Classificazione dei sensori tattili
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Classificazione dei sensori tattili
Classificazione dei sensori tattili In base alla velocità della risposta possiamo classificare i sensori appena descritti in: • Slowly Adapting • Rapidly (anche Fast) Adapting • Very Rapidly Adapting Ognuna di queste classi può essere distinta in tipo I e tipo II. Unità SA (rilevatori di pressione) Occorre distinguere fra un rilevatore e un misuratore in riferimento ad un sensore tattile: un rilevatore è un sensore che registra un evento quando questo superi una data soglia di sensibilità; un misuratore ne dà una valutazione quantitativa confrontabile, non necessariamente in senso assoluto ma anche relativamente ad un altro stimolo. Le unità SA sono semplici rilevatori; registrano cioè l'occorrenza di una pressione e lo fanno desumendola dallo stato di tensione del tessuto circostante. Tali recettori, una volta sollecitati, tornano lentamente alla loro posizione di riposo con una curva di scarico indipendente dalla durata dello stimolo, inoltre non vanno in saturazione e quindi ne segnalano con precisione la durata. Gli SA di tipo I (SA-I) forniscono informazioni di velocità e movimento (ad esempio i dischi di Merkel) mentre i SA-II sono adatti a registrare condizioni statiche (ad esempio i corpuscoli di Ruffini). Unità RA Rilevano il tocco e il movimento. Diffusi anche nella pelle non glabra e nei polpastrelli. Esempio di RA-I sono i corpuscoli di Meissner Unità VRA Anche designati con la sigla RA-II. Appartengono a questa classe i corpuscoli di Pacini Tali sensori si scaricano rapidamente per ogni applicazione dello stimolo, da qui la denominazione del veloce adattamento: sono praticamente insensibili agli stati di deformazione statici. Queste caratteristiche ne fanno dei sensori di accelerazione, cioè la soglia di risposta è descrivibile come Th cost ν 2 dove ν è una frequenza compresa fra 50 e 250Hz [45]. inserire una tabella (questa e’ brutta) 2.1.6 Caratterizzazione quantitativa della sensibilità umana 2.1.6.a Just Noticeable Difference Si deve ad Ernst Heinrich Weber il concetto di soglia appena percettibile quale minima differenza percepibile fra due stimoli. Nel 1834 il fisiologo tedesco definisce empiricamente la Soglia Appena Percettibile, o anche Soglia Differenziale, oppure Just Noticeable Difference, come proporzionale all'intensità dello stimolo: JND ∆m k⋅m dove m è lo stimolo minore e k una costante. Con questo si afferma che il soggetto è in grado di discriminare fra due stimoli che differiscono per un valore che è una percentuale costante della misura di riferimento. Valori indicativi di k sono: 1/50 nella sensibilità propriocettive, 1/7 nella sensibilità barestetica1 [16]. ((inserire tabella)) Un’estensione del lavoro di Weber è la cosiddetta legge di Weber-Fechner dovuta a Gustav Theodor Fechner [8] che fornisce un modello della sensazione d'intensità: S = k log m Da quest’equazione si vede che la sensazione di aumento di peso (ad esempio) è la stessa passando da un peso tot al suo doppio, i.e.: passare da 100 a 200gr è come passare da 2 a 4 kg. Più recentemente Stevens modificò la legge di Fechner come segue: S b k⋅m con b compreso fra 0 e 1. Sperimentalmente non si riscontrano sostanziali differenze. 2.1.6.b Teoria della rilevazione del segnale (curva ROC) Tutti i discorsi testé fatti sulla JND devono tener conto della nostra sensibilità soggettiva che non è costante nel tempo. Quello che però sembra essere una complicazione, in realtà è una strategia adattativa che ci permette di ignorare un segnale fino ad una certa soglia oppure di fissare l'attenzione su stimoli debolissimi. Un esempio concreto è la soglia del dolore: l'andamento della sensibilità soggettiva, esponenziale con l'intensità del segnale, permette di ignorare “coscientemente” degli stimoli dolorosi di lieve entità connaturati a compiti di una qualche importanza anche a costo di qualche disturbo fisico. Al crescere dell'intensità segnale il soggetto è portato ad evitare danni che sarebbero non più accettabili. 1 Barestesia: sensibilità alla pressione L'altro andamento, con esponente <1 si riferisce tipicamente a stimoli acustici e sonori ed è quello che permette di sostenere e distinguere, con lo stesso apparato uditivo, i bisbigli ed i suoni di forte intensità. Queste curve variano da soggetto a soggetto e col tempo (anche in intervalli ridotti, dell'ordine di poche ore) e con tutte le variabilità che si possono immaginare: condizioni fisiche, di salute, ambientali eccetera. Un rimarchevole fattore di disturbo è però di ordine “psicologico”. Ad esempio, accade, in ambienti del tutto silenziosi di avvertire ronzii, brevi fruscii o vaghi rumori2. Analogamente in condizioni di oscurità, vedere tenui indistinti bagliori. Posto che non ci siano problemi neurologici3 o sanitari in genere, chiunque può incorrere in quelli che possono definirsi “falsi allarmi”, ovvero nel riconoscimento come segnale definito di un “rumore di fondo” che potrebbe essere originato da una scarica neuronale (eventi debolissimi ma mai del tutto assenti) nel sistema nervoso. Il soggetto in questi casi può adottare una delle due linee di comportamento: 2 Esiste un meccanismo di autoregolazione della tensione della membrana del timpano detto deflessione stereociliare: le contrazioni delle cellule ciliate esterne provocano la rotazione verso il basso dell'organo di Corti e proprio a causa di questo movimento la membrana deflette le stereocilia. Dunque, il moto delle cellule causa lo stimolo che le fa muovere col risultato che tali cellule si mantengono stabilmente in uno stato di contrazione parziale. L’effetto di questo meccanismo di bilanciamento automatico è che la membrana si mantiene dappertutto in tensione se si è in assenza di stimoli acustici ed è pronta ad amplificare ogni eventuale segnale acustico. Esistono casi (patologici o accidentali, dovuti a traumi o a forti stimoli accidentali e transitori) di ipersensibilità in cui la tensione di autoregolazione supera la soglia della percezione ed il soggetto avverte fischi, ronzii di origine autogena. 3 Casi clinici neurologici riportano di soggetti che rievocano vividamente, e con un’intensità tale da coprire i suoni dell’ambiente, suoni ascoltati molti anni prima come se provenissero da una radio inesistente [33] •segnala tutto per essere sicuro di non trascurare nessuno stimolo •segnala solo gli stimoli di cui è certo, alzando la soglia di “accettabilità” dello stimolo. In questo caso valuta che le omissioni siano più accettabili dei falsi allarmi. Per valutare oggettivamente la sensibilità ad uno stimolo si può ricorrere alla curva ROC (Receiver Operating Characteristic)4. Questo diagramma, di cui si riporta un esempio in figura, permette di stabilire qual è la soglia di accettabilità5 corrispondente al minimo numero di falsi allarmi. Vediamo alcune definizioni: si dice specificità la capacità di segnalare correttamente determinati stimoli. Indicati con VN e FP il numero di segnalazioni, rispettivamente, Vero Negativo e Falso Positivo6, possiamo scrivere: Sp VN VN + FP 1-Sp è la grandezza complementare, è detta tasso d’errore falso positivo e dà la percentuale delle segnalazioni giudicate erroneamente positive. Definiamo sensibilità la capacità di rilevare variazioni. Indicati con VP e FN il numero di segnalazioni, rispettivamente, Vero Positivo e Falso Negativo, con analogo significato di simboli è: Se 4 VP VP + FN Questa denominazione è dovuta ai ricercatori della compagnia telefonica Bell, che agli albori della telefonia cercavano un modo per misurare la qualità della ricezione telefonica percepita dall’operatore. 5 Più propriamente cut-off: valore della variabile misurata – o percepita - oltre il quale l’evento è rilevato dal sensore 6 Vero Negativo, nel nostro caso, sta a significare il numero di segnalazioni corrette di assenza di segnale da parte dell’utente così come Falso Positivo indica il numero delle segnalazioni erronee di presenza di segnale. Si badi che la loro somma non è pari alla totalità dei segnali erogati bensì alla somma di quelli avvertiti, a torto o a ragione, dall’utente. La sensibilità è inversamente proporzionale al cut-off: un alto cut-off significa una bassa sensibilità, perché il sistema registra solo segnali superiori ad una soglia elevata e, viceversa, un basso valore di cut-off porta ad alta sensibilità, giacché il sistema reagisce a stimoli di piccola entità. Inserendo in un grafico, in ordinata questa sensibilità e in ascissa il tasso d’errore falso positivo, si ottiene la curva ROC. Gli estremi della curva coincidono con i valori massimi e minimi del cut-off (i.e. minimi e massimi della sensibilità, dove, cioè, il sistema non rileva alcun segnale perché la soglia è altissima ovvero dove rileva ogni segnale perché il cut-off è bassissimo). La retta congiungente tali estremi è detta “di indifferenza” o “di nessun beneficio”: indica i casi in cui la sensibilità è uguale al tasso di falsi allarmi. Le curve superiori tendono verso la curva di ottimo, quella cioè per la quale la massima sensibilità corrisponde al minor tasso d’errore falso positivo. Nei tratti tendenzialmente orizzontali si individuano le condizioni per le quali il segnale è più correttamente rilevabile. Figure 1: esempio di curva ROC