Dispensa Reumatologia

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Dispensa Reumatologia
Reumatologia - Dott.ssa Francesca Ingegnoli
Divisione e Cattedra di Reumatologia, Istituto Gaetano Pini,
Università degli Studi di Milano
INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLE MALATTIE REUMATICHE
Definizione: la Reumatologia è la specialità che tratta la patologia medica dell’apparato
locomotore e le malattie diffuse del sistema connettivo. Il termine reumatismo non è
immediatamente associabile ad un organo o apparato specifico. Trae la sua origine dal
greco ρεω (=scorrere), nell'intenzione di descrivere un ipotetico meccanismo di malattia
legato allo scorrimento, al fluire, di umori patologici in grado di determinare un
processo morboso. Ne deriva che le malattie reumatiche possono interessare ossa,
articolazioni e muscoli, ma anche gli organi (ad esempio cuore, cervello, polmoni, vasi,
nervi ecc).
Caratteristiche delle malattie reumatiche:
1) La malattia interessa in genere le articolazioni o le strutture anatomiche ad esse
adiacenti o con esse funzionalmente correlate: ossa, muscoli, tendini e guaine tendinee
(tenosinoviali), legamenti, inserzioni tendinee o legamentose (entesi), borse e fasce.
2) Il sintomo più evidente della malattia è rappresentato dal dolore a carico delle
articolazioni o delle strutture periarticolari.
3) Quasi sempre sono identificabili fenomeni connessi con un processo di natura
infiammatoria più o meno rilevante.
4) All’origine della malattia è frequentemente riconoscibile una perturbazione della
reattività, che può essere in rapporto con la risposta immunitaria o con reazioni
tessutali o più semplicemente con una ipersensibilità nocicettiva del soggetto
“reumatico”.
Patologie nell’ambito di competenza del reumatologo:
1) Artriti infettive e reumatismi post-infettivi
2) Reumatismi cronici primari
3) Connettiviti sistemiche
4) Reumatismi dismetabolici
5) Reumatismi degenerativi
6) Reumatismi extra-articolari o delle parti molli
7) Manifestazioni reumatiche in corso di altre patologie
8) Malattie metaboliche dell’osso
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L’apparato locomotore è formato dalle ossa che sono l’impalcatura rigida e
indeformabile, dai muscoli che sono gli elementi motori e dalle articolazioni che
assicurano la mobilità dei diversi segmenti.
Principali tipi di articolazioni
1) sinartrosi: queste articolazioni, che non consentono praticamente nessun movimento
fra i segmenti ossei contigui, sono caratterizzate dall’interposizione tra le ossa di un
tessuto connettivo denso. Esempi: suture (tra le ossa craniche), sindesmosi (come
l’articolazione tibio-fibulare), gonfosi (come l’articolazione tra i denti e gli alveoli
dentari).
2) anfiartrosi: queste articolazioni consentono solo un limitato grado di mobilità fra i
segmenti ossei contigui e sono caratterizzate dall’interposizione tra le ossa di un tessuto
connettivo dotato di un certo grado di plasticità. Esempi: sincondrosi sacro-iliache in cui
il tessuto interposto è rappresentato da cartilagine ialina, sinfisi pubica in cui il tessuto
interposto è fibro-cartilagine, articolazioni intersomatiche vertebrali in cui fra le ossa
articolantisi si trova il disco intervertebrale.
3) diartrosi: consentono un più o meno spiccato grado di movimento tra i segmenti ossei
contigui, in quanto tra di essi è interposta una vera e propria cavità articolare. Queste
articolazioni sono le più differenziate in quanto dotate di un sistema di lubrificazione ad
opera del liquido sinoviale elaborato dalla membrana sinoviale. Pertanto, articolazioni di
questo tipo sono dette anche sinoviali.
Struttura di un’articolazione sinoviale (diartrosi)
è capi ossei articolari (costituiti da tessuto osseo spugnoso che al di sotto della
cartilagine articolare si condensa nella cosiddetta lamina ossea subcondrale);
è cartilagine articolare (tessuto altamente differenziato, dotato di proprietà viscoelastiche che si adatta allo scivolamento reciproco dei capi ossei);
è membrana capsulo-sinoviale (la parte esterna, capsula articolare, è costituita da
tessuto fibroso, molto resistente, ma poco elastico, che si inserisce nel periostio,
mentre la parte interna, membrana sinoviale, si inserisce ai margini delle cartilagini
e delimita la cavità articolare);
è menischi (costituiti da fibro-cartilagine, permettono il reciproco adattamento dei
capi ossei articolari).
Struttura della membrana sinoviale normale
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è intima sinoviocitaria o lining è lo strato più superficiale sfuma nel tessuto
subsinoviale senza interposizione di membrana basale. L’intima è costituita da una o
due file di sinoviociti (sinoviociti di tipo A, simili a macrofagi sono il 20-30% della
popolazione cellulare totale; occupano le zone più superficiali ed hanno funzione
macrofagica e fagocitaria per la rimozione dei detriti cellulari e di particelle dalla
cavità articolare e sinoviociti di tipo B, simili ai fibroblasti, con funzione di cellula
secernente per la produzione del liquido sinoviale e della matrice extracellulare)
è tessuto subsinoviale è di aspetto fibroso, areolare o areolare-adiposo a seconda delle
sollecitazioni funzionali.
Entesi: sono le strutture che collegano i tendini o i legamenti all’osso, sono strutture
connettivali le cui fibre collagene si continuano senza interruzione con le fibre dell’osso,
dove l’entesi si attacca all’osso non esiste periostio, mentre è in genere presente
cartilagine ialina, il cui strato adiacente all’osso è calcificato e gradualmente trapassa
nel tessuto osseo.
Il tessuto connettivo è un particolare tipo di tessuto che provvede al collegamento,
sostegno e nutrimento dei tessuti dei vari organi. Istologicamente, può essere suddiviso
in diversi sottotipi, a seconda delle loro prerogative morfologiche e funzionali, tutti
caratterizzati dal fatto di essere costituiti da cellule non addossate le une alle altre, ma
disperse in una più o meno abbondante sostanza intercellulare o matrice extracellulare
costituita da una componente amorfa e da una componente fibrosa.
Il tessuto connettivo è formato da.
•
cellule deputate alla formazione e al mantenimento della matrice (fibroblasti e
cellule di analoga natura presenti in altri tessuti);
•
cellule deputate alla difesa dell'organismo (macrofagi, mastociti e leucociti);
•
cellule deputate a funzioni speciali, come gli adipociti del tessuto adiposo.
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IL DOLORE NELLE MALATTIE REUMATICHE
Definizione: spiacevole esperienza sensoriale ed emotiva associata ad un danno
tessutale effettivo o potenziale, o descritta in termini di un simile danno.
Fenomenologia del dolore
•
Non proporzionalità tra stimolo e intensità del dolore
•
Stimoli innocui possono causare dolore (allodinia)
•
La sede del dolore può essere diversa da quella della lesione
•
Il dolore può persistere anche dopo la guarigione della lesione o in assenza di lesione
•
Natura e sede del dolore possono cambiare nel tempo
•
Il dolore consiste in uno spettro di sensazioni, piuttosto che in un’unica sensazione
•
I processi psicologici possono influenzare la percezione del dolore
Sindromi dolorose reumatiche
1) Sindromi dolorose infiammatorie. Esempi: artrite settica, attacco acuto di gotta,
artrite reumatoide.
2) Sindromi dolorose meccaniche. Esempi: distorsioni, stiramenti, distensione capsulare
per aumento della pressione intra-articolare, osteoartrosi.
3) Sindromi dolorose da compressione nervosa o da intrappolamento
4) Sindromi dolorose simpatico-riflesse. L’algodistrofia (o sindrome simpatico-riflessa) è
una sindrome regionale clinicamente caratterizzata da dolore, alterazioni del
trofismo cutaneo, edema ed alterazioni circolatorie. Il termine di “distrofia da
riflesso simpatico” viene utilizzata al fine di enfatizzare l’importanza del sistema
nervoso simpatico nella patofisiologia della sindrome dolorosa.
5) Sindromi fibromialgiche: sindrome muscolo scheletrica cronica caratterizzata da
dolore diffuso e punti di dolorabilità alla pressione (tender points).
L’interessamento articolare si può definire in base alla durata dei sintomi (acuto: da
pochi giorni fino ad un massimo di 3 mesi, subacuto: da 3 a 6 mesi e cronico: > 6 mesi)
e/o al numero di articolazioni coinvolte (monoarticolare: 1 articolazione,
pauciarticolare (oligo): <4 articolazioni e poliarticolare: ≥ 5 articolazioni).
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ARTRITE REUMATOIDE
È una malattia sistemica autoimmune infiammatoria, che colpisce le articolazioni
diartrodiali; il coinvolgimento articolare è generalmente simmetrico, caratterizzato da
dolore e tumefazione, spesso accompagnati da rigidità articolare ed astenia.
Il decorso è cronico e progressivo, il danno articolare erosivo è sostenuto dal processo
infiammatorio e può portare alla distruzione dei capi ossei iuxta-articolari, con tendenza
all’anchilosi, alla deformità e alla disabilità.
Epidemiologia
È una malattia diffusa in tutto il mondo, colpisce maggiormente il sesso femminile, con
un rapporto maschi/femmine di 1:3, l’esordio può avvenire a qualunque età, ma più
frequentemente sono interessate la quarta e quinta decade di vita.
Manifestazioni cliniche
1) Manifestazioni generali. I sintomi sistemici sono, solitamente, molto evidenti nella
fase attiva della malattia e comprendono malessere, febbre, sudorazione, anemia,
deperimento e rigidità articolare mattutina. L’aspecificità della sintomatologia d’esordio
e le apparenti remissioni spontanee rappresentano due importanti cause di ritardo nella
diagnosi.
2) Manifestazioni articolari: la malattia generalmente insorge in modo graduale e
insidioso, anche se in alcuni casi l’esordio può essere acuto. Nel 15% dei casi le prime
manifestazioni articolari hanno carattere di acuzie. Nel caso di un esordio graduale le
manifestazioni cliniche possono iniziare con artralgie accompagnate o meno da rigidità
articolare mattutina di lunga durata ed evolvere, nell’arco di settimane o mesi, nella
malattia conclamata. Generalmente l’interessamento articolare è fisso, simmetrico,
aggiuntivo, centripeto. Le articolazioni delle mani sono quelle più comunemente colpite
dalla malattia. In particolare è caratteristico l’interessamento delle IFP e della II e III
MCF.
Con il tempo possono comparire:
Ä la deviazione ulnare della dita “a colpo di vento” che è legata all’accentuazione del
normale angolo di deviazione presente tra gli assi longitudinali dei MC e delle falangi.
Si accompagna alla dislocazione ulnare del tendine dell’estensore a livello della MCF
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e alla perdita, parziale o totale, dell’articolarità con sublussazione o lussazione della
prima falange.
Ä La deformità “en boutonnière” o “ad asola” consiste in una flessione e contrattura
dell’articolazione IFP, combinata con l’iperestensione dell’articolazione IFD. Questa
deformità è dovuta inizialmente alla sinovite dell’articolazione IFP con allungamento
o rottura del tendine estensore centrale. I legamenti laterali si spostano sul lato
volare e diventano flessori dell’articolazione IFP. Nell’articolazione IFD, si verificherà
iperestensione, a causa dell’accorciamento dei tendini con il passare del tempo.
Ä La deformità “a collo di cigno” consiste in un’iperestensione dell’articolazione IFP e
una flessione di quella IFD. Si verifica quando le principali forze estensorie si
concentrano sulla base della falange prossimale e i legamenti laterali sublussano sul
lato dorsale della falange terminale. Sebbene la deformità possa essere inizialmente
reversibile, può diventare una deformità fissa nel corso della malattia.
Ä La deformazione “a zeta” del pollice consiste nella flessione della falange prossimale
con atteggiamento di iperestensione della falange distale.
Ä La sublussazione volare dei metacarpi sul carpo determina la mano “a gobba di
dromedario” o “a dorso di forchetta”; se poi tale deformità si associa alla
sublussazione volare delle falangi prossimali sulle teste metacarpali si ha la mano “a
gobba di cammello”. Dorsalmente sono frequenti le tumefazioni fluttuanti della
guaina dei tendini degli estensori delle dita.
Ä Quando l’estremità distale dell’ulna, per rilassamento dell’apparato capsulolegamentoso che la tiene vincolata al carpo, tende a sublussarsi dorsalmente si ha la
sindrome del “caput ulnae”. Questa condizione si associa ad una dorsalizzazione del
tendine estensore del V dito che, con il tempo, va incontro a facile rottura: la mano
assume allora un aspetto di tipo “benedicente” che può essere confuso con un
quadro da paralisi del nervo ulnare.
L’interessamento del piede è presente in oltre il 70% dei casi, soprattutto sotto forma di
artrite delle MTF dalla II alla V. La localizzazione all’avampiede si manifesta
inizialmente come una metatarsalgia, specie all’inizio della deambulazione. Con il
tempo compaiono l’appianamento dell’arcata plantare trasversa, l’ipercheratosi sulle
teste centrali, la sublussazione plantare delle teste metatarsali che spesso è
accompagnata dall’alluce valgo. Il risultato è il cosiddetto “piede triangolare
reumatoide”, con base a livello dell’avampiede che interferisce con la deambulazione.
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Progressivamente si può assistere ad un collasso della parte sottoastragalica che
condiziona una progressiva deformazione in valgo del retropiede.
L’interessamento del ginocchio è frequente e precoce. Praticamente costante è
l’interessamento dell’apparato capsulo-legamentoso che condiziona quadri di variabile
instabilità in varo e in valgo o in senso anteroposteriore. Frequente è il riscontro di una
tumefazione poplitea, spesso in tensione, espressione di cisti sinoviale “cisti di Baker”
che si forma con meccanismo a valvola in comunicazione unidirezionale con il cavo
articolare. Le cisti poplitee condizionano un impaccio della flesso-estensione, possono
comprimere vasi venosi determinando una stasi all’arto inferiore, oppure possono
rompersi nei piani fasciali del polpaccio dando luogo a quadri clinici indistinguibili da
una tromboflebite.
L’interessamento del giunto atlo-epistrofico è una localizzazione che va sempre
sospettata e ricercata in presenza di una sintomatologia dolorosa cervicale. Il dolore è
solitamente secondario a lassità dell’apparato legamentoso del dente dell’epistrofeo
che può mostrare fenomeni erosivi fino alla frattura. La lassità legamentosa condiziona
una sublussazione posteriore e craniale del dente con conseguente compressione sul
sacco durale. Il quadro clinico più comune è rappresentato da una tetraparesi spastica a
lenta evoluzione con frequente ipoestesia agli arti inferiori o a un emisoma.
Una vera e propria miopatia reumatoide è riportata da diversi autori, anche se
probabilmente nella maggior parte dei casi l’ipotrofia muscolare è secondaria
all’interessamento articolare o riconosce una componente iatrogena (miopatia
cortisonica).
3) Manifestazioni extra-articolari
Ä interessamento cutaneo: è dominato dalla presenza dei noduli reumatoidi. Il nodulo
reumatoide è una neoformazione sottocutanea di consistenza duro-elastica, non
dolente, variabile per dimensioni e sede con il decorso della malattia, senza
tendenza ulcerativa, adesa ai piani profondi, localizzata abitualmente alle superfici
esposte a microtraumatismi (superficie estensoria degli avambracci, natiche, tendini
estensori, tendine achilleo ecc.). I noduli sono presenti nel 20-35% dei casi
invariabilmente in forme con FR+ ed è considerato un elemento prognostico
negativo.
Ä interessamento vasculitico: la vasculite reumatoide (vera e propria poliarterite) si
associa all’intensa sieropositività per il FR e rappresenta il substrato della cosiddetta
variante “maligna”. Ne sono parte integrante l’arterite distale (emorragie a
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scheggia, necrosi dei polpastrelli o delle dita fino alla gangrena), le ulcere cutanee,
la neuropatia periferica, l’arterite viscerale, le manifestazioni cutanee a tipo
“porpora palpabile”.
Ä interessamento ematologico: molto spesso si evidenzia un’anemia normocromicanormocitica, associata a iperferritinemia (anemia delle malattie croniche). Un deficit
di ferro si può riscontrare anche per perdite ematiche dall’apparato gastrointestinale
associate all’assunzione di FANS. Il Metotrexate e la sulfasalazina, essendo farmaci
antifolici, possono determinare la comparsa di anemia megaloblastica. I sali d’oro
invece possono causare anemia aplastica. È frequente osservare una linfoadenopatia,
soprattutto ascellare, associata alla stimolazione linfocitaria cronica, che può anche
precedere l’esordio dei sintomi articolari.
Ä interessamento polmonare. Può avere diverse presentazioni: pneumopatia
interstiziale e pneumopatia nodulare (a micro- o a macronoduli). In alcuni casi il
nodulo polmonare ha le caratteristiche istologiche del nodulo reumatoide. I noduli
tendono a escavarsi e possono così determinare la comparsa di fistole broncopleuriche con infezioni sovrapposte. L’impegno laringeo secondario alla sinovite delle
articolazioni crico-aritenoidi. Questa localizzazione è riscontrabile all’autopsia in
circa il 50% dei casi anche se l’espressione clinica è assai rara. I sintomi vanno dal
dolore alla disfagia, alla raucedine fino alla dispnea da sforzo con strider
inspiratorio.
Ä interessamento cardiaco: rare sono la miocardite e l’endocardite. La presenza di
noduli reumatoidi a livello del tessuto di conduzione è stata messa in relazione a
disturbi del ritmo.
Ä interessamento renale: il rene è raramente interessato in corso di AR. La comparsa di
segni di sofferenza glomerulare deve far pensare in primo luogo a una conseguenza
iatrogena. Nelle forme inveterate la comparsa di proteinuria dosabile e di edemi
deve indurre il sospetto di una amiloidosi renale che va accertata mediante
appropriate indagini. L’amiloidosi complica il decorso della malattia in non più
dell’1% dei casi.
Ä interessamento oculare. La manifestazione oculare più frequente è rappresentata
dalla cheratocongiuntivite secca, legata alla sindrome di Sjögren. L’episclerite
compare nel 5% dei casi, ha decorso subdolo e buona prognosi. La sclerite si
manifesta con intenso dolore oculare e può essere gravata da serie complicanze
come l’uveite o il glaucoma. Una particolare forma di sclerite con estremo
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assottigliamento della tonaca fibrosa del bulbo e conseguente ernia uveale è detta
“scleromalacia perforans”. Le complicanze oculari sono preponderanti nel sesso
femminile e si manifestano in forme inveterate e sieropositive.
Ä interessamento neurologico: riconosce abitualmente una genesi vasculitica. La
polineuropatia reumatoide (da endoarterite dei vasa nervorum) è di tipo misto,
sensitivo-motorio, spesso assume un carattere “causalgico”, è scarsamente
responsiva alla terapia e può condizionare un aggravamento della limitazione del
movimento anche in funzione di una grave atrofia muscolare. I nervi periferici
possono essere interessati a seguito di compressione dei loro tronchi nervosi in
particolari sedi anatomiche (sindromi da intrappolamento). La mielopatia cervicale,
come si è detto, può complicare la localizzazione atlo-epistrofica della malattia.
LE SPONDILOARTRITI
Le spondiloartriti o spondiloartropatie sono un gruppo
di malattie reumatiche
infiammatorie croniche caratterizzate prevalentemente da un interessamento delle
entesi e, secondariamente, della membrana sinoviale e dell’osso, che è responsabile di
forme diverse di artro-enteso-osteopatie assiali e/o periferiche.
Quadri clinici principali
•
Spondilite anchilosante
•
Artrite reattiva (s. di Reiter)
•
Artropatia psoriasica
•
Artropatia enteropatica (colite ulcerosa o m. di Crohn)
•
Spondiloartropatie indifferenziate
Caratteristiche generali
•
Interessamento sia assiale che periferico
•
Sacroileite
•
Artrite periferica asimmetrica a carico degli arti inferiori (l’interessamento degli
arti superiori è spesso associato con psoriasi)
•
Manifestazioni extra-articolari: lesioni cutanee e mucose, uveite, cardite, fibrosi
apici polmonari
•
Associazione con HLA-B27 e aggregazione familiare
•
Assenza del fattore reumatoide
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•
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Lesioni radiologiche caratteristiche
•
Probabilmente causate da agenti infettivi
Criteri classificativi (ESSG)
Dolore infiammatorio rachideo o sinovite asimmetrica, o prevalente arti inferiori +
almeno uno dei seguenti:
•
Familiarità (spondilite anchilosante, psoriasi, uveite, artrite reattiva, malattia infiammatoria intestinale)
•
Psoriasi (diagnosticata da medico)
•
Malattia infiammatoria intestinale (diagnosi radiografica o
endoscopica)
•
Uretrite o cervicite (non gonococciche) o diarrea acuta entro un mese
dall’esordio dell’artrite
•
Dolore gluteo alternante
•
Entesopatia (dolore tallone o Achilleo passato o presente)
•
Sacroileite (bilaterale grado 2-4, unilaterale grado 3-4)
Dolore infiammatorio del rachide
Presenza o anamnesi positiva di dolore spinale (lombare, dorsale o cervicale) con
almeno quattro delle seguenti caratteristiche:
è durata di almeno tre mesi
è esordio prima di 45 anni
è esordio insidioso
è migliora con esercizio
è associato a rigidità mattutina
SPONDILITE ANCHILOSANTE
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La spondilite anchilosante è una malattia infiammatoria cronica dell’osso subcondrale,
delle entesi e delle articolazioni, che interessa prevalentemente lo scheletro assiale con
evoluzione anchilosante.
Epidemiologia
Rapporto maschi/femmine: 5:1
Manifestazioni cliniche
A) Interessamento assiale. L’esordio è insidioso ma caratteristico: il paziente lamenta
dolore riferito al rachide lombare e/o ai glutei irradiato alla faccia posteriore della
coscia, che non eccede il ginocchio, monolaterale, alternante è sciatica mozza alterna.
Nelle prime fasi l’impegno può essere discontinuo: in pochi mesi vengono a mancare gli
intervalli liberi e il rachide lombare diviene rigido e dolente. Il dolore è più intenso nelle
prime ore del mattino e dopo riposo prolungato: migliora con l’attività fisica.
Clinicamente è rilevabile una limitazione funzionale del rachide lombare specie
all’iperestensione e alla inclinazione laterale, dovuta alla contrattura della muscolatura
paravertebrale; in qualche caso è possibile evocare dolore con la pressione esercitata
sulle articolazioni sacro-iliache. Comune è il rilievo di una talalgia ribelle presente
anche a riposo e che può essere il primo disturbo riferito dal paziente.
Sono raramente presenti sintomi di malattia sistemica quali febbre, malessere, calo
ponderale. Talvolta il quadro clinico è meno caratteristico per molti mesi, specie nei
soggetti di sesso femminile, tanto che spesso viene posta diagnosi di sindrome
fibromialgica, di artrosi, di sciatica, con gravi ritardi diagnostici.
Frequente è la comparsa di dolore toracico anche molto intenso, espressione
dell’interessamento delle articolazioni costo-vertebrali, sterno-costali, manubriosternali e sterno-claveari. La malattia ha un andamento a poussées e si estende dal
rachide lombare con progressione ascendente al tratto toracico e a quello cervicale:
quest’ultimo è raramente coinvolto all’esordio.
B) Interessamento periferico. Durante il decorso della malattia in circa il 35% dei
pazienti sono colpite le articolazioni dei cingoli, scapolare e soprattutto pelvico. In circa
il 10% dei casi sono interessate le articolazioni periferiche, in particolare delle
ginocchia: nella maggior parte dei casi tale quadro tende a risolvere senza reliquati
clinici o radiologici.
Spesso è presente il dolore da entesopatia: la sede più classica è quella calcaneare. Il
processo flogistico può essere a carico dell’entesi delle fasce plantari e del tendine
d’Achille, con tumefazione locale e viva dolorabilità spontanea e alla palpazione.
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Quando sono interessate le anche, spesso è presente una limitazione funzionale in
flessione, il paziente quindi è costretto alla stazione eretta a ginocchia flesse per
compensare la flessione in avanti del tronco.
L’espansibilità toracica nelle fasi avanzate della malattia è ridotta e la respirazione
diviene prevalentemente diaframmatica.
L’anchilosi completa del rachide, talvolta con risparmio di qualche tratto, si instaura
dopo almeno dieci anni di malattia: in questa fase il dolore, dovuto all’interessamento
flogistico del rachide, si riduce, ma raramente scompare.
C) Interessamento extra-scheletrico. La più comune manifestazione extra-scheletrica è a
carico dell’occhio: nel 25% dei casi, in qualsiasi momento nel decorso della malattia, si
può manifestare una uveite anteriore acuta, tipicamente monolaterale, che si presenta
con dolore, fotofobia, aumento della lacrimazione. La risoluzione avviene in 4-8
settimane ma sono frequenti le recidive. La prognosi è buona se la terapia è adeguata e
tempestiva.
A carico dell’apparato cardiovascolare sono state descritte insufficienza aortica nel 3%
dei casi, raramente rilevante dal punto di vista emodinamico, e alterazioni della
conduzione nel 2% dei casi, classicamente caratterizzate da blocchi atrio-ventricolari.
A carico dell’apparato respiratorio, in meno dell’1% dei casi è presente una fibrosi
apicale bilaterale. L’amiloidosi renale è complicanza rarissima della malattia. A carico
del sistema nervoso possono essere presenti fenomeni compressivi midollari come
conseguenza di sublussazione dinamica dell’articolazione atlo-epistrofica e di alterazioni
morfologiche del rachide legate all’evoluzione della malattia. È inoltre segnalata la
possibilità di fratture anche per traumi minimi a motivo della rigidità della colonna e
dell’intensa osteoporosi che l’accompagna. In stadio avanzato, si può instaurare una
sindrome della cauda equina con disturbi sensitivi, motori e autonomici a carico dei
distretti innervati dal plesso sacrale.
Storia naturale della malattia
Con il procedere della malattia il rachide diviene sempre più rigido e il paziente
modifica la sua postura normale. La fisiologica lordosi lombare scompare, il rachide
dorsale si atteggia in leggera cifosi e il rachide cervicale va incontro a una graduale
flessione in avanti.
Esame obiettivo
Valutazione assiale: palpazione muscolatura paravertebrale, mobilizzazione attiva del
rachide (limitazione funzionale), mobilizzazione passiva del rachide (dolenzia e rigidità),
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palpazione e manovre per sacro-iliache, palpazione sterno e sterno-claveari, valutazione
espansibilità toracica
Valutazione periferica: esame obiettivo articolare, esame delle entesi (calcagno,
tallone, rotula, cresta iliaca, tuberosità ischiatica, spalle).
Test di Schöber: a paziente in stazione eretta si segna sulla cute il punto corrispondente
all’apofisi spinosa della V vertebra lombare e un punto 10 cm più craniale sulla linea
mediana. Un aumento di tale distanza nella flessione < 4 cm è considerato patologico.
Serve per valutare la presenza di una limitazione funzionale nella flessione anteriore.
Test occipite/muro (segno della freccia di Forestier): si fa appoggiare il paziente alla
parete con i talloni e la colonna dorsale. Quando è presente una rigidità dei tratti del
rachide dorsale e cervicale, il paziente non riesce ad avvicinare la nuca al muro.
Esami di laboratorio
Indici di flogosi, emocromo, funzionalità epatica e renale, fattore reumatoide e
anticorpi anti-citrullina, HLA-B27.
ARTROPATIA PSORIASICA
L’artropatia psoriasica è una enteso-artro-osteopatia ad andamento cronico-evolutivo
che compare in soggetti con psoriasi o predisposti a psoriasi e che può interessare sia il
compartimento osteo-articolare periferico che quello assiale.
Manifestazioni articolari
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1) Oligoartrite asimmetrica. È la forma più frequente (60-70% dei casi). Sono interessate
<5 articolazioni, spesso con distribuzione asimmetrica. Le articolazioni più colpite sono:
MCF, IF di mani e piedi, ginocchio e caviglie. Caratteristica è la dattilite, che è dovuta
all’edema infiammatorio delle parti molli del dito, legato alla tenosinovite dei flessori.
L’impegno dell’alluce è frequente e presenta una notevole rassomiglianza con la gotta.
Al retropiede si manifesta per lo più l’entesite frequente a carico del tendine d’Achille.
2) Poliartrite simmetrica (simil-reumatoide). Ha molte somiglianze con l’AR, ma si
differenzia per: minor numero delle articolazioni colpite, riscontro più raro del FR
positivo. più frequente coinvolgimento delle IFD e della colonna per la minore
evolutività.
3) Artrite predominante delle IFD. Interessa in modo predominante articolazioni IFD che
raramente sono colpite da artriti di altra natura. L’artrite delle IFD può peraltro essere
concomitante a quella di varie articolazioni caratteristiche delle altre forme di
artropatia psoriasica. In genere l’artrite delle IFD è oligoarticolare, quasi sempre
associata a onicopatia e colpisce di più il sesso maschile.
4) Spondilite. Le entesopatie sono tipiche e frequenti e possono localizzarsi in zone più o
meno estese della colonna. È frequente in questa forma l’associazione con l’HLA-B27.
Nei casi più tipici di spondilite psoriasica si hanno di solito aspetti che la distinguono
dalla spondilite anchilosante: il coinvolgimento del rachide è meno esteso, la sacroileite
è per lo più monolaterale.
5) Artrite mutilante. È una forma abbastanza rara 1-2%. È causata da un’acrosteolisi
soprattutto a carico delle falangi distali, che conferisce l’aspetto delle dita “a
cannocchiale”.
GOTTA
Definizione: la gotta è un’affezione correlata ad alterazioni del ricambio dell’acido urico e
contraddistinta dal punto di vista clinico da una sintomatologia articolare (acuta e meno
frequentemente cronica). Il dismetabolismo uratico può avere ripercussioni viscerali, tra
cui dominano per frequenza quelle a carico del rene e delle vie urinarie.
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Epidemiologia: l’incidenza della gotta nella popolazione occidentale varia tra lo 0,2 e lo
0,35% con una prevalenza globale dai 2 ai 2,6 casi per 1000 abitanti. La prevalenza
aumenta progressivamente con l’età e con gli incrementi dell’uricemia. Colpisce in oltre il
90% dei casi il sesso maschile, nella donna insorge esclusivamente dopo la menopausa. Il
primo attacco nell’uomo insorge tra i 30 e 45 anni (mai prima dei 20).
Inquadramento nosografico
•
gotta primaria quando la gotta (sindrome clinica) è indotta dall’iperuricemia della
malattia metabolica;
•
gotta secondaria quando la gotta (sindrome clinica) è indotta da un’iperuricemia
conseguenza di condizioni morbose che alterano a qualche livello il metabolismo
purinico;
•
iperuricemia asintomatica quando la malattia metabolica non si accompagna alla gotta
(sindrome clinica).
Principali cause di iperuricemia
Ä Aumento della biosintesi purinica o della produzione di acido urico. Esempi: difetti
enzimatici congeniti come il deficit di ipoxant-guan-PRtransferasi (sind. Lesh-Nyhan),
l’eccesso di PRPP-sintetasi, o il deficit di glucosio-6P-asi. Malattie emolinfoproliferative,
policitemia vera, neoplasie maligne, malattie emolitiche, psoriasi, obesità, glicogenosi
III, IV, VII, farmaci o abitudini dietetiche (etanolo, dieta iperpurinica, acido nicotinico,
vitamina B12, agenti citotossici, warfarina).
Ä Diminuzione della clearance renale dell’urato. Esempi: insufficienza renale cronica,
nefropatia da piombo, stati di disidratazione, digiuno, chetoacidosi, diabetica, acidosi
lattica, diabete insipido, iperparatiroidismo, sarcoidosi, tossiemia gravidica, sindrome
di Bartter, farmaci (etanolo, diuretici, salicilati a basso dosaggio, etambutolo).
Forme cliniche:
1) Gotta acuta. L’attacco acuto ha insorgenza brusca, di solito notturna, la sintomatologia
raggiunge l’acme in 48 ore o meno. Il dolore è violento, intollerabile, la cute sovrastante
iperestesica. L’attacco acuto si presenta di regola senza alcun prodromo.
La localizzazione abitualmente monoarticolare agli arti inferiori, in particolare la sede
classica è la MTF dell’alluce (podagra).
L’articolazione colpita appare tumefatta, calda, arrossata e può essere presente febbre. La
durata dell’attacco è variabile: nel 30% dei casi dura 4-5 giorni; in un altro 30% 5-10 giorni
e nel restante numero dei casi da 10 a 20 giorni. La fine dell’attacco è caratterizzata da
sudorazione, con prurito e fine desquamazione a carico dell’articolazione interessata.
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2) Periodi intercritici. Sono i periodi che intercorrono fra un attacco acuto e quello
successivo. Sono di durata variabile, anche di anni; di regola durano mesi e tendono ad
accorciarsi con la progressione della malattia. Durante questi periodi non si ha alcuna
sintomatologia e il paziente conduce una vita normale.
3) Gotta cronica. Nel giro di anni, specie in seguito ad una terapia mal condotta, la gotta
può assumere l’aspetto di un reumatismo cronico evolutivo.
Il passaggio dalla gotta acuta alla gotta cronica si svolge gradualmente, in rapporto
all’accorciarsi dei periodi intercritici, al protrarsi della durata degli attacchi e al moltiplicarsi
delle localizzazioni. I disturbi articolari diventano in questa fase pressoché continui, anche
se attenuati nell’intensità, così da non concedere tregua al paziente.
Obiettivamente si riscontrano tumefazioni a carico delle articolazioni delle estremità,
spesso con distribuzione simmetrica con segni clinici di flogosi subacuta. Questo aspetto
della gotta, oggi di riscontro frequente, è spesso iatrogenicamente favorito da un doppio
errore, diagnostico e terapeutico. Se è vero infatti che la sintomatologia gottosa risponde
brillantemente ai corticosteroidi, è dimostrato che il passaggio a cronicità è facilitato
dall’impiego di questa terapia, in grado di facilitare le recidive e accorciare i periodi
intercritici (gotta cronica cortisonata).
4) Gotta tofacea. La formazione dei tofi è espressione tipica del sovraccarico in acido urico
dell’organismo. È una manifestazione clinica tardiva e compare diversi anni dopo l’inizio
dei primi sintomi articolari (in genere 10 anni dopo la prima crisi).
La formazione dei tofi è lenta e insidiosa, il loro volume variabile e la loro consistenza è
duro-pietrosa. Le masse tofacee sono suscettibili di liquefazione e ulcerazione con
fuoriuscita di un materiale biancastro, temibile è l’infezione secondaria. Il tofo è un nodulo
formato da un deposito multicentrico di cristalli di urato, circondato da una reazione
infiammatoria analoga a quella del corpo estraneo con proliferazione di connettivo fibroso.
Le sedi di deposizione più comuni sono: la cartilagine, l’osso epifisario, le strutture
periarticolari, il rene, l’elice e l’antelice dell’orecchio, l’olecrano, la borsa patellare ed i
tendini, le dita, il palmo della mano, la pianta dei piedi, a livello cardiaco e aortico.
5) Artrosi uratica. È condizionata dalla deposizione di urato a livello della cartilagine
articolare con conseguente deterioramento della stessa. La sintomatologia diventa
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persistente con dolori di intensità variabile, prevalentemente a cadenza meccanica con
sovrapposizioni flogistiche.
6) Gotta viscerale. L’interessamento renale può essere di 2 tipi: 1) litiasi uratica, con
manifestazioni cliniche lievi, essendo la frequenza delle coliche piuttosto bassa; 2) rene
gottoso, cioè la nefropatia che insorge come conseguenza della deposizione di cristalli di
urato di sodio nell’interstizio del parenchima renale. È contraddistinta da una relativa
benignità e dall’assenza di ipertensione arteriosa. L’esame della funzionalità renale mette
in evidenza una proteinuria modesta e livelli azotemici modicamente elevati. L’alterazione
più costante e più precocemente rilevabile nei gottosi è l’incapacità a concentrare le urine.
La nefropatia gottosa ha quasi sempre un’evoluzione estremamente lenta e solo in casi
eccezionali evolve verso un quadro di nefrosclerosi a esito infausto.
Esame radiologico nella gotta
Lesioni radiologiche evocatrici di gotta sono riscontrabili quasi esclusivamente a livello dei
piedi e delle mani. Tipico è l'aspetto “a geode”, particolarmente evidente in corrispondenza
delle articolazioni MTF (specie la prima), dell’IF dell’alluce e delle mani. Si tratta di
un’ipertrasparenza ossea a stampo, rotonda od ovale, di dimensioni variabili, unica o più
frequentemente multipla, con bordi ben definiti, situata in posizione centrale o periferica.
Se le cavità sono multiple, possono restare separate o entrare in comunicazione tra loro,
con aspetto “a nido d’ape”. Affiorando alla superficie ossea, il geode può usurare la
corticale fino a interromperla, si ha così un’erosione della corticale. Nel tempo si giunge ad
ampie erosioni e distruzioni ossee con aspetti cosiddetti “a scoppio”.
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