La mia aspirazione è di nobilitare la fotografia e di

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La mia aspirazione è di nobilitare la fotografia e di
La mia aspirazione è di nobilitare la fotografia
e di assicurarle il carattere e le qualità
di una grande arte,
combinando insieme il reale e l’ideale
e nulla sacrificando della verità,
pur con tutta la possibile devozione
alla poesia e alla bellezza.
Julia Margaret Cameron, 1864
L’ambivalenza figurativa del ricordo
Esistono ricordi dell’infanzia che idealizzano e contribuiscono a modificare la percezione
della realtà. Sono memorie antiche e sedimentate che, in età adulta, si trasformano in
sentimenti: immagini della fantasia verso le quali si sente un'attrazione forte e inspiegabile.
Una spinta verso il processo di riconoscimento. Un’esigenza di nuovo incontro e di
svelamento: sono queste le immagini che appartengono al cuore.
Erano i primi anni Novanta, quando Chiara Tocci assisteva ancora bambina agli sbarchi
degli immigrati albanesi sulle coste pugliesi; guardando il mare poteva immaginare la terra
da cui provenivano, mentre davanti a lei si apriva lo scenario della disperazione.
Lontana vent’anni da quel ricordo, la fotografa pugliese torna su quello stesso scenario ma
questa volta deicide di spingersi oltre l’orizzonte del mare, per restituire un volto ad un
Paese che, fino ad allora, aveva potuto solo immaginare. La curiosità, il bisogno di
conoscere e raccontare spinge Chiara a compiere un viaggio che la conduce nell’Albania
di oggi, dove il suo sguardo incontra finalmente i luoghi e le persone di una storia reale.
E’ allora che il ricordo prende vita e si traduce in un racconto per immagini che alterna la
visione lirica a quella più diretta del reportage.
Il ritratto che introduce la narrazione svela da subito l’aderenza ad uno stile intimista e
silenzioso. Quasi timoroso di essere invadente. L’intera sequenza fotografica si muove,
invece, nella lettura di un Paese che si compie nello scorrimento di singole e
personalissime storie.
La luce delicata disegna il volto di una giovane donna, mentre una buia ed austera
atmosfera stride con quel timido sorriso che s’intuisce appena, nell’ombra della stanza.
L’espressione incerta, d’intrigante ambiguità, così come la posa e la compostezza della
figura, conferiscono al ritratto un sapore pittorico, di raffinata classicità. Un gusto estetico
evoca quel rapporto con la bellezza che, sul finire dell’ Ottocento, ravvivava il confronto
della fotografia con la pittura, in un gioco che superava l’imitazione, per esprimere
un’interpretazione del tutto soggettiva della realtà, tra straniamento e oggettività. In
particolare, l’immagine della giovane albanese sembra ispirarsi all’ambivalenza espressiva
dei primi ritratti letterari, dove il romanzo incontrava la sublime capacità di cogliere l’io
interiore dei soggetti ritratti. Allo stesso modo, nella profondità di una luce quasi fiabesca,
Chiara esprime la sintesi del suo personalissimo sguardo che, se da un lato insegue il
ritmo fluente dei ricordi, dall’altro ne svela il volto chiaro e realistico, alla fonte della loro
formulazione.
Ecco allora che la “Madre di Virginia Woolf”, ritratta in veste preraffaellita nella versione
fotografica di Julia Margaret Cameron, trova il suo referente contemporaneo nell’apertura
della sequenza narrativa, che allarga lo sguardo oltre la sfera dell’intimo, per esplorare la
vita ed il contesto di un Paese, in un particolare periodo storico.
Un ritratto, una valigia sotto il letto e lo scorcio di un interno decadente precedono la posa
forte e sicura di una ragazza che irrompe nel racconto come un colpo di scena
inaspettato, che scuote l’atmosfera di assopito mistero delle prime tre immagini.
E’ il risveglio dello sguardo che risponde alla voce di una società in fermento, che chiede
di essere guardata e documentata non solo nello spazio di uno scatto fotografico.
Da qui il racconto ci porta lungo gli itinerari albanesi che spaziano dagli incantevoli
paesaggi, agli ambienti privati e cittadini, dove l’incontro con le persone evidenzia il
contrasto tra un passato di rinunce ed abbandoni e la voglia di rinascita e modernità.
Il tema della partenza, infatti, si propone costantemente nella sequenza delle immagini,
rappresentandone il leitmotiv figurativo che vagheggia come un’ombra minacciosa sulla
vita del Paese.
In questa sequenza d’immagini, è possibile scorgere una rosa rossa tra i capelli di una
ragazza, e contemporaneamente scoprirne le stesse purpuree tonalità, prima
nell’esplosione di colori intensi e vivaci di un vaso di fiori, poi nel contenuto di una vecchia
valigia lasciata aperta. Il passaggio è immediato, e conduce dallo sguardo dolce e pieno di
audaci speranze della giovane, al simbolo di un dramma non ancora dimenticato. In
continui rimandi figurativi, tra corrispondenze cromatiche e simboliche, dunque, le scene
dell’approdo delle carovane albanesi sulle coste pugliesi sembrano non abbandonare mai
la visione dell’autrice, e si traducono in continui flash back sulle vite dei suoi soggetti.
Un legame indelebile, che affonda le radici nella memoria dell’autrice pugliese, guida la
realizzazione di “Life after Zog”. In questi scatti, il ricordo visivo si mescola con le immagini
di un presente concreto, che nel suo continuo divenire si esprime attraverso la bellezza
della verità e la lealtà del documento.
Denis Curti © 2011