysis different empirical
measures of trust and trustworthiness, derived from the literature, in order to test whether cultural biases and national stereotypes may
influence the structure of different knowledge flows.
Parole Chiave Flussi di conoscenza, internet hyperlink, scambi erasmus, co-brevettazione.
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Vincoli, opportunità e innovazione nelle relazioni tra regioni e comuni nelle politiche di
sviluppo: i primi risultati del progetto della riserva aree urbane
Marco Magrassi
Ministero Economia Finanze UVAL
Sommario L’approccio regionale alla programmazione per lo sviluppo, oggi prevalente in molte realtà europee e extraeuropee, è spesso
caratterizzato da un ridotto nei− città e le comunità locali−coinvolgimento delle realtà sub-regionali momenti dell’impostazione e della
definizione di politiche e strumenti. Tale limite si ripercuote sull’efficacia delle stesse politiche che, costruite su scelte e priorità
regionali, di frequente non combaciano con le esigenze strategiche e operative delle amministrazioni locali chiamate poi ad attuarle. In
altre parole, dopo aver utilizzato l’argomento dell’orientamento alla domanda per spingere il governo centrale a decentrare
progressivamente le politiche di sviluppo, le regioni possono indulgere a nuove forme di centralismo regionale, proponendo sul proprio
territorio politiche di offerta che non valorizzano la domanda locale. Per giustificare la centralizzazione dei processi di decision-making, i
governi regionali enfatizzano i limiti di capacità tecnico-strategica delle istituzioni locali con argomenti che trovano alcuni riscontri nella
realtà empirica: quando città e comunità locali hanno avuto a propria disposizione strumenti di policy e risorse finanziarie libere da
vincoli con il mandato di definire in autonomia progetti locali, hanno spesso manifestato un deficit di visione e strategia che ha diminuito
il valore aggiunto degli investimenti. Il policy-maker nazionale con l’obiettivo di migliorare l’efficacia complessiva delle politiche di
sviluppo, deve dunque affrontare due questioni speculari: Come indurre, in un sistema regionalizzato, una maggiore apertura delle
istituzioni regionali nei confronti delle realtà locali nelle fasi di impostazione e programmazione dell’azione di sviluppo? Nel farlo, come
canalizzare e qualificare la domanda e la proposta delle istituzioni locali, minimizzando rischi di frammentazione e inefficienze nel
processo decisionale? Nel 2004, il Ministero dell’Economia ha lanciato un’iniziativa esplicitamente finalizzata al raggiungimento di tali
obiettivi, ponendo lo sviluppo delle città e delle aree metropolitane in otto regioni del Mezzogiorno al centro di un nuovo strumento di
programmazione. Finanziata con 207 milioni di € del Fondo per le Aree Sottoutilizzate (FAS), la Riserva Aree Urbane nasce ispirata da
una combinazione di obiettivi strategici, programmatici e istituzionali: a. Il sostegno prioritario a interventi di maggiore qualità in termini
di rilevanza strategica, valore aggiunto e innovazione da realizzarsi attraverso l’utilizzo degli strumenti di programmazione integrata già
disponibili a livello comunale e/o intercomunale. b. La promozione di strumenti innovativi per la pianificazione territoriale e la
programmazione di investimenti con coinvolgimento di soggetti privati e società civile. c. La valorizzazione del processo di
concertazione tra i diversi livelli di governo e della capacità propositiva delle città e delle istituzioni comunali e del partenariato
economico-sociale. Ognuno di questi obiettivi sottendeva direttamente o indirettamente importanti elementi di innovazione di processo e
di prodotto. Tuttavia, le opportunità e le promesse della Riserva si sviluppano in complesso quadro di vincoli esogeni e non modificabili,
tra cui: (i) i tempi ristrettissimi imposti al processo decisionale (e dunque a qualunque forma di decisione partenariale condivisa) per la
definizione di priorità, criteri e regole per l’allocazione finanziaria e per la selezione degli interventi; e (ii) l’esigenza di definire regole
per selezionare investimenti caratterizzati da un cronogramma di spesa estremamente accelerato. Combinando dati quantitativi e
informazioni qualitative, il lavoro si propone di indagare e analizzare i primi effetti della Riserva alla luce degli obiettivi per cui era stata
concepita, ovvero migliorare: la cooperazione tra Regioni e comuni; il valore aggiunto degli investimenti locali; e la capacità di proposta
dei comuni. L’analisi non sempre−evidenzierà anche come i vincoli pre-esistenti abbiano influenzato il processo ed i risultati−in negativo
ottenuti.
Parole Chiave Processi decisionali, riserva aree urbane.
L’efficacia dei processi decisionali fra apertura inclusiva e decisionismo obbligato: la
gestione dell’emergenza rifiuti nella regione Campania
Annalisa Manna
Università degli Studi di Napoli “Federico II” - Facoltà di Architettura - Dipartimento di Urbanistica
Sommario Il contributo proposto riporterà lo stato di avanzamento della ricerca realizzata dall’autrice nell’ambito della sua tesi di
dottorato in urbanistica e panificazione territoriale, in merito al senso che ha una struttura ad hoc come il Commissariato Straordinario
per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania.
L’orizzonte temporale di indagine assunto è la seconda metà degli anni novanta, periodo caratterizzato dai primi Commissariati
Straordinari di Governo per l’emergenza rifiuti e dalla riforma organica del settore.
Con il decreto Ronchi, i rifiuti non possono essere più abbandonati e sono diventati un problema pubblico di cui bisogna
obbligatoriamente occuparsi. I policy makers locali non possono più solo smaltirli, sono chiamati a svolgere funzioni di pianificazione e
controllo della gestione integrata del ciclo dei rifiuti. A fronte di quest’obbligo normativo, i rifiuti divengono oggetto di molteplici e
significative conflittualità, di ampie difficoltà di gestione ai diversi livelli di governo in quanto problema interistituzionale e
intergovernativo richiede una qualche modalità di coordinamento tra interessi territoriali e funzionali diversi. Da ciò deriva il tentativo di
pianificare la dinamica del loro ciclo con conseguenti costi e benefici che ricadono in modo diverso sui sistemi socio-territoriali.
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Il passaggio culturale da smaltimento a gestione integrata, prima ancora che terminologico, piomba in realtà come il nostro meridione
dove si registrano gravi situazioni di ritardo strutturale e conseguenti emergenze, infatti, quasi tutte le Regioni del sud (Campania, Puglia,
Calabria; Sicilia) sono commissariate da diversi anni e per alcune è stato superato il decennio.
Si tratta solo di situazioni di particolare arretratezza, ancora colpevolmente lontane dalle nuove frontiere della democrazia deliberativa, o
ci sono argomenti per affermare che si tratta di una vicenda più ambigua, che richiede una contestualizzazione della valutazione?
Lo sfondo è costituito da una riflessione del dibattito sulle modalità di trattamento di un problema pubblico sia via politiche che cercano
di arricchire e pluralizzare le forme di democrazia, che per atti autoritativi in una logica di emergenza.
Si cercherà di argomentare l’idea secondo la quale: non sempre ci sono le condizioni per le quali è possibile sperimentare modalità di
apertura del processo decisionale avviando una riflessione per trattare e valutare l’ipotesi, secondo cui, in certi contesti e per certe
situazioni di crisi-emergenza potrebbe risultare più proficuo, oltre che alquanto obbligato, un intervento di tipo dirigistico-inclusivo di
una struttura centrale ad hoc con poteri straordinari.
Lo sguardo adottato nel leggere la vicenda Campana di gestione dei rifiuti solidi urbani è una focalizzazione sull’esperienza del
Commissario Straordinario di Governo nella sua promessa di dispositivo efficace che cerca di mettere in tensione l’ipotesi di quanto gli
effetti dipendono dall’impostazione del problema e quanto da altri fattori legati alle caratteristiche del contesto, quali le attività criminali,
l’incapacità/indolenza delle amministrazioni preposte. La questione dei rifiuti in Campania, quindi, è letta come problema dell’interesse
pubblico che coinvolge una molteplicità d’attori individuali o rappresentanti di una collettività ognuno dei quali con specifici obiettivi da
perseguire, interessi da difendere, valori da promuovere e risorse da utilizzare; ogni attore con un proprio universo di credenze da
ibridare, in qualche modo, con quello degli altri. I diversi livelli di governo chiamati ad individuare soluzioni ai problemi da ciascuno
formulati in modo diverso, si trovano spesso a dover fronteggiare e gestire processi decisionali ed attuativi caratterizzati da un alto grado
di incertezza dovuta, tra l’altro, alla mancanza di evidenza scientifica delle soluzioni tecnologiche proposte; utilizzano, pertanto, spesso
la risorsa dell’ambiguità, facendo emergere la valenza in sé della decisione senza legarla alla sua implementazione e al quindi al suo
valore di efficacia (Regonini, 2003: 275).
Parole Chiave Processi decisionali, democrazia deliberativa, decisionismo, emergenza rifiuti.
Old-fashioned policy measures promoting core-periphery relocation still exist. A focus on
Italy and the Netherlands
Ilaria Mariotti
Politecnico Di Milano - DIG e Università di Groningen
Piet Pellenbarg
University of Groningen - Faculty of Spatial Sciences - Department of Economic Geography
Sommario In all its forms, national regional policy (from now on regional policy) has remained focused on the problem of differential
spatial development within national economies. Since World War II, European governments have implemented specific policies to
redress regional economic disparities which were based on policy measures in the form of financial incentives to influence location
decisions by companies. This regional policy approach can be characterised as ‘traditional’ and was undertaken by central governments
(top -down approach). From the mid-1970s, regional policy began to change. The theoretical debate criticised the role of the state in the
economy and proposed, as an alternative, liberalisation, deregulation, and privatisation. The effectiveness of policy incentives to promote
economic development was questioned, which caused a shift in the 1980s. The traditional approach was partially superseded by a more
decentralised model for regional development, the so-called ‘contemporary’ approach. This was characterised by decentralised
intervention (bottom-up approach) and was based on integrated development plans and strategies designed and delivered by a partnership
between regional and local players. Encouraging core-periphery relocation was not a goal of the new approach, mainly focused on
endogenous development by promoting SMEs and innovation and by encouraging geographical clusters of firms. However, empirical
evidence shows that boundaries between these two approaches are not so well defined and that, especially as far as policy measures are
concerned, the legacy of the old framework still survives. Even in contemporary-approach oriented policies, in fact, some of the tools
typically labelled as “traditional” or “old-fashioned”, such as incentives, are widely used. There is a broad area of overlap which
highlights a discrepancy between the ideal situation as planned by theorists and the reality designed by policy makers. The present paper
analyses the cases of Italy and the Netherlands with a specific focus on the initiatives that have been subsidised by the Area Contract
(AC) and the IPR premium policy measures, respectively, in the last two decades. On the basis of a macro and micro analyses of the
granted investments, it is investigated whether it might be necessary to revise the AC and IPR discretionary policy tools because a large
share of the investments would have taken place regardless the incentives. The paper is organised as follows. Section one presents a
review of the traditional and contemporary approaches to regional policy in the European countries with a specific focus on the policy
measures promoting core-periphery relocation in Italy and the Netherlands. A macro analysis on the initiatives subsidised to locate in the
peripheral areas is presented in section two. Section three is dedicated to a micro-analysis of a sample of grant recipient firms (firms
subsidised by the AC in Italy and by the IPR in the Netherlands) that invested in the peripheral areas and a comparison is presented. The
last section concludes the paper.
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Outward FDI and skill upgrading in italian industrial districts
Ilaria Mariotti
Politecnico di Milano - DIGE Università di Groningen
Lucia Piscitello
Politecnico di Milano - Dipartimento di Ingegneria Gestionale
Sommario The effects of internationalisation on the home labour market has recently attracted the interest in the scientific as well as in
the public debate for its social and economic consequences. However, the evidence is still scanty, mainly because of the lack of detailed
data. According to the theoretical literature, outward foreign direct investment (FDI) might induce a change in the labour intensity in the
home country (Blömstrom et al., 1997 for the US and Sweden; Lipsey, 1999 for the US; Lipsey et al., 2000 for the US, Japan and
Sweden; Mariotti et al., 2003, Barba Navaretti and Castellani, 2003, Federico and Minerva, 2005 for Italy), which depends on the type of
the investment itself. Indeed, horizontal FDI replicates the complete production structure of the home country, while vertical FDI
requires the transfer of part of the production process towards low-cost and less developed countries (Markusen et al., 1996; Agarwal,
1997). Therefore, while horizontal FDI, mainly directed towards advanced countries, has been shown to increase the labour intensity of
the home country domestic production, vertical FDI tends to reduce it. However, the literature on the impact of FDI on the employment
composition (skill upgrading) is less extensive and far from being conclusive (Slaughter, 2000 for the US; Hansson, 2001 for Sweden;
Head and Ries, 2002 for Japan; Falzoni and Grasseni, 2003 for Italy). The purpose of the present paper is to investigate the influence of
outward FDI on the employment level and composition within the Italian industrial districts. Considering the district as the unit of
analysis allows us to capture both direct and indirect effects of foreign production on the parent’s environment (suppliers, customers,
competitors, etc.), which arise through the generation of linkages and externalities. The issue will be addressed empirically using: - the
Reprint database on foreign manufacturing affiliates by Italian firms in 1996-2003; - the INPS (National Social Security Institute) data on
the salaried employees for the same period, concerning four categories: managers, clerks, manual workers and apprentices. The latter
allows to test whether outward FDI influenced skill upgrading in the Italian industrial districts, where skill upgrading is measured as an
increase in the aggregate share of skilled workers (managers and clerks) in total employment. The focus on employment rather than
wages represents a novelty of the present study with respect to the earlier works on this issue. The study is structured into five sections. A
general introduction is followed by the literary review on the effects of outward FDI on domestic employment, in terms of labour
intensity and skill upgrading. Section three describes the data employed and the model developed. The main results of the econometric
analysis are presented in section four. Section five concludes the paper.
Parole Chiave Skill upgrading, industrial districts, outward FDI, labour intensity.
Accessibility: Theoretical and methodological issues with reference to the introduction of
high speed train in Europe
Juan Carlos Martín
Universidad de Las Palmas de Gran Canaria - Departamento de Análisis Económico Aplicado
Sommario The study of the impact of transport infrastructure on accessibility has been traditionally based on the analysis of some
common isolated indicators frequently used in the literature (see e.g. GUTIERREZ, 2001). Selection of indicators and geographical
dimension are the most important determinant variables measuring accessibility changes produced by the construction of a new project.
BRUISNA and RIETVELD (1988) made a comparison of different accessibility indicators at European level, and they sustained the idea
that accessibility depends strongly on the selection of the indicator and the geographical area under study. New transport infrastructures
cause a Progressive contraction of space, in the sense that travel times are shortened and generalized costs reduced if prices do not
change substantially. FORSLUND and JOHANSSON (1995) manifested that improvements of transportation networks reduce
interaction costs, increase the overall
competitiveness of the system and allow the use of economies of scale and specialization in order to obtain more benefits. Hence, we can
observe that the quality and capacity of a region’s transportation network is a necessary condition to achieve efficiency in the production
and economic development. VICKERMAN et al. (1999) are not so optimist and declared that the precise role of transport infrastructure
in the process of regional development and the direction of causality are still open to much debate.
In this paper we present an empirical analysis of the accessibility in 88 European centres, since the year 1996 and with the forecasts for
the years 2005 and 2015, for evaluating the impact of new transport infrastructures investments, like the new high-speed train network in
the European Union.
The adopted methodology will allow planners to calculate a synthetic measure of three different partial accessibility indicators
characterised by: a) location; b) the economic or potential market; c) the daily accessibility. For this purpose, we use the data
envelopment analysis technique.
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Accessibilità e trasporti: sviluppi metodologici
all’introduzione della linea ad alta velocità in Europa
ed
empirici
con
riferimento
Juan Carlos Martin
Universidad de Las Palmas de Gran Canaria - Departamento de Análisis Económico Aplicado
Aura Reggiani
Stefano Scagnolari
Università di Bologna - Dipartimento di Economia
Sommario L’obiettivo del presente lavoro è l’analisi degli effetti e delle ripercussioni – sullo sviluppo di un’area geografica – generati
dalla realizzazione della rete ferroviaria ad alta velocità, a livello europeo. La funzione di accessibilità, avendo uno stretto legame con lo
sviluppo socio-economico di una regione, è stata lo strumento attraverso il quale sono stati esaminati questi cambiamenti.
A tal fine sono stati identificati quattro indicatori parziali di accessibilità: 1) Localizzazione 2) Efficienza della rete 3) Mercato potenziale
4) Accessibilità diaria. Per il calcolo degli indicatori sono stati considerati tre scenari temporali differenti, precisamente gli anni: 1996,
2005 e 2015. Il campo di applicazione si riferisce a 88 città europee.
L’obiettivo della sperimentazione è stato pertanto quello di sintetizzare l’informazione proveniente dagli indicatori parziali, in maniera
tale da ottenere risultati consistenti, che consentano di effettuare un confronto del livello globale di accessibilità per differenti aree. Per
raggiungere tale fine sono state sviluppate due metodologi e: 1) Data Envelopment Analysis (DEA) e 2) Analisi delle componenti
Principali (PCA).
Sviluppo del turismo sostenibile mediante fruizione informata di sistemi di risorse
Domenico Enrico Massimo
Università degli Studi di Reggio Calabria - Dipartimento PAU
Sommario METODOLOGIA La ricerca sperimentale del Dipartimento PAU è riferita ad un’area sub-regionale del Mediterraneo
europeo dove si registra una storica arretratezza economica, confermata da indicatori congiunturali che lasciano intravedere il definitivo
declino della fragile struttura produttiva, la “desertificazione antropica”, lo spreco di potenzialità. Tutto ciò a fronte di un’inaudita
concentrazione di pregiate risorse endogene: elevati livelli di biodiversità; notevoli possibilità di produzioni agricole tipiche e uniche;
storia millenaria; sincretismi culturali; singolarità etnico-linguistiche; notevole presenza di beni culturali. Tali risorse, oggi
sottoutilizzate, possono essere combinate in un’innovativa strategia di rivitalizzazione economica dei sistemi locali per lo scardinamento
di storiche arretratezze e l’innesco di crescita economica virtuosa, ambientalmente sostenibile e culturalmente compatibile. Prima tappa
della elaborazione di una strategia condivisa è la fondamentale conoscenza su risorse e potenzialità realmente esistenti nell’economia
territoriale che si intende scuotere dall’arretratezza. Nel Caso di Azione è stato realizzato il censimento totale dei beni culturali e
ambientali di una intera provincia individuando aree culturali sub-regionali omogenee definite Distretti Culturali Ambientali. Il primo
prodotto è un “Censimento\ricognizione\pre-inventario totale dei beni culturali e ambientali” delle entità articolate in categorie secondo i
criteri catalografici convenzionali. La conseguente ipotesi di strategia provinciale di valorizzazione è strutturata nei Distretti con
l’innovativa sequenza di valorizzazione-conservazione-tutela e negli itinerari provinciali e sub-provinciali, tutti concorrenti all’obiettivo
di una crescita economica sostenibile. La gestione e valorizzazione delle risorse culturali-urbano-ambientali, richiede supporti alle
decisioni e rappresentazioni spaziali delle situazioni territoriali. Bisogna ordinare gerarchicamente i beni da inserire negli itinerari e nei
relativi programmi di valutazione. Le scelte collettive tra scenari alternativi di azione possono trovare supporto operativo negli strumenti
di aiuto alle decisioni come le Analisi Multi Criteria (MCA). Nelle MCA sono compresi approcci basati sia sulla comparazione a coppie
di alternative, che sulla teoria dell’utilità multi-attributo. In tale contesto, un passo avanti di portata storica può essere la costruzione di un
anello mancante tra GIS e MCA e del relativo software di link che offrirebbe uno stabile supporto tecnico multidimensionale alle
decisioni, costruibile grazie alla capacità valutativa basata sulla conoscenza integrale del territorio creata dal censimento totale georiferito
dei beni culturali e ambientali. RISULTATI ATTESI La ricerca è stata focalizzata sulla stima qualitativa, ordinale, gerarchica,
economica delle caratteristiche e della qualità sia di singole entità individue che di interi sistemi territoriali dei beni. Tale ordinamento
gerarchico produce Itinerari strutturati per favorire lo sviluppo di un turismo sostenibile. L’inserimento di tali elementi nell’azione di
valorizzazione produce un ordinamento della strategia secondo la seguente struttura: - conoscenza territoriale o censimento totale delle
entità a partire da schede individue gestite mediante GIS; - valutazione di scenario delle potenzialità di valorizzazione grazie agli
approcci MCA; - disegno di strategie di sintesi tra tutela e valorizzazione sostenibile per aree vaste mediante l’economia della crescita
culturale. La ricerca definisce quindi gli strumenti essenziali per promuovere lo sviluppo di un’economia sostenibile in cui è presente
un’attività turistica basata sulla fruizione informata, guidata e selettiva delle risorse naturali e culturali.
Parole Chiave Risorse naturali, risorse culturali, turismo sostenibile, valutazione gerarchica.
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Valutazione dell’impatto territoriale di sistemi di mobilità e nuove relazioni trasporti territorio
Giuseppe Mazzeo
Università degli Studi di Napoli “Federico II” - CNR - DIPIST
Sommario Obiettivo del paper è la individuazione degli apporti che una corretta valutazione strategica può fornire ad un rinnovato
approccio di analisi e programmazione del sistema trasporti-territorio. A questo scopo una valutazione a carattere strategico riveste una
specifica rilevanza data la sua caratterizzazione processuale e la sua necessaria presenza nelle diverse fasi di redazione e gestione di piani
e programmi in quanto delinea in maniera più stretta gli impatti di azioni settoriali sulla conformazione e sulla evoluzione complessiva di
un territorio. La Direttiva comunitaria 42 del 2001 concernente la “valutazione degli effetti di determinati piani e programmi” individua
nella valutazione strategica uno strumento per l’integrazione dei fattori ambientali nell’elaborazione e nell’adozione dei piani e dei
programmi, estendendo ad un sistema di strumenti l’obbligo di queste valutazioni. Pur riconoscendo l’importanza di questo traguardo è
opportuno ribadire che ingabbiare la valutazione in un sistema normativo può rivelarsi restrittivo sia in relazione al campo di
applicazione che alla struttura metodologica applicata. Relativamente al primo aspetto si sottolinea che lo strumento può rivelarsi utile in
molte altre situazioni, anche non espressamente previste dalla norma; relativamente al secondo aspetto si sottolinea che la valutazione
ambientale strategica può essere considerata una struttura metodologica dinamica, all’interno della quale vengono continuamente
introdotte nuove metodologie di analisi ed allargati i settori di indagine con l’uso di metodi di valutazione più complessi e sistematici
basati su analisi intersettoriali non solo ambientali ma anche economiche, socio-culturali ed insediative. Gli strumenti di pianificazione e
gestione territoriale sono da sempre alle prese con rilevanti problemi di mobilità e la prefigurazione della rete futura è uno dei principali
compiti dei piani urbanistico-territoriali. Nonostante ciò, le due tematiche, quella trasportistica e quella urbanistica, sono generalmente
separate e oggetto di grande attenzione nei rispettivi settori scientifico-disciplinari, anche se si moltiplicano gli studi per individuare più
strette connessioni con l’obiettivo di definire un campo di azione comune in cui gli aspetti prettamente matematico-previsionali dei
modelli trasportistici e quelli prettamente dialettici caratterizzanti le pratiche di pianificazione territoriale si arricchiscano a vicenda
pervenendo ad una sintesi più avanzata e dinamica. Il paper vuole approfondire la tematica delle interrelazioni tra i due settori
analizzando il ruolo di ponte che la valutazione strategica può rivestire a questo scopo. Esso si fonda sulla convinzione che, soprattutto
nei territori a più elevata dinamicità insediativa, sia necessaria la creazione di una struttura di monitoraggio permanente, attenta ai
processi evolutivi che sul territorio stesso si svolgono. Il paper, inoltre, vuole approfondire il ruolo della anisotropia territoriale e del
differente livello di trasformabilità per definire parametri territoriali condivisi in relazione agli spazi e al loro uso. La trasformabilità
territoriale - concetto in uso in campo urbanistico e ripreso diviene−in una serie di norme regionali e di piani di diversa estensione quindi
base per la valutazione delle relazioni trasporti-territorio in ambiti spaziali disomogenei secondo parametri e piani di lettura diversificati.
Nell’analisi proposta la valutazione rappresenta un momento di una procedura più complessa che conduce a definire il sistema delle
trasformazioni del territorio a seguito della costruzione di politiche e di sistemi di azione nel campo della mobilità, incentrandosi su
aspetti di sostenibilità complessiva. In questo modo le metodologie di valutazione si connettono in modo più stretto con il territorio di
riferimento calando al suo interno le indicazioni strategico-ambientali di livello programmatico e verificandone gli impatti.
Parole Chiave Piani territoriali, mobilità, trasformabilità, valutazioni.
L’articolazione territoriale del capitale pubblico in Italia: un confronto tra alternativi
approcci di stima
Claudio Mazziotta
Università degli Studi Roma Tre
Sommario Da tempo l’analisi del contributo del capitale pubblico alla crescita - ed in particolare alla crescita territorialmente
differenziata - è (o è tornata ad essere) oggetto di studi, ricerche, analisi empiriche. Negli anni novanta, in particolare, si è assistito ad una
“esplosione” della letteratura in materia, teorica e soprattutto applicata, sia a livello internazionale, sia anche con specifico riferimento
alla realtà italiana. Per quanto riguarda la disponibilità di informazioni statistiche di base, tuttavia, è noto che per quanto riguarda il
fattore capitale - ed in particolare, il capitale pubblico - non esistono in Italia statistiche ufficiali in grado di consentire di effettuare
analisi della crescita con la disaggregazione territoriale adeguata e con la necessaria profondità temporale. A tale carenza sopperiscono
stime di studiosi e ricercatori, che si fondano essenzialmente su due approcci alternativi: da un lato, il metodo dell’inventario permanente
consente di stimare il capitale pubblico come cumulata degli investimenti in opere pubbliche al netto dei ritiri, e dunque esprime tale
aggregato in termini monetari; d’altro lato, la rilevazione della dotazione infrastrutturale installata nelle diverse aree del paese produce
stime del capitale pubblico espresse in termini fisici. Tra i lavori più recenti riferiti alla realtà italiana, si possono ricordare: per
l’approccio dell’inventario permanente, quelli di Paci e Pusceddu (2000), Picci (2002), Montanaro (2003), Golden e Picci (2004); per
l’approccio della dotazione fisica, i contributi dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne (1998 e 2001), di Di Palma e Mazziotta (2002),
Mazziotta (2004), Brunini, Messina e Paradiso (2002), Rinaldi, Pittau e Zelli (2003). La questione cui il lavoro intende dare una risposta
riguarda la correttezza dell’impiego dell’uno o dell’altro approccio nell’analisi regionale della crescita. In altri termini, ci si propone di
chiarire se i risultati ottenuti sulla base dei due approcci menzionati siano sostanzialmente fungibili ai fini dello svolgimento di analisi in
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cui figurino dati sul capitale pubblico a livello territorialmente disaggregato (in particolare, funzioni di produzione, analisi della
produttività regionale, etc.). Per lo svolgimento di tale riflessione, di natura essenzialmente metodologica nell’ambito della contabilità
nazionale, vengono affrontati i seguenti temi: i) richiamo agli elementi costitutivi di ciascuno dei due approcci considerati; ii) analisi
critica delle assunzioni teoriche e delle ipotesi di lavoro poste alla base dei due approcci; iii) confronto dei risultati ottenuti da alcuni dei
lavori più recenti che in Italia hanno proceduto alla stima del capitale pubblico utilizzando l’una o l’altra metodologia; iv) indicazioni
operative sulla effettiva portata ed utilizzabilità dei due metodi a fini di analisi regionali.
Parole Chiave Capitale pubblico, inventario permanente, dotazione infrastrutturale.
Le olimpiadi di Barcellona come occasione per un intervento di trasformazione urbana
Laura Milani
Politecnico di Milano
Sommario Il senso del grande evento, pretesto e motore di rilevanti trasformazioni urbane, è nella sua straordinarietà. I “grandi eventi”,
se ben indirizzati, rendono possibile l’attuazione di programmi tesi a favorire la soddisfazione di esigenze pregresse e si traducono in
termini di opportunità economica e di tempo. I meccanismi azionabili da un evento straordinario sono la messa a disposizione di risorse
aggiuntive (ottenimento di finanziamenti), la cooperazione di più attori ai diversi livelli istituzionali, il coinvolgimento di più settori
(pubblico e privato). L’impatto che scaturisce dalla realizzazione degli interventi sul territorio che li accoglie è strettamente legato alla
capacità di riconvertire a posteriori le strutture realizzate ad hoc. Le olimpiadi che si svolsero a Barcellona nel 1992 furono un pretesto
per intervenire sulla città in tempi rapidi, consentendo di colmare alcune carenze storiche. L’impatto generato dai Giochi, e analizzato
dopo la chiusura della manifestazione, si identificò in termini fisici, con le opere realizzate, e in termini intangibili, con l’impulso al
rinnovamento d’immagine che la città ricevette a livello internazionale. Le priorità urbanistiche a cui il programma olimpico intese far
fronte furono: - attrezzare di servizi la città e dotarla di un sistema infrastrutturale, per potenziare la relazione con l’area metropolitana e
per dare soluzione alla difficile permeabilità tra Est e Ovest; - spostare le nuove centralità verso Est per riqualificarne lo sviluppo. Il
successo dei giochi olimpici di Barcellona fu la trasformazione urbana che ne conseguì; questo divenne l’obiettivo comune a cui
concorsero le varie forze in gioco. L’organizzazione si basò su di un’economia mista, gestita in comune accordo dal settore pubblico e
dall’iniziativa privata. Le istituzioni pubbliche condussero direttamente i lavori: tanto il Governo Centrale di Spagna, quanto il Governo
della Regione e quello comunale, parteciparono alla pianificazione delle linee d’intervento perseguendo ciascuno dei precisi obiettivi. Le
strutture incaricate di portare in porto il progetto si divisero così: - il COOB ‘92, un organismo incaricato di conseguire la nomina e
prendersi carico dell’evento sportivo, con l’obiettivo di auto-finanziare la manifestazione equilibrando le entrate economiche con le spese
necessarie per l’organizzazione dell’evento. I Giochi si risolsero senza deficit. - La HOLSA, società anonima (a capitale per metà statale
e per metà comunale) a capo delle imprese incaricate delle opere urbanistiche collegate alla celebrazione dei giochi, strumento di
gestione, di finanziamento e di controllo degli investimenti da realizzare. La maggior parte degli interventi non erano direttamente
necessari per la celebrazione delle olimpiadi. Questo fu precisamente uno degli intenti: attirare il maggior numero di investimenti
pienamente utilizzabili dopo la manifestazione per compiere una pianificazione adeguata alle reali esigenze della città. L’investimento
predominò sopra il consumo e la componente pubblica predominò su quella privata. Gli investimenti effettuati si distinguono in spese per
l’organizzazione (non utilizzabili dopo l’avvenimento) e il costo delle opere (utilizzabili dopo l’avvenimento). Per tanto, solo una parte
può essere considerata propriamente “olimpica”. Le spese dell’organizzazione sono il reale “costo”, quello che non si può recuperare. A
Barcellona si vollero massimizzare i costi di quegli investimenti il cui valore sarebbe permaso nel tempo. Gli investimenti
rappresentarono l’85% di tutti i costi olimpici. Con le Olimpiadi si gettarono le basi per le trasformazioni urbanistiche da attuare nel
settore orientale della città, obiettivo che l’Amministrazione si prefissò successivamente, ideando il “FORUM 2004”, nuovo pretesto con
il quale tentò di completare la riqualificazione della città.
Parole Chiave Pianificazione, grandi eventi, olimpiadi di Barcellona, trasformazione urbanistica.
Delocalizzazione e sviluppo locale: Timisoara è un’area sistema? Un’analisi preliminare
del settore calzaturiero
Simona Montagnana
Università degli Studi dell’Insubria
Sommario Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, uno dei temi più dibattuti da economisti e politici è quello di definire quale
siano i possibili modelli di sviluppo industriale perseguibili dai diversi paesi del ex blocco sovietico, non solo perché viene ridisegnata
una “Nuova Divisione Internazionale del Lavoro” (NDIL): (divisione Nord - Sud, Ovest- Est e Centro - Periferia), ma per i cambiamenti
in atto nella struttura produttiva ed organizzativa della produzione di alcuni paesi. Negli anni novanta l’importante flusso di investimenti
diretti esteri (IDE), la presenza di MNEs (multinazionali) così come l’intensificarsi di nuove forme di internazionalizzazione:
decentramento Internazionale della Produzione (DIP), de-localizzazione internazionale, frammentazione internazionale dei processi
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produttivi (Tpp: Traffico di Perfezionamento Passivo), più facilmente conseguibili dalle imprese di minore dimensione, hanno avuto,
come nel caso dell’Ungheria e della Repubblica Ceca, effetti rilevanti sul grado di sviluppo e crescita economica dei paesi coinvolti
(UNCTAD 2002). La letteratura scientifica di riferimento affonda le sue radici nelle impostazioni teoriche dettate dalla scuola di
Dunning e nelle analisi empiriche (Steward 1975; Görge and Strobl 2002) riguardanti gli effetti della presenza di imprese multinazionali
sui paesi ospiti. Questa corrente di pensiero ha evidenziato come la presenza di MNEs e l’afflusso di IDE possano generare spillovers e
come tali spillovers stimolino la creazione di linkages e gli investimenti domestici, favorendo in questo modo la crescita e lo sviluppo dei
paesi destinatari di tali forme di internazionalizzazione. Gli impatti di queste forme di internazionalizzazione, in termini di sviluppo
economico, dipendono, infatti, dai linkages che le imprese straniere generano comparati con quelli prodotti dalle imprese locali e dagli
spostamenti sul mercato del lavoro. Tali forme di internazionalizzazione grazie ai rapporti che si generano tra imprese straniere e imprese
e governi del paese di destinazione, possono favorire la diffusione di informazioni, la riproduzione di conoscenze e di competenze e
l’introduzione di nuovi prodotti e di nuovi metodi di produzione (spillover) che determina il trasferimento di capacità imprenditoriali e
organizzative. Diversi studi empirici hanno però evidenziato come i linkages attivati dalle MNEs possono produrre sviluppo o
dipendenza (Turok 1993), così come avere effetti positivi o negativi (Rodríguez - Clare Andrés 1996). La possibilità per le imprese locali
di seguire un percorso di crescita e sviluppo dipende dalle motivazioni che spingono le imprese straniere ad effettuare IDE, dalla
modalità di insediamento, dalla permanenza sul territorio prescelto, dall’attivazione di linkages e dalla natura e qualità dei linkages che si
realizzano e dalle human capabilties presenti sul territorio. L’“effetto linkages” è forte quando i “costi di transazione (comunicazione,
organizzazione e coordinamento) sono elevati”. Tuttavia sempre più spesso le imprese perseguendo una strategia “follow the customer”
tendono ad abbassare i costi di transazione, limitando non solo la possibilità per le imprese che per prime de-localizzano a instaurare
linkages con imprese autoctone, ma dissolvendo il sistema locale d’origine. La ricerca qui presentata espone i risultati preliminari di
un’analisi empirica effettuata sulle imprese calzaturiere dell’area di Timisoara. E’ nostro proposito descrivere gli effetti del processo di
internazionalizzazione avviato dalle imprese italiane e verificare se siano attivi linkages capaci di produrre esternalità positive e quindi di
sostenere lo sviluppo del settore, a tal fine si cercherà di comprendere la natura delle relazioni tra le imprese. I risultati cui si è pervenuti
suggeriscono che le imprese localizzate in questo territorio non hanno raggiunto un grado di autonomia (decisionale, organizzativo,
progettuale e tecnologico) tale da poter governare il processo di sviluppo del settore. L’organizzazione del sistema produttivo locale
sembra inibire i meccanismi di trasmissione di conoscenza e la formazione di un sistema di relazioni basati sulla fiducia.
Parole Chiave De-localizzazione, linkages, embeddeness.
GIS e modelli spaziali nell’analisi regionale: alcuni effetti dei cambiamenti della politica
agricola europea nelle regioni dell’Europa continentale
Elisa Montresor
Francesco Pecci
Università degli Studi di Verona - Dipartimento Scienze Economiche
Sommario Le applicazioni dei Sistemi Informativi Geografici (GIS) e dei modelli spaziali agli studi regionali, seppure relativamente
recenti, hanno fortemente influenzato il loro l’andamento. In termini generali GIS e modellistica spaziale possono contribuire a rafforzare
gli studi regionali in almeno tre aspetti: primo, lo sviluppo dell’analisi spaziale esplorativa (ESDA) e la sua combinazione con i GIS
garantisce un milieu robusto ed analitico in termini geografici. La sempre maggiore disponibilità di basi di dati spaziali rende il contesto
degli studi regionali sempre più ricco di dati, ma non altrettanto ricco di teoria (Openshaw, 1991, 1993) e la soluzione migliore è quella
di far parlare i dati da soli (Gould, 1981; Anselin, 1996). L’ESDA, con un approccio fortemente induttivo, è in grado di mostrare
l’esistenza di modelli spaziali: associazioni spaziali e eterogeneità spaziale, che generalmente non sono individuabili con le analisi
tradizionali. Secondo, GIS e modelli spaziali forniscono strumenti utili per l’integrazione e la conversione dei dati da una scala spaziale
ad altre scale fornendo la possibilità di sopperire ad eventuali carenze di informazione. Terzo, il rapido sviluppo dell’analisi spaziale
(ESDA specialmente) e delle tecniche GIS favorisce la messa a punto delle teorie dell’analisi regionale. Nel lavoro si propone la
costruzione e l’applicazione di un modello spaziale basato sulla regressione pesata geograficamente con approccio bayesiano,
Geographically Weighted Regression, GWR, (Fotheringham, Brunsdon, Charlton, 2002; LeSage, 2003), ponendo in luce i vantaggi
conseguibili negli studi regionali con l’applicazione di questa metodologia, che rappresenta una robusta sintesi dell’integrazione tra
ESDA e GIS. Operando con scale delle unità spaziali ridotte, regionali o sub-regionali, i modelli multivariati locali, come la GWR,
possiedono buone capacità di stimare le relazioni che esistono tra le variabili nelle localizzazioni vicine. L’essenza dei modelli locali è di
consentire ai parametri di variare secondo la localizzazione geografica, al contrario dei modelli globali dove rimangono identici in tutte le
localizzazioni. Il caso di studio è rappresentato dall’analisi dell’impatto sui principali indicatori economici delle agricolture di 56 regioni
dell’Europa continentale tra il 1993 ed il 2003 delle misure contenute nella riforma della Pac del 1992 e in Agenda 2000. La ragione è la
necessità di comprendere se e come una riforma incisiva come quella del 1992 ha cambiato la geografia produttiva dell’agricoltura
europea e comprendere gli scenari in cui si colloca la nuova riforma della Pac del 2003. Tale intervento segna una linea di forte
discontinuità nel complicato processo di ridefinizione delle politiche agrarie nell’Unione Europea attraverso il disaccoppiamento degli
aiuti, non più vincolati alle quantità prodotte, ma corrisposti d’ora in avanti in maniera fissa sulla base degli aiuti mediamente percepiti
dagli agricoltori europei nel triennio precedente la sua approvazione. I risultati attesi sono l’individuazione dei differenti sistemi
territoriali nell’UE in relazione al disaccoppiamento e la classificazione delle unità territoriali (NUTS 2 o NUTS 3) in relazione alle
dinamiche socio-economiche e fornire informazioni utili a comprendere il peso dell’impatto dei cambiamenti della Politica Agraria
Comunitaria.
Parole Chiave GIE e modelli spaziali, regressione geograficamente pesata, regioni europee, aiuti disaccoppiati.
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Knowledge dissemination and informal contacts in an italian wine local system
Andrea Morrison
Roberta Rabellotti
Università del Piemonte Orientale
Sommario A well-grounded empirical and theoretical literature shows that local production systems can benefit from external economies
generated by a shared ‘industrial atmosphere’ (Asheim, 1996; Becattini 1990; Camagni, 1991; Maskell, 2001; Rabellotti, 1997). Many
scholars agree that in contexts as industrial districts, clusters and local systems, production activities and more broadly economic actions
are strongly embedded in social and institutional factors. In other words, the industrial atmosphere can be intended as a by-product of
social -and mostly informal and personal- contacts developed by agents rooted in specific socio-economic contexts.
The aim of this paper is to address the issues of informal knowledge and information exchanges and their policy implications in a
specific local system. More precisely, the research question aims at understanding the content of “industrial atmosphere”: are firms
exchanging information or knowledge? How relevant are these exchanges? Do different network structure emerge?
The empirical analysis has explored the above questions in a wine production area located near Novara, in the Eastern part of Piemonte
(Italy).
Data have been collected with interviews based on a structured questionnaire to 26 wine producers, representing the almost entire
population of the local system. Moreover, local organisation and key informers have been interviewed.
The empirical findings are analysed with social network techniques. Social network analysis is increasingly applied in different context
(industrial districts, R&D agreements, organisation studies, etc.) to give account of those ni teractions, such as knowledge and
information exchanges, which escape market opportunistic behaviours; in other words those relations which are mostly based on trust
and social ties instead of price transactions.
In the paper we describe and compare the structural properties of the informational and knowledge networks emerging from informal
contacts developed by local wine producers. This exercise is aimed at understanding whether and to what extent ‘local rumours’ consist
in information or knowledge flows; to what extent they flow through weak rather than strong ties and how the network structure may
prevent them to circulate among local actors. The empirical evidence provided is useful to sustain that the effectiveness of local
industrial policies cannot avoid a careful and scrupulous investigation of the local relational capital.
Parole Chiave Conoscenza, network, distretti, apprendimento.
Il ruolo delle infrastrutture nel mezzogiorno d’Italia: l’ipotesi realizzativa del distripark
nel porto di Brindi si
Rossella Murgolo
Università degli Studi di Bari
Sommario IL Mezzogiorno d’Italia si trova di fronte ad un fondamentale punto di svolta nel proprio percorso di sviluppo, determinato
da alcuni importanti cambiamenti del quadro di riferimento. La sfida maggiore è rappresentata dal progressivo emergere di nuove e
aggressive realtà territoriali concorrenti nel Mezzogiorno, sia nel contesto dell’Unione Europea allargata ad Est che nel contesto del
Bacino Sud del Mediterraneo. A livello nazionale ed Europeo, le infrastrutture rappresentano senza dubbio uno dei principali fattori per il
rilancio economico, specialmente in quelle aree nelle quali la dotazione infrastrutturale è carente e il servizio erogato attraverso le
infrastrutture non soddisfa pienamente le esigenze degli utenti. In un contesto come quello del Mezzogiorno d’Italia, quindi, appare
fondamentale comprendere quali infrastrutture siano prioritarie per sostenere la visione strategica e la vocazione di sviluppo territoriale.
A tal fine, la vocazione territoriale dell’area di Brindisi, richiederebbe la realizzazione di un Distripark, nelle aree prossime al porto, al
fine di contribuire all’avvio di nuove opportunità, connesse alla realizzazione della struttura logistica, in grado di creare valore aggiunto
alle attività portuali del territorio. Il presente lavoro ha la finalità di analizzare come, l’eventuale realizzazione del Distripark nel porto di
Brindisi, possa fungere da elemento di interscambio fra diversi modi di trasporto, nonché da anello di congiunzione fra industria e
servizi, con strutture di stoccaggio, di distribuzione, di assemblaggio, di confezionamento, di controllo di qualità delle merci. Inoltre, la
realizzazione del Distripark consentirà al porto di divenire centro di eccellenza per la gestione dell’informazione che permetta di
relazionare efficacemente i produttori, i centri di distribuzione ed i clienti, per ridurre gli stock delle scorte, per perseguire efficacemente
il Just in Time (JIT), soprattutto con l’intermodalità, nonché gestire ogni altra forma organizzativa in grado di migliorare l’efficienza e
l’efficacia dei servizi utili alle imprese. Nel lavoro si intende, inoltre, sottolineare gli effetti socio-economici che, la realizzazione di una
tale struttura, possa generare in modo diffuso sul territorio, e ci riferiamo alla capacità di offrire servizi logistici ad alto valore aggiunto
anche connessi ai servizi terminalistici, in linea con le merci in transito. L’obiettivo che si intende raggiungere è quello di inserire il porto
nello scenario internazionale delle piattaforme logistiche, in fase di profonda ristrutturazione ed evoluzione, ma anche di ampliare
l’offerta di servizi per meglio raccordare i diversi segmenti della logistica del trasporto. Inoltre, si potrà pensare ad un ampliamento delle
attività logistiche brindisine, da quelle proprie del trasporto a quelle della logistica a servizio dell’impresa, sia per le merci locali che per
quelle di transito e a contribuire alla reingegnerizzazione della logistica.
Parole Chiave Trasporti, porto, distripark.
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Il ruolo della conoscenza condivisa nella pianificazione di bacino idrografico
Aurelio Muzzarelli
Università degli Studi di Bologna - DAPT - Facoltà di Ingegneria
Sommario La forza dei modelli di pianificazione basata sul modello della razionalità scientifica, nella teoria e nella pratica non ha dato i
frutti sperati ed è andata scemando con l’andar del tempo, soprattutto negli ultimi decenni, per diversi fattori: aumento della complessità
dei problemi e delle interazioni (problemi di natura “fisico-ambientale”, sociale, economica); impossibilità di valutare e quindi di
misurare questioni di “valore” attraverso un approccio scientifico e conseguentemente creare un vasto consenso; scollamento tra fase
decisionale ed attuazione del piano in un contesto ove quest’ultima è pur sempre il frutto dell’interazione tra pubblico e privato; crescente
importanza della partecipazione, concertazione e conseguentemente del “sapere comune” rispetto al “sapere scientifico”. Ciononostante
rimane diffusa la convinzione che non si possa trascurare l’apporto dalle conoscenze scientifiche soprattutto quando le trasformazioni
previste dal piano sono in qualche modo soggette a vincoli e valutazioni imposte da dinamiche di tipo “fisico” (includendo l’ambiente
naturale e quello antropizzato). I progressi della tecnologie dell’informazione (in particolare quella geografica che nel campo della
pianificazione assume notevole rilievo nella rappresentazione descrittiva e analitica dei “fenomeni urbanistici e territoriali”) e della
comunicazione hanno ridato in qualche misura vigore ai modelli basati sulla razionalità scientifica, costituendo un valido strumento di
supporto alla costruzione e alla comunicazione della conoscenza scientifica. Il presente lavoro vuole perciò avviare una riflessione sul
rapporto tra conoscenza e pianificazione, considerando non solo la conoscenza che deriva dalle argomentazioni scientifiche, ma anche la
conoscenza come contributo collettivamente costruito in diverse forme attraverso saperi condivisi e partecipati da tutti coloro cui è
rivolto il processo di piano, considerando il ruolo importante “della mediazione”. Nell’ottica della concertazione tra i diversi livelli di
pianificazione delle autonomie locali e pianificazione specialistica o settoriale (intesa soprattutto come pianificazione ambientale e
quindi un livello definito come conoscitivo, normativo e tecnico-operativo; come richiamato dalla legge italiana L183/1989 con
l’istituzione delle Autorità di bacino idrografico) occorre che le valutazioni scientifiche riconducano ad una razionalità comunicativa la
discussione pubblica sui problemi individuati e la ricerca di posizioni condivise con le istanze di sviluppo socio-economico della
comunità. La pianificazione di bacino, per sua “natura” razionale e cogente, assume valore e diventa strumento reale per la gestione del
territorio nella misura in cui viene condivisa dai livelli di pianificazione che operano alla scala locale. Per questi motivi strumenti come i
sistemi informativi geografici distribuiti in rete possono avere un ruolo utile alla costruzione di “conoscenze condivise”. Nel presente
lavoro viene perciò proposto un sistema Web-GIS flessibile basato su un architettura che integra ambienti proprietario ed “open source”
a supporto dell’interazione tra pianificazione di bacino e pianificazione alla scala locale che ha l’obiettivo di facilitare la comunicazione e
la condivisione delle informazioni.
Parole Chiave Conoscenza, pianificazione, web-GIS, open-source.
Pubblico e privato negli interventi di riqualificazione urbana attraverso i programmi
complessi
Savino Natalicchio
Real Estate Advisory Group
Fulvia Pinto
Politecnico di Milano - DIAP
Sommario Nei programmi complessi di riqualificazione urbana, la compresenza di una pluralità di soggetti nella pianificazione e
nell’attuazione degli interventi, sta mettendo in luce che non è più sufficiente legittimare gli strumenti in termini di correttezza
interpretativa e procedurale, ma è necessario rinvenire elementi di supporto alla sostenibilità del programma all’interno del processo
stesso. In tale ottica, risulta di fondamentale importanza per il successo dell’intervento la verifica delle specifiche competenze pubbliche
e private: in una prospettiva di pubblico interesse occorre conoscere in termini quantitativi e qualitativi i contributi negoziati tra i vari
attori coinvolti. Dalle esperienze in corso di attuazione è emersa, pur nella varietà dei casi, l’esigenza di stabilire metodologie e criteri di
valutazione finalizzati a cogliere i benefici attribuibili ai diversi soggetti nella negoziazione, in termini di obiettivi, contenuti e forme
degli interventi. Partendo dall’analisi di alcuni casi di studio derivati dall’esperienza lombarda dei programmi complessi, la ricerca è tesa
ad individuare alcuni percorsi metodologici e possibili criteri di valutazione delle specifiche competenze pubblico/private. In altri
termini, la ricerca, basandosi su una rilettura critica dello sviluppo insediativo prodotto dagli interventi di trasformazione di matrice
complessa-negoziale e dei relativi esiti fisico-spaziali, indaga il processo negoziale che ha caratterizzato gli interventi, in particolare per
ciò che concerne le scelte progettuali, la composizione delle risorse finanziarie, i vantaggi per i soggetti privati coinvolti e le ricadute
pubbliche ottenute dalle comunità locali. Una politica non più basata soltanto sull’intervento pubblico, ma finalizzata ad attivare azioni di
partenariato tra pubblico e privato con l’obiettivo di catalizzare ed attrarre risorse supplementari. I programmi complessi affrontano in
modo integrato (per soggetti, finanziamenti e tipologie di intervento) trasformazioni in parti di città di rilevanza urbana. La diffusione
della cultura del partenariato pubblico privato in Italia risulta connessa alla domanda crescente di infrastrutture e servizi da parte dei
cittadini e delle imprese in un contesto di riduzione delle risorse pubbliche. L’approccio negoziale vede anche un crescente sostegno da
parte del legislatore, sia a scala nazionale sia a scala locale. Il modello di sviluppo deve essere basato sulla collaborazione tra Stato e
mercato, dove l’investimento dello Stato, attuato non in concorrenza, bensì in cooperazione con i privati, agisce come moltiplicatore
delle risorse. Il successo di alcune iniziative dimostra la validità della collaborazione tra pubblico e privato. Tale collaborazione può
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aumentare sempre più, con lo sforzo di superare i preconcetti che vedono una contrapposizione tra i due soggetti. Negli ultimi anni in
Italia il ricorso al partenariato pubblico privato è in netto aumento e si concentra essenzialmente nella riqualificazione urbana e nella
realizzazione di grandi opere infrastrutturali. La valorizzazione immobiliare non esaurisce certamente il tema della “valorizzazione
urbana”, e non è soltanto business, ma è condizione di fattibilità per progetti di riqualificazione di carattere più ampio. Tuttavia, anche un
progetto di sola valorizzazione immobiliare deve essere contestualizzato nelle dinamiche locali ed ha bisogno del sostegno pubblico, in
particolare dell’ente locale. Chiaramente è compito degli enti pubblici assicurare un equilibrio tra la redditività degli investimenti e gli
interessi della collettività. Alle controparti private, in particolare a quelle imprenditoriali, spetta, invece, il compito di offrire agli Enti
locali un appoggio efficiente in questo processo di miglioramento qualitativo. Per tale motivo gli imprenditori in genere, e quelli del
settore edilizio-immobiliare in particolare, devono compiere a loro volta un grande sforzo di adeguamento e di innovazione: dalle
modalità di produzione, calibrate su segmenti di mercato tradizionali (commerciale, residenziale, terziario, ecc…), allo sviluppo di una
nuova offerta immobiliare in grado di interpretare le nuove domande espresse da una società in continua trasformazione (intrattenimento
e svago, shopping esperienziale, qualità dell’abitare, servizi sociali, ecc.).
Parole Chiave Riqualificazione urbana, concertazione urbanistica, qualità, negoziazione.
Le politiche strutturali e di sviluppo rurale nell’Unione Europea, in Italia, nelle regioni
dell’Obiettivo 1. Un caso studio la regione Calabria
Agata Nicolosi
Mariangela Petullà
Università degli Studi di Reggio Calabria - Di.Stafa - Facoltà di Agraria
Sommario Il presente lavoro di ricerca intende approfondire ed analizzare la programmazione 2000-2006 e lo stato di attuazione degli
interventi strutturali cofinanziati dai Fondi comunitari nell’ambito della Politica regionale dell’Unione europea e della Politica Agricola
Comune. La Politica regionale dell’Unione europea e la Politica Agricola Comune, che finanziano rispettivamente interventi di riduzione
delle disparità socio-economiche tra le regioni dell’Unione e di sviluppo del mercato agricolo, infatti, costituiscono strumenti
fondamentali per lo sviluppo e il progresso generale dell’Unione europea. Pur trattandosi di politiche consolidate negli obiettivi di fondo,
tali politiche sono state nel corso del tempo oggetto di alcune revisioni nell’organizzazione interna, negli obiettivi e negli strumenti, con
lo scopo di definire modalità di intervento atte a fronteggiare in modo più incisivo ed efficace i continui cambiamenti di ordine politico e
economico che hanno attraversato l’Unione europea. La ricerca si articola in tre principali fasi volte ad esporre lo stato della
programmazione e dell’attuazione finanziaria nel periodo 2000-2006. La prima fase è dedicata ad introdurre l’analisi del periodo di
programmazione 2000-2006: dopo una breve illustrazione della Politica strutturale dell’Unione europea, di cui vengono esaminate
l’articolazione, le finalità, gli strumenti e la dotazione complessiva assegnata agli interventi strutturali condotti in Italia nell’ambito
dell’Unione europea, l’analisi evidenzia, in una visione di sintesi, lo stato della programmazione e dell’attuazione finanziaria. La seconda
analizza, in dettaglio, lo stato della programmazione e dell’attuazione finanziaria concentrandosi sui singoli interventi del periodo20002006 condotti nell’ambito degli Obiettivi prioritari di sviluppo, proponendo, altresì, una lettura della ripartizione del costo programmato
e dei dati di impegno e pagamento degli interventi del periodo considerato. Infine, la ricerca analizza la programmazione dei fondi
strutturali della Regione Calabria nel periodo 2000-2006 al fine di appurare la logica allocativa e distributiva delle risorse nei programmi
di intervento (POR e PSR) per lo sviluppo rurale. All’interno dell’ultima fase saranno considerate le risorse comunitarie e nazionali
stanziate a favore dei programmi nella Regione Calabria con particolare riferimento alle risorse rese disponibili dal FEOGA. L’approccio
metodologico seguito è stato di tipo analitico-descrittivo. L’obiettivo principale è quello di analizzare la programmazione dei fondi
strutturali della Regione Calabria nel periodo 2000-2006 al fine di appurare la logica allocativa e distributiva delle risorse nei programmi
di intervento (POR e PSR) per lo sviluppo rurale, con particolare, riguardo al Fondo Feoga e le risultanze dell’incidenza dei Fondi
strutturali nelle Regioni Obiettivo 1 ed, in particolare, in Calabria.
Parole Chiave Sviluppo rurale, fondi strutturali, programmazione, politica regionale.
Designing a transatlantinc transport policy research agenda
Peter Nijkamp
Free University of Amsterdam - Department of Spatial Economics
Sommario Transportation in a modern society is a dynamic phenomenon and it is subjected to an unprecedented evolution, as it is
witnessed by changes in life-style, in new technology, or in globalisation trends. A solid strategic analysis and a sophisticated applied
modelling approach of this complex force field mean an enormous challenge for the transportation research community. There is a clear
need for systematic fact-finding, leading to consistent and harmonized empirical databases, which constitute a necessary requirement for
a mature comparative study programme on European and North-American mobility and transportation patterns, and elsewhere in the
world. To make this a fruitful endeavour, the research activities should be oriented towards a transition from speculative arguments to
solid theory, from subjective reflections to testable models, and from a mono-disciplinary approach to a creative exploration of the
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opportunities for sustainable mobility at the edges of different disciplines. There is certainly a need for a thorough Transatlantic
comparative policy research analysis in the transportation sector (Button and Nijkamp, 2004).
The field of transportation research is in full motion. The need to address sustainability aspects of transportation prompts both intriguing
policy questions and fascinating research challenges. On both sides of the Atlantic a great variety of research strategies and projects has
been developed to cope with relevant research questions.
The paper introduces the nature of these research questions from a Transatlantic perspective and presents the contours of a realistic
policy research agenda for transportation in a sustainability context.
Le città mediterranee: modelli, processi, politiche
Giuseppe Pace
Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo
Sommario Questo studio sulle città del Mediterraneo affronta questioni quali i limiti reali delle metropoli (che oltrepassano quelli
amministrativi, incorporando nuove aree, popolazioni e attività, talvolta non fisicamente collegate), gli apparati pianificatori e le loro
relazioni con la teoria urbanistica (cercando di definire meccanismi nuovi e più operativi per indirizzare e governare lo sviluppo urbano)
e le trasformazioni della società (enfatizzate nella famiglia, associazioni locali, cultura e status sociale). Attraverso la comparazione di
diversi casi di studio, si evidenzia come la metropoli sviluppa i propri processi di crescita endogena, comportandosi talvolta in maniera
autonoma, gestendo le proprie risorse, generando attività produttive ed innovazione, sviluppando una forte coesione sociale e culturale e
rinforzando, infine, il suo significato comunitario. Procedendo attraverso due alternative prospettive - macro e micro - senza favorire
l’una sull’altra, senza considerarle domini separati e in competizione, ma ritenendoli momenti interattivi e complementari alla
comprensione dell’urbanistica e delle sue specificità spaziali, lo studio verifica una serie d’assunti teorici alla base della produzione
sociale di spazi urbani mediterranei. E’ troppo facile spiegare le continue irregolarità nei confronti delle regole urbanistiche con la
corruzione dei pubblici ufficiali, senza al contrario considerare il funzionamento sia del “realismo politico” che della “regolazione
sociale”. In particolare, l’accettazione dell’urbanizzazione spontanea significa un implicito o esplicito, volontario o obbligato
cambiamento politico, ed una spiegazione possibile potrebbe doversi cercare nelle nuove relazioni di potere che si vanno instaurando tra
pubblici amministratori, agenti immobiliari, lottizzatori, agenti di proprietà “clandestine” e abitanti. In particolare, si sofferma sul
modello della “creative city” e sulle opportunità economiche offerte dallo sviluppo d’attività legate alla produzione culturale. In tal
senso, lo studio si concentra sui caratteri comuni di diversi contesti mediterranei e ne verifica i comportamenti culturali di fruizione e
produzione, prendendo in considerazione i diversi modelli d’istituzioni formali e informali, dell’associazionismo locale e del mercato
culturale locale, nazionale e internazionale. Notevole spazio, infine, è dato all’individuazione di modelli sociali e decisionali nuovi o
tradizionali. S’intende, infine, produrre una riflessione più accurata sul processo decisionale, riferita non soltanto ai poteri costituiti, ma
allargata allo stesso individuo ed ai suoi obiettivi, non sempre chiari, coerenti e permanenti, ma pur tuttavia ragionevoli.
Parole Chiave Città, Mediterraneo, politiche, creative.
Trasformazioni urbane e rete di trasporto su ferro:il caso di studio di Napoli
Francesca Pagliara
Enrica Papa
Università degli Studi di Napoli - DIPIST
Sommario In ambito scientifico sono numerosi i contributi sia teorico-metodologici che empirico-applicativi finalizzati allo studio degli
impatti dello sviluppo di infrastrutture di trasporto collettivo sul sistema urbano o territoriale (Knight e Trygg 1977; Nijkamp e Blaas
1994; Vessalli 1996; Cascetta 2001; RICS 2002; Debrezion et al. 2004); d’altra parte, in ambito tecnico-operativo si sta sviluppando la
consapevolezza della necessità di un governo delle trasformazioni integrato tra il sistema di trasporto collettivo e il sistema urbano
(Cervero 1998; Wegener e Furst, 1999; Van Wee 2002; Bertolini 2003; Dittman 2004; Kim et al. 2004). Tuttavia risulta ancora incerto il
complesso sistema di relazioni fisiche e funzionali esistenti tra lo sviluppo di una rete di stazioni e le trasformazioni urbane ad esso
connesse. Partendo da questo presupposto, il lavoro proposto vuole fornire un contributo per dare una risposta alle seguenti questioni:
quali sono i fenomeni di autorganizzazione fisica e funzionale conseguenti all’apertura di una rete di stazioni metropolitane? quali sono i
principali fattori che intervengono nel processo di interazione tra le trasformazioni del sistema urbano e lo sviluppo di un sistema di
trasporto collettivo su ferro? quali sono i possibili interventi per massimizzare l’utilizzo delle risorse investite nella costruzione della rete
infrastrutturale attraverso lo sviluppo equilibrato del sistema delle aree di influenza delle stazioni?
La struttura del paper risulta costituita da quattro parti, ciascuna orientata a fornire una risposta a questi interrogativi. Nella prima viene
fornito un quadro di riferimento scientifico sulle interazioni trasporto-territorio, con la definizione delle tipologie di impatto in
riferimento alla più recente letteratura del settore. Nella seconda parte viene sviluppata una analisi comparativa di studi empirici in
diversi contesti urbani europei e Nord-americani, con particolare attenzione al trasporto su ferro. Nella terza parte del lavoro, con
riferimento al caso di studio della città di Napoli, viene proposta una interpretazione critica degli impatti sul sistema urbano della
realizzazione della rete metropolitana, mediante la quantificazione e l’analisi delle variazioni di un sistema di indicatori tra il 1991 e il
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2004. In particolare, viene proposta una interpretazione critica degli impatti territoriali ed economici con il supporto di un Sistema
Informativo Geografico. Infine, viene evidenziata la opportunità di definire un panel di interventi e di strategie di tipo urbanistico per
ottimizzare l’utilizzo delle risorse investite nella costruzione della rete su ferro e per indirizzare il governo delle trasformazioni urbane
verso criteri di Transit Oriented Development e di Smart Grown. In particolare, viene applicato e adattato alla scala metropolitana il
modello interpretativo nodo-luogo (Bertolini 1998 e 1999) al fine di mettere in evidenza le relazioni tra i fenomeni di trasformazione
urbanistica con la variazione delle caratteristiche di accessibilità dei singoli nodi della rete. I risultati della procedura forniscono uno
strumento utile per la definizione delle strategie di intervento integrato in base alle particolari caratteristiche di contesto di ciascuna
stazione
Parole Chiave Stazioni, transit oriented development, accessibilità.
La regolazione dei servizi pubblici locali: gli strumenti a disposizione delle regioni e dei
comuni
Ivana Paniccia
Agenzia per il Controllo e la Qualità dei Servizi
Sommario Il lavoro sviluppa il tema degli strumenti di regolazione dei servizi pubblici locali a disposizione delle Regioni e dei Comuni
al fine di migliorare le prestazioni delle aziende erogatrici nell’ottica generale dello sviluppo territoriale. La sezione introduttiva del
lavoro delimita il possibile ambito di competenza delle Regioni e dei Comuni, anche considerando le leggi regionali in materia sinora
approvate, all’interno dell’attuale quadro di ripartizione delle competenze tra Stato, regioni e enti locali previsto dalla riforma del Titolo
V della Costituzione. In aderenza ai principi di sussidiarietà dell’ordinamento, le leggi regionali possono, infatti, meglio definire il
perimetro dei servizi considerati pubblici locali, esplicitare principi non definiti nella legge nazionale (es.”accessibilità dei servizi”),
prevedere nuovi compiti in capo agli enti locali, istituire nuovi organi e strumenti di tutela dei cittadini, oltre a poter derogare ad alcune
disposizioni della legge nazionale. I Comuni, dal canto loro, in linea con la legislazione nazionale e regionale, possono ulteriormente
qualificare il rapporto con le aziende erogatrici di servizi pubblici a beneficio dei diversi stakeholder della collettività locale (es. utenticittadini e imprese), agendo in particolare sui contenuti dei contratti di servizio e sui meccanismi di monitoraggio e controllo delle
aziende. La parte centrale del lavoro si sofferma sugli aspetti di competenza delle regioni e dei comuni che più potrebbero avere impatto
sul miglioramento della qualità erogata e percepita, sull’efficienza tecnica ed economica e sulla qualità ambientale dei servizi erogati e su
come questo processo possa influire sulle politiche di sviluppo locale e/o regionale. Vengono esaminate in particolare le modalità più
efficaci attraverso cui le leggi regionali e l’attività di deliberazione comunale (di Giunta o Consiglio comunale) possono intervenire sugli
elementi decisivi del rapporto di regolazione con i soggetti erogatori dei servizi a rilevanza economica (o servizi locali di interesse
economico generale, secondo il diritto comunitario), come il contenuto dei contratti di servizio e delle carte dei servizi, gli strumenti e gli
organismi di monitoraggio delle prestazioni, i meccanismi di incentivazione finanziaria e di ridefinizione dei metodi tariffari previsti da
leggi nazionali. Facendo perno su alcune esperienze concrete di regolazione e/o di controllo e monitoraggio (Agenzia per il controllo e la
qualità dei servizi pubblici locali del Comune di Roma e Osservatorio risorse e servizi della Regione Lombardia), il lavoro si conclude
con una illustrazione degli strumenti che Regioni e Comuni possono attivare per migliorare le prestazioni dei servizi pubblici locali e
l’attrattività dei contesti territoriali. Tra questi, in particolare, si mostrerà come una sistematica attività di confronto comparativo delle
prestazioni (con altre città/aziende o regioni a livello nazionale e internazionale) e di monitoraggio delle prestazioni (definite nei contratti
di servizio) che venga adeguatamente pubblicizzata possa sortire effetti concreti sui comportamenti delle imprese erogatrici. Allo stesso
modo, verrà discussa l’efficacia dei contratti di servizio come strumento di regolazione (dei Comuni e/o delle Regioni) quando questi
contengano il maggior numero di elementi specificati, la quantificazione degli obiettivi quantitativi, la definizione degli standard
qualitativi e degli obiettivi di miglioramento, la previsione di sanzioni e penali (o premi).
Parole Chiave Servizi pubblici locali, regolazione, contratti di servizio, sviluppo locale.
Dinamiche globali e mutamenti nelle strutture di proprietà dei porti: nuove prospettive
per le autorità portuali
Paola Papa
Università degli Studi di Bari
Sommario Negli ultimi due decenni il settore marittimo è stato investito da una serie di mutamenti strutturali strettamente legati alla
rivoluzione nelle tecnologie di trasporto ed allo sviluppo del commercio internazionale.
Ciò ha determinato un inasprimento della competizione interportuale ed ha sollecitato un innalzamento dei livelli di servizio offerti per
incontrare una domanda sempre più esigente. I porti moderni non si limitano, infatti, a fornire servizi di base ma si impegnano a
sviluppare servizi ad alto valore aggiunto, come quelli logistici, dotandosi, inoltre, di adeguate attrezzature e sovrastrutture rispondenti
alle diverse tipologie di carico ed ai nuovi parametri di efficienza nelle operazioni. Parallelamente si sono ampliate le opportunità per
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l’ingresso di operatori privati nell’industria portuale e si è palesata la necessità di una revisione dei ruoli degli attori pubblici e privati
nello svolgimento delle operazioni portuali, nel finanziamento degli investimenti e nella gestione degli asset.
Pertanto, tali mutamenti, se da un lato hanno modificato profondamente il ruolo dei porti, consentendo l’industrializzazione dei cicli di
trasporto in catene logistiche integrate, dall’altro hanno richiamato l’attenzione sugli assetti istituzionali e gestionali per l’individuazione
di strutture di governo e strategie di sviluppo che consentano ad essi di essere maggiormente competitivi e di adeguarsi ai continui
mutamenti del mercato in modo da cogliere le opportunità che via via si presentano.
In particolare, sono le autorità portuali che si trovano a dover riorganizzare le proprie funzioni e ad individuare obiettivi compatibili con
la gestione dei compositi interessi in gioco. A fronte di un ambiente più dinamico ed aperto ai principi commerciali, diviene necessario
per gli enti di governo portuale riformulare le strategie di sviluppo e gli approcci gestionali.
Il presente lavoro si inserisce nel dibattito relativo all’individuazione della più appropriata linea di demarcazione fra le funzioni portuali
gestite a livello pubblico e quelle gestite a livello privato e sui compiti che spettano all’autorità portuale come organo coordinatore e
regolatore di tutte le attività portuali. Partendo da un’analisi dei mutamenti nell’ambiente esterno e delle modifiche negli assetti di
governo e di proprietà dei porti sullo scenario internazionale, ci si interrogherà sulle funzioni e sulle strategie delle autorità portuali in
una fase di ristrutturazione dell’intera organizzazione portuale. Infine, sarà preso in esame il caso italiano e ci si soffermerà sul ruolo del
management portuale che, a seguito del processo di decentramento dei poteri (legge 84/94) e di privatizzazione dei terminal viene
esposto a nuovi rischi ma, allo stesso tempo, può individuare percorsi di sviluppo strategico impensabili in passato.
Parole Chiave Autorità portuali, porti, privatizzazione, assetti istituzionali ed organizzativi, strategie gestionali.
Sviluppo rurale e turismo sostenibile nelle aree protette. Il caso del Parco dell’Etna
Palma Parisi
Università degli Studi di Catania
Sommario In ambito europeo la centralità del tema dello sviluppo rurale rappresenta il punto di arrivo di un lento processo di evoluzione
della PAC che ha portato ad attribuirgli un ruolo attivo nel superamento degli squilibri territoriali, sociali e settoriali e che ne ha fatto il
suo secondo pilastro In questa strategia assumono valore le vocazioni territoriali fondate sulla multifunzionalità dell’agricoltura e si
stringono i rapporti di correlazione e interdipendenza tra le attività economiche e sociali I territori rurali sono ricchi di giacimenti storicoculturali, di patrimoni legati alla biodiversità, alla varietà del paesaggio, al mantenimento delle tradizioni agricole mentre da un punto di
vista socio-economico essi possono contenere una riserva di capitale umano e sociale strategica per assicurare la flessibilità del sistema
locale e la sua capacità di adattamento. Nelle aree rurali la produzione di servizi che attengono all’accoglienza, allo svago,
all’intrattenimento, allo sport, ed al godimento di beni paesaggistici e culturali può contribuire validamente allo sviluppo della economia
e della società locale. Il turismo rurale per le sue peculiarità circa le dimensioni delle strutture coinvolte, la localizzazione delle attività
socio-economiche, l’assenza di esternalità negative sull’ambiente, possiede quelle potenzialità necessarie per generare effetti positivi,
tanto sul piano sociale che su quello più strettamente economico,nello spazio rurale Relativamente allo sviluppo dei flussi turistici si può
affermare che l’ambiente ed il territorio sono passati da condizioni di limite a quella di variabile strategica per cui sembra lecito
aspettarsi un intenso processo di crescita di questo segmento dell’attività turistica. Queste considerazioni riferite in particolare alle aree
protette e nello specifico al Parco dell’Etna assumono un particolare significato in quanto costituiscono gli elementi di una strategia in
cui si coniugano gli obiettivi di conservazione e tutela dell’ambiente con lo sviluppo economico locale. Dopo avere analizzato i nuovi
strumenti per lo sviluppo rurale introdotti nelle politiche europee e le modalità con cui sono stati recepiti nel Piano di sviluppo rurale
elaborato dalla Sicilia, l’analisi è rivolta ad offrire una descrizione delle caratteristiche delle strutture agricole del comprensorio del Parco
sia in termini di indirizzi produttivi che di dotazioni fisiche, delle forme di esercizio di altre attività produttive di tipo artigianale nonché
della disponibilità di strutture ricettive e di risorse ambientali e culturali che possono fare da supporto allo sviluppo nell’area di una
attività turistica. Ciò costituisce il supporto informativo per una migliore conoscenza della realtà locale ai fini di consentire scelte di
intervento che consentano di incrementare le sinergie e gli effetti sul territorio e di suggerire proposte per la definizione di progetti che
consentano di coordinare ed usare al meglio gli strumenti disponibili.
Parole Chiave Sviluppo rurale, turismo, aree protette, interventi.
Centro storico di Napoli: un sistema informativo territoriale a supporto al piano di
gestione del sito UNESCO
Carmine Pascale
Consorzio T.R.E.
Sommario Dal 1995 il centro storico di Napoli è iscritto nella Lista dei Siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità. Per patrimonio culturale
si intende “un monumento, un gruppo di edifici o un sito di valore storico, estetico, archeologico, scientifico, etnologico o
antropologico”, la sua tutela rientra tra i compiti dell’UNESCO. Il centro storico di Napoli rientra nella lista in quanto “sito di
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eccezionale valore, essa è infatti una delle più antiche città d’Europa, il cui attuale tessuto urbano conserva gli elementi delle sua storia
lunga ed intensa. La sua localizzazione, nella baia di Napoli, le fornisce un eccezionale valore universale che ha avuto una grande
influenza in molte parti d’Europa ed oltre”. Affinché un sito possa essere iscritto alla Lista del Patrimonio Universale (WHL) l’UNESCO
richiede la formulazione di un Piano di Gestione le cui finalità sono quelle di garantire nel tempo la tutela e la conservazione alle future
generazioni dei motivi di eccezionalità che ne hanno consentito il riconoscimento. Il Comune di Napoli, tra le attività propedeutiche alla
redazione del Piano di Gestione, ha avviato presso il servizio valorizzazione della città storica l’implementazione di un Sistema
Informativo Territoriale per la gestione degli interventi nel centro storico. La funzione specifica del SIT è quella di archiviare, gestire ed
analizzare i dati relativi agli interventi, a vario titolo eseguiti da tutti gli attori pubblici che operano sull’area di studio, allo scopo di
coordinare e monitorare le attività di riqualificazione nell’ottica della tutela dei valori che hanno permesso l’iscrizione del sito nella Lista
dell’UNESCO. Il database cartografico è stato realizzato a partire dalla carta tecnica comunale sulla quale sono state individuate le unità
minime di aggregazione dei dati. Queste possono essere singoli edifici o complessi di immobili. Al fine di reperire i dati relativi agli
interventi sono state predisposte delle schede di acquisizione dati che prevedono una prima pagina di descrizione generale del sito e una
seconda pagina di descrizione dell’intervento. Ad ogni edificio o complesso di immobili è stata prevista la possibilità di associare più di
una scheda in modo da archiviare informazioni su tutti i possibili interventi che nel corso degli anni dovessero essere stati eseguiti,
progettati o anche soltanto previsti. Tutti gli enti che si prevede possano agire sull’area di analisi sono stati contattati e hanno compilato,
in relazione agli interventi di loro competenza, le schede di acquisizione dati e fornito la relativa individuazione cartografica. Il SITUNESCO ha previsto la strutturazione di una banca dati cartografica e di una banca dati alfanumerica correlata alla prima e lo sviluppo,
in ambiente GIS, di interfacce personalizzate per l’archiviazione dei dati e l’interrogazione dei singoli siti. Le interfacce personalizzate,
hanno previsto lo sviluppo di: - un modulo di acquisizione e modifica di dati cartografici; - un modulo di acquisizione e modifica di dati
alfanumerici; - un modulo per la gestione degli eventi e degli archivi; - una funzione di ricerca per nome del sito; - una funzione di
tematizzazione in funzione di vari dati alfanumerici archiviati; - una funzione di stampa della scheda relativa al sito. Tali funzioni di fatto
costituiscono la base di un sistema che costituirà, attraverso la sua corretta gestione, un fondamentale supporto alle decisioni per la
riqualificazione di tutto il centro storico di Napoli.
Parole Chiave Riqualificazione, gestione, GIS, SIT.
SIT di supporto alle decisioni: la gestione dei rifiuti nella regione Toscana
Serena Pecori
Marco Rotonda
Luisa Santini
Università degli Studi di Pisa - Dipartimento Ingegneria Civile
Sommario La Regione Toscana nella nuova Legge sul Governo del Territorio (lgr n. 1/2005) sancisce l’obbligo di effettuare la
valutazione integrata degli effetti ambientali, territoriali, economici, sanitari e sociali. Uno degli aspetti più importanti e delicati
dell’attività di valutazione è quello che concerne il coordinamento degli enti territorialmente competenti nelle fasi di “raccolta” e di
“trattamento” delle informazioni, soprattutto all’interno di un sistema di governo del territorio, come quello toscano, in cui si applica al
massimo livello il principio della sussidiarietà. Nel campo del “sistema rifiuti” tre sono le principali competenze territoriali: a livello di
area vasta i piani settoriali (Piano Regionale e Piano Provinciale di Gestione dei Rifiuti) svolgono la funzione di coordinamento degli enti
locali per la programmazione e gestione del servizio e stabiliscono gli obiettivi prestazionali e i criteri per la verifica degli effetti
sull’ambiente; a livello locale troviamo i Piani comunali di raccolta e gestione dei rifiuti, che si occupano specificamente della
programmazione e pianificazione del servizio (per alcuni comuni è anche obbligatoria la redazione di una Relazione sullo Stato del
Sistema Rifiuti); infine, diverse sono le aziende private che gestiscono il servizio e si occupano anche della raccolta dei dati. Alla luce di
quanto detto, i problemi emergenti sono legati principalmente ai seguenti aspetti: La pianificazione del servizio, che avviene a livello
provinciale, richiede una disponibilità di informazione strutturata, aggiornata e aggiornabile facilmente, che spesso gli enti gestori
preposti non sono in grado di fornire al necessario livello di dettaglio. A livello locale i comuni, utilizzando le informazioni fornite
dall’ente gestore, hanno iniziato la costruzione di SIT specifici contenenti la localizzazione delle diverse tipologie di contenitori per la
raccolta, finalizzati alla gestione di alcuni servizi (ad esempio: integrazione orari pulizia strada con orari raccolta rifiuti, ecc.) e a
supportare le azioni di sensibilizzare degli utenti del servizio. L’utilità di questi SIT ai fini della pianificazione a livello provinciale si
rivela, spesso, molto scarsa, data l’assenza di protocolli comuni e procedure che garantiscano l’unicità del dato e la sua utilizzabilità a
scale diverse. Alla luce di quanto sopra esposto, la ricerca all’interno della quale si colloca questo lavoro, ha l’obiettivo di impostare una
metodologia che sia in grado di “aiutare” la pianificazione e il coordinamento a livello di area vasta e di fornire uno spunto operativo per
l’integrazione ed il coordinamento della “conoscenza” ai vari livelli territoriali. L’obiettivo specifico è quello di individuare i parametri
per la costruzione di un SIT provinciale, che possa: divenire il contenitore di dati aggiornabili in tempo reale e lo spunto per individuare
codifiche, parametri e protocolli comuni per tutti i Comuni e i gestori; costituire lo strumento mediante il quale le amministrazioni
comunali possano interagire attivamente con gli utenti del servizio, da un lato garantendone la soddisfazione e dall’altro ricavandone,
mediante sensibilizzazione, un prezioso apporto attivo. Fornire, mediante l’uso di tecnologie sofisticate, gli strumenti per la stima delle
variabili mancanti e per il miglioramento del contenuto informativo e degli indicatori per le valutazioni. Infatti, partendo dalle
conclusioni di un precedente lavoro (Pecori et al. 2004), che ha messo in evidenza le relazioni preferenziali che si instaurano tra le
caratteristiche del sistema socio- economico e la produzione di rifiuti, si prevede di stimare, attraverso sovrapposizioni e query tra vari
tipi di dati socio-economici e demografici, uso di strumenti dell’intelligenza artificiale (KDD), etc., i valori delle produzioni di RSU
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(Rifiuti Solidi Urbani) e la percentuale di RD (Raccolta Differenziata per categoria merceologica) per aree territoriali fortemente
disaggregate (sezioni di censimento o isolati) per le quali sono noti i dati relativi alle caratteristiche della popolazione.
Parole Chiave Rifiuti solidi urbani, S.I.T., raccolta differenziata, indicatori.
La pianificazione regionale dei distretti industriali: dall’analisi statistica agli effetti sullo
sviluppo locale in Puglia
Paola Perchinunno
Università degli Studi di Bari - Dipartimento di Scienze Statistiche
Francesco Rotondo
Politecnico di Bari
Sommario Il contributo si basa sull’analisi dell’evoluzione dei Distretti Industriali in Puglia, attraverso lo studio delle dinamiche rilevate
mediante indicatori statistici e delle politiche urbanistiche attuate per regolarle.
Dall’analisi dei dati quantitativi, rilevati attraverso l’8° Censimento ISTAT dell’Industria e dei Servizi del 2001, si evidenzia come i
distretti pugliesi siano concentrati in due macro-aree territoriali: quella compresa tra il Nord e il Sud Barese, specializzata nei settori del
calzaturiero, dell’abbigliamento e dei mobilifici (salottifici), e quella localizzata nella zona Sud-Ovest del Salento, specializzata nei
settori del calzaturiero e dell’abbigliamento. Le due macro aree non hanno un peso equivalente. Infatti, la prima macro area comprende,
rispetto alla seconda, l’87% circa del totale di unità locali e il 74% del totale di addetti presenti nei distretti pugliesi. Inoltre, possiamo
analizzare come nel settore calzaturiero il numero di addetti e di unità locali presenti nei due distretti del Nord Barese Ofantino e di
Casarano concentrino la quasi totalità al loro interno rispetto al valore provinciale. Dal confronto tra i dati del 1991 e quelli del 2001 si
evidenzia, invece, come il distretto murgiano sia quello che presenta uno spiccato incremento sia in termini di U.L. che di addetti.
Dal punto di vista urbanistico, si esamina lo stato attuale della pianificazione dei distretti in Puglia, ai sensi della recente legge regionale
n°2 del 2003, i suoi riflessi sugli strumenti di attuazione delle politiche comunitarie e sulla pianificazione ordinaria come disciplinata
dalla LUR n°20/2001. Le due macro-aree regionali identificate attraverso l’analisi statistica, non sono state oggetto di alcuna politica
integrata di sviluppo locale finalizzata a supportare le opportune sinergie di scala. Le politiche di sviluppo locale rivolte alle aree dei
distretti industriali, finanziate dai POR attraverso i PIT, hanno avuto un carattere occasionale e non hanno realizzato le condizioni
strutturali e infrastrutturali necessarie a sviluppare il sistema produttivo regionale che in queste aree ha i suoi punti di forza. La
programmazione e la pianificazione dei sistemi locali richiede ai decisori pertinenti, in primo luogo alla Regione, la capacità di formulare
e attuare una strategia di sviluppo economico intrinsecamente integrato al territorio.
Il lavoro intende, quindi, illustrare in forma sintetica rispetto alla complessità dell’argomento, le modalità con le quali la regione Puglia
ha disciplinato gli interventi di sviluppo economico, le attività produttive, le aree industriali e quelle ecologicamente attrezzate, nel
contesto più ampio della pianificazione urbanistica e territoriale, cercando di evidenziare, per quanto possibile, le criticità e le
opportunità rilevate sulla base dei dati statistici analizzati.
Parole Chiave Distretti industriali, pianificazione regionale, analisi dati statistici, sviluppo locale.
Unemployment and employment in the italian provinces
Cristiano Perugini
Marcello Signorelli
Università degli Studi di Perugia - Dipartimento di Economia
Sommario The aim of the paper is to analyse the characteristics of the main labour market performance indicators (employment rate and
unemployment rate) from a theoretical and an empirical point of view.
We dedicate the first part of the paper to briefly reviewing the literature concerned with the topic and to reconstructing how the use of
employment rates has been growing in recent years. To do that, starting from Roncaglia (2004) we recall and discuss the main
determinants and implications of the use of unemployment rates vs. employment rates, moving from the fact that traditional economic
literature considers unemployment indicators to be the main proxies of labour market performance. Although already in the late 1960s
the usefulness of considering also employment dynamics was emphasized, only recently have many authors started to prefer the use of
employment indicators (Valli, 1970; Frey, 1994; Signorelli, 1997; Marelli, 2004). They argue that, for various reasons, employment
indicators are preferable to unemployment indicators and also the European Employment Strategy, launched during the 1997
Luxembourg Job Summit, underlines the importance of the shift towards employment indicators, since its quantitative objectives
(decided by the Councils of Lisbon in 2000) are defined in terms of (i) total employment rate and (ii) female employment rate.
In the second part of the paper we deliver an empirical analysis referred to Italian labour markets performance at provincial level (NUTS
3) using the two indicators (general ER and UR and female ER and UR). The targets are (i) to investigate if the alternative use of
employment and unemployment rates leads to significantly different outcomes and conclusions in terms of labour market performance
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and dynamics, and (ii) to discuss the direction of these differences. From the theoretical point of view, following the example of some
recent contributions (e.g., Marelli 2000), we carry out a convergence analyses of the provincial employment/unemployment
performances based on the traditional instruments of the empirical growth literature: the sigma and the beta convergence. We finally
calculate and compare the trends of the elasticities of both employment and unemployment on added value. Our outcomes suggest that
the picture of Italian provincial labour markets differs in some important asp ects dependent on the use of the labour market indicators.
This is particularly true when regional labour market performance is analysed in dynamic terms.
In the final section we summarise our results and discuss their main implications especially in terms of labour market policy intervention.
Parole Chiave Employment/unemployment indicators, employment/unemployment convergence, employment/unemployment elasticity,
provincial labour markets.
I costi esterni della mobilità in ambito urbano: una metodologia di valutazione
Giulia Pesaro
Paolo Pileri
Politecnico di Milano - DIAP
Sommario Il rapporto tra trasporti e ambiente si identifica nell’insieme degli effetti di degrado ambientale - costi ambientali o esternalità
ambientali negative - causati dalle caratteristiche e dalle dinamiche dei sistemi di domanda e offerta di trasporto proprie di un
determinato sistema territoriale. Si tratta quindi di far emergere il trade off esistente tra modello di mobilità e domanda di qualità
ambientale e sociale, tenendo conto del fatto che non solo la percezione della qualità ambientale e del degrado da parte della collettività è
molto variabile, ma anche del fatto che la sua quantificazione può diventare un elemento cruciale per lo sviluppo delle attività di governo
del territorio. Lo studio qui proposto, di carattere esclusivamente metodologico, si concentra sugli impatti ambientali delle fasi di utilizzo
dei mezzi di trasporto, sia passeggeri che merci, in un’area urbana. L’analisi prende avvio dalle esperienze di valutazione che
l’associazione Amici della Terra ha sviluppato negli ultimi anni a livello nazionale, che vengono qui riorientate alle problematiche
specifiche degli ambienti urbani, nell’ambito di un progetto di ricerca commissionato ad Amici della Terra dalla Regione Lombardia. Il
risultato principale del lavoro è stato la realizzazione di una metodologia teorica di riferimento per l’analisi e il calcolo delle esternalità
negative determinate da un sistema di domanda di spostamenti in ambito urbano, da intendersi come effetto delle interazioni tra modalità
di uso dei veicoli, struttura urbana e infrastrutture di trasporto. In questo saggio verrà presentata la parte di lavoro dedicata al problema
del trattamento degli elementi specifici e dei fenomeni che caratterizzano gli ambienti urbani e che, combinandosi tra loro, determinano
differenze anche molto forti nelle diverse realtà locali: da aspetti più generali, come le dimensioni della città, la sua forma, il modello
insediativo e gli usi principali, ad elementi di grande dettaglio, come la categoria delle strade, legata alla dimensione e alle caratteristiche
funzionali, o la numerosità e tipologia di soggetti ed elementi territoriali esposti (per esempio il patrimonio artistico e culturale costruito).
Risultato è stato la realizzazione di una metodologia di analisi basata su due componenti. Da un lato una matrice di calcolo dei costi
esterni prodotti dalle diverse modalità di mobilità, in cui si evidenzia il costo unitario delle esternalità per tipologia di veicolo e di
utilizzo (già sviluppata da Amici della Terra e opportunamente aggiornata). Dall’altro una matrice delle condizioni urbane, esito
innovativo del progetto, in cui sono stati riassunti elementi e fenomeni specifici degli ambienti urbani e ai quali si è associato un segno,
positivo o negativo, rappresentativo della loro influenza sui costi unitari calcolati nella matrice precedente. L’uso dei due strumenti
dovrebbe consentire di individuare gli elementi urbani che più degli altri contribuiscono ad amplificare o mitigare le esternalità. Le
policy settoriali potranno quindi basarsi su tali conoscenze per individuare strategie e selezionare gli strumenti più adatti per centrare gli
obiettivi pubblici di riduzione delle esternalità da traffico nei diversi contesti urbani.
Parole Chiave Costi esterni mobilità, mobilità urbana, ambiente urbano.
Estrazione di conoscenza per la costruzione di regole comportamentali
Massimiliano Petri
Università degli Studi di Pisa
Sommario Nella notevole quantità di simulazioni applicate alle scienze sociali, la costruzione delle regole di evoluzione e delle regole
applicate agli agenti (sia nel caso che siano singoli individui oppure gruppi di individuai) nei Sistemi Multi Agente, ha avuto tre
principali tipologie di soluzione: 1.Approccio basato sulla teoria urbana, dove le regole assegnate agli agenti sono basate su equazioni od
altri consolidati modelli analitici. In questa tipologia troviamo soprattutto modelli ibridi che utilizzano l’interazione fra la dinamica alla
macroscala e quella alla microscala (A. J. Heppenstall, A. J. Evans, M. Birkin 2003), modelli fondati su teorie statistiche ed economiche
(P. Waddell, A. Borning, M. Noth, ed altri 2003); sono tutti modelli che simulano la dinamica basando il comportamento del sistema su
regole costituite da formule matematiche più o meno complesse. 2.Approccio basato sulla conoscenza “esperta”, dove le regole sono
basate sull’esperienza di chi costruisce le stesse oppure sul più semplice buon senso. Attualmente questo risulta essere l’approccio più
utilizzato; ne fanno parte alcuni modelli relativi alla simulazione del movimento pedonale nella città (T. Schelhorn 1999), alla crescita e
sviluppo delle città (F. Semboloni, J. Assfalg, S. Armeni, R. Gianassi, F. Marsoni 2003) oppure relativi a situazioni particolari, quali
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l’evoluzione di una società puramente agricola od altre situazioni che rappresentano alcuni aspetti semplificati della realtà (C. CioffiRevilla, N. M. Gotts 2002). Un elemento da sottolineare è il peso delle regole assunte nei vari steps della simulazione; infatti, come
mostrato in (H. S. Otter, A. Veen, H. Vriend 2001), una piccola differenza di regole comportamentali può portare ad una dinamica
totalmente diversa. Quindi, più in generale, due impostazioni comportamentali diverse, entrambi concettualmente e teoricamente
plausibili, possono portare a risultati diversi. 3.Approccio basato sull’estrazione delle regole a partire dai dati. Si utilizzano in genere dei
classificatori (Alberi Decisionali, Reti Neurali) oppure altri algoritmi provenienti dal campo dell’Intelligenza Artificiale (Algoritmi
Genetici). Questo è l’unico approccio veramente bottom-up, che permette di estrarre regole non “calate” dall’alto (come per i primi due
punti) bensì di ricavare regole specifiche relative al territorio in esame. Ci troviamo di fronte alla complessità della dinamica interiore
(ovvero relativa alla singola mappa mentale) a ciascun agente, alla difficoltà insita in un problema multidisciplinare, che viene a
coinvolgere la sociologia, il marketing ed in alcuni casi la psicologia; questo perchè i comportamenti e le mappe mentali sono influenzate
dai cambiamenti del contesto con cui lo stesso agente viene ad interagire. Esso prevede l’evoluzione delle regole comportamentali
dell’agente fino alla simulazione di un processo di apprendimento (“learning”), attraverso gli strumenti dell’Intelligenza Artificiale.
Questa metodologia è ancora poco sviluppata e si trovano modelli ancora allo stato prototipale (E. Zwerts 2004), ricerche relative allo
specifico campo di estrazione di regole dai dati o analisi di tipo puramente teorico; questo perché si è coscienti della complessità del
problema e di quanto sia necessario effettuare ricerche a riguardo. In questo lavoro si presentano, dopo una breve rassegna sulla tipologia
di strutture comportamentali già sperimentate nelle esistenti sperimentazioni, un nostro tentativo di implementazione di regole attraverso
l’estrazione delle stesse da un database esistente. La metodologia utilizza gli strumenti appartenenti al campo dell’Intelligenza Artificiale,
denominati Alberi Decisionali, per costruire le regole. In particolare viene presentata la prima fase di costruzione di un modello Activity
Based nella quale si sta popolando il GeoDataBase relativo ai dati individuali ed alle attività attraverso un’indagine campionaria svolta
sulla popolazione della città di Pisa. Questo database sarà successivamente utilizzato per la costruzione di regole decisionali attraverso lo
strumento di DataMining suddetto.
Parole Chiave Sistemi multi agente, geodatabase, alberi decisionali, modelli activity based.
Barriers to TFP in italian regions
Davide Piacentino
Università degli Studi di Palermo
Sommario For a long time, Italy has been characterised by wide regional growth gaps and the South has always represented the poorest
area of the country. The past development policy (“Intervento Straordinario per il Mezzogiorno”) was mainly oriented to stimulate the
aggregate demand. However, the results of this policy have showed the inefficiency of the Southern productivity system to generate
long-run growth. Indeed, when the public financial assistance decreased, the South slowed down in the growth process and,
consequently, the divergence with the North increased. Nowadays, a new generation of policies seem to be more oriented to stimulate the
supply side of the Southern economy, attempting to improve not only the infrastructural and technological endowment but also some
intangible factors such as the social capital. In this paper, we intend to investigate if some social and institutional regional factors have an
effect on the growth process of the Total Factor Productivity (TFP), considered here as a measure of the structural part of the
productivity system. The theoretical background of our analysis is rooted in the model of Parente and Prescott (2000). The authors show
that, in a neoclassical model, the income per capita gaps depend mainly on the difference in TFPs, even if the technology is the same in
all the observed countries. Then, the TFP can differ because each country has different policies and these affect the productivity by
imposing constrains (or barriers) on the technologies that can be used or how they are used. In our analysis, we consider two different
kinds of barriers to TFP. The first is the stock of public capital mainly derived from the accumulation of the investments in
infrastructures. The second is the criminality index considered as a proxy of the regional social environment. Then, we use a panel data
for the 20 Italian regions and the period 1970-2001. In the first step of the analysis, we assess, through the growth accounting
methodology, that the differences in output per worker across the Italian regions depend mostly on the TFP and only in small part on the
physical capital endowment. Therefore, we provide a test, based on a non parametric method, to verify some of the most strong
assumptions of the growth accounting. Then, we estimate a dynamic model to look for evidence of conditional convergence in TFP.
Finally, we observe a different elasticity of the two control variables, even though their effect is the same in terms of convergence speed.
Parole Chiave Total factor productivity, italian regions, convergence, panel data.
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Sviluppo urbano e interdipendenze fiscali nelle aree metropolitane: aspetti teorici e
evidenze empiriche
Santino Piazza
Stefano Piperno
IRES Piemonte
Sommario Gli studiosi di economia pubblica locale sono stati da tempo introdotti dalla letteratura anglosassone al fenomeno del circolo
perverso del declino/degrado urbano. Negli Stati Uniti si è assistito negli ultimi venticinque anni ad un peggioramento progressivo delle
condizioni economico-finanziarie di numerose città all’interno delle maggiori aree urbanizzate del paese. All’origine di questa situazione
si trova la diminuzione di imprese ed occupati nelle città centrali e, in particolare, lo spostamento di popolazione delle classi medio- alte
da queste alle aree suburbane. Gli amministratori delle città centrali si trovano infatti sempre più spesso a finanziare servizi a vantaggio
delle amministrazioni locali contermini, in quanto i movimenti pendolari per ragioni di lavoro, studio o di impiego del tempo libero per
consumi di vario tipo, scaricano sulla città centrale i costi della prestazione di servizi a cittadini residenti nei comuni contermini. Ciò
causa un incentivo alla migrazione della popolazione ricca e delle imprese. Tali interdipendenze fiscali creano poi un’offerta inefficiente
nella fornitura di servizi pubblici in quanto le decisioni di spesa del comune centrale non tengono conto della domanda dei cittadini non
residenti. Ne deriva una drastica riduzione di basi imponibili e di entrate per le città centrali con una conseguente riduzione delle spese e
dei servizi, nel caso non si voglia ricorrere ad un aumento della pressione fiscale, dando origine ad un circuito perverso che sta alla base
della “crisi fiscale” delle grandi città. Il modello, in definitiva, si basa su una interpretazione della mobilità spaziale dei cittadini e delle
imprese che introduce determinanti di tipo fiscale. Tale diagnosi è strettamente collegata alle peculiarità istituzionali e dei processi di
sviluppo urbano nel Nord-America, ma non è necessariamente vera in Europa e, in particolare, in Italia. In queste aree i fattori che stanno
alla base della mobilità di famiglie e imprese sono probabilmente legati in misura limitata alla fiscalità locale e, inoltre, esiste un
significante intervento redistributivo effettuato dalle amministrazioni centrali. Curiosamente, però, nel nostro paese si è posta scarsa
attenzione al legame che sussiste tra i processi di sviluppo urbano e il sistema della finanza locale metropolitana in una fase di crescita
rilevante dell’autonomia finanziaria locale. In questo lavoro ci proponiamo di affrontare tale problema, anche al fine di verificare le
possibilità di introdurre meccanismi espliciti di cooperazione tra gli enti locali nelle aree metropolitane siano essi la Città metropolitana o
altre soluzioni alternative di natura cooperativa previste dal nostro ordinamento (T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Il
contributo è diviso in tre parti ed è riferito in gran parte all’area metropolitana di Torino. I dati di base sono rappresentati da informazioni
censuarie e dall’archivio dei bilanci consuntivi dei comuni 1998-2002. La prima parte richiama il modello del degrado urbano e discute
sulla sua applicabilità al caso italiano. In particolare, ci si chiede se in parallelo al processo di sviluppo urbano si sia determinata nel
corso degli anni una situazione di fiscal stress (opportunamente definita) relativamente più elevata nella città centrale rispetto alle
collettività locali comprese nell’area metropolitana di riferimento. Nella seconda parte si affronta il problema delle interdipendenze
fiscali tra città centrali ed aree suburbane sia a livello teorico che applicato per quanto concerne la possibilità di una loro misurazione
empirica. Nelle conclusioni sono approfondite le implicazioni dei risultati complessivi dell’analisi rispetto alla necessità e alla possibilità
di introduzione di una forma di governo metropolitano a Torino e in Italia.
Parole Chiave Area metropolitana, interdipendenze fiscali.
L’approccio cognitivo ai processi di valutazione strategica integrata. L’uso delle reti
neurali artificiali alla valutazione di piani e programmi di rigenerazione urbana.
Un’applicazione
Emanuele Pifferi
Giovanni Virgilio
Università degli Studi di Bologna - DAPT
Sommario L’affermazione di un nuovo modo di concepire il processo di piano ha comportato l’emergere di un quadro disciplinare
impegnato nella ricerca di nuove regole e strumenti in grado di cogliere, da un lato la domanda di partecipazione e controllo da parte dei
soggetti terzi, dall’altro la necessità, interna al sistema decisionale, di aumentare il grado di rendimento socio-economico (ove con tale
termine si fa riferimento al rapporto esistente tra le risorse scarse di cui si dispone e i risultati che si intendono perseguire) ed efficienza
delle fasi dell’intero processo.
Spesso è difficile riuscire a intravedere una regola che giustifichi gli esiti di un qualche tipo di intervento territoriale, o permetta di
prevedere il successo o l'insuccesso di un’azione di piano; in ogni caso è pressoché impossibile quantificare o qualificare gli effetti e gli
impatti derivanti dall’interazione tra il piano e il contesto territoriale in cui questo trova attuazione. Nel dare risposta a questa esigenza,
gli approcci sistemici olistici e, ancor più, i modelli e i piani di stampo razionalista hanno manifestato in modo evidente i loro limiti. La
risposta a tale crisi è stato il rifugio nella singolarità (spaziale e temporale) dell’azione di pianificazione con riferimento al singolo
contesto d’attuazione, con la conseguente negazione di qualsiasi validità generale delle soluzioni e, quindi, della possibilità di
trasferimento delle esperienze, specie quelle di successo, in contesti territoriali differenti. Nelle pratiche di pianificazione questo salto
logico da un estremo (modelli e teorie generali di natura riduzionistica) all'altro (la negazione dell’esistenza di invarianze strutturali di
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carattere generale) rischia di tradursi in una sottovalutazione delle tendenze di fondo e delle indicazioni generali, che trascendono il caso
specifico e costituiscono un’invarianza comune a più situazioni; sottovalutazione che può rivelarsi cruciale sotto il profilo strategico.
L'applicazione delle reti neurali, quale strumento di supporto al processo decisionale, può costituire una valida soluzione ad alcuni dei
problemi individuati. Le caratteristiche proprie della rete, infatti, permettono la ricerca delle invarianti strutturali e l’emersione dei nessi
impliciti che si stabiliscono tra le diverse dimensioni contestuali facilitando l'identificazione di regole e modelli che garantiscono un
livello adeguato di generalizzazione; inoltre, la fase d’addestramento permette la costruzione della conoscenza fondandola su
informazioni ottenute dall’analisi di casi reali evitando in tal modo il rischio di astrattezza teorica e di superflui tecnicismi da più parti
paventato. In particolare, poiché la rete è in grado di lavorare con dati sfumati, qualitativi e ad alto grado di incertezza, contribuisce in
modo sostanziale a ridurre il problema della complessità e permette di cogliere caratteristiche della realtà identificabili solo in modo
vago.
Sulla base di tale convinzione si è sperimentata un’applicazione delle reti neurali backpropagation al fine di individuare le più opportune
strategie di intervento per la riqualificazione di aree degradate e a tale scopo si è articolato lo studio in due fasi d’indagine. Nella prima ci
si è proposti di valutare la capacità dello strumento di individuare fattori comuni di successo da un insieme di buone pratiche,
identificando le strategie di intervento più efficaci in base alle diverse condizioni di degrado e agli obiettivi prefissati. Nella seconda fase
si è ottenuto ad un affinamento dei risultati ottenuti, attraverso l’addestramento delle reti su progetti finanziati nell’ambito del
programma comunitario URBAN e ciò al fine di verificare la capacità delle reti di supportare un processo di selezione dei casi di
probabile successo o fallimento, sulla base delle indicazioni ottenute dal processamento delle informazioni, relative alle strategie da
implementare in casi di riqualificazione urbana confrontabili con quelli analizzati. I risultati ottenuti fanno prefigurare interessanti
prospettive per l’applicazione di questi strumenti ai processi di valutazione dei piani e programmi territoriali.
Parole Chiave Reti neurali, valutazione, pianificazione strategica, riqualificazione urbana.
Agricoltura e territorio. Principali cambiamenti dei sistemi agricoli italiani
Marco Platania
Università degli Studi di Reggio Calabria - Dipartimento Stafa Facoltà di Agraria
Sommario La dimensione spaziale del sistema agroalimentare e le sue relazioni con il territorio non rappresentano una novità nel campo
di indagine dell’economista agrario. L’opportunità di suddividere il territorio in zone omogenee, sulla base di caratteristiche simili,
presenta però elementi di novità nel momento in cui la descrizione delle interdipendenze territoriali va oltre la mera descrizione analitica
dei legami, e presenta l’insieme delle relazioni produttive e il complesso intrecciarsi dei rapporti sociali. Gli studi sui sistemi agricoli
hanno seguito diversi percorsi di approfondimento, spesso in corrispondenza allo sviluppo di politiche nazionali e comunitarie. Ne sono
un esempio le politiche di pianificazione delle aree rurali degli anni settanta e i nuovi indirizzi di politica comunitaria degli anni ottanta e
novanta. La lettura territoriale si presenta come la più opportuna per tenere conto delle caratteristiche del settore e delle sue
trasformazioni, anche in virtù della crescente integrazione geografica (economica, sociale, amministrativa) e intersettoriale, che
determina sistemi sempre più complessi di relazioni regionali, elementi di un’agricoltura che modifica le relazioni con gli altri settori e
con i protagonisti che operano nel territorio. Il presente studio si inserisce dunque nel filone di ricerca che assume la dimensione
territoriale come chiave di lettura dello sviluppo agricolo, e si pone come obiettivo l’identificazioni di omogeneità territoriali, dal punto
di vista agricolo, a livello provinciale, utilizzando anche i dati relativi agli ultimi censimenti ISTAT. La cospicua mole di dati che occorre
gestire necessita dell’utilizzo di analisi statistiche capaci di ridurre le variabili descrittive ed effettuare procedure di zonizzazione
oggettive. Tra le diverse tecniche utilizzate, l’Analisi Fattoriale soddisfa tali esigenze conoscitive. Dopo una necessario, seppur breve,
inquadramento teorico sui sistemi agricoli, si procederà, attraverso l’Analisi Fattoriale, alla individuazione di una su una serie di
indicatori (riferiti tanto al settore agricolo quanto alle caratteristiche sociali, demografiche ed economiche territoriali) elaborati a livello
provinciale. I principali risultati, che consentono di poter individuare diversi fattori di omogeneità territoriale utili alla caratterizzazione
dell’insieme strutturale e dell’articolazione delle variabili ambientali, socio-economiche e culturali nel territorio, permettono una lettura
sistemica e territoriale dell’agricoltura italiana, in grado di soddisfare esigenze conoscitive per linee di indirizzo di politica agraria.
Parole Chiave Analisi fattoriale, sistemi agricoli, omogeneità territoriali.
Valutazione strategica comparativa di strategie alternative di reti tramite il modello VIT
Tomaso Pompili
Università degli Studi di Milano - Bicocca
Sommario Il tema di questo lavoro è la valutazione economica strategica (ex-ante) di investimenti pubblici, sotto forma di progetti di
investimento o di piani/programmi complessi. Questo strumento di supporto al decisore, che facilita il controllo sulla efficacia, efficienza
ed equità delle scelte collettive, è sostenuto da una lunga tradizione di analisi teoriche ed applicate internazionali e nazionali. La presenza
di problemi teorici ed empirici ha stimolato nei ricercatori e nei pianificatori l’interesse per approcci valutativi che, rinunciando
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all’eleganza formale dell’approccio aggregato tipico dell’analisi economica, rischiano di compromettere il rigore concettuale e
l’affidabilità normativa sotto alcuni profili.
Obiettivo principale di questo lavoro è valutare il grado di affidabilità normativa degli esiti dei metodi multi-obiettivi (o multi-criteri) a
confronto con gli esiti dell’analisi costi-benefici. L’obiettivo viene perseguito applicando una recente metodologia integrata di
valutazione di impatto territoriale (VIT) a carattere strategico e complessivo, secondo le linee indicate dall’Unione Europea con lo
Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo, ad un ambito esemplare, ossia lo sviluppo di reti infrastrutturali di trasporto, e più
precisamente al caso specifico del cosiddetto Corridoio del Brennero.
La metodologia impiegata è quindi quella di un tipico metodo multi-obiettivi e multi-criteri; nel caso in esame gli obiettivi sono sei e i
criteri trentadue. Le alternative strategiche da valutare sono sette, inclusa l’ipotesi nulla o tendenziale. Le informazioni disponibili nello
scenario base (1999-2001) servono a proiettare gli impatti attesi nello scenario di valutazione (2015-2020) nell’area di studio, identificata
con gli enti locali disposti lungo il corridoio transfrontaliero del Brennero.
Quattro elementi metodologici originali caratterizzano specificamente questo lavoro: la sostituzione della rilevazione quantitativa degli
impatti attesi con una tecnica quasi-Delphi (consenso basato sul giudizio di esperti), la tecnica di quantificazione dei giudizi, il calcolo
degli esiti in base a differenti ipotesi di preferenze della popolazione (sei strutture di priorità alternative, inclusa la struttura rivelata da
un’indagine), l’impiego di una misura semplificata di costo-efficacia (rapporto fra valutazione complessiva e costo di investimento).
I risultati attesi sono: la capacità del metodo di fornire un ordinamento di differenti alternative, che sia in primo luogo trasparente e in
secondo luogo robusto rispetto a differenti preferenze della popolazione; inoltre, la capacità del metodo di funzionare operativamente
senza concessioni quanto al rigore concettuale né quanto alla completezza dell’esame degli impatti.
Parole Chiave Investimenti pubblici, metodi multi-criteri, reti infrastrutturali, valutazione.
Lo sviluppo e i legami territoriali delle organizzazioni non profit in Sicilia
Vincenzo Provenzano
Università degli Studi di Palermo - Dipartimento di Scienze Economiche Aziendali e Finanziarie
Sommario In una precedente lavoro sull’evoluzione territoriale del Terzo Settore in Sicilia, si era arrivati alla conclusione che le
organizzazioni del non profit (ONP) stavano attraversando una fase di transizione del loro ciclo di vita a causa della loro frammentarietà,
con la necessità, quindi, di disegnare strumenti di policy per irrobustirne la presenza territoriale come già avvenuto in altre aree più
dinamiche del Paese. La crescita delle organizzazioni non profit (ONP) in Italia ha subito, infatti, negli ultimi anni uno sviluppo diffuso,
come anche dimostrato dalla diffusione delle rilevazioni sistematiche che l’Istat, a partire dal 2001, ha cominciato a pubblicare. Lo
sviluppo territoriale del fenomeno, quindi, ha avuto in Sicilia andamenti alquanto contrastanti, in linea peraltro con lo sviluppo
economico complessivo, specialmente nella creazione di organizzazioni e della loro convivenza con i settori più lontani da meccanismi
di remunerazione anche indiretta delle attività svolte. Una volta considerata potenziale variabile di rottura nell’ambito del Piano di
Sviluppo del Mezzogiorno, il non profit sembra avere perso alcune caratteristiche di presunta presenza salvifica per ridurre i livelli di
disoccupazione del Mezzogiorno rappresentando, invece, un ulteriore tassello nell’ambito dei differenziali di crescita complessiva delle
diverse aree del Paese. Nell’ambito di una nuova ricognizione del fenomeno, obiettivo del lavoro è la riconsiderazione dello sviluppo
delle ONP siciliane e del loro rapporto con il contesto territoriale di riferimento, inteso come processi collaborativi o competitivi, in
particolare con gli enti locali e le imprese for profit tradizionali. Questi fenomeni, tra l’altro, hanno ricevuto un ampio impulso da una
nuova letteratura di matrice statunitense attenta ad osservare la missione principale del non profit e ai suoi collegamenti con il resto
dell’economia. L’indagine, quindi, di natura empirica è stata svolta somministrando un questionario ad un campione di organizzazioni
del non profit in particolare delle aree di Palermo e Caltanissetta, per capire come il contesto territoriale sia in grado di contribuire allo
sviluppo di tali organizzazioni. In tale ambito particolare attenzione è indirizzata alla comprensione del loro comportamento, in
particolare, del loro possibile indirizzo verso quelle attività, come la somministrazione di beni e servizi, che più le accomunano alle
imprese private. Inoltre, di particolare importanza, è la determinazione di meccanismi di spiazzamento da un lato e complementarità
dall’altro con i servizi offerti dalle pubbliche amministrazioni. I risultati sembrano dimostrare come le ONP operanti sul territorio siano
influenzati dall’andamento economico complessivo dell’Isola con significativi processi di complementarità con gli enti territoriali di
riferimento
Parole Chiave Sviluppo locale, Sicilia, non profit, ONP.
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Where do foreign firms locate in transition countries? An empirical investigation
Fazia Pusterla
Laura Resmini
Università Bocconi - ISLA
Sommario Questo lavoro è dedicato all’analisi dei processi di localizzazione delle imprese multinazionali in Bulgaria, Polonia, Romania
e Ungheria. L’obiettivo è quello di identificare, da un lato, le determinanti delle scelte di localizzazione delle imprese multinazionali;
dall’altro, di tracciare una mappa dei pattern di localizzazione a livello regionale di tali imprese. Diverse motivazioni spiegano la
necessità di tale analisi. In primo luogo, essa permette di identificare quali regioni sono in grado di offrire alle multinazionali quei
vantaggi di localizzazione che - sfruttati congiuntamente ai vantaggi di internalizzazione e di proprietà - permettono loro di massimizzare
i profitti ottenibili dall’andare a produrre in un paese terzo piuttosto che servire tale mercato attraverso le esportazioni. In secondo luogo,
evidenziare forme di concentrazione regionale e/o settoriale nei pattern di localizzazione delle multinazionali consente di analizzare la
distribuzione spaziale e settoriale dei potenziali benefici generati dalle multinazionali per le imprese locali. Infine, conoscere i processi
decisionali delle imprese multinazionali consentirebbe ai policy maker di implementare politiche di attrazione degli IDE più efficaci nel
ridurre gli squilibri regionali e promuovere processi di sviluppo locale autosostenibili, anche se alimentati dalla presenza di imprese
straniere. I dati utilizzati in questo lavoro sono tratti da un database che raccoglie informazioni sulla localizzazione di 4,100 imprese
straniere che hanno aperto un impianto produttivo durante gli anni ‘90 nei paesi sopra menzionati. L’analisi econometrica delle
determinanti delle scelte di localizzazione delle multinazionali è stata condotta applicando modelli di scelta discreta (conditional e nested
logit models), nella tradizione iniziata da MacFadden (1974, 1984). Tali modelli assumo che il decison maker scelga tra tutte le
alternative a disposizione quella che massimizza la sua utilità. L’uso di un modello nested logit si è reso necessario per il rispetto
dell’ipotesi dell’indipendenza delle alternative irrilevanti, alla base dei modelli logit multinomiali. I risultati ottenuti, per quanto
preliminari, sono interessanti. In primo luogo, i paesi considerati sono caratterizzati da una notevole concentrazione spaziale e settoriale
degli IDE. Secondo, le loro scelte di localizzazione sono prevalentemente legate al costo della manodopera e alla presenza di altre
imprese operanti nello stesso settore manifatturiero, con una forte preferenza per quelle regioni dove già operano altre imprese
multinazionali. Implicitamente questi risultati indicano che la motivazione alla base degli investimenti stranieri nei paesi dell’Est Europa
è la ricerca di una maggiore efficienza. Relativamente alla struttura del processo decisionale adottato dalle imprese multinazionali,
emerge una chiara differenziazione tra regioni appartenenti ai paesi ora membri dell’UE e regioni appartenenti ai paesi che hanno
mantenuto lo status di paesi candidati, mentre i confini nazionali sembrano giocare un ruolo limitato all’interno di tale processo. Ciò
indica, da un lato, che la concorrenza per l’attrazione degli IDE è più forte tra regioni all’interno dell’UE che non tra regioni interne ed
esterne; dall’altro che il processo di integrazione europeo rende le regioni sempre più simili tra loro. Tale risultato era già stato ottenuto
da Basile et al. (2003) in uno studio che coinvolgeva ben otto paesi dell’UE-15. Infine, il lavoro evidenzia come il processo di scelta
della localizzazione sia diverso tra imprese high-tech e imprese low-tech.
Parole Chiave Investimenti diretti esteri, scelte di localizzazione, paesi in transizione.
La stima del reddito disponibile per ampiezza delle famiglie a livello territoriale
Nicola Quirino
OTE - Osservatorio Terza Età
Alessandro Rinaldi
Istituto Guglielmo Tagl iacarne
Sommario Il reddito disponibile delle famiglie è l’indicatore che meglio di altri (ad es. il Pil) consente di valutare le condizioni di vita
delle famiglie residenti. Al fine di isolare, quantificare e qualificare le componenti più deboli dell’universo delle famiglie sarebbe
importante disporre delle stesse informazioni articolate per ampiezza delle famiglie.
Un primo tentativo in questa direzione, di cui si forniscono in questo contributo i passaggi metodologici e i principali risultati, è stato
effettuato su scala territoriale dall’Istituto G. Tagliacarne.
Prescindendo dai criteri di stima adottati dall’ISTAT, appare del tutto evidente che per un singolo nucleo familiare il livello del reddito
disponibile è influenzato essenzialmente da due fattori, e cioè dalle caratteristiche socio-economiche delle famiglie (posizione
professionale del capofamiglia, numero dei percettori di reddito, ecc.) e dalla configurazione del sistema di finanza pubblica (grado di
progressività delle aliquote, entità dei benefici fiscali e assistenziali per coniuge e figli a carico, ecc.). Come esplicitato nel testo del
contributo, l’evidenza empirica mostra una significativa correlazione inversa tra il livello del reddito e l’ampiezza dei nuclei familiari:
all’aumentare delle dimensioni di questi ultimi, infatti, tende generalmente a ridursi in misura più che proporzionale il reddito disponibile
pro capite. Una diminuzione che in termini di benessere economico è solo parzialmente controbilanciata dalle economie di scala di cui
beneficiano i nuclei familiari più numerosi. Ciò trova conferma in numerosi studi e indagini, dai quali si evince che le famiglie che
versano in condizioni di povertà e di disagio sono prevalentemente costituite da nuclei con almeno cinque componenti.
L’approccio per l’ottenimento di stime per dimensione delle famiglie si giova di una base strutturale derivata dai risultati del Censimento
della popolazione del 2001 (dati sulle famiglie residenti secondo la rispettiva ampiezza, considerata variabile da una fino a cinque
persone; dati sulla popolazione, distribuiti fra le cinque classi d’ampiezza considerate, la cui rilevazione presso le famiglie si estende a
tutte le persone legate tra loro da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione e simili, o da semplici unioni di fatto, che coabitano
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e hanno dimora abituale nello stesso comune; dati sulle convivenze e sui relativi membri permanenti, che il Censimento rileva
distintamente dalle famiglie), mentre sul versante dei dati di base per l’identificazione valori di reddito si è partiti dai dati Banca d’Italia
(bilanci delle famiglie italiane) e ISTAT (consumi delle famiglie) mediante i quali si è giunti a definire delle scale di equivalenza
riconducibili, oltre che alle caratteristiche strutturali dei nuclei di riferimento, all’azione delle economie di scala realizzate in ambito
domestico.
Dai risultati ottenuti si coglie una notevole differenziazione territoriale, con una maggiore presenza delle fasce più alte nelle regioni
meridionali, talché restringendo il confronto tra le due classi estreme il rapporto tra le due zone in termini assoluti è dell’ordine di 4 a 1
per la classe con un componente (80%/20% con riferimento alla quota sul totale nazionale) e scende a 1,5 a 1 per il raggruppamento con
5 e più componenti (60%/40%).
Parole Chiave Reddito delle famiglie.
Agente reale ed agente virtuale: il problema dell’acquisizione della conoscenza per la
costruzione di simulatori multi agente territoriali
Giovanni Rabino
Francesco Scarlatti
Politecnico di Milano - DIAP
Sommario I Sistemi Multi Agente (MAS) sono modelli di simulazione dove entità ben distinte tra loro, gli agenti appunto, operano in
parziale autonomia secondo regole di interazione. I recenti sviluppi dell’informatica permettono l’implementazione di sistemi di grande
complessità logico matematica. Il successo di questi sistemi dipende però dalla affinità tra le regole di comportamento degli agenti reali
con quelle degli agenti virtuali. In particolare per la costruzione tutti quei sistemi che intendono simulare le dinamiche socio territoriali
l’acquisizione di queste regole appare quanto mai complessa e difficoltosa. Quali sono i criteri di scelta adottati dai politici, dagli enti,
dall’opinione pubblica? Quali sono invece i comportamenti sociali che interferiscono con questi criteri? Per interpretare il
comportamento degli attori “territoriali” reali non bastano delle semplici osservazioni trattate in modo statistico e possono essere di aiuto
alcune tecniche di soft computing già sperimentate per la soluzione di problematiche qualitative in altri ambiti. La combinazione logica
di mappe concettuali, reti bayesiane, statistiche testuali ed altre metodologie, possono aiutare l’ingegnere della conoscenza ad estrapolare
le regole di iterazione necessarie per la simulazione. L’osservazione del comportamento degli agenti reali può essere effettuata in modo
rigoroso, riportando il problema interpretativo qualitativo su parametri quantitativi e logici. Ad esempio è possibile misurare il livello di
importanza dei concetti espressi in una discussione pubblica che coinvolga gli agenti reali classificandoli per importanza, frequenza,
centralità. E’ possibile costruire reti logiche e semantiche che interpretano le relazioni tra i concetti importanti per ciascun agente. E’
possibile misurare il livello di comunicazione tra gli agenti reali e costruire reti di relazioni. Occorre, pertanto, valutare quali siano le
osservazioni sperimentali da effettuare, i passi necessari per interpretarne il contenuto, la logica di estrazione delle regole inferenziali.
L’individuazione dei concetti, delle relazioni e la costruzione delle regole può necessitare metodologie diverse in funzione della tipologia
di agente e della problematica territoriale che si intende simulare. Obiettivo della comunicazione è appunto quello di mostrare un serie di
metodologie utili per l’acquisizione della conoscenza in rapporto alle problematiche territoriali specifiche che si intende simulare ed al
tipo di agenti di cui occorre indagare il comportamento.
Parole Chiave Sistemi multi agenti, acquisizione della conoscenza.
Wysiwyg. A case for visual methods in regional economics
Marco Rangone
Università degli Studi di Padova - Dipartimento di Economia
Sommario Many scientific disciplines apply visual methodology to their field of research. Yet while many - whether humanistic
(sociology, anthropology, ethnology, geography) or “hard” (astronomy, biology, medicine, physics) - use a variety of visual methods,
economics relies only on abstract visual representations (such as graphs) of reality. In fact the dominant paradigm in economics still
suffers from a strong positivist influence that requires that 1. facts must be detached from value judgement; 2. facts are described and
inspected by means of methodologically inspectable (i.e. objective) procedures; 3. causality mechanisms are precisely singled out,
though they may not exaust the entire range of possible correlations between variables. None of the above is really cogent or even “true”;
they are strictly linked to the adoption of the neoclassical research program. It appears obvious that the use of visual descriptions in
economic science implies a change in paradigm. Hence the paper deals first with the epistemological conditions needed to apply a visual
methodology to economic analysis; this is required in order to deal correctly with the facts that - images are not “pure data” - the act of
producing images can be totally devoided of the creative effort (i.e. subjectivity) of the image-maker - they will eventually make our
vision of the world more complex, by showing details and hidden aspects (images are often hints or even metaphors). The paper begins
with a citation of the Nobel prized economist Amartya Sen who tells his audience how the vision of individual and collective dramas has
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defined the way he understood the nature of economic processes, shaping his peculiar approach to well-being and freedom. In the
following section Sen’s work is used and complemented by various sources to show how a non-reductionist and humanistic approach
would look like. This approach, inevitably a systemic one, is indeed present in the past and present history of economic thought, though
it does not represent a fully integrated research program (in Lakatos’s terms). It however opens up the possibility to think of a visual
methodology in economics as an empirical issue. This point is dealt with in the rest of the paper. I shall show that regional economics
seems particularly prone to a visual description of the object. Images may be very fruitfully utilized as they may provide information especially regarding practices and habits - that effectively support usual analytical interpretation. Much in the fashion of the above cited
Sen’s narration, the researcher’s own visual work as well as that of sensible reporters may offer material to improve our conceptual
framework. Visual methodology may also be a useful tool for economic policy. Again I will initially refer to Sen, who also holds that
images are a powerful instrument for problem-setting in the political agenda, thereby shaping the preference structure of governments at
any relevant level. This aspect would involve the discussion of rationality of economic agents, and of their learning processes, at both the
individual and the collective level.
Parole Chiave Approccio visuale, programmi di ricerca, Amartya Sen.
Meta-analysis and the value of travel time savings: a transatlantic perspective in
passengers’ transport
Aura Reggiani
University of Bologna - Faculty of Statistic - Department of Economics
Luca Zamparini
University of Lecce - Faculty of Law - Department of Law
Sommario The value of travel time savings (VTTS), is one of the key variables which are taken into account when several alternatives
leading to different travel times are considered. In the case of households, VTTS is related to the monetary value that is attached to the
possibility to save a determined amount of travel time that can be reallocated to other activities. In the case of public administrations,
VTTS is one of the most important benefit categories aimed at justifying the investments in local, national or international transport
infrastructures that can allow people to save travel time. Moreover, VTTS can be used as a basis for pricing policies both in public and in
private transport. The relevance of VTTS has availed various economic studies displaying an analytical as well as an empirical
framework both in the European Union and in North-American countries. While a general agreement on the analytical formula used to
determine the VTTS has emerged among scholars, empirical studies have provided very heterogeneous results which clarify the
difficulty to reach general conclusions on this topic and the relevance of several exogenous variables (i.e. GDP per capita, trip purpose,
mode of transport) on the quantitative determination of VTTS. Moreover, the data collection methodology (Stated Preferences, Revealed
Preferences, Factor Costs, and so on) can also exert a remarkable influence on VTTS. It is therefore important to adopt a procedure of
narrative review which considers the available studies systematically, uses statistic techniques for data processing and extracts common
conclusions about them. In this respect, meta-analysis can represent an appropriate technique in order to study VTTS, given that it allows
to summarise the results of very heterogeneous studies. The use of such technique enables the researcher to analyse a topic considering
the various contexts in which the studies were conducted. Moreover, by the use of meta-analysis it is possible to reach sound conclusions
which emphasise the role of the explicative variables.
The present paper aims to: a) present the most important methodological aspects related to meta-analysis; b) introduce the
microeconomic model used in the valuation of time; and c) apply empirically the meta-analysis to a selection of the studies related to the
VTTS in passengers’ transport. In particular, the paper will offer a brief historical review of meta-analysis (from its first applications in
medical science and psychology to its recent use in spatial economics) and of the microeconomic models used in VTTS estimations. It
will subsequently identify the factors that are statistically relevant with respect to the VTTS. Finally, it will provide a meta-analytical
estimation of the selected studies, with a particular emphasis on the similarities/differences among European Union and North-American
studies.
Parole Chave Meta-analysis, value of travel time savings, passengers’ transport.
Labour market dynamics and the evolution of industrial clusters: towards a
microfoundation of the ecological approach
Massimiliano Riggi
Università Bocconi - CERTeT - IEP
Sommario The paper investigates the role of labour flows in determining the growth of industrial clusters (defined as a combination of
industries and spatial areas). Their evolution is far from being even across space and we focus on the role of skilled migration flows in
dampening or widening regional disparities. Migration flows can play a twofold effect in this sense: on the one hand, workers moving
between different clusters act as an equilibrium force, pushing regional labour markets towards the equilibrium; on the other hand, if the
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migration process mainly involves high qualified workers, the regional capital endowment is affected as well, and this can boost
inequalities. I aim at investigating the mechanisms under which one of the opposite effects prevail. The evidence is based upon US data
collected from the US Census Bureau, defining a proper combination of territorial/sectorial units defined as cluster. Finally, policy issues
are drawn to identify how a policy maker can affect undesired market outcomes following an integrated approach of coordinated
interventions.
Parole Chiave Labour market dynamics, ecological approach.
Il capitale sociale: un’analisi sulle province italiane
Paolo Rizzi
Università Cattolica del Sacro Cuore
Sommario Nelle verifiche empiriche alla teoria del capitale sociale e del suo contributo allo sviluppo prevalgono analisi a livello
nazionale e solo recentemente emergono le prime applicazioni a livello subnazionale. In Italia assistiamo ai primi esercizi empirici di
misurazione del capitale sociale a livello territoriale (Micucci e Nuzzo 2003, Rizzi 2003), che costruiscono le prime mappe del capitale
sociale regionale. Si evidenzia un nesso chiaro tra livello di reddito e dotazione di relazionalità sociale ed economica, ma legami dubbi
sulle traiettorie di sviluppo territoriale. Rizzi (2004) introduce un’ipotesi coraggiosa per spiegare le recenti dinamiche di molte aree del
Mez zogiorno italiano, che in contesto di “convergenza non lineare” (Istituto Tagliacarne) manifestano da ormai un decennio tassi di
crescita più sostenuti soprattutto rispetto alle tradizionali aree industriali del Nord Ovest del paese. Le attitudini sociali e culturali (valore
attribuito all’impegno sociale e al lavoro) e le capacità innovative aiutano a leggere queste dinamiche favorevoli di alcune regioni
meridionali, capovolgendo la tradizionale interpretazione à la Putnam sul ritardo istituzionale per carenza di capitale sociale del Sud. Il
paper si propone di verificare queste evidenze a livello provinciale. Vengono individuati 10 microindicatori di capitale sociale
provinciale (organizzazioni non profit, volontari, donazioni di sangue, partecipazione alle elezioni politiche e referendarie, partecipazione
femminile al mercato del lavoro, densità imprenditoriale, criminalità, suicidi) che attraverso l’analisi fattoriale si sintetizzano in due
componenti esplicative (la fiducia e la civicness). Questi macroindicatori del capitale sociale provinciale risultano fortemente correlati
con il livello del reddito e quindi si verifica ancora la dotazione più elevata delle diverse forme della relazionalità e della propensione alla
socialità così come al civismo nelle aree più sviluppate del paese (Nord Ovest e Nord Est). Per affinare lo studio del legame tra capitale
sociale e crescita economica si effettua una regressione multivariata che spiega il tasso di crescita del reddito procapite con il livello nel
periodo iniziale, il tasso medio di investimenti, la dinamica occupazionale e appunto gli indicatori ottenuti dalle componenti principali
dell’analisi fattoriale. Fiducia e civicness risultano macroindicatori di capitale sociale provinciale che contribuiscono con effetti positivi e
significativi a livello econometrico a spiegare la crescita del Pil delle province italiane nell’ultimo decennio, confermando le ipotesi della
teoria del capitale sociale come fattore di stimolo allo sviluppo.
Parole Chiave Capitale sociale, sviluppo locale, fiducia.
Città densa e mobilità: un modello interpretativo
Marco Salatino
Università degli Studi della Calabria - Dipartimento di Pianificazione Territoriale
Sommario La relazione tra forma urbana e domanda di trasporto è oggetto di intensa attività di ricerca da diversi decenni. Risulta ormai
ampiamente dimostrata la correlazione positiva che sussiste tra il diffondersi degli insediamenti a bassa densità e l’aumento degli
spostamenti effettuati con modo privato (ad esempio Burchell et al., 1998; Camagni et al., 2002; Ewing et al., 2002; Newman e
Kenworthy, 1996). Il superamento sempre più frequente dei livelli di attenzione per le sostanze inquinanti dovute al traffico veicolare
impone agli amministratori locali l’adozione di misure a breve termine per la riduzione dei fenomeni di congestione del traffico.
Purtroppo, ogni intervento d’emergenza è destinato a non produrre effetti duraturi. Guidare le trasformazioni urbane, invece, consente di
agire sulla domanda di mobilità, anche se in tempi più lunghi. L’obiettivo del presente lavoro consiste nella formulazione di linee-guida
per la pianificazione di aree residenziali compatibili con i criteri della mobilità sostenibile (Transit Oriented Development e Pedestrian
Friendly Development, si veda ad esempio Kuzmyak e Pratt, 2003). L’approccio seguito, di tipo prevalentemente quantitativo, prende le
mosse dal ruolo giocato da tre parametri: densità, mix funzionale ed accessibilità. Gli altri indicatori, ad esempio la distanza dalla fermata
del trasporto pubblico più prossima all’area residenziale in esame o la disponibilità di piste ciclabili per abitante, vengono ricavate in
funzione di tali parametri-guida. La densità, in particolare, riveste un ruolo fondamentale nel determinare il successo di un sistema di
trasporto collettivo. Dal canto suo il raggiungimento del giusto mix funzionale (livello di mixitè) costituisce il presupposto per la
riduzione del numero di spostamenti giornalieri (Cervero, 1996). La prima fase del lavoro comprende un’analisi statistica sul ruolo svolto
dai suddetti parametri morfologici sulla domanda di mobilità. Segue un confronto tra i risultati ottenuti e le indicazioni reperibili in
letteratura, al fine di individuare i requisiti urbanistici minimi per favorire l’implementazione di sistemi di trasporto a basso impatto
(mobilità pedonale e trasporto pubblico in primis). Per ciascun tipo di uso del suolo, all’interno delle aree residenziali, vengono inoltre
fornite indicazioni circa la collocazione ottimale per garantire un buon livello di accessibilità, rispetto ai nodi del sistema di trasporto
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collettivo. Si cerca infine di quantificare la dotazione ottimale sia di infrastrutture di trasporto - parcheggi, corsie riservate, aree di
scambio intermodali ecc. - per disincentivare la mobilità privata (specialmente quella a basso coefficiente di occupazione), che di
percorsi ciclabili e pedonali per incrementare la mobilità non veicolare. Per quanto concerne gli sviluppi futuri, le indicazioni contenute
nel presente lavoro potrebbero rappresentare il nucleo di un futuro manuale per la progettazione urbana orientata ai trasporti, sul modello
dei tanti esempi esistenti da tempo nei paesi anglosassoni (Ontario, 1992; Australia, 2001).
Parole Chiave Mobilità sostenibile, sviluppo urbano, densità, accessibilità.
Strategie di risparmio energetico: una valutazione di modelli di intervento
Ilaria Salzano
Università degli Studi di Napoli “Federico II” - Facoltà di Architettura - Dipart imento Cons. Beni Arch. e Amb.
Sommario Il crescente tasso di dipendenza energetica dell’Europa dal resto del mondo, il ruolo determinante del petrolio per il prezzo
dell’energia ed i risultati deludenti delle politiche di riduzione dei consumi rivelano le debolezze strutturali dell’approvvigionamento
energetico dell’Unione Europea. Infatti, nonostante l’abbondante disponibilità ed il considerevole potenziale economico, in Europa le
fonti energetiche rinnovabili vengono sfruttate ancora in maniera disomogenea ed insufficiente. D’altro canto, l’implementazione delle
fonti energetiche rinnovabili, insieme alla promozione del risparmio delle risorse, in particolare energetico, rappresenta un obiettivo
centrale della politica energetica dell’Unione Europea, per gli evidenti benefici che l’utilizzo di fonti energetiche pulite (perché riducono
l’inquinamento), sostenibili (perché rinnovabili e non contribuiscono all’accumulazione di gas dannosi) e sicure (perché non importate e
capaci di ridurre la dipendenza) apporterà alle generazioni attuali e future. Il problema più importante è, però, di ordine finanziario. L’uso
delle rinnovabili è ostacolato da elevati costi di investimento iniziali rispetto ai cicli convenzionali (anche se, ad eccezione della
biomassa, non hanno praticamente costi di combustibile). Questo soprattutto perché i prezzi dell’energia per i cicli convenzionali di
combustibile non riflettono i costi effettivi, compresi i “costi esterni” per la società, rappresentati dai danni ambientali conseguiti al loro
impiego. Lo studio ripropone un confronto tra “modelli” volti soprattutto alla promozione del risparmio energetico e, conseguentemente,
alla promozione delle fonti energetiche rinnovabili. Questi, mutuati dall’esperienza americana delle Energy Service Company, sono in
fase sperimentale in Germania ed in Italia, seppure con percorsi, strumenti ed applicazioni differenti. L’obiettivo è valutare l’approccio al
problema dei diversi processi con l’intento di individuare le caratteristiche di un modello flessibile da costruire e, verosimilmente,
trasferire. La metodologia proposta si avvale dell’Analisi Istituzionale per individuare ed analizzare gli attori coinvolti in maniera diretta
e/o indiretta nel processo e del metodo della Community Impact Evaluation (CIE), per considerare gli effetti, anche non monetari, relativi
ai settori della comunità coinvolti. La differenza di contesto politico-culturale influenza le modalità di approccio alla sostenibilità: la
rilettura dei modelli mediante la CIE consente di tenere conto dei settori della collettività e di tutte le dimensioni ad essi collegate,
nonché di obiettivi, criteri ed indicatori relativi a ciascuno, rispetto al macro obiettivo prefissato dal modello stesso, identificato
nell’efficienza energetica e nell’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili. In questo senso, la valutazione ha permesso la verifica, in
itinere, degli obiettivi proposti dai modelli tentando di ri-orientarli secondo le tre dimensioni della sostenibilità.
Parole Chiave Efficienza energetica, valutazione, ESCO, modelli.
Espansione insediativa, forma urbana e mobilità. un contributo di analisi in una città
media
Mariano Sartore
Università degli Studi di Perugia - Dipartimento Uomo e Territorio - Sez. Urbanistica
Sommario E’ opinione piuttosto diffusa nel nostro paese che i fenomeni di intensa crescita insediativa, associata all’affermazione di
modelli dispersivi a bassa densità, siano ascrivibili ad un periodo compreso tra gli anni sessanta e i primi anni ottanta, mentre la fase
successiva sarebbe stata caratterizzata da un forte rallentamento dell’espansione insediativa. Al presunto contenimento dei processi di
nuova urbanizzazione si è associato il declino, nel corso degli anni novanta, degli studi territoriali relativi al consumo di suolo e ai costi
della dispersione, a favore di problematizzazioni di tipo più qualitativo, finalizzate a riconoscere e interpretare i nuovi comportamenti
localizzativi in relazione ai nuovi stili di vita, le nuove ecologie sociali, le relazioni che individui e comunità stabiliscono con i nuovi
territori urbani. Solo negli ultimi anni alcuni contributi di ricerca (per tutti: Camagni e al.., 2002) hanno riproposto -recuperando anche la
tradizione dell’analisi quantitativa- il tema dei costi collettivi della dispersione urbana, contribuendo peraltro significativamente a
ridimensionare il gap analitico e conoscitivo tra il nostro paese e i paesi centro e Nord europei in particolare per quanto riguarda la
relazione tra dispersione urbana e costi collettivi della mobilità. Contemporaneamente un nuovo filone di analisi, quello dell’ecological
networks e della landscape ecology, stanno riproponendo il tema dell’espansione urbana e delle forme insediative, problematizzandole in
termini di frammentazione degli ecosistemi naturali, senza tuttavia dar luogo a contributi empirici significativi sotto il profilo dell’analisi
delle trasformazioni recenti e sotto il profilo dei modelli dinamici evolutivi proposti. Muovendo da domande di ricerca analoghe a quelle
sottese al primo dei due ambiti di ricerca citati, il presente contributo propone un’analisi delle recenti dinamiche della dispersione
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insediativa in un contesto di città media (il perugino), una realtà che le rappresentazioni più consolidate propongono come modello di
sviluppo urbanistico equilibrato e ambientalmente compatibile. La prima parte della ricerca affronta il tema dell’analisi empirica della
recente crescita insediativa (1991-2001) esplorando le potenzialità d’uso delle basi territoriali redatte in occasione dei censimenti Istat
2001 (Sartore, 2005). Mediante tecniche e procedure (definite in ambiente GIS ed immediatamente esportabili in qualunque altro
contesto), capaci di rendere comparabili le basi 2001 con quelle del 1991, è possibile rilevare un incremento notevole della superficie
urbanizzata, confutando l’idea che gli anni novanta siano stati quelli del “consolidamento urbano”. Mediante l’analisi su base territoriale
(per sezione di censimento) delle dinamiche demografiche, nella seconda parte vengono evidenziate da un lato la cospicua riduzione
della densità insediativa, dall’altro la comparsa di inediti e inattesi fenomeni di progressivo declino demografico conseguente
all’abbandono da parte della popolazione residente non più solo delle aree del centro storico, ma di tutta la città compatta (quella
realizzata sino agli anni sessanta) a favore delle propaggini più estreme del sistema urbano, di recente e recentissima urbanizzazione.
Nella terza parte il tema della riduzione generalizzata della densità insediativa viene affrontato in termini di costi collettivi della mobilità.
L’analisi dei microdati censuari del 1991 ha consentito di evidenziare anche in un contesto territoriale di scala locale la strettissima
relazione, più nota a scala di grandi metropoli mondiali (Newman, Kenworthy, 1989) e di regione metropolitana (Camagni e al., 2002),
tra densità insediativa e forme della mobilità. L’analisi delle variazioni intercensuarie delle densità insediative nelle diverse parti della
città ha inoltre consentito di stimare l’impatto, in termini di incremento della mobilità su auto, delle modificazioni dell’assetto
insediativo. Nella quarta parte, infine, viene affrontato il tema dell’analisi dell’evoluzione della forma urbana, da un lato nel tentativo di
individuare indicatori di compattezza e di frammentazione in qualche modo affidabili, dall’altro nel tentativo di quantificare in termini di
volumi di traffico generato questi indicatori di forma.
La competitività dell’agricoltura nelle regioni dell’Unione Europea
Maria Sassi
Università degli Studi di Pavia - Facoltà di Economia
Sommario Nel 1999 con il documento strategico “Agenda 2000” la competitività diventa uno dei caratteri fondamentali del modello
agricolo europeo insieme alla multifunzionalità e alla sostenibilità. L’aspetto viene ribadito e rafforzato con la Revisione di medio
termine della Politica agricola comunitaria (PAC) del 2003 e con le conclusioni raggiunte nel Vertice di Lisbona. In questo contesto, il
lavoro si pone un duplice obiettivo. Esso mira, anzitutto, a verificare lo stato e l’evoluzione della competitività del settore primario nelle
regioni dell’Unione Europea (UE) definite a livello di NUTS2. L’analisi fa riferimento ad appropriati indicatori selezionati in modo da
consentire di misurare direttamente l’efficienza (attraverso, ad esempio, indicatori di produttività), le sue conseguenze (ad esempio,
mediante la bilancia commerciale) e di caratterizzare i fattori che sono destinati ad influenzare la produttività futura del settore (ad
esempio, considerando la spesa in ricerca e sviluppo). Tali variabili esplicative sono quantificate con riferimento agli anni ‘90 e rispetto
ad un panel di regioni europee appositamente costituito per lo studio del fenomeno sulla base della disponibilità dei dati di fonte
EUROSTAT. L’analisi della dinamica temporale degli indicatori selezionati e il confronto a livello regionale consente di avanzare un
primo giudizio sulla sostenibilità del fenomeno sebbene siano trascurati gli aspetti legati alle esternalità ambientali e sociali in senso
stretto. Si procede, poi, alla definizione di classi di regioni omogenee in termini di competitività settoriale. La metodologia usata fa
riferimento ai metodi computazionali per il data mining basati sull’analisi di raggruppamento. Quest’ultima consiste nel creare gruppi di
unità statistiche caratterizzati da coesione interna e separazione esterna. In altri termini, essa consente di massimizzare l’omogeneità
interna a ciascuna cluster e l’eterogeneità tra i diversi raggruppamenti. L’obiettivo è di comprendere, attraverso un criterio di selezione
multidimensionale che tenga conto dei diversi aspetti della competitività e delle loro interazioni, se sia possibile individuare gruppi di
regioni caratterizzate da livelli di efficienza diversi. L’analisi delle regioni che costituiscono le varie cluster consente, inoltre, di
verificare se i differenti livelli di competitività siano associabili a specifiche aree geografiche dell’UE. Questo aspetto è rilevante in
particolare in termini di implicazioni di politica economica regionale e di politica agricola alla luce dell’importanza assunta in tal senso
dagli Stati Membri e delle regioni dell’UE a seguito della riforma della PAC. Il lavoro introduce, inoltre, importanti elementi di novità
rispetto ai tradizionali studi proposti in letteratura. Il fenomeno trova, infatti, approfondimento a livello di paesi (NUTS1) o nell’ambito
di uno specifico paese attraverso l’osservazione dello stato e della dinamica di singoli indicatori, oppure attraverso analisi di tipo crosscountry e/o cross-section che mirano ad individuare le determinanti della produttività agricola.
Parole Chiave Competitività agricola regionale, indicatori di efficienza per l’agr icoltura.
The local agencies for the public services: The italian case
Carla Scaglioni
Università degli Studi di Roma Tre
Sommario The need to reform public service supply represents a central issue in the current policy agenda not only in Italy.
Public governments are implicated in a significant number of regulatory activities, such as public utilities or financial institutions, in
order to ensure a certain desired outcome. Therefore, regulation implies public intervention within the markets as a response to some
mixture of normative objectives and private interests expressed through politics.
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Following a recent definition, we consider as “public services” all the goods whose consumption produces collective benefits and whose
supply in an unregulated market would be under-provided.
The point claimed is not to emphasized the importance of the regulatory theory in general, but to analyse its effectiveness in giving the
correct response to the citizen’s demand, i.e. if decentralising the provision of public services produces an increase in their efficiency and
effectiveness.
Traditionally, the standard model of local services provision was represented by public monopolies, bureaucratic organisation and largescale direct employment. Starting from the radical Tory reformers at the beginning of the 1980s in UK, a new approach to the problem
was proposed, addressing that a likely method to pursue efficiency in public services delivery was to open up the local monopolies to
competition, within a regulatory system, where local Agencies could represent citizens’ interests
This rises of course a problem of incentives and agency costs. The literature identified two main different approaches to the provision of
public services. In the hierarchical or centralised model, the consumers delegate the elected government, who becomes responsible in
dealing with the services providers. In this case, the citizens have no an active role within the game. It is also possible to observe a
problem of asymmetric information, both between the citizens and the politicians and between the politicians and the providers.
On the other side, we have a horizontal model, where citizens are considered as residual claimant i.e. consumers. This means a closer
link between consumers and services providers.
As it is quite intuitive, in this second case the accountability structure is better defined, delimiting the rules of games, i.e. “the chain of
command and control and the formal authority that each principal and agent is governed by”. Consequently, the main point here is to
define the role that the local public agencies could play within a horizontal approach to the service provisions, having clearly in mind
which is the general task of a Regulatory Authority. Connected to this aspect, there is of course a problem of evaluation of the Authority’s
performance.
In order to try to understand better Authorities’ function and role, we thought to consider the case of Italy. This case study seems to be
quite interesting even for the recent federalist reform, which occurred and could play a decisive role in the definition of the regulatory
system.
The aim of this work is to redefine the role of the local public regulator through an empowerment of the local public Agencies.
The proposal for the case of Italy is to shift towards a regional network, in which the national authorities can convey their expertise and
where it would be possible for governments to account for the use they make of citizens’ inputs received through feedback, public
consultation and active participation.
Verso ideapolis: cultura e creatività come fattori di competitività della knowledge-based
city. Il caso di Manchester
Luca Scandale
Università degli Studi di Bari
Sommario Nell’ultimo decennio, gli economisti (Peackock, 1991; Towse, 1997; Frey, 1994; Throsby, 1999; Klamer, 1996; Benhamou,
2001; Santagata, 2001; Trimarchi. 1993) si sono orientati verso lo studio della cultura da molte prospettive: dalle analisi del mercato
culturale alla cultura come bene pubblico, dalle industrie della cultura alle politiche culturali, dai sussidi pubblici fino alla gestione e
fruizione dei beni culturali. D’altro canto, nell’ambito degli Urban Studies, è emersa una nuova letteratura di inizio millennio sulla
kowldge-based city (Camagni, Capello, 2002; Lever, 2002; Matthiessem et al., 2002; Simon, 1998) che ha determinato numerosi impatti
sugli studi di economia urbana e regionale. La moderna economia della conoscenza applicata allo sviluppo urbano ha visto crescere
parallelamente un settore di indagine di economia culturale urbana che analizza i prodotti culturali come assets urbani. Inoltre, secondo
Florida (2003), le città-regioni più competitive sono quelle che si dotano di un ambiente sociale che è aperto alla creatività ed alla
diversità manifestandosi come città tolleranti, perché i talenti creativi cercano e desiderano vivere in città aperte a vari gruppi di persone
dal punto di vista etnico, razziale e di stile di vita differenti. Pertanto, se la nuova classe creativa è concepita come fattorie determinante
dello sviluppo di una nuova base di esportazione economica, le città devono attrezzarsi per fornire vantaggi distintivi capaci di creare un
milieu propedeutico alla generazione delle innovazioni e all’attrazione delle industrie delle conoscenza. Il paper mette quindi in relazione
le analisi sui prodotti culturali e le industrie creative, con le analisi sullo sviluppo economico dei sistemi urbani (Camagni, 2000; Van
Den Berg et al., 1999) con particolare riferimento al principio di competitività urbana (Cicciotti, 1993; Hall, 2000; Brenner, 1999;
Cheshire, 1999; Porter, 1990). La struttura del paper è orientata a introdurre una rilettura critica della letteratura esistente sulle specifiche
caratteristiche di consumo, produzione, domanda e offerta culturale e creativa in ambito urbano (Bianchini, Parkinson, 1993; Santagata,
1998; Dziembowska, Funk, 2000) e per indagare gli impatti dell’industria culturale e creativa come un settore economico urbano a sé
stante che assume sempre più rilievo nella letteratura anglo-sassone anche a fronte di una crescita vertiginosa di occupazione nel settore
(Wyne, 1992; O’Connor, 1999). Il caso di Manchester, emblematico, per le sue caratteristiche di città post-industriale in trasformazione
viene preso in esame, come esempio moderno di una nuova frontiera dello sviluppo urbano: ideapolis, la città delle idee.
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Nuovi spazi dell’innovazione: verso una teoria della dualità
Loris Serafino
Università degli Studi di Udine
Sommario I cosiddetti “sistemi di innovazione territoriale” indicano genericamente quei modelli di innovazione regionale basati su
politiche di intervento che enfatizzano il ruolo e l’importanza della dinamica delle istituzioni locali come determinanti dello sviluppo.
L’evoluzione di questi apparati protende oggi verso l’elaborazione di sistemi di innovazione transcalari ovvero quelli concettualizzabili
in uno spazio complesso in cui si integrano armonicamente elementi eterogenei di diversi locali (ad es. giacimenti di conoscenza tacita
localizzata con sorgenti di conoscenza codificata). Concepire in modo opportuno gli “spazi dell’innovazione” costituisce la posta in
gioco che una economia basata sulla conoscenza deve saper oggi affrontare. Una partita che si affronta nell’arena delle riflessioni sul
processo di globalizzazione e su come questa collochi i territori e le direttrici dello sviluppo. Per procedere oltre con una proposta teorica
è necessario convenire sul fatto che a) anche nell’economia dei flussi e della trasmissione istantanea dell’informazione, i luoghi non
perdono la loro unicità ma si differenziano proprio in virtù della capacità di diventare serbatoi specifici di conoscenza; b) il problema è
che le modalità con cui si avviluppano conoscenza e territorio sono estremamente complesse, difficilmente esplorabili empiricamente, in
costante evoluzione. Quando si tratta di sistemi di innovazione transcalare tutti i nodi problematici vengono al pettine proprio perché
manca ancora alla base una teoria forte in grado di rendere conto della complessità del binomio conoscenza-territorio. E’ noto come a
fondamento di ogni teoria di sviluppo regionale si ponga una ben precisa concezione dello spazio (per esempio il concetto di spazio
relazionale nei modelli endogeni). Si constata come oggi il passaggio ad una concezione transcalare dell’innovazione imponga
l’accettazione di un nuovo e più adeguato modello di spazio. Su questo solco problematico, in questo lavoro si intende avanzare una
proposta teorica che trova le sua giustificazione nella teoria matematica della dualità. La matematica è da sempre interessata allo studio
dello spazio, inteso come insieme astratto arricchito da una struttura (sia essa d’ordine, metrica o topologica). La teoria della dualità
studia come sia possibile derivare le proprietà di uno spazio analizzando i flussi che si generano da esso e viceversa in modo speculare.
Identificando un locale geografico con uno spazio euclideo e lo spazio dei flussi come il suo spazio duale, si può instaurare un proficuo
isomorfismo tra discipline apparentemente lontane che ha ricadute sia teoriche che applicative. Emerge ad esempio come sia possibile
trasporre delle categorie descrittive peculiari del “geografico” (vicinanza, dipendenza, gerarchia) in corrispettivi concetti in termini di
flussi e si evidenzia inoltre come la “spazializzazione” di reti possa produrre luoghi ibridi complessi, ad alto potenziale creatore ed
innovatore, sui quali la teoria matematica della dualità può gettare luce. Anche per meglio sottolineare le implicazioni in ambito
applicativo-programmatorio di questa chiave di lettura, verrà preso in esame il sistema della ricerca - inteso in senso transcalare - che
coinvolge il medio Friuli e che fa perno su Udine. Altri potenziali ambiti di applicazione verranno proposti.
Parole Chiave Conoscenza, innovazione, transcalarità, dualità.
Le politiche urbane e l’obiettivo europeo di coesione territoriale: relazioni e prospettive
in Italia per la programmazione 2007-2013 dei FSE
Loris Servillo
Politecnico di Torino - DITER - Dipartimento Territorio Facoltà di Architettura
Sommario È possibile leggere un cambio di strategia nella politica territoriale italiana e individuare una rinnovata attenzione sul tema
“Città” in una prospettiva europea?
Quale rapporto esiste tra gli orientamenti di politica territoriale dell’Unione (European Spatial Planning) e il cambio di strategia che
sembra emergere dai recenti documenti strategici a livello nazionale in Italia?
Quali sono i possibili sviluppi e come attivare un confronto a livello sopranazionale, mediterraneo ed europeo?
Queste tre domande emergono riflettendo su alcuni episodi nazionali:
le strategie definite a Rotterdam nel novembre del 2004 in occasione dell’incontro informale dei Ministri del Territorio degli Stati
Membri dell’Unione Europea.
la recente proposta di legge chiamata “Legge Obiettivo sulle Città”.
alcuni strumenti di intervento territoriale dedicati al rapporto aree urbane - grandi infrastrutture.
Leggendo nell’insieme il quadro che emerge dai documenti presentati dalla delegazione italiana a Rotterdam l’anno passato, vi è la
percezione di un cambio di strategia che sposta il focus delle politiche territoriali nazionali dagli interventi di riqualificazione urbana e
rigenerazione dei quartieri in crisi ad azioni più strutturate sullo sviluppo territoriale. Sembra infatti di leggere tra le righe dei documenti
strategici l’intento di utilizzare le aree urbane come diving forces dello sviluppo economico nell’ambito della coesione territoriale
promossa a livello europeo.
Gli indizi sembrerebbero confermare questa tesi: “sistemi territoriali”, “nodi urbani”, “reti di città” sono le parole chiave a cui si fa
ricorso nei documenti ufficiali. I nuovi obiettivi strategici di sviluppo competitivo e di coesione territoriale sembrano essere fortemente
strutturati dalle indicazioni dei documenti europei di indirizzo territoriale, primo tra tutti lo SSSE (Schema di Sviluppo dello Spazio
Europeo).
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Ci si può inoltre chiedere se sia in cantiere una nuova programmazione di strumenti complessi per le aree urbane. Sembrerebbe
interessante la volontà in questo abito di capitalizzare le esperienze maturate nella sperimentazione PRUSST. Partiti nel 1999, hanno
infatti rappresentato il primo tentativo di sintetizzare aspetti territoriali e temi infrastrutturali in un unico quadro di azioni strategiche.
Due episodi appaiono significativi e sembrano fare riferimento a questa necessità. Da un lato la “Legge Obiettivo sulle Città”. In questo
caso è una proposta di legge sulla scorta di quella del 2001 per le infrastrutture. Appare il più sistematico tentativo fatto a livello
nazionale di indirizzare la politica territoriale verso le aree urbane, consapevole della necessità di adottare una logica integrata per la
risoluzione dei problemi emergenti da scenari complessi.
Dall’altro la necessità di trasformare i progetti infrastrutturali in progetti territoriali ha portato all’elaborazione di due strumenti specifici.
Questo è l’obiettivo di due programmi innovativi che coniugano interventi infrastrutturali e sistemi territoriali: SISTeMa e
Porti&Stazioni. Entrambi hanno anche l’obiettivo di promuovere scambi e pratiche a livello europeo. In questi due programmi il
tentativo di territorializzare gli interventi legati alle grandi infrastrutture europee fa leva proprio sulle città che del territorio sono i
capisaldi.
Entrambe le iniziative sembrano fare riferimento alla necessità di prepararsi ad una nuova e più importante stagione di finanziamento
diretto da parte dell’Unione Europea dedicata ad azioni territoriali. Dal “Terzo Rapporto sulla Coesione” infatti si legge un forte cambio
in questa direzione, attraverso l’obiettivo 2 e 3 della nuova programmazione 2007-2013 dei Fondi Strutturali. La “competitività dei
territori” e la “cooperazione internazionale” dovrebbero essere i due macro obiettivi all’interno dei quali poter implementare azioni di
politica territoriale.
Di conseguenza sembrerebbe profilarsi una nuova stagione dedicata alle aree urbane all’interno degli obiettivi di sviluppo e di coesione
territoriale nell’ambito della futura programmazione europea. È possibile quindi leggere le iniziative italiane in quest’ottica, cercando di
interpretare gli indirizzi con i quali caratterizzare le future politiche di coesione, nel rispetto dello SSSE.
Parole Chiave Politiche urbane, città, driving forces, european spatial planning.
Crisi economica e interesse pubblico: il caso del distretto Murgiano del mobile imbottito
Guido Sgargi
Università degli Studi di Bari
Armando Urbano
Università degli Studi di Bari - Facoltà Scienze della Formazione - Dipartimento Scienze Storiche e Geografiche
Sommario Un sistema produttivo territoriale (SPT) può essere definito come l’insieme delle molteplici forme di organizzazione spaziale
della produzione in cui giocano un ruolo positivo e significativo effetti di sinergia e di prossimità: dai sistemi locali di piccole imprese ai
distretti tecnologici, dalle aree sistema ai milieux innovateurs (Beccattini,1987; Bianchi,1994). Seguendo Bramanti e Maggioni, un SPT
per evolversi deve essere in grado bilanciare il grado di robustezza interna del suo tessuto (radicamento sociale o sinergia interna) con
quello di apertura verso il mondo (partecipazione a reti spaziali o energia esterna). Eventuali soluzioni intermedie comporterebbero, nel
medio periodo, una dissoluzione del SPT o “una morte per entropia” o addirittura una disintegrazione del sistema, con il venir meno
degli effetti spaziali di prossimità. Un SPT quindi per potere essere competitivo deve essere in grado di conciliare il sapere personale con
quello collettivo, ossia equilibrare al suo interno le conoscenze tacite con quelle esplicite, inoltre deve mettere in atto processi cooperativi
all’interno dei quali lo scambio informativo diventa elemento indispensabile per la sopravvivenza stessa del sistema. La regione Puglia
rappresenta un’area caratterizzata da un sistema produttivo di piccole e medie imprese (PMI) orientato essenzialmente verso comparti
produttivi tradizionali ad alta intensità di lavoro e basso valore aggiunto. In questo contesto la centralità delle relazioni che si vengono a
creare tra le imprese di un medesimo territorio, permettono anche ad imprese di piccola dimensione di ottenere livelli rilevanti di export e
di innovazione difficilmente realizzabili in condizioni di isolamento. Il sistema del mobile imbottito, compreso tra Puglia e Basilicata, ha
registrato negli ultimi anni tassi di crescita elevati sebbene nell’ultimo biennio il comparto ha subito un vistoso rallentamento a causa dei
primi segnali di concorrenza provenienti da alcuni paesi dell’Est asiatico che iniziano ad entrare nei medesimi segmenti di mercato delle
imprese pugliesi. Lo scopo di questo lavoro è valutare, dopo aver presentato l’area di indagine, eventuali opportunità e minacce derivanti
dalla attuale situazione di crisi. Tutto questo sarà possibile mediante l’applicazione di un’analisi SWOT e prendendo in considerazione il
recente Accordo di Programma Quadro, strumento di policy, che dovrebbe fornire ai vari players i mezzi adeguati per poter essere
competitivi sia a livello globale che a livello locale.
Parole Chiave Sistemi produttivi territoriali, competitività.
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Equilibrio funzionale degli spazi, città e sostenibilità economico-urbanistica delle grandi
infrastrutture di trasporto. Il caso del ponte sullo Stretto di Messina
Guido Signorino
Università degli Studi di Messina
Sommario Il paper presenta una critica economica e trasportistica del progetto preliminare per la realizzazione di un ponte sullo Stretto
di Messina. L’analisi economica del ponte parte da una premessa di tipo urbanistico, ossia dalla considerazione che lo sviluppo delle città
è strettamente correlato alle caratteristiche assunte dal mutevole equilibrio tra spazi di transito e spazi di relazione all’interno del tessuto
urbano. Il lavoro rileva l’insostenibilità dei flussi veicolari in transito che (data la sua localizzazione e la conseguente funzione di
naturale interfaccia con la sponda calabrese) si riversano sulla città di Messina, e procede ad una analisi economica del progetto di ponte
della “Stretto di Messina S.p.A.” basata sui dati di progetto. Sotto il profilo urbanistico, il progetto appare fortemente impattante sulla
città, ai limiti (probabilmente oltre tali limiti) della sostenibilità sociale dell’opera, in riferimento sia alla dimensione della
rilocalizzazione abitativa di un significativo numero di famiglie, sia alla determinazione di condizioni di grave rischio di dissesto
idrogeologico, sia di necessità di immediato ridisegno del tessuto urbano della città. Il progetto sembra poi rivelare notevoli carenze sotto
il profilo della contestualizzazione trasportistica - dell’analisi costi-benefici e delle valutazioni economiche. In particolare, sotto il profilo
trasportistico, il ponte appare contestualizzato in modo incoerente: per un verso viene sottolineata la funzione strategica dell’opera ai fini
della realizzazione del corridoio Palermo-Berlino (attribuendo implicitamente al ponte una valenza strategica nella rete europea), mentre
per altro verso le previsioni di domanda non tengono conto della intensificazione dei trasporti via mare e del primario obiettivo europeo
di riduzione del traffico gommato. Inoltre, le stime di traffico non considerano la riduzione in atto della domanda di attraversamento
dello Stretto. Molti aspetti dell’analisi costi-benefici (tasso di conversione dei valori monetari, valutazione delle percorrenze, valore del
tempo-passeggeri) vengono altresì approfonditi, mentre alcune considerazioni vengono ancora poste in ordine alla valutazione dei costi
di investimento, alla tendenza del prezzo delle materie prime, alla presunta durata dei lavori. Nel complesso, il ponte appare realmente
non sostenibile, né sotto il profilo urbanistico, né sotto quello economico. Il paper si conclude dunque con l’indicazione la necessità di
attivare modalità alternative per il collegamento tra Sicilia e Calabria nell’area dello Stretto.
Parole Chiave Ponte, analisi costi-benefici, spazi funzionali, trasporti.
Per “non rifiutarsi di scegliere”: analisi territoriali a supporto della localizzazione di
infrastrutture a forte impatto ambientale
Agata Spaziante
Politecnico di Torino - DIITE
Fulvia Zunino
Politecnico di Torino
Sommario 1. Problema. Le città e i territori sono sempre più sovente di fronte alla necessità di decidere sulla localizzazione di impianti e
infrastrutture a forte impatto territoriale che incontrano resistenze da parte degli stessi enti locali, della popolazione, di associazione
rappresentative di interessi diffusi (ad es. smaltimento dei rifiuti solidi urbani, passaggio di reti infrastrutturali invasive, attività
estrattive). Sovente inoltre gli studi relativi alla pianificazione e progettazione di queste attività sono stati affrontati in un’ottica
prevalentemente tecnico-produttiva, che ha sacrificato tanto l’approccio multidisciplinare necessario a tener conto degli altri importanti
aspetti connessi a tali attività (e primo fra tutti quello della salvaguardia ambientale) quanto l’integrazione fra i numerosi e diversi piani
in vigore o in formazione che si sovrappongono sulle stesse aree. Per la pianificazione di questi interventi è dunque elevato il rischio che
le strategie e le azioni proposte compromettano gli obiettivi di “sostenibilità” dello sviluppo che, invece, gli strumenti di pianificazione
generale sostengono oggi con forza. L’approccio della Valutazione Ambientale Strategica, reso obbligatorio per tutti questi casi
dall’entrata in vigore nel luglio 2004 della Direttiva Europea 42/2001/CE, ha lo scopo di evitare questo rischio e di fornire ai decisori ed
agli attori elementi di supporto alla decisione attraverso la verifica degli effetti a lungo termine di opere di questo tipo. Non va trascurato
inoltre il fatto che, prima della VAS; per questi interventi sono stati previsti “studi di prefattibilità ambientale” introdotti nel 1994 dalla
Legge Merloni n. 109/94 e successivamente dal Regolamento di attuazione (DPR 21/12/1999 n. 554), oggi rafforzati dalla “Legge
Obiettivo” (L. 21 dicembre 2001, 443), come strumento strategico per incorporare le variabili ambientali nella progettazione dell’opera e
nell’impostazione della fase di scoping. Per gli studi di prefattibilità, per la VAS, per le analisi di compatibilità ambientale che alcune
leggi regionali hanno introdotto le analisi territoriali costituiscono una parte importante dell’apparato tecnico necessario ad effettuare tali
diversi tipi e livelli di verifiche. 2. Metodo. Si propone di esporre nei suoi termini generali il metodo utilizzato per condurre queste
analisi su tre casi di rilevante interesse affrontati da un gruppo di ricercatori del Dipartimento Interateneo Territorio (Facoltà di
Architettura 1) del Politecnico, coordinati da Agata Spaziante cui è toccato il compito di analizzare gli impatti di alcuni grandi interventi
sul territorio regionale piemontese nell’ambito di Convenzioni per enti esterni e precisamente: • la localizzazione di un impianto di
termovalorizzazione con annesso impianto di pre-trattamento dei rifiuti a seguito del lavoro della commissione “NRDS” (“Non rifiutarti
di scegliere”) presieduta da Luigi Bobbio e costituita da una ampia rappresentanza di tutti gli interessi in gioco, che aveva individuato tra
15 siti potenziali i tre siti tra cui scegliere quello preferibile • il Piano delle Attività Estrattive (PAEP), strumento di attuazione del Piano
Territoriale di Coordinamento delle Province di Torino e Asti, e nello stesso tempo articolazione su base provinciale del vigente
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Documento di Programmazione delle Attività Estrattive (DPAE) della Regione Piemonte; • il tracciato del tratto piemontese della linea
“ad alta capacità” Torino - Lione (45 km di percorso) 3. Articolazione. Il contributo riferirà in dettaglio gli aspetti tecnico-scientifici
trattati nella parte relativa agli aspetti territoriali: • urbanistica (coerenza con altri strumenti di piano, vincoli, ecc.) • paesaggio
(interferenze, suggerimenti per la mitigazione) • accessibilità ed interferenze sul traffico locale • uso di tecniche di simulazione virtuali
3D per agevolare la comprensione dei risultati delle valutazioni tecniche da parte di attori non tecnici 4. Risultati e conclusioni. Si
esporranno in sintesi i problemi risolti e quelli non risolti nel condurre le analisi di compatibilità per la parte territoriale e si concluderà
con alcune riflessioni sulle criticità che presentano le valutazioni sulla localizzazioni di questi impianti e gli strumenti tecnico-scientifici
di cui si dispone per supportare le decisioni in merito.
Parole Chiave Impatti territoriali, infrastrutture, VAS, attività estrattive.
Un’applicazione della network analysis allo studio della concorrenza spaziale tra centri
commerciali
Andrea Stanghellini
Luca Staricco
Politecnico di Torino
Sommario Il rapporto tra commercio e città per secoli si è sviluppato con una forte continuità ed una lenta progressione. Dagli ultimi
anni l’accelerazione nelle trasformazioni delle attività commerciali e delle pratiche dei consumi, segnata soprattutto dalla nascita delle
grandi strutture commerciali suburbane, ha declinato questo rapporto in nuove forme. La forte innovazione riscontrabile negli ultimi anni
nel commercio pone numerosi interrogativi riguardo a suoi possibili, e in molti casi già presenti ed evidenti, effetti sulla trasformazione
della città e sull’organizzazione del territorio. Lo stretto legame tra struttura della città e struttura del commercio non è tuttavia diminuito.
Per questo, ancora oggi, la lettura delle trasformazioni del commercio può essere vista anche come una possibile chiave di lettura delle
trasformazioni urbane. L’articolo propone una possibile metodologia per leggere la struttura territoriale dei grandi insediamenti
commerciali e una sua applicazione all’area metropolitana torinese. Per indagare le aree di influenza di tali insediamenti, la letteratura
presenta una serie di modelli matematici (quali, ad esempio, i modelli di Reilly e Converse, il modello di Huff e il modello di NakanishiCooper), che tengono generalmente conto di numerosi parametri. Tuttavia tali modelli, pur costituendo rilevanti punti di riferimento
teorici, presentano dei limiti nella loro applicazione pratica (sia in termini di costi, sia in quanto prevedono un livello di conoscenza dei
fenomeni difficilmente raggiungibile). Per questo nella prassi del settore le aree di influenza vengono generalmente individuate
attraverso la definizione delle isocrone di accessibilità. Si tratta di un metodo che pur tenendo conto di un’unica variabile (il tempo di
accesso all’insediamento commerciale) ha dato prova di non essere più impreciso di altri modelli più complicati. Non a caso tale metodo
è ampliamente presente nelle pratiche legislative e aziendali. Tuttavia le isocrone sono efficaci quando si analizza un solo insediamento
commerciale, ad esempio per identificare i flussi di traffico che genererà; mentre per ricostruire la struttura territoriale dei grandi
insediamenti commerciali è necessario definire anche le relazioni tra gli insediamenti e le sovrapposizioni tra le aree di influenza. In
genere i metodi usati e proposti (ad esempio dalle leggi regionali) si limitano a parlare di concorrenza tra insediamenti commerciali in
base alle loro superfici di vendita, e non parlano di concorrenza in termini spaziali, ossia di sovrapposizione delle reciproche aree di
mercato. Per questo la metodologia qui proposta prevede di unire alla determinazione delle isocrone di accessibilità l’utilizzo della
network analysis così da permettere di studiare le sovrapposizioni dei bacini non solo in termini visivi, ma quantificandole. Si tratta di un
metodo di analisi spesso utilizzato nelle scienze sociali per studiare (e quantificare) le interazioni tra i soggetti attraverso lo studio di
matrici di relazioni effettuato con appositi software. Esso viene qui applicato per analizzare la concorrenza tra centri non in termini
merceologici od economici ma spaziali, in modo da verificare il livello di effettiva saturazione del mercato non tanto in termini
complessivi, quanto per ogni centro, e di valutare l’impatto di ogni nuovo centro su quelli già esistenti. Il caso di studio presentato
riguarda l’area metropolitana torinese, in cui sono stati presi in esame gli otto centri commerciali che hanno una superficie di vendita
superiore a 10.000 metri quadrati. In una seconda fase è stato analizzato anche l’impatto sulla struttura territoriale dell’apertura di tre
nuovi centri commerciali già autorizzati dalla regione.
Parole Chiave Commercio, network analysis, concorrenza spaziale, aree di mercato.
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Economic valuation for contaminated site redevelopment
Stefania Tonin
Margherita Turvani
University IUAV of Venice - Department of Planning - School of Advanced Studies in Venice
Sommario “Brownfield” redevelopment projects are currently considered to be one of the key factors for urban regeneration: cleanup
and redevelopment of these areas can contribute to maintaining or enhancing the quality of life, improving recreational opportunities,
enhancing environmental quality and other public goods, and creating new employment opportunities. Public agency are devoting
significant financial resources to these projects and several attempts have been made to assess the value of a brownfields for public and
private agency. To state that brownfields are opportunities for different stakeholder and that they offer a change for looking at a
sustainable development implies a serious analysis of the economic dimensions involved: it is therefore of the utmost importance to
develop proper instruments and experience in assessing the value of such opportunities. How much is a brownfields worth? Land is a
very sound commodity; it should be easy to asses the value of a parcel of land by looking at the market for land. In the case of brownfield
market this is not a trivial exercise. The main question is how we place a value on contaminated land. In theory, the easiest answer to this
question is to subtract the cost of cleanup from the value of uncontaminated property. In practice many factors such as marketability,
stigma, and possible change of highest and best use may impede the functioning of market. To properly take into account such factors yet
can be quite difficult, implying the quantification in monetary terms of things such us stigma, transaction costs due to incomplete
information, option value for future possible uses, and so on. Calculating the value of a brownfields therefore may turn out to be quite
difficult and moreover such calculation may be framed in a public or a private perspective.
This paper offers an overview of the possible way to proceed to an economic valuation of brownfields and suggest an indirect way to
asses how much is a brownfield worth by investigating developers preferences regarding remediation and reuse. We first review the
major difficulties in proceeding with an economic valuation of brownfields, giving then account of the principal techniques in use for this
purpose. We go on in presenting some application in economic valuation of brownfields, by introducing the research ongoing in Porto
Marghera in the Lagoon of Venice, specifically we present the result of an indirect way of valuing brownfields by assessing developers
preferences with regards to different set of policies to enhance developers’ investments.
Risk perception in Venice and Marghera: results of focus groups with the population
Stefania Tonin
Margherita Turvani
University IUAV of Venice - Department of Planning - School of Advanced Studies in Venice
Sommario Aim of this paper is to present the results of the focus groups realized in 2004 in Venice and Marghera, to test the draft
questionnaire on population’ risk perception with regard to contaminated site. The results discussed in this paper are part of a broader
research program on the economic valuation of the ongoing and future remediation and redevelopment activities taking place in the
National Priority List’ site of Porto Marghera. Specifically in this research programme we have developed models to measure the
willingness to pay (WTP) for remediation and reuse both from the developers and the population. Focus group methodology has been
used several times in different phases of the overall project: to investigate people’s knowledge and perception of the contaminatated site
problems and to design the final version of the questionnaires that we have developed for valuation purposes.
In this paper focus groups helped us to understand how well people deal with the issue of risk and how they perceived it in different
contexts. With regards to site contamination we learnt that participants had a well developed notion of health risk and their linkage to
contamination. Furthermore people care about post-remediation land use. Not surprisingly, focus group discussions revealed that people
are willing to pay a different amount for remediation depending on whether the cleaned up site is turned into a park, a residential or a
commercial area. The different focus groups rounds dealt also with the existence of stigma associated with the site after remediation and
it shows that stigma depends on the post-remediation land use. Focus group participants were generally sceptical of the reuse of
remediated areas for residential purpose, although lower housing prices could induce them to live there. Commercial and recreational use
of the remediated areas seemed generally more acceptable. In terms of the contribution to the relevant literature, the focus group
activities have been structured to investigate the possible linkage between the WTP and altruism, stigma, and the public nature of
environmental goods. Issues of latency of the benefits from cleanup, and how the different perceptions of respondents and their trust in
the successful outcome of a project affect their WTP were also under discussion. Accordingly the paper offers a critical interpretation of
this literature, thanks to focus groups results, with regards to issues such as risk perception, the problem of risk communication, health
risks posed by contaminated sites, and finally the treatment of two crucial components in WTP evaluation when applied to our specific
topic: latency, altruism and familiarity. The findings provide an overview of the public perception of risk magnitude and health risk with
respect to contaminated site, and they give an interesting insight in people’s opinion when asked about their WTP to pursue possible
solutions to the problem of site remediation and risk reduction policies with regard to health. Furthermore they support and validate the
use of focus group methodology to design questionnaire for non market valuation purposes.
Parole Chiave Brownfields, risk assessment, contingent valuation, focus groups.
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Variabile etnica e mercato immobiliare: un modello descrittore della correlazione tra
regime dei fitti e presenza di immigrati.
Carmelo M. Torre
Politecnico di Bari - Dipartimento di Architettura e Urbanistica
Sommario Il fenomeno dei flussi migratori verso l’Europa occidentale ha rappresentato per l’Italia uno dei fattori di maggiore
cambiamento sociale dell’ultimo decennio. Esso modifica i contesti urbani, incidendo nell’economia, riconfigurando la distribuzione di
attività, incidendo in senso generale sui valori della città e del suo contesto sociale.
Uno dei processi più rilevanti della nascita di una nuova comunità etnica in un paese ospite è quello della territorializzazione.
La stanzialità dell’alloggio diventa il punto nodale del fenomeno di inserimento di una comunità etnica in un paese ospite. Crosta et alii
(2000) sottolineano che, nonostante la grande varietà delle condizioni in cui si trovano gli immigrati, a partire dagli “irregolari” fino a
quelli ormai inseriti nel contesto ospitante, gran parte di essi subisce situazioni di disagio abitativo, se non di “esclusione”. Se gli
immigrati che versano in condizioni di povertà frequentemente vivono in condizioni di homelessness, anche coloro che godono di
situazioni migliori sono male alloggiati, in sistemazioni tendenzialmente peggiori o più costose di quelle accessibili ai residenti con
analogo livello di reddito.
A questo aspetto va aggiunta la considerazione che la presenza di immigrati crea mercati sommersi, o, per dirla in termini più appropriati,
di sottomercati. Tra questi quello dei fitti. Uno studio del Sunia ormai risalente al 2000 ha evidenziato come l’indice di affollamento
nelle abitazioni occupati da immigrati non residenti in alloggi o stanze messi a disposizione dai datori di lavoro, superi abbondantemente
i due abitanti per stanza. Tali dati sono confermati da una serie di altri studi (Granata e Novak, 1999; Kohff, 1998; Palidda, 1998; Tosi,
2000; Zanfrini, 1998).
E’ quindi interessante considerare la possibilità che la variabile etnica possa essere in qualche modo descrittiva del mercato immobiliare
in contesti degradati, nei quali esiste una offerta esclusiva per categorie estremamente disagiate.
Questo contributo intende analizzare la possibilità di descrizione del fenomeno, attraverso l’applicazione di un modello basato su
tecniche di fuzzy clustering, per definire eventuali correlazioni tra valori immobiliari nei quartieri degradati di città metropolitane come
Bari, e presenze etniche, valutabili solo tenendo conto della estrema incertezza sui dati, ancora oggi estremamente limitativi nel
rappresentare la reale dimensione dei fenomeni, nonostante l’irrigidimento delle normative e l’incremento, a volte più volto alla
repressione che all’efficacia, del controllo.
Parole Chiave Immigrazione, mercato immobiliare, valutazioni multidimensionali, equità.
Sviluppo urbano nell’area metropolitana di Lisbona
Teresa Traversa
Università degli Studi di Bari - Dipartimento per lo Studio delle Società Mediterranee
Sommario In questi ultimi anni è emerso un rinnovato interesse verso particolari contesti regionali quali, ad esempio, il Bacino
mediterraneo. Per molti il Mediterraneo è ritornato ad essere culla delle più antiche civiltà urbane, sebbene oggi le stesse città che hanno
rappresentato momenti cardine del processo economico, sociale e politico mondiale, rischiano di scoppiare o appaiono caotiche e
angustiate da criminalità, economia informale e insediamenti spontanei. Il caso studio preso in considerazione è Lisbona, che pur non
essendo direttamente bagnata dal Mediterraneo, fa parte della penisola iberica e presenta nella fattispecie caratteristiche peculiari che si
manifestano in primis in relazione alla scelta della collocazione geografica, dettata soprattutto dall’accessibilità marittima, terreste e
fluviale, e poi in relazione alla propria struttura urbana: nel caso di Lisbona, l’assenza di una politica urbanistica articolata con lo
sviluppo economico della città, ha creato grosse difficoltà nella localizzazione delle grandi infrastrutture (aeroporto, ponte, zone
industriali, spazi commerciali) e nella gestione dello spazio metropolitano, provocando in alcuni casi un forte degrado del tessuto urbano
e quindi della qualità della vita. Negli anni Sessanta viene tracciata l’Area metropolitana di Lisbona come entità territoriale allargata,
socialmente diversificata e funzionalmente dipendente dalla capitale. Nei venti anni successivi e, praticamente fino alla fine degli anni
Novanta, si va consolidando, attraverso la promozione di immobili legali e illegali, una struttura urbana metropolitana in cui mancano sia
un piano di gestione e di articolazione degli scenari in trasformazione, sia gli investimenti necessari per la messa in opera di infrastrutture
adeguate all’ordinamento urbano. Dopo una forte crescita demografica, gli anni Ottanta rappresentano una momento di svolta; la città
subisce una consistente perdita della popolazione (residente), costituita essenzialmente da giovani - e da popolazione in età attiva - che si
dirigono verso i comuni limitrofi. Tale processo, associato alla permanenza del lavoro terziario nella città, ha esasperato la dipendenza
della popolazione metropolitana verso la capitale con gravi conseguenze su uno sistema urbano di per sé fortemente inefficiente: forte
crescita dei movimenti pendolari tra le periferie e le arre centrali della città, congestione del transito e dei trasporti e progressivo
spopolamento per carenza di abitazioni. Il decremento della popolazione residente nei quartieri centri storici, legato all’abbandono delle
aree abitative e all’alterazione del loro uso, ha accentuato la stratificazione sociale della città, in cui convivono assieme a strati sociali
economicamente alti, realtà estremamente emarginate, tra cui parte degli immigrati africani: solo all’inizio degli anni Novanta
cominciano ad avviarsi programmi di recupero e di riorganizzazione del territorio urbano in vista della candidatura della città a capitale
europea della cultura, all’expo e ai campionati del mondo di calcio. Questo lavoro si propone di approfondire le tematiche suddette,
analizzando in forma molto sintetica lo sviluppo urbano di Lisbona, nel suo passaggio da città a metropoli, sia dal punto di vista
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demografico, che dal punto di vista commerciale, dei servizi dell’industria e delle abitazioni e ciò soprattutto grazie alla funzione
predominante svolta dal porto sulla dinamica funzionale del territorio metropolitano.
Parole Chiave Sviluppo urbano, area metropolitana, Lisbona.
Napoli città in trasformazione - 1994/2004
Emilia Giovanna Trifiletti
Università degli Studi di Napoli “Federico II” - Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio
Sommario Dopo circa venti anni di intensa sperimentazione progettuale ed attuativa, si sta registrando in tutta Europa l’avvio di un
processo di ridiscussione generale intorno ai temi della riqualificazione urbana (Falini, 1997). Se il tema della riqualificazione urbana si è
notevolmente affermato nel mondo dell’urbanistica e dell’edilizia, le logiche che contraddistinguono le modalità di intervento hanno
portato ad una rivisitazione dei tradizionali strumenti della pianificazione, spesso ancora improntati ad una visione monofunzionale della
città (Roda, 2001). Infatti negli ultimi anni il Piano si orientato all’urbanistica del mercato, alla governance, all’integrazione e al
coordinamento dell’azione, al coinvolgimento dei privati nell’intero processo di gestione del territorio. Finalmente la città viene vista
come un insieme di frammenti, tenuti assieme dall’ossatura infrastrutturale e dalle delimitazioni amministrative, ma ciascuno con propri
caratteri, problemi, aspettative, conflitti. Il filo condutture delle operazioni urbanistiche degli ultimi anni è stato quello della ricerca della
qualità urbana, tanto più vero per quanto attiene alle trasformazioni delle città storiche: sia in Italia che in Europa si evidenzia come gli
interventi di riqualificazione urbana richiedano sistemi di azioni integrate volte al recupero non più solo fisico, ma anche funzionale e
socioeconomico del tessuto urbano. In particolare in Italia, dopo la stagione della conservazione, si è passati all’esperienza della
riqualificazione urbana, sostenuta negli ultimi dieci anni da risorse pubbliche e da investimenti privati significativamente rilevanti (Abis,
E., 2003).
Inoltre è ormai opinione condivisa che al fine di governare la trasformazione dei contesti urbani è indispensabile operare secondo
principi di compatibilità, anche attraverso la salvaguardia sia delle caratteristiche storico-architettoniche dei manufatti, sia delle
peculiarità socio-economiche che in molti casi contribuiscono in modo determinate a delineare l’identità e la forza attrattiva dei contesti
urbani.
In accordo con questi principi, lo studio propone una lettura integrata degli interventi di trasformazione che rappresentano lo spin-off di
processi che non solo migliorano la qualità fisica della città, anche attraverso la salvaguardia delle caratteristiche storico-architettoniche,
ma migliorano l’organizzazione funzionale del contesto urbano anche preservando le peculiarità socio-economiche.
Tra gli interventi individuati nello studio, alcuni fanno riferimento all’implementazione della rete di trasporto su ferro che molto spesso è
stata pretesto anche per la riqualificazione di un’area urbana più vasta di quella che in cui ricade il singolo intervento; altri al ridisegno
degli spazi aperti costruiti e alla realizzazione di aree a parco, e altri ancora al recupero fisico e funzionale di edifici storici sotto-utilizzati
o totalmente inutilizzati.
La ricerca, dopo aver messo in luce le strategie di governo del territorio lette attraverso gli strumenti di piano vigenti a Napoli, ha
individuato e classificato gli interventi di riqualificazione urbana realizzati dal 1994 al 2004. Nell’ultima fase si è proceduto ad una
lettura integrata degli interventi di trasformazione al fine di individuare i cambiamenti nell’organizzazione complessiva della città indotti
dalle trasformazioni fisiche avvenute.
Il risultato della ricerca è da un lato documentare la trasformazione urbana della città negli ultimi dieci anni e dall’altro effettuare una
lettura integrata delle trasformazioni che tenga conto non solo degli aspetti fisici ma anche di quelli culturali, sociali, economici,
ambientali nonché funzionali del territorio.
Parole Chiave Trasformazione, riqualificazione urbana.
Finanza derivata ed enti locali: gestione del rischio o fonte di liquidità?
Emilio Vadalà
Banca d’Italia
Sommario La finanza delle Amministrazioni locali italiane è stata caratterizzata, nell’ultimo decennio, da numerose e profonde
trasformazioni. Il decentramento amministrativo, la riforma costituzionale, il risanamento della finanza pubblica hanno concorso a dotare
gli enti di governo sub-nazionali di una propria budget policy e a renderli maggiormente responsabili dell’equilibrio finanziario del
proprio bilancio.
In questo quadro alla fine degli anni ‘90 si è diffuso l’utilizzo, presso le Amministrazioni locali, di strumenti derivati, e in particolare
delle operazioni di swap. In pochi anni, e in assenza di una regolamentazione, le operazioni di swap sono divenute una pratica corrente
nella gestione dell’indebitamento di Regioni, Province e Comuni italiani.
In questo lavoro ci proponiamo, anche alla luce del D.M. 389/2003 che disciplina in modo organico la materia, di valutare le
caratteristiche, i profili di convenienza e di rischio dell’operatività in derivati da parte delle Amministrazioni locali.
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Il problema è stato inquadrato nell’ambito della letteratura sull’innovazione finanziaria e sulle sue determinanti, anche nel quadro della
complessa evoluzione delle caratteristiche della finanza locale in Italia nell’ultimo decennio. L’analisi si basa sulle segnalazioni di
vigilanza alla Banca d’Italia e su un’indagine condotta presso Amministrazioni locali di dimensioni maggiori (Regioni e alcuni Comuni
capoluogo).
L’utilizzo dei derivati da parte dei governi sub-nazionali non sembra presentare rilevanti rischi per quanto riguarda l’indicizzazione dei
flussi di interesse. Sebbene le strategie seguite volgono, nella maggioranza dei casi, a ridurre il costo del debito attraverso operazioni di
hedging selettivo, solitamente l’esposizione alla variabilità dei tassi è limitata da contratti di opzione. Profili di rischio si riscontrano nel
caso in cui l’Amministrazione locale si ponga come controparte venditrice dell’opzione.
La possibilità di utilizzare strumenti derivati è importante per le Amministrazioni locali nella logica di una sempre maggiore autonomia
finanziaria di entrata e di uscita. La mancanza di volumi di emissioni tali da permettere una effettiva diversificazione delle caratteristiche
del proprio debito, rende necessario il ricorso ad operazioni di swap che permettano di riequilibrare la struttura del debito riducendone gli
elementi di rischio.
L’intervento legislativo conclusosi con il D.M. 389/2003 è da ritenersi positivo dato che ha dato certezza giuridica ad un’operatività
molto diffusa tra le Amministrazioni locali ma rispetto alla quale rimanevano molti elementi di incertezza circa l’ammissibilità e riguardo
ai confini entro i quali legittimamente muoversi.
Questi nuovi strumenti, resi disponibili dall’innovazione finanziaria, tuttavia possono, se utilizzati in modo improprio, creare problemi
alla stabilità finanziaria dell’Amministrazione locale. Il tentativo condotto da alcuni enti di ricorrere ad operazioni di swap con lo scopo
principale di liberare risorse finanziarie nel breve periodo può minare la stabilità finanziaria degli enti, appesantendone la struttura
finanziaria e creare nel lungo termine tensioni di tipo politico.
La mancanza di una disciplina della contabilizzazione degli effetti sul bilancio degli enti delle operazioni derivate incentiva l’utilizzo di
dette operazioni per finalità di window dressing; imporre maggiore trasparenza contabile potrebbe aiutare a ridurre questi incentivi.
Inoltre sarebbe auspicabile imporre, secondo un principio di prudenza, di accantonare i risparmi generati nei primi periodi dallo swap in
un fondo da utilizzare nei periodi successivi a fronte di maggiore uscite determinate dall’operazione di swap.
Parole Chiave Derivati, finanza locale.
La città territoriale di Ancona: organizzazione spaziale e sviluppo economico
Paolo Veneri
Università Politecnica delle Marche - Dipartimento di Economia
Sommari o L’organizzazione spaziale del processo economico in Italia ha subito profonde modificazioni negli ultimi decenni. In
particolare si è assistito alla formazione di nuovi sistemi locali - città territoriali - attraverso il processo di coalescenza territoriale, ovvero
attraverso l’integrazione relazionale di entità urbane o sub-urbane un tempo maggiormente indipendenti che diventano dei quartieri di
un’unica città. Anche se priva di un riconoscimento formale da un punto di vista politico-regolativo, queste nuove entità sono il frutto di
meccanismi di auto-organizzazione dei processi e costituiscono delle vere e proprie città, funzionano come lo fossero e a nostro avviso
così le dovrebbe considerare il decisore pubblico. Questi nuovi sistemi urbani, o città territoriali, presentano delle caratteristiche atipiche
rispetto al tradizionale concetto di città. In particolare, oltre ad essere assente un meccanismo di governo per l’intero sistema, spesso si
caratterizzano per la poca compattezza spaziale, presentandosi quindi come delle città disperse. Entrambi questi fattori comportano dei
costi collettivi e non aiutano il sistema a sviluppare tutto il proprio potenziale. Dopo aver definito un approccio metodologico in grado di
considerare come unità di analisi la città territoriale - approccio basato sulla visione sistemica della città e degli agenti che vi operano, sul
processo di apprendimento di questi ultimi come motore di cambiamento del sistema stesso - si svolge un’analisi empirica di uno di
questi nuovi sistemi urbani, la città territoriale di Ancona. Con 13 comuni ed una popolazione di poco inferiore ai 210.000 abitanti - di
cui 100.000 nel Comune di Ancona - questa città si presenta come una delle entità urbane più grandi e complesse dell’intera regione
Marche. Il lavoro si focalizza inizialmente sull’individuazione delle variabili in base alle quali considerare i tredici comuni considerati
come un'unica città. In particolare si farà riferimento alla dislocazione delle principali infrastrutture viarie (es. Porto, Stazione,
autostrade) e sociali (es. dislocazione di Ospedali, centri commerciali e culturali) e si analizzeranno gli spostamenti per motivi legati alla
sfera lavorativa e di istruzione. L’analisi del pendolarismo evidenzia una forte interdipendenza tra i comuni considerati. Un successivo
passo consiste nell’analisi della struttura economica e spaziale della città territoriale, esaminando le principali prestazioni del sistema. Si
individua il ruolo dei diversi settori economici, la performance demografica e il capitale umano. Sulla base di quanto osservato, si
concluderà l’analisi con il tentativo di identificare i possibili sentieri di sviluppo economico e di organizzazione spaziale del sistema
considerato, utilizzando la metodologia degli scenari e valutando un orizzonte temporale di circa un decennio.
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Conoscenza e apprendimento nella pianificazione provinciale
Alessandro Vignozzi
Università degli Studi di Napoli Federico II - Dipartimento di Urbanistica
Sommario La recente ondata di piani provinciali ha aperto per la prima volta in Italia una sperimentazione diffusa e probante intorno al
difficile compito di coordinare il governo del territorio alla scala sovracomunale. La strada finora percorsa ha evidenziato fin dal primo
momento una grande eterogeneità di apporti. Occorre peraltro considerare come in molti casi siamo ormai in presenza di una seconda
generazione di piani, il che consente da un lato di verificare un’eventuale convergenza di approcci, dall’altro di constatare eventuali
progressi metodologici o evoluzioni applicative. Ancora più significativa risulta quest’opportunità nei non numerosi casi in cui la stessa
stagione dei P.T.C., come è avvenuto ad esempio in molte province toscane, sia stata preceduta da piani di area vasta di iniziativa
regionale. Con riferimento a queste situazioni privilegiate, è mia intenzione indagare i fenomeni di apprendimento e feed-back nelle
esperienze di pianificazione territoriale alla scala provinciale, con specifico riferimento ad alcuni temi portanti, che ancor oggi animano il
dibattito disciplinare in materia. Anzitutto sembra importante delineare come si sia evoluto il ruolo operativo di uno strumento che, se da
un lato sembra prefigurarsi come vero e proprio ‘pivot’ della gestione territoriale, dall’altro appare ancora impaniato da annosi conflitti di
competenze, sia in sede tecnica che amministrativa. Altra questione di rilievo è quella inerente la forma stessa che è stata attribuita al
piano provinciale, l’architettura complessiva di un dispositivo che, a prescindere dalle diverse declinazioni regionali, potrebbe trovare in
un prossimo futuro modelli di riferimento meno labili degli attuali. Vi è infine da prender atto che in svariati contesti l’implementazione
di questi piani ha già raggiunto una fase abbastanza avanzata da consentire una riflessione più che teorica sull’efficacia delle diverse
modalità di coordinamento fin qui perseguite. Ruolo, forma ed efficacia del coordinamento sono dunque i temi che il paper proposto
intende sviluppare nell’ottica della conoscenza e apprendimento, coniugando questioni metodologiche di interesse generale ed esigenze
concrete dello sviluppo locale. Con tale approccio saranno in particolare approfondite alcune questioni specifiche, la cui rilevanza è stata
evidenziata dalla recente esperienza disciplinare. La prima riguarda le competenze che la Provincia ha via via assunto nella
pianificazione di area vasta alla luce dei risultati della prima generazione di P.T.C. e delle disposizioni delle recenti norme regionali. La
seconda riguarda le modalità di concertazione rivelatesi più opportune per la formazione del P.T.C., strumento che ha visto confrontarsi e
talora confliggere diversi livelli e settori di governo del territorio, in un quadro di competenze ancora non del tutto chiaro e definito. Altra
questione frequentemente dibattuta è quella del rapporto tra piani provinciali e legislazione regionale, dove si è assistito a declinazioni
marcatamente differenziate di una funzione, comunque, di raccordo tra soggetti e responsabilità diversificate. Sempre più impellente si è
fatta, infine, l’esigenza di definire una relazione sinergica e non conflittuale fra piani strategici e coordinamento provinciale, dove alcune
esperienze lasciano intravedere una possibile evoluzione verso strumenti di sintesi.
Parole Chiave Pianificazione territoriale, generazioni, evoluzione metodologica, dibattito. disciplinare.
Tra competitività locale e coesione sociale: le province del Sud Italia nel contesto
nazionale
Christian Violi
Università del Piemonte Orientale - Facoltà di Economia
Sommario Il tema della competitività locale è tra i più indagati negli ultimi anni dalle scienze regionali, soprattutto con riguardo ai
fattori territoriali che la favoriscono. I contributi più significativi segnalano come, tra questi fattori, stiano acquisendo sempre maggior
importanza il capitale sociale, i saperi diffusi sul territorio, i processi di apprendimento collettivo, in grado di differenziare i prodotti, di
generare nuove occasioni di sviluppo, di affrontare i cambiamenti nella struttura dei mercati. Se tale assunto può dirsi ormai consolidato,
appare tuttavia evidente come non sempre l’attenzione nei confronti delle cosiddette “risorse umane” vada oltre gli aspetti più
strettamente legati alle attività produttive, quale ad esempio il pur importante tema della formazione permanente. Tale situazione non
coinvolge soltanto il mondo imprenditoriale: anche dal punto di vista degli attori pubblici, infatti, l’impegno verso un miglioramento
della qualità della vita nel suo complesso non può dirsi prevalente. Il contributo intende dunque tentare un approccio al difficile problema
della relazione tra competitività locale e coesione sociale, due delle componenti principali insieme a quella ambientale della qualità della
vita. Attraverso alcuni indicatori, individuati a partire da una approfondita rassegna bibliografica su entrambi i temi in questione, che non
pretendono comunque di esaurire i possibili campi d’indagine, si è cercato in primo luogo di analizzare da un lato non tanto i fattori
territoriali della competitività quanto invece il “successo competitivo” di un territorio in termini di risultati ottenuti rispetto ad altri
territori, dall’altro alcuni aspetti rilevanti della coesione sociale. Tale indagine preliminare, svolta alla scala provinciale, permette di
rilevare eventuali correlazioni tra i due campi d’indagine, sia prendendo in considerazione l’intero territorio nazionale, sia soprattutto
analizzando singolarmente le tre macro-aree Nord, Centro e Sud. Semplici elaborazioni statistiche hanno, in questa fase, affiancato
strumenti innovativi per l’analisi territoriale e soprattutto per la rappresentazione dei risultati, quali la dashboard of sustainability, già
utilizzata a livello internazionale ed opportunamente modificata. A partire dai risultati di tale indagine, si è scelto di indagare in maniera
approfondita le possibili cause dei riscontri avuti in termini di correlazione tra la competitività locale e la coesione sociale all’interno
delle province meridionali. Si sono, inoltre, considerate alcune specifiche realtà dell’area mediterranea, ritenute particolarmente
significative per i risultati ottenuti in entrambe le variabili considerate, per verificare se a tali risultati abbiano contribuito politiche
territoriali attive, sviluppatesi a livello locale ma anche stimolate dal contesto comunitario, e quale sia stato il loro apporto in termini di
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miglioramento economico e sociale. Attraverso i riscontri ottenuti in quest’ultima fase della ricerca si è cercato, nelle considerazioni
conclusive, di fornire indicazioni agli attori pubblici, utili per proporre politiche d’intervento che sappiano coniugare risultati economici
e coesione sociale.
Parole Chiave competitività locale, coesione sociale.
Dal “partito unico della spesa pubblica” alla costruzione multiattoriale dello sviluppo. Un
difficile cammino
Ilaria Vitellio
Universtità degli Studi di Napoli - Dipartimento di Urbanistica
Sommario La riflessione è tesa ad evidenziare come attraverso le recenti politiche territoriali si sono attivate nuove configurazioni
relazionali tra gli attori dello sviluppo. Se guardiamo a tali politiche non solo sotto l’aspetto della trasformazione fisica del territorio, ma
come forme particolari di azione orientate a trattare problemi di natura collettiva, ci accorgiamo che le relazioni tra gli attori che
intervengono in queste politiche assumono configurazioni diverse dal passato. In particolare nel Mezzogiorno se guardiamo a come si
configurano le politiche territoriali negli anni 80, coalizioni stabili di interessi si raccoglievano a valle delle occasioni di trasformazione,
restituendo una configurazione gerarchica delle relazioni organizzate attorno ai flussi di finanziamento statale: Infatti a partire dal
terremoto che colpisce la Campania nel 1980, si determinano e si costruiscono una serie di occasioni di sviluppo orientate a trattare il
territorio come risorsa-suolo su cui sperimentare nuove configurazioni attoriali che facilmente possiamo declinare (per obiettivi,
motivazioni, modalità di aggregazione e di azione) secondo la teoria dei regimi urbani. A partire dalla seconda metà degli anni ottanta,
per ciò che riguarda l’area di Napoli in particolare, si determina una coalizione stabile di interessi composta principalmente da politici,
imprenditori e intellettuali accademici che si organizza in varie forme societarie con lo scopo di portare avanti consistenti trasformazioni
urbane, via singoli progetti urbani e, poi, accordi di programma.
Negli anni più recenti, a partire dalla svolta impressa con le nuove elezioni amministrative e, soprattutto, con la gestione strutturata per il
finanziamento con fondi europei, i nuovi governi locali sono chiamati a concentrate il loro operato su diverse e nuove sfide. Per motivi
diversi, il passaggio dalla fase precedente a questa nuova fase è in parte brusco e accelerato, soprattutto se si guarda ai nuovi modelli di
governo urbano, ma risente di una certa resistenza e lentezza al cambiamento. Fra le esigenze di rinnovare i modelli di gestione della
cosa pubblica, restituendone trasparenza e vivacità, e di rispondere al declino delle città, attraverso la promozione e la ricollocazione su
nicchie di mercato diversificate, ma anche attraverso la ricostruzione di un tessuto sociale fortemente frammentato e disperso, i governi
locali del mezzogiorno tendono lentamente a diventare agenti catalizzatori e diretti promotori di politiche. Qui, nuove reti si costruiscono
per promuovere direttamente iniziative, si ristrutturano dentro esse e guardano al territorio non come bene strumentale, ma risorsa
materiale e immateriale. Campi variegati di politiche intercettano una varietà di attori, fra cui quelli “forti” delle politiche degli anni
ottanta che ora sono chiamati a svolgere ruoli diversi e nuove funzioni.
Parole Chiave Regimi urbani, mezzogiorno, network.
Il Cairo tra passato e futuro: dinamiche di sviluppo urbano, attori e processi dei
mutamenti sociali
Tiziana Vitolo
Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo CNR
Sommario Le dinamiche dello sviluppo urbano e, in particolar modo, le ricadute in termini economici delle politiche urbane attuate a
scala locale, nella concreta prospettiva di un’attivazione di meccanismi di cooperazione nell’ambito dei paesi mediterranei, impone
riflessioni su singoli casi studio e richiede la definizione di indirizzi di policy atti a stimolare lo sviluppo economico e sociale. La
relazione tra urbanizzazione e reddito pro-capite ha profondamente inciso sul processo di sviluppo economico dell’Egitto che, tra mille
difficoltà, ha cercato soluzioni che permettessero di fronteggiare l’emergenza economica, politica ed ambientale conseguenza della
crescita demografica. La teoria economica sull’argomento sostiene che le città offrono vantaggi connessi alle economie di
agglomerazione e alle economie di scala tuttavia è inevitabile l’incidenza dei costi sociali che crescono con l’aumento della popolazione
con ricadute pesanti sui servizi, sull’inquinamento, sul sistema idrico e sanitario e sulle stesse abitazioni. Un altro aspetto che va
considerato e che riguarda le politiche di pianificazione, è lo scarso controllo delle istituzioni che ha determinato un aumento degli
insediamenti illegali e dell’abusivismo edilizio. Negli ultimi trenta anni il Cairo ha registrato fenomeni contraddittori quali il
consolidamento del ruolo dello Stato e, allo stesso tempo, la sua frammentazione. Ciò che appare evidente è che il sistema multicentrico
individuato come soluzione ai problemi di sovraffollamento sia della popolazione che del terziario non è mai pienamente decollato,
anche a causa dell’eccessiva ambiguità delle politiche urbane. Inoltre, la pianificazione non ha puntato a rendere attrattivi i luoghi né a
trasformarli investendo in iniziative di carattere culturale che aggregassero cittadini e fossero centrate sulla riqualificazione e sul rilancio
del tessuto economico nei diversi quartieri della città dove forti sono le radici e la tradizione storica che vanno salvaguardate e
A.I.S.Re
136
potenziate. Il paper si propone di affrontare la problematica dello sviluppo urbano del Cairo attraverso la comprensione pratica e teorica
dei recenti episodi di produzione sociali di spazi urbani che hanno accomunato l’Egitto a molte realtà mediterranee, tenendo in conto che
parte dell’attuale dibattito sul concetto di Mediterraneo è basato sull’esistenza di un modo di pensare mediterraneo, vale a dire dei
caratteri che emergono da una esperienza sociale condivisa che si suppone accomuni le genti mediterranee e che potrebbe essere visto
come il fondamento di questa cultura.
Parole Chiave Sviluppo urbano, politiche di pianificazione, coesione sociale.
Spatial dynamics in the markets of corporate takeovers and mergers
Hans-Martin Zademach
University of Munich - Institute of Economic Geography
Sommario High levels of mergers and acquisitions (M&As) have been a characteristic of the global economy in the 1990s and at the
turn of the millennium. This wave of M&As did not only lead to important modifications in the structure of businesses and financial
markets (e.g. Loughran and Vij 1997; Böhmer and Löffler 1999; Gugler et al. 2003), but also triggered thorough restructuring processes
in the location of corporate control and economic decision-making. The spatial implications of corporate takeovers and mergers as well
as their location-specific determination, however, represent profoundly neglected topics in economic geographical research (Markusen
2001; Chapman 2003). The few cases of M&A-related investigations in spatial sciences discuss either individual case studies or have an
explicit industry focus (e.g. Ascroft and Love 1993; Lagendijk 1995; Chapman and Edmond 2000; Nuhn 2004). In fact, these studies
brought forward valuable insights on the reasons why companies engage in a merger, probable internal post-merger effects or
consequential processes of industry restructuring. Furthermore, they gave first indications for M&As indeed affecting space- and placespecific structures and economic systems, like a nation’s metropolitan hierarchy or regional disparities (e.g. Green 1990), and that
corporate takeovers thus impact on more than intra-firm management functions, organisational structures and hierarchies, reporting
measures, controlling systems and the like. The inverse direction of the causal relationship between M&As and ‘spaces and places’, i.e.
the relevance of space-related attributes as influencing variables in M&A processes, however, has been almost completely ignored
(Green and Meyer 1997). Thus, the twofold purpose of the present contribution is on the one hand side to display the implications of
M&As, most notably in terms of the shifts and displacement of corporate control they provoke, and on the other hand to identify the
factors that may explain the detected levels and patterns and the extent to which location factors determine takeover activities. On basis
of the Mergermarket dataset which encompasses close to 15,000 transactions involving firms located in the EU25 as well as the four
EFTA countries between 1998 and 2003, the empirical analysis examines M&As in an important period of changes before and after the
creation of the European Monetary Union (EMU) and immediately before the Eastern enlargement. First, it identifies the strongest and
weakest European economies within the international ‘trade’ of corporate control in Europe. Thanks to the financial details provided by
the dataset it thereby became possible to consider both the simple counts of events and the respective deal values in this step of the
investigation, a novelty in economic geographical research on M&As on the aggregate level. Through the combination of insights from
the qualitative research with regression analysis and by means of controlling for the size and economic significance of each transaction,
following, the study demonstrates the extent to which the spatial perspective sheds light onto the factors that may explain the detected
levels and patterns of corporate takeovers across Europe.
Parole Chiave : Mergers & acquisitions, theory of the firm, agglomeration economies, localised capabilities.
Partecipazione delle comunità locali ai processi decisionali delle politiche del territorio: il
caso della fiera di Cagliari
Corrado Zoppi
Università degli Studi di Cagliari - DIT - Sezione di Urbanistica
Sommario Nei processi di pianificazione strategica un aspetto fondamentale è rappresentato dal riconoscimento e dall’integrazione, nelle
politiche del territorio, sin dai primi momenti della loro definizione, delle aspettative delle comunità locali. Informazione e
partecipazione costituiscono condizioni necessarie per la sostenibilità dei processi di piano, come riconosciuto nella Direttiva
dell’Unione Europea n. 42/2001/CE sulla valutazione degli effetti di piani e programmi sull’ambiente, nei programmi di Agenda 21
Locale della Nazioni che hanno tratto origine dalla Conferenza Habitat II e dalla Agenda−Unite e nei Regolamenti dell’Unione Europea
relativi alla certificazioni Eco−Habitat Management and Audit Scheme (EMAS), nonché nelle procedure definite dall’Unione Europea
per la valutazione dei programmi dei Fondi strutturali. Riconoscere ed integrare nelle politiche del territorio le istanze delle comunità
locali significa mettere in relazione, nel processo decisionale, le scelte di piano con le preferenze, i bisogni condivisi, dei membri di
queste comunità, che non si identificano soltanto con l’insieme degli stakeholder che definiscono, nella dialettica con la pubblica
amministrazione ai diversi livelli, il sistema degli interessi forti connessi agli usi ed alle trasformazioni territoriali, e le politiche del
territorio, sia in termini propositivi che attuativi. La comunità locale è, piuttosto, costituita da tutte le forme, organizzate e non, attraverso
137
A.I.S.Re
cui i cittadini possono riconoscere e manifestare esigenze, aspirazioni, bisogni, aspettative sull’organizzazione e la trasformazione dello
spazio urbano. La rappresentazione della complessità delle aspettative della comunità locale in relazione alle problematiche territoriali
che l’azione di piano si propone di affrontare è, quindi, in questo quadro concettuale, di fondamentale importanza per l’efficacia delle
politiche del territorio. Si tratta, evidentemente, di un problema di rappresentazione di fattori molteplici che generano preferenze,
consenso o dissenso, rispetto a scelte alternative di pianificazione. La costruzione della conoscenza di caratteristiche comuni alle istanze
dei membri delle comunità locali rispetto alla definizione delle scelte della pianificazione del territorio costituisce un problema
complesso di knowledge discovery in databases (KDD), in cui, a fronte di una molteplicità di persone che esprimono il proprio parere
sulle scelte, con una consequenziale molteplicità di variabili che influenzano queste scelte, sono da riconoscere i pattern delle
combinazioni di queste variabili in relazione alle scelte stesse. L’obiettivo del saggio è di delineare un approccio metodologico di KDD,
basato sulla Rough Set Analysis (RSA) con riferimento ad un significativo problema di pianificazione strategica urbana nell’area
metropolitana di Cagliari - la localizzazione dell’area per servizi della Fiera campionaria della Sardegna. La base di dati per lo sviluppo
del caso di studio è rappresentata dalle risposte di un campione della popolazione del comune di Cagliari ad un questionario relativo a
due piani attuativi alternativi per la localizzazione della nuova Fiera, portati preventivamente a conoscenza delle persone intervistate,
rispetto ai quali nel questionario sono presenti delle domande tese a far sì che gli intervistati si esprimano circa i criteri di valutazione su
cui si basa la propria decisione. I pattern, le regole di decisione che vengono definite tramite l’applicazione di RSA possono costituire sia
un punto di partenza qualificato per ulteriori passaggi di approfondimento concernenti la partecipazione delle comunità locali ai processi
decisionali, sia il fondamento condiviso di un sistema di pesi e criteri per la valutazione delle alternative di piano.
Parole Chiave Rough set analysis, analisi multicriteri, pianificazione partecipata, valutazione ambientale strategica.
A.I.S.Re
138
Indice Autori
A
Agostinelli Alessandra
Alderighi Marco
Amati Carlo
Anselmi Francesco Antonio
Aponte Dario
Aragona Stefano
Arcangeli Enzo Fabio
Arena Marina
Aristei David
5
5
6
6; 7
8
8
9
9
10
B
Bagliani Marco
Baldi Paolo
Barbaro Francisco
Barbero Cristina
Bargero Cristina
Barletta Giovanni Luca
Barrile Vincenzo
Bartoloni Eleonora
Basso Sara
Bellini Nicola
Bertini Antonio
Bertolini Paola
Betancor Ofelia
Bettocchi Alessandra
Bevilacqua Carmelina
Bianca Massimiliano
Bianchi Giuliano
Bianchi Tito
Bigerna Simona
Bolchi Paola
Bollino Carlo
Bonfiglio Andrea
Bono Filippa
Borrelli Nunzia
Borri Dino
Borrione Paola
Borzacchiello Maria Teresa
Boscacci Flavio
Bottero Marta
Bracalente Bruno
Bramanti Alberto
Brezzi Monica
Brolli Elisa
Brunetta Grazia
Brunini Claudia
Bruzzo Aurelio
Busetta Annalisa
10
11
6
11
12
13
13
14
15
15
16
16
17
17
18
18
19
19
20
21
21
22
22
23
13
24
25
25
26
27
27
28
28
29
30
30
15
C
Caglioni Matteo
Cainelli Giulio
Calabrò Tommaso
Calafati Antonio G.
Camagni Roberto
Camarda Domenico
139
31
32
33
33; 34
34
13
Camicia Sandra
Canale Rosaria Rita
Cangialosi Donatella
Cantono Simona
Capello Roberta
Cappellin Riccardo
Capriati Michele
Capuano Giuseppe
Carbonaro Gianni
Carella Maria
Careri Paolo
Carlucci Carla
Caroleo Floro Ernesto
Carulli Vito Arcangelo
Caruso Immacolata
Cascetta Ennio
Cassatella Claudia
Castagneri Stefania
Cavalieri Alessandro
Cavelli Carmela Melania
Cento Alessandro
Cersosimo Domenico
Chelli Francesco
Chiaf Ersilia
Ciaccio Giuseppe
Cianchetti Daniele
Cira Andrea
Circella Giovanni
Clerici Maria Antonietta
Cogno Renato
Contò Francesco
Coppola Gianluigi
Coppola Pierluigi
Corna Valeria
Cossignani Massimo
Costa Enrico
Cotella Giancarlo
Cotroneo Vincenzo
Cova Pietro
Cracolici M. Francesca
Crescenzi Fabio
Crescenzi Riccardo
Critelli Giuseppe
Crivello Silvia
Cruciani Sandro
Cusinato Augusto
Cutini Valerio
35
36
36
10
37
37
38
38
39
39
40
41
41
42
18
8; 42
26
43
11
44
5
44
45
45
46
35
7
13
46
24; 47
48
41
48
49
27
13
50
13
41
50; 51
51
52
53
53
51
54
54
D
D’Agostino Carmelo
D’Agostino Zeno
D’Ambra Luigi
D’Andrea Cristina
D’Auria Alessio
D’Uva Marcella
Dall’Erba Sandy
Dallara Antonio
Dansero Egidio
Davì Maria
Davico Luca
De Angelis Fabio
De Castris Marusca
55
8
56
56
57; 58
66
59
60
60
61
53
6
61; 62
A.I.S.Re
De Grassi Mario
De Iaco Luigi
De Leonardis Domenico
De Luca Anna
De Luca Anna
De Luca Simona
De Pascale Mario
De Siano Rita
Demetrio Vincenzo
Di Giacinto Valter
Di Giacomo Giuseppe
Di Giampietro Federica
Di Gregorio Donatella
Di Lello Roberta
Di Ludovico Donato
Donato Luisa
Drappi Lidia
Duello Melissa
62
63
60; 63
33
64
65
65
66
66
67
19
76
67
57
68
24
21
69
E
Ercole Enrico
Esposito Gabriella
69
70
Giovannetti Enrico
Giovene di Girasole Eleonora
Gissi Elena
Golini Antonio
Grasselli Pierluigi
Guagnini Massimo
Guida Giuseppe
Guzzi Rolando
16
86
62
15
87
88
86; 88
89
H
Hoffmann Alessandro
36
I
Iaccarino Raffaele
Iacobucci Donato
Iazzetta Antonio
Ingaramo Luisa
Ingrao Maria
89
32
90
90
91
J
F
Farace Giuseppe
Fazia Celestina
Fedele Carmela
Fera Giuseppe
Ferlaino Fiorenzo
Ferrara Michele
Ferrero Vittorio
Ferri Lunella
Ferri Vittorio
Fiduccia Andrea
Fiorio Carlo V.
Fonti Luciano
Foresti Marta
Forni Alessandro
Forni Andrea
Fortino Adele
Fratesi Ugo
Fregolent Laura
Frenquellucci Ferdinando
Fricano Larissa
Fusco Giovanni
Josi Luigi
44
70
71
9
10; 11
72
72
35
30; 73
73
74
73
75
75
76
77
77
78
76
78
79
A.I.S.Re
L
La Rocca Rosa Anna
Lamonarca Maria
Landini Simone
Lapucci Alessandra
Las Casas Giuseppe
Lattarulo Patrizia
Le Gallo Julie
Leone Antonio Maria
Leone Hilde
Levi Sacerdotti Sara
Lingua Valeria
Lombardini Giampiero
Lombardo Silvana
Lonardoni Nicola
Losurdo Francesco
Luraschi Andrea
92
93
89; 93
94
95
95
59
13
73
26
96
31; 96
94; 97
97
98
98
M
G
Galdini Rossana
Gallo Mariano
Gambarotto Francesca
Gambino Roberto
Gava Franco
Gazzola Elena
Genna Giacomo
Genna Vincenzo
Genna Vito
Giaimo Rosa
Giannattasio Paola
Giordani Paolo
Giordano Giambattista
91
80
81
81
26
82
83
83
84
85
22
85
86
57
Maggioni Mario
Magra Vincenzo
Magrassi Marco
Manna Annalisa
Marcianò Claudio
Marini Cristiano
Mariniello Maria Luce
Marino Domenico
Mariotti Ilaria
Martin Juan Carlos
Martín Juan Carlos
Martini Fiorenzo
Marzano Vittorio
Marziali Cristina
99
85
100
100
33; 64
15
56
53
101; 102
103
17; 102
10
8
62
140
Massimo Domenico Enrico
Mazzeo Giuseppe
Mazziotta Claudio
Mazziotta Matteo
Mazzoni Francesca
Medda Francesca
Mela Alfredo
Merlini Augusto
Migliore Maria Cristina
Milani Laura
Miloro Orazio
Mirenda Elena
Mondini Giulio
Montagnana Simona
Montesi Cristina
Montomoli Maria Chiara
Montresor Elisa
Moroni Stefano
Morrison Andrea
Murgante Beniamino
Murgolo Rossella
Musolino Dario
Muzzarelli Aurelio
103
104
61; 104
61
34
39
60
45
24
105
53
77
26
105
87
11
17; 106
73
107
95
107
53
108
N
Napolitano Oreste
Natalicchio Savino
Naticchia Berardo
Nicolosi Agata
Nijkamp Peter
Notarstefano Giuseppe
Nuccio Massimiliano
Nunes Paulo A.L.D.
Nusperli Federico
Nuzzo Giorgio
Nuzzolo Agostino
36
108
62
109
5; 51; 109
36; 61
49
34
65
67
48
O
Occelli Sylvie
Olivetti Ivano
93
76
P
Pace Giuseppe
Pagliara Francesca
Paniccia Ivana
Paonessa Cesare
Papa Enrica
Papa Paola
Papola Andrea
Paradisi Francesca
Parisi Palma
Pascale Carmine
Peano Attilia
Pecci Francesco
Pecori Serena
Pellegrini Guido
Pellenbarg Piet
Pennisi Aline
Perchinunno Paola
Percoco Marco
141
110
42; 110
111
12
110
111
8; 42
30
67; 112
112
26
106
113
62
101
28
114
59; 74
Perri Alessandra
Perugini Cristiano
Peruzzi Augusto
Pesaro Giulia
Petri Massimiliano
Petullà Mariangela
Pezzagno Michele
Piacentino Davide
Piazza Santino
Pieroni Luca
Pifferi Emanuele
Pileri Paolo
Pinto Fulvia
Piperno Stefano
Piras Gianfranco
Piscitello Lucia
Platania Marco
Plechero Monica
Polinori Paolo
Pomilio Filomena
Pompili Tomaso
Properzi Pierluigi
Prota Francesco
Provenzano Carmelo
Provenzano Vincenzo
Pusterla Fazia
44
114
76
115
97; 115
109
45
116
72; 117
10
117
115
108
117
59
102
118
95
20; 21
73
118
68
48
91
119
120
Q
Quirino Nicola
120
R
Rabellotti Roberta
Rabino Giovanni
Rangone Marco
Rebaudengo Manuela
Reggiani Aura
Regina Pasquale
Resmini Laura
Rietveld Piet
Riggi Massimiliano
Rinaldi Alessandro
Rizzi Paolo
Rodia Guido
Rodriguez Pose Andres
Rotonda Marco
Rotondo Francesco
107
97; 121
121
90
103; 122
76
120
5; 51
27; 122
120
83; 123
56
52
113
114
S
Sacco Salvatore
Salatino Marco
Salzano Ilaria
Sannino Angela
Sansone Anna
Santini Luisa
Santucci Alessandro
Sartore Mariano
Sassi Maria
Savino Michelangelo
Scaglioni Carla
Scagnolari Stefano
22
123
124
89
95
113
94
35; 124
125
77
125
103
A.I.S.Re
Scandale Luca
Scardaccione Grazia
Scarlatti Francesco
Scipioni Federica
Serafino Loris
Servillo Loris
Sferrazzo Antonio
Sgargi Guido
Signorelli Marcello
Signorino Guido
Spagnolo Francesca
Spaziante Agata
Spina Maurizio
Stanghellini Andrea
Stangherlin Bernardino
Staricco Luca
Stramaglia Annamaria
Strano Alfio
126
95
121
76
127
127
65
128
114
77; 129
6
129
69
130
58
130
98
64
T
Tancredi Alessandra
Tartamella Francesca
Tiboni Michela
Tinaglia Alessandro
Tonin Stefania
Torre Carmelo M.
Torrieri Francesca
Tosi Salvatore
Traversa Teresa
Travisi Chiara M.
Trifiletti Emilia Giovanna
Trillo Claudia
A.I.S.Re
65
5
28
77
131
132
25
78
132
34
133
18
Tucci Nicola
Turvani Margherita
55
131
U
Uberti Erika
Urbano Armando
Utili Francesca
99
128
28
V
Vadalà Emilio
Valetti Roberta
Valle Marco
Veneri Paolo
Vignozzi Alessandro
Violi Christian
Virgilio Giovanni
Vitellio Ilaria
Vitolo Tiziana
Volpe Mariella
133
24
26
134
135
135
117
136
56; 136
65
Z
Zademach Hans-Martin
Zamparini Luca
Zoppi Corrado
Zunino Fulvia
137
122
137
129
142