Comunicazioni orali - Clinica Dermatologica - Bari

Transcript

Comunicazioni orali - Clinica Dermatologica - Bari
Comunicazioni orali
165
Erosione del glande come manifestazione d’esordio di granulomatosi di Wegener
• Al Rajabi W, Semenza D, Pasolini G, Brezzi A, Sala R, Calzavara-Pinton PG
Divisione di Dermatologia, Spedali Civili di Brescia
La granulomatosi di Wegener è una rara forma di vasculite necrotizzante sistemica, con reazione infiammatoria granulomatosa, che interessa i vasi di piccolo e medio calibro. Gli organi e gli apparati più frequentemente colpiti sono le vie aeree superiori, i polmoni ed i reni. L’eziologia è sconosciuta. L’età più colpita è quella tra 40-50 anni, con uguale distribuzione tra i sessi. Lesioni cutanee sono presenti nel 50-60% dei casi e talvolta rappresentano il segno d’esordio della malattia.
Presentiamo il caso di un uomo di 50 anni che riferiva la comparsa da circa 4 mesi a livello del glande e del prepuzio di una placca asintomatica erosa di colore rosso-violaceo. In seguito era stato trattato con antibiotici e steroidi topici senza beneficio. Da una settimana
comparsa di rinite persistente con epistassi, gravi artralgie polistazionali, ipoacusia totale mista bilaterale e parestesie agli arti inferiori.
Era presente anche una lesione eritemato-nodulare dolente a livello della regione pretibiale sinistra.
Gli esami strumentali hanno evidenziato rinite crostosa, otite media catarrale bilaterale, ipoacusia mista bilaterale, abbondante ristagno
di materiale flogistico nella mastoide bilateralmente (RMN), neuropatia periferica a maggiore componente assonale prevalentemente
sensitiva agli arti inferiori (EMG). Gli esame bioumorali rilevavano incremento degli indici di flogosi (Ves:35, PCR: 11.2), positività di cANCA (3+) ed in particolare degli anticorpi anti-PR3 (207 UA), ipergammaglobulinemia (25%), microematuria (2+), 8 GR / campo a livello del sedimento urinario. Nella norma gli altri esami strumentali, ematochimici ed immunologici praticati.
Sono stati eseguiti due prelievi bioptici, uno a livello della regione pretibiale sinistra (vasculite leucocitoclasica coinvolgente piccoli e medi vasi ematici) e un secondo a livello del locus di Valsalva (metaplasia squamosa e fibrosclerosi). L’esame istologico della biopsia del
glande ha evidenziato un’ampia area di scollamento giunzionale con stravasi emorragici sottesa da flogosi densa, costituita da granulociti neutrofili, numerosi eosinofili, plasmacellule e linfociti maturi.
Posta diagnosi di granulomatosi di Wegener sulla base dei seguenti dati (soddisfando i criteri dell’A.C.R del 1990)
• Interessamento delle vie aeree superiori;
• Interessamento renale (microematuria);
• Positività di c-ANCA (anti PR3);
• Vasculite leucocitoclasica dei piccoli e medi vasi;
• Neuropatia periferica arti inferiori.
In seguito il paziente è stato sottoposto a terapia steroidea sistemica (prednisone 75 mg/die a scalare) associata a ciclofosfamide (150
mg/die), con risoluzione del quadro clinico cutaneo e sistemico.
In letteratura sono stati segnalati 9 casi con lesioni erosive causate da granulomatosi di Wegener a livello del pene. In 4 di questi era la
manifestazione d’esordio della malattia e rimaneva lesione unica per un tempo variabile da qualche giorno fino a sette anni. In questi
casi l’esatto inquadramento diagnostico è stato tardivo a causa del mancato interessamento sistemico e/o della aspecificità dell’esame
istopatologico. La vasculite e/o i granulomi non sempre sono evidenti e non sono presenti in tutte le lesioni determinate dalla malattia.
Nel caso presentato le lesioni del glande hanno preceduto di 15 settimane la comparsa di un quadro clinico caratteristico. In tale intervallo di tempo la diagnosi clinica ed istopatologica ha posto serie difficoltà.
Lo specialista ambulatoriale dermatologo: non solo routine 3
• Alessandrini G, Stasi R, Gabellone M, Malvindi C, Pellè S, Ligori P, Ruggero A, Sodo M, Serratì E, Rinaldi F, Mancino A,
Fai D
Collegio Salentino di Dermatologia
L’attività ambulatoriale del dermatologo salentino non è diversa, per qualità e per tipo di patologie osservate, da quella degli altri colleghi altrove ubicati e non infrequentemente deve essere in grado di raccogliere le sfide e gli stimoli che la professione può offrire. Presentiamo una serie di casi clinici osservati durante l’attività ambulatoriale.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Lue secondaria a presentazione atipica in soggetto HIV-1 positivo
• Altobella A, Filotico R, Epifani G*, Cassano N, Maggi P*, Vena GA
Clinica Dermatologica II e *Clinica delle Malattie Infettive – AO Policlinico, Università di Bari
Viene riportato il caso di una donna di colore di 46 anni, che presentava lesioni ulcerative di aspetto granulomatoso in sede inguinale,
vegetazioni anali, onicodistrofia e follicoliti. La paziente non era a conoscenza di essere affetta da alcuna malattia a trasmissione sessuale.
Le indagini di laboratorio effettuate, evidenziarono una infezione luetica associata a sieropositività per HIV-1.
E’ noto che l’infezione da HIV è in grado di modificare l’esordio, la clinica e talvolta la sierologia dell’infezione luetica.
Il caso riportato pone alcune problematiche diagnostiche e terapeutiche relative alla lue in corso di infezione da HIV.
Trattamento cortisonico intermittente nella dermatite atopica: ruolo del fluticasone propionato
• Altobella A, Amoruso A, Cassano N, Vena GA
Clinica Dermatologica II - Università di Bari (Direttore: Prof. G.A. Vena)
La dermatite atopica (DA) è una patologia cutanea molto frequente nell’infanzia e studi recenti hanno indicato un notevole aumento
dell’incidenza della stessa negli ultimi anni. L’efficacia dei corticosteroidi topici nel trattamento di tale patologia è universalmente accettata sebbene, quando usati in modo non appropriato, possano indurre effetti collaterali locali e sistemici. Ultimamente sono stati
sperimentati da vari autori schemi terapeutici con fluticasone propionato (FP) crema e unguento che hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza di tale molecola sia nel trattamento della DA in fase acuta sia nel mantenimento e nella prevenzione delle recidive. Gli autori riportano la loro esperienza su di un campione di pazienti trattati per 2 settimane con FP crema (una applicazione al giorno) e per ulteriori 8 settimane con FP crema (2 applicazioni alla settimana) in associazione ad emollienti.
Alopecia cicatriziale lupica: studio clinico, istopatologico e immunopatologico
• Amato L, Chiarini C, Massi D*, Moretti S, Fabbri P
Dipartimento di Scienze Dermatologiche - *Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia, Università di Firenze
L’alopecia cicatriziale lupica (ACL) rappresenta una delle manifestazioni più frequenti del lupus eritematoso cronico discoide. In letteratura sono presenti alcune ricerche che hanno valutato, su casistiche limitate, o soltanto gli aspetti clinici e istopatologici, o le sole caratteristiche
immunopatologiche dell’ACL. Per questo motivo abbiamo condotto uno studio retrospettivo per precisare le caratteristiche clinicomorfologiche, istopatologiche e immunopatologiche (sieriche e cutanee) di 36 pazienti affetti da ACL (41,9% di tutti i nostri pazienti con
alopecia cicatriziale), esaminati negli ultimi 12 anni nel Dipartimento di Scienze Dermatologiche dell’Università di Firenze. Clinicamente, il 33,3% dei pazienti presentavano un’unica lesione, il 52,7% presentavano lesioni multiple, mentre il 13,8% presentavano un’ACL
a tipo Pseudoarea di Brocq. Le lesioni morfologiche più frequenti erano rappresentate da sclero-atrofia (80,5%) e da eritema (63,8%).
I principali reperti istopatologici erano costituiti da fibrosi (100%), ipercheratosi follicolare (91,4%), atrofia epidermica (88,5%), infiltrato linfocitario perifollicolare e perivascolare (88,5%), ispessimento della membrana basale (77,1%) e degenerazione vacuolare basale (74,2%). Gli anticorpi antinucleo (ANA) erano presenti nel 42,8% dei pazienti. Il lupus band test risultava positivo nell’81,8% dei casi, mentre un deposito perivascolare era dimostrabile nel 30,3% dei pazienti. L’indagine istopatologica da sola ci consentiva una corretta
diagnosi soltanto nel 68,5% dei pazienti.
In conclusione, le nostre ricerche documentano l’importanza di un approccio multiparametrico allo studio dell’ACL in quanto solo la
combinazione di più reperti (clinici, istopatologici e immunopatologici) è in grado di fornirci gli elementi utili per la diagnosi, particolarmente difficile nelle fasi tardive della malattia.
Bibliografia
• Fabbri P, Amato L, Chiarini C, Massi D, Moretti S. Le alopecie cicatriziali acquisite primitive: inquadramento e criteri diagnostici. G Ital
Dermatol Venereol 2003;138:363-75
167
Dermoelectroporation: a new frontier for antiageing therapy
• Bacci PA
Biologically active drugs and macromolecules, such as peptide drugs, proteins, oligonucleotides and glycosaminoglicans, are characterized by short biological half-life and scarce bioavailability, such characteristics make it difficult to employ different therapeutic strategies other than parenteral ones and which very often are only practicable in hospital.
In this experimental study the Authors have used a new type of dermoelectroporation which involves the application of pulsed electric
fields with new-concept equipment (Transdermr), moreover we have analysed the transdermal delivery of biologically active molecules
in vivo. The advantage of using pulsed electric fields as opposed to continuous ones is that there is a significant reduction in the degradation of the molecules to be transported as a result of electrolytic phenomena.
The study was divided into three parts:
• microscopic analysis of skin tissue after the application of the electric field;
• qualitative analysis of transdermal delivery of a protein macromolecule (collagen type I);
• quantitative analysis of transdermal delivery of lidocaine.
The study demonstrates that this dermoelectroporation can be used for transdermal delivery of biologically active molecules, in our case represented by a large protein macromolecule (collagen) and by a general anesthetic (lidocaine).
Our protocol is suitable in subjects exhibiting the effects of acne, initial stages of skin ageing without tissue yield, and upkeep of aesthetic
surgery, consisting first in a surface dermo-abrasion performed with corundum crystals, intended for the removal of the corneus layer
and for vascularization. Immediately afterwards, active substances are introduced by means of the electric pore treatment, a new method
offering the possibility to open any “intercellular gates” that allow the passage of the molecules.
The session may be concluded with the application of pulsed light which introduces energy and stimulates the regenerating properties
of connective tissues.
When it’s necessary, the autologus or cultured lipofilling, in particular session, provides us for the good aesthetical results increasing the
harmony on the face.
Soft peeling: oltre il glicolico… acido piruvico e terapie combinate
• Bandiera A
A.U.S.L. TA/1 “SS. Annunziata” Struttura Complessa di Dermatologia - Taranto - Direttore: E. Vozza
La tecnica del peeling chimico soprattutto superficiale è entrata di diritto sempre più frequentemente nella pratica ambulatoriale del
dermatologo e del medico estetico, nell’affrontare sia problematiche legate all’invecchiamento cutaneo che a patologie tipo acne e/o
esiti cicatriziali e cloasma.
Il peeling con a. glicolico è stato, in questi ultimi anni, la tecnica più eseguita, soprattutto nelle formulazioni free a diverse concentrazioni e pH.
Per ottimizzare i risultati clinici già ottenuti, medici e pazienti, avvertendo la necessità di utilizzare sostanze ad uso peeling sempre più
efficaci, hanno spinto la ricerca a formulare e rivedere nuove e “vecchie” sostanze per questi usi.
Una di queste è l’acido piruvico; si tratta di un alfa-cheto-acido a 3 atomi di carbonio con un gruppo chetonico in posizione alfa; si converte fisiologicamente in A. lattico.
È una molecola che, in base al pH, ai tempi di esposizione sulla cute e al solvente della soluzione stessa può arrestare l’azione peeling
all’epidermide o anche penetrare nel derma superficiale, per cui piuttosto maneggevole.
È particolarmente indicato per il trattamento dell’acne anche in fase infiammatoria e/o esiti di acne, per la spiccata attività cheratolitica, seboregolatrice ed antibatterica legata alla sostanza; si usa anche nel trattamento dell’invecchiamento cutaneo in genere per la spiccata attività di “riattivazione fibroblastica”, e nel cloasma.
Associato ad altre sostanze uso peeling ottimizza la propria attività.
Verranno illustrate le associazioni e i diversi protocolli.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Carcinoma a cellule basali del glande: a proposito di un caso trattato con imiquimod crema al 5%
• Bandini P, Fogli E, Passarini B, D’Antuono A
Clinica Dermatologica - Università degli Studi di Bologna (Dir. Prof. C. Varotti)
Descriviamo il caso di un uomo di 72 anni giunto alla nostra osservazione per la comparsa da mesi di una chiazza eritematosa che si era
progressivamente estesa dal glande al solco balano-prepuziale.
L’esame istologico faceva porre diagnosi di Carcinoma a cellule basali.
Con il consenso informato del paziente veniva iniziata terapia con Imiquimod crema al 5%, applicata tre volte la settimana, a giorni alterni, sulla lesione. Dopo due settimane di trattamento si evidenziava al controllo una intensa irritazione della mucosa del glande e del
solco balano-prepuziale, estesa oltre la zona trattata: il paziente aveva applicato il prodotto in quantità eccessiva. Veniva sospesa, pertanto, l’applicazione e sostituita per una settimana con impacchi borici due volte al giorno. Al momento di riprendere la cura veniva
eseguita una toccatura di qualche secondo con Histofreezer; successivamente, ad ogni applicazione di Imiquimod, l’area perilesionale
veniva protetta con una crema all’ossido di zinco. Dopo sei settimane (con Imiquimod tre volte/settimana) la lesione appariva totalmente
regredita; dopo un mese veniva eseguita una biopsia di controllo. L’esame istologico rilevava assenza di strutture neoplastiche. Nel follow-up, ai controlli clinici mensili, non si evidenziava recidiva dopo nove mesi dalla risoluzione della lesione iniziale.
Imiquimod è il primo modulatore locale della risposta immunitaria: potenzia l’immunità innata e acquisita e aumenta la produzione di
citochine, in particolare TNF e IFN. Possiede attività antivirale, ma si è dimostrato efficace nella terapia di tumori cutanei non-melanoma
quali Morbo di Bowen, cheratosi attiniche, carcinomi a cellule basali e squamose. Induce una risposta immunitaria cellulo-mediata e
apoptosi nelle cellule dei tumori cutanei: altera i meccanismi messi in atto dalle neoplasie per resistere ai segnali di apoptosi.
Riteniamo significativo riportare il caso, in quanto fino ad oggi non è stato descritto l’uso di Imiquimod in neoplasie delle mucose genitali.
Imiquimod crema 5% nel trattamento della micosi fungoide in placca resistente a Re-PUVA terapia
• Barbagallo T, Brazzelli V, Prestinari F, Roveda E, Bellani E, Ardigò M, Borroni G
Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi di Pavia, IRCCS, Policlinico S.Matteo, Pavia
L’imiquimod, amina imidazochinolinica immunomodulatrice ad azione antivirale, utilizzata inizialmente nella cura di condilomi e verruche virali ha trovato sempre più largo impiego nella terapia dermatologica, come nel caso di cheratosi solari, il carcinoma basocellulare
superficiale e in singole segnalazioni anche la malattia di Bowen e la lentigo maligna-melanoma.
L’efficacia terapeutica di questo farmaco è correlata alla sua capacità di indurre la migrazione e l’attivazione di cellule presentanti l’antigene così come di stimolare la produzione di citochine locali quali IFNα, TNFα, IL1α, e IL12, che determinano un aumento della risposta immune innata. Il risultato di questo processo immunologico è l’attivazione di cellule Th naive in cellule Th1 effettrici che sono potenti produttori di IFNγ, il quale indirettamente porta ad un aumento dell’immunità acquisita. Recenti ricerche dimostrano che l’imiquimod svolge la sua azione attraverso il legame con specifici recettori di superficie cellulare toll-like receptor 7 (TLR 7) e forse anche TLR
8 sulle cellule dendritiche.
La micosi fungoide è la forma più frequente e meglio caratterizzata di linfoma periferico a cellule T con coinvolgimento primitivo della
cute. Dal punto di vista fisiopatologico questo processo linfoproliferativo è caratterizzato dalla presenza di una popolazione clonale di
cellule T a fenotipo T-helper 2 caratteristicamente epidermotrope. La capacità dell’imiquimod di inibire i linfociti T-helper 2 clonali e di
stimolare una risposta citotossica tumore specifica ha creato il razionale per l’impiego di questo farmaco nella terapia della micosi fungoide, come dimostrato dai risultati preliminari riportati in due recenti pubblicazioni.
Riportiamo il caso di due pazienti, una donna di 63 anni e un uomo di 82 anni, entrambi affetti da micosi fungoide stadio in placca già
trattati per lunghi periodi di tempo con retinoidi sistemici e PUVA terapia con periodi di remissione alternati a recidiva. Benché le terapie utilizzate avessero portato a buona remissione globale delle manifestazioni cliniche, entrambi i pazienti presentavano placche ulcerate resistenti alla terapia. È stato applicato imiquimod crema 5% tre volte alla settimana per circa 3 mesi. In entrambi i casi si è osservata completa remissione della placche, senza rilevanti effetti collaterali, confermando l’efficacia di questo farmaco che pur non essendo di prima scelta nella terapia della micosi fungoide può essere preso in considerazione in associazione ad altri farmaci come PUVA terapia, retinoidi e/o interferone.
169
Screening diagnostico in pazienti con orticaria cronica idiopatica
• Barone A, De Simone C, Sbordoni G, Guidi B, Aguilar Sanchez J, Fossati B, Amerio P
Università Cattolica del “Sacro Cuore”, Roma
L’orticaria è una dermatosi caratterizzata da un’eruzione eritemato-pomfoide, che risolve in completa restitutio ad integrum. Si definisce Orticaria Cronica quella forma di orticaria che persiste oltre le 6 settimane. Nell’80% dei casi le cause di orticaria cronica restano
sconosciute: si parla di Orticaria Cronica Idiopatica. I numerosi meccanismi patogenetici ipotizzati nell’orticaria cronica idiopatica sono
stati divisi schematicamente in 2 sottogruppi: meccanismi autoimmuni (orticaria cronica autoimmune) ed extraimmunologici.
Nel periodo tra Marzo 2002 e Febbraio 2004 sono stati inseriti nel nostro protocollo di studio 68 pazienti (42 donne e 26 uomini, con
età compresa tra 16 e 76 anni) con Orticaria Cronica Idiopatica.
I pazienti non presentavano allergie alimentari, da contatto, orticarie da cause fisiche, orticarie-vasculiti e forme di angioedema ereditario. Presentavano una storia di malattia pari in media a 9 mesi. Abbiamo eseguito esami emocromocitometrici, indici di flogosi (VES e
PCR), TAS e tampone faringeo. Nei pazienti in cui ci era consentito abbiamo effettuato l’Urea Breath Test per la ricerca di H. pylori. Sono state valutate le associazioni con le parassitosi intestinali e con Toxocara canis e Anisakis simplex. Allo scopo di evidenziare una relazione con patologie autoimmuni è stato eseguito il dosaggio delle Immunoglobuline, delle frazioni del complemento, degli immunocomplessi
circolanti e degli anticorpi anti-nucleo, anti-ENA, anti-DNA, ma soprattutto è stata studiata la possibile concomitanza di interessamento tiroideo tramite la valutazione di FT3, FT4, TSH e anticorpi anti-tiroide.
L’Urea Breath Test ha rilevato la presenza di H. pylori nel 23,40% dei casi; nella metà dei pazienti positivi abbiamo riscontrato una remissione dei sintomi in 6 mesi di follow up.
La ricerca di parassiti intestinali ha dimostrato la presenza prevalentemente di Blastocystis hominis ed Ascaris lumbricoides, in due terzi
dei casi è stata riferita una remissione dei sintomi con la terapia per l’eradicazione del parassita.
La forte positività degli anticorpi antitiroide ha evidenziato forme più o meno latenti di tiroidite; l’aumento degli anticorpi anti-tiroide era
strettamente correlato alla positività al test di Greaves.
Ulcera del ventre linguale (Riga-Fede Disease)
• Baroni A, Capristo C*, Rossiello L**, Faccenda F**, Satriano RA
Insegnamento di Dermatologia e Venereologia, CLOPD
*Clinica Pediatrica, Servizio asma e fisiopatologia respiratoria infantile** U.O. Clinica dermatologica, Università degli Studi di Napoli
La malattia di Riga-Fede (MRF), patologia molto rara, è caratterizzata dalla presenza di una lesione ulcero-verrucosa sulla superficie ventrale della lingua, causata dal reiterato traumatismo esercitato da continui movimenti protrusivi e intrusivi della lingua sugli incisivi inferiori.
La lesione si può associare a malattie gravi come paralisi spastica, microcefalia, sindrome di Lesch-Nyhan e disautonomia familiare.
Presentiamo il caso di un lattante dell’età di 11 mesi che da circa 5 mesi presentava una ulcerazione al ventre linguale. I familiari riferivano che tale ulcera si era manifestata in occasione dell’eruzione degli incisivi inferiori, causando difficoltà nell’allattamento. L’anamnesi
familiare non evidenziava patologie dello sviluppo né la presenza di malattie genetiche.
All’esame obiettivo, nella sede descritta in anamnesi, si osservava una lesione ulcerativa, biancastra, dura, verrucosa (dimensioni: 2X3
cm circa), dolente al tatto. Venivano praticati esami microbiologici, microscopici e colturali, eseguiti mediante tampone linguale per la
ricerca di batteri Gram+, Gram- e alcol-acido resistenti, che risultavano negativi. Analogamente la ricerca colturale dei miceti (lieviti) si
dimostrava infruttuosa, e gli esami ematochimici non evidenziavano alcuna alterazione significativa. Sulla base dei dati clinici e anamnestici veniva posta la diagnosi di MRF. L’esame neurologico non rivelava alcun segno di coinvolgimento. Veniva pertanto prescritto un
trattamento che prevedeva l’applicazione di una crema adesiva (etere metilvinilico/acido maleico) allo scopo di ridurre i traumatismi, evitando il contatto tra lingua e incisivi, e lavaggi con una soluzione orale a base di clorexidina 0,2%. Dopo appena due settimane di terapia, l’ulcera era risolta senza esito.
L’importanza della segnalazione risiede non solo nella rarità del caso ma anche nella necessità di una diagnosi precoce per poter escludere l’associazione con gravi malattie neurologiche e per attuare un tempestivo trattamento terapeutico al fine di evitare la comparsa
di disturbi della nutrizione ed esiti cicatriziali invalidanti.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Efficacia e tollerabilità dell’Infliximab nel trattamento della psoriasi eritrodermica
• Bergamin A, Citarella L, Esposito M, de Felice C, Di Terlizzi G, Talamonti M, Chimenti S
Clinica Dermatologica - Università di Roma “Tor Vergata”
La psoriasi eritrodermica interessa fino al 2% di tutti i pazienti affetti da psoriasi. Tra le cause favorenti o determinanti, una particolare
importanza assumono l’uso di trattamenti locali o sistemici, la chemioterapia, la sospensione di trattamenti corticosteroidei, le malattie
sistemiche e i fattori microbici. L’intera superficie cutanea del paziente presenta uno sfondo eritematoso, coperto da fini squame, spesso essudativo, associato frequentemente a prurito. È possibile inoltre che il paziente presenti una linfoadenopatia associata a febbre,
sensazione di freddo e perdita di liquidi, che possono portare a debilitazione generale e necessità di ricovero ospedaliero. Le terapie attuali prevedono l’uso di topici corticosterodi in occlusiva, da usare per tempi brevi, nelle fasi iniziali, e trattamenti sistemici con Corticosteroidi, Metotrexate, Retinoidi o Ciclosporina nelle forme più gravi. L’Infliximab è un anticorpo monoclonale chimerico, attivo contro la
forma solubile e trans-membrana del Tumor necrosis factor-alpha(TNF-α), già in uso nel trattamento dell’Artrite reumatoide e Morbo di
Crohn e recentemente nella psoriasi volgare ed artropatica. Scopo del nostro studio è stato quello di valutare l’efficacia e la tollerabilità
dell’Infliximab in 6 pazienti affetti da psoriasi eritrodermica. Allo studio hanno partecipato 6 pazienti (4 maschi e 2 femmine), affetti da
psoriasi eritrodermica, con PASI compreso tra 15 e 50 (PASI score medio di 32,5) e una percentuale di superficie corporea affetta da
psoriasi eritrodermica (BSA) compresa tra il 70 e 90%. L’Infliximab è stato somministrato per via endovenosa lenta,con dosaggio di 5 mg/kg,
al tempo zero, dopo due e sei settimane dalla prima somministrazione e successivamente ogni 8 settimane. L’efficacia del trattamento
è stata valutata sulla base della diminuzione del PASI score e del BSA dal tempo 0. I nostri risultati, per quanto riferiti ad una casistica limitata dimostrano l’efficacia e la tollerabilità dell’Infliximab nel trattamento della psoriasi eritrodermica.
Terapia dell’acne di lieve e media entità: un’indagine DDI
• Bertazzoni M *, Fabbrocini G °
*Divisione di Dermatologia - Ospedale di Vicenza
°Dip. di Patologia Sistematica - Clinica Dermatologica- Università “Federico II”Napoli
L’osservazione frequente nella pratica dermatologica di pazienti affetti da acne e la molteplicità di presidi terapeutici oggi disponibili, pongono allo specialista la necessità di un approccio mirato ed efficace, inevitabilmente orientato dalla conoscenza dei processi patogenetici di base della malattia e dalla esperienza del corretto management.
Nell’ampio ambito delle possibilità terapeutiche, tra le quali sono stati annoverati perfino estratti vegetali, il dermatologo si trova spesso di fronte alla necessità di dover scegliere farmaci di comprovata efficacia non sempre gradevoli per il paziente, talora non scevri da
effetti collaterali, anche severi. La necessità di scelta è complicata dalla vastità delle formulazioni proposte i cui meccanismi d’azione sono a volte sovrapponibili.
Nella pratica clinica pertanto ci sembra fondamentale l’inquadramento clinico del paziente in termini di gravità della malattia, di sede,
di caratteristiche anatomo-fisiologiche. La scelta del farmaco, o dei farmaci, più appropriati deve essere guidata da una completa conoscenza
dell’aspetto patogenetico del tipo di acne in esame, modulata sulla base delle reali necessità del paziente, a volte anche estetiche, modificata in funzione della risposta alla terapia. Vengono proposti schemi terapeutici sulla base dei risultati di un’indagine multicentrica
a cura delle donne dermatologhe italiane con un prodotto topico a base di acido nicotinico.
Lesioni sporotricoidi dell’arto superiore
• Bertero M, Zavattaro E, Zuccoli R, Astolfi S, Leigheb G
Clinica Dermatologica - Università del Piemonte Orientale, Novara
Un giovane di 33 anni si è presentato per la comparsa di lesioni cutanee dell’arto superiore sinistro. In anamnesi, frequenti recidive di
disidrosi palmare; cinque settimane prima ha notato la comparsa di tumefazione dolente del diametro di 2 centimetri al terzo inferiore
della superficie mediale del braccio sinistro, accompagnata da lesione lenticolare impetigoide al III dito della mano sinistra. Dopo alcuni giorni, tra quest due elementi sono comparsi numerosi noduli (circa otto), poco dolorabili, disposti linearmente, del diametro variabile da 5 mm fino a 1 cm.
È stata eseguita la biopsia cutanea di una lesione mediana al dorso della mano ed il materiale prelevato è stato sottoposto ad esame isto-
171
logico, colorazione per miceti e per micobatteri, coltura per miceti e micobatteri, PCR.
L’istologico mostrava un ascesso dermico circondato da tessuto di granulazione e le colorazioni per agenti eziologici erano negative.
La ricerca in PCR ha dato esito negativo, ma dopo un mese la coltura su medium solido e liquido ha dimostrato la presenza di Mycobacterium
marinum.
È stata effettuata la terapia con minociclina 200 mg/die e claritromicina 1 g/die e solo dopo oltre un mese si è avuta una significativa riduzione delle dimensioni delle lesioni nodulari.
Viene quindi confermata un’infezione da Mycobacterium marinum con lesioni cutanee a disposizione sporotricoide.
Questa micobatteriosi atipica, più comunemente rappresentata da un nodulo singolo, non è sempre facilmente diagnosticata, potendo complicarsi anche con interessamento di strutture tendinee e richiedere ampi sbrigliamenti chirurgici. La malattia risponde con lentezza al trattamento antibiotico.
Un caso di SOX syndrome
• Berti S, Lucin C, Chiarini C, Palleschi GM, Maio V*, Fabbri P
Dipartimento di Scienze Dermatologiche; *Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia - Università degli Studi di Firenze
Presentiamo il caso di una donna di 67 anni che riferiva oculorinite allergica dall’età di 20 aa e un’artrosi delle mani e dei piedi da circa
due anni. Giungeva alla nostra osservazione per la comparsa di xerostomia da circa un anno e di lesioni eritemato-squamose a livello del
palmo delle mani.
Gli esami ematochimici evidenziavano un aumento della VES (27), dei trigliceridi (201 mg/dl), delle IgE totali (236 KU/l) e la presenza di
ANA con fluorescenza disseminata e titolo 1:80 (HEp2) e di autoanticorpi Ro/SS-A (2.14). La radiografia delle mani e dei piedi documentava una modesta artrosi a livello delle articolazioni interfalangee prossimali e distali. A livello dei piedi il quadro artrosico era di minore entità con discreto impegno artrosico delle articolazioni metatarsofalangee del 1° dito. Il quadro clinico-radiografico delle mani
era quello di un’artrosi nodosa di Heberden con noduli di Heberden e Bouchard, mentre la presenza di erosioni sulle articolazioni interfalangee distali delle mani con aspetto “ad ali di gabbiano” suggeriva la diagnosi di artrosi erosiva di Peter Crain.
L’esame istopatologico di una ghiandola salivare minore documentava una sialoadenite linfocitaria focale di grado I (secondo i criteri di
Chisholm e Mason). L’esame istopatologico, eseguito a livello della cute lesionale del 1° dito della mano dx, rilevava reperti in accordo
con una diagnosi di psoriasi volgare.
Sulla base dei dati clinici, strumentali e istopatologici abbiamo posto diagnosi di SOX syndrome in paziente psoriasica.
Come è noto, la SOX syndrome è caratterizzata dall’associazione di una sialoadenite non specifica, di osteoartrite poliarticolare delle
mani (soprattutto le articolazioni interfalangee e la prima metacarpofalangea; con formazione di noduli di Heberden) e di xerostomia.
La più importante diagnosi differenziale deve essere posta nei confronti della sindrome di Sjogren, in cui la xerostomia si associa ad una
sialoadenite specifica.
Bibliografia
• Kassimos DG et al. Chronic sialoadenitis in patients with nodal osteoarthritis. Br J Rheumatol 1997: 36:1312-7.
• Drage NA et al. Sialographic changes in Sjogren’s and SOX syndrome. Oral Surg Oral Med Oral Pathol Oral Radiol Endod 1998; 86:
104-9.
Applicazioni cliniche della terapia fotodinamica con metil aminolevulinato in dermatologia
• Bianchi L, Papoutsaki M, Calcaterra R, Ricozzi I, Chimenti S
Clinica Dermatologica, Università di Roma Tor Vergata
I primi studi clinici sulla terapia fotodinamica con metil aminolevulinato (MAL-PDT) sono stati studi controllati in aperto, randomizzati,
in pazienti con epiteliomi basocellulari (BCC) non precedentemente trattati. I risultati di questi iniziali rilievi dimostrarono l’efficacia di questa procedura nel trattamento di neoplasie non melanocitarie, quali i BCC non morfeiformi e cheratosi attiniche non ipercheratosiche.
Il fenomeno della captazione del fotosensibilizzante nel tessuto sede di lesione non è specifico del tessuto neoplastico, ma è condiviso
da cellule dotate di elevati indici di proliferazione e metabolismo. Il proposito del nostro studio è stato quello di estendere l’uso di questa procedura (MAL-PDT) a lesioni cutanee a carattere proliferativo ed infiammatorio. La nostra casistica comprende 25 pazienti che includono 8 casi di BCC, 9 di cheratosi attiniche ipercheratosiche e non, 1 di epitelioma spinocellulare in situ, 1 di cheilite attinica, 4 di pso-
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
riasi in placche, 1 di micosi fungoide ed 1 di urticaria pigmentosa. Vengono descritti e discussi i risultati preliminari ottenuti. Nel complesso la nostra esperienza sembra indicare che la MAL-PDT si conferma come procedura efficace e dotata di minor effetti collaterali rispetto alla ALA-PDT nel trattamento di neoplasie non melanocitarie cutanee e di selezionate patologie infiammatorie caratterizzate da
elevati indici di proliferazione e metabolismo.
Trattamento della scabbia in ambito carcerario: studio ISAC, risultati preliminari
• Biele MM, Campori G, Colombo R, De Giorgio G, Frascione P, Sali R (SIMSPE), Milani M
Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria
Nell’anno 2003 sono transitate nelle carceri italiane circa 120.000 persone delle quali circa l’8% sieropositive (dati forniti dal DAP - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria). Considerata l’incidenza delle malattie dermatologiche ed in particolare delle parasittosi il gruppo di Dermatologi della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (SIMSPE) ha dato l’avvio (con approvazione del DAP)
nel dicembre 2003 ad uno studio randomizzato, in aperto, volto a confrontare l’efficacia terapeutica di una schiuma termosensibile a
base di piretrine naturali sinergizzate (MILICE) ed il Benzoato di Benzile (SCAB2) nel trattamento della scabbia. I centri interessati sono:
Le Vallette (TO), S. Vittore (MI), Sollicciano (FI), OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario), Montelupo Fiorentino (FI), Rebibbia (RM), Regina Coeli (RM), Complesso Penitenziario di Civitavecchia (RM). Lo studio prevede l’arruolamento di soggetti di entrambi i sessi, di età
compresa tra i 18 ed i 75 anni, immunocompetenti e non, sottoposti a regime di detenzione carceraria, affetti da scabbia. Lo studio ha
una durata di 4 settimane per ciascun paziente con 3 step di valutazione. Ad ogni visita vengono presi in considerazione lo score del prurito e delle lesioni e vengono inoltre valutate l’efficacia, la tollerabilità e la compliance dei due trattamenti oggetto di studio. In questo
lavoro vengono presentati i risultati relativi ai primi 140 pazienti arruolati e trattati.
Quando la pelle... fa male!
• Boccia L, Zanchini R, Plaitano R, Nacca M, Piccirillo F, Battarra VC, Raimondo U, Argenziano G*
Seconda Università di Napoli, Clinica Dermatologica*; Azienda Ospedaliera di Caserta, U.O. Dermatologia
Una piccola percentuale di pazienti affetti da iperuricemia manifesta clinicamente la gotta. La deposizione di cristalli di urato monosodico (UMS), scarsamente solubili nei fluidi corporei, in sede articolare determina la artrite acuta, tipicamente monolaterale e, a livello
renale, la colica renale. L’alterazione metabolica può essere dovuta sia a una ridotta escrezione di acido urico che ad una sua aumentata sintesi, oppure ad entrambi questi fattori.
La storia naturale più comune della gotta si svolge in fasi che, in successione, comprendono l’iperuricemia asintomatica, gli attacchi di
artrite acuta contraddistinta dal reperto di cristalli di UMS nei leucociti del liquido sinoviale, gli intervalli “intercritici” tra un episodio e
l’altro e infine la gotta tofacea o cronica con poliartrite, nefropatia che può interessare i glomeruli, i tubuli, i vasi e l’interstizio e la urolitiasi da calcoli di urato o di acido urico. I tofi sono depositi di UMS che inizialmente colpiscono l’elice del padiglione auricolare, i gomiti, il tallone e in seguito possono interessare anche le mani e i piedi; hanno dimensioni variabili e consistenza per lo più dura, ma talora molliccia e con tendenza all’ulcerazione e alla fuoriuscita di materiale biancastro. È importante saperli riconoscere dai noduli reumatoidi, dai noduli dei tumori delle guaine tendinee, dai granulomi anulari sottocutanei, dai tumori mesenchimali, dalla condrodermatite e dalle calcificazioni cutanee in generale.
Pur trattandosi di una patologia frequente, le segnalazioni in letteratura sono poche. Presentiamo la nostra casistica clinica con quadri
tipici osservati alle mani e ai piedi e per i quali non è stata necessaria la biopsia cutanea. Si ricorda a tal fine che per meglio evidenziare
i cristalli, la biopsia va fissata in alcool e non in formalina.
173
Citosteatonecrosi del neonato e alterazioni metaboliche: caso clinico
• Borgia F, Guarneri C, °Meo P, °Cacace C, Cannavò SP
Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio - Sezione di Dermatologia, Università di Messina (Direttore: Prof. B. Guarneri);
°Unità di Terapia Intensiva Neonatale. Ospedale “Barone Romeo”, Patti (Me) (Direttore: E. Coletta Spinella)
La citosteatonecrosi del neonato è una rara panniculite ad esordio nelle prime settimane di vita in neonati a termine. Clinicamente è caratterizzata da placche e/o noduli infiltrati localizzati a tronco, spalle, glutei e radice degli arti; può essere associata a condizioni morbose
materne, quali diabete gestazionale e preeclampsia ovvero a complicanze perinatali quali ipossia, aspirazione di meconio, ipotermia,
ipoglicemia.
La patologia è generalmente autorisolutiva nell’arco di circa sei mesi; i pazienti, tuttavia, devono essere attentamente monitorizzati al
fine di evidenziare precocemente la comparsa di eventuali temibili complicanze quali ipoglicemia, ipertrigliceridemia, trombocitopenia
e, soprattutto, ipercalcemia.
A tal proposito, gli Autori descrivono un caso di citosteatonecrosi neonatale, successiva ad ipossia perinatale, complicato da tutte le alterazioni metaboliche succitate e rivisitano la letteratura con particolare riferimento agli aspetti nosografici e patogenetici.
Granulomi sottocutanei da pigmenti utilizzati per tatuaggi
• Bornacina G, Angeli L, Tiberio R, Porta A, Bornacina C, Leigheb G
Clinica Dermatologica - Università del Piemonte Orientale, Novara
Vengono presentati tre pazienti affetti da una strana dermatite su recenti tatuaggi. In base a tutti gli esami eseguiti ci si orienta verso la
diagnosi di granulomi indotti da materiali etranei dovuti al tatuaggio.
Associazione pemfigoide bolloso e morbo celiaco: caso clinico
• Brandozzi G, Marconi B, Simonetti O, Bernardini ML, Mazzoni A, Rossetti Sabbatini L, Giangiacomi M*, Offidani A
U.O. Dermatologia, Istituto di Anatomia Patologica* Azienda Ospedale Umberto I - Ancona
Il Morbo Celiaco, malattia infiammatoria cronica dell’intestino tenue caratterizzata da una intolleranza al glutine, è spesso associata alla Dermatite erpetiforme di Duhring. Riportiamo il caso di un paziente di 70 anni, con precedenti di celiachia, giunto alla nostra attenzione per l’insorgenza di una dermatosi bollosa che interessava quasi tutta la superficie cutanea. Sulla base dell’esame istologico e dell’IFD, è stata posta diagnosi di Pemfigoide bolloso. La monoterapia con corticosteroide per via generale (prednisone alla dose di 60
mg/die-fase di attacco- e 12,5 mg di mantenimento), determinava la remissione clinica della malattia. Presentiamo il caso per l’inusuale associazione delle due patologie e anche per le possibili correlazioni tra D. erpetiforme di Duhring e pemfigoide bolloso.
Cellulite eosinofilica (Sindrome di Wells)
• Brandozzi G, Bernardini ML, Simonetti O, Marconi B, Giangiacomi M*, Offidani A
U.O. Dermatologia, Istituto di Anatomia Patologica* Azienda Ospedale UmbertoI - Ancona
La cellulite eosinofilica, detta Sindrome di Wells, è una patologia cutanea non comune. In essa ritroviamo la presenza di lesioni cutanee
polimorfe, con o senza eosinofilia periferica ed un esame istologico caratterizzato da un infiltrato eosinofilico nel derma, accompagnato da edema e tipiche figure a fiamma.
Riportiamo il caso di A.A., 23 anni, che si presentava alla nostra attenzione per la comparsa, da circa 15 giorni, di placche multiple, eritematose e pruriginose, localizzate alla superficie estensoria di entrambe le ginocchia, accompagnate da febbricola e malessere generale. L’anamnesi risultava positiva per un episodio di trauma fisico in sede di lesione, riferibile a pochi giorni prima della comparsa delle manifestazioni. Le lesioni cutanee risultavano refrattarie al trattamento generale con antibiotici ed antiistaminici e all’applicazione locale di
creme cortico-antibiotiche. Non era presente eosinofilia periferica. L’esame istologico consentiva di porre diagnosi di Sindrome di Wells.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Reazione emosiderotica “targetoide” su nevi traumatizzati (“Targetoid Hemosiderotic Nevus”)
• Broganelli P, Tomasini C, Pippione M
Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Torino, Dermatologia 3, Direttore Prof. M. Pippione
Il rapido cambiamento morfologico di un nevo porta spesso il paziente a richiedere un’urgente valutazione dermatologica allo scopo di
escludere l’insorgenza di un melanoma.
Tra i simulatori melanocitari del melanoma sono inclusi, come è noto, i nevi che hanno subito repentine modificazioni morfologiche su
base traumatica.
Gli autori presentano una serie di nevi melanocitari caratterizzati dalla improvvisa comparsa di un alone pigmentario “targetoide”. La
casistica, raccolta in 2 anni, presso la Clinica Dermatologica II dell’Università di Torino, comprende 6 nevi melanocitari acquisiti localizzati in sedi suscettibili a microtraumatismi ripetuti in giovani donne. Tutte le lesioni sono state sottoposte ad esame dermatoscopico in
epiluminescenza. Tre casi sono stati escissi in stadi diversi e sottoposti ad esame istologico. Le altre lesioni sono state sottoposte a follow-up clinico-dermatoscopico. Il rapido sviluppo di un alone targetoide pigmentato era la caratteristica comune a tutti i casi. Nei casi
non sottoposti ad exeresi, si osservava la scomparsa dell’alone pigmentario nel volgere di alcune settimane, con persistenza del nevo.
L’esame istopatologico delle lesioni asportate in fase conclamata evidenziava gli aspetti tipici del nevo traumatizzato con depositi di fibrina nella parte centrale e depositi di emosiderina e fenomeni neoangiogenetici in corrispondenza dell’alone periferico pigmentario.
La diagnosi differenziale clinica ed istopatologica di questi nevi include diverse entità caratterizzate dalla comparsa di un alone periferico, tra cui il nevo a coccarda, l’”halo nevo”, il “targetoid hemosideroti hemangioma” e, raramente, il melanoma.
Proponiamo il termine “targetoid hemosiderotic nevus” per definire questo insolito ed inedito pattern reattivo di nevi traumatizzati. Tale entità dovrebbe essere inclusa, a nostro giudizio, tra i simulatori clinici del melanoma.
Sarcoma di Kaposi associato a terapia immunosoppressiva per pemfigo vegetante
• Bugatti L, Filosa G
U.O. di Dermatologia - Ospedale “A. Murri” ASUR Regione Marche, Jesi
Gli Autori segnalano il caso di un uomo di 83 anni affetto da pemfigo vegetante che ha sviluppato un sarcoma di Kaposi agli arti inferiori dopo 5 anni di terapia con prednisone, ciclosporina e azatioprina. Alla riduzione della terapia immunosoppressiva si è assistito ad
una notevole miglioramento della patologia sarcomatosa.
Il sarcoma di Kaposi (SK) può insorgere come neoplasia “opportunistica” in soggetti sottoposti a terapia immunosoppressiva cronica. Un
incidenza tumorale statisticamente significativa sembra essere presente tra i pazienti affetti da pemfigo, e tra questi il SK è altamente
rappresentato. Vengono quindi discusse le ipotesi patogenetiche che, alla luce delle attuali conoscenze sul ruolo del HHV-8, possono spiegare tale associazione.
Bibliografia
• Younus J, et al. The relationship of pemphigus to neoplasia. J Am Acad Dermatol 1990;23:498-502.
• Memar OM, et al. Human herpesvirus 8 DNA sequences in blistering skin from patients with pemphigus. Arch Dermatol 1997;133:124751.
Un caso di carcinoma basocellulare metastatico
• Cainelli G, Franchi C, Frigerio E, Altomare GF
Istituto di Dermatologia-O.Galeazzi-Università degli Studi di Milano (Direttore: G.F. Altomare)
Il carcinoma basocellulare è il piu frequente tumore epiteliale cutaneo.
Nella comune pratica clinica si attribuisce a tale tumore una scarsissima capacità di disseminazione metastatica a distanza. Il carcinoma
basocellulare metastatico rappresenta invece una realtà che seppur rara (frequenza variabile tra 0,0028-0,55% riportata in letteratura)
possiede un’alta aggressività sia loco-regionale che a distanza con devastanti e poco gestibili conseguenze.
Uno dei fattori di rischio individuati per tale tipo di carcinoma è l’insorgenza a livello del capo e del collo. Quasi sempre questi pazienti
presentano una storia di recidiva loco regionale e di multiple escissioni chirurgiche spesso associate a radioterapia complementare. Gli
organi più frequentemente colpiti da metastasi sono i polmoni, le ossa e il fegato. Il carcinoma basocellulare metastatico presenta una
175
sopravvivenza media di 10 mesi. Si riporta il caso di un uomo di razza caucasica di 59 anni giunto presso la Nostra Clinica con anamnesi di diversi interventi chirurgici escissionali per un carcinoma basocellulare ricorrente a livello della regione frontoparietale. Il paziente era inoltre stato sottoposto a radioterapia.
Al momento dell’osservazione si apprezzava nuova importante recidiva locale con interessamento della teca cranica e delle meningi segnalata da TAC cranica. La gestione del paziente avveniva in collaborazione con i Colleghi Maxillo facciali e Neurochirurghi. Metastasi
polmonari venivano individuate con Rx torace a circa 3 mesi dall’intervento di eradicazione del tumore ed il paziente seppur in terapia
chemioterapia decedeva dopo solo 8 mesi.
Utilizzo dell’associazione precostituita calcipotriolo-betametasone dipropionato unguento in
pazienti affetti da psoriasi volgare di grado lieve e/o moderato: la nostra esperienza
• Calcaterra R, Soda R, Nisticò S, Saraceno R, Ricozzi I, Zangrilli A, Chimenti S
Clinica Dermatologica, Università di Roma “Tor Vergata”
I farmaci ad uso locale rivestono un ruolo molto importante nel trattamento della psoriasi di grado lieve e/o moderato (PASI ≤ 10). I trattamenti topici convenzionali comprendono: i cheratolitici, i preparati a base di catrame, i derivati della vitamina D3, i retinoidi, e i corticosteroidi. Ultimamente sono stati introdotti nuovi farmaci che prevedono l’associazione precostituita di due principi attivi, in passato
utilizzati separatamente. In particolare l’associazione precostituita calcipotriolo-betametasone dipropionato permette di sfruttare sinergicamente l’effetto antiproliferativo e regolarizzante la differenzazione cellulare cheratinocitaria dei derivati della vitamina D e l’azione
anti-infiammatoria e immunosoppressiva locale dello steroide.
Questa associazione ha portato sostanziali vantaggi in termini di rapidità di azione, efficacia clinica e tollerabilità, garantendo la stabilità e la biodisponibilità ottimale di entrambi i principi attivi. Precedenti trials clinici multicentrici europei e canadesi hanno dimostrato,
dopo mono-applicazione giornaliera del prodotto per 1 mese, una riduzione del 70% del PASI iniziale in pazienti con psoriasi lieve/moderata. Scopo di questo studio è stato quello di valutare l’efficacia e la tollerabilità di un’associazione precostituita calcipotriolo-betametasone
diproponiato in unguento in pazienti affetti da psoriasi di grado lieve e/o moderato. A tal fine, 85 pazienti affetti da psoriasi di grado
lieve e/o moderato sono stati arruolati e trattati, durante la fase di attacco (30 giorni) con l’associazione precostituita di calcipotriolo-betametasone dipropionato unguento 1 volta/die, seguita da una fase di mantenimento (60 giorni) con il solo calcipotriolo crema 2 volte/die.
I pazienti sono stati sottoposti a visita medica quindicinale nella prima fase e poi mensile nella fase successiva, ad ogni visita è stato valutato il PASI e il grado di tollerabilità e soddisfazione del paziente. Degli 85 pazienti arruolati (PASI medio iniziale 5,4) abbiamo ottenuto
dopo 1 mese di terapia una riduzione del PASI iniziale del 65% con un grado di tollerabilità ed accettazione da parte del paziente buona e in alcuni casi ottima.
Imiquimod nei tumori cutanei avanzati
• Caliendo V, Lista P*, Ronco AM, Pau S, Giacone E, Soltani S, La Rovere E*, Ellena G, Macripò G
Dermatologia 1 ASO San Giovanni Battista di Torino; *Oncologia Medica ASO San Giovanni Battista di Torino
Imiquimod (Aldara) è un immunomodulatore commercializzato come crema al 5% per uso topico con indicazione nel trattamento dei
conditomi genitali. Imiquimod promuove l’attività antivirale ed antitumorale inducendo la produzione di citochine promuoventi la risposta immune cellulo-mediata, interleuchina 12, interferone gamma (IFN-γ) ed interferone alfa (IFN-α). Molteplici studi clinici hanno dimostrato l’efficacia di Imiquimod anche nel trattamento di neoplasie cutanee quali il carcinoma basocellulare, sia piano che nodulare ed
il Paget extra-mammario. In queste neoplasie l’approccio tradizionale di tipo chirurgico garantisce di solito un’alta percentuale di guarigione, con morbilità accettabile. Tuttavia nella pratica clinica è possibile osservare situazioni ove il trattamento chirurgico non è praticabile per l’estensione o la sede della lesione o per le condizioni cliniche del paziente. Abbiamo trattato con Imiquimod due pazienti di
78 e 93 anni alla diagnosi affette da basalioma localmente avanzato, recidivato dopo chirurgia e radioterapia. In entrambi i casi non vi
era indicazione chirurgica. Il farmaco è stato applicato una volta al giorno per cinque giorni a settimana, per sei settimane. In una delle due pazienti si è osservata una riduzione >25% della lesione tumorale. Abbiamo trattato inoltre una terza paziente, di 69 anni alla
diagnosi, affetta da Paget vulvare localmente avanzato, interessante tutta l’emivulva di sx, dalla piega inguinale fino a due cm oltre la
linea mediana, non suscettibile di trattamento chirurgico o radioterapico perché coesistente un’anchilosi fissa d’anca omolaterale. Do-
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
po un’iniziale schedula di 5 volte alla settimana, Imiquimod è stato somministrato tre giorni a settimana, per un totale di otto settimane. In questa paziente si è osservata una riduzione >50% della lesione tumorale. È in corso un esame istologico delle aree in remissione e si prevede una rivalutazione chirurgica della lesione ridimensionata. Come effetti collaterali sono stati riferiti bruciore e sanguinamento nella sede di applicazione. Non si sono osservate sovra-infezioni clinicamente evidenti. Imiquimod può avere un ruolo nel trattamento dei casi di basalioma e nella malattia di Paget extra-mammaria, non suscettibili di altro trattamento locale.
Tinea pedis bollosa da Tricophyton violaceum con reazione idica
• Calò D, Ghilardi A, Abbate L, Romano C
Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche, Sezione di Scienze Dermatologiche, Siena
Viene presentato, per la rarità dell’agente patogeno isolato, il caso di una donna di 26 anni affetta da tinea pedis bollosa da Trichophyton
violaceum seguita da reazione idica.
La paziente, di ritorno da un viaggio in Mar Rosso, aveva presentato una lieve desquamazione interdigitale associata a vescico-bolle ai
piedi, soprattutto sulla superficie mediale di quello sinistro. In quest’ultima sede la paziente riferiva di aver riportato un’abrasione da
corallo. Trattata, senza risposta con terapie steroidee topiche, veniva sottoposta ad esame micologico microscopico diretto, che metteva in luce ife dermatofitiche, e ad esame colturale che consentiva di isolare Trichophyton violaceum.
Dopo due settimane dalla prima visita, si osservavano numerose vescicole a livello palmare che venivano ascritte a reazione idica, per la
negatività dell’esame micologico e la successiva scomparsa dopo terapia con antimicotici sistemici.
La tinea pedis bollosa è di solito causata da Tricophyton mentagrophytes e, meno spesso, da Epidermophyton floccosum e Tricophyton
rubrum. Questa è, a quanto ci risulta, la prima segnalazione di tinea pedis bollosa da Tricophyton violaceum.
Bibliografia
• Romano, C., Massai, L., Difonzo, E.M. (2000) Dermatophytosis due to Trichophyton violaceum in Tuscany from 1985 to 1997. Mycoses
43: 169-172.
Amartomi fibrolipomatosi precalcaneali congeniti
• Cambiaghi S, Galloni C, Cavalli R, Restano L
Istituto di Scienze Dermatologiche, Ospedale Maggiore e Università di Milano
Vengono riportati 4 pazienti pediatrici affetti da fibrolipomatosi precalcaneale congenita. Si tratta di un’insolita patologia cutanea di verosimile natura amartomatosa ad andamento benigno. È raramente riportata nella letteratura internazionale con casi clinici sporadici o
piccole serie di pazienti in cui viene descritta con gli appellativi più diversi: fibrolipomi congeniti, papule podaliche, cuscinetti calcaneali adiposi congeniti bilaterali, noduli adiposi plantari congeniti bilaterali, noduli plantari anteromediali benigni infantili. Si presenta dalla nascita con un nodulo di 1-2 cm di diametro, localizzato alla superficie plantare del tallone e disposto in modo bilaterale e simmetrico. I noduli sono molli-elastici e non destano sintomatologia dolorosa alla palpazione; non sembrano creare disturbi alla deambulazione. Il quadro clinico è stereotipato ed è solitamente sufficiente a porre una corretta diagnosi. La diagnosi differenziale si pone con gli emangiomi infantili profondi, l’igroma cistico, l’amartoma fibrolipomatoso del nervo mediano, il nevo lipomatoso, la fibromatosi aponeurotica plantare di Ledderhose e le papule piezogeniche. Lo studio ecografico, l’ecocolordoppler e la transilluminazione delle lesioni nodulari sono metodiche non invasive e utili per escludere le più frequenti tra queste patologie. L’esame istologico, da effettuarsi in caso di
persistente dubbio diagnostico, mostra una lesione nodulare costituita da tessuto adiposo maturo e fibre collagene che occupa il derma profondo e l’ipoderma. Il decorso naturale delle lesioni è mal noto, ma se ne suppone la persistenza. Solitamente non è necessaria
alcuna terapia; un’asportazione chirurgica potrà essere eseguita in caso di sintomatologia soggettiva o disturbo funzionale.
177
Fotochemioterapia topica gel PUVA: farmacocinetica e vantaggi clinici (GIFDE)
• Cametti M, Annali G, Delrosso G, *Boni M, *Pieri F, *Giuliani L, Leigheb G
Clinica Dermatologica Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro” Novara
*Servizio di Farmacia Ospedale “Maggiore della Carità” Novara
La fotochemioterapia topica PUVA è da noi utilizzata, generalmente con buona risposta terapeutica, nel trattamento di patologie infiammatorie croniche cutanee sia con esposizione agli UVA parziale sia total body. L’impiego costante di preparazioni galeniche a base
di 8-metossipsoralene (8-MOP) da associare a successiva esposizione UVA, ha dimostrato carenze quanto a maneggevolezza del preparato
e ad una uniforme distribuzione del principio attivo (classicamente una crema base).
Gli Autori propongono nuove formulazioni galeniche in gel evidenziandone vantaggi farmacocinetici ed in ordine all’utilizzo clinico.
Protoporfiria eritropoietica: descrizione clinica, ultrastrutturale e genetica di un caso (GIFDE)
• Cametti M, Bornacina G, Boggio P, Gattoni M, Bertero M, Annali G, Leigheb G
Clinica Dermatologica Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro” Novara
La protoporfiria eritropoietica (PPE) fu identificata nel 1961 da Magnus e coll.. Essa è determinata da un deficit parziale di ferrochelatasi (fech), carattere trasmesso con modalità autosomica dominante. Tale deficit determina un accumulo di protoporfirina IX negli eritrociti e nel plasma venendo poi escreta con la bile nelle feci. Clinicamente l’accumulo a livello cutaneo determina una spiccata fotosensibilità
con eruzioni eritemato-edemato-purpuriche fin dall’infanzia. Gli Autori descrivono il quadro clinico, ultrastrutturale in microscopia ottica ed elettronica ed assetto genetico di un caso esemplare.
Iperidrosi idiopatica plantare e tossina botulinica: risultati di uno studio clinico aperto
• Campanati A, Bernardini ML, Offidani A
Clinica Dermatologica Università Politecnica delle Marche
Background: l’introduzione della tossina botulinica nel trattamento dell’iperidrosi idiopatica focale ha radicalmente modificato il management del paziente iperidrotico. Sebbene in letteratura siano presenti numerosi studi che attestano l’efficacia ed il profilo di sicurezza
della tossina botulinica nell’iperidrosi focale idiopatica ascellare e palmare, pochi dati emergono circa il suo impiego in caso di localizzazione plantare.
Obiettivi: scopo del presente studio è quello di valutare l’efficacia ed il profilo di sicurezza della tossina botulinica nel trattamento delle forme plantari di iperidrosi focale idopatica.
Materiali e metodi: 10 pazienti affetti da iperidrosi focale plantare grave venivano inclusi in uno studio clinico aperto.
Ad ogni paziente veniva somministrata una dose di tossina botulinica variabile (100-180 MU) a seconda dell’estensione dell’area iperidrotica. L’andamento di malattia veniva valutato attraverso l’impiego di Minor’s test sia prima che dopo la somministrazione del farmaco (settimane 0 e 2) e nel periodo di follow-up alla 4a, 8a, 12a e 16a settimana dopo il trattamento.
Veniva inoltra valutata la qualità di vita dei soggetti sottoposti al trattamento ed il suo andamento nel periodo di follow-up, attraverso
l’impiego del test DLQI.
Risultati: l’indice DLQI ed il Minor’s test mostravano un significativo decremento dai valori medi riportati prima del trattamento ai valori medi calcolati alla 2a settimana (p<0,001) che persistevano significativamente inferiori ai livelli iniziali nel periodo di follow-up fino
alla 12a settimana.
Non si verificava la comparsa di effetti collaterali degni di nota nei pazienti sottoposti al trattamento.
Conclusioni: la tossina botulinica rappresenta un trattamento terapeutico efficace per l’iperidrosi idiopatica del distretto plantare, anche se la durata degli effetti appare meno prolungata nel tempo rispetto a quella conseguibile in caso di trattamento del distretto ascellare o palmare.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Micosi fungoide follicolare e radioterapia ad elettroni veloci: a proposito di un caso
• Campanati A, Bernardini L, Offidani A
*Clinica Dermatologica - Università politecnica delle Marche
La micosi fungoide follicolare (MFF) rappresenta una variante clinico-istologica rara della micosi fungoide, caratterizzata dalla presenza
di un infiltrato neoplatico T helper CD4+, dotato di spiccato epidermotropismo, con risparmio dell’epidermide interfollicolare ed assenza di depositi di mucina.
Dal punto di vista prognostico tale variante clinica presenta un atteggiamento più aggressivo della forma classica, ed appare meno responsiva alle terapie convenzionali a causa della disposizione profonda, perifollicolare dell’infiltrato neoplastico.
Gli autori presentano un caso di micosi fungoide follicolare, documentata mediante esame istologico, immunoistochimco e molecolare ed i risultati terapeutici ottenuti con la somministrazione di radioterapia ad elettroni veloci.
L’utilizzo dell’Imiquimod 5% nel trattamento dei carcinomi basocellulari superficiali e nodulari
• Campione E, Marulli GC, Bianchi L, Chimenti S
Clinica Dermatologica, Università degli Studi di Roma Tor Vergata
In questo studio riportiamo la nostra esperienza clinica sull’utilizzo dell’imiquimod crema al 5% nel trattamento di carcinomi basocellulari superficiali e nodulari primitivi e recidivanti.
Sono stati arruolati 25 pazienti con un età media di 45-75 anni, la diagnosi è stata posta in base a criteri clinici, dermoscopici e in casi
selezionati è stata eseguito esame istopatologico. Le lesioni trattate includevano 36 carcinomi basocellulari superficiali e 10 nodulari localizzati a livello della testa, del tronco e degli arti.
Lo schema terapeutico prevedeva un’applicazione quotidiana del farmaco per 5 giorni consecutivi per un periodo di 12 settimane.
Dai risultati ottenuti abbiamo osservato la remissione completa in 36 carcinomi basocellulari superficiali e in 4 nodulari. La remissione
parziale (riduzione =>50% sia del diametro che dello spessore della lesione) è stata ottenuta nei 4 carcinomi basocellulari nodulari. Gli
effetti collaterali consistevano in eritema, edema, erosione e desquamazione comparsi per lo più nella prima settimana di terapia. A distanza di 30 mesi di follow-up non sono state osservate recidive.
Gli effetti terapeutici dell’imiquimod sono correlati all’aumentata produzione di numerose citochine come l’IFNα, IL1,6,8,10,12 e del
TNFα. Inoltre l’imiquimod stimola le cellule Natural Killer, la proliferazione dei linfociti B e la migrazione delle cellule di Langherans dall’epidermide ai linfonodi satelliti ed attraverso la stimolazione dei linfociti T-helper (Th-1) a produrre IFNγ l’imiquimod favorisce la morte delle cellule neoplastiche e la memoria immunologica. Il nostro studio conferma l’efficacia terapeutica dell’imiquimod come trattamento medico alternativo nei carcinomi basocellulari superficiali e nodulari con buoni risultati in termini di accettabilità cosmetologica
e compliance da parte dei pazienti.
L’isotretinoina nella terapia dell’acne: effetti sulla superficie oculare
• Cannavò SP, *Aragona P, Guarneri F, Ricciardi D
Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio - Sezione di Dermatologia (Direttore: Prof. B. Guarneri); *Dipartimento Specialità Chirurgiche - Sezione di Oftalmologia (Direttore: Prof. G. Ferreri), Università di Messina
Premesse: l’isotretinoina è uno dei farmaci più attivi per il trattamento dell’acne, ma la sua somministrazione per via orale è associata
ad una serie di effetti collaterali, tra cui alterazioni della superficie oculare.
Obiettivi: valutare la funzione della superficie oculare in pazienti acneici sottoposti a terapia con isotretinoina.
Pazienti e Metodi: sessanta soggetti, di sesso maschile, età media = 22.5±5.2, affetti da acne di grado severo, sono stati divisi in due
gruppi: gruppo A (30 pz.) trattato per 120 giorni con isotretinoina orale alla dose di 0,5 mg/kg/die, e gruppo B (30 pz.) sottoposto a terapia topica con lo stesso farmaco (crema 0,05%) in monosomministrazione, per lo stesso periodo.
All’inizio, durante il trattamento e al termine di esso (follow-up 30 giorni) sono state condotte visite oculistiche ed eseguiti i seguenti test: BUT, colorazione corneale alla fluoresceina, test di Schirmer I, test per la secrezione lacrimale basale, esame del fundus; è stato, inoltre, affidato a ciascun paziente un questionario per il rilevamento dei sintomi oculari subiettivi.
Per l’analisi statistica sono stati utilizzati lo Student’s T-test e il Mann-Whitney U-test.
179
Risultati: solo il gruppo A ha mostrato riduzioni statisticamente significative della secrezione lacrimale basale e del BUT dopo 120 giorni di trattamento, reversibili al follow-up di controllo; da nessuno dei soggetti sono stati riferiti segni di discomfort oculare.
Conclusioni: questo è il primo studio controllato che dimostra una riduzione, statisticamente significativa, della funzione lacrimale, pur
in assenza di sintomi clinici subiettivi. Gli Autori, pertanto, suggeriscono l’utilità dello studio della secrezione lacrimale nei pazienti in
trattamento con isotretinoina per os, soprattutto nei soggetti predisposti a stati di sofferenza della superficie oculare, quali quelli sottoposti ad altri trattamenti farmacologici (estro-progestinici, beta-bloccanti, benzodiazepine) o portatori di lenti a contatto.
Aggravamento di psoriasi volgare indotto da propafenone: observatio princeps
• Capella GL
Milano
Uomo 73-enne, affetto da una forma lieve di psoriasi volgare da oltre 50 anni (morfe larvate genucubitali, profusa desquamazione del
cuoio capelluto, unghie “a ditale da cucito”, ipercheratosi palmoplantare), in terapia con felodipina per ipertensione arteriosa, e sottoposto a cardioversione farmacologica (verapamil per via endovenosa) a seguito di insorgenza di tachicardia parossistica sopraventricolare (TPSV) gravemente sintomatica. Trattamento di mantenimento alla dimissione: propafenone, 450 mg/giorno per via orale. Durante il mese successivo si manifestava rapidamente un viraggio della psoriasi dalle ordinarie morfe torpide ad una forma essudante con aspetti di pustolazione iniziale, interessante circa il 30% della superficie cutanea. Benché l’imputabilità del propafenone fosse stata sospettata in base a criteri circostanziali, il cardiologo curante ritenne necessaria la prosecuzione del trattamento con questo farmaco. La psoriasi risultò resistente ai trattamenti topici ordinari. Fu pertanto istituita terapia con metotrexate (MTX), 7,5 mg/settimana per os, con regressione rapida, ma solo parziale, delle lesioni cutanee. Dopo 2 mesi, a un cauto tentativo di sospensione del propafenone, associato
a mantenimento con MTX, 2,5 mg/settimana, faceva seguito la risoluzione totale della dermatosi. Purtroppo, dopo un mese il propafenone dovette essere reintrodotto per una recidiva della TPSV, con immediata recidiva della psoriasi estesa malgrado l’effetto del dosaggio residuo di MTX. Dopo ulteriore consulto cardiologico, il propafenone veniva finalmente sostituito con la flecainide, 100 mg/giorno, e nel volgere di due settimane la psoriasi ritornò al suo ordinario aspetto larvato, che mantiene tuttora, dopo oltre dieci mesi.
Il propafenone è un farmaco antiaritmico appartenente alla classe Ic di Vaughan-Williams (bloccanti del canale del Na+), indicato nella
tachicardia e nelle extrasistoli ventricolari, nella TPSV, nonché nella sindrome di Wolff-Parkinson-White. In precedenza non sono mai
stati descritti casi di induzione/aggravamento della psoriasi riconducibili a questa molecola. È peraltro risaputo che il propafenone condivide alcune proprietà farmacologiche con gli antiaritmici di classe II, ossia i beta-bloccanti, il “potenziale psorigenico” dei quali è ben
noto. Secondo il metodo Francese per la valutazione degli effetti collaterali dei farmaci, l’imputabilità intrinseca del propafenone nel
caso presente era classificabile in categoria “I3” (imputabilità verosimile). Vengono discusse le possibilità di reazioni crociate e di induzione di psoriasi da parte di altri antiaritmici (tra cui la flecainide medesima!). Viene inoltre sottolineata la possibilità di contrastare aggressivamente le reazioni, anche gravi, indotte da farmaci insostituibili, in luogo dei troppo diffusi atteggiamenti astensionistici dipendenti da valutazioni prudenziali e “difensive” di carattere non medico.
Fototerapia UVA1 a medie dosi nel trattamento del granuloma anulare disseminato (GIFDE)
• Capezzera R, Zane C, Sala R, Calzavara-Pinton PG
Divisione di dermatologia, Spedali Civili di Brescia
Introduzione. Il granuloma anulare è caratterizzato istologicamente, dalla presenza di granulomi necrobiotici e, clinicamente, da lesioni tipiche papulose disposte ad anello. L’eziologia rimane sconosciuta ed il meccanismo patogenetico sembra legato ad una reazione di ipersensibilità di tipo ritardato verso antigeni cutanei non ancora definiti in cui le cellule infiammatorie inducono degenerazione
della matrice. Le forme localizzate tendono a regredire sia spontaneamente che con terapia topica steroidea mentre le forme disseminate si dimostrano scarsamente responsive alle terapie convenzionali (corticosteroidi, sulfoni, retinoidi, ciclosporina, talidomide). Recentemente, alcuni casi si sono dimostrati responsivi a PUVA terapia.
Obiettivo. Valutare l’efficacia della fototerapia UVA1 a medie dosi come trattamento del granuloma anulare disseminato.
Metodi. 4 pazienti affetti da una forma disseminata di granuloma anulare sono stati sottoposti giornalmente a 50 J/cm2 di UVA1 per 5
giorni alla settimana. La terapia è stata eseguita fino a remissione della patologia per un totale di 30 sedute e un dosaggio cumulativo
finale di 1500 J/cm2.
Risultati. 3 dei 4 pazienti trattati hanno mostrato una completa remissione della dermatosi; 1 paziente ha interrotto volontariamente
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
il trattamento dopo poche sedute. La terapia è stata ben tollerata e, in nessun caso, sono stati osservati effetti avversi di rilievo a breve
termine. A distanza di 6 mesi dal termine del trattamento non sono state rilevate recidive della dermatosi.
Conclusioni. La terapia con UVA1 sembra rappresentare una sicura ed efficace alternativa terapeutica per il granuloma anulare nella forma disseminata.
L’attività terapeutica sembra essere correlata agli effetti diretti che la radiazione UVA1 esercita sulle cellule infiammatorie infiltranti la cute.
Terapia combinata con luce monocromatica ad eccimeri UVB 308 nm (M.E.L. Excilite™)
nella vitiligine
• Capriotti E, de Felice C, Saraceno R, Nisticò SP, Hagman J, Chimenti S
Clinica Dermatologica - Università di Roma Tor Vergata
La vitiligine è un disordine acquisito della pigmentazione che si manifesta prevalentemente nell’1-4% della popolazione mondiale. Le
terapie tradizionali comprendono corticosteroidi topici, intralesionali e sistemici, farmaci fotosensibilizzanti topici, PUVA sistemica, fototerapia
UVB 311nm a banda stretta, depigmentazione definitiva, trattamenti chirurgici (minigrafting, suction blister grafting, innesto di cute
autologa). Di recente, è stato descritto l’impiego della fototerapia con la luce monocromatica ad eccimeri UVB 308 nm e del tacrolimus
unguento. L’obiettivo dello studio, condotto per 12 settimane, è stato di valutare l’efficacia della fototerapia con luce monocromatica
ad eccimeri UVB 308 nm (M.E.L. Excilite™) nella vitiligine, sia in monoterapia che associata a trattamento topico o con kellina 3% lozione o con tacrolimus 0.1% unguento. 24 pazienti (11 uomini e 13 donne), affetti da vitiligine localizzata non segmentale, sono stati
selezionati in tre gruppi. Un gruppo è stato posto in trattamento settimanale con M.E.L. UVB 308 nm combinata con kellina 3% lozione, una volta al giorno; un altro ha effettuato terapia settimanale con M.E.L. UVB 308 nm e applicazione quotidiana di tacrolimus 0.1%
unguento; nell’ultimo, come casi-controllo, i pazienti sono stati trattati una volta a settimana con M.E.L. UVB 308 nm. In considerazione dei risultati emersi, proponiamo la fototerapia con luce monocromatica ad eccimeri UVB 308 nm come una valida opportunità nel
trattamento della vitiligine localizzata, sia in monoterapia che in combinazione con farmaci ad azione fotostimolante od immunomodulante,
in termini di efficacia, tollerabilità, riproducibilità nel tempo.
Una proposta di trattamento degli epiteliomi basocellulari nodulari e ulcerati con 5-ALA
per uso intralesionale
• Cappugi P, Rossi R, Mavilia L, Reali EF, Mori M, Cappuccini A, Campolmi P
U.O Fisioterapia Dermatologica, DPT Scienze Dermatologiche, Università di Firenze
Da quando Kennedy e coll. nel 1990 introdussero in terapia fotodinamica una nuova molecola (l’acido 5-aminolevulinico) per uso topico, molti sono stati gli sviluppi sulle sue potenziali applicazioni ma soprattutto sulla tecnica. Pur non esistendo un protocollo standardizzato
tuttavia l’applicazione di 5-ALA quattro ore prima dell’illuminazione con luce blu o rossa ha mostrato ottimi risultati in termini di guarigione clinica delle lesioni. L’introduzione di nuovi fotosensibilizzanti, derivati dell’ALA (metil aminolevulinato) ha introdotto ulteriori miglioramenti nella tecnica, riducendo inoltre, grazie alla sua maggiore lipofilicità, il tempo di applicazione a tre ore. I risultati ottenuti sono molto incoraggianti, soprattutto per cheratosi attiniche ed epiteliomi superficiali. Di contro per lesioni “spesse” la combinazione del
farmaco ad un parziale dubulking mediante laser a CO2 o curette o l’aggiunta di DMSO o di EDTA al veicolo sembrano migliorare i risultati in termini di guarigione clinica.
La somministrazione per via intralesionale del profarmaco potrebbe aumentare la penetrazione dello stesso nelle lesioni più profonde
ma non è stata ancora impiegata in sperimentazioni cliniche. Riportiamo la nostra tecnica e la nostra esperienza clinica.
181
Reticoloistiocitosi multicentrica con lesioni cutanee simulanti un pioderma gangrenoso
• Caputo R, Passoni E, Marzano AV, Alessi E
Istituto di Scienze Dermatologiche, Università di Milano - I.R.C.C.S. Ospedale Maggiore, Milano
Una donna di 64 anni giunge alla nostra osservazione per la comparsa da alcuni mesi di lesioni cutanee reminiscenti un pioderma gangrenoso, localizzate al cuoio capelluto, tronco ed arti, associata a sintomi sistemici quali febbre, marcata astenia e tosse stizzosa.
L’esame istologico di una lesione del braccio evidenzia una infiltrazione dermica in prevalenza perivascolare di elementi istiocitari mononucleati e monomorfi a citoplasma vacuolizzato con una scarsa quota di cellule linfoidi.
L’immunoistochimica rivela un fenotipo CD68/KP1+, CD68PGM1+, CD1a-, S100-, Fattore XIIIa-, degli elementi infiltranti che ne conferma
l’origine istiocitaria.
Infiltrati analoghi sono stati riscontrati, nei mesi precedenti l’osservazione, in occasione di ablazione di neoformazioni ossee di tibia, ginocchio sinistro, regione calcaneare sinistra e trocanterica destra e su prelievi bioptici eseguiti in laringe e trachea per disturbi della fonazione.
Le indagini bioumorali di routine evidenziano l’elevazione degli indici di flogosi mentre risultano nella norma i parametri immunologici
e i marcatori tumorali. La valutazione strumentale con TAC addominale e toracica ad alta risoluzione, esofagoduodenoscopia e biopsia
osteo-midollare è negativa. Le prove di funzionalità respiratoria mostrano una sindrome disventilatoria mista con discreta riduzione della diffusione alveolo-capillare del monossido di carbonio, compatibile con interstiziopatia polmonare mentre la radiografia del cranio, del
bacino e degli arti superiori e inferiori evidenziano solo alterazioni artrosiche di lieve entità.
La paziente viene sottoposta a terapia con prednisone in combinazione con methotrexate che determina risoluzione delle lesioni cutanee. Tuttavia, data la tendenza del quadro cutaneo alla recidiva in seguito a riduzione della terapia steroidea, si introduce dapsone con
buona risposta clinica.
Il caso, di difficile inquadramento, viene classificato come reticoloistiocitosi multicentrica (tipo lipodermoartrosi), una forma di istiocitosi non-Langerhans, che colpisce prevalentemente soggetti adulti dopo i 40 anni, e che è caratterizzato dall’associazione di manifestazioni cutaneo-mucose di tipo papulo-nodulare, artropatia di variabile severità e coinvolgimento viscerale. La prognosi di tale patologia
dipende dalla gravità delle localizzazioni sistemiche e dalla possibile comparsa, segnalata in circa un terzo dei casi, di un tumore solido
o, più raramente, di una malattia linfoproliferativa, peraltro finora esclusi nella nostra paziente.
L’interesse del caso risiede, oltre che nella rarità di tale forma, nella presentazione ulcerativa delle manifestazioni cutanee simulante un
pioderma gangrenoso, a nostra conoscenza, mai descritta in letteratura.
Metastasi cutanee da adenocarcinoma della rete testis
• Carcagnì MR, Poggiali S, De Aloe G, Rubegni P
Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche; Sezione di Dermatologia - Università di Siena
Riportiamo il caso di un agricoltore di 67 anni giunto alla nostra osservazione per la presenza di una placca eritematosa, di colorito roseo, a margini ben delimitati, non essudante, locata a livello della regione pubica. Erano altresì presenti numerose neoformazioni nodulari
di diametro variabile da pochi mm a 1 cm, sia nel contesto della placca che ai margini della stessa. L’esame obiettivo evidenziava inoltre a livello dello scroto la presenza di una massa con un’area di retrazione centrale, indolente e di consistenza lignea alla palpazione associata a linfoadenopatia omolaterale. Il paziente riferiva di aver notato un progressivo aumento di volume del testicolo nel corso dei due
anni precedenti. Un prelievo bioptico da uno dei noduli consentiva di evidenziare l’infiltrazione del derma e del sottocutaneo da parte
di un adenocarcinoma scarsamente differenziato con aree di muco intracellulare. Dagli esami ematochimici emergeva un incremento dell’antigene carcino embrionario (CEA), mentre, una tomografia assiale computerizzata confermava la presenza di una massa testicolare
in assenza di infiltrazione dei tessuti molli e di metastasi linfonodali pelviche, addominali o retroperitoneali. Il paziente veniva quindi sottoposto ad orchiectomia radicale destra e linfoadenectomia inguinale omolaterale. L’esame istologico eseguito sul pezzo operatorio rilevava la presenza di un adenocarcinoma della rete testis infiltrante il didimo, l’epididimo, il funicolo spermatico e la vaginale. Alla microscopia elettronica erano presenti tipiche cellule epiteliali con nuclei dotati di profonde incisure e citoplasmi ricchi di mitocondri. Il paziente è stato quindi sottoposto a trattamento polichemioterapico.
L’adenocarcinoma della rete testis è un tumore estremamente raro di cui in letteratura sono stati riportati ad oggi meno di 50 casi. Alcuni tumori della rete testis, ed in particolare il coriocarcinoma ed il leiomiosarcoma possono occasionalmente dar luogo a metastasi
cutanee, sia per contiguità che per via ematogena. A quanto è dato a noi sapere in letteratura non sono segnalati invece altri casi di me-
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
tastasi cutanee da adenocarcinoma della rete testis.
Bibliografia
• Ameur A, el Haouri M, Lezrek M, Beddouch A.Cutaneous metastasis revealing a testicular choriocarcinoma Prog Urol. 2002 Sep;12(4):6901.
• Gillner J, Kirchberg K, Korge B, Hunzelmann N, Krieg T, Scharffetter-Kochanek K Cutaneous metastases from a leiomyosarcoma of the
testicular tunica albuginea Hautarzt. 2000 Jan;51(1):41-5
Infiltrazione condro-cutanea di carcinomi epiteliali: aspetti eradicativi e ricostruttivi
• Caresana G, Roffi G*, Magnani M*
Servizio Ospedaliero di Dermatologia, U.O. Otorinolaringoiatrica* - Istituti Ospitalieri di Cremona
I carcinomi basocellulari ed i carcinomi spinocellulari localizzati in sedi critiche, quali il padiglione auricolare o la piramide nasale, se non
asportati tempestivamente, possono infiltrare le strutture cartilaginee sottostanti la cute. Tale evenienza pone al dermochirurgo un duplice ordine di difficoltà: eradicativo e ricostruttivo. L’infiltrazione cartilaginea, al di fuori dei casi di tumori epiteliali manifestamente destruenti, può essere sospettata ma non predeterminata con certezza attraverso la sola valutazione clinica preoperatoria. Per quanto riguarda invece l’estensione dell’infiltrazione cartilaginea del tumore, non è mai predeterminabile clinicamente nella sua entità e nelle
sue diramazioni, ed anche le indagini di diagnostica per immagini più fini: ecografia, tomografia computerizzata o RMN hanno un limite
dimensionale di risoluzione che non consente di evidenziare le infiltrazioni periferiche di sottili travate di cellule neoplastiche. È pertanto prudente, nei casi di neoplasie infiltranti le strutture cartilaginee sottocutanee, o sospette tali, microtopografizzare i margini di resezione chirurgica, per poter reintervenire in modo preciso e mirato in caso di exeresi incompleta della neoplasia, oppure microtopografizzare e/o differire la ricostruzione dopo avere acquisito la conferma istologica della radicalità dell’exeresi chirurgica. Per quanto riguarda gli aspetti ricostruttivi, nei casi di neoplasie (carcinomi squamosi in particolare) estese a livello del padiglione auricolare, spesso
non è possibile effettuare la ricostruzione della breccia chirurgica per semplice avvicinamento dei margini, ma è preferibile estendere la
breccia chirurgica secondo una conformazione stellata con cunei a forma di “V” multipli, che consentono la ricostruzione della morfologia, seppur rimpicciolita, del padiglione auricolare, evitandone la distorsione. Per quanto riguarda gli aspetti ricostruttivi post exeresi
di carcinomi epiteliali infiltranti la piramide nasale, carcinomi basocellulari in primis, può essere necessario, per la riparazione del difetto condro-cutaneo e per ripristinare l’integrità funzionale ed estetica, ricorrere all’impiego di lembi peduncolati, allestiti e trasferiti da distretti ed unità estetiche attigue, come le guance, o più dislocate, come la fronte, oppure combinare tecniche di chirurgia ricostruttiva,
con lembi di vicinanza provenienti dalla piramide nasale, associate a tecniche di chirurgia induttiva, mediante impiego di sostituti cutanei autologhi in coltura tissutale.
Umoralismo e patogenesi dei tumori cutanei
• Caresana G
Servizio Ospedaliero di Dermatologia - Istituti Ospitalieri di Cremona
La medicina ippocratica nata in Grecia nel V secolo a.C. dall’emancipazione della medicina teurgica, si fondava sulla teoria degli umori
(sangue, flemma, còlera e atrabile), illustrata da Polibio, genero di Ippocrate, nel trattato Sulla natura dell’uomo (databile tra il 410 ed
il 400 a.C.), suggestivamente consonante con la dottrina di Empedocle (483-423 a.C.) dei quattro elementi fondamentali: fuoco, acqua,
aria, terra, formulata nell’opera Della natura. In questo contesto concettuale le patologie cutanee venivano prevalentemente interpretate come epifenomeni conseguenti a discrasie umorali. La rappresentazione umoralista della storia naturale delle neoplasie cutanee, unita alla confusione tra neoplasie cutanee primitive e localizzazioni cutanee di neoplasie viscerali era di ostacolo ad un corretto approccio
alla comprensione della storia naturale delle neoplasie cutanee, la cui varietà semeiologica e pigmentaria trovava un’intuitiva corrispondenza con la diversa tipologia degli “umori corrotti”, tra cui prevaleva come espressione di malignità l’atrabile o bile nera, che per
“ebollizione e polluzione”, si manifestava sulla cute e poteva causare ulteriori localizzazioni, anche nonostante l’asportazione del cancro, interpretate come ristagno umorale. L’umoralismo ha costituito per più di due millenni ciò che il filosofo della scienza Kuhn definisce il paradigma di una disciplina scientifica, cioè la cornice concettuale all’interno della quale gli scienziati ragionano quando cercano
di risolvere i problemi della loro disciplina. Nel XVII secolo la nuova filosofia della natura di tipo quantitativo indusse, anche in ambito medico, la ricerca di un nuovo paradigma che si espresse nel modello iatrofisico di Cartesio (1596-1650), fautore di una visione biomeccanicistica
183
del corpo umano. Tuttavia Cartesio non seppe superare, nella spiegazione dei tumori, la teoria umorale che vedeva il cancro come una
malattia generale fin dall’inizio, dovuta ad un parossismo della diatesi melancolica ed ebollizione interna dell’atrabile, con polluzione di
questa in tumori locali, ma si limitò a sostituire alla galenica bile nera l’umore lattescente fluente nei vasi linfatici scoperti nel 1622 dal
cremonese Gaspare Aselli. L’umoralismo venne definitivamente superato quando il pensiero scientifico medico venne riformulato nel
XIX secolo sulla base del paradigma della patologia cellulare di Rudolf Virchow, nel cui contesto vennero declinate anche le nuove discipline neoumoraliste, endocrinologia ed immunologia, fondate rispettivamente da Claude Bernard (1850) e Il’ja Mečnikov (1884).
Adenomatosi erosiva del capezzolo: descrizione di un caso
• Castello M, Berardi L, Albertuzzi S, Ardigò M, Vignini M, Mosca M, Paulli M*, Borroni G
Clinica Dermatologica dell’Università di Pavia e *Istituto di Anatomia Patologica dell’Università di Pavia, IRCCS Policlinico San Matteo,
Pavia
L’adenomatosi erosiva del capezzolo è una rara neoplasia benigna dei dotti galattofori. La presentazione clinica può ricordare il morbo
di Paget mammario. Infatti, all’esame obiettivo, si osservano lesioni eritematose, ulcerate accompagnate da esiti crostosi, localizzate,
nella maggior parte dei casi, ad un solo capezzolo. I sintomi più frequentemente associati sono prurito, bruciore e dolore.
Istologicamente la lesione si presenta come una proliferazione dei dotti ghiandolari galattofori caratterizzati da una parete a doppio
strato di cellule epiteliali colonnari. Qualora la presenza della proliferazione dei dotti a parete a doppio strato non sia evidente nelle sezioni in esame, risulta indispensabile, ai fini della diagnosi, l’utilizzo di colorazioni immunoistochimiche (actina, vimentina, proteine gliofibrillari acide). Il sesso più colpito è quello femminile e il picco d’incidenza si verifica nella quinta decade d’età. La terapia di elezione è
l’exeresi chirurgica del capezzolo.
Vi presentiamo il caso di una donna di 40 anni giunta alla nostra osservazione per la presenza, da circa due anni, di lesioni erosive crostose e pruriginose con aspetto papillomatoso vegetante al capezzolo destro. In seguito a biopsia cutanea è stata posta diagnosi di adenomatosi erosiva del capezzolo e la paziente è stata sottoposta a exeresi chirurgica seguita da ricostruzione.
Bibliografia
• Miller L, Tyler W, Maroon M, Miller OF. Erosive adenomatosis of the nipple: a benign imitator of malignant breast disease. Cutis 1997;
59: 91-92.
• Montemarano AD, James WD. Superficial papillary adenomatosis of the nipple: a case report and review of the literature. J Am Acad
Dermatol 1995; 33: 871-875.
Dermatite da Cheyletiella nell’uomo: descrizione di 4 casi
• Castello M, Berardi L, Albertuzzi S, Vignini M, Mosca M, Borroni G
Clinica Dermatologica dell’Università di Pavia, IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia
La dermatite da Cheyletiella è una patologia cutanea frequente negli animali domestici (cane, gatto e coniglio) causata dall’infestazione dall’acaro Cheyletiella spp. Nell’animale si manifesta con desquamazione accompagnata da prurito.
Gli acari Cheyletiella spp possono raramente causare una dermatite pruriginosa nell’uomo, caratterizzata dalla presenza di lesioni papulose
e da grattamento. L’acaro non è reperibile sulla cute umana in quanto non è in grado di riprodurvisi. Le lesioni nell’uomo si localizzano
preferenzialmente nelle sedi di più frequente contatto con l’animale, e regrediscono senza trattamento specifico nell’arco di due settimane trattando l’animale contagiato.
È giunta alla nostra osservazione una famiglia composta da padre, madre e due figli, uno dei quali affetto da sindrome di Down. Tutti i
componenti della famiglia presentavano da oltre tre mesi lesioni papulose accompagnate da prurito intenso, con estese lesioni da grattamento diffuse a tutto l’ambito cutaneo, escluso il volto. Inoltre il paziente, affetto da sindrome di Down, presentava lesioni eritematose
essudanti diffuse a tutto l’ambito cutaneo, per le quali è stato necessario ricorrere alla terapia steroidea per via generale. Il veterinario aveva già posto diagnosi di dermatite da Cheyletiella parasitovorax, ed iniziato conseguente trattamento sul cane da oltre due mesi.
Abbiamo seguito tutti i componenti della famiglia per circa due mesi trattandoli con antistaminici per via generale e steroide topico. Per
tutto il periodo di osservazione il cane è stato trattato secondo le indicazioni del veterinario.
È stato necessario proseguire la terapia locale in tutti i componenti della famiglia per circa due mesi per ottenere la remissione del quadro clinico.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
All’ultima visita (gennaio 2004) nessun componente della famiglia presentava segni di malattia.
Bibliografia
• Wagner R, Stallmeister N. Cheyletiella dermatitis in humans, dogs and cats. Br J Dermatol 2000; 143: 1110-1112.
• Rivers JK, Martin J, Pukay B. Walking dandruff and Cheyletiella dermatitis. Am Acad Dermatol 1986; 15(5): 1130-1133.
Un caso di melanoma acromico
• Castigliego L, Amato L, Chiarini C, Palleschi GM, Urso C*, Fabbri P
Dipartimento di Scienze Dermatologiche - Università degli Studi di Firenze; *UO Anatomia Patologica - Osp. Santa Maria Annunziata -Firenze
Un uomo di 51 anni è giunto alla nostra osservazione nel marzo 2003 per l’insorgenza in sede calcaneare destra di una neoformazione esofitica, cheratosica, del diametro di pochi cm, senza sintomatologia soggettiva associata comparso da circa 6 mesi. Nelle settimane successive tale lesione è progressivamente aumentata di dimensioni con variazione cromatica dal rosa chiaro al violaceo, e si associava
ad una linfoadenopatia inguinale destra. Al momento della nostra osservazione il nodulo calcaneare presentava una forma ovalare,
mammellonata, un colorito rosso vinoso, consistenza duro-condroide e delle aree ipercheratosiche giallastre. Durante il ricovero gli esami di laboratorio evidenziavano un aumento dell’LDH (459 U/L) e una normale concentrazione sierica dei più comuni markers paraneoplastici. L’esame istopatologico condotto sulla lesione nodulare, documentava una malignità anaplastica infiltrante il derma e una
successiva indagine immunoistochimica dimostrava che queste cellule anaplastiche erano S100+, HBM45+ e citocheratine. La radiografia del torace e il successivo esame TC rivelarono la presenza di nodularità in sede basale sinistra e lobare superiore destra. Sulla base dei dati clinici, strumentali e soprattutto istopatologici è stata posta diagnosi di melanoma acromico allo stadio IV.
Il melanoma acromico costituisce una rara variante clinica del melanoma che necessita di una diagnosi differenziale con altre lesioni nodulari sia di natura benigna che maligna. La sua prognosi non differisce da quella del melanoma pigmentato, per cui diventano di fondamentale importanza l’esame istopatologico e immunoistochimico della lesione, associati ad una attenta valutazione clinica e strumentale del paziente. Riportiamo il caso per la sua rarità e per la difficoltà di una diagnosi precoce, il cui ritardo si ripercuote negativamente sulla prognosi.
Bibliografia
• Kock SE, Lange JR. Amelanotic melanoma.: The great masquerader. J Am Acad Dermatol 2000; 42: 731-4.
• Adler MJ, White CR Jr. Amelanotic malignant melanoma. Semin Cutan Med Surg 1997; 16: 122-30.
Azitromicina nella antibiotico-profilassi in chirurgia ambulatoriale dermatologica
• Ceccarini M, Bachini L, Bagnoni G, Biondi A, Pomponi A
U.O. di Dermatologia Presidio ospedaliero di Livorno - Azienda USL 6 di Livorno - Direttore M. Ceccarini
Gli Autori illustrano e discutono i risultati ottenuti utilizzando l’azitromicina nella profilassi delle infezioni postchirurgiche in un ambulatorio dermochirurgico.
I risultati riguardano uno studio fatto su 180 pazienti operati sia in zone a rischio di infezione che in zone non a rischio e suddivisi in due
gruppi, di cui solo uno sottoposto a profilassi.
Il costo della prevenzione nel melanoma cutaneo
• Ceccarini M, Bachini L, Bagnoni G, Biondi A, Eberle O, Pomponi A, Vitolo M
U.O. di Dermatologia Presidio ospedaliero di Livorno - Azienda USL 6 di Livorno - Direttore M. Ceccarini
Gli autori riferiscono la loro esperienza nell’organizzazione di attività di prevenzione del melanoma cutaneo e cercano di capire quanto
questo costi e quanto consenta di risparmiare.
185
Impiego di matrice di rigenerazione dermica in paziente psoriasico affetto da epiteliomi diffusi
• Ceccarini M, Bagnoni G, Pomponi A
U.O. di Dermatologia Presidio ospedaliero di Livorno - Azienda USL 6 di Livorno - Direttore M. Ceccarini
Gli autori riferiscono la loro esperienza sull’impiego di matrice di rigenerazione dermica artificiale effettuato per il trattamento di un
esteso epitelioma di un paziente psoriasico (precedentemente sottoposto a terapia arsenicale, in altra sede), presentante un quadro di
epiteliomi e cheratosi attiniche interessanti pressochè l’intera superficie corporea.
La tecnica del linfonodo sentinella: luci ed ombre
• Ceccarini M, Bagnoni G, Biondi A, Pomponi A
U.O. di Dermatologia Presidio ospedaliero di Livorno - Azienda USL 6 di Livorno- Direttore M. Ceccarini
La tecnica del linfonodo sentinella, nata come superamento della dissezione linfonodale elettiva (ELND), si basa su principio che ad ogni
regione cutanea corrisponda una ben definita area di drenaggio linfatico, che si dirige sempre inizialmente in un linfonodo specifico, detto linfonodo sentinella (SN), la cui istologia dovrebbe quindi riflettere quella del resto del distretto linfonodale d’appartenenza.
Sarebbe dunque risparmiata la morbilità della ELND, e resa possibile la somministrazione di terapie adiuvanti ai pazienti in una fase precoce, prima dello sviluppo di metastasi linfatiche clinicamente rielevabili, e la rimozione di una fonte di possibile disseminazione metastatica.
I dati della nostra casistica (110 pazienti negli anni 1997-2003) per quanto l’esiguità del campione considerato non ci permetta considerazioni definitive, confermano la bassa morbilità e l’alto valore predittivo di tale tecnica ed evidenziano come la ripresa di malattia
spesso si verifichi sotto forma di metastasi in transit.
Linfoma cutaneo T pleomorfo a medie e grandi cellule: un caso clinicamente pleomorfo
• Citarella L, Bergamin A, Papoutsaki M, Mazzotta AM, Bianchi L, Chimenti S
Clinica Dermatologica - Università di Roma Tor Vergata
Il linfoma cutaneo è una neoplasia linfocitaria che si presenta clinicamente sulla cute e che non manifesta disseminazione extracutanea
al momento della diagnosi e nei 6 mesi successivi. Sebbene nei casi tipici il quadro clinicopatologico sia diagnostico, in alcune manifestazioni cliniche la diagnosi può essere più difficile per la presenza concomitante di altre patologie dermatologiche che ne possono alterare l’aspetto.
Presentiamo il caso di una donna di 35 anni giunta alla nostra osservazione per la presenza di lesioni nodulari al cuoio capelluto e lesioni
eritemato-crostose essudanti al volto. Sul resto del corpo si osservavano numerose placche infiltrate ed ulcerate estremamente pruriginose che però a livello femorale assumevano un aspetto figurato a bordi netti lievemente rilevate sul piano cutaneo di colorito roseo e
finemente desquamanti. La paziente era affetta anche da dermatite atopica grave ed era portatrice di un severo deficit dell’espressione orale e della funzione uditiva oltre che di deformazioni ed handicap fisici.
Gli esami ematochimici mostravano leucocitosi con linfopenia, lieve anemia e VES aumentata. Le indagini strumentali evidenziavano il
coinvolgimento delle stazioni linfonodali latero-cervicali, ascellari ed inguinali verosimilmente di carattere reattivo ed escludevano il coinvolgimento di altri distretti extracutanei. Sottoposta a prelievo bioptico cutaneo in zone del corpo con differenti aspetti clinici (cuoio capelluto, regione centrodorsale e femorale sinistra), il reperto istologico morfologico ed immunoistochimico risultava essere univoco e
mostrava un infiltrato linfoide denso, caratterizzato dalla presenza di numerose cellule pleomorfe di medie e grandi dimensioni frammiste
a piccoli linfociti di natura reattiva. La maggioranza delle cellule atipiche erano positive per il CD2, CD3, CD5 ed il BF-1 e negative per
il CD8, CD10, CD30, CD56, CD79a ed il TIA-1. L’esame molecolare del riarrangiamento dei geni IgH e TCR ha mostrato un pattern monoclonale per il TCR e policlonale perl’IgH, confermando così il fenotipo T della neoplasia. In base al quadro clinico-patologico è stata
posta diagnosi di linfoma cutaneo T pleomorfo a medie-grandi cellule. Pertanto la paziente è stata avviata a cicli di polichemioterapia
prima secondo il protocollo CHOP e successivamente con l’infusione associata di vinorelbina e gemcitabina con regressione del quadro
clinico.
Tale variante di linfoma cutaneo è considerata come la trasformazione in linfoma T a medie e grandi cellule della micosi fungoide in stadio tumorale e come tale va considerata e trattata. Inoltre la presenza nella stessa patologia di segni clinici differenti sottolinea l’impor-
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
tanza della correlazione del quadro clinico con quello patologico e della opportuna procedura bioptica.
Incisione cutanea con generatore di risonanza molecolare: esperienza personale
• Cogo M
Casa di cura “Villa Berica” - Vicenza
Scopi del presente lavoro sono:
• Illustrare una nuova metodica di incisione cutanea
• Dimostrare la buona guarigione delle ferite per 1a intenzione
• Discutere i vantaggi di tale metodica
Materiale: lo strumento utilizzato si chiama Vesalius; è un bisturi elettronico che sfrutta il principio della risonanza molecolare, per il quale quantità definite di energia elettrica ad alta frequenza, opportunamente modulate, producono la rottura dei legami proteici senza
causare aumento eccessivo della temperatura.
Tecnica chirurgica: viene descritta la tecnica chirurgica per la realizzazione di incisioni cutanee lineari e per la asportazione di ellissi cutanee. Le ferite chirurgiche sono state tutte suturate con punti staccati in monofilamento di nylon. Le suture sono state asportate dopo un tempo variabile a seconda della sede, da un minimo di 5 gg sulle palpebre a un massimo di 12 gg al dorso.
Casistica: sono state asportate 28 neoformazioni cutanee da 22 pazienti, distribuite in varie sedi:
2 lipomi (2 pazienti - arti superiori); 2 cisti sebacee (2 pazienti - dorso); 6 xantelasmi (3 pazienti - palpebre); 11 nevi melanocitari (9 pazienti - torace, arti, glutei); 1 melanoma maligno (1 paziente - coscia); 4 carcinomi basocellulari (3 pazienti - torace, collo); 2 carcinomi
spinocellulari (2 pazienti - torace).
Metodo di studio: i pazienti sono stati controllati in occasione della rimozione della sutura e dopo un mese dall’intervento. Parametri
di giudizio applicati: insufficiente alle ferite non chiuse al momento della asportazione delle suture; sufficiente alle ferite chiuse ma che
si sono aperte in seguito a causa di trazione; buono alle ferite chiuse ma con stria rossa dopo un mese; ottimo alle ferite chiuse con sottile linea cicatriziale dopo un mese.
Risultati:
• 1 ferita insufficiente (cisti sebacea del dorso);
• 2 ferite sufficienti (nevi dermici dei glutei);
• 16 ferite buone;
• 9 ferite ottime.
Discussione e conclusioni: i vantaggi di questa metodica a mio avviso sono:
• velocità di esecuzione;
• precisione della incisione;
• sanguinamento assente o esiguo;
• emostasi accurata;
• guarigione veloce con minimi esiti;
• impegno ridotto e minimo strumentario che permettono all’operatore di eseguire l’intervento in ambulatorio senza aiuto esterno.
Proposte ricostruttive dopo asportazione chirurgica di tumori benigni e maligni palpebrali
e dell’area oftalmica
• Colombo E, Dardano F
Divisione Di Dermatologia, Ospedale S. Andrea - Vercelli
La zona oftalmica e palpebrale hanno un equilibrio estetico delicato e la loro complessità anatomico - funzionale rende più indaginosi
l’atto chirurgico e la ricostruzione in tali sedi.
Rispetto ad altre unità estetiche del volto le tecniche ricostruttive si differenziano, così come i materiali d’uso, lo strumentario chirurgi-
187
co e le metodiche anestesiologiche.
Gli autori presentano, con illustrazione iconografica, tecniche ricostruttive e risultati chirurgici ed “a distanza” con valutazione critica dei
risultati estetici e funzionali.
Cutis marmorata congenita: utilità dell’ecografia cutanea
• Condello M, Di Serio C, Goffredo A, Barone R, Fenizi G
Dermatologia - Ospedali Riuniti di Foggia
La cutis mormorata teleangectasica congenita (CMTC), anche conosciuta col nome di flebectasia congenita generalizzata, nevo vascolare reticolare, livedo reticolare congenita e Sindrome di van Lohuizen, è un raro disordine cutaneo caratterizzato da un pattern cutaneo
vascolare reticolare persistente, segmentale o generalizzato; il colorito varia dal bluastro al rosso porpora. La CMTC è presente alla nascita o poco dopo. Le lesioni più scure spesso mostrano una perdita di sostanza dermica che può essere apprezzata con la palpazione.
In alcuni pazienti può essere presente atrofia epidermica ed anche ulcerazione. Sono stati descritti più di 200 casi. Gli AA presentano un
caso di CMTC in un paziente di sesso femminile che presenta tutti i segni caratteristici della malattia e che è stato seguito nei primi mesi di vita, oltre che con l’ossservazione clinica e le indagini strumentali opportune, anche con l’ecografia cutanea che ha permesso un
monitoraggio “quantitativo” delle lesioni cutanee. Gli AA concludono affermando che l’ecografia cutanea può essere un utile indagine per seguire l’evoluzione delle lesioni cutanee.
Etanercept nel trattamento della psoriasi eritrodermica
• Costanzo A, Mazzotta A, Bianchi L, Papoutsaki M, Nisticò S, Chimenti S
Clinica Dermatologica, Università di Roma Tor Vergata
Etanercept è una proteina di fusione ricombinante composta dalla porzione extracellulare del Recettore p75 del Tumor Necrosis Factor
alfa e dal frammanto Fc delle immunoglobuline. La molecola è stata modificata in modo da renderla estremamanete affine al TNFalfa
solubile. Etanercept è il primo farmaco biologico approvato dalla FDA per iltrattamento dell’artrite psoriasica, e recentemente si è mostrato una notevole efficacia anche nel trattamento delle Psoriasi volgare.
Abbiamo voluto valutare l’efficacia e la tollerabilità dell’Etanercept nel trattamento della psoriasi eritrodermica. 5 pazienti con psoriasi
eritrodermica sono stati quindi trattati con Etanercept al dosaggio di 25 mg sottocute, due volte a settimana per 12 settimane. L’effetto della terapia è stata valutata mediante il calcolo del punteggio PASI e mediante la sommministrazione di un questionario sulla qualità di vita (DLQI). In tutti i pazienti trattati il farmaco ha indotto un miglioramento superiore al 75% del punteggio PASI e del DLQI già
dopo 4 settimane di terapia, miglioramento che si è mantenuto a 12 settimane. Durante il periodo di trattamento non sono stati osservati
eventi avversi. I nostri risultati indicano nella psoriasi eritrodermica una nuova potenziale indicazione per questo farmaco.
Un caso di scleromixedema trattato con fotochemioterapia extracorporea
• D’Oria M, Abbate I, Diana A, D’Ascenzo G, Fimiani M
Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche; Sezione di Dermatologia - Università di Siena
Descriviamo il caso di un uomo di 81 anni affetto da scleromixedema e gammopatia monoclonale (IgG-λ
. ) da circa 7 anni. Nonostante
il paziente fosse da circa 5 anni, in trattamento con immunoglobuline (IV-Ig), negli ultimi mesi si assisteva ad una progressione della malattia e per tale motivo il paziente giungeva alla nostra osservazione. All’esame obiettivo dermatologico erano presenti piccole papule
madreperlacee localizzate prevalentemente al volto, collo, parte superiore del tronco ed arti. A livello delle superfici flessorie degli arti
superiori ed inferiori le papule assumevano una caratteristica disposizione lineare. Alla palpazione la cute appariva indurita e notevolmente ispessita con conseguente impotenza funzionale, soprattutto a carico delle dita delle mani e della bocca (riduzione della capacità di apertura). È stato quindi eseguito prelievo bioptico da cute lesionale che confermava la diagnosi di scleromixedema tutti gli esami ematochimici e strumentali effettuati escludevano un interessamento sistemico della malattia. Sulla base di recenti acquisizioni della letteratura riguardanti l’efficacia della fotochemioterapia extracorporea in 2 pazienti affetti da scleromixedema abbiamo anche noi deciso di intraprendere tale trattamento. I risultati da noi ottenuti dopo 3 mesi di terapia sembrano confermare l’efficacia della fotoferesi
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
in pazienti affetti da scleromixedema.
Lo scleromixedema è un a rara patologia ad etiologia non nota, inquadrata nell’ambito delle mucinosi nel complesso capitolo delle patologie da accumulo. Abbiamo riportato il caso sia per la rarità della dermatosi sia per ribadire l’efficaia della fotochemioterapia extracorporea in tale patologia.
Epidermolisi bollosa acquisita trattata con immunoglobuline
• Dapavo P, Soro E, Albertazzi D, Seia Z, Tomasini C, Pippione M
Clinica Dermatologica II, Università degli Studi di Torino
Il caso riportato riguarda un uomo di 76 anni in buone condizioni generali che presentava da mesi lesioni bollose, su cute flegmasica,
recidivanti, localizzate al cuoio capelluto, alle superfici estensorie degli arti, in particolare alle estremità, alla superficie dorsale del tronco, alla regione inguinale e perianale. In alcune sedi le lesioni bollose lasciavano il posto ad aree esulcerate, di forma tondeggiante, sierogementi. Nikolsky positivo. Erano inoltre presenti esiti cicatriziali con teleangectasie e cisti di milia. Spiccato coinvolgimento delle mucose del cavo orale, delle alte vie digestive e della zona genitale. L’esame istologico di un’area atrofico-cicatriziale mostrava uno scollamento sottoepidermico associato ad un discreto infiltrato infiammatorio linfocitario con rari eosinofili. L’immunofluorescenza diretta su
cute perilesionale separata con soluzione molare di NaCl (tecnica salt split), permetteva la dimostrazione di depositi lineari di IgG e C3
sul pavimento dello spazio di clivaggio. Tali depositi erano altresì evidenziabili in immunofluorescenza indiretta. La ricerca di malattie associate autoimmuni è risultata negativa. Nella norma il metabolismo delle porfirine ematiche ed urinarie. In considerazione del quadro
clinico ed istopatologico si poneva diagnosi di epidermolisi bollosa acquisita (EBA). Il paziente inizialmente veniva trattato con terapia corticosteroidea (metilpredsnisone 0,5 mg/kg) con risultati scadenti e molteplici effetti collaterali (diabete mellito insulino-dipendente, cedimenti somatici vertebrali). Visti gli scarsi risultati, si iniziava una serie di terapie associative con dapsone (100 mg/die), colchicina (1
mg/die), ciclosporina (5 mg/kg/die), azatioprina (100 mg/die), plasmaferesi (4 cicli), della durata variabile da 2 a 7 mesi, mantenendo
sempre bassi dosaggi di metilprednisolone; anche questi approcci non portavano a risultati apprezzabili. Si decideva pertanto di utilizzare le Ig endovena a cicli di 400 mg/kg/die per 5 giorni consecutivi, da ripetere ogni 4 settimane. La risposta a tale terapia è stata soddisfacente, con guarigione delle lesioni preesistenti e limitate recidive (come numero ed entità) tra un intervallo e l’altro.
L’EBA è una malattia autoimmune a decorso cronico e può manifestarsi con quadri clinici variabili. Accanto ad una forma classica localizzata, più frequente, che si manifesta con lesioni bollose insorgenti su cute indenne che prediligono le zone sottoposte a traumatismi,
si annoverano forme infiammatorie generalizzate che simulano il pemfigoide bolloso e forme caratterizzate esclusivamente da lesioni
del volto e del cuoio capelluto, molto simili a quelle osservabili nel pemfigoide cicatriziale di Brunsting-Perry. L’interessamento delle mucose è possibile e talvolta predominante, con aspetti che simulano il pemfigoide cicatriziale. La diagnosi differenziale si pone essenzialmente con il pemfigoide bolloso nella forma infiammatoria generalizzata e con la porfiria cutanea tarda. L’immunofluorescenza diretta
su cute separata mediante soluzione di NaCl e lo studio del metabolismo delle porfirine unitamente alla storia clinica consentono un
rapido orientamento diagnostico. Gli approcci terapeutici con steroidi sistemici ed immunosoppressori possono risultare deludenti, per
cui le Ig vena ad alte dosi costituiscono una valida alternativa terapeutica.La ridotta letteratura presente non permette di giudicare in modo definitivo l’efficacia sulla remissione a lungo termine della patologia.
Bibliografia:
• 1: Jolles S. A rewiev of high dose intravenous immunoglubulin in the treatment of the autoimmune blistering disorders. Clin Dermatol 2001; 26: 127
Malattia di Behçet
• Dapavo P, Soro E, Albertazzi D, Addese C, Tomasini C, Pippione M
Clinica Dermatologica II, Università degli Studi di Torino
Uomo di 64 aa giunge alla nostra attenzione per la presenza da circa tre mesi di multiple lesioni ulcerative localizzate al cavo orale e alla regione genitale progressivamente ingravescenti. Anamnesticamente nell’ultimo anno, si segnalavano analoghe manifestazioni coinvolgenti la mucosa geniena, la mucosa palatina, la mucosa linguale, la mucosa buccale e la regione inguino scrotale, ma di minore entità e tendenti alla risoluzione spontanea con esiti cicatriziali; inoltre si registravano due episodi di dermoipodermite agli arti inferiori interpretati come tromboflebiti superficiali. Le condizioni generali del paziente erano scadenti: anemia spiccata, leucocitosi con neutrofi-
189
lia relativa ed assoluta, indici di flogosi nettamente aumentati, focolai polmonari multipli con reazioni pleurica adiacente, coinvolgimento intestinale con sanguinamento. Abbiamo deciso di sottoporre il nostro paziente ad un prelievo bioptico per un esame istologico, grazie al quale si è evidenziato un quadro di vasculite a ricca componente neutrofilica. In considerazione del quadro clinico ed istopatolgico abbiamo diagnosticato una malattia di Behçet di cui, malgrado la negatività della ricerca dell’antigene HLA B5, vengono soddisfatti i criteri proposti per la diagnosi. La possibilità terapeutica della talidomide non è stata perseguibile per la concomitante presenza di una polineuropatia periferica attribuibile ad un precedente abuso di alcolici e ad un diabete mellito scompensato, per cui abbiamo impostato terapia steroidea con metil prednisone 40 mg al dì con rapido miglioramento del quadro cutaneo e generale. Ai successivi controlli a distanza di 4 e 8 settimane rispettivamente, malgrado la riduzione del dosaggio steroideo prednisone 25 mg/die), non si
segnala la presenza di nessuna nuova lesione. La malattia di Behçet è un’affezione plurisistemica, considerata come una vasculite ad
eziologia ignota. Presenta manifestazioni cutanee, oculari, neurologiche, articolari, vascolari, pleuro-polmonari, cardiache e intestinali,
olpisce più frequentemente il sesso maschile nella terza decade ed evolve in maniera imprevedibile con periodiche riaccensioni e talvolta esito fatale (perforazione intestinale, meningoencefalite, tromboembolia acuta). Il trattamento è puramente sintomatico mediante l’utilizzo di antinfiammatori (colchicina, solfoni, talidomide, corticosteroidi), immunosoppressori, plasmaferesi e immunoglobuline, a seconda
dell’interessamento d’organo.
Bibliografia
• Chiheb S, Chakib A, Lakhdar H. [Behçet’s disease] Ann Dermatol Venereol. 2003 Jun-Jul;130(6-7):657-63. Review. French. No abstract available.
• Alpsoy E, Uzun S, Akman A, Acar MA, Memisoglu HR, Basaran E. Histological and immunofluorescence findings of non-follicular papulopustular lesions in patients with Behçet’s disease. J Eur Acad Dermatol Venereol. 2003 Sep;17(5):521-4.
• Yasuo M, Miyabayashi H, Okano T, Aoki H, Ichikawa K, Hirose Y. Successful treatment with corticosteroid in a case of Behçet’s syndrome with multiple esophageal ulcerations. Intern Med. 2003 Aug;42(8):696-9.
I filler: sicurezza e limiti dei materiali
• De Carli M - Treviso
Associazione di Dermatologia Clinica
Se l’applicazione diretta di una sostanza sulla pelle impone accorgimenti e prudenza, a maggior ragione, quando si proceda con una manovra iniettiva della sostanza estranea nel contesto della pelle stessa - come avviene negli impianti correttivi ed estetici - accorgimenti e
prudenza devono essere allertati al massimo, ma, mentre per i farmaci ed i cosmetici esiste una specifica normativa sulla sicurezza, diverso è il riferimento per i materiali da impianto, i filler, che possono essere dei composti chimici noti e programmati per altri impieghi,
e quindi classificati in tal senso.
Come valutare, quindi, queste sostanze, quando non siano disponibili, o sufficientemente convincenti, i criteri che, nell’approccio professionale, ci guidano nell’uso dei farmaci (dati provati su ricerca e sperimentazione, con la tutela di un ente garante)?
Esiste una Normativa e Classificazione delle sostanze chimiche, secondo la Direttiva CEE 1967 e successive modifiche, recepita in Italia
con DPR 987/81 (“Chiunque immette sul mercato una sostanza, deve previamente acquisire tutti i dati possibili su nocività e pericolosità del prodotto…”), per le varie classi o categorie di rischio; e sono consultabili, su cartaceo o nei siti web delle Ditte produttrici e/o fornitrici, le Schede di Sicurezza, Safety Data Sheet: ma per quest’ultime, va considerato che a volte la composizione chimica è indicata in
modo generico (segreto industriale) e rassicurante (fattori commerciali).
Esaminando sotto questo aspetto alcuni filler in uso - senza alcun riferimento a criteri di scelta in base a indicazioni e risultati - tra i più
noti, vecchi e nuovi, troviamo:
• i siliconi, o polisilossani;
• il politetrafluoroetilene o GORE-TEX®;
• i gel a base di poliacrilamide;
• l’acido polilattico.
In tutti questi casi si tratta di polimeri, e, quando si usa il polimero, in genere non c’è rischio: è la presenza del monomero, che suscita
l’allarme (tristemente e storicamente noto, ad esempio, nel settore petrolchimico, il monocloruro di vinile, a fronte dell’usatissimo e fidato policloruro di vinile o PVC).
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
I suddetti polimeri, dunque, vengono descritti inerti e stabili nelle normali condizioni d’uso: ma se il materiale viene introdotto nell’essere vivente, con tutte le variabili che la biologia deve farci considerare, può insorgere anche un dubbio sulla stabilità del materiale stesso… Ricordiamo che il tetrafluoroetilene e l’acrilamide sono monomeri inseriti nella Lista B del RoC (Report on Carcinogens, dicembre
2002) come reasonably anticipated to be a human carcinogen; mentre va subito precisato che è invece del tutto rassicurante - ma è cosa nota - un monomero come l’acido lattico.
Nuova formulazione a base di nanosilicio come possibile opzione terapeutica nella psoriasi
lieve-moderata
• de Felice C, Talamonti M, Bergamin A, Capriotti E, Di Terlizzi G, Carrozzo AM, Chimenti S
Clinica Dermatologica - Università di Roma “Tor Vergata”
La psoriasi è una dermatosi eritemato-squamosa a decorso cronico recidivante con un’incidenza del 2-3% nella razza caucasica e prevalenza fino a 5% in alcune aree del mondo. Tale malattia cronica richiede terapie continue, spesso scomode, accompagnate da risultati insoddisfacenti e/o effetti collaterali a lungo termine, con conseguente impatto negativo sulla qualità di vita dei pazienti affetti.
Una varietà di trattamenti topici e sistemici sono disponibili per la psoriasi, quali corticosteroidi, catrame, retinoidi, derivati della vitamina D, PUVA topica e sistemica, fototerapia UVB 311nm a banda stretta, fototerapia con luce monocromatica ad eccimeri 308nm (M.E.L.),
ciclosporina A, esteri dell’acido fumario, methotrexate, e nuovi agenti biologici.
L’obiettivo del nostro studio prospettico è stato di valutare l’efficacia e la tollerabilità di una nuova formulazione a base di nanominerali nel trattamento della psoriasi di lieve e moderata gravità. Il nanosilicio, silicio colloidale allo stato liquido nanomerizzato, viene assorbito in modo istantaneo dai tessuti ed è in grado di ripristinare rapidamente l’ottimale equilibrio idrico delle cellule.
25 pazienti sono stati trattati topicamente con la formulazione spray di nanosilicio, applicata 3-4 volte al giorno per 6 settimane, in
combinazione con la somministrazione sistemica della stessa molecola, 1 compressa 2 volte al giorno per 2 settimane ed 1 volta al giorno per altre 4 settimane.
In conclusione, i nostri risultati propongono tale terapia a base di nanosilicio come nuova opzione terapeutica per pazienti affetti da
psoriasi di lieve-moderata gravità già sottoposti precedentemente ad altre terapie topiche risultate insoddisfacenti, difficili da gestire, e
accompagnate da effetti collaterali.
Granuloma anulare gigante sclerodermiforme
• De Meo M, Coviello C, Amoruso A, Inverardi D, Filotico R, Vena GA
Clinica Dermatologica II – AO Policlinico, Università di Bari
Riportiamo il caso di un uomo di 72 anni che da circa 30 anni presenta lesioni anulari, giganti, localizzate agli arti superiori ed inferiori
con un bordo eritematoso lillaceo ed una zona centrale di colore madreperlaceo di consistenza sclerodermiforme.
Il paziente era affetto da diabete mellito, ipertensione arteriosa ed ipertrigliceridemia. L’ esame istologico metteva in evidenza una “dermatite granulomatosa cronica gigantocellulare a ricca componente linfo-istiocitaria”. Il caso viene presentato come pro-diagnosi per le
sue particolarità cliniche ed istologiche.
Granuloma facciale
• De Meo M, Filotico R, Altobella A, Coviello C, Cassano N, Vena GA
Clinica Dermatologica II – AO Policlinico, Università di Bari
Il granuloma facciale è una dermatite granulomatosa che si presenta in papule confluenti in placche localizzato tipicamente al volto. Alla base del processo è presente una vasculite leucocitoclasica associata da una ricca componente eosinofila.
Riportiamo il caso di una donna di 43 anni che da circa un mese presentava due placche infiltrate una in regione mandibolare destra e
l’altra in sede zigomatica sinistra. Le terapie topiche effettuate non avevano sortito effetti rilevanti. La biopsia cutanea effettuata consentiva di porre la diagnosi di granuloma facciale.
Presentiamo il caso per le sue particolarità cliniche ed evolutive.
191
Epitelioma post-traumatico della gamba destra
• De Padova LA, Pisani C, Lazzeri L, Bilenchi R
Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche, Sezione di Dermatologia; Università di Siena
V.I., donna di 84 anni, giungeva alla nostra osservazione per la presenza di una lesione ulcerata non dolente localizzata a livello del 1/3
distale dell’arto inferiore destro. La paziente riferiva che tale ulcerazione era insorta circa 3 anni prima in seguito ad un traumatismo e
che, nonostante le terapie praticate, non era andata incontro a risoluzione. L’esame obiettivo dermatologico evidenziava a livello del
polpaccio destro una lesione nodulare ulcerata e sanguinante di forma grossolanamente ovalare circondate da un alone eritematoso.
L’esame istopatologico di un frammento della suddetta lesione deponeva per epitelioma squamocellulare a medio grado di differenziazione; veniva pertanto praticata exeresi della lesione e posta diagnosi di epitelioma post-traumatico.
L’epitelioma squamocellulare rappresenta il secondo tumore cutaneo per frequenza dopo l’epitelioma basocellulare; è ormai ben chiaro che il rischio di insorgenza di questa neoplasia è legato principalmente a due fattori: l’esposizione solare cumulativa ed il fototipo. Dalla letteratura non emerge un parere concorde circa il ruolo da attribuire al trauma nel determinismo di questa neoplasia: da alcuni autori è negata la possibilità di insorgenza in seguito ad un trauma unico su cute apparentemente sana, ma accolta la possibilità per un
traumatismo cronico; da altri, invece, è riconosciuto un rapporto diretto tra trauma e cancro, attribuendo alla noxa esterna il significato di fattore capace di rivelare un processo cancerogeno preesistente o latente; da altri infine è ammesso un rapporto di causa ed effetto.
Bibliografia
• M. Depaoli, R. Grasso. Ruolo dei microtraumatismi nella genesi degli epiteliomi cutanei. Giorn It Derm Vener 1982; 117: 213-16
• M. Depaoli, A. Baldi Epitelioma cutaneo post-traumatico. Minerva Dermatologica 1968; 43:270
Un caso di orticaria cronica autoimmune
• Degl’Innocenti D, Caproni M, Cardinali C, Giomi B, Volpi W, Fabbri P
Scienze Dermatologiche, II Clinica Dermatologica, Università degli Studi di Firenze
Presentiamo il caso di una donna di 80 anni, che da circa 7 mesi riferiva la comparsa di lesioni orticariane recidivanti, trattate a più riprese con cicli di terapia antistaminica e cortisonica, senza ottenere il controllo terapeutico della dermatosi. Al momento della nostra osservazione gran parte della superficie cutanea era interessata da numerosi pomfi, confluenti tra loro in chiazze figurate; la paziente inoltre riferiva una intensa sintomatologia pruriginosa, talvolta associata a sensazione di bruciore che si accentuava di sera, soprattutto con
l’aumento della temperatura ambientale. All’anamnesi familiare emergeva che due figli erano affetti da atopia mucosa (asma allergico),
mentre la storia personale era apparentemente negativa. Gli esami ematochimici di routine risultavano negativi, mentre l’inibitore di C1,
le IgE totali e il RAST per inalanti e alimenti erano nei limiti della norma. La ricerca degli ICC, degli autoanticorpi ANA, ENA e anti-H. pylori era negativa. Gli autoanticorpi anti-tireoglobulina erano invece aumentati 1894UI/ml (vn<100), così come gli autoanticorpi anti-perossidasi 775UI/ml (vn<50). All’ecografia tiroidea venivano documentate a carico di entrambi i lobi ghiandolari delle neoformazioni nodulari ipoecogene multiple correlabili con una tireopatia autoimmune.
L’esecuzione dello skin test con siero autologo (ASST) mediante inoculazione intradermica del siero della paziente a diverse diluizioni risultava positivo a 20’ e a 30’. Anche il test di rilascio in vitro di istamina da leucociti di donatori sani (incubati con il siero della paziente
per 40 min a 37°C, poi con metodica fluorimetrica standardizzata viene dosata l’istamina presente nel supernatante) era risultato positivo.
Sulla base degli elementi clinico-morfologici e dei peculiari reperti immunopatologici e sierologici è stata posta diagnosi di orticaria cronica autoimmune ed è stata intrapresa terapia con ciclosporina al dosaggio di 3mg/kg/die per 3 mesi con risoluzione progressiva del
quadro cutaneo. Riportiamo il caso per sottolineare la possibilità di identificare, mediante lo studio accurato del profilo immunologico
del paziente (skin test con siero autologo, test di rilascio di istamina dai granulociti basofili), una nuova entità clinica rappresentata dall’orticaria cronica autoimmune. Questa forma si caratterizza per una maggiore gravità clinica e per l’associazione con disordini autoimmunitari e per una marcata resistenza alla terapia tradizionale, mentre l’utilizzo di ciclosporina a dosaggi consueti risulta abitualmente
di grande utilità pratica.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Bibliografia
• Fabbri P. Immunodermatologia. ISED, Brescia, 2002.
• Grattan CHE, Francis DM, Hide M, Greaves MW. Detection of circulating histamine-releasing autoantibodies with functional properties of anti-IgE in chronic urticaria. Clin Exp Allergy 1991; 21: 695-704.
• Greaves MW. Chronic urticaria. J Allergy Clin Immunol 2000; 105: 664-667.
La flussimetria laser-doppler: principale mezzo di indagine nella valutazione delle sindromi
vascolari acroposte (GIDEV)
• Del Bianco E, Lotti T
Dipartimento di Scienze Dermatologiche - Università degli Studi di Firenze
La cute è riccamente irrorata da una complessa rete microcircolatoria, variamente distribuita nelle diverse regioni corporee e regolata da
numerosi fattori fisici, chimici e biologici. La Flussimetria Laser-Doppler (FLD) è una metodica che utilizza un debole raggio laser (630
nm), che penetra nella cute per uno spessore variabile da 750 a 1500 µm e, grazie all’effetto Doppler degli elementi corpuscolati del sangue, è in grado di fornire un indice semiquantitativo della perfusione cutanea superficiale. Data però l’enorme variabilità di quest’ultima è possibile definire solo un range di normalità ed è necessario valutare le variazioni oggettive del flusso ematico a seguito di stimoli di varia natura (termici, meccanici, chimici, farmacologici). Da qualche anno la FLD è stata utilizzata, sempre più frequentemente, nello studio e nella valutazione delle sindromi vasospastiche digitali. Infatti, l’analisi dei vari parametri forniti dalla FLD (flusso di base, test
da occlusione venosa, test da raffreddamento o riscaldamento) risulta di ausilio nella diagnosi differenziale tra le varie acrosindromi quali l’acrocianosi ed il fenomeno di Raynaud (FR) primitivo o secondario ad altre patologie. Ad esempio, in pazienti affetti da FR lo stimolo freddo induce una vasocostrizione prolungata con tempi di recupero dei valori basali che superano i 15 min.
Un altro campo di utilizzo della FLD è la valutazione della microangiopatia diabetica, sempre mediante l’applicazione di stimoli quali il
riflesso veno-arteriolare e l’iperemia reattiva postocclusiva. Nei pazienti affetti da microangiopatia diabetica associata a neuropatia il riflesso veno-arteriolare risulta ridotto del 50-80% rispetto ai soggetti sani così come risulta ridotta od assente l’iperemia reattiva postocclusiva. Infine la FLD è stata utilizzata anche nello studio dei riflessi veno-arteriolari in corso di insufficienza venosa cronica ed ulcere venose degli arti inferiori dove il riflesso veno-arteriolare è ridotto rispetto ai soggetti sani. La FLD può quindi essere considerata il
supporto diagnostico non invasivo più utile nelle mani del dermatologo per la valutazione delle sindromi vascolari acroposte e complementare all’osservazione e valutazione clinica. La FLD è anche un utile strumento per la valutazione del follow up della terapia in molte patologie in cui la microcircolazione svolge un ruolo importante.
Bibliografia
• Del Bianco E et al., Int Angiol. 2001 Dec;20(4):307-13.
• Braverman IM, Microcirculation 1997 Sep;4(3):329-40
• Malanin K et al., Angiol 1998 Sep; 49(9): 729-33
• Park DH et al., Plast Reconstr Surg 1998 May;101(6):1516-23
• Tur E e Brenner S, Dermatology 1992; 184: 8-11
Diagnostica strumentale nelle acrosindromi: la teletermografia (GIDEV)
• Di Carlo A
Istituto Dermatologico S. Gallicano-IRCCS, Roma
L’impiego della termografia nello studio del microcircolo ha consentito notevoli risultati oltre che nello studio delle acrosindromi (s. di Raynaud, acrocianosi etc.) anche nelle microangiopatie sistemiche e localizzate (diabete, radiodermiti croniche professionali) ed in farmacologia clinica per lo studio dell’attività di farmaci vasoattivi. Il principio di applicazione di questa metodica consiste nel fatto che la temperatura cutanea è espressione diretta della circolazione nutritiva del derma papillare. La sensibilità della metodica è poi notevolmente
migliorata con l’impiego dalla tecnica di termostimolazione che consente di rilevare i gradienti termic attraverso i tempi di ripresa termica (in secondi) anzichè i gradi centigradi delle aree di interesse.
Sulla base di tali conoscenze abbiamo ritenuto utile effettuare uno studio termografico per accertare gli effetti del fumo di sigaretta sul
microcircolo cutaneo di soggetti fumatori sia normotesi che affetti da ipertensione arteriosa.
193
I soggetti fumatori sono stati esaminati prima e dopo ogni sigaretta, per un totale di 4 sigarette fumate consecutivamente, 1 ogni 12
minuti. Al termine di ciascuna sigaretta è stato valutato sia il tempo di ripresa termica dopo termostimolo che la pressione arteriosa
omerale con tecnica ABP (Ambulatory Blood Pressure).
I risultati hanno posto in evidenza significative modificazioni a carico di questi due parametri, facendo rilevare in tutti i soggetti una caduta termica e parallelamente una risalita della pressione arteriosa. Tali effetti sono apparsi significativamente più evidenti dopo la 4a
sigaretta denotando un significativo effetto cumulativo, in particolare nel gruppo degli ipertesi.
Accanto all’interesse scientifico, questi dati possono essere di notevole aiuto nelle campagne di prevenzione del fumo. Infatti la dimostrazione diretta visiva degli effetti del fumo sulla circolazione cutanea che mostra una amputazione termica delle dita a causa della brusca vasocostrizione colpisce lo spettatore anche non esperto.
Patologia da protesi d’arto
• Di Lella E, De Rocco M, Cristaudo A
IFO - Istituto Dermatologico S. Maria e S. Gallicano
Negli ultimi anni le nuove tecnologie hanno permesso di sviluppare materiali “compositi” per la fabbricazione delle protesi d’arto, costituiti da una parte in resina formaldeidica, epossidica o acrilica e da una fase dispersa in fibra di vetro e nylon o carbonio o kevlar, con
tali materiali è possibile costruire due tipi diversi di protesi con invasatura a contatto totale degli arti inferiori e protesi “mioelettriche”
per gli arti superiori.
Nonostante l’utilizzo di tali materiali rimane costante negli anni l’incidenza delle patologie correlate al prolungato contatto di tali apparecchi
con i monconi d’arto; tali patologie possono essere causate dai materiali utilizzati per la costruzione della protesi, dal difettoso adattamento dell’arto alla protesi stessa o da una cattiva fabbricazione della protesi che non permette la giusta aderenza al moncone; fondamentale è, inoltre la corretta igiene sia della protesi che del moncone d’arto; tali condizioni determinano, pertanto, svariate patologie
dermatologiche e quelle da noi osservate sono micotiche, lesioni da ipercheratosi, lesioni ulcerative pseudoneoplasie.
Presentiamo alcuni casi di dermopatia da protesi d’arto di pazienti afferiti al nostro Servizio di Dermatologia Allergologica negli ultimi
anni per richiamare l’attenzione sul problema, per permettere una precoce diagnosi e trattamento della dermopatia e infine per informare su corrette norme preventive al fine di evitare recidive o nuove affezioni dermatologiche.
Bibliografia
• Calum C Lyon,, Jaj Kulkarni, Erik Zimerson, Ernest Vas Ross, Micheal H. Beck. “ Skin disorders in amputees”. J Am Acad Dermatol
2003; 42: 501
Piodermite da Streptococcus anginosus in paziente psoriasico in terapia con ciclosporina:
possibili implicazioni sugli effetti collaterali a lungo termine
• Di Nuzzo S, Martignoni G, Zendri E, Venturi C, De Panfilis G
Clinica Dermatologica, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università di Parma
La ciclosporina (CsA) è un potente immunosoppressore, con specifica azione sui linfociti T, impiegato con successo nei casi di psoriasi
particolarmente estesi e/o poco rispondenti alle terapie convenzionali. Tuttavia, il suo utilizzo può essere gravato da alcuni effetti collaterali, sia nel corso del trattamento (ipertensione arteriosa, alterazione reversibile della funzionalità renale e possibile comparsa di infezioni muco-cutanee), sia a lungo termine (aumentata incidenza di neoplasie cutanee, soprattutto carcinomi spinocellulari).
Riportiamo il caso di un paziente di 42 anni, affetto da psoriasi volgare dall’età di 34 anni, giunto alla nostra attenzione per aggravamento della dermatosi. All’esame obiettivo erano riscontrabili numerose placche eritemato-desquamative al tronco e agli arti, nonché
ipercheratosi e fissurazioni ragadiformi palmari. Data l’estensione del quadro e la presenza di una spiccata componente infiammatoria,
il paziente veniva trattato con CsA alla dose di 3 mg/kg/die. Dopo un mese di terapia permanevano soltanto alcune lesioni di piccole dimensioni agli arti ed una lieve ipercheratosi palmare: pertanto la somministrazione di CsA veniva progressivamente ridotta, fino a sospensione
completa. Dopo una settimana il paziente si ripresentava per la comparsa di placche eritemato-edematose essudanti, parzialmente disepitelizzate, spesso ricoperte da vescico-pustole frammiste a croste in corrispondenza del volto, del tronco, degli arti e delle mani; concomitava intenso prurito. Il paziente veniva ricoverato e sottoposto ad indagini ematochimiche (nella norma a parte un innalzamento di
VES e PCR) e a vari tamponi per esame colturale: cutaneo (positivo per Streptococcus anginosus, Streptococcus agalactiae ed Escheri-
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
chia coli), nasale (positivo per Stafilococcus aureus), faringeo e perianale (negativi). Veniva instaurata terapia con teicoplanina IM 200
mg 2 volte/dì per 8 giorni ed antisettici topici, con risoluzione completa del quadro clinico.
L’utilizzazione di CsA in diverse patologie, non solo dermatologiche, è stata associata ad un aumentato rischio di infezioni muco-cutanee di diversa eziologia. Nel nostro paziente l’effetto immunosoppressivo indotto dalla CsA potrebbe aver favorito la massiccia colonizzazione della cute da parte di diversi batteri, tra i quali lo S. anginosus, abitualmente residenti in sedi extracutanee, e quindi lo sviluppo della piodermite. Allo stato attuale questa rappresenta la prima segnalazione di infezione cutanea da S. anginosus in pazienti
psoriasici trattati con CsA. Ci pare suggestivo sottolineare, a questo proposito, che recentemente è stata rilevata la presenza del DNA
di questo batterio nell’ambito di carcinomi spinocellulari cutanei, con possibile teorica implicazione di un associazione tra lo sviluppo
del tumore e la presenza di S. anginosus. La CsA potrebbe quindi aumentare il rischio di incidenza di tumori cutanei attraverso un effetto immunosoppressivo in grado sia di ridurre l’immunosorveglianza della cute nei confronti di cellule mutate, sia di facilitare la moltiplicazione di microrganismi ipoteticamente in grado di favorire lo sviluppo di lesioni neoplastiche.
Micosi cutanea ulcero-necrotica della gamba: a proposito di un caso da dermatofiti
• Di Serio C, Condello M, Barone R, Goffredo A, Fenizi G
Unità Operativa di Dermatologia, Ospedali Riuniti di Foggia
Le micosi cutanee sono infezioni superficiali, semiprofonde o profonde causate da funghi microscopici. I dermatofiti sono funghi filamentosi
che si riproducono mediante spore; vengono definiti cheratinofili in quanto si sviluppano di preferenza a livello dello strato corneo dell’epidermide e degli annessi. Gli AA descrivono il caso di un paziente di 47 anni, disoccupato, immunocompetente, che ha presentato
un’ampia lesione ulcero - necrotica della gamba sinistra con eruzione vescicolare perilesionale e lesioni disseminate eritemato - vescicolari
in chiazze. L’esame microscopico diretto, su materiale prelevato dal fondo dell’ulcera e dalle lesioni vescicolari periulcerative, era positivo per miceti, mentre l’esame culturale dimostrava la presenza del Trichophyton mentagrophytes. La ricerca di batteri dall’ulcera e dalle altre lesioni era negativo. La terapia specifica con itraconazolo, 200 mg./die per os per 6 settimane, ha condotto alla risoluzione totale dell’infezione. Il caso viene presentato per l’inusuale aspetto clinico del quadro cutaneo.
La dermoscopia nella tungiasi. Osservazione di due casi
• Di Stefani A1, Lozzi GP2, Massone C3, Hofmann-Wellenhof3, Peris K2, Soyer HP3, Chimenti S1
1
Clinica Dermatologica - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
2
Clinica Dermatologica - Università degli Studi de L’Aquila
3
Dipartimento di Dermatologia - Università di Graz, Austria
L’aumento del turismo di massa ha fatto sì che i dermatologi nei paesi occidentali si trovino sempre più spesso al cospetto di una varietà
crescente di malattie tropicali d’importazione. La Tungiasi è una zoonosi provocata dalla Tunga penetrans, un siphonaptero endemico
in paesi tropicali quali Centro e Sud America, Africa Sub-sahariana e Asia centrale. La femmina gravida penetra la cute dove si nutre di
sangue e si infarcisce di uova, che vengono successivamente espulse all’esterno. La Tunga penetrans vive in terreni sabbiosi per cui le sedi più esposte nell’uomo sono i piedi e le estremità inferiori. Mentre nelle aree endemiche la Tungiasi viene facilmente riconosciuta e trattata, alle nostre latitudini la rarità e la mancanza di familiarità con questa infestazione possono determinare problemi di diagnosi differenziale. Riportiamo due casi di Tungiasi, recentemente osservati in una coppia al ritorno da un viaggio in Venezuela, in cui lo studio
delle lesioni cutanee mediante dermoscopia, ha permesso l’evidenziazione di caratteristiche dermoscopiche del tutto peculiari.
195
Trattamento combinato con N-acetil-cisteina ed emodialisi ad alto flusso in un caso di
pseudoporfiria emodialisi-indotta
• Di Stefani A1, Lozzi GP2, Rudolph CM3, Massone C3, Müllegger RR3, Peris K2, Kerl H3, Chimenti S1
1
Clinica Dermatologica - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
2
Clinica Dermatologica - Università degli Studi di L’Aquila
3
Dipartimento di Dermatologia - Università di Graz, Austria
Con il termine pseudoporfiria si indica una dermatosi bollosa sovrapponibile sia dal punto di vista clinico che istologico alla porfiria cutanea tarda (PCT), dalla quale differisce solo per i livelli di porfirine ematiche. Questa condizione è stata associata a diverse cause quali
l’assunzione di farmaci (FANS, antibiotici, diuretici, retinoidi, dapsone, ciclosporina, flutamide e contraccettivi orali), l’esposizione intensa a radiazioni ultraviolette e l’insufficienza renale cronica associata o meno a trattamento emodialitico. Il trattamento della pseudoporfiria
indotta da farmaci e da radiazioni UV, si basa essenzialmente sulla sospensione degli agenti responsabili, mentre le modalità terapeutiche e la corretta gestione clinica dei pazienti affetti da pseudoporfiria associata ad insufficienza renale cronica e/o emodialisi, non sono
ancora standardizzate. Riportiamo il caso di un paziente affetto da una pseudoporfiria emodialisi-indotta, efficacemente trattato mediante
un approccio terapeutico combinato: somministrazione orale di N-acetilcisteina 800mg /die per un mese, associata al passaggio da un
regime dialitico convenzionale a basso flusso (<250ml/min), ad un’emodialisi con membrana in polisulfone ad alto flusso (300ml/min).
Questo trattamento combinato ha determinato una pronta risoluzione del quadro clinico, e non sono state osservate recidive nel successivo periodo di follow-up di 6 mesi.
Il ritorno della sifilide: la nostra esperienza
• Dinotta F, De Pasquale R, Nasca MR, Micali G
Clinica Dermatologica, Università di Catania
L’infezione luetica, sostenuta dal Treponema pallidum subspecie pallidum, è attualmente in progressivo aumento, così come segnalato
da più parti. A livello del nostro bacino d’utenza, che interessa le province della Sicilia orientale, dopo un lungo periodo in cui non si sono osservati nuovi casi di malattia, la sifilide ha cominciato a ripresentarsi a partire dal 1999, dapprima, con casi sporadici ed isolati e via
via, negli anni seguenti, con un numero sempre crescente di nuovi casi. Riportiamo i dati della nostra esperienza, relativa al quinquennio 1999-2003, che riguarda in totale 35 pazienti.
La malattia è stata riscontrata non solo in soggetti giovani, ma anche in pazienti anziani, prevalentemente di sesso maschile. Il livello di
istruzione dei pazienti è risultato medio-alto. La malattia, al momento della prima osservazione clinica, non sempre era riferita a lesioni
del periodo primario dal momento che molti pazienti sono spesso giunti alla nostra attenzione con in atto lesioni tipiche del periodo
secondario, come pure con lue latente casualmente diagnosticata in seguito a screening presso Centri trasfusionali. Il riscontro di concomitante infezione da HIV è stato comunque molto basso.
Abbiamo inteso presentare questo lavoro non solo per riportare l’esperienza della nostra Clinica ma per richiamare ancora una volta
l’interesse su una malattia che, se non ben attenzionata e correttamente diagnosticata, potrebbe passare inosservata. L’incremento numerico di nuovi casi, registrato anche a livello nazionale, dovrebbe spingere al potenziamento sul territorio delle strutture dermatologiche per la prevenzione e cura delle Malattie Trasmissibili Sessualmente.
Caratteristiche chimico-funzionali ed applicazioni cosmetologiche di una nuova classe di
alfaidrossiacidi: i poli-idrossiacidi
• Distante F*, Belmontesi M^
*^Specialista in Dermatologia e Venereologia, *Pavia, ^Vigevano
I poli-idrossiacidi (PHA) sono una nuova classe di ingredienti cosmetici appartenenti alla famiglia degli alfa-idrossiacidi (AHA) con i quali condividono la struttura molecolare di base, caratterizzata dalla presenza di un gruppo idrossile sul carbonio in posizione alfa, e i ben
noti effetti cutanei, tra i quali la stimolazione dell’esfoliazione e dei processi di rinnovamento cellulare, il miglioramento della levigatezza e della luminosità cutanea ed il complessivo effetto antiaging. Dagli AHA si differenziano per caratteristiche proprie grazie alle quali è possibile ampliare le applicazioni cosmetologiche, in termini sia di efficacia che di tollerabilità: dal punto di vista strutturale, i PHA han-
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
no maggiori dimensioni molecolari e un maggior numero di gruppi idrossilici; queste caratteristiche determinano, rispettivamente, una
penetrazione cutanea più lenta e delicata, con elevata tollerabilità anche dalle pelli sensibili, ed una spiccata capacità idratante. Nel lavoro vengono illustrate le proprietà chimico-funzionali delle due molecole rappresentative di questa categoria di sostanze: il gluconolattone e l’acido lattobionico.
Il gluconolattone, per la peculiare struttura ad anello che induce un mascheramento del gruppo acido della molecola, per le proprietà
antiossidanti e per la capacità di rafforzare la funzione di barriera cutanea, risulta maggiormente indicato per le pelli sensibili, anche su
base atopica. L’acido lattobionico si caratterizza per l’elevata igroscopicità, per l’elevato potere antiossidante e chelante dei metalli e
per la sua capacità riparativa: per queste caratteristiche è particolarmente indicato negli stati di secchezza e fotodanneggiamento più
marcati.
I PHA rappresentano pertanto delle molecole di particolare interesse nel trattamento cosmetico in quanto offrono l’opportunità di integrare e modulare le applicazioni cosmetologiche degli idrossi-acidi, in funzione del biotipo e dello stato cutaneo.
Risultati a lungo termine del trattamento della rosacea con luce pulsata ad alta intensità
• Draganic D, Stinco G*
Skin Laser Center - Udine; *Clinica Dermatologica - DPMSC - Università degli Studi di Udine
Negli ultimi anni diversi studi hanno dimostrato l’efficacia dei laser vascolari nel trattamento della rosacea nello stadio teleangectasico.
OBIETTIVO DELLO STUDIO: Ci siamo proposti di valutare l’efficacia della luce pulsata ad alta intensità nel trattamento dell’eritema e delle teleangectasie, e di capire se, con una importante riduzione della componente vascolare, era possibile ottenere anche un miglioramento
del flushing e delle eruzioni papulo-pustolose che persistesse nel tempo. MATERIALI E METODI: Lo studio è stato eseguito su 30 pazienti, 21 femmine e 9 maschi, di età compresa tra 31 e 62 anni, età media di 49 anni, di fototipo I, II e III, affetti da eritema e teleangectasie al volto. Sono stati trattati per 5 volte, una al mese, con una strumentazione non invasiva ad emissione di luce pulsata ad alta
intensità (Vasculight HR®), utilizzando un filtro da 590 nm ed una fluence variabile tra 50 e 55 J/cm2. Per tutto il periodo dello studio i
pazienti hanno utilizzato solo una crema idratante ed uno schermo solare totale. I pazienti sono stati valutati nuovamente dopo 6 e 12
mesi dalla fine del trattamento. Ad ogni paziente è stato distribuito un breve questionario sul risultato del trattamento. RISULTATI: Il
trattamento è stato ben tollerato, gli effetti indesiderati sono stati lievi e transitori e tutti i pazienti hanno ultimato lo studio. Al termine
dello studio nessun paziente presentava teleangectasie e solo in 5 pazienti (17%) permaneva un lieve eritema. I risultati sono durati nel
tempo: dopo un anno in 9 pazienti (30%) erano presenti lieve eritema ed in 7 pazienti (23%) erano ricomparse alcune teleangectasie,
comunque in quantità significatamente minore a quelle presenti nello stesso paziente prima del trattamento. Attraverso i questionari i
pazienti hanno riferito una diminuzione degli episodi di flushing del 80% e del 63% delle eruzioni papulo-pustolose. CONCLUSIONI: Questo studio conferma quanto riportato in letteratura sull’efficacia dei laser o della luce pulsata ad alta intensità nel trattamento della componente eritematosa e teleangectasica della rosacea. La riduzione del numero dei vasi determina anche un miglioramento del flushing
e delle eruzioni di papule e pustole, risultato che sembra durare nel tempo.
Bibliografia
• Taub AF. Treatment of rosacea with intense pulsed light. J Drugs Dermatol 2003; 2: 254-9.
• Jasim ZF, Woo WK, Handley JM. Long-pulsed (6-ms) pulsed dye laser treatment of rosacea-associated telangiectasia using subpurpuric clinical threshold. Dermatol Surg 2004; 30: 37-40.
• Mark KA, Sparacio RM, Voigt A, Marenus K, Sarnoff DS. Objective and quantitative improvement of rosacea-associated erythema after intense pulsed light treatment. Dermatol Surg 2003; 29: 600-4.
Psoriasi e depressione: risultati di uno studio italiano su 2391 pazienti
• Esposito M, Saraceno R, Giunta A, Maccarone M*, Chimenti S
Clinica Dermatologica - Università di Roma Tor Vergata; *Presidente ADIPSO
La Psoriasi è una patologia cronica che interessa dall’1 al 3% della popolazione generale e che in Italia riguarda circa 2 milioni di persone. La malattia è in grado di influenzare significativamente la Qualità di Vita (Qol) dei pazienti, con impatto negativo sul piano fisico,
funzionale e psicologico. Inoltre, il trattamento della malattia è spesso causa di problematiche legate all’efficacia, ai tempi di applicazione
ed ai costi elevati delle terapie. Ne deriva un disagio psicologico provocato soprattutto dalla cronicità della patologia e che, frequente-
197
mente, risulta trascurato e sottostimato. Come dimostrato in un nostro precedente studio, esistono delle caratteristiche della personalità tipiche dei pazienti psoriasici: negli uomini prevale un profilo di personalità aggressiva, nelle donne, invece, emergono tratti di ansia, depressione e somatizzazione. Numerosi autori hanno inoltre descritto il legame tra psoriasi e depressione e la correlazione statistica esistente tra la gravità della malattia e la gravità dei sintomi depressivi, che in alcuni casi possono configurare forme di depressione
maggiore. In collaborazione con L’ADIPSO, nel periodo Febbraio-Marzo 2003, abbiamo condotto uno studio su ampia casistica finalizzato ad esaminare la prevalenza di sintomatologia depressiva nei pazienti affetti da psoriasi utilizzando la scala di valutazione CES-D
(Center for Epidemiologic Studies-Depression scale). I risultati che riporteremo, riguardanti 2391 pazienti (1528 maschi, 863 femmine),
mettono in evidenza l’importanza del fenomeno e le implicazioni che ne conseguono in termini pratici.
Bibliografia
• V.Sciubba, R.Soda, V.Falcomatà, R.Boldrini, L.Bianchi, S.Chimenti. La reattività allo stress nei pazienti affetti da psoriasi. G Ital Dermatol Venereol 2004 (in stampa).
Lo specialista ambulatoriale dermatologo: non solo routine 1
• Fai D, Mancino A, Stasi R, Gabellone M, Malvindi C, Pellè S, Ligori P, Ruggero A, Sodo M, Serratì E, Rinaldi F, Alessandrini G
Collegio Salentino di Dermatologia
L’attività ambulatoriale del dermatologo salentino non è diversa, per qualità e per tipo di patologie osservate, da quella degli altri colleghi altrove ubicati e non infrequentemente deve essere in grado di raccogliere le sfide e gli stimoli che la professione può offrire. Presentiamo una serie di casi clinici osservati durante l’attività ambulatoriale.
Eumicetoma a localizzazione ungueale: un caso clinico
• Fanti PA, Barducci R, Vaccari S, Misciali C, Piraccini BM
• Università degli Studi di Bologna - Dipartimento di Medicina Clinica Specialistica e Sperimentale, Sezione di Clinica Dermatologica (Direttore: Prof. C. Varotti)
Descriviamo il caso di un paziente di 73 anni, giunto alla nostra osservazione per la presenza di una neoformazione ungueale, di aspetto parzialmente necrotico localizzata al terzo dito della mano sinistra.
All’esame obiettivo il paziente presentava una neoformazione nodulare di colorito bruno-nerastro ricoperta da una squamo-crosta cribrata con fuoriuscita di materiale purulento. La lesione è stata asportata chirurgicamente ed è stato eseguito un curettage fino al piano osseo. La ferita è stata medicata con materiale biocompatibile a base di acido ialuronico. L’esame istologico ha evidenziato la presenza
di materiale costituito da siero-croste, infiltrato di granulociti neutrofili, linfociti, plasmacellule, istiociti e di “grani” di batteri e di ife filamentose, risultate marcatamente positive alla colorazione PAS. È stata quindi posta diagnosi di eumicetoma. L’asportazione chirurgica della lesione ha portato alla guarigione completa della neoformazione.
L’eumicetoma è una rara neoformazione causata da una infezione locale, costituita da funghi e da batteri filamentosi, presenti soprattutto nelle aree tropicali e subtropicali, provocata da inoculazione di microrganismi in sedi anatomiche soggette a traumi. Non sono mai
stati descritti in letteratura casi di eumicetoma a localizzazione ungueale. La presenza di “grani” costituiti da ife e batteri filamentosi permette di differenziarlo dal dermatofitoma.
Bibliografia:
• Roberts DT, Evans EG. Subungueal dermatophytoma complicating dermatophyte onychomycosis. Br J Dermatol. 1998 Jan;138(1):
189-90.
• Burkhart CN, Burkhart CG, Gupta AK. Dermatophytoma: recalcitrance to treatment because of existence of fungal biofilm. J Am Acad
Dermatol. 2002 Oct;47(4):629-31.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Ruolo della Malassezia furfur nella patogenesi della psoriasi
• Farro P*, Baroni A*, Buommino E**, Argenziano G*, Ruocco V*, Tufano MA**
*Clinica Dermatologica della Seconda Università degli Studi di Napoli
**Istituto di Microbiologia della Seconda Università degli Studi di Napoli
La comparsa delle manifestazioni cliniche della psoriasi, dermatosi eritemato-desquamativa a carattere cronico recidivante, è legata a fattori genetici ed ambientali. Dal punto di vista patogenetico se da un lato l’alterata adesività tra i cheratinociti favorisce la perdita del
controllo della proliferazione e del differenziamento cellulare, dall’altro i fenomeni infiammatori ed immunitari che accompagnano le manifestazioni psoriasiche sono spesso scatenati ed amplificati da fattori esogeni. Di recente la letteratura scientifica internazionale ha evidenziato l’importanza che hanno le infezioni cutanee nello scatenare o aggravare le manifestazioni cliniche della psoriasi, attraverso
una stimolazione del sistema immunitario di tipo innato. Nell’uomo i recettori Toll-like svolgono un ruolo chiave nella risposta immunitaria di tipo innato; alla loro attivazione da parte della flora batterica e fungina segue la produzione di citochine proinfiammatorie e
peptidi dotati di attività antimicrobica, quali le beta-defensine. Nel nostro studio sui meccanismi patogenetici della psoriasi abbiamo focalizzato l’attenzione sul ruolo svolto dal lievito Malassezia furfur, attraverso l’attivazione dei recettori Toll-like 2 e 4 (TLR-2 e TLR-4) e la
produzione di beta-defensine 2 e 3 (HBD-2 e HBD-3).
A tal fine abbiamo utilizzato in vitro linee di cheratinociti primari stimolati con M. furfur e in vivo biopsie di cute psoriasica positiva per
M. furfur: l’analisi dei trascritti mediante RT-PCR e Western Blotting ha evidenziato in entrambi i casi un’aumentata espressione di TLR2 ed un’aumentata produzione dei peptidi HBD-2 e HBD-3, dimostrando una evidente stimolazione del sistema immunitario di tipo innato da parte del lievito in esame. Tali risultati arricchiscono le conoscenze sul ruolo dei microrganismi presenti sulla cute nella patogenesi della psoriasi, giustificando la possibilità di affiancare ai tradizionali farmaci antipsoriasici sostanze volte al controllo della M. furfur
nei casi in cui è possibile dimostrare la presenza di questo lievito.
Sindrome di Werner: descrizione del 1° caso osservato nella provincia di Cagliari
• Ferreli C, Atzori L, Satta R, Biggio P
Clinica Dermatologica - Università degli Studi di Cagliari
La Sindrome di Werner rappresenta una rara malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva, caratterizzata da instabilità genomica ed esordio precoce di un insieme di disturbi correlati con l’invecchiamento organico, che coinvolgono principalmente la cute, l’occhio, l’apparato osteo-articolare, il sistema endocrino-metabolico ed il sistema cardiovascolare. Il gene la cui mutazione determina la
sindrome è localizzato sul braccio corto del cromosoma 8 e codifica per una proteina funzionale, una DNA elicasi, la cui alterazione
comporta deficit della replicazione e riparazione del DNA. Per gli aspetti dermatologici la sindrome viene collocata tra le progerie ad
esordio tardivo. La distribuzione geografica dei casi documentati di tale sindrome mostra una caratteristica prevalenza in Giappone
(1:130.000), e per l’Europa, nella Sardegna Settentrionale (1:48.466), più esattamente nelle province di Sassari e Nuoro.
Viene descritto il primo caso osservato nella provincia di Cagliari, relativo ad un paziente di sesso maschile, di 31 anni, con anamnesi negativa per matrimoni tra consanguinei. All’esame clinico viene riscontrata una caratteristica facies, sproporzione tra sviluppo antropometrico del tronco e degli arti, ipogonadismo, aspetto sclerodermiforme degli arti inferiori, nel cui contesto, a livello del malleolo interno di sinistra è presente un’ulcera a stampino, con bordi callosi e fondo necrotico, intensamente dolente. All’anamnesi patologica remota viene riscontrato un pregresso intervento per cataratta bilaterale. Gli esami ematochimici e strumentali escludono il diabete, l’osteoporosi e le calcificazioni cutanee, mentre evidenziano marcate alterazioni cardiovascolari, anomale per l’età cronologica del paziente. Sono in corso le analisi delle sequenze del DNA per lo studio genetico, essendo riportate numerose differenti mutazioni nell’ambito del gene WRW.
199
Utilità dello studio immunofenotipico e molecolare nell’inquadramento dei linfomi B
primitivi della cute (CBCL)
• Fierro MT, Quaglino P, Novelli M, Ponti R, Comessatti A, Bernengo MG
Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana. Sezione di Dermatologia. I a Clinica Dermatologica (Direttore: Prof Maria
Grazia Bernengo), Università di Torino
La classificazione proposta dall’EORTC include tre principali sottotipi di linfomi B primitivamente cutanei: centrofollicolare/PCFCCL, immunocitoma/linfoma della zona marginale/PCMZL e linfoma a grandi cellule della gamba/PCLBCL-leg.
Scopo di questo studio è stato definire i criteri di diagnosi differenziale tra PCFCCL e PCMZL, i parametri utili per individuare i linfomi più
aggressivi come il PCLBCL-leg e l’utilità delle indagini di biologia molecolare.
Su un totale di 250 pazienti affetti da linfoma cutaneo a cellule B diagnosticati presso questa clinica, sono stati analizzati 78 pazienti giunti alla nostra osservazione negli anni 2001-2003 con le seguenti tecniche:
• valutazione immunoistochimica dell’espressione di:
- marcatori di linea B e correlati: CD5, CD10, CD19, CD20, CD21, CD22, CD38, CD79A, catene leggere e pesanti delle Ig;
- marcatori di attivazione e proliferazione: CD30, Ki-67;
- fattori di progressione del ciclo cellulare: bcl-2, bcl-6
• caratterizzazione fenotipica mediante citometria a flusso a 4 colori dei linfociti tissutali;
• analisi mediante tecniche di PCR con amplificazione dei loci FR2 ed FR3 delle regioni V-D-J del gene delle catene pesanti delle Ig.
Dei 78 pazienti, 69 sono risultati linfomi primitivi cutanei (54 centrofollicolari, 7 marginali e 8 a grandi cellule della gamba) e 9 secondari. Lo studio fenotipico ha evidenziato la negatività di Bcl-2 nei PCFCCL e la sua espressione in tutti casi di PCMZL e PCLBCL-leg, mentre bcl-6 è risultato assente nei PCMZL e presente negli altri sottotipi.
Un riarrangiamento monoclonale dei geni delle catene pesanti delle Ig è stato individuato nei campioni bioptici di 56/69 linfomi cutanei. I casi negativi erano tutti PCFCCL. L’applicazione degli studi isto-patologici, fenotipici e bio-molecolari ha permesso una prima identificazione delle relazioni esistenti tra espressione di bcl-2, bcl-6 e CD10 suggerendo una loro utilità clinico-diagnostica. In particolare, i
linfomi della zona marginale sembrano caratterizzati da un fenotipo bcl-2+, bcl-6-, CD10-, mentre i linfomi centrofollicolari sono prevalentemente bcl-2-, bcl-6+, CD10-.
Il pattern evidenziato nei linfomi a grandi cellule della gamba (bcl-6+, CD10+), in parte simile a quello dei linfomi secondari, giustifica
il comportamento più aggressivo. Inoltre l’indice proliferativo dei PCLBCL-leg è risultato significativamente superiore a quello degli altri
gruppi (p<0.001). Per quanto concerne il dibattito ancora aperto sull’effettiva rilevanza della sede come fattore prognostico, abbiamo
individuato nell’ambito dei linfomi centrofollicolari alcuni casi con una netta prevalenza di grandi cellule ed una sede diversa dalla gamba: in tutti questi casi il bcl-2 è risultato negativo, come negli altri centrofollicolari, suggerendo quindi un comportamento biologico diverso da quello dei PCLBCL-leg.
Indagine istologica “capillaroscopicamente” guidata nella diagnosi delle connettiviti (GIDEV)
• Filosa G, Bugatti L, De Angelis R, Giangiacomi M
U.O. di Dermatologia Ospedale “A. Murri” ASUR Regione Marche Zona Territoriale N. 5 Jesi
Le connettiviti comprendono un gruppo eterogeneo di malattie caratterizzate da un’ampia varietà di sintomi e segni, accomunate dall’eziopatogenesi autoimmune e dal carattere sistemico. Quindi le manifestazioni cliniche sono di natura sistemica data la localizzazione
ubiquitaria del tessuto nell’organismo. Specialmente nella SSc, la patologia vascolare viene proposta come “sito” primario nell’affezione tissutale. Il tessuto e la parete vasale sono interessati da un processo infiammatorio cronico che conduce a variazioni istologiche del
sistema microvascolare. La capillaroscopia periungueale è una procedura diagnostica molto importante nella diagnosi degli “scleroderma spectrum disorders” (sclerodermia, dermatomiosite, connettivite mista, S. di Sjogren). Alcuni AA. hanno dimostrato, mediante biopsia cutanea periungueale capillaroscopicamente guidata, che >80% dei pazienti con connettiviti hanno variazioni istopatologiche che
interessano la membrana vasale e le aree perivascolari.
Gli AA. riportano la loro esperienza in merito, sottolineando l’importanza diagnostica dei risultati ottenuti dalla comparazione dei dati
capillaroscopici ed istologici periungueali, prospettando un’utilità in senso prognostico, per quanto riguarda gli aspetti evolutivi delle
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
connettiviti.
Bibliografia:
• Von Bierbrauer, P.Barth et al. Electron microscopi and capillaroscopically guided nailfpld biopsy in CTD: detection of ultrastructural
changes of the microcirculatory vessels. British journal of Rheumatology 1998;37:1272-1278.
• Axel F G von Bierbauer, Hans Dieter Mennel et al. Intravital microscopy and capillaroscopically guided nail fold biopsy in scleroderma.
Annals of the Rheumatic Diseases 1996;55:305-310
Tacrolimus unguento nel pemfigoide bolloso localizzato
• Frigerio E, Franchi C, Cainelli G, Altomare GF
Istituto di Dermatologia - O. Galeazzi (Direttore: Prof. G.F. Altomare)
Descriviamo il caso di una donna di 45 anni, in buone condizioni generali, giunta alla nostra osservazione per la comparsa al III inferiore della gamba sinistra di alcuni elementi eritemato-vescico-bollosi a contenuto sieroso. Tali lesioni erano associate ad intenso prurito ed
insorgevano nel contesto di una cicatrice chirurgica esito di 2 pregressi interventi per rottura del tendine d’Achille. L’esame istologico e
l’immunofluorescenza diretta effettuati su cute perilesionale evidenziavano rispettivamente una bolla dermo-epidermica con un infiltrato infiammatorio dermico costituito principalmente da eosinofili e depositi lineari di IgG e C3 alla giunzione dermo-epidermica confermando la diagnosi clinica di pemfigoide bolloso localizzato. Gli esami ematochimici di routine risultavano nella norma e l’immunofluorescenza indiretta era negativa.
Considerata la spiccata atrofia del tessuto cicatriziale abbiamo ritenuto opportuno evitare l’utilizzo di topici steroidei ad elevata potenza ed abbiamo deciso di impostare una terapia locale con tacrolimus 0,1% unguento 2 volte/die in occlusiva ed antistaminici sistemici
per controllare la sintomatologia pruriginosa. Al controllo dopo 2 settimane la manifestazione era migliorata notevolmente con riepitelizzazione delle pregresse bolle e assenza di nuove lesioni, permaneva modesto prurito. Ad 1 mese dall’inizio della terapia la dermatosi andava in completa remissione per cui come mantenimento veniva consigliata un’unica applicazione quotidiana di tacrolimus 0,1%
unguento. Non si sono evidenziate recidive a distanza di 2 mesi.
Il tacrolimus unguento è un immunomodulatore topico che inibisce l’attivazione e la proliferazione dei linfociti T e di altre cellule infiammatorie senza avere, anche per terapie a lungo termine, quell’attività atrofogenica propria dei corticosteroidi. A tutt’oggi è stato principalmente utilizzato nella terapia della dermatite atopica nella quale ha dimostrato la sua efficacia ma diverse sono oramai le segnalazioni, seppur riferite a singoli casi, del suo effetto terapeutico in altre dermatosi infiammatorie immunomediate tra cui il lichen ruber planus, il lichen sclero-atrofico, il pioderma gangrenoso, l’alopecia areata, la psoriasi ecc.
Questo è il secondo caso di utilizzo del tacrolimus unguento nel pemfigoide bolloso localizzato dopo quello riportato nel 2003 da M-J.
Ko et al.(1)
Bibliografia
• M-J. Ko, C-Y. Chu. Topical tacrolimus therapy for localized bullous pemphigoid. Br J Dermatol 2003; 149: 1079-80
Epiteliomi della testa e del collo. Considerazioni clinico-chirurgiche e prognostiche
• Fumo G, Ferreli C, Mugheddu C, *Ledda GP, Aste N, *Puxeddu R
Clinica Dermatologica Università di Cagliari
*Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Trapianti d’Organo - Sez. Otorinolaringoiatrica Università di Cagliari
La localizzazione più frequente degli epiteliomi baso e spinocellulari è a livello della testa con una incidenza stimata in Europa per il carcinoma spinocellulare di 10/20 casi per 100.000 abitanti per anno e per il basocellulare di circa 70 casi/100.000 abitanti per anno.
Gli Autori presentano la casistica relativa alle neoplasie cutanee localizzate alla testa e al collo diagnosticate e trattate presso la Clinica
Dermatologica e la Clinica ORL della Università di Cagliari nel periodo 1991-1999. Vengono considerati l’istotipo, anche in relazione al
fototipo, la distribuzione per sesso, le localizzazioni nelle unità estetiche e le tecniche chirurgiche adottate. Il follow-up minimo calcolato è stato di almeno 3 anni, valutando le percentuali di recidiva, la sopravvivenza globale e quella libera da malattia.
Gli Autori espongono in breve anche i primi dati in loro possesso relativi al periodo 2000-2003.
201
Linfomi cutanei T citotossici e NK
• Gambini D, Spinelli M, Passoni E, Muratori S, Berti E*, Alessi E
Istituto di Scienze Dermatologiche di Milano - Università degli Studi di Milano e Milano Bicocca*
Nel gruppo dei linfomi primitivi della cute, i linfomi T citotossici e NK sono stati riconosciuti come entità clinico-patologiche distinte solo negli ultimi anni e rappresentano patologie rare. Caratteristicamente, le cellule tumorali esprimono alcune proteine associate ai granuli citotossici (TIA-1, Granzyme B, Perforina) e/o markers specifici per le cellule “natural killer”. Attualmente si differenziano cinque
varianti di linfomi T citotossici e NK: il linfoma sottocutaneo simil-panniculitico, il linfoma extranodale a cellule T/NK, nasal type, il linfoma NK blastico, il linfoma T periferico citotossico aggressivo epidermotropo CD8+ e il linfoma T cutaneo periferico gamma-delta. Vengono presentati alcuni casi diagnosticati presso il Centro di ImmunoPatologia dell’Istituto di Scienze Dermatologiche di Milano. Verranno illustrate le principali caratteristiche cliniche, istologiche, immunoistochimiche, di biologia molecolare e citogenetica, insieme ai problemi di classificazione e a cenni di diagnostica differenziale delle diverse entità. Nel loro insieme, i linfomi T citotossici e NK presentano un decorso clinico-prognostico molto aggressivo con elevati tassi di mortalità a pochi anni dalla diagnosi, nonostante la terapia. Per
questi motivi, appare evidente la necessità di differenziarli rispetto agli altri linfomi T cutanei spesso meno aggressivi e a decorso clinico prolungato.
Capillaroscopia: applicazioni in dermatologia (GIDEV)
• Gatti A, Trevisan G
Università degli Studi di Trieste - Dipartimento di Scienze Cliniche Morfologiche e Tecnologiche - Unità Clinica Operativa di Dermatologia e Venereologia
Nella valutazione capillaroscopica vengono descritte le anomalie capillaroscopiche dei capillari, degli spazi pericapillari, dello scorrimento
ematico, e la reazione al freddo.
Le anomalie dei capillari possono essere di tipo quantitativo (meno di nove anse/mm. sta ad indicare una microangiopatia), mentre le anomalie qualitative riguardano la presenza di distrofie minori in numeromaggiore del 15%, la dilatazione dell’ansa, la presenza di distrofie maggiori con i megacapillari e le anse in regressione, le anse filiformi, le teleangectasie, le anse allungate, i microaneurismi e la neoangiogenesi.
Una microangiopatia è usualmente presente nel LES, nella Sclerodermia, nella Panarterite nodosa, nella Dermatomiosite, nella sindrome di Sharp, nella malattia di Sjøgren, nell’Artrite reumatoide, nella malattia di Behçet, nel morbo di Bürger.
La dilatazione venulare inferiore a 30 µm. non ha significato e la dilatazione arteriolare e venulare (<50 µm.) si riscontra nell’Acrocianosi;
se la dilatazione è >50 µm. si tratta di un Megacapillare.
Il Megacapillare è un’ansa molto dilatata e distrofica di diametro maggiore ai 50 µm., e caratterizza alcune microangiopatie organiche:
si ritrovano nella Sclerodermia, nella Dermatomiosite, nella Sindrome di Sharp, nella Overlap syndrome e nell’Intossicazione da polivinile-Cl. Le anse filiformi si ritrovano nel Fenomeno di Raynaud, nell’Anemia, nell’Ipotensione Le teleangectasie sono venule sottopapillari dilatate raggruppate e disposte verticalmente: si osservano nella Sclerodermia e nella Malattia di Rendu-Osler.
Le anse sono allungate se maggiori di 350 µm. e sono di frequente riscontro anche nei soggetti normali: nel LES sono talora maggiori
di 750 µm. I microaneurismi possono essere sacciformi, knobs apicali e laterali e sono di frequente osservazione nel diabete mellito. La
Neoangiogenesi ed Capillari figurati sono ancora un segno di microangiopatia.
Le anomalie degli spazi pericapillari sono caratterizzate dalla presenza di Edema, Emorragie (in rapporto o meno con i capillari), l’Essudato (è predittivo di una cattiva prognosi), il Sudore, il Colore del fondo ed i plessi venosi sub-papillari.
Le anomalie di scorrimento sono la Stasi, il Flusso granuloso ed i fenomeno di Blood sludge.
Le anomalie al freddo sono il Fenomeno dell’estinzione.
L’esame capillaroscopico si basa dunque sulla Descrizione delle anomalie capillaroscopiche e l’Interpretazione delle stesse, valutando i
criteri diretti di microangiopatia (meno di 9 capillari per mm., spiagge deserte, capillari regressivi e megacapillari) ed i criteri indiretti
(edema, emorragie, essudato, blood-sludge).
Possiamo distinguere le angiopatie funzionali, e le angiopatie organiche specifiche ed aspecifiche.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Gestione complessa di un caso di fascite necrotizzante
• Gatti A, Calacione R, Ortenzio S, Martinelli E, Piovesan S, Vernoni S, Sorli R, Trevisan G
Università degli Studi di Trieste - Dipartimento di Scienze Cliniche Morfologiche e Tecnologiche
Unità Clinica Operativa di Dermatologia e Venereologia
La fascite necrotizzante è una forma poco frequente e rapidamente progressiva di infezione a carico dei tessuti molli caratterizzata da
necrosi della fascia superficiale e dei tessuti adiacenti. In passato è stata attribuita esclusivamente a Streptococchi b-emolitici di gruppo
A e Stafilococchi, in realtà è spesso il risultato di un’infezione polimicrobica con coinvolgimento anche della flora batterica anaerobica.
Giungeva alla nostra osservazione un uomo di 76 anni con un arto inferiore destro edematoso, estremamente dolente, con zone necrotiche
circondate da cute necrotica ed iperpiressia.
Il paziente è stato sottoposto ad esami ematochimici di routine, esame urine completo, prove emogeniche, tampone cutaneo dall’ulcera,
ecocolordoppler arterioso e venoso, radiografia dell’arto inferiore e biopsia cutanea.
La conta dei globuli bianchi era di 15.600 /mm3, l’ecografia dei tessuti molli dell’arto inferiore destro evidenziava un diffuso edema delle parti molli e tre immagini di raccolta nel sottocute dei settori mediali e posteriori. L’esame colturale dal tampone cutaneo era positivo per Streptococcus pyogenes, Pseudomonas aeruginosa e Stafilococco aureo. La radiografia dell’arto inferiore mostrava osteopenia
marcata del terzo inferiore della gamba e la biopsia era compatibile con un quadro di fascite necrotizzante. L’ecocolordoppler non mostrava alterazioni patologiche.
Si iniziava quindi una terapia antibiotica con vancomicina e si eseguiva un’escarectomia e fasciotomia dell’arto inferiore destro. Dopo aver
ripetuto il tampone cutaneo, che dimostrava ancora la presenza di uno Pseudomonas aeruginosa, si decideva di intraprendere una terapia con ciprofloxacina, mirata secondo il nuovo antibiogramma. Una volta eradicata l’infezione e in presenza di uno stato locale e generale favorevole, le aree cutanee ulcerate venivano ricoperte con un innesto cutaneo, mediante prelievo dalla faccia mediale della gamba controlaterale ed allestimento di un lembo reticolato. Dopo l’attecchimento dell’innesto cutaneo il paziente è stato dimesso in pieno benessere.
Esperienze cliniche nell’utilizzo del gel piastrinico per il trattamento delle ulcere cutanee
• Ghilardi M, Perotti R, Mazzieri S, Pianigiani A, Fimiani M
Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche; Sezione di Dermatologia - Università di Siena
È ormai noto che le piastrine hanno la capacità di intervenire nella riparazione del danno tissutale producendo, immagazzinando e liberando
potenti fattori di crescita (PDGF, TGF, EGF, VEGF, IGF-I/II), citochine (IL-8, TNF) e proteine plasmatiche (TIMP-1) in grado di stimolare la replicazione dei cheratinociti e delle cellule di origine mesenchimale (fibroblasti, osteoblasti e cellule endoteliali). Tali fattori sembrano essere, inoltre, in grado di richiamare macrofagi, monociti e polimorfonucleati a livello della lesione. Su queste basi è stato recentemente
proposto l’uso topico di concentrati piastrinici autologhi ed omologhi per la cura delle ulcere degli arti inferiori.
Presso la nostra clinica abbiamo avuto l’opportunità di utilizzare il gel piastrinico, sia omologo che autologo, per il trattamento dei pazienti affetti da ulcere cutanee a differente etiologia e non responsivi ai trattamenti convenzionali. La medicazione veniva effettuata
ogni 3-4 giorni ponendo il gel direttamente sulla lesione, mantenendolo poi in sede mediante una membrana sottile di idrocolloide od
una garza grassa. Mediamente, nella nostra casistica, nell’arco di circa venti giorni (5-6 applicazioni) il fondo dell’ulcera diveniva completamente ricoperto da tessuto di granulazione risultando idoneo all’innesto autologo. Abbiamo inoltre osservato nei pazienti da noi
trattati una significativa diminuzione della sintomatologia algica sin dalla prima applicazione dell’emoderivato.
In conclusione, dalla nostra esperienza emerge che l’uso topico dei concentrati piastrinici autologhi ed omologhi può costituire una valida e relativamente economica strategia nel trattamento delle ulcere degli arti inferiori in grado di ridurre significativamente i tempi di
guarigione e di migliorare notevolmente la qualità di vita dei pazienti. Ulteriori studi sono necessari per approfondire la conoscenza del
meccanismo d’azione del gel piastrinico, per verificare la validità della tecnica e per ottimizzare i protocolli di trattamento.
203
Infliximab 3mg/kg vs 5 mg/kg nel trattamento della psoriasi volgare
• Giunta A, Costanzo A, Papoutsaki M, Esposito M, Calcaterra R, Campione E, Chimenti S
Clinica Dermatologica - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
L’infliximab è un anticorpo monoclonale chimerico con elevata affinità ed avidità sia per la forma solubile che per quella transmembrana del Tumor Necrosis Factor-alpha (TNF-α), attualmente approvato per il trattamento dell’artrite reumatoide, del morbo di Crohn e,
più recentemente, della spondilite anchilosante. I dosaggi più comunemente utilizzati sono 5 mg per kg di peso corporeo nel morbo di
Crohn e 3 mg per kg di peso corporeo nell’artrite reumatoide, sia in monoterapia che in associazione a methotrexate. Il farmaco è somministrato per via endovenosa lenta al tempo 0, dopo 2, dopo 6 settimane e, successivamente, nel morbo di Crohn, ad ogni fase di riacutizzazione della malattia mentre nell’artrite reumatoide ogni 8 settimane. Nel trattamento della psoriasi, il regime terapeutico più comunemente impiegato è 5 mg/kg per via endovenosa lenta somministrati al tempo 0, dopo 2, dopo 6 settimane e, successivamente, ogni
8 settimane. Scopo del nostro studio è stato quello di confrontare l’efficacia e la tollerabilità dell’infliximab alla dose di 3 mg/kg e di 5
mg/kg. Sono stati inclusi nello studio 30 pazienti affetti da psoriasi volgare a placche, tutti resistenti alle terapie convenzionali. Dopo
consenso informato scritto, 15 sono stati trattati con infliximab alla dose di 3 mg/kg e 15 alla dose di 5 mg/kg per via endovenosa lenta somministrati al tempo 0, dopo 2 e dopo 6 settimane. L’efficacia è stata valutata sulla base della diminuzione del PASI dal tempo 0.
I nostri risultati, per quanto preliminari e riferiti ad una casistica limitata, dimostrano, a fronte di una tollerabilità sovrapponibile, una
minore efficacia dell’infliximab se questo viene somministrato alla dose di 3 mg/kg rispetto al dosaggio di 5mg/kg. I nostri risultati, per
quanto preliminari e riferiti ad una casistica limitata, dimostrano, a fronte di una tollerabilità sovrapponibile, una minore efficacia dell’infliximab se questo viene somministrato alla dose di 3 mg/kg rispetto al dosaggio di 5mg/kg.
Uso dell’amorolfina cloridrato smalto ungueale nel trattamento delle onicomicosi: risultati
preliminari di uno studio osservazionale su 147 pazienti
• Giunta A, Frascione P*, Fossati B**, Piemonte P*, Nisticò S, Falcomatà V, Chimenti S
Clinica Dermatologica - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”; * SSD Dermatologia Oncologica “Regina Elena” Roma; **Policlinico “Agostino Gemelli” - Roma
Le onicomicosi sono responsabili del 50% delle patologie ungueali. La patogenesi è multifattoriale, riconoscendo condizioni predisponesti familiari ed ambientali, sia locali che sistemiche. Tra le principali condizioni predisponesti sistemiche assumono particolare importanza il diabete mellito, vasculopatie periferiche e stati di immunodeficienza. Gli agenti eziologici comprendono dermatofiti, lieviti e
muffe. Le opzioni terapeutiche sono mediche, topiche o sistemiche, chirurgiche. Le terapie mediche topiche in monoterapia risultano
essere spesso inefficaci, mentre l’associazione di antimicotici topici e sistemici rappresenta ad oggi il regime terapeutico di prima scelta, anche se usualmente gravato da una elevata percentuale di recidive (fino al 30% dei casi).
L’amorolfina è una morfolina dotata di attività sia fungistatica sia fungicida; agisce bloccando la sintesi degli steroli, in particolare l’ergosterolo, molecole essenziali per l’attività della membrana cellulare del fungo responsabile dell’onicomicosi.
Scopo del nostro studio è stato quello di valutare l’efficacia e la tollerabilità di uno smalto ungueale a base di amorolfina cloridrato applicato 1 volta alla settimana per 3 mesi per il trattamento di pazienti affetti da onicomicosi. Sono stati inclusi nello studio 147 pazienti affetti da onicomicosi con o senza fattori predisponesti sistemici. L’amorolfina cloridrato smalto ungueale è stata somministrata sia in
monoterapia, nelle forme di onicomicosi subungueale con interessamento <30% di ogni singola lamina e matrice indenne o nell’onicomicosi bianca superficiale, sia in associazione ad antimicotici orali (terbinafina, itraconazolo, fluconazolo) quando vi era evidenza di
una compromissione della matrice ungueale. L’efficacia è stata valutate mediante visual score e, in alcuni pazienti di dubbia interpretazione, mediante esame colturale.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Atopy patch test con glutine e gliadina in pazienti affetti da celiachia
• Giusti F, Amarri S*, Seidenari S
Clinica Dermatologica, Università di Modena e Reggio Emilia, *U.O. Pediatria AUSL, Ravenna
Gli atopy patch test (ATP) sono considerati una metodica diagnostica utile nei pazienti con dermatite atopica (DA) per identificare le
reazioni ritardate agli allergeni inalatori e alimentari. Lo scopo del nostro studio è stato quello di studiare la risposta immunitaria al glutine e alla gliadina nei pazienti affetti da celiachia attraverso l’esecuzione di APT con tali sostanze e di confrontare questi risultati con quelli ottenuti in pazienti con DA. 31 bambini, 15 maschi e 16 femmine, (età media ± d.s. = 5,5 ± 3,8 anni) affetti da celiachia sono stati
sottoposti ad APT con glutine e gliadina. Di questi, 15 pazienti erano a dieta priva di glutine al momento della visita e 3 bambini erano
affetti anche da DA. 83 bambini con DA non affetti da celiachia sono stati usati come popolazione di controllo. Il 19,4% e il 12,9% dei
bambini celiaci è risultato positivo agli APT con glutine e gliadina, rispettivamente. Nessuna differenza nella frequenza ed intensità delle risposte agli APT è stata osservata tra pazienti a dieta priva di glutine e pazienti a dieta libera. Il 12% dei bambini con DA presentava
risposte positive al glutine, mentre non è stata osservata nessuna reazione al patch test con gliadina. Questi dati ci inducono ad ipotizzare che la reattività cellulo-mediata alla gliadina nei pazienti con celiachia possa mostrarsi clinicamente con reazioni positive agli APT
con gliadina e che queste possano costituire una caratteristica specifica dei pazienti con celiachia rispetto a quelli affetti da DA.
Cutis marmorata teleangectasica congenita associata a dismetria degli arti inferiori ed ipotrofia
del polpaccio destro
• Grossi G, Amoroso R, Artese O, Motta A, Grimaldi A, Di Domizio B, Giaculli E, Tortorella R, Amerio P, Tulli A
Cl. Dermatologica, Università “G. D’Annunzio” Chieti
La cutis marmorata teleangectatica congenita (CMTC) è una rara anomalia cutaneo vacolare caratterizzata dalla presenza, in forma localizzata o diffusa di lesioni maculari eritemato-violacee di aspetto reticolare a carattere persistente presenti fin alla nascita. Tale quadro
si associa spesso a teleangectasie, flebectasie, ulcerazioni ed atrofia cutanea. Sono inoltre segnalate in letteratura frequenti associazioni con malformazioni: assimentrie somatiche, glaucoma, ritardo di sviluppo neuropsichico ed ulteriori anomalie vascolari (frequentemente capillari).
La patogenesi della CMTC è sconosciuta. Fattori ambientali associata ad una modalità di trasmissione genica paradominanate a penetranza incompleta, una riduzione del flusso ematico durante il periodo embrionale o difetti della conduzione nervosa sono tutti ipotesi
proposte nel corso degli anni.
La prognosi è caratterizzata dalla risoluzione (nella maggior parte dei casi) del quandro clinico entro il secodo anno di vita. Sono tuttavia descritti casi di permanenza in età adulta o familiari.
Riportiamo il caso clinico di un neonato di 2 mesi, giunto alla nostra osservazione in relazione alla presenza di lesioi cutanee eritemato
violacee di aspetto reticolare interessanti gli arti e la regione lombare, associate ad aree di atrofia. Un attento esame obiettivo rilevava
inoltre una dismetria degli arti inferiori associata ad una ipotrofia del polpaccio destro. Si discute il caso.
Malattia di Zuska: caso clinico
• Guadagni M, Nazzari G
UO Dermatologia, Ospedale Civile S. Andrea, La Spezia
La malattia di Zuska (ascessi subareolari ricorrenti o lactiferous fistola) è entita clinica raramente segnalata nella letteratura dermatologica, nonostante espressione clinica cutanea costante e significativa. Si caratterizza per episodi ascessuali ricorrenti che interessano ora
l’una ora l’altra mammella. Sono altresì presenti lesioni erisipela-like, eczema e fistole. A livello sistemico febbre, malessere generale ed
interessamento linfoghiandolare possono completare il quadro clinico. Le indagini strumentali non forniscono elementi significativi per
una corretta diagnosi. Esami colturali condotti su materiale drenato dalle fistole danno ragione di colonizzazioni aspecifiche.
La diagnosi fonda pertanto su dati clinico-anamnestici e su indagini citoistopatologiche che segnalano la presenza di fenomeni di metaplasia squamosa a livello dei dotti mammari con conseguente ostruzione, dilatazione e successiva infezione.
La gestione terapeutica risulta decisamente complessa poichè gravata sia dalla estrema frequenza delle recidive sia dalla radicalità degli interventi chirurgici talora praticati (mastectomia radicale).
205
Gli AA segnalano un caso tipico di Malattia di Zuska, commentandone opzioni terapeutiche e risultati ottenuti.
Polipi annessiali del neonato
• Gualandri L, Boccardi D, Menni S
Clinica Dermatologica IV-Università degli Studi di Milano-Ospedale S.Paolo-Milano
Vengono presentati due casi clinici di polipi annessiali del neonato. Queste lesioni sono segnalate nel 2-4% dei neonati osservati in alcuni studi epidemiologici. Si tratta di lesioni papulose, peduncolate, localizzate prevalentemente nella zona mammaria, che tendono a
staccarsi spontaneamente nei primi giorni di vita. L’aspetto istologico è ben caratterizzato e permette una differenziazione nei confronti
di altre forme neonatali, simili clinicamente, come le formazioni polipoidi della S. di Gorlin e i tragi accessori.
Reazioni cutanee avverse al docetaxel
• Guarneri B, Borgia F, Vaccaro M
Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio - Sezione di Dermatologia (Direttore: Prof. B. Guarneri), Università di Messina
Il docetaxel è un farmaco antitumorale, appartenente alla famiglia dei taxani, che esplica la sua azione attraverso inibizione della mitosi, con formazione di microtubuli e loro stabilizzazione. Le principali indicazioni terapeutiche includono il carcinoma mammario in stadio avanzato o metastatizzante, il carcinoma ovarico, il carcinoma polmonare non operabile, le neoplasie della testa e del collo.
Gli effetti collaterali segnalati in corso di terapia con docetaxel comprendono neutropenia, ritenzione di fluidi, mialgie, neuropatie, fenomeni di intolleranza gastro-enterica, reazioni cutanee; queste ultime, osservate in oltre il 50% dei pazienti, includono rash maculopapulosi, eritrodisestesia, eritemi acrali, fibrosi scleroderma-like, iperpigmentazione cutanea sopravenosa, recall dermatitis, alterazioni
ungueali. Gli Autori presentano alcuni peculiari quadri occorsi alla loro osservazione e rivisitano la letteratura con particolare riferimento all’aspetto patogenetico.
Vasculite allergica conseguente a terapia desensibilizzante
• Guarneri F, Motta L, Cannavò SP
Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio - Sezione di Dermatologia (Direttore: Prof. B. Guarneri), Università di Messina
Gli Autori descrivono il caso di un paziente di 30 anni, affetto da allergopatia respiratoria e cutipositivo per pollini di graminacee, parietaria,
olivo, composite e nocciolo, giunto all’osservazione per la comparsa, a distanza di qualche settimana, in sede di iniezione di immunoterapia specifica, di lesioni eritemato-infiltrative, a margini sfumati e irregolari, di forma grossolanamente rotondeggiante, di diametro
compreso tra 0,5 e 1,5 cm, alcune delle quali confluenti in placche, e di colorito variabile dal bruno al grigio-ardesiaco. Lesioni analoghe comparivano al braccio controlaterale, in seguito a somministrazione di una ulteriore dose immunoterapica, e, a distanza di alcuni
mesi, al volto e agli arti inferiori, senza causa apparente. Gli esami ematochimici di routine erano nella norma, ad eccezione di ipereosinofilia e della VES ai limiti massimi del range di normalità. L’esame istologico di un frammento di cute lesionale (punch-biopsy - 3mm.Ø)
evidenziava un quadro coerente con la diagnosi di vasculite allergica.
Gli Autori, sottolineando la rarità di tale evenienza come conseguenza di somministrazione di estratti allergenici per terapia iposensibilizzante specifica, analizzano i possibili meccanismi patogenetici e il rapporto con le modalità di somministrazione dell’immunoterapia.
Sindrome delle unghie gialle associata ad apnea notturna
• Gubinelli E, Fiorentini S, Cocuroccia B, Girolomoni G
Istituto Dermopatico dell’Immacolata, IRCCS, Roma
La sindrome delle unghie gialle è caratterizzata da rallentamento o arresto della crescita ungueale che comporta ispessimento e decolorazione giallastra delle lamine. Si associa comunemente a linfedema e/o patologie infiammatorie croniche dell’apparato respiratorio.
Descriviamo il caso di un uomo di 60 anni con le tipiche alterazioni ungueali affetto da apnea notturna di tipo ostruttivo severa, diagnosticata
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
mediante monitoraggio cardiorespiratorio completo. La terapia con ventilazione nasale a pressione positiva continua ha ridotto in breve tempo gli episodi di apnea notturna ma non ha avuto alcun effetto sulle alterazioni ungueali dopo sei mesi di terapia. La terapia con
itraconazolo (400 mg al giorno per 1 settimana al mese) somministrato in associazione alla ventilazione nasale è risultata inefficace dopo sei mesi, mentre la terapia con alfa-tocoferolo (1200 mg al giorno) ha indotto un incremento della crescita e un miglioramento evidente della colorazione ungueale dopo soli tre mesi. I pazienti con sindrome delle unghie gialle vanno investigati anche per la possibile presenza di apnea notturna. La vitamina E sembra essere il trattamento più efficace della sindrome delle unghie gialle associata ad apnea
notturna.
Trattamento dei carcinomi basocellulari con diclofenac gel
• Hagman JH, Mordenti C, Ginebri A, Chimenti S
Clinica Dermatologica - Università di Tor Vergata, Roma
La somministrazione locale di diclofenac gel 3% in acido ialuronico al 2,5% due volte al giorno per almeno 90 giorni rappresenta un nuovo trattamento approvato nei pazienti affetti da cheratosi attiniche. Tale trattamento ha proprietà angiostatiche ed ha la capacità di attivare meccanismi di differenziazione cellulare e di apoptosi. Il diclofenac è un farmaco antinfiammatorio non steroideo, che ha effetti
inibitori sulla ciclossigenasi e sulla beta-catenina. L’acido ialuronico potenzia la capacità del diclofenac di raggiungere i siti di neoplasia
ed inoltre induce la formazione di un deposito intraepidermico di diclofenac a rilascio graduale.
Sulla base degli effetti del farmaco abbiamo intrapreso un trial clinico per valutare l’efficacia e la tollerabilità del diclofenac gel 3% in
acido ialuronico al 2,5% nel trattamento dei carcinomi basocellulari. Nel nostro studio sono stati arruolati dieci pazienti affetti da carcinomi basocellulari e sono stati trattati un totale di 15 carcinomi basocellulari. Unico criterio di esclusione è stato un qualsiasi tipo di trattamento del carcinoma basocellulare nelle otto settimane prima dell’arruolamento nello studio. La diagnosi clinica dei basaliomi è stata
confermata in epilumuinescenza. I pazienti sono stati istruiti su come applicare il gel sulle lesioni due volte al giorno per 90 giorni. Dopo
3 mesi di terapia, è stata osservata una remissione clinica completa di 12 carcinomi basocellulari, in assenza di effetti collaterali locali di
rilievo. Tre carcinomi basocellulari hanno richiesto un trattamento più prolungato, complessivamente di 4 e 5 mesi di trattamento.
In conclusione, i nostri risultati preliminari indicano che il trattamento con diclofenac gel nei carcinomi basocellulari può rappresentare
una nuova strategia terapeutica, che ha il vantaggio di indurre minori effetti collaterali locali rispetto agli altri trattamenti topici.
Trattamento delle cheratosi attiniche con diclofenac gel
• Hagman JH, Chimenti S
Clinica Dermatologica - Università di Tor Vergata, Roma
Le cheratosi attiniche sono lesioni causate da un’eccessiva esposizione ai raggi solari. Gli aspetti epidemiologici ed istologici delle cheratosi attiniche sono simili a quelli dei carcinomi squamocellulari e, pertanto, vengono considerate carcinomi squamocellulari in situ.
Inoltre, nelle cheratosi attiniche è stata documentata un’elevata incidenza di mutazioni di p53.
Attualmente, le modalità di trattamento disponibili permettono una guarigione delle cheratosi attiniche nel 90% dei casi. Tuttavia, alcuni trattamenti (curettage, diatermocoagulazione, crioterapia, dermoabrasione, laser e peeling chimico) sono spesso altamente distruttivi e possono lasciare esiti pigmentari. D’altro canto, terapie topiche, quale l’applicazione di 5-fluorouracile (5-FU), oltre ad essere
solo parzialemente efficace nelle cheratosi attiniche profonde ed ipercheratosiche, possono causare erosioni dolorose.
La somministrazione di diclofenac 3% in ialuronato 2,5% gel rappresenta un nuovo trattamento approvato nei pazienti affetti da cheratosi attiniche ed è risultata una terapia topica efficace e ben tollerata. Diclofenac gel va applicato localmente sulle lesioni due volte al
giorno, per un periodo complessivo di almeno 90 giorni. Il meccanismo d’azione di questa sostanza nel trattamento delle cheratosi attiniche non è ancora ben chiaro. Tuttavia, come altri FANS, il diclofenac inibisce la ciclossigenasi, ha un effetto inibitorio sull’espressione e la localizzazione della beta-catenina mostrando proprietà angiostatiche ed ha la capacità di attivare i meccanismi di differenziazione cellulare e di apoptosi. Il veicolo ialuronato ha una propria azione idratante di riparazione tissutale ed un’azione inibente gli oncogeni ras attivati.
Verranno esposti i risultati del trattamento con diclofenac gel nei pazienti affetti da cheratosi attiniche.
207
Dermatite figurata paraneoplastica
• Hansel K, Stingeni L, Lisi P
Sezione di Dermatologia clinica, allergologica e venereologica, Dipartimento di Specialità medico-chirurgiche, Università di Perugia
Una giovane donna di 27 anni è giunta alla nostra osservazione chiazze eritemato-papulose di tonalità roseo-rossastra anellate od ovalari, a espansione centrifuga, di dimensione variabile fino a quella di un palmo, localizzate ai cavi ascellari e ai lati del tronco. La sintomatologia, discretamente pruriginosa, era insorta da circa un anno e presentava decorso recidivante. Negativa l’anamnesi personale remota, fatta eccezione per dermatite allergica da contatto da accessori metallici dell’abbigliamento. Gli accertamenti ematochimici e
strumentali, compresi marker paraneoplastici, Rx torace ed esame ecografico addomino-pelvico, sono risultati nella norma; l’ecografia
mammaria e una successiva mammografia hanno evidenziato, invece, lesione nodulare al quadrante supero-interno destro. L’esame
istologico da prelievo bioptico, eseguito a livello di lesione anulata del pilastro ascellare anteriore sinistro, ha evidenziato ipercheratosi,
spongiosi, epidermotropismo linfocitario mite; al derma papillare era presente edema ed infiltrato polimorfo costituito da linfociti, granulociti neutrofili ed eosinofili.
La rimozione della neoformazione mammaria, che istologicamente evidenziava la presenza di papillomi intraduttali e microcisti ad epitelio apocrino, è stata seguita, nei 2 mesi successivi, da progressiva e completa risoluzione del quadro cutaneo. Non sono state osservate recidive nel corso del follow-up di un anno, tuttora in corso.
Tra le manifestazioni cutanee paraneoplastiche, gli eritemi figurati, caratterizzati da lesioni figurate o anulate a espansione centrifuga,
sono spesso segnaletici di eteroplasie viscerali di natura maligna, a localizzazione per lo più polmonare, mammaria, gastrointestinale e
pancreatica; essi comprendono l’eritema necrolitico migrante, l’erythema gyratum repens e l’eritema anulare centrifugo.
Viene segnalata l’inusuale associazione con una neoformazione benigna, nonché la non univocità degli aspetti clinici e istopatologici osservati nella nostra paziente; i primi, infatti, deponevano per un eritema anulare centrifugo1, i secondi per un erythema gyratum repens2.
Bibliografia
• 1Weyers W, Diaz-Cascajo C, Weyers I. Erythema annulare centrifugum: results of a clinicopathologic study of 73 patients. Am J Dermatopathol 2003; 25: 451.
• 2Boyd AS, Neldner KH, Menter A. Erythema gyratum repens: a paraneoplastic eruption. J Am Acad Dermatol 1992; 26: 757.
AIDS e patologia linfoproliferativa cutanea
• Ieva R, Filotico R, *Bellacosa C, Altobella A, Cassano N, *Maggi P, Vena GA
Clinica Dermatologica II e *Clinica delle Malattie Infettive – AO Policlinico, Università di Bari
L’infezione da HIV-1 si associa con patologie linfoproliferative con sempre maggiore frequenza. In particolare sono aumentate le segnalazioni di localizzazioni a livello del sistema nervoso centrale di linfomi non Hodgkin. La collaborazione fra dermatologi ed infettivologi
ha consentito di diagnosticare negli ultimi anni alcuni casi di linfomi non Hodgkin a localizzazione primitivamente cutanea o con un
coinvolgimento cutaneo secondario. In tutti i casi l’esordio cutaneo ha rappresentato il primo sintomo della malattia. Nel presente lavoro
riportiamo la nostra esperienza.
Gangrena acrale da iniezione intrarteriosa di cocaina
• Ieva R, Quaranta D, Inverardi D, Altobella A, Cassano N, Filotico R, Vena GA
Clinica Dermatologica II – AO Policlinico, Università di Bari
Negli ultimi anni, oltre all’eroina, nella popolazione tossicodipendente sono entrati nell’uso per via endovenoso anche altre sostanze
che tradizionalmente venivano assunte per altre vie. Fra queste la cocaina è sempre più utilizzata per via iniettiva da sola o in combinazione con altre sostanze stupefacenti.
Riportiamo il caso di un uomo di 38 anni, tossicodipendente, che in seguito alla iniezione accidentale di cocaina in arteria, ha presentato una necrosi ischemica del primo ed il secondo dito della mano destra.
Presentiamo il caso per le sue particolarità cliniche e diagnostiche.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Il nevo congenito ed il nevo di Becker in epiluminescenza: patterns dermoscopici caratteristici
• Ingordo V, Iannazzone S*, Cusano F*
Reparto Dermatologia - Ospedale Principale Marina Militare, Taranto; *U.O Dermatologia -Ospedale “G. Rummo”, Benevento
Introduzione. Recentemente sono stati individuati con l’epiluminescenza (ELM) a luce polarizzata alcuni aspetti dermoscopici che sarebbero caratteristici dei nevi melanocitari congeniti (NMC) di media e piccola taglia (1).
Materiali e metodi. Sono stati esaminati 125 NMC e 55 nevi di Becker (NB), utilizzando il dermatoscopio portatile a 10 X con olio ad
immersione. I NMC erano di piccola taglia (<1.49 cm) nel 6.4%, di media taglia (1.5-19.9 cm) nel 73.6% e giganti (>20 cm) nel 36.4%
dei casi. Tutti i NB erano di dimensioni superiori ai 1.49 cm.
Risultati. Gli aspetti dermoscopici caratteristici sono stati osservati rispettivamente nei NMC e nei NB con le seguenti percentuali: reticolo target nel 24% e 18.2%, ispessimento irregolare del reticolo nel 43.2% e 10.9%, grandi globuli nel 22.4% e 0%, piccoli globuli
nel 35.2% e 9.1%, dots nel 33.4% e 9.6%, globuli target nel 14.4% e 0%, vasi target nel 4.8% e 0%. Le differenze tra queste percentuali erano statisticamente significative, mentre non vi erano differenze fra le altre caratteristiche dermoscopiche, quali vasi arborizzati, lineari e puntiformi, aree ipopigmentate, ipopigmentazione perifollicolare, ipopigmentazione dei solchi cutanei.
Conclusioni. Gli aspetti dermoscopici individuati nei NMC di piccola e media taglia sono presenti anche nei NMC giganti e permettono di distinguere in ELM i NMC dai NB.
Bibliografia
• Seidenari et al. Acta Derm Venereol 2003; 83: 271-276
Nevo di Sutton atipico
• Laricchia F, Arpaia N
U.O. Dermatologia II - Università degli Studi di Bari (Prof. G.A. Vena)
Introduzione. Il nevo di Sutton o nevo con alone ipocromico è costituito da un comune nevo melanocitico congenito o acquisito, circondato da un’area ipocromica o acromica concentrica. Si accompagna alla regressione del nevo stesso nel giro di mesi, mentre l’area
acromica rimane stazionaria per anni, potendo poi regredire lentamente.
Caso clinico. Ragazza di 15 anni che, in corrispondenza della reg. scapolare dx presentava due nevi di forma allungata fusi mediante i
loro poli a formare un otto allungato, delle dimensioni di 6x 2 cm; in corrispondenza del restringimento vi era un’area acromica rotondeggiante del diametro di un cm, che interessava per metà la cute sana, per l’altra metà il nevo, che assumeva in quel punto un margine concavo ed irregolare a tipo morsicatura. La paz. presentava numerosi altri nevi melanocitici, alcuni congeniti, dei quali altri quattro
presentavano una suttonizzazione in varia fase evolutiva. L’esame dermoscopico della lesione mostrava un pattern omogeneo-globulare piuttosto uniforme tipico dei nevi congeniti e presente, se pur più irregolare, in corrispondenza del mergine dell’area acromica la quale non mostrava al suo interno tracce di pigmento. La lesione veniva asportata e l’esame istologico mostrava un nevo melanocitico composto con area di regressione eccentrica.
Conclusioni. Nel nevo di Sutton è noto come l’alone sia concentrico ed uniforme rispetto al suo nevo, esso sarà rotondo od ovale se il
nevo è rotondo od ovale, avrà forma irregolare se il nevo ha forma irregolare seguendolo nella sua conformazione.
Il fenomeno della regressione è abbastanza comune nei nevi melanocitici, spesso interessando più elementi contemporaneamente nello stesso soggetto, esso in genere si manifesta in maniera irregolare all’interno dei nevi stessi con i caratteri dermoscopici delle aree
bianche o blu, tuttavia non può manifestarsi al di fuori dell’area del nevo. La presenza nello stesso tempo di alcuni altri nevi di Sutton e
la regressione del pigmento all’interno ma anche all’esterno del nevo, accosterebbe il nostro caso al nevo di Sutton, se pur atipico per
la posizione eccentrica e discontinua dell’alone.
209
Efficacia dell’infliximab nel trattamento della psoriasi volgare a placche di grado medio-severo:
risultati di uno studio clinico-aperto
• Lemme G*, Campanati A**, Paolinelli M***, Offidani A**
*UU. OO. Dermatologia; **Clinica Dermatologica Università Politecnica delle Marche; ***Servizio Dermatologia USL 004 Senigallia
Background: la psoriasi è una malattia immunomediata, in cui le alterazioni del profilo fenotipico dei cheratinociti appaiono almeno in
parte mediate dal TNF-α. Il ruolo svolto da questa citochina nella patogenesi della malattia non appare completamente delucidato, tuttavia essa sembra rivestire un ruolo di primaria importanza nelle fasi di induzione e mantenimento del processo psoriasico. L’infliximab
è un anticorpo monoclinale in grado di legarsi ed inattivare il TNF-α che in passato è stato con successo introdotto nella terapia di numerose malattie TNF-α mediate come il Chron e l’artrite reumatoide.
Obiettivi: scopo del presente studio è quello di valutare l’efficacia dell’infliximab nel trattamento della psoriasi volgare a placche di grado medio-severo.
Materiali e metodi: 10 soggetti affetti da psoriasi medio-grave venivano inclusi nel presente studio clinico aperto. Ogni paziente riceveva 5 mg/kg di infliximab per via endovenosa, alla settimana 0-2-6. L’andamento di malattia veniva valutato mediante l’impiego dell’indice PASI tradizionale, sia durante il periodo di somministrazione del farmaco, sia nel periodo successivo di follow-up, mediante valutazioni cliniche effettuate alla settimane 0-2-4-6-10-14.
Risultati: l’indice PASI subiva un significativo decremento dai valori medi iniziali alla settimana 0 (29,38 ± 10,6) ai valori calcolati alla settimana 10 (end point treatment) (5,85 ± 2,43) (p< 0,001). Al termine del periodo di follow-up (end-point alla 14° settimana) il valore
medio dell’indice PASI subiva in incremento modesto raggiungendo valori pari a 8,5 ± 3,2, rimanendo comunque significativamente inferiore rispetto al valore di partenza (p<0,001). In nessuno dei pazienti sottoposti al trattamento si verificava la comparsa di effetti collaterali durante la fase di somministrazione del farmaco o nel periodo di follow-up.
Conclusioni: i risultati clinici ottenuti evidenziano che la somministrazione per via endovenosa di infliximab permette un rapido e sostanziale
miglioramento delle condizioni cliniche di pazienti affetti da psoriasi a placche di grado medio-severo.
Valutazione dell’efficacia fotoprotettiva di un integratore dietetico a base di betacarotene,
vitamina E, vitamina C, selenio, licopeni, acido linoleico, L-carnosina, beta glucano, rame,
zinco (Defence Sun®) (GIFDE)
• Leone G, Paro Vidolin A, Iacovelli P, Pecis L*, Bocchietto E*
Servizio di Fototerapia, Istituto Dermatologico San Gallicano, IRCCS, Roma; *ICIM International, Garbagnate (MI)
Recentemente sono comparsi in letteratura numerosi lavori sull’efficacia fotoprotettiva di sostanze somministrate per via sistemica. Per
lo più si tratta di vitamine, provitamine e di antiossidanti.
Di qui l’interesse a documentare l’effetto fotoprotettore di questi composti con studi rigorosi in cui si dimostri l’effetto protettivo nei
confronti degli ultravioletti.
Obiettivo dello studio era di valutare l’efficacia fotoprotettiva dell’integratore sopracitato nel soggetto sano, nei confronti della radiazione
solare simulata, mediante lo studio delle eventuali modificazioni della soglia di eritema (MED = minima dose eritema), prima e dopo
trattamento, al fine di convalidarne l’indicazione come coadiuvante per la fotoprotezione sistemica nel periodo estivo. Lo studio è stato condotto su 10 volontari di età compresa tra i 18 e 45 anni con fototipo compreso tra IV e I. Tutti i partecipanti allo studio hanno assunto una compressa/die dell’integratore per un periodo di due mesi. L’irradiazione ripetuta dei volontari sani è avvenuta con un simulatore solare e la lettura dei risultati è stata effettuata a distanza di 24 ore. Il simulatore solare in possesso del ns. Istituto (Simulatore Multiport 601 della ditta Solar Light) è rispondente alle norme COLIPA per quanto riguarda lo spettro di emissione e le caratteristiche di sicurezza. La MED è stata determinata prima dell’assunzione del prodotto, dopo un mese e dopo 2 mesi. I risultati a 1 mese mostrano un
innalzamento significativo della soglia di eritema in tutti i soggetti dopo l’assunzione del prodotto, tale riscontro è maggiormente evidente nei soggetti con fototipo basso. Dopo 2 mesi la differenza con la MED basale subisce un ulteriore incremento, confermando l’utilità dell’assunzione a lungo termine di questi prodotti.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Vasculite linfocitaria necrotizzante idiopatica con esordio in sede insolita associata ad eritema
anulare centrifugo di Darier
• Loggini B*, Ghiara F, Turio E, Barachini P
U.O. Dermatologia Universitaria (Direttore: Prof. P. Barachini); *U.O. Anatomia Patologica III Universitaria (Direttore: Prof. R. Pingitore) - Università di Pisa
Si tratta di un uomo di 54 anni che si ricovera nella nostra Clinica per la comparsa di lesioni ulcerative con fondo necrotico e bordo violaceo localizzate dapprima alla guancia sinistra e successivamente all’emitorace destro, alla regione dorsale ed al polpaccio sinistro. Il
paziente è stato trattato inizialmente mediante una terapia a base di antibiotici (tetraciclina, rifampicina, penicillina G sodica, ciprofloxacina) con scarsi risultati. Gli esami ematochimici e strumentali (radiografie, ecografie, etc) non hanno evidenziato la presenza di foci infettivi o neoplastici né di malattie autoimmuni e gli esami colturali del materiale prelevato dalle lesioni, eseguiti più volte, per batteri comuni, per micobatteri e per miceti hanno dato risultato negativo. L’esame istologico di una delle lesioni ulcerate ha evidenziato
una marcata vasculite prevalentemente linfocitaria con estensione periannessiale, esocitosi, spongiosi, vescicolazione e necrosi epidermica nell’ambito di una vasculite linfocitaria necrotizzante. Durante il ricovero sono comparse delle lesioni eritemato-papulose, localizzate alla regione dorsale, che hanno progressivamente assunto una figurazione arciforme per cui abbiamo fatto diagnosi di Eritema
Anulare Centrifugo di Darier. L’esame istologico di una delle suddette lesioni ha rilevato la presenza di un denso infiltrato linfocitario
perivascolare e periannessiale ed il reperto microscopico ha confermato il nostro giudizio clinico. In conformità con i dati emersi abbiamo sottoposto il nostro paziente a terapia cortisonica per via generale a cui abbiamo associato la ciclofosfamide per os (100 mg al dì)
ottenendo la progressiva guarigione delle lesioni cutanee presenti. Il soggetto esegue tuttora delle periodiche visite ambulatoriali e continua ad assumere la ciclofosfamide senza presentare recidive. Presentiamo questo caso perché la vasculite è iniziata in una sede insolita come la guancia sinistra e per l’associazione con l’eritema anulare centrifugo. La contemporanea presenza delle due malattie può essere giustificata se si considera che sono molto simili per quel che riguarda il reperto istologico e hanno in comune l’etiopatogenesi giacchè possono essere legate ambedue alla presenza di malattie autoimmuni, di foci neoplastici od infettivi oppure possono essere idiopatiche.
Nel nostro paziente non è emerso niente che poteva giustificare le sue dermatosi ma di fronte ad un quadro clinico del genere abbiamo ritenuto opportuno sottoporre il malato a controlli periodici con lo scopo di cogliere precocemente la comparsa di patologie internistiche importanti.
Bibliografia
• Mahood JM. Erythema annulare centrifugum: a review of 24 cases with special reference to its association with underlying diseases.
Clin Exp Dermatol 1983; 8: 383.
• Bressler GS, Jones RE Jr. Erythema annulare centrifugum. J Am Acad Dermatol 1981; 4: 597.
• Burgdorf WHC. Erythema annulare centrifugum and other figurate erythemas. In: Fitzpatrick “Dermatology in General Medicine”
McGraw-Hill ed. New York 1999, 5th Edition 1: 1149-1152.
Un caso di pemfigoide bolloso paraneoplastico
• Lucin C, Berti S, Amato L, Chiarini C, Maio V*, Fabbri P
• Dipartimento di Scienze Dermatologiche Clinica Dermatologica II; *Dipartimento di patologia Umana e Oncologia - Università degli
Studi di Firenze
Una donna di 75 anni è giunta alla nostra osservazione per la comparsa da circa due mesi di numerose lesioni bollose tese su cute eritemato-infiltrativa, confluenti in ampie lesioni figurate, insorte prima a livello degli arti inferiori e successivamente agli arti superiori, associate a prurito. Dall’ananmesi risultava che la pz era stata sottoposta ad isterectomia all’età di 42 anni, presentava diverticolosi intestinale ed era in trattamento con benzodiazepine per una sindrome ansioso-depressiva. L’esame istopatologico eseguito su cute lesionale a livello del braccio destro evidenziava: dermatite vescicolo-bollosa subepidermica associata a lieve infiltrato linfoistioide del derma
e saltuari granulociti eosinofili nel derma superficiale e medio. L’immunofluorescenza diretta condotta su cute perilesionale mostrava
depositi lineari di IgG e C3 alla giunzione dermoepidermica, mentre nell’immunofluorescenza indiretta documentava la presenza di autoanticorpi IgG anti membrana basale a titolo 1:80.
Gli esami di laboratorio evidenziavano le seguenti alterazioni: gr.neutrofili 8.2x1000/mmc, gr.eosinofili 2.4x1000/mmc, LDH 680 U/L,
γGT 280 U/L, colesterolo 249 mg/dl, FA 733 U/L, CEA 383.6 ng/ml, CA125 371.3 U/L, CA19.9 24397.1 U/ml, CA15.3 86.7 U/ml, TPA
>5000 U/L, creatinina clearance 72 ml/min. La radiografia del torace era regolare, mentre l’ecografia addominale evidenziava multiple
211
formazioni nodulari ipoecogene epatiche e una formazione nodulare solida del corpo del pancreas; tali reperti erano confermati dall’indagine TC con m.d.c.
Sulla base dei dati clinici, sierologici, istopatologici ed immunopatologici associati ai reperti strumentali, è stata posta diagnosi di Pemfigoide bolloso paraneoplastico in paziente con carcinoma del corpo del pancreas; la pz è stata trattata con terapia sistemica a base di
prednisone, tetracicline e nicotinamide ed avviata al chirurgo generale per la neoplasia pancreatica.
Riportiamo il caso per sottolineare l’importanza di eseguire indagini accurate, sia sierologiche che strumentali, di fronte ad una dermatosi bollosa con esteso impegno cutaneo e resistente ai comuni trattamenti. Infatti il pemfigoide bolloso, pur non essendo considerato
una dermatosi paraneoplastica, può associarsi anche se non in maniera statisticamente significativa vista l’età dei pazienti, a diversi tipi
di neoplasia.
Sulla base della nostra esperienza vengono analizzati gli elementi immunopatologici differenziali tra le forme comuni di Pemfigoide bolloso e le forme di Pemfigoide bolloso paraneoplastico.
Bibliografia
• Plusette P, Joly P et al. A paraneoplastic mixed bullous skin disease: breakdown in tolerance to multiple epidermal antigens. Br J Dermatol 2000;143:149-153
• Fabbri P. I Pemfigoidi. Monografie Dermatologiche, 1994, SIGRED - Firenze
Aspetti clinici anomali di patologie cutanee di frequente riscontro
• Macripò G, Broganelli P*, Caliendo V, Ronco AM, Soltani S, Pau S, Giacone E, Tomasini C*
Dermatologia 1 ASO San Giovanni Battista di Torino; *Dermatologia 3 ASO San Giovanni Battista di Torino
Nella pratica clinica quotidiana capita talvolta il riscontro di lesioni cutanee di difficile interpretazione. L’iter diagnostico seguito per la
definizione della natura di dette lesioni deve essere oltremodo accurato ed attento al fine di non sottovalutare il trattamento medicochirurgico più idoneo di fronte a patologie di dubbia diagnosi. Così è sempre consigliabile praticare esami di accertamento che, a seconda
dei casi, potranno essere strumentali non invasivi (epiluminescenza, ecografia, TAC/RMN) o minimamente invasivi (biopsia cutanea).
L’esatta definizione di queste patologie serve per garantire il miglior trattamento, e ci permette al contempo di fornire al paziente corrette informazioni sull’approccio terapeutico, talvolta complesso ed invasivo, cui dovrà sottoporsi. Così facendo ci si cautela da possibili controversie medico legali che potrebbero scaturire da un trattamento inadeguato o corretto a giudizio del medico ma inatteso per il
paziente.
Presentiamo una breve casistica relativa a patologie cutanee, a nostro parere più significative, occorse negli ultimi due anni.
Carcinoma a cellule di Merkel: nostra esperienza
• Macripò G, Caliendo V, Ciuffreda L*, Birocco N*, Lista P*, Ronco AM, Soltani S, Giacone E, Pau S, Ellena G, Berretto O*
Dermatologia 1 ASO San Giovanni Battista di Torino; *Oncologia Medica ASO San Giovanni Battista di Torino
Il carcinoma a cellule di Merkel è una rara ed aggressiva neoplasia di più frequente riscontro negli anziani. Si caratterizza per il rapido
accrescimento ed è in grado di dare metastasi a livello delle stazioni linfonodali regionali ed a distanza, oltre a frequenti recidive locali.
Per queste caratteristiche la prognosi è spesso severa anche quando un trattamento medico è possibile compatibilmente con l’età e le
condizioni generali del paziente.
Presentiamo la nostra casistica di 23 pazienti, seguiti dalle divisioni di Oncologia Medica e Dermatochirurgia dell’Ospedale S. Giovanni
Battista e dell’Oncologia Medica dell’Ospedale S. Luigi Gonzaga. Quattordici pazienti sono femmine e nove maschi; l’età alla diagnosi
è compresa tra i 63 ed i 94 anni. In dieci pazienti la lesione primitiva era localizzata agli arti inferiori, in quattro a livello del volto; negli
altri alle spalle, al collo, al cuoio capelluto ad ai glutei. Dopo l’escissione chirurgica della lesione primitiva otto pazienti sono stati sottoposti ad un successivo intervento chirurgico per metastasi linfonodali regionali.
Due pazienti sono stati sottoposti a dissezione linfonodale profilattica, seguita da radioterapia, non hanno avuto localizzazioni secondarie e risultano liberi da malattia rispettivamente a 5 ed a 7 anni dalla diagnosi. Un paziente è stato sottoposto a chemioterapia e quindi a linfoadenectomia regionale: è libero da malattia a 8 anni dalla diagnosi. Nove dei pazienti sono stati sottoposti a chemioterapia con
composti del platino, etoposide e doxorubicina, in tre donne in adiuvante, in cinque uomini ed una donna allo scopo di controllare la
rapida progressione della malattia. Questi pazienti sono tutti deceduti. Per due di loro è difficile stabilire la causa del decesso in quanto
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
affetti inoltre da linfoma non-Hodgkin.
Dodici pazienti sono vivi e liberi da malattia, dopo un periodo di follow-up variabile tra i 6 mesi ed i 10 anni; sette di questi pazienti sono stati sottoposti a dissezione linfonodale regionale. Questo sembra confermare che l’approccio chirurgico debba essere esteso alle
stazioni linfonodali regionali e che la radioterapia debba seguire l’intervento chirurgico.
La chemioterapia può rallentare l’evoluzione delle manifestazioni secondarie, tuttavia, dato l’esiguo numero dei pazienti, non siamo in
grado di dire se possa modificare l’intervallo libero da malattia e la sopravvivenza.
Lo specialista ambulatoriale dermatologo: non solo routine 2
• Mancino A, Stasi R, Gabellone M, Malvindi C, Pellè S, Ligori P, Ruggero A, Sodo M, Serratì E, Rinaldi F, Fai D, Alessandrini G
Collegio Salentino di Dermatologia
L’attività ambulatoriale del dermatologo salentino non è diversa, per qualità e per tipo di patologie osservate, da quella degli altri colleghi altrove ubicati e non infrequentemente deve essere in grado di raccogliere le sfide e gli stimoli che la professione può offrire. Presentiamo una serie di casi clinici osservati durante l’attività ambulatoriale.
Rivalutazione dei criteri diagnostici della malattia ateroembolica
• Manganoni AM1, Venturini M1, Scolari F2, Tardanico R3, Tucci G1, Facchetti F3, Graifemberghi S1, Semenza D1, Calzavara Pinton PG1
1
Divisione di Dermatologia, 2Divisione e Cattedra di Nefrologia, 3Dipartimento e Cattedra di Anatomia Patologica, Spedali Civili di Brescia
La malattia ateroembolica (MAE) è un disordine multisistemico caratterizzato dal distacco di cristalli di colesterolo da placche ateromasiche aortiche che può indurre ischemia o infarto dei tessuti a valle del vaso arterioso occluso da tale embolo. Sebbene l’embolizzazione di cristalli di colesterolo possa verificarsi spontaneamente, viene diffusamente riconosciuta come complicanza iatrogena di una procedura endovascolare invasiva, come la manipolazione dell’aorta durante angiografie, chirurgia vascolare, o a seguito di terapie anticoagulanti
e trombolitiche. L’embolizzazione di cristalli di colesterolo può coinvolgere diversi organi, ma la cute e i reni sono i principali targets del
fenomeno.
Lo scopo del nostro studio è stato quello di sottolineare l’importanza della diagnosi precoce della MAE attraverso il riconoscimento di
iniziali lesioni cutanee suggestive di MAE.
La nostra casistica comprendeva, dal 1989 al 2000, 52 pazienti che manifestarono nel 96% dei casi lesioni cutanee suggestive di MAE
evidenti prima dell’esordio del quadro renale.
La lesione di più frequente riscontro è stata un quadro a tipo livedoide coinvolgente l’area metatarsale e la superficie volare delle dita
dei piedi (79%), tipica manifestazione cutanea precoce di MAE. Altre manifestazioni cutanee osservate comprendevano livedo reticularis in sede addominale e agli arti inferiori (38%), gangrena delle estremità (15%), ulcerazione di scroto e pene (1%). La biopsia di tali lesioni cutanee confermò istologicamente la diagnosi di MAE nel 52% dei casi.
La biopsia cutanea dovrebbe essere considerata di prima scelta nella diagnosi di MAE poiché è una procedura semplice, non invasiva e
che, a differenza della biopsia renale, non aumenta la morbilità del paziente.
Aspetti dermoscopici delle melanosi delle mucose
• Mannone F, De Giorgi V, Carli P
Dip. Scienze Dermatologiche - Università degli Studi di Firenze
La melanosi è una lesione pigmentata benigna che può insorgere a livello della mucosa orale e genitale. Talvolta la diagnosi di melanosi, sulla base del solo aspetto clinico, può risultare molto difficile soprattutto a livello vulvare (aspetto sovrapponibile al melanoma). Recentemente l’uso della dermatoscopia è risultato utile per aumentare l’accuratezza diagnostica delle lesioni pigmentate cutanee. Attualmente abbiamo pochi dati riguardo il possibile ruolo della dermatoscopia nella diagnosi delle lesioni pigmentate delle mucose. Altri studi riportano come aspetto dermoscopico tipico delle melanosi, una pigmentazione diffusa senza altri parametri correlati alla pro-
213
liferazione melanocitaria (“structure less pattern”). Più recentemente è stato definito il “parallel pattern” caratterizzato da strie pigmentate parallele lineari o parzialmente curve.
Abbiamo analizzato una serie di melanosi vulvari, istologicamente confermate e, per completezza anche una serie di melanosi del pene
e del labbro. Abbiamo identificato tre diversi pattern dermatoscopici: structure less pattern, parallel pattern, reticular like pattern. Il pattern parallelo è risultato molto più frequente nelle tipiche melanosi del labbro e dei genitali maschili, lo structure less pattern è stato osservato nella maggior parte dei casi, ed il reticular like pattern in un caso del labbro inferiore e nelle melanosi dell’areola mammaria.
La dermoscopia non sembra fornire informazioni utili per fini diagnostici nel caso del pattern reticular like, per i rischi di misclassificazione con il melanoma.
Eumicetoma da Madurella mycetomatis
• Martignoni G, Baldassarre S, Ricci R, De Panfilis G, Di Nuzzo S
Clinica Dermatologica, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università di Parma
L’eumicetoma è un infezione cronica della cute e dei tessuti sottocutanei prodotta da miceti saprofiti (tra i quali Madurella mycetomatis è l’agente eziologico di più frequente riscontro), presenti nel terreno delle regioni a clima tropicale e sub-tropicale, che penetrano
nella cute attraverso soluzioni di continuo di origine traumatica. Clinicamente si manifesta come una lesione infiltrata, percorsa da tragitti fistolosi da cui fuoriescono caratteristici granuli. Se non trattata, l’infezione si estende progressivamente a muscoli ed ossa, provocando perfino gravi mutilazioni.
Presentiamo il caso di una paziente di 28 anni, di nazionalità Etiope, residente da due anni e mezzo in Italia, che presentava alla pianta
del piede destro una lesione infiltrata, dolente, percorsa da tragitti fistolosi drenanti materiale siero ematico e granuli nerastri, insorta
l’anno precedente la nostra osservazione e lentamente ingranditasi. L’esame microscopico a fresco dell’essudato e dei granuli evidenziava la presenza di ife di colore bruno riunite a formare grani di forma sferica. L’esame istologico rilevava la presenza del fenomeno di
Splendore-Hoeppli, patognomonico di eumicetoma. Le indagini colturali indicavano Madurella mycetomatis come probabile agente responsabile dell’infezione, ma sono tuttora in corso ulteriori indagini, mediante tecniche di biologia molecolare, per una conferma definitiva. Ecografia, Radiografia del piede, scintigrafia ossea e Tomografia computerizzata mostravano un infiltrazione delle fasce e dei muscoli plantari, ma non delle strutture ossee. Le indagini ematochimiche erano nella norma, negativa la sierologia per HIV. Veniva quindi
somministrato itraconazolo, alla dose di 400 mg/die. A distanza di 2 mesi dall’inizio della terapia, non essendo mutato il quadro clinico, si sperimentava la terapia fotodinamica (PDT) con 5-ALA con l’intento di bonificare la cute e facilitare la chiusura delle fistole (come
indicato in letteratura in alcuni casi di leishmaniosi cutanea e tricofitosi), ma senza successo. All’itraconazolo venivano quindi associati
200 mg/die di terbinafina. Dopo 3 mesi, nonostante un modesto miglioramento della sintomatologia dolorosa, l’esame clinico ed una
nuova TC non evidenziavano alcuna riduzione delle dimensioni della lesione che veniva quindi asportata chirurgicamente, senza intervenire sulle strutture ossee e utilizzando un ampio innesto muscolo cutaneo per la chiusura della breccia operatoria.
L’eumicetoma è una infezione molto frequente in Africa, ma finora in letteratura non erano stati riportati casi di infezione in Etiopia.
Imiquimod nella terapia delle cheratosi attiniche
• Marulli GC, Campione E, Zarras A, Bianchi L, Chimenti S
Clinica Dermatologica - Università di Roma Tor Vergata
Le cheratosi attiniche sono delle precancerosi primitive cutanee che interessano circa il 40% della popolazione di età compresa tra i 40
e gli 80 anni. Il trattamento precoce di queste lesioni è importante in quanto, il rischio di progressione delle cheratosi attiniche in un
carcinoma squamocellulare invasivo è stimato, in base ad indagini epidemiologiche e retrospettive, tra il 6% ed il 10%.
Alcuni autori invece considerano attualmente le AK come vere neoplasie cheratinocitarie intraepidermiche (Keratinocytic Intraepidermic Neoplasia), sottolineando i parametri istologici e genetici di malignità.
I raggi UV hanno un ruolo determinante nel processo di cancerogenesi di queste lesioni, infatti inducono un danno diretto sul DNA ed
hanno un effetto immunosoppressivo sulla cute.
L’imiquimod grazie alle sue proprietà immunomodulanti potenzia la risposta immune locale innata ed acquisita ed ha un’attività pro-apoptotica nei confronti delle cellule tumorali.
Nel nostro studio sono stati inclusi 10 pazienti dai 48 ai 65 anni affetti da cheratosi attiniche multiple (da 2 a 10) per un totale di 63 le-
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
sioni. Il diametro delle cheratosi attiniche variava dai 0.5 ai 2 cm. La loro distribuzione era prevalentemente nelle sedi fotoesposte ed in
particolare sulla testa e sul decolletè.
La modalità di trattamento prevedeva la monosomministrazione giornaliera del farmaco 3 volte la settimana per un periodo medio di
4-8 settimane. Alla fine della terapia abbiamo osservato la remissione completa delle lesioni in tutti i pazienti. A distanza di 2 anni e
mezzo non si è osservata alcuna recidiva delle lesioni trattate. Gli effetti collaterali, rappresentati da eritema ed erosione nelle sedi di
applicazione, non modificavano la buona compliance dei pazienti, se opportunamente informati. Questa esperienza conferma la validità e l’efficacia dell’imiquimod nel trattamento delle cheratosi attiniche ed i vantaggi rappresentati dalla semplicità di impiego in autosomministrazione ed evidenzia l’assenza di recidive a lungo termine.
Lesioni polimorfosimili in pemfigo volgare
• Marzano AV, Tanzi C, Boneschi V, Alessi E, Caputo R
Istituto di Scienze Dermatologiche, Università degli Studi di Milano - IRCCS Ospedale Maggiore di Milano
Il pemfigo volgare è una malattia acantolitica muco-cutanea cronica anticorpo-mediata, che si manifesta con bolle a tetto sottile ed erosioni sierogementi, mentre l’eritema polimorfo è una malattia acuta multifattoriale linfocito-mediata caratterizzata da lesioni eritematose “a coccarda”, talora centrate da una bolla a tetto spesso. L’osservazione di entrambe le patologie nello stesso paziente non è solo inusuale ma è anche indicativa di una possibile peculiare eziologia dell’eritema polimorfo.
Maschio di 40 anni, da 2 mesi affetto da pemfigo volgare e in trattamento steroideo, che viene ricoverato per la comparsa, dopo riduzione della terapia, di nuove bolle e di erosioni al cavo orale e al tronco e di manifestazioni polimorfosimili agli arti.
L’immunofluorescenza conferma il pemfigo. La biopsia di una lesione “a coccarda” mostra sia alterazioni acantolitiche che gruppi di
cellule in degenerazione balloniforme con presenza in PCR del DNA dell’HSV1. Si effettua terapia endovenosa con boli di cortisone e acyclovir con regressione rapida delle lesioni polimorfosimili e più lenta di quelle attribuibili al pemfigo.
Lesioni tipiche di eritema polimorfo, manifestazioni polimorfosimili e segni citologici od istologici di degenerazione balloniforme devono sempre far sospettare l’infezione erpetica. Nel caso specifico, nonostante l’anamnesi negativa, il paziente era sicuramente da tempo portatore dell’HSV1 e con immunità cellulare antivirale attivata e il trattamento steroideo ha verosimilmente slatentizzato l’infezione con conseguente comparsa dell’eritema polimorfo e, secondo quanto segnalato in letteratura, anche contemporanea esacerbazione del pemfigo.
Bibliografia
• Ruocco V, Ruocco E. Pemphigus and environmental factors. G Ital Dermatol Venereol 2003;138:299-309.
Lupus eritematoso profondo fibrosante lineare
• Marzano AV, Tanzi C, Bottini S, Caputo R, Alessi E
Istituto di Scienze Dermatologiche, Università degli Studi di Milano - IRCCS Ospedale Maggiore di Milano
Una donna di 32 anni giunge all’osservazione per la presenza di una lesione sclerotica lineare, eritemato-violacea, associata a noduli
sottocutanei multipli, che si estende dalla porzione inferiore del braccio destro a quella superiore dell’avambraccio omolaterale. La paziente riferisce che la lesione, comparsa tre anni or sono, si è progressivamente estesa determinando ridotta motilità dell’arto coinvolto. Un’istologia, eseguita in altra sede, è risultata orientativa per linfoma cutaneo a fenotipo B, tuttavia non trattato. All’anamnesi risulta
inoltre il riscontro nel siero di anticorpi antinucleo (ANA) a titolo elevato e di piastrinopenia. Le indagini bioumorali durante il ricovero
confermano la positività degli ANA ed evidenziano anticorpi circolanti anti-cardiolipina e anti-piastrine. L’esame isologico rivela infiltrazione dermica linfoplasmocitica, perivascolare ed interstiziale, e diversi follicoli linfoidi con fibrosi che si estende ai setti connettivali dell’ipoderma e con parziale riassorbimento del tessuto adiposo. L’immunofluorescenza diretta documenta depositi granulari giunzionali
di IgM e C3.
Con metilprednisolone per via intramuscolare ed idrossiclorochina si ottiene marcata riduzione della sclerosi e dell’eritema. La diagnosi
formulata è quella di lupus eritematoso profondo, rara variante nello spettro anatomo-clinico del lupus eritematoso.
L’interesse del caso risiede nella distribuzione lineare delle lesioni, descritta in precedenza solo in 4 pazienti, e nella marcata fibrosi reminiscente una sclerodermia localizzata.
215
Bibliografia
• Tada J, Arata J, Katayama H. Linear lupus erythematosus profundus in a child. J Am Acad Dermatol 1991;24:871-874.
SCLE bolloso iperpigmentato
• Marzano AV, Marca S, Battaino E, Alessi E
Istituto di Scienze Dermatologiche, Università degli Studi di Milano - IRCCS Ospedale Maggiore, Milano
Il lupus eritematoso è un’affezione infiammatoria ad eziologia sconosciuta, con un ampio spettro di manifestazioni cliniche per l’interessamento solo della cute o di molteplici organi e tessuti. Anche sul piano dermatologico la malattia è pleomorfa per l’esistenza di varianti verrucose, tumide e profonde del classico lupus eritematoso discoide e per il pleomorfismo delle lesioni del lupus eritematoso subacuto cutaneo. Ipercromie ed acromie localizzate sono comuni, ma del tutto inusuali sono alterazioni diffuse ipercromiche come nel
caso di seguito presentato.
Donna di 47 anni, che viene ricoverata per la progressiva comparsa di ingravescente melanodermia al volto, al collo, alla parte alta del
tronco e agli arti superiori e per la comparsa improvvisa nelle stesse sedi, dopo il periodo estivo, di un’eritema persistente di fondo e di
lesioni bollose ad evoluzione squamocrostosa.
L’istologia è orientativa per lupus eritematoso. La VES è aumentata. Sono presenti piastrinopenia ed anticorpi anti-SSA/RO, anti-Sm ed
anti-nRNP. Sono positivi a basso titolo gli anticorpi anti-cardiolipina. L’immunofluorescenza diretta evidenzia un deposito granulare di IgM
alla giunzione dermo-epidermica. La terapia a scalare con metilprednisolone determina rapida regressione dell’eritema e miglioramento della piastrinopenia.
L’esordio melanodermico della patologia nella nostra paziente rende quasi unico il caso presentato. In letteratura figura infatti un solo
lavoro in cui la malattia, classificata come sistemica, si era manifestata nell’arco di 3 mesi con un’iperpigmentazione cutanea diffusa e
più marcata al volto, che aveva fatto sospettare il morbo di Addison.
Bibliografia
• Gallo V, Petrino R, Rabbia F, Quadri R. Lupus eritematoso sistemico in un uomo anziano con interessamento epatico, iperpigmentazione cutanea e incremento dei markers tumorali. Minerva Medica 1988;79:579-581.
Cellulite da Escherichia coli: un caso clinico
• Masala MV, Satta R, Montesu MA
Clinica Dermatologica, Università di Sassari
La cellulite è un infezione suppurativa del derma e del tessuto sottocutaneo causata, nella maggior parte dei casi, da germi Gram positivi, tra cui, in particolare, Streptococchi di gruppo A. Più raramente, è possibile osservare l’insorgenza di celluliti causate da germi Gram
negativi, soprattutto in individui immunocompromessi. Il fattore di rischio principale per questo tipo di infezioni, a decorso particolarmente severo, è rappresentato dalle alterazioni delle funzioni leucocitarie.
Presentiamo un caso giunto alla nostra osservazione di cellulite bollosa degli arti inferiori indotta da Escherichia coli, isolato all’esame colturale su frustolo cutaneo, in una paziente affetta da linfoma non Hodgkin a linfociti villosi.
Pioderma gangrenoso associato a spondilite anchilosante trattato con infliximab e metotrexato
• Mastroianni A, Latini A, Solivetti FM, Ferraccioli GF*, Minutilli E, Berardesca E
Istituto Dermatologico S. Gallicano, IRCCS; *Istituto di Reumatologia, Università Cattolica S. Cuore - Roma
Introduzione. Il pioderma gangrenoso (PG) è una patologia dermatologica infiammatoria a carattere ulcerativo cronico che talora si ritrova associata a numerose patologie sistemiche tra cui malattie infiammatorie croniche dell’intestino (morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa), malattie mieloproliferative (gammopatie, leucemie, linfomi) e reumatologiche (artrite reumatoide, artrite psoriasica, spondilite,
LES). Il trattamento sistemico del PG è riservato alle forme estese con decorso clinico rapido e progressivo e comprende una vasta scelta terapeutica che può variare anche e soprattutto in relazione alle patologie internistiche associate.
Case-report. Presentiamo il caso di un uomo di 55 anni affetto da alcuni anni da PG cutaneo diffuso sottoposto a vari trattamenti (te-
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
tracicline, dapsone, ciclosporina) con risultati parziali e transitori. In occasione di un ricovero si documentava un’artropatia sieronegativa con evoluzione anchilosante a livello delle articolazioni interfalangee delle dita delle mani associata ad una gammopatia ad IgA reattiva. Veniva intrapreso un trattamento con infliximab (5mg/Kg e.v.) alle settimane 0, 2 e 6 con parziale risoluzione dell’artropatia ma
senza miglioramento delle lesioni cutanee per cui si decideva di associare metotrexato (20 mg/sett. i.m.) alle successive infusioni di mantenimento con infliximab alle settimane 12 e 18 con ulteriore miglioramento dell’artropatia e notevole regressione delle lesioni ulcerative di PG.
Conclusioni. Il PG resistente alle terapie tradizionali necessita di essere indagato per associazioni con malattie internistiche; in tale situazione, esso può essere raramente correlato ad una spondilite anchilosante (SpA) assiale, periferica o indifferenziata. Alla luce degli
entusiasmanti risultati clinici ottenuti con infliximab sia per il trattamento del PG associato al morbo di Crohn sia per quello della SpA,
abbiamo ritenuto utile proporre questo farmaco in un caso non frequentemente descritto di PG associato a SpA evidenziandone i rapidi benefici sull’artropatia ma anche i limiti sul coinvolgimento cutaneo se utilizzato in monoterapia.
Alterazioni dell’assetto endocrino, cardiovascolare ed immunologico indotte da stress in
pazienti affetti da psoriasi
• Mastrolonardo M,1 Alicino D,1 Diaferio A,1 Maffione AB,2 Zefferino R,1 Bellomo A,1 Picardi A,3 Sampogna F,3 Abeni D3
1
Dipartimento di Scienze Mediche e del Lavoro, Università di Foggia
2
Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di Foggia
3
Istituto Dermopatico dell’Immacolata, IRCCS IDI, Roma
Tanto l’esperienza clinica quotidiana, quanto le sempre più numerose e validate evidenze emergenti in letteratura nel campo della cosiddetta “psico-neuro-immuno-endocrinologia”, suggeriscono come lo “stress” sia in grado di interferire con la storia naturale delle
più disparate affezioni umane.
Per quanto più specificamente attiene le patologie cutanee a carattere infiammatorio, il ruolo giocato da eventi/agenti stressanti in grado di interferire con l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e col sistema simpatetico-adreno-medullare risulta finora assai poco studiato.
Verranno presentati i risultati di uno studio condotto su 25 pazienti con psoriasi e 50 controlli, in cui i tassi salivari di cortisolo ed interleuchina-1-beta, la frequenza cardiaca e i valori pressori sistolici e diastolici sono stati monitorizzati ‘prima-durante-e-dopo’ la somministrazione sequenziale di due moduli stressanti da tempo standardizzati: lo Stroop Color Test e una versione modificata del Trier Social
Stress Test.
Dye laser pulsato 595 nm nel trattamento del carcinoma a cellule basali superficiale
• Mavilia L, Campolmi P, Bonan P*, Cannarozzo G*, Rossi R, Cappugi P
U.O. Fisioterapia Dermatologica, Dip. Scienze Dermatologiche, Università degli Studi di Firenze
*AIDA-GILD
Il Dye Laser Pulsato è costituito da una soluzione liquida contenente un colorante organico (più comunemente la Rodamina-6G) che
permette di selezionare lunghezze d’onda comprese tra 585 e 600 nm a seconda dei vari sistemi. Il 595 nm rappresenta una lunghezza d’onda risultano particolarmente interessante perché possiede un buon assorbimento da parte dell’ossiemoglobina (picco massimo
a 577 nm) e una buona penetrazione della luce nel derma con minimi rischi di esiti cicatriziali e discromici indesiderati. Il Dye Laser Pulsato rappresenta al momento il gold standard per le anomalie vascolari e soprattutto per i Port Wine Stain.
In questo studio, ancora in corso di svolgimento, abbiamo utilizzato il Dye Laser Pulsato (Dermobean 2000 - DEKA M.E.L.A. - Firenze)
nel trattamento del carcinoma a cellule basali superficiale (CCBs) irradiando tutta la lesione in maniera uniforme e alcuni mm del margine con impulsi successivi e con un minimo di overlap. Il razionale sul possibile impiego del Dye Laser Pulsato nel trattamento del CCBs
non è ancora perfettamente chiarito e saranno necessarie ulteriori osservazioni. Il possibile target potrebbe non essere solo l’ossiemoglobina, per cui il laser condurrebbe ad un “collasso” delle abbondanti strutture vascolari che “nutrono” il CCBs determinando la morte cellulare, ma anche la cromatina nucleare, aumentata nel CCBs per cui si determinerebbe morte cellulare “diretta” o il tessuto stromale o tutte assieme.
Discuteremo il protocollo ed i risultati di questa terapia ancora da considerare puramente sperimentale e non alternativa per il trattamento
del CCBs.
217
Bibliografia
• Campolmi P, Bonan P, Cannarozzo G. Laser e Sorgenti Luminose in Dermatologia. 2003 Masson.
• Allison KP, Kiernan MN, Waters RA, Clement RM. Pulsed dye laser treatment of superficial basal cell carcinoma: realistic or not? Lasers Med Sci. 2003;18:125-6.
Cheratoacantoma insorto su nevo sebaceo in età pediatrica: caso clinico
• Mazzocchetti G, De Francesco F, Saracino G, Pizzicannella G, Pollice N
Unità Operativa di Dermatologia - A.S.L. Lanciano - Vasto - Ospedale “Renzetti “ di Lanciano (CH)
Il nevo sebaceo viene definito un amartoma epiteliale caratterizzato da un elevato numero di ghiandole sebacee. È considerato un nevo organoide come espressione di un mosaicismo segmentale in cui sono alterate non solo l’epidermide, ma anche le componenti annessiali e dermiche. Insorge nel corso dell’infanzia e viene usualmente riconosciuto come un’area di alopecia circoscritta localizzata in
regione fronto-temporale. Successivamente, assume l’aspetto di una placca verrucosa a configurazione longitudinale con colore tendente al giallo ed al rosa, in genere priva di peli. Frequentemente in età adulta è possibile riscontrare una neoformazione nodulare nel
contesto della lesione indicativa dello sviluppo di una neoplasia. La maggior parte di questa neoplasia è costituita da tricoblastomi, siringo cistoadenomi papillliferi, più raramente da epiteliomi o cheratoacantomi. Gli autori descrivono il caso di un bambino di otto anni
affetto dall’infanzia da un nevo sebaceo della fronte in cui si è sviluppata una neoformazione ulcerata nel giro di tre mesi. È stato effettuto
un’esame dermoscopico della lesione in toto che confermava la diagnosi clinica dell’amartoma ed era fortemente sospetta per un cheratoacantoma della lesione ulcerata. Nel sospetto della neoplasia è stata effettuata un’asportazione chirurgica della neoformazione che
confermava istologicamente il charatoacantoma. Gli autori hanno ritenuto interessante riportare questo caso per la relativa rarità dello
sviluppo del cheratoacantoma su nevo sebaceo in età pediatrica, inoltre discutono gli aspetti clinico-dermoscopici di tali lesioni.
L’impiego dell’etanercept nel trattamento della psoriasi grave dell’età pediatrica
• Mazzotta A, Costanzo A, Papoutsaki M, Soda R, Chimenti S
Clinica Dermatologica - Università di Roma Tor Vergata
L’Etanercept è una proteina umana di fusione che deriva dalla fusione tra due domini extracellulari del recettore p75 del TNFα e la regione Fc delle IgG1. Svolge il suo effetto non solo tramite il legame ad alta affinità con i recettori per il TNFα solubili ma anche legandosi ad altre citochine come l’IL-1α, il TNFβ ed il LTa. Viene somministrato tramite iniezioni sottocutanee ad un dosaggio di 25mg due
volte la settimana e può essere usato sia da solo sia in associazione con il Methotrexate. L’Etanercept è efficace nel trattamento dell’artrite reumatoide, dell’artrite psoriasica e nella psoriasi volgare a placche dell’adulto. Inoltre è stato impiegato con successo anche nel trattamento dell’artrite idiopatica giovanile mostrando una rapida e sostanziale riduzione dell’attività della malattia. Sulla base di queste
nozioni e considerando il fatto che questo farmaco è consigliato anche per l’uso in bambini di età compresa tra i 4 ed i 14 anni, abbiamo voluto valutare la sua efficacia e sicurezza nel trattamento della psoriasi volgare grave dei bambini resistente a terapie convenzionali. Nel nostro studio abbiamo trattato due bambini maschi di 5 ed 11anni di età affetti rispettivamente da psoriasi volgare a placche
generalizzata con un PASI score di 21,2 e da psoriasi eritrodermica pustolosa generalizzata con un PASI score di 25,8 resistenti alle terapie tradizionali. Il dosaggio utilizzato è stato di 0,4 mg/kg bi-settimanalmente per via sottocutanea. Entrambi i pazienti hanno raggiunto il PASI 75% dopo 4 settimane di trattamento. Il trattamento della psoriasi nei bambini è un campo che si è sviluppato in gran parte in maniera empirica, esistendo in letteratura pochi trials clinici specifici per l’età pediatrica. In particolar modo per quello che riguarda le terapie sistemiche queste devono essere riservate ai casi di psoriasi eritrodermica, pustolosa ed artropatica grave. Tra i farmaci fin
ora utilizzati troviamo il methotrexate, il dapsone, la ciclosporina ed i retinoidi. In base ai risultati da noi ottenuti possiamo dire che anche l’Etanercept potrebbe trovare una valida indicazione nel trattamento della psoriasi grave in età pediatrica.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Cicatrici da amniocentesi: 2 casi clinici
• Meloni P, Satta R, Masala MV, Montesu MA
Clinica Dermatologica, Università di Sassari
In letteratura, sono riportati alcuni casi di cicatrici macroscopicamente visibili, osservabili alla nascita sulla superficie cutanea di bambini sottoposti ad amniocentesi dalla 16 alla 20 settimana di gestazione. Tali cicatrici, provocate dalla puntura dell’ago utilizzato per tale
indagine diagnostica, appaiono morfologicamente rotondeggianti, a stampino, o più raramente lineari, singole o multiple e di 1 o 2
mm di diametro. Fino all’avvento dell’ultrasonografia in tempo reale, questo tipo di cicatrici si osservavano nel 1% -3% dei bambini
sottoposti ad amniocentesi precoce, mentre attualmente, sono segnalati solo sporadici casi clinici. Tali casi testimoniano che anche oggi il rischio di puntura da amniocentesi non è del tutto eliminato. Presentiamo due casi clinici giunti di recente alla nostra osservazione.
Analisi clinico-genetica di forme familiari di vitiligine: risultati preliminari
• Miggiano C, Guerriero C, Fabrizi G
Dipartimento di Scienze pediatriche,medico-chirurgiche e Neuroscienze dello sviluppo
Dermatologia Pediatrica, Università Cattolica del S. Cuore, Policlinico Gemelli - Roma
La vitiligine è una dermatosi su base genetica caratterizzata dalla comparsa di macchie acromiche, uniche o multiple, su tutto l’ambito
cutaneo. La cute colpita mostra la completa assenza di melanina e melanociti. Essa è ad eziologia sconosciuta, ma a patogenesi autoimmune. Costituisce il più comune disordine della pigmentazione, colpendo lo 0,1%-2% di tutta la popolazione mondiale, senza predilezione di sesso. La vitiligine è, inoltre, frequentemente associata ad altre patologie autoimmuni e rappresenta un motivo di disagio sociale, soprattutto tra i soggetti di carnagione scura. Nella maggior parte dei casi si tratta di un’affezione sporadica, ma l’aggregazione
familiare non è infrequente. La modalità di trasmissione di tale patologia è probabilmente di tipo multifattoriale. Recentemente, è stato proposto 1pAIS1 (p31.2-p31.3) come locus di suscettibilità nei confronti delle patologie autoimmuni, in particolare della vitiligine. Il
nostro gruppo sta studiando un gran numero di soggetti affetti da vitiligine non segmentale, prestando particolare attenzione alle forme familiari e alle loro peculiarità cliniche. Nelle famiglie in cui questo disordine si presenta come carattere ereditario, effettuiamo un’analisi di linkage per confermare il ruolo di AIS1. Fino ad oggi, abbiamo studiato quattro famiglie. L’esame di linkage su tali nuclei familiari con trasmissione apparentemente dominante per il locus AIS1 sul cromosoma 1p ha confermato che, anche in casi con ereditarietà
mendeliana, la patologia mostra eterogeneità genetica. Inoltre, se per tre di queste famiglie la segregazione dei markers genetici al locus AIS1 non era incompatibile con un linkage al locus AIS1, in una di queste famiglie l’analisi ha chiaramente dimostrato una esclusione
di co-segregazione della malattia con i marker genetici al locus AIS1. Queste osservazioni suggeriscono che ulteriori fattori, oltre ad
AIS1, sono necessari per l’insorgenza della malattia. In conclusione, i nostri dati non escludono AIS1 come locus di suscettibilità per la
vitiligine, ma di sicuro indicano il coinvolgimento di altri loci. Una possibile ipotesi è che ci siano parecchi geni associati alla predisposizione a sviluppare delle patologie autoimmuni. Probabilmente, è necessario ereditarne più d’uno contemporaneamente affinché tale
generica suscettibilità diventi significativa. Quando su tale substrato agiscono dei fattori ambientali scatenanti, si produce una malattia
clinicamente evidente.
Efficacia di una nuova mousse termosensibile a base di ketoconazolo, Zn e salicilico
• Milani M, Quadri G
Direzione Medica Mipharm e Ambulatorio di Dermatologia Savona
Background: Il ketoconazolo, lo zinco piritione e l’acido salicilico sono principi attivi comunemente utilizzati nel trattamento della forfora grave (Pityriasis capitis). Recentemente è stata sviluppata una nuova formulazione topica in mousse termosensibile, contenente Ketoconazolo 1%, zinco piritione 0.5% ed acido salicilico 2% (Ketomousse©; Mipharm Milano). La formulazione mousse termosensibile
permette una facile applicazione del prodotto soprattutto a livello del cuoio capelluto con un efficace ed efficiente delivery dei principi
attivi a livello cutaneo.
Scopo dello Studio: Valutare l’efficacia clinica e l’accettabilità della mousse nel trattamento della pityriasis capitis.
Pazienti e Metodi: In uno studio clinico in aperto della durata complessiva di 4 settimane, un totale di 15 pazienti (età media 35±8 anni) affetti da pityriasis capitis sono stati arruolati, previo consenso informato. La mousse veniva applicata tutti i giorni per sette giorni con-
219
secutivi e poi due volte alla settimana per i successivi 21 giorni sul cuoio capelluto a ”secco”. La valutazione dell’efficacia veniva valutata sia dal punto di vista clinico tramite apposito score di gravità della forfora (Score globale di gravità della forfora: SGGF) sia dal punto di vista obiettivo tramite esecuzione di valutazione fotografica a 40 ingrandimenti, al basale e dopo 1 e 4 settimane di trattamento.
Lo SGGF veniva calcolato utilizzando uno score semiquantitativo utilizzando una scala da 0 (0=no presenza di forfora) a 3 (3=presenza
di forfora intensa) con valutazione dell’intero cuoio capelluto diviso in 4 quadranti (anteriore/posteriore; destro/sinistro) eseguendo la somma degli score parziali di ciascun quadrante.
Risultati: Al basale lo SGGF era di 6.9±2 nel gruppo mousse. Già dopo 1 settimana, lo score SGGF si è ridotto significamente a 4±2. Al
termine delle 4 settimane di trattamento lo SGGF si è ridotto al 1.2±1, pari ad una riduzione rispetto al basale del 86%. Una risoluzione completa o quasi completa della pityriasis capitis si è registrata in 13 su 15 pazienti trattati. Non si sono osservati eventi avversi in nessuno dei pazienti arruolati nello studio.
Conclusione: Questa nuova formulazione in mousse termosensibile a base di ketoconazolo 1%, zinco piritione e acido salicilico si è dimostrata particolarmente efficace ed ottimamente tollerata nel trattamento della pityriasis capitis.
Efficacia di una nuova mousse termosensibile a base di ketoconazolo, Zn e salicilico nella
pityriasis capitis
• Milani M, Quadri G
Direzione Medica Mipharm e Ambulatorio di Dermatologia Savona
Background. Il ketoconazolo, lo zinco piritione e l’acido salicilico sono principi attivi comunemente utilizzati nel trattamento della forfora grave (Pityriasis capitis). Recentemente è stata sviluppata una nuova formulazione topica in mousse termosensibile, contenente Ketoconazolo 1%, zinco piritione 0.5% ed acido salicilico 2% (Ketomousse©; Mipharm Milano). La formulazione mousse termosensibile
permette una facile applicazione del prodotto soprattutto a livello del cuoio capelluto con un efficace ed efficiente delivery dei principi
attivi a livello cutaneo.
Scopo dello Studio. Confrontare l’efficacia clinica della mousse con il Ketoconazolo 2% in lozione nel trattamento della pityriasis capitis grave.
Pazienti e Metodi. In uno studio clinico controllato randomizzato, a gruppi paralleli, “investigator-blinded” della durata complessiva
di 4 settimane, un totale di 34 pazienti (età media 43±8 anni) affetti da pityriasis capitis marcata sono stati arruolati, previo consenso
informato. La mousse o la lozione di Ketoconazolo 2% venivano applicate due volte alla settimana sul cuoio capelluto a”secco”. L’efficacia veniva valutata sia dal punto di vista clinico tramite apposito score di gravità della forfora (Score globale di gravità della forfora:
SGGF) sia dal punto di vista obiettivo tramite esecuzione di valutazione fotografica a 40 ingrandimenti, al basale e dopo 2 e 4 settimane di trattamento. Lo SGGF veniva calcolato utilizzando uno score semiquantitativo utilizzando una scala da 0 (0=no presenza di forfora) a 3 (3=presenza di forfora intensa) con valutazione dell’intero cuoio capelluto diviso in 4 quadranti (anteriore/posteriore; destro/sinistro) eseguendo la somma degli score parziali di ciascun quadrante.
Risultati. Al basale lo SGGF era di 7.2±2 nel gruppo mousse e di 5.1±1 nel gruppo ketoconazolo lozione. Al termine delle 4 settimane
di trattamento in entrambi i gruppi si è osservato un miglioramento clinico significativo della forfora. Lo SGGF si è ridotto al 3.8±1 nel
gruppo mousse, pari ad una riduzione rispetto al basale del 48%, e al 3.7±1.2 nel gruppo ketoconazolo 2% lozione, pari ad una riduzione del 28%. Una risoluzione completa o quasi completa della pityriasis capitis si è registrata in 11 pazienti nel gruppo mousse (64%)
ed in 7 nel gruppo ketoconazolo lozione (41%) (P=0.07; Fisher exact test). Non si sono osservati eventi avversi in nessuno dei pazienti
arruolati nello studio.
Conclusione. Questa nuova formulazione in mousse termosensibile a base di ketoconazolo 1%, zinco piritione e acido salicilico si è dimostrata efficace almeno quanto il ketoconazolo 2% in lozione.
Un caso di xantogranuloma necrobiotico da paraproteinemia
• Minutilli E, Mastroianni A, Pittarello A, Cardinali G, Donati P, Carosi M, Spadea A, Petti MC, Berardesca E
Istituti Fisioterapici Ospitalieri - Polo Dermatologico e Oncologico - IRCCS - Roma
Introduzione. Lo xantogranuloma necrobiotico (NXG) è una rara istiocitosi non-X generalmente secondaria a paraproteinemia che colpisce la popolazione adulta. Esso è caratterizzato da una reazione infiammatoria xantogranulomatosa con estese aree di necrobiosi che
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
si estende dal derma medio all’ipoderma ed è indotta dal deposito tissutale di complessi formati da immunoglobuline circolanti il cui titolo sierico risulta aumentato (paraproteinemia) e lipidi. All’esame clinico si evidenziano placche giallo-violacee che sono distribuite sulla cute del viso (in particolare nella regione periorbitaria) e del tronco; talora, questa malattia può coinvolgere organi interni. La paraproteinemia è frequentemente rappresentata da una gammopatia monoclonale di tipo IgG-k prodotta da una plasmacitosi o più raramente da un vero mieloma. Generalmente il decorso è lentamente evolutivo senza che nessun trattamento (clorambucil, melfalan, cortisonici, radioterapia, plasmaferesi) sia mai riuscito ad arrestare la progressione sistemica della malattia.
Case-report. Nel nostro reparto è stato visitato un uomo di 75-anni che presentava una eruzione cutanea caratterizzata da placche
giallastre e rosso-brunastre, insorta in modo acuto e asintomatica, diffusa su gran parte dell’ambito cutaneo (viso, tronco e arti). Biopsie
cutanee multiple evidenziavano infiltrati granulomatosi nel derma e nel sottocute (strati di istiociti e cellule giganti da corpo estraneo e
di tipo Touton) associati a zone di necrobiosi con vacuolizzazione lipidica. Gli esami radiologici ed endoscopici consentivano di escludere un interessamento viscerale. I dati di laboratorio rivelavano una gammopatia monoclonale di tipo IgG-k e una biopsia midollare mostrava un mieloma senza che alcuna localizzazione ossea dell’emopatia fosse radiologicamente evidenziabile. Il paziente è stato trattato con cicli sistemici di steroidi e clorambucil ottenendo un significativo controllo della gammopatia monoclonale ma senza riuscire a modificare l’aspetto clinico delle lesioni cutanee.
Conclusioni. NXG rappresenta un disordine infiammatorio cronico generalmente secondario a paraproteinemia che coinvolge il sistema reticolo-endoteliale cutaneo e meno frequentemente degli organi interni. La diagnosi è basata sui caratteristici reperti clinico-patologici (è fondamentale porre una diagnosi differenziale con la necrobiosi lipoidica!) associati spesso ad una gammopatia monoclonale
secondaria ad una proliferazione plasmacellulare. Numerosi trattamenti sono stati proposti ma solo raramente essi sono stati capaci di
risolvere o migliorare il coinvolgimento cutaneo di questa malattia progressiva sistemica.
Feoifomicosi da Alternaria post-trapianto renale: 3 casi clinici
• Montesu MA, Muzzu ML, Satta R, Sanna S*
Istituto di Dermatologia, *Istituto di Microbiologia - Università di Sassari
Le Feoifomicosi comprendono un gruppo eterogeneo di infezioni micotiche cutanee, sottocutanee e sistemiche causate da una classe
di funghi appartenenti alla famiglia delle Demantacee. L’Alternaria spp che appartiene a questa famiglia, è un fungo ubiquitario, patogeno opportunistico, che induce infezione prevalentemente nei soggetti debilitati o immunocompromessi. In letteratura sono riportati
circa 80 casi di infezione da Alternaria spp, per cui si tratta di una infezione particolarmente rara. Si possono avere due tipi di infezione: la forma esogena, più frequente, che è conseguente ad una inoculazione traumatica del fungo, generalmente caratterizzata da
un’unica lesione in sedi esposte a traumatismi e una forma endogena, conseguente ad inoculazione di spore e successiva disseminazione
sistemica, per cui le lesioni cutanee sono secondarie, possono essere multiple e interessare diverse sedi.
Riportiamo tre casi di infezione cutanea localizzata da Alternaria spp, in tre pazienti sottoposti a trapianto renale.
Su di un caso di acropatia mutilante acquisita (A.M.A. o S. di Bureau-Barriere)
• Moretti G, Schepis C*, Puglisi Guerra A
U.O. di Dermatologia - Azienda Ospedaliera Papardo - Messina
*Unità di Dermatologia - Oasi Institute (IRCCS) - Troina
Viene descritto un caso di Acropatia Mutilante Acquisita (A.M.A. o S. di Bureau-Barriere) in un uomo di 48 anni, di origine germanica
ex alcolista affetto da ulcere mutilanti non dolenti adentrambi i piedi da circa 5 anni. Il paziente, di buona cultura, era nomade per scelta da circa 30 anni, durante i quali aveva soggiornato in numerosi paesi sud-europei ed aveva vissuto in strette comunità con persone
provenienti dal nord Africa. La patologia di cui era affetto gli procurava un modesto impedimento alla deambulazione, era nondolente
e lentamente progressiva. All’esame obbiettivo si osservava ulcera al 1° dito del piede sin. non dolente da circa 5 anni, edema falangi
distali con alterazioni ed ematomi ungueali, rimaneggiamento osseo delle falangi distali del 1° raggio di sin. ricoperte da cute ipercheratosica, muscoli ipotrofici con cute iperpigmentata prevalentemente a sin.; assenza del termotatto e della dolorabilità in sede lesionale e perilesionale, conservata la dolorabilità profonda; dermatosi papulare finemente desquamante alle superfici volari di entrambe le mani. Considerati i dati anamnestici e l’obbiettività clinica il paziente è stato sottoposto ad un iter diagnostico volto ad escludere patologie mutilanti granulomatose.
221
Si discute l’iter diagnostico con particolare riferimento ai dati vascolari, neurologici, radiologici ed istopatologici e si valuta la diagnosi
differenziale con altre acropatie ulcero-mutilanti acquisite.
Bibliografia
• Vanhooteghem O., Lateur N., Hautecoeur P., Wiart T.: Acropathia ulcero-mutilans acquisita of the upper limbs. Br Journ Dermatol
1999; 140:334-337.
• Van Landuyt H., Zultak M., Blank D. etal: Sarcoidose osteo-cutanee chronique mutilante. Ann Dermatol Venereol 1998;115:587-592.
• Destouet JM., Murphy WA.: Acquiredacro-osteolysis and acronecrosis. Arthritis Rheum 1983;26:1115-4.
Nuove prospettive terapeutiche nella cura della psoriasi: descrizione di tre casi trattati con
Infliximab
• Morrone P, Zendri E, De Panfilis G, Di Nuzzo S
Clinica Dermatologica, Università di Parma
L’infliximab è un anticorpo monoclonale chimerico (umano/murino), in grado di inibire l’attività biologica di una potente citochina infiammatoria, il TNF-α, che gioca un ruolo critico nella immunopatogenesi di numerose patologie infiammatorie, inclusa la psoriasi.
Descriviamo tre pazienti affetti da psoriasi volgare medio-grave, di cui due con componente artropatica, refrattari ai presidi terapeutici
convenzionali, trattati con infliximab. L’indice di attività della malattia è stato valutato tramite il PASI (psoriasis area severity index). Lo schema terapeutico ha previsto tre infusioni per via endovenosa al dosaggio di 5mg/kg. L’efficacia della terapia è stata monitorata mediante la riduzione del valore del PASI, che si è mostrato costantemente discendente sia durante il periodo di trattamento che durante il
“follow-up”. La nostra esperienza, sebbene limitata, è in linea con i recenti dati della letteratura, e mostra come tale molecola sia efficace nella cura della psoriasi medio-grave, ben tollerata ed in grado di migliorare in modo apprezzabile la qualità di vita dei pazienti.
Un caso di tossicità cutanea da glifosate
• Motta A, Amerio P, Toto P, Mohammad Pour S, Pajand R, Morelli F, Proietto G, Feliciani C*, Tulli A
Cl. Dermatologica Università G. D’Annunzio, Chieti; *Cl. Dermatologica USC, Roma
Il glifosate (N-[fosfonometil]glicina) è uno degli erbicidi più comunemente utilizzati in agricoltura per la distruzione delle piante erbacee
e grasse. Il meccanismo d’azione, non selettivo, si basa sull’inibizione dell’attività di un enzima coinvolto nella sintesi degli aminoacidi
aromatici nelle piante. Questo pathway biosintetico è assente nell’uomo e negli animali, per cui il glifosate viene considerato un prodotto
non tossico. Tuttavia sono stati segnalati casi di tossicità sistemica e reazioni irritative oculari legate all’esposizione accidentale al glifosate.
Raramente sono stati riportati casi di tossicità cutanea da esposizione a formulazioni contenenti glifosate. Noi riportiamo il caso di una
paziente di 78 anni, giunta alla nostra osservazione per la comparsa di una estesa ustione chimica localizzata su gambe e tronco, conseguente ad esposizione topica prolungata ad una formulazione contenente glifosate.
Segnaliamo il caso per evidenziare come un prolungato contatto diretto della cute con prodotti contenenti glifosate possa causare quadri di tossicità cutanea. Pertanto è importante adottare adeguate precauzioni (guanti protettivi, lavaggio accurato con acqua e sapone
dopo aver maneggiato il prodotto) durante l’uso di formulazioni a base di glifosate.
Istiocitoma cutaneo atipico
• Mundo L, Filotico R, Coricciati L, Altobella A, Arpaia N, Cassano N, Vena GA
Clinica Dermatologica II – AO Policlinico, Università di Bari
L’istiocitoma cutaneo è lesione benigna di quotidiana osservazione. Talvolta il quadro clinico può però presentare difficoltà interpretative.
Presentiamo due casi clinici. Il primo riguarda una donna di 64 anni che da circa cinque anni presentava a livello del terzo distale della
coscia sinistro una neoformazione nodulare accresciutasi lentamente fino a raggiungere un diametro di circa 3.5 cm. Il secondo riguarda una donna di 73 anni che da circa 15 anni presentava una neoformazione vegetante a livello della superficie dorsale del piede sini-
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
stro che si accresciuta fino a raggiungere il diametro di circa 3 cm. Con l’esame istologico era possibile formulare in entrambi i casi la
diagnosi di istiocitoma cutaneo. I due casi vengono presentati per la loro particolarità clinica.
I linfomi B della zona marginale
• Muratori S, Gambini D, Passoni E, Vezzoli P, Alessi E, *Berti E
Istituto di Scienze Dermatologiche-I.R.C.C.S.-Ospedale Maggiore di Milano; *Università Milano Bicocca
I linfomi B della zona marginale costituiscono un gruppo di patologie linfoproliferative che origina dalle cellule B post-germinali. La patologia interessa giovani adulti e rappresenta, secondo le varie statistiche, il 10-30% dei linfomi B primitivi della cute.
Clinicamente si osservano lesioni in chiazza, in placca o papulo-nodulari, prevalentemente localizzate agli arti, isolate o riunite in piccoli
gruppi, di dimensioni da 1 a 5 cm, di colorito variabile dal rosa al violaceo, di consistenza molle o, più raramente, dura, asintomatiche,
ad andamento indolente, con possibili remissioni spontanee e recidive.
Istologicamente si osserva una proliferazione costituita da un nucleo denso di piccole cellule centrocitoidi che sono aggregate come nella corona dei follicoli e da una espansione delle cellule della marginale; elementi centrocitoidi, linfoplasmocitoidi, plasmacellule e cellule monocitoidi. Si può osservare una netta predominanza degli elementi plasmocellulari e linfoplasmocitoidi (immunocitoma/plasmocitoma primitivo della cute) o, al contrario, una prevalenza di elementi centrocitoidi e monocitoidi con la formazione di follicoli patologici in cui si nota una netta espansione della marginale, come nei linfomi del MALT, in assenza o in presenza di una scarsa differenziazione plasmacellulare. Sono frequentemente presenti centri germinativi reattivi, spesso invasi dalle cellule della corona, o aggregati similcentro germinativo costituiti da cellule chiare.
Lo studio immunoistochimico evidenzia un immunofenotipo B linfoide CD20+, CD79a+, CD45RA+, MIB-1+ e BCL-6- e, nella maggior
parte dei casi, plasmacellule monotipiche (K+ o L+).
La diagnosi differenziale con i linfomi del centro follicolare o gli pseudolinfomi non è sempre agevole, soprattutto in assenza di plasmacellule monotipiche o di monoclonalità (dimostrabile in PCR) per la catena pesante (JH) delle immunoglobuline, anche in considerazione delle possibili remissioni cliniche spontanee, come negli pseudolinfomi.
La stadiazione include la TAC total body, la biopsia ossea e indagini ematochimiche complete.
La prognosi è buona, il decorso indolente, tuttavia sono frequenti le recidive ed in rari casi si osservano lesioni disseminate. È necessario un lungo follow-up clinico, vista anche la giovane età dei pazienti.
La terapia deve essere di tipo conservativo ed in presenza di lesioni localizzate nodulari si ricorrerà alla radioterapia, mentre se le lesioni sono multiple è possibile secondo la nostra esperienza utilizzare i corticosteroidi intralesionali o sistemici (come negli pseudolinfomi);
unicamente in presenza di lesioni francamente proliferative sarà preso in considerazione un trattamento con anti-CD20 o con IFN-alfa
ed eventualmente un trattamento chemioterapico.
Pemfigoide bolloso: descrizione di un caso clinico
• Nenna S°, Fuzio E*, Quinto V°
• AUSL BA/1 “Castel del Monte”, Andria (BA) - °U.O. Medicina Interna, P.O. “L. Bonomo”; *Specialista Ambulatoriale in Dermatologia
Introduzione e Scopo. Il pemfigoide bolloso (PB) é una malattia autoimmunitaria che si manifesta con un’eruzione bollosa cronica e
che colpisce soprattutto soggetti anziani con età > a 65 anni. Spesso l’esordio avviene con un’eruzione prodromica caratterizzata da lesioni eritemato-pomfoidi simil-orticarioidi; poi evolve in alcune settimane con la formazione di bolle tese che compaiono sotto forma di
un’eruzione generalizzata su cute eritematosa o apparentemente normale ed interessano a volte anche le mucose della bocca ed area
perigenitale. Presentiamo un caso di (PB) pervenuto alla nostra osservazione per interessamento mucocutaneo diffuso e protratto a seguito di malattia infettiva (herpes zoster).
Caso Clinico. D.A. o
+ 83 anni affetta da Diabete mellito di II tipo, cardiopatia ipertensiva, fibrillazione atriale permanente. Pregressa infezione da Herpes zoster. All’atto del ricovero la paziente presentava grandi placche infiammatorie eritematose-orticarioidi, a tipo eritema polimorfo, con eruzione generalizzata cronica, a gittate successive di vescicole e bolle flaccide a tetto teso e fragile ed erosioni
presenti anche alle mucose dell’orofaringe e delle vie respiratorie. In sede di lesione lamentava bruciore e dolore con modico prurito; vi
erano sintomi sistemici associati (astenia, febbricola, iporessia, disfagia). Le bolle erano prevalenti al torace, addome, dorso, inguine,
braccia, mani (dorso e palmo) e piedi (dorso e pianta); con esclusione del viso. Il segno di Nikolsky era positivo. Era stata trattata al do-
223
micilio con cortisonici topici ed antistaminici per via sistemica. Al fine di escludere il Pemfigo paraneoplastico, furono effettuate diverse
indagini di laboratorio e strumentali, risultate tutte negative: RX torace (cuore aumentato di volume, accentuazione trama vascolare);
ECG (aritmia da F.A. a media risposta ventricolare. IVS. Sporadici BEV. Alterazioni secondarie della ripolarizzazione); ETG addome e pelvi (steatosi epatica); EGDS + biopsia + ricerca HP (gastrite cronica ipertrofica HP+); Colonscopia (diverticolosi del sigma e colon discendente); Biopsia cutanea (dermatite cronica perivascolare superficiale non acantolitica); consulenza ORL (lesione bollosa-ematica sovraioidea); indici di flogosi (negativi); markers tumorali (negativi); markers epatite (negativi); dosaggio autoanticorpi (negativi). La pz fu
inizialmente trattata con boli elevati di corticosteroidi (1.000-1.500 mg/die di metilprednisolone) e terapia topica disinfettante; in seguito con un trattamento combinato di farmaci steroidei (60 mg/die di prednisone) ed immunosoppressori (100 mg/die di ciclofosfamide,
dapprima, e 150 mg/die di ciclosporina A successivamente), si ottenne un lento e graduale miglioramento del quadro clinico dopo circa 60 gg. Al momento (Febb. 2004) la pz è asintomatica con 40 mg/die di prednisone + 150 mg/die di ciclosporina A.
Discussione e Conclusioni. La maggior parte delle bolle di PB ad eziologia non autoimmune è autolimitante; nel caso descritto la malattia ha, tuttavia, presentato interessamento mucocutaneo diffuso, ingravescente e protratto nel tempo ed è risultata poco responsiva
ai trattamenti con immunosoppressori. Suggeriamo un possibile ruolo etiopatogenetico delle pregresse infezioni da HZV e HP.
Prevalenza dell’allergia al latex: emergenza allergologica in ambiente sanitario
• Nenna S °, Papeo R *, Quinto V°
°U.O. Medicina Interna, Ambulatorio di Immuno-Allergologia, P.O. “L. Bonomo” AUSL BA/1, Andria (BA)
*U.O. Ostetricia e Ginecologia, P.O. “S. Nicola Pellegrino” AUSL BA/2, Trani (BA)
Introduzione e Scopo. Nel periodo Novembre 2001-Dicembre 2003 furono visitati 260 pazienti (pz), 153 F (59%) e 107 M (41%), di
età compresa tra 3,6 e 76 anni. Tutti i pz furono sottoposti a Skin Prick Test (SPT) con estratto standardizzato di lattice di gomma naturale, oltre che con i più comuni aeroallergeni ed allergeni alimentari (Stallergenes SA Allergeni, Francia). In pz selezionati fu eseguito il
test d’uso con guanti in latex pre-talcati senza e con polvere vegetale. Tutti i soggetti con dermatite furono, inoltre, sottoposti a Patch
Test (PT) con apteni serie GIRDCA integrata con disinfettanti (Merck Allergeni, Milano) e guanto in lattice. Fu eseguita la determinazione in vitro delle IgE specifiche per latex (CAP RAST system-Pharmacia), quando necessario.
Risultati. 161 pazienti (62%) presentarono almeno 1 sensibilizzazione ed i pollinosici furono 98 (61%). 7 pz, tutte donne, risultarono
cutipositive e sintomatiche da ipersensibilità al lattice, determinando una prevalenza pari al 2,71% della popolazione osservata ed al
4,73% dei soggetti atopici risultati cutipositivi ad almeno 1 degli allergeni testati. Il gruppo delle pz ipersensibili al latex presentava manifestazioni cliniche di tipo respiratorio: asma (68%) in forma pura o associato a rinite e/o congiuntivite e sintomi d’anafilassi. Un sottogruppo delle stesse pz (39%) presentava anche manifestazioni dermatologiche associate (DAC alle mani) con positività ai PT per alcuni apteni di contatto: nickel solfato (4), tiuram mix (1), parafenilendiamina (1). 5 pz (71%) presentarono RAST positivo per latex. La
distribuzione per sesso mostrò netta preponderanza per le donne (100%). 3 pz (43%) pervennero ad indagini allergologiche in stato di
gravidanza. 1 pz aveva partorito alcuni mesi prima riportando anafilassi intra-operatoria durante il parto. La familiarità per allergopatie
fu evidenziata nel 67% dei casi. L’età media all’epoca dell’accertamento diagnostico fu di 31 aa. L’età media di insorgenza dei sintomi
risultò invece pari a 23 aa. In riferimento all’attività lavorativa risultò netta la prevalenza dell’allergia al latex in operatori sanitari (55%).
Fu evidenziata prevalente associazione con cutipositività per alcuni allergeni inalanti: acari delle polveri (3), pollini di Cupressaceae (2) e
Parietaria (1) e per alcuni trofoallergeni: kiwi (4), nocciola (2), melone (1) e banana (1).
Conclusioni. Una sindrome respiratoria (oculorinite e/o asma) e sintomi di anafilassi sono frequenti nei pz allergici al lattice, specie quando esposti in ambiente sanitario. La potenziale gravità fa sì che l’anestesista ed il chirurgo debbano essere consapevoli di quest’eventualità
al fine di individuare i pz affetti da tale allergia, per evitare così gravi reazioni avverse intra-operatorie, spesso erroneamente attribuite
ai farmaci, e spiacevoli conseguenze medico-legali. 4 pazienti con associate problematiche ostetrico-ginecologiche furono inviate presso Centro attrezzato con sala operatoria e percorso ospedaliero latex-free. A tutte furono consegnate norme e raccomandazioni da far
rispettare in caso di visite mediche e/o ricovero in ospedale.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Eruzione acneiforme da fluorouracile: un caso clinico
• Nicolella D, Maione P, Gridelli C
Unità Operativa di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera “S.G. Moscati” - Avellino
I farmaci chemioterapici possono essere causa di numerose lesioni cutanee e sintomi dermatologici come alopecia, eruzioni eritematose su base allergica, pigmentazioni cutanee e prurito. L’analogo delle pirimidine 5-fluororuracile è tra i farmaci chemioterapici di maggior impiego in oncologia, essendo dotato di attività antitumorale contro tumori solidi maligni a varia origine quali i carcinomi del tratto gastro-intestinale, i carcinomi cervico-facciali ed il carcinoma mammario. Il 5-fluorouracile può essere causa di tossicità dermatologica, essendone la più frequente manifestazione la cosiddetta “sindrome mano-piede” caratterizzata da eritema, desquamazione e dolore urente alle mani ed ai piedi. Tale tossicità è di più frequente riscontro con la modalità di somministrazione ad infusione continua del
5-fluorouracile. Reazioni acneiformi al fluorouracile sono state descritte in letteratura molto raramente e, del resto, sono state raramente associate all’utilizzo dei chemioterapici in genere. Le più frequenti si sono verificate in seguito alla somministrazione di D-actinomicina
e methotrexate ad alte dosi.
Riportiamo il caso clinico di un paziente operato di emicolectomia sinistra per un adenocarcinoma del colon e che durante lo svolgimento della chemioterapia adiuvante post-chirurgica a base di 5-fluorouracile ad infusione endovenosa in bolo ha sviluppato lesioni cutanee papulo-pustolose. Il paziente, età 68 anni, durante il quarto ciclo di chemioterapia (ogni ciclo essendo costituito da 5 somministrazioni endovenose giornaliere consecutive del 5-fluorouracile e ripetuto ogni 28 giorni) ha riportato un’eruzione acneiforme al tronco, caratterizzata da lesioni papulo-pustolose asintomatiche ingravescenti in 3 giorni e poi regredite e risolte spontaneamente in pochi
giorni dalla fine del ciclo di chemioterapia. Il paziente ha poi praticato gli ulteriori 2 cicli di chemioterapia programmati a dose lievemente ridotta di 5-fluorouracile, non riportando alcuna ulteriore eruzione cutanea.
Il meccanismo di tale reazione avversa cutanea potrebbe non essere esclusivamente immunologico, come generalmente per la tossicità
cutanea da farmaci, ma associato a variabilità individuale (nel senso della riduzione) dell’attività del principale enzima della via catabolica del fluororuracile, la diidropirimidino deidrogenasi. Il riconoscimento di altri casi simili potrebbe contribuire ad una più profonda
comprensione del fenomeno.
Efficacia della luce monocromatica ad eccimeri (308 nm) nel trattamento delle lesioni iniziali
di micosi fungoide
• Nisticò S, Capriotti E, de Felice C, Saraceno R, Chimenti S
Clinica Dermatologica - Università di Roma Tor Vergata
In questo studio abbiamo osservato l’efficacia e la tollerabilità della luce monocromatica ad eccimeri (M.E.L.) a 308 nm come primo trattamento dello stadio Ia della Micosi Fungoide (MF). I trattamenti convenzionali utilizzati nelle lesioni iniziali di MF sono rappresentati
dai corticosteroidi, dalla fototerapia (UVB e PUVA) e dai chemioterapici topici. Abbiamo trattato 18 lesioni di 8 pazienti (età compresa
tra 24 e 65 anni, 5 uomini e 3 donne) con diagnosi clinica ed istologica di MF (stadio Ia) con applicazioni ripetute di M.E.L. fino al raggiungimento di una completa remissione.
Sono state effettuate da 4 a 10 applicazioni di M.E.L., con un intervallo di 7-10 giorni, con una dose cumulativa di UVB a 308 nm compresa tra 6 e 12 J/cm2. I pazienti sono stati osservati ogni 2 settimane con un follow-up di 12 mesi. Tutti i pazienti trattati hanno raggiunto
e mantenuto una remissione completa confermata istologicamente. Non abbiamo evidenziato effetti indesiderati. I transitori esiti di
iperpigmentazione, a livello delle lesioni trattate, si sono risolti spontaneamente in 10-14 giorni dalla fine del trattamento. I nostri risultati
suggeriscono che la luce monocromatica ad eccimeri potrebbe rappresentare una valida scelta terapeutica per il trattamento delle lesioni
iniziali di MF.
225
Il consenso informato del paziente in dermatologia con particolare riferimento ai trattamenti
di tipo estetico
• Nisticò S, Micali F*
Clinica Dermatologica - Università di Roma Tor Vergata *Avvocato civilista - Roma
La nostra comunicazione analizza gli aspetti, le problematiche e gli eventuali effetti legali che possono prodursi per l’ordinamento giuridico a carico del medico che decida di sottoporre il proprio paziente a terapie farmacologiche e/o trattamenti chirurgici sia di tipo terapeutico che di tipo estetico. Verranno pertanto evidenziate le modalità ed il tipo di forma con la quale deve essere espresso il consenso dal paziente a subire un determinato trattamento; quali possono essere i rischi in cui incorre un medico che decida di sottoporre
un paziente ad una terapia farmacologica o chirurgica senza averlo informato in modo completo ed esauriente delle alternative terapeutiche,
dei rischi e delle eventuali complicanze; inoltre verrà fatta una breve disamina dei più recenti orientamenti giurisprudenziali relativi alla
soluzione di controversie insorte tra il paziente ed il medico.
MEL 308 nm nel trattamento della psoriasi volgare
• Nisticò S, Capriotti E, de Felice C, Saraceno R, Chimenti S
Clinica Dermatologica - Università di Roma Tor Vergata
La luce monocromatica ad eccimeri rappresenta un’efficace e sicura alternativa per il trattamento della psoriasi. La fototerapia a banda
stretta utilizza radiazioni UVB con lunghezza d’onda compresa tra 300 e 313 nm. In questo studio abbiamo provato la validità della luce prodotta da eccimeri xenon-cloro a 308 nm (Monochromatic Excimer Light, M.E.L.) nel trattamento della psoriasi volgare a placche
stabile e palmo-plantare. A tale lunghezza d’onda gli UVB risultano efficaci garantendo una stabilizzazione dei risultati con notevole allungamento dei tempi di recidiva. Abbiamo trattato, presso la Clinica Dermatologica dell’Università di Roma Tor Vergata, dal Novembre
2002, più di 150 pazienti affetti da psoriasi di grado lieve-moderato con PASI compreso tra 4 e 12. È stata effettuata un’applicazione a
settimana di M.E.L. per un totale di 6-12 applicazioni. La dose di luce è stata gradualmente aumentata considerando il fototipo del paziente e la risposta alle precedenti applicazioni.
Nella nostra esperienza abbiamo potuto osservare i vantaggi della terapia con M.E.L. nella psoriasi:
• Impiego selettivo di dosi elevate;
• Risoluzione parziale o totale in oltre il 50% dei pazienti;
• Riduzione del numero di trattamenti rispetto ad altra fototerapia;
• Efficacia anche in assenza di farmaci topici/sistemici;
• Possibilità di terapie combinate.
Dalle nostre osservazioni la M.E.L. rappresenta una valida alternativa nel trattamento della psoriasi volgare localizzata e in particolare nel
trattamento selettivo delle forme palmo-planatari spesso resistenti alle terapie convenzionali. La terapia è stata ben tollerata da tutti i
pazienti, sono stati osservati, come effetti indesiderati, transitori e lievi eritemi.
Istiocitosi cefalica benigna
• Pagliarello C, Guerriero C, Fantetti O, Cassin P, Fabrizi G
Dermatologia Pediatrica - Dipartimento di Scienze Pediatriche Medico-Chirurgiche e Neuroscienze dello Sviluppo, Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma
L’istiocitosi cefalica benigna è una forma rara, benigna di istiocitosi non-X caratterizzata da un’eruzione di macule e papule su viso e
collo e dalla risoluzione spontanea. L’esame istologico e lo studio ultrastrutturale al microscopio elettronico mostrano una proliferazione dermica di istiociti con corpi intracitoplasmatici a virgola ma senza granuli di Birbeck. Descriviamo un caso di istiocitosi cefalica benigna in una bambina di 4 anni d’età. La distribuzione caratteristica di maculo-papule su guance e fronte, l’esclusione dell’impegno sistemico documentato con indagini di laboratorio e di imaging e i reperti istologici hanno condotto alla diagnosi di questa rara malattia. Si discuteranno le caratteristiche di questa entità clinica nonché la diagnosi differenziale con la forma micronodulare di xantogranuloma
giovanile attraverso una rassegna della letteratura.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Un caso singolare di Graft versus Host Disease
• Pagliarello C, Capponi A, Carbone A, Rotoli M, Zampetti A, Guerriero C, Amerio P
Clinica Dermatologica Università Cattolica del “Sacro Cuore”, Roma
Una reazione di tipo “Graft versus Host Disease (GVHD)” cronica può manifestarsi clinicamente come una reazione lichenoide.
Descriviamo il caso di un uomo di razza caucasica di 59 anni che ha sviluppato un’eruzione papulosa lineare unilaterale, asintomatica e
che seguiva le linee di Blaschko, otto anni dopo un trapianto di midollo osseo allo genico effettuato a causa di una leucemia mieloide
acuta di tipo M5.
L’esame istologico ha mostrato ipercheratosi ortocheratosica, vacuolizzazione dello strato basale, infiltrato linfocitario e plasmacellulare lichenoide perivascolare superficiale e profondo.
Crediamo che queste lesioni rappresentino una singolare forma di GVHD di tipo cronico. Le lesioni sono comparse con l’aumento del
dosaggio dei farmaci immunosoppressoriche il paziente assumeva, ciclosporina A e corticosteroidi.
Vengono discusse le possibili relazioni con infezioni virali, mosaicismo cellulare e le similarità cliniche e distologiche con il lichen striatus
idiopatico.
Pemfigoide bolloso atipico: tre casi
• Passoni E, Muratori S, Gambini D, Spinelli M, Berti E*
Istituto di Scienze Dermatologiche, Università di Milano - I.R.C.C.S. Ospedale Maggiore, Milano
*Università degli Studi Milano, Bicocca
Descriviamo il caso di tre pazienti affetti da patologia bollosa autoimmune con presentazione clinica del tutto peculiare.
Caso 1: maschio di 46 anni, affetto dall’età di 15 anni da psoriasi con localizzazione alle pieghe, periorale, con un quadro di artropatia
alle mani e, da 10 anni, da pemfigoide bolloso con lesioni bollose in sedi sottoposte a traumi, sfregamenti, quali le mani, i gomiti, le ginocchia che ricordano una epidermolisi bollosa acquisita. Riferisce la riattivazione delle lesione bollose in associazione ad una sintomatologia pruriginosa. L’esame istopatologico mostra una quadro di scollamento dermo-epidermico. L’IFD su cute peribollosa su epidermide
separata evidenzia un deposito”discontinuo” di IgG e C3 sul tetto della bolla. Il test immunoenzimatico (ELISA) ha dimostrato la presenza
di anticorpi anti permfigoide bolloso NC16a.
Caso 2: donna di 43 anni in trattamento con ST571 (inibitore del recettore tirosinchinasico CD117) in quanto affetta da tumore stromale. In seguito alla somministrazione del farmaco comparsa di lesioni eritemato-vescicolari agli arti inferiori notevolmente pruriginose. L’esame istologico ha dimostrato uno scollamento dermo-epidermico compatibile con pemfigoide bolloso o EBA. L’IFD e il test immunoenzimatico sono risultati negativi mentre l’IFI è risultata positiva per pemfigoide.
Caso 3: uomo di 51 anni che ha subito diversi interventi di chirurgia plastica per ustione termica di terzo grado con interessamento
dell’80% della superficie corporea, che presenta lesioni erosivo-ulcerative al capillizio, al tronco ed agli arti inferiori, insorte su cicatricici. All’esame istologico presenza di scollamento dermo-epidermico, all’IFD depositi di IgM alla giunzione dermo-epidermica, e all’IFI presenza di anticorpi anti - citoplasma delle cellule basali. Il test immunoenzimatico (ELISA) è risultato negativo.
In entrambi gli ultimi due pazienti si è avuta risposta con risoluzione delle lesioni bollose in seguito a corticoterapia sistemica, mentre nel
primo paziente le lesioni persistevano anche durante la terapia.
Questi casi sono di rilevanza clinica in quanto dimostrano come l’esame istopatologico e l’immunofluorescenza di lesioni bollose similpemfigoide non siano sufficienti ad inquadrare tale patologia nelle varianti cliniche note.
Orticaria da Endolimax nana: casistica personale
• Patafi M, Minciullo PL, Giannetto L, Ferlazzo B, Gangemi S
Scuola di Specializzazione in Allergologia e Immunologia Clinica, Policlinico Universitario - Messina
L’Endolimax nana è la più piccola delle amebe viventi nell’intestino dell’uomo. L’uomo viene infettato mediante ingestione di cisti presenti in alimenti o acque contaminate da materiale fecale umano. Sembra che Endolimax nana determini la sua azione patogena con
meccanismo di natura tossico-allergica (azione traumatico-irritativa, azione esfoliatrice, azione citotossico-citolitica, azione allergizzante). Endolimax nana può essere individuata nelle feci di soggetti con dispepsia e/o disturbi dell’alvo e, in una percentuale relativamente
227
bassa, con manifestazioni cutanee di tipo orticarioide.
Nel periodo compreso tra gennaio 1998 e dicembre 2003 presso la nostra U.O.C. di Allergologia e Immunologia Clinica, su 23 pazienti affetti da orticaria cronica con positività all’esame parassitologico delle feci, la presenza di Endolimax nana è stata riscontrata in 7 casi, di cui 2 in associazione con Blastocystis hominis. I 7 pazienti presentavano manifestazioni orticarioidi diffuse, intensamente pruriginose, non associate ad angioedema. In 4 pazienti erano, inoltre, presenti diarrea ed dispepsia. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a terapia antielmintica mirata ed hanno presentato remissione immediata della sintomatologia gastro-intestinale, quando presente, e scomparsa delle manifestazioni orticarioidi dopo un periodo variabile da 10 giorni a 2 mesi della negativizzazione dell’esame delle feci.
Pertanto va ribadita, nei pazienti affetti da orticaria cronica, per i quali si sono escluse patologie di natura allergica o patologie sistemiche, l’importanza dell’esame parassitologico delle feci, anche in assenza di una chiara sintomatologia gastroenterica. Inoltre, i nostri dati mostrano, nell’ambito dell’orticaria cronica con accertamento di parassitosi intastinale, una incidenza del 30% di infezioni da Endolimax nana, evidenziando come questo parassita, spesso sottovalutato, possa essere causa relativamente frequente di orticaria cronica.
Studio osservazionale sull’efficacia e la tollerabilità della associazione tra limeciclina per via
orale e adapalene per via topica nell’acne di grado lieve e moderato
• Peris K, Manunta T, Cotellessa C, Fargnoli MC, Mazzocchetti G,* Pollice N,* De Simone I,** Mordenti C,** Hagman J,**
Chimenti S**
Clinica Dermatologica, Università degli Studi di L’Aquila
*U.O. di Dermatologia, P.O. di Lanciano
**Clinica Dermatologica, Università degli Studi di Roma Tor Vergata
La limeciclina è una tetraciclina di seconda generazione dotata di un’attività antibatterica ad ampio spettro (Gram positivi e negativi e
batteri aerobi) caratterizzata, rispetto alle altre tetracicline, da una maggiore idrosolubilità a tutti i pH fisiologici, una rapida diffusione
nei liquidi organici e maggiore penetrazione nei tessuti, minori effetti collaterali a livello gastrointestinale e basso potenziale di fototossicità.
Nel nostro studio è stata valutata l’efficacia dell’associazione limeciclina per via orale e adapalene per uso topico in pazienti affetti da
acne papulo-pustolosa di grado lieve o moderato. Sono stati inclusi nello studio 174 pazienti, 74 maschi e 100 femmine, di età variabile tra 13 e 37 anni (media: 20.9 anni). Tutti i pazienti sono stati trattati con il seguente schema terapeutico: limeciclina per via orale al
dosaggio di 150 mg due volte al giorno per 4 settimane seguito da 150 mg 1 volta al giorno per 8 settimane, associata ad applicazione topica di adapalene 2 volte al giorno. Dopo le 12 settimane di terapia, i pazienti sono stati randomizzati in due bracci di cui uno continuava l’applicazione di adapalene e l’altro non effettuava alcuna terapia. Entrambi sono stati seguiti per ulteriori 12 settimane. La gravità dell’acne prima di terapia e la risposta al trattamento sono stati valutati mediante le scale di GAGS e Leeds. Dopo 12 settimane di
terapia con limeciclina e adapalene, il 77% dei pazienti ha mostrato una riduzione del punteggio globale del GAGS ≥50% rispetto alla condizione basale. Secondo la scala di Leeds, il miglioramento clinico a livello del volto è stato ottenuto nell’81% dei pazienti, e a livello del dorso nel 75% dei pazienti. Gli effetti collaterali hanno incluso secchezza cutanea (56% dei pazienti), desquamazione (54%)
ed eritema (45%). Ciononostante, l’87% dei pazienti ha giudicato la terapia efficace e ben tollerata. Nessuno dei pazienti ha mostrato
effetti collaterali sistemici. Dei 174 pazienti arruolati, 167 hanno continuato lo studio: 84 sono stati trattati con adapalene e 83 non
hanno seguito alcuna terapia. Dopo 12 settimane, una riduzione significativa nei punteggi delle scale di GAGS e Leeds è stata osservata in tutti i pazienti che continuavano la terapia con adapalene rispetto a quelli che non effettuavano alcun trattamento. In conclusione, i nostri risultati suggeriscono che la limeciclina potrebbe rappresentare l’antibiotico sistemico di prima scelta nel trattamento dell’acne papulo-pustolosa di grado lieve e moderato. Inoltre, la terapia dovrebbe avere una durata globale di almeno 12 settimane e può
essere combinata con l’uso di retinoidi topici.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Efficacia del Bexarotene in un caso di micosi fungoide in fase avanzata
• Peroni A, Savoia P, Fierro MT
Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana - Sezione di Dermatologia, Ia Clinica Dermatologica (Direttore: Prof. Maria
Grazia Bernengo) - Università di Torino
Descriviamo il caso di una paziente di 79 anni affetta da micosi fungoide in stadio IV (T3, N3, M0, B0), in progressione dopo ripetuti trattamenti ( IFN, PUVA, radioterapia su singole lesioni nodulari, chemioterapia con Gemcitabina e successivamente con Ciclofosfamide, Vincristina e Prednisone, schema COP). Nel dicembre 2003, in considerazione della progressiva estensione delle lesioni cutanee nonostante il trattamento chemioterapico in atto, è stato intrapreso un trattamento con Bexarotene al dosaggio di 300 mg/m2 al dì.
All’inizio del trattamento, la paziente presentava numerose lesioni nodulo-ulcerative, di cui la maggiore localizzata al braccio sinistro, Dopo 1 mese di trattamento era già apprezzabile una notevole riduzione dell’infiltrazione delle lesioni cutanee; a distanza di 3 mesi si è osservata un ulteriore risoluzione delle lesioni nodulari preesistenti, mentre persistevano chiazze eritemato-squamose non infiltrate al dorso e agli arti inferiori.
Il monitoraggio dei parametri ematochimici effettuato durante il trattamento ha evidenziato la comparsa di ipotiroidismo (con riduzione di fT3, fT4 e TSH), che è stato corretto da terapia sostitutiva, e di una severa ipertrigliceridemia, peraltro ben controllata dall’assunzione di atorvastatina. Sono inoltre stati osservati xerosi e cheilite di modesta entità, mentre nonostante l’età avanzata della paziente,
non sono comparsi gli altri effetti collaterali descritti (anemia, leucopenia, alterazioni della funzionalità epatica e pancreatica, disturbi neurologici).
I mezzi terapeutici finora disponibili, ed in particolare la chemioterapia, non controllano in misura efficace le fasi avanzate dei linfomi cutanei T e sono gravati da importante tossicità, che ne limita l’utilizzo soprattutto negli anziani. Alla luce di questa considerazione, l’utilizzo dei retinoidi di nuova generazione nel trattamento dei linfomi cutanei a cellule T sembra particolarmente promettente. La descrizione di questo caso documenta da un lato la capacità del farmaco di agire anche nelle fasi avanzate della malattia, dall’altro l’ottima
tollerabilità in una paziente di età avanzata.
Tuberculosis cutis orificialis
• Pezzarossa E, Domaneschi E, Betri E*, Ferrari L**
Servizio di Dermatologia, *Servizio di Anatomia Patologica, **Laboratorio di Microbiologia - Azienda Istituti Ospitaleri di Cremona
Presentiamo il caso di una donna di 80 anni affetta da epatocirrosi HCV positiva ricoverata in reparto chirurgico per sospetta neoplasia
anale. Da alcuni mesi presentava una lesione ulcerativa dolente in regione anale e perianale. L’esame istologico su un frammento bioptico mostrava tessuti molli, privi di rivestimento epiteliale, comprendenti focolai di flogosi granulomatosa gigantocellulare necrotizzante nel cui contesto si repertavano rari batteri alcool-acido resistenti positivi alla colorazione di Ziehl-Nielsen. L’insieme del quadro clinico ed istologico era quindi suggestivo per una forma tubercolare cutanea. La successiva ricerca colturale di micobatteri su terreno liquido dava esito positivo.
L’infezione tubercolare delle mucose o della cute periorificiale è attualmente molto rara da riscontrare. Viene abitualmente ritenuta una
forma di tubercolosi da autoinoculazione, sebbene siano state riscontrate anche fonti di infezione esterne. Nel caso in esame è in corso lo screening per identificare l’origine dell’infezione locale.
Patologia non sessualmente trasmessa dei genitali maschili: studio epidemiologico nel periodo
1990-2003
• Pisani C*, Capezzuoli A°, Fimiani M*, Bilenchi R*
* Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche, Sezione di Dermatologia,° Ist. Clin. Chir. Gen. e Ter. Chir., Università di
Siena
I genitali esterni possono essere interessati da un’ampia gamma di patologie cutanee di natura infettiva, neoplastica e infiammatoria.
Alcune di esse sono specifiche per questa sede, altre invece sono dermatosi comuni che assumono un aspetto peculiare a livello del
glande e del prepuzio, altre possono infine rappresentare l’espressione locale di malattie sistemiche. Nella pratica ambulatoriale nei centri MTS è frequente osservare quadri clinici di diversa eziologia, accanto a patologie squisitamente di natura venerea. Oggetto dello stu-
229
dio è una valutazione epidemiologica retrospettiva sulla casistica clinica relativa ai soggetti maschili affetti da patologie genitali nonMTS correlate, osservati presso il Centro MTS della Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi di Siena comprendente gli anni dal
1990 al 2003, atto a valutare i trends che tali malattie hanno assunto in tale arco di tempo. Per ogni paziente sono state considerate l’età,
il sesso e la diagnosi clinica; sono state quindi identificate 15 entità nosologiche. I pazienti visitati sono stati 11432 (65,18% maschi e
34,82% femmine). Per ogni anno è stata calcolata la prevalenza delle visite per sesso, della patologia non-MTS osservata per distribuzione per fasce d’età. L’analisi dei dati relativi alla frequenza dei casi di patologie non sessualmente trasmesse ha dimostrato che, anche
se le fasce d’età più colpite sono risultate essere costantemente quelle più basse (18-47 anni), si è assistito, a partire dalla metà degli anni ‘90, ad un aumento della incidenza delle patologie anche nei soggetti più anziani 48-67anni). Per ogni patologia non sessualmente
trasmessa osservata, è stata determinata l’incidenza e in base ad essa sono state individuate 3 classi di frequenza. A fronte di patologie
di rara osservazione, quali l’induratio penis plastica ed i tumori maligni, sono stati diagnosticati e seguiti molti casi di malattie quali il lichen scleroatrofico. Le malattie di più frequente riscontro sono state le balanopostiti infettive. Costante si è mantenuto il numero dei nuovi casi di tumori benigni, mente si è osservato un incremento anno per anno delle diagnosi di lichen ruber planus e lichen scleroatrofico. Per quanto riguarda le balanopostiti infettive non sono evidenziabili cambiamenti sostanziali del tasso di incidenza. Dall’analisi dei
dati in nostro possesso è senz’altro possibile affermare che nel corso degli anni studiati si è assistito in primo luogo ad un cambiamento del tipo di patologia osservata: mente nei primi anni ‘90 le visite del centro MTS riguardavano essenzialmente pazienti con malattie
sessualmente trasmesse, negli anni seguenti, a partire comunque dal 1992, si è assistito ad una inversione di tendenza con aumento significativo dei casi di patologie non veneree a localizzazione genitale. Parimenti si è registrato un aumento dell’incidenza di tali affezioni in fasce d’età diverse, con casi riguardanti soggetti adulti ed anche in età geriatrica. Le diagnosi di lichen scleroatrofico, lichen ruber planus sono state molto più frequenti nella seconda metà degli anni ‘90. Alla luce di tali risultati ci sembra evidente che, visti i trends
di tali patologie, è prevedibile negli anni futuri l’afflusso presso i Centri MTS di un sempre maggior numero di pazienti affetti da malattie a localizzazione genitale non sessualmente trasmesse.
Modificazioni della flora batterica congiuntivale, del film lacrimale e degli annessi oculari nei
pazienti acneici in terapia con isotretinoina
• Pizzigoni S*, Paduano B°, Bettoli V*, Rossi R**, Parmeggiani F°, Tosti G*
Azienda Ospedaliera Universitaria Arcispedale S. Anna - Ferrara - Sezione Dermatologia* - Sezione Oculistica° - Laboratorio Analisi Chimico Cliniche e Microbiologia**
Introduzione. Diversi studi hanno dimostrato come l’isotretinoina orale causi atrofia delle ghiandole sebacee, comprese quelle palpebrali di Meibomio determinando una riduzione della componente lipidica del film lacrimale. Xeroftalmia, blefarocongiuntivite, raramente cheratite, opacità corneali sono effetti indesiderati reversibili probabilmente correlati al suddetto effetto del farmaco. Scopo di questo studio è valutare se in corso di terapia con isotretinoina orale venga anche alterata la flora batterica congiuntivale e se il Propionibacterium acnes abbia un ruolo nell’equilibrio microbiologico della superficie oculare.
Materiali e Metodi. Sono stati arruolati 20 pazienti affetti da acne vulgaris di gravità da 0.4 a 3.5 (scala di Leeds), non affetti da altre
malattie, non portatori di lenti a contatto, non fumatori nè in terapia con altri farmaci eccetto il contraccettivo orale per le donne in età
fertile. Prima di iniziare il trattamento con isotretinoina orale e ogni 6 settimane di terapia i pazienti hanno eseguito emocromo con formula, glicemia, colesterolo, trigliceridi, assetto epatico e renale, es. urine, assetto coagulazione e le femmine anche il test di gravidanza. Visita dermatologica con valutazione del grado dell’acne e della dose cumulativa totale di isotretinoina sono state eseguite al tempo 0 e dopo 1,2,3 mesi di terapia ed a 1 mese dalla sospensione della stessa. Contemporaneamente i pazienti hanno anche eseguito
visita oculistica con test di valutazione del segmento anteriore dell’occhio (es. biomicroscopico, test con fluoresceina, BUT, test di Schirmer I, Test di Jones, bruciore da anestetetico), tampone congiuntivale standard per batteri e tampone per ricerca di P. acnes.
Risultati. In corso di terapia in 10 pazienti sono stati isolati dal tampone congiuntivale batteri patogeni (S.aureus, P.aeruginosa, P.fluorescens, M.species). In 6 di questi la comparsa di batteri patogeni ha coinciso con la riduzione del numero di colonie di P.acnes congiuntivali. Il secreto delle ghiandole di Meibomio si è ispessito in corso di terapia in 16 pazienti normalizzandosi poi alla sospensione di
isotretinoina. Si è registrato un incremento dei follicoli della congiuntiva tarsale in 13 pazienti, moderata iperemia congiuntivale in 4, sofferenza corneale fluoresceino-positiva in 6. Segni e sintomi sono regrediti al controllo ad un mese dalla sospensione del farmaco.
Conclusioni. La riduzione della secrezione sebacea delle ghiandole di Meibomio indotta da isotretinoina determina un’alterazione del
film lacrimale. Questo effetto è responsabile delle modificazioni reversibili della superficie oculare in corso di terapia. Il fatto che la comparsa di batteri patogeni congiuntivali abbia coinciso nella maggior parte dei casi (6/10) con una riduzione del numero di colonie di P.ac-
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
nes fa pensare che quest’ultimo abbia un ruolo significativo nell’equilibrio della flora microbica residente della congiuntiva.
Onicomicosi da Microsporum gypseum
• Poggiali S, Ghilardi A, Maritati E, Romano C
Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche, Sezione di Scienze Dermatologiche, Siena
Viene decritto un caso di onicomicosi dell’alluce con aspetto distrofico osservato in una donna di 30 anni, causato da Microsporum gypseum. Non si apprezzavano lesioni suggestive di dermatofitosi in altre sedi corporee. La diagnosi veniva posta sulla base dell’esame
micologico microscopico diretto e colturale, che rivelava ammassi di macroconidi cucumber-like tipici del dermatofita. La paziente, che
non presentava lesioni suggestive di dermatofitosi in altre sedi corporee, ha conseguito la guarigione clinica e micologica dopo terapia
antimicotica topica e sistemica. Microsporum gypseum causa tinea corporis, capitis, pedis, cruris and kerion spesso in pazienti che hanno contatti col suolo e solo raramente è causa di onicomicosi. L’aspetto clinico è sovente quello dell’onicomicosi subungueale distale,
raramente quello dell’onicomicosi subungueale prossimale; nella nostra paziente prevaleva l’aspetto distrofico.
Bibliografia
• C. Romano (1998). Onychomycosis due to Microsporum gypseum. Mycoses 41, 349-351
Efficacia di tacrolimus 0,1% unguento nel trattamento topico della vitiligine: studio preliminare
• Prestinari F, Brazzelli V, Barbagallo T, Bellani E, Roveda E, Borroni G
Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi di Pavia, IRCCS, Policlinico S. Matteo, Pavia
La vitiligine è una dermatosi caratterizzata da chiazze depigmentate a distribuzione localizzata, segmentaria o generalizzata. Si stima che
l’1-2% della popolazione mondiale sia affetta da questa malattia, senza predilezione di sesso o di razza. L’eziopatogenesi della vitiligine è tuttora oggetto di dibattito; le molteplici teorie proposte per spiegare la sua patogenesi hanno portato all’introduzione di diverse
terapie, mediche e chirurgiche. L’identificazione di cloni di linfociti T perilesionali con profilo secretivo di citochine type-1-like, segni precoci di apoptosi osservati occasionalmente ai bordi delle lesioni pigmentate con presenza di granzima e perforina nell’infiltrato adiacente ai frammenti linfocitari, la presenza di linfociti T citotossici verso antigeni melanocitari hanno sostenuto l’ipotesi del ruolo fondamentale di una disfunzione dell’immunità cellulare nell’indurre questa malattia.
Tacrolimus è un immunomodulatore topico per il trattamento della dermatite atopica moderata-grave, che ha la proprietà di inibire l’attivazione dei linfociti T sottoregolando la trascrizione dei geni che codificano citochine proinfiammatorie. Tale effetto si esplica attraverso l’inibizione della calcineurina, fondamentale nella traslocazione del fattore di trascrizione NF-AT (nuclear factor activated T-cells)
nei nuclei, dove ha inizio la produzione di citochine come IL-2, IL-4 ed altre.
Sulla base di queste premesse e di alcune recenti pubblicazioni comparse in Letteratura, sono stati trattati 3 pazienti di sesso femminile dell’età media di 37.3 anni, affetti da vitiligine localizzata con un periodo medio di malattia di 32 mesi.
Ciascun paziente non aveva effettuato trattamenti nei 2 mesi precedenti la cura. Tacrolimus 0,1% unguento è stato applicato 2 volte
al giorno per un periodo medio di 4 mesi. La valutazione clinica effettuata confrontando fotografie eseguite in posizione standard prima e dopo il trattamento, ha permesso di evidenziare una significativa repigmentazione delle aree trattate, con minimi effetti collaterali riferibili ed eritema e bruciore transitorio.
Il nostro studio ci consente di avvalorare l’efficacia di Tacrolimus 0,1% nell’indurre repigmentazione cutanea e di proporre, pur nell’esiguità dei casi trattati, il suo impiego come possibile scelta terapeutica nel trattamento della vitiligine.
231
Lo Stem Cell Factor (SCF) riduce la secrezione di citochine specifiche da parte di cellule di
Melanoma Metastatico (MMC) in vitro
• Prignano F, Gerlini G*, Salvadori B§, Orlando C§, Moretti S*, Pimpinelli N*, Giannotti B*
*Dipartimento di Scienze Dermatologiche e §Unità di BiochimicaClinica, Università degli Studi di Firenze
Lo Stem Cell Factor (SCF), mediante l’interazione con il suo ligando naturale c-kit, gioca un ruolo importante nella crescita e nel differenziamento dei melanociti; l’interazione SCF/c-kit regola anche l’espressione delle integrine implicate nella progressione e metastatizzazione del melanoma. Infatti l’espressione del recettore c-kit diminuisce durante il processo di progressione tumorale del melanoma in
parallelo alla diminuita efficacia dello SCF nel ridurre la crescita tumorale ed il potenziale metastatico delle cellule di melanoma ed indurne la morte programmata. Cellule di melanoma metastatico (MMC) ottenute da cinque metastasi sottocutanee c-kit+ ed una linea
SK-Mel 28 sono state coltivate in vitro per numerosi passaggi in presenza di dosi crescenti di SCF. L’immunofenotipo di queste cellule (HMB45, proteina S-100, e proteina anti-melanoma) sono stati controllati ad ogni passaggio con metodiche immunoistochimiche (APAAP e
IFD). Il livello di differenziamento raggiunto in vitro da queste cellule e l’eventuale presenza di corpi apoptotici è stato valutato con microscopia elettronica in diversi momenti di crescita. Numerose citochine normalmente prodotte dalle MMC - come IL-6, IL-7, Il-8, IL-10,
GM-CSF, TNF-alfa e TGF-beta - sono state studiate sia attraverso metodiche di immunocitochimica (APAAP e IFD) che su sopranatante
mediante ELISA. L’attività metabolica delle MMC è stata valutata mediante l’espressione di sintetasi dell’ossido nitrico (NOS). La tirosinasi è stata misurata tramite PCR quantitativa, mentre le molecole HLA-Dr sono state studiate al citofluorimetro.
A tutti i passaggi studiati, le MMC alla microscopia elettronica mostravano un aspetto monomorfo: morfologia dendritica, un nucleo indentato e citoplasma ricco in organuli e, soprattutto nelle cellule esposte a dosaggi più alti di SCF, numerosi melanosomi in vari momenti maturativi. L’aumento dei melanosomi non correlava però con un aumento della produzione di tirosinasi. Anche l’espressione di
molecole HLA-Dr da parte delle cellule condizionate con SCF risultavano aumentate. Molte delle citochine e dei fattori di crescita studiati venivano ridotti o addirittura soppressi in presenza di SCF.
I risultati di questo studio dimostrano che SCF è capace di mantenere le MMC in uno stato ben differenziato, non induce apoptosi ed
incrementa la melanogenesi - ma non l’attività tirosinasica - in questa condizioni sperimentali. Lo SCF non diminuisce l’attività metabolica delle MMC, mentre risulta efficace nel ridurre la produzione di citochine e biomodulatori rilevanti nella progressione tumorale da parte delle MMC. Questi dati fanno ipotizzare un possibile ruolo terapeutico dello SCF nel trattamento del melanoma metastatico
La prevenzione dei tumori cutanei
• Pugliese A
Resp. Nazionale Dipartimento Dermatologia AIMEF - Castellaneta (TA)
Nell’Ambito della lotta ai tumori cutanei i risultati ottenuti dai vari gruppi di studio non sono ancora ottimali. Grosse campagne educazionali e di screening sono state condotte senza il coinvolgimento adeguato dei Medici di famiglia. Già nello scorso biennio l’AIMEF (Italian Academy of Family Physisicians) ha realizzato dei corsi ECM per i propri soci, ma mancando un elenco nazionale dei centri dermatologici finalizzati e disponibili ad interagire, la catena della prevenzione è risultata incompleta. I medici di famiglia, peraltro, sono disorientati nell’invio dei pazienti ai Dermatologi poiché altre figure (oncologi, chirurghi generali, etc.) si sono fatti avanti nella gestione di
pazienti con tumori cutanei. Altra grossa lacuna riguarda l’educazione della popolazione e dei Medici di Famiglia, all’”autoesame della
cute”. Collaborando, si potrà fare un primo screening nell’ambulatorio del Medico di Famiglia, prima dell’esame specialistico dermatologico, in tal modo: si ridurrà il tempo dell’esame specialistico stesso (il paziente fa visitare le zone realmente interessate); si ridurrà l’imbarazzo dell’esame di alcune sedi (se il paziente sa di avere dei nevi se li fa controllare); si migliorerà la qualità della prestazione; si renderà più efficace la prevenzione; si potranno raccogliere dati statistici nazionali (ancora oggi incompleti e frazionati nel nostro paese) allineandoli a quelli degli altri paesi dell’Unione Europea. Le omogenee campagne educazionali nelle scuole perfezioneranno la prevenzione per le generazioni future.
Bibliografia
• Girgis A, Clarke P, Burton RC, Sanson-Fisher RW. Screening for melanoma by primary health care physicians: a cost-effectiveness analysis. J Med Screen. 1996;3(1):47-53.
• Carli P,De Giorgi V, Giannotti B, Seidenari S, Pellacani G, Peris K, Piccolo D, Rubegni P, Andreassi L.Skin cancer day in Italy: method of
referral to open access clinics and tumor prevalence in the examined population Eur J Dermatol. 2003 Jan-Feb;13(1):76-9
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Eritema elevatum diutinum associato ad eritema nodoso
• Riccardi R, Lavieri M, Proietti I, Paradisi A, Capizzi R, Amerio P
Clinica Dermatologica - Università Cattolica del “Sacro Cuore”, Roma
Paziente di sesso femminile, di 42 anni presenta lesioni nodulari eritematose, calde, dure alla palpazione, spontaneamente dolenti, bilaterali, simmetriche, localizzate agli arti inferiori associate a placche di colorito rosso-violaceo, simmetriche del dorso delle mani. Le lesioni degli arti inferiori, compatibili con la diagnosi di Eritema Nodoso, erano insorte circa 30 anni fa ed avevano mostrato un andamento recidivante con fasi di remissione e di riacutizzazione accompagnate da rialzo febbrile. In occasione dell’ultimo episodio erano comparse, per la prima volta, le lesioni in placche del dorso delle mani.
L’istologia di una lesione nodulare della coscia destra mostra una ipodermite granulomatosa con fenomeni di vasculite, che lascia indenni derma ed ipoderma confermando la diagnosi di Eritema Nodoso.
L’istologia di una lesione della mano destra evidenzia un infiltrato istiocitario dermico con vasculite leucocitoclasica dei vasi superficiali
e presenza di granulociti neutrofili: l’aspetto istiologico è compatibile con la diagnosi di eritema Elevatum Diutinum.
Questa dermatosi, la cui patogenesi è ancora sconosciuta, è particolarmente rara e pertanto ci è sembrato degno di nota segnalarla anche per la particolarità dell’associazione con l’Eritema Nodoso.
Linfonodo sentinella: la nostra esperienza su 235 casi
• Ricotti G, Morresi L, Galeazzi A, Mozzicafreddo G, Tucci MG, Giacchetti A
U.O. Dermatologia, I.N.R.C.A. Ancona
Nel 1992 Morton ed alcuni collaboratori hanno messo a punto una tecnica chirurgica finalizzata ad individuare il primo linfonodo che
drena la linfa proveniente dall’area anatomica sede di sviluppo del melanoma. La metodica si basa sul presupposto che la mancanza di
malattia nel linfonodo sentinella deve corrispondere ad una mancanza di diffusione del melanoma anche negli altri linfonodi. Questa tecnica quindi permette di individuare quei casi, clinicamente non rilevabili, ma con metastasi già presenti, da sottoporre alla asportazione
della catena linfonodale interessata.
Gli Autori presentano l’analisi della loro casistica dal 1996-2003.
Esaminando le luci e le ombre di tale metodica per la quale sono stati evidenziati recentemente alcuni limiti che a nostro parere dovranno essere rivalutati alla luce di un più lungo follow-up dei pazienti trattati.
Un caso di granuloma anulare profondo dell’adulto
• Risulo M, De Aloe G, Sbano P, Cuccia A, Fimiani M
Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche; Sezione di Dermatologia - Università di Siena
G.M., maschio di 39 anni, giungeva alla nostra osservazione per la presenza, da circa 6 mesi, di lesioni nodulari multiple ed in placca localizzate a livello del tronco. All’esame obiettivo dermatologico si apprezzavano a livello dell’emitorace destro numerose lesioni nodulari di colorito roseo in parte confluite a formare una placca di circa 7x6 cm di diametro. Tali lesioni alla palpazione presentavano una consistenza duro-elastica ed erano fisse rispetto ai piani profondi. Il paziente non riferiva sintomatologia algica. L’esame istopatologico di
un prelievo bioptico da cute lesionale evidenziava la presenza di focolai di degenerazione fibrinoide del collagene delimitati da infiltrati linfo-istiocitari a palizzata. Collateralmente gli esami ematochimici di routine il Reuma-test, eseguito al fine di escludere la diagnosi di
noduli reumatoidi, risultavano nei limiti della norma. Su tali basi veniva posta diagnosi di Granuloma anulare profondo.
Il granuloma anulare profondo è una patologia infiammatoria benigna ad eziologia ignota con esordio tipico in età pediatrica. Il caso presentato è peculiare sia per la rarità della patologia sia per l’epoca di insorgenza delle manifestazioni cliniche.
233
Aspetti capillaroscopici nelle diverse sedi e tipologie di psoriasi
• Rosina P, Giovannini A, Chieregato C, Barba A
Dipartimento Scienze Biomediche e Chirurgiche, Sezione Dermatologia e Venereologia, Università di Verona
La psoriasi è una patologia cutanea cronico-recidivante con un notevole coinvolgimento microcircolatorio; infatti istologicamente sono
presenti papille allungate, che contengono capillari dilatati e allungati. La capillaroscopia è una tecnica strumentale non invasiva con
cui è possibile analizzare gli aspetti morfo-funzionali del microcircolo a livello delle lesioni cutanee. Alcuni autori hanno già descritto
con questo sistema la presenza di un pattern specifico nella psoriasi in chiazze con capillari a gomitolo o cespuglio.
Abbiamo eseguito la videocapillaroscopia a sonda ottica (VIDEOCAP), con ingrandimenti 100x e 200x, su 40 pazienti affetti da diversi
tipi di psoriasi (guttata, nummulare, in chiazze, palmo-plantare ed invertita), ed abbiamo analizzato 66 lesioni in diverse sedi cutanee (capillizio, tronco, arti, palmare e plantare, pieghe). Tutte le lesioni considerate presentano sempre un pattern omogeneo con morfologia
costante delle anse capillari tortuose e dilatate (con aspetto a gomitolo o a cespuglio) e con sconvolgimento della microangiotettonica
regionale indipendentemente dalla sede e dal tipo di psoriasi. Inoltre il numero medio dei capillari per mm2 è 22,7 ed il diametro medio
del gomitolo è 76 µm ed anche questo aspetto risulta sostanzialmente indipendente dalla variante clinica della psoriasi e dalla sede della lesione.
In conclusione la videocapillaroscopia è una esame utile, non invasivo e a basso costo che ci permette di identificare le anse capillari nelle varie sedi e nei vari tipi di psoriasi.
Bibliografia
• Hern S, Mortimer PS: Visualization of dermal blood vessels - capillaroscopy. Clin Exp Dermatol 1999; 24: 473-478.
• De Angelis R, Bugatti L, Del Medico P, Nicolini M: Videocapillaroscopic Findings in the Microcirculation of the Psoriatic Plaque. Dermatology
2002; 204: 236-239.
• Bull RH, Bates DO, Mortimer PS: Intravital video-capillaroscopy for the study of the microcirculation in psoriasis. Br J Dermatol 1992;
126: 436-445.
Comparsa di vitiligine in corso di terapia con imatinib mesilato: segnalazione di un paziente
pediatrico
• Roveda E, Brazzelli V, Trevisan V, Locatelli F*, Bonetti F*, Castelnovi C*, Zecca M*, Borroni G
Clinica Dermatologica, Clinica Pediatrica*, Università degli Studi di Pavia, IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia
La leucemia mieloide cronica (LMC) è una malattia delle cellule staminali emopoietiche caratterizzata dalla proliferazione neoplastica
della serie mieloide. L’anomalia genetica caratteristica di tale patologia, descritta da Rowley nel 1973, è rappresentata dal cromosoma
Philadelphia. Quest’ultimo deriva da una reciproca traslocazione tra i cromosomi 9 e 22, con conseguente formazione di un gene ibrido, il gene BCR-ABL, il cui prodotto proteico presenta un’aumentata attività tirosino-chinasica. Le terapie attualmente convalidate nel
trattamento della LMC sono rappresentate dal trapianto di midollo osseo o di cellule staminali, dalla chemioterapia (idrossiurea) e dall’interferone α.
Imatinib Mesilato (Gleevec, STI-571) è un farmaco che è stato recentemente introdotto nel trattamento della LMC: esso, infatti, inibisce la BCR-ABL tirosino-chinasi inducendo un arresto della crescita o l’apoptosi delle cellule emopoietiche positive per il gene BCR-ABL.
Imatinib Mesilato è, inoltre, un potente inibitore del recettore per il fattore di crescita piastrinico e della tirosino-chinasi c-kit. Tale farmaco
è generalmente ben tollerato: i più comuni effetti collaterali sono rappresentati da nausea, mialgia, edema e diarrea e sono per lo più
di modesta intensità. Gli effetti collaterali cutanei, in corso di trattamento con Imatinib Mesilato, sono segnalati in una percentuale variabile tra il 7% ed il 21% e sono generalmente rappresentati da eruzioni cutanee aspecifiche.
Segnaliamo il caso di vitiligine insorta in un giovane paziente di 17 anni, di razza caucasica, affetto da LMC in corso di trattamento con
Imatinib Mesilato. A tutt’oggi è la seconda segnalazione di vitiligine in un paziente Caucasico mentre alcune segnalazioni riguardano la
razza negra.
L’importante ruolo rivestito da c-kit e dal suo fattore legante la cellula staminale (SCF) nella pigmentazione cutanea, ci permette di ipotizzare l’azione centrale di Imatinib Mesilato nella patogenesi dei fenomeni di ipo/depigmentazione.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Contemporanea infezione da Borrelia burgdorferi e da Ehrlichia phagocytophila
• Ruscio M, Stinco G*
Laboratorio di Analisi Cliniche e Microbiologia - Ospedale di San Daniele del Friuli
*Clinica Dermatologica - DPMSC - Università degli Studi di Udine
La prima segnalazione di erlichiosi umana risale al 1987. Da allora negli Stati Uniti sono stati riportati numerosi casi e sono state descritte 2 patologie: la erlichiosi monocitica umana (HME) causata da Ehrilchia chaffeensis e da Ehrilchia ewingii e la erlichiosi granulocitica umana (HGE) causata da Ehrilchia phagocytophila. Da alcuni anni anche in Europa sono stati segnalati casi di HGE nelle aree endemiche per la borreliosi di Lyme, infatti il vettore delle due infezioni è lo stesso: una zecca dura del complesso Ixodes.
Caso clinico. Nel giugno 2002 una donna di 46 anni ha presentato un edema della caviglia destra in corrispondenza di un recente morso di una zecca ed un’eruzione cutanea caratterizzata da elementi eritemato-papulosi, intensamente pruriginosi, esorditi agli arti inferiori e poi diffusisi al tronco ed agli arti superiori. Alcuni giorni dopo è comparsa una sindrome influenzale con febbricola ed artromialgie. Gli esami ematochimici erano tutti nella norma, eccetto il rilievo di IgM anti-Borrelia. È stato instaurato un trattamento con doxicilina (200 mg/die per 10 giorni). Il quadro cutaneo si è risolto, ma la paziente ha continuato ad accusare febbre, nausea, astenia e cefalea. Dopo 3 mesi ha ripetuto gli esami di laboratorio che hanno evidenziato l’avvenuta sieroconversione per la Borrelia burgdorferi (IgG
150 U/ml), ma hanno evidenziato anche la presenza di anticorpi anti-Ehrlichia (Anaplasma) phagocytophila (IgM titolo 1:256; IgG, titolo 1:1024). È stato possibile eseguire l’immunofluorescenza per gli anticorpi anti-Ehrlichia sul campione di sangue di luglio che ha dimostrato
che in quell’occasione le IgM erano già presenti (titolo 1:256) e le IgG erano assenti. Un nuovo trattamento con doxiciclina analogo al
precedente ha determinato la scomparsa della sintomatologia. La paziente è stata bene fino al dicembre 2002, quando ha presentato
nuovamente artralgie, febbricola e diarrea. È stato eseguito un ulteriore trattamento con doxiciclina, (200 mg/die per 21 giorni). Il quadro si è risolto e da allora la paziente ha sempre goduto di buona salute.
Discussione. Nelle aree endemiche per la borreliosi di Lyme, dopo il morso di una zecca l’infezione si verifica nel 3.5 % dei casi e l’erithema cronicum migrans rappresenta la classica presentazione della malattia nel 58% di questi pazienti. Una sindrome similinfluenzale
è una presentazione non comune per le forme europee di borreliosi, mentre rappresenta il quadro clinico più comune dell’infezione da
Ehrlichia. Considerato che entrambe le patologie hanno lo stesso vettore è possibile riscontare infezioni contemporanee, con quadri clinici dagli aspetti atipici e maggior resistenza al trattamento convenzionale.
Bibliografia
• Maeda K, Markovitz N, Hawley RC, et al. Human infection with Ehrlichia canis, a leucoytic rickettsia. N Engl J Med 1987; 316: 853-6.
• Blanco JR, Oteo JA. Human granulocytic ehrlichiosis in Europe. Clin Microbiol Infect 2002; 8: 763-72.
• Ruscio M, Cinco M. Human granulocytic ehrlichiosis in Italy: first report on two confirmed cases. Ann NY Acad Sci 2003; 990: 350-2.
Possibilità ricostruttive nei tumori della regione fronto-temporale
• Russo G, Simonetti V, Motolese A
Unità Operativa di Dermatologia - Ospedale “Alessandro Manzoni”, Lecco
La regione fronto-temporale è una sede frequente di insorgenza di neoplasie epiteliali o melanocitarie, in cui è di primaria importanza
ottenere la totale radicalità oncologica. In alcuni casi il difetto può essere riparato con una semplice sutura diretta, in altri è necessario
ricorrere a l’utilizzo di lembi di contiguità per la ricostruzione di difetti di più ampie dimensioni. I lembi di vicinanza o di contiguità utilizzano cute con caratteristiche anatomiche molto simili a quella del difetto da riparare, le linee di incisione chirurgica vanno mascherate, ove possibile, nelle pieghe di espressione o degenerative della sede e garantiscono ugualmente buoni risultati estetico–funzionali.
I lembi maggiormente utilizzati in questo distretto sono soprattutto il lembo di avanzamento rettangolare omolaterale (plastica ad U),
oppure bilaterale (plastica ad H) adatti a ricoprire ampie perdite di sostanza sia in sede frontale che temporale. In sede medio frontale
o in vicinanza del capillizio è possibile utilizzare il lembo di avanzamento triangolare (Plastica A->T). In vicinanza della zona sopraciliare
una valida alternativa è rappresentata dal lembo di scorrimento ad isola, omolaterale o bilaterale. Una delle tecniche maggiormente utilizzate in sede temporale sfrutta lembi di rotazione a peduncolo inferiore dalla regione preauricolare o a peduncolo superiore dalla regione temporo-parietale. In condizioni critiche si può ricorrere ad un innesto libero a tutto spessore utilizzando come area donatrice la
regione retroauricolare o claveare con risultati soddisfacenti.
235
Alemtuzumab nel trattamento dei linfomi cutanei a cellule T in fase avanzata: studio pilota
“dose finding”
• Savoia P, Fierro MT, Quaglino P, Peroni A, Comessatti A, Bernengo MG
Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana - Sezione di Dermatologia, 1a Clinica Dermatologica (Direttore: Prof. Maria Grazia Bernengo) - Università di Torino
L’alemtuzumab è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro l’antigene CD52 espresso sulla maggior parte dei linfociti B e T,
ma non sulle cellule di origine mieloide. Il suo impiego terapeutico è stato recentemente approvato nel trattamento delle leucemie linfatiche acute non responsive o recidivate dopo chemioterapia. Il protocollo classico prevede la somministrazione per via endovenosa a
dosi crescenti (3,10 e 30 mg in 3 giorni consecutivi), seguita da infusioni a giorni alterni di 30 mg per 12 settimane. Il trattamento è associato, oltre ad una elevata incidenza di infezioni, alla comparsa di febbre, artralgie, ipotensione e reazioni orticarioidi, legate al rilascio di citochine.
Presso la nostra Clinica, sono stati trattati con alemtuzumab 6 pazienti con linfoma cutaneo a cellule T (2 micosi fungoide stadio IV, MF;
3 sindrome di Sézary, SS; 1 linfoma a grandi cellule CD30-) recidivati dopo almeno due differenti schemi chemioterapici. I primi pazienti sono stati trattati con lo schema classico; in seguito, è stata utilizzata la somministrazione per via sottocutanea ad un dosaggio ridotto (3, 10 e 15 mg in 3 giorni consecutivi, seguiti da 15 mg a giorni alterni per 12 settimane), a causa della frequente comparsa di eruzioni orticarioidi durante l’infusione endovenosa. Una risposta clinica è stata ottenuta nei tre pazienti affetti da SS e nel paziente con linfoma a grandi cellule. Per quanto riguarda i due pazienti affetti da MF, invece, un caso ha mostrato un quadro di malattia stabile, mentre
l’altro ha sviluppato una progressione extracutanea della malattia; in entrambi i pazienti, si è verificata una riattivazione di Cytomegalovirus (CMV) a livello del sangue periferico. Nei pazienti responsivi, il tempo di induzione della risposta è stato breve (<= 15 giorni). Un
paziente, affetto da linfoma a grandi cellule CD30- con lesioni nodulo-ulcerative disseminate, ha ottenuto una remissione completa con
esiti pigmentari già in 12a giornata; il trattamento è stato tuttavia sospeso in 25a giornata per riattivazione di infezione da Cytomegalovirus (CMV). I tre pazienti affetti da SS hanno sviluppato entro 15 giorni dall’inizio del trattamento una marcata linfopenia, con normalizzazione della quota di cellule clonali atipiche CD4+CD26-, associata ad una remissione parziale a livello cutaneo. Il trattamento è stato sospeso, in un caso, dopo 5 infusioni, per la persistenza di eruzioni orticarioidi; nonostante il breve periodo di terapia, tuttavia, la remissione ematologica è stata mantenuta per 6 mesi. Nel secondo paziente, il trattamento è stato sospeso dopo 8 somministrazioni, per
la comparsa di sepsi da stafilococco e riattivazione di CMV. Nella terza paziente, in progressione dopo fludarabina, il trattamento con
alemtuzumab ha determinato una riduzione delle cellule atipiche circolanti da 46.000/mm3 a 322/mm3 dopo 7 somministrazioni. In considerazione della severa leuco-piastrinopenia correlata al trattamento, abbiamo deciso di ridurre la frequenza delle somministrazioni,
proseguendo con una terapia di mantenimento di 15 mg ogni 15 giorni.
I nostri dati preliminari documentano una rilevante attività dell’alemtuzumab specialmente per quanto riguarda la componente leucemica. Il breve tempo di induzione della risposta, associato all’elevato rischio, dose-dipendente, di infezioni, suggeriscono tuttavia, di utilizzare protocolli terapeutici a dosi ridotte.
Valutazione delle variazioni morfologiche dei nei in gravidanza mediante analisi dermoscopica
digitale
• Sbano P, Burroni M, *Dell’Eva G, °Cevenini G, Rubegni P
Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche, Sezione di Dermatologia; ° Dipartimento di Chirurgia Toracica e Bioingegneria Medica - Università di Siena; *LegaTumori di Siena
L’incidenza del melanoma nelle donne è in continuo aumento. Tuttavia, la correlazione tra gli ormoni femminili all’insorgenza di tale
neoplasia è ad oggi ancora poco chiara. L’influenza degli ormoni femminili sul melanoma è stata ipotizzata sulla base di studi che indicavano come donne che assumevano la pillola estroprogestinica o comunque ormoni di tipo femminile, mostravano un più alto rischio
di melanoma rispetto alle donne non esposte a tali sostanze. In particolare è stato segnalato che nel corso della gravidanza possano intervenire delle modificazioni significative nella morfologia di lesioni melanocitarie benigne e che queste ultime possano talora assumere dei caratteri di atipia.
Scopo del nostro studio è stato quello di valutare, in un gruppo statisticamente significativo di donne gravide, eventuali differenze nella morfologia delle lesioni cutanee pigmentate prima, durante e dopo la gravidanza. Abbiamo inoltre confrontato i risultati ottenuti con
quelli misurati su un gruppo di donne non gravide nello stesso intervallo temporale. A tale scopo abbiamo impiegato l’Analisi Derma-
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
toscopica Digitale (DDA), tecnica che, come è noto, permette di valutare in modo oggettivo numerosi parametri relativi alle lesioni pigmentate, che possono quindi essere confrontati mediante analisi statistica.
Le lesioni pigmentarie piane di 30 donne in gravidanza e di 60 donne controllo sono state valutate con DDA a un tempo 0 (6a settimana di gravidanza), prima del parto e dopo un anno.
L’analisi statistica monovariata e multivariata dei dati estrapolati mediante DDA ha dimostrato che i nevi in gravidanza cambiano di forma ma soprattutto nelle variabili che ne caratterizzano la “tessitura”. Dopo un anno dalla gravidanza tutti i parametri si normalizzano
ad eccezione di quelli correlati con la tessitura che invece rimangono alterati (accentuazione del reticolo).
Malformazione vascolare congenita del pene: trattamento laser di un caso clinico
• Scarcella G, Verona
Associazione di Dermatologia Clinica
Il Dye Laser Pulsato (PDL) è il trattamento di scelta per gli “Angiomi Piani“. In questa comunicazione viene mostrata l’efficacia e, soprattutto, la sicurezza del trattamento di una Malformazione Vascolare localizzata in una sede tanto insolita quanto, particolarmente,
delicata: l’asta e più precisamente la lamina interna del prepuzio ed il glande. Per il trattamento della suddetta malformazione è stato
utilizzato un Dye Laser ad impulso lungo: 1,5 msec., 595 nm PDL e, nonostante la “particolare“ localizzazione della malformazione i risultati ottenuti sono stati molto interessanti con una “restitutio ad integrum“ dell’area trattata “quasi“ perfetta.
Alopecia areata e Sindrome di Down: valutazione clinica
• Schepis C, Barone C, Romano C
Struttura di Dermatologia Oasi IRCCS, Troina (EN)
Ad oggi esistono in letteratura solo poche surveys riguardanti i rapporti fra Sindrome di Down e patologia cutanea.
I lavori non sono omogenei, per campionatura e metodologia, e producono anche risultati non sovrapponibili. Purtuttavia si evince come una delle patologie più comuni nella popolazione affetta da S. di Down sia l’alopecia areata (AA).
La prevalenza riportata nelle 3 surveys più complete viene riferita a valori del 6%, 8,9% e del 2,4%.
Con lo scopo di acquisire dati riguardo a questa patologia abbiamo raccolto i casi di AA nei pazienti affetti da S. di Down afferiti alla nostra osservazione nell’ultimo decennio.
Fra i dodici pazienti segnalati: 8 erano stati ricoverati c/o il nostro Istituto, 4 erano pazienti ambulatoriali. Otto dei dodici erano in età pediatrica. Per ogni paziente abbiamo preso in considerazione: la gravità della alopecia (AAP, AAT, AAU), l’associazione con patologie quali ipotiroidismo e malattia celiaca, frequenti nella persona Down, e l’eventuale presenza di alterazioni immunologiche o di le altre patologie, oltre al ritardo mentale, neurologiche e psichiatriche.
Nella nostra casistica 4 soggetti erano affetti da ipotiroidismo, peraltro compensato. L’equilibrio endocrinologico raggiunto non ha portato però alcun pratico beneficio nei confronti della AA anche se in letteratura esiste qualche aneddotica osservazione che attribuisce
alla compensazione dell’ipotiroidismo un valore terapeutico sulla AA. La celiachia è altrettanto frequente nella popolazione affetta da
S. Down e 4 dei 12 soggetti ne sono risultati affetti. La gluten-free diet non ha determinato, peraltro, segni di ricrescita eclatanti. Vista
la frequente associazione è comunque auspicabile una attento screening per celiachia nei pazienti Down affetti da A. Areata.
Quando somministrata, la terapia con presidi topici (ditranolo, steroidi) non ha dato risultati soddisfacenti mentre nell’unico paziente trattato con ciclosporina per os a basso dosaggio, per cicli non superiori ai 6 mesi, si è avuta una buona risposta terapeutica.
237
Allergia ritardata al nichel solfato: nuove strategie terapeutiche
• Schiavino D, Pecora V, Buonomo A, Roncallo C, Pollastrini E, De Pasquale T, Lombardo C, Alonzi C, Giuliani L, Altomonte
G, Musumeci S, Nucera E, Patriarca G
Servizio di Allergologia, Policlinico “A. Gemelli”, Roma
L’allergia al nichel è la più comune allergia da contatto, in costante aumento soprattutto nei paesi industrializzati; talvolta l’ingestione
di alimenti contenenti nichel comporta una riacutizzazione della dermatite locale e la comparsa di disturbi cutanei generalizzati (orticaria, angioedema, eritema, eczema, prurito diffuso) e/o disturbi digestivi (nausea, pirosi gastrica, meteorismo, dolori addominali, diarrea
o stipsi).
Abbiamo studiato una popolazione di 876 pazienti: 830 donne e 46 uomini, di età compresa tra i 4 e gli 86 anni (età media circa 34 anni) con ipersensibilità di tipo ritardato al nichel solfato.
I pazienti selezionati sono stati distinti in 2 gruppi in base alla sintomatologia: il gruppo A (450 pazienti) presentava solo una dermatite
da contatto, mentre il gruppo B (426 pazienti) riferiva oltre alla dermatite da contatto anche disturbi cutanei sistemici (93%) e/o disturbi
digestivi (14%). Tutti i pazienti sono stati studiati mediante l’esecuzione di test epicutanei (patch test della serie GIRDCA), che hanno evidenziato allergie da contatto anche verso altri metalli (palladio: 7,5%, cobalto: 8,5%).
Dal gruppo B sono stati selezionati 113 pazienti che riferivano un significativo beneficio dall’esecuzione di una dieta nichel-free (scomparsa o elevato miglioramento dei sintomi e ridotto consumo di farmaci sintomatici), condotta per un periodo non inferiore alle 4 settimane, e un test di provocazione orale positivo, eseguito mediante la somministrazione di dosi crescenti di nichel partendo da una dose di 2,5 mg e incrementata gradualmente fino alla dose massima di 10 mg. A questi pazienti è stato proposto, sulla base di precedenti esperienze nostre e di altri autori (1,2), di effettuare una terapia iposensibilizzante specifica, che prevedeva la somministrazione di
granuli di solfato di nichel (0,1 ng) e si estrinsecava in 2 fasi: la prima caratterizzata da un graduale aumento del dosaggio partendo da
1 granulo a dì alterni fino al raggiungimento di una dose massima di 2 granuli al dì e la seconda nella quale il dosaggio veniva ridotto
fino alla sua sospensione e dove gli alimenti contenenti nichel venivano reintegrati gradualmente nella dieta.
Risultati molto soddisfacenti si sono avuti in coloro che hanno completato il ciclo della TIS (46 pazienti): più della metà (52.2%) ha dichiarato di aver avuto la completa remissione della sintomatologia, più di un terzo (39.1%) un miglioramento clinico superiore all’80%
e solo un numero ristretto (8,7%) nessun miglioramento alla sua conclusione.
Alcuni pazienti (26%) non hanno completato il trattamento per la comparsa di effetti collaterali, rappresentati dalla riacutizzazione dei
sintomi cutanei. L’87% dei pazienti (40/46) hanno reintegrato nella dieta tutti gli alimenti contenenti nichel fino a quel momento evitati e solo una piccola percentuale (6/46=13%) ha potuto reintegrare solo una parte degli alimenti. La rivalutazione dell’esame allergologico, eseguita al termine del trattamento in coloro che lo avevano completato, ha evidenziato: un’invariata reattività cutanea al patch test nel 71% dei casi e una sua riduzione nel 24%, la negativizzazione del test di provocazione orale in quasi un terzo dei pazienti
(32.6%) ed un aumento della dose di nichel scatenante la sintomatologia in più della metà (52.2%).
In conclusione si può affermare che la terapia iposensibilizzante specifica per via orale con solfato di nichel è consigliabile nei pazienti
con reazioni sistemiche, dati i risultati clinici favorevoli e gli scarsi effetti collaterali registrtati.
Bibliografia
• Panzani RC, Schiavino D, Nucera E, Pellegrino S, Fais G, Schinco G, Patriarca G. Oral hyposensitization to nickel allergy: preliminary clinical results. Int Arch Allergy Immunol 1995;107:251-254.
• Troost RJJ, Kozel MMA, van Helden-Meeuwsen CG, van Joost T, Mulder PGH, Benner R, Prens EP. Hyposensitization in nickel allergic
contact dermatitis: clinical and immunologic monitoring. J Am Acad Dermatol 1995; 32:576-583.
Scabbia bollosa: un caso
• Semenza D, Pasolini G, Brezzi A, Leali C, Al Rajabi W, Sala R, Calzavara-Pinton PG
Divisione Dermatologia, Spedali Civili, Università degli Studi di Brescia
Paziente di sesso maschile di anni 73. Giunge alla nostra osservazione per la presenza di lesioni vescicolo-bollose ed eritemato-papulose localizzate a tronco ed arti intensamente pruriginose e persistenti da alcune settimane. Una biopsia cutanea eseguita in altra sede mostrava uno scollamento bolloso subepidermico compatibile con pemfigoide, seppur con IFD negativa. Il paziente, in scadenti condizioni generali (insufficienza renale ingravescente, polmonite acuta batterica con importante rialzo termico), assumeva terapia corticosteroidea per os (metilprednisolone 0.5 mg/Kg/die) da 2 settimane senza alcun beneficio. Dagli esami ematochimici eseguiti emergevano:
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
ipereosinofilia, aumento IgE totali, IFI negativa. Si effettuava nuova biopsia cutanea che evidenziava scollamento dermo-epidermico suggestivo per pemfigoide bolloso con IFD negativa per IgA, IgM, IgG, C3. Un esame obiettivo più approfondito evidenziava lesioni eritemato-papulose a livello degli spazi interdigitali delle mani con riscontro all’esame microscopico diretto di Sarcoptes Scabiei. Il trattamento con benzoato di benzile 20% 2 applicazioni/die per 2 giorni con graduale sospensione della terapia corticosteroidea portava ad
una remissione del quadro cutaneo. La scabbia bollosa è caratterizzata clinicamente da una “pemphigoid-like eruption” e da similitudini istologiche ed immunopatologiche con il pemfigoide bolloso tali da condurre frequentemente ad una “misdiagnosis” con conseguente terapia immunosoppressiva in soggetti generalmente anziani. Riportiamo il caso per la sua rarità (23 lavori in letteratura). Sottolineiamo inoltre che è stata ipotizzata la possibilità di innesco di un vero pemfigoide attraverso la produzione di secrezioni litiche da
parte dell’acaro stimolanti la produzione di autoanticorpi. Nel nostro caso il follow-up non è stato possibile a causa dell’exitus del paziente per setticemia da stafilococco, IRA ed arresto cardiocircolatorio.
Vasculite leucocitoclasica associata a scabbia
• Semenza D, Pasolini G, Brezzi A, Al Rajabi W, Pedretti A, Sala R, Calzavara-Pinton PG
Divisione Dermatologia, Spedali Civili, Università degli Studi di Brescia
Donna di anni 90, ospite di un istituto geriatrico da 8 mesi, giunge alla nostra osservazione lamentando da circa 2 mesi intensa sintomatologia pruriginosa diffusa. Obiettivamente presentava lesioni papulo-purpuriche associate a lesioni crostose localizzate a tronco ed
arti. Il referto istologico di una biopsia cutanea effettuata pochi giorni prima in altra sede evidenziava un quadro di vasculite leucocitoclasica. Dagli esami ematochimici da noi effettuati emergeva una positività degli indici di flogosi (VES, PCR, fibrinogeno), degli ANCA con
negatività di anticorpi anti-mieloperossidasi ed anti-PR3, una ipereosinofilia ematica ed una lieve piastrinosi. Risultavano nella norma gli
indici di funzionalità renale ed epatica; ANA, ENA, markers epatite, crioglobuline, anticorpi anti-cardiolipina, LAC erano negativi. Sulla
base dei dati anamnestici e clinici si decideva di effettuare scraping delle lesioni papulo-crostose con esame microscopico diretto positivo per Sarcoptes Scabiei. Veniva quindi intrapresa terapia con benzoato di benzile 10% 2 applicazioni/die per 3 giorni con rapida remisssione della sintomatologia pruriginosa e successiva rapida risoluzione delle lesioni eritemato-papulo-crostose. Ad un controllo a 30
giorni dal termine della terapia anche le lesioni papulo-purpuriche risultavano risolte. L’associazione scabbia-vasculite è stata raramente descritta in letteratura (13 casi). Considerata la negatività di altri possibili fattori eziologici e l’evoluzione favorevole della porpora a
seguito del solo trattamento anti-scabbia, è possibile ipotizzare che la parassitosi abbia indotto la comparsa della vasculite. Segnaliamo
il caso, sottolineando come la scabbia, seppur raramente, possa essere in grado di indurre la comparsa di lesioni purpuriche diffuse
creando notevoli difficoltà dal punto di vista diagnostico. I meccanismi fisiopatologici alla base del quadro istologico vasculitico necessitano di ulteriori acquisizioni. In casi del genere, una mancata diagnosi può condurre anche all’insorgenza di focolai epidemici in piccole comunità.
Ulcera tubercolare
• Sestini S, Lotti L, Fabroni C, Salvini C, Difonzo EM
Dipartimento Scienze Dermatologiche, Università di Firenze
Una paziente somala di 40 anni, in Italia da 20 anni, presenta a livello della coscia sinistra una perdita di sostanza con bordi sottominati, esito, a suo dire, di una lesione “foruncoloide”. L’esame obiettivo evidenzia linfoadenopatia colliquativa a livello sovraclaveare destro, confermata dagli accertamenti strumentali che escludono peraltro patologie a livello polmonare e di altri visceri.
Il sospetto di un’ulcera tubercolare viene confermato dalla crescita di Mycobacterium tuberculosis dall’essudato della lesione cutanea.
L’esame istologico di un linfonodo sovraclaveare evidenzia un processo granulomatoso gigantocellulare necrotizzante tubercoloide. È in
corso l’esame colturale per micobatteri dall’aspirato linfonodale.
In base ai dati clinici e strumentali si prospetta la diagnosi di un’ulcera tubercolare (gomma) in corso di linfadenite tubercolare.
239
Studio epidemiologico sulle onicomicosi e/o sulle perionissi in un periodo di 5 anni
• Simonetti O*, Arzeni D**, Simoncini C*, Bernardini ML*, Cellini A*, Barchiesi F**, Offidani A*
*Clinica Dermatologica, **Instituto di Malattie Infettive e Medicina Pubblica, Università Politecnica delle Marche
Abbiamo valutato retrospettivamente l’epidemiologia delle onicomicosi e/o delle perionissi in 172 pazienti afferenti alla Clinica Dermatologica di Ancona in un periodo di cinque anni. Sebbene i lieviti appartenenti alla specie Candida siano risultati gli agenti eziologici più
frequenti, abbiamo comunque osservato un incremento della prevalenza delle infezioni micotiche dovute ai patogeni fungini emergenti.
(E.F.P.). In particolare le infezioni causate da questi ultimi hanno mostrato, nel periodo che va dal 1998 al 2003, un incremento dallo 0
al 28,4%.
Studio immunoistochimico dell’espressione del VEGF e del CCL27 nella alopecia areata
prima e dopo terapia con difenciprone
• Simonetti O, Lucarini G*, Simoncini C, Bernardini ML, Biagini G*, Offidani A
Clinica Dermatologica, Instituto di Morfologia Umana Normale, Università Politecnica delle Marche
L’alopecia areata è una delle più comuni forme di alopecia non cicatriziale. I follicoli piliferi normali presentano modificazioni cicliche
che coinvolgono un rapido rimodellamento sia della componente epiteliale che della dermica. Il vascular endothelial growth factor
(VEGF) è un importante fattore per il mantenimento di una appropriata vascolarizzazione del follicolo pilifero, inoltre numerosi studi
hanno evidenziato che l’apoptosi costituisce un elemento centrale della omeostasi vascolare. L’antigene cutaneo associato ai linfociti
(CLA) e la chemochina CCL27 evidenziano l’importante ruolo delle cellule epiteliali nel controllo del traffico linfocitario. L’immunoterapia topica, che utilizza un potente allergene da contatto quale il difenciprone (DPC), viene attualmente considerata il trattamento più
efficace, ma le modalità con cui il DPC opera sono ancora ignote. Pertanto in questo studio abbiamo valutato l’espressione immunoistochimica del VEGF, Fattore VIII, survivina, CD4, CD8, CLA e CCL27 nella cute alopecica prima e dopo trattamento con difenciprone. I
nostri dati hanno evidenziato che l’immunoterapia topica svolge un’importante ruolo sia regolando l’espressione del VEGF nei cheratinociti follicolari umani sia nell’angiogenesi, dove la survivina esercita una funzione rilevante. Inoltre abbiamo osservato che il difenciprone,
attraverso probabilmente l’azione del CCL27, altera il rapporto CD4/CD8 peribulbare riportandolo a condizioni simili a quelle osservate nella cute normale.
Eritromelalgia secondaria a malattia ematologica: considerazioni a proposito di un caso
• Simonetti V, Russo G, Motolese A
Unità Operativa di Dermatologia - Ospedale “Alessandro Manzoni”, Lecco
Il caso si riferisce ad un uomo di 34 anni, affetto da cromosomopatia e ritardo psico-motorio che afferiva alla nostra Unità Operativa per
la riacutizzazione di una dermatite atopica severa. Emergeva il dato anamnestico di una sintomatologia dolorosa episodica, a carico della gamba sx, associata ad eritema diffuso e riscaldamento cutaneo dell’arto interessato. Gli attacchi si ripetevano ormai da alcuni mesi,
risultavano correlati a stimoli anche di modesta entità (fisioterapia , manipolazioni, breve esercizio fisico ecc.). e risolvevano rapidamente
con il riposo, l’applicazione di impacchi di acqua fredda o cubetti di ghiaccio. Gli esami ematochimici di routine evidenziavano un considerevole aumento dei globuli rossi, delle piastrine e dell’ematocrito.
Il paziente veniva inoltre sottoposto ad ecodoppler arterioso e venoso degli arti inferiori ed a capillaroscopia, senza riscontro di alterazioni emodinamiche o capillaroscopiche di rilievo. Il quadro ematochimico veniva interpretato dai colleghi ematologi, con l’ausilio di una
biopsia midollare, come policitemia vera e veniva pertanto impostata terapia con oncocarbide. Seguiva importante e rapido miglioramento
della situazione ematologica e solo modesto miglioramento delle manifestazioni dolorose e cutanee. L’utilizzo di aspirina a basso dosaggio
ci permetteva di ottenere un buon controllo della sintomatologia.
L’eritromelalgia è una patologia poco frequente (l’incidenza stimata è di circa 3 casi per milione), caratterizzata da attacchi episodici di
eritema diffuso di una estremità associati con marcato riscaldamento cutaneo e dolore. Se ne distinguono essenzialmente due forme,
primaria e secondaria, come nel nostro caso, associata a malattie ematologiche, vascolari e neurologiche. La prognosi nelle forme secondarie è spesso associata al decorso della malattia sottostante.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Un caso di POEMS
• Soro E, Dapavo P, Albertazzi D, Grassi M, Giacone E, Pippione M
Clinica Dermatologica II, Università degli Studi di Torino
Uomo di 74 anni, in discrete condizioni generali di salute, presenta da circa 6 mesi un’iperpigmentazione diffusa a tutto il tegumento,
accompagnata da alopecia dei cavi ascellari, ispessimento cutaneo alle superfici estensorie degli arti e linfoadenopatie superficiali generalizzate.
Intensa sintomatologia pruriginosa di accompagnamento. Il paziente era già stato trattato in passato con antistaminici, corticosteroidi,
cicli di PUVA-terapia e talidomide, per una forma di prurigo nodulare con saltuario beneficio sulla sintomatologia pruriginosa. Gli accertamenti
ematochimici rivelavano la presenza di un’ipereosinofilia circolante, PRIST elevato, nel quadro proteico elettroforetico due componenti
monoclonali in zona gamma e una ridotta funzionalità tiroidea. Gli esami strumentali segnalavano epatosplenomegalia, struma tiroideo
e una neuropatia periferica sensitiva all’EMG. L’esame istologico di un prelievo bioptico eseguito a livello della superficie estensoria di
un arto inferiore, mostrava un’epidermide acantosica con ipercheratosi ortocheratosica e iperpigmentazione dello strato basale. A sede dermica, diffusi fenomeni di neoangiogenesi, discreto infiltrato perivascolare linfoistiocitario con rari eosinofili. L’esame istologico di
un linfonodo ascellare mostrava un quadro di iperplasia con infiltrato prevalentemente plasmocitario compatibile con M. di Castelmann
(variante plasmacellulare).
La successiva ricerca sierica per anticorpi anti-HHV-8 risultava positiva. In considerazione dei dati clinici, istopatologici, laboratoristici
estrumentali, è stata posta diagnosi di sindrome POEMS, acronimo utilizzato per individuare una entità rara, caratterizzata dall’associazione di manifestazioni cutanee (melanodermia, alopecia ascellare, pachidermia), neurologiche, endocrine ed ematologiche. Questa sindrome è associata generalmente a mieloma e M. di Castelman. Il meccanismo eziopatogenetico sembra essere correlato con l’infezione da HHV8, riscontrata nel 50% circa dei pazienti e causa dell’aumentata produzione di fattori angiogenetici responsabili delle manifestazioni cliniche. Il nostro paziente è stato sottoposto ad una terapia con metilprednisone 0,5 mg/kg/die con rapida risposta sulla neuropatia e sulla sintomatologia pruriginosa. Attualmente si eseguono cicli terapeutici di breve durata con steroidi sistemici alternati ad ACTHsimili.
Bibliografia
• Obermoser G, Larcher C, Sheldon JA, Sepp N, Zelger B. Absence of human herpesvirus-8 in glomeruloid haemangiomas associated
with POEMS syndrome and Castleman’s disease. Br J Dermatol. 2003 Jun;148(6):1276-8.
• Bayer-Garner IB, Smoller BR. The spectrum of cutaneous disease in multiple myeloma. J Am Acad Dermatol. 2003 Apr;48(4):497507.
• Scheers C, Kolivras A, Corbisier A, Gheeraert P, Renoirte C, Theunis A, de Saint-Aubain N, Andre J, Sass U, Song M. POEMS syndrome revealed by multiple glomeruloid angiomas. Dermatology. 2002;204(4):311-4.
La donna dai due volti
• Stanghellini E, Molinu A, De Aloe G, Risulo M, Poggiali S, Fimiani M
Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche -Sezione di Dermatologia; Università di Siena
Riportiamo il caso di una donna di 68 anni che riferiva da circa due anni un progressivo cedimento del lato destro del volto che aveva
assunto un aspetto più senescente rispetto al lato controlaterale. All’esame obiettivo dermatologico la cute dell’emivolto di destra appariva flaccida e pendula, con una vistosa accentuazione delle rughe, meno elastica e di consistenza pastosa alla palpazione; a livello della palpebra e del lobo auricolare omolaterali l’aspetto cadente e la ridondanza cutanea erano maggiormente evidenti. L’esame istopatologico da cute lesionale evidenziava una cospicua elastosi dermica estesa fino alla parte media del derma reticolare ed una fibrosi zonale del sottocutaneo; era altresì evidente una frammentazione delle fibre elastiche più evidente nel derma profondo. L’esame istopatologico comparativo eseguito sulla cute del lato sinistro documentava alterazioni a carico del tessuto elastico molto meno evidenti. La
paziente riferiva di essere sempre stata in buona salute ma di aver avuto problemi di insonnia fin dall’età giovanile e di aver sempre dormito appoggiandosi sul lato destro.
È descritto in letteratura che i pazienti che dormono su un lato possono andare incontro ad un danno tissutale di tipo meccanico, verosimilmente legato al reiterato stimolo pressorio. La cute del lato coinvolto diventa flaccida e assume una consistenza gommosa; la
palpebra omolaterale può essere rovesciata più facilmente rispetto al lato sano o andare incontro a eversione spontanea durante il sonno. Tali alterazioni palpebrali comportano in genere alterazioni oculari (congiuntivite papillare) e sono state descritte per la prima volta
da Culbertson e Ostler nel 1881 con il nome di “floppy eyelid syndrome”.
241
Sebbene nella nostra paziente non fosse presente l’eversione palpebrale è verosimile che la maggior flaccidità e le altre anomalie dell’emivolto di destra si fossero sviluppate con un meccanismo patogenetico simile analogamente legato alla pressione.
Analisi non invasiva di cute psoriasica in vivo mediante Tomografia Coerenza Ottica (OCT)
• Stante M, Mavilia L, Carli P, Massi D, Campolmi P, Cappugi P
Dipartimento di Scienze Dermatologiche - Università di Firenze
La Tomografia a Coerenza Ottica (OCT) è una tecnica innovativa non invasiva di imaging computer-assistita, per lo studio morfologico
e la caratterizzazione funzionale dei tessuti biologici in vivo.
L’apparecchiatura OCT è fondata sul principio della interferometria luminosa a bassa coerenza ed attualmente impiega sorgenti rappresentate da diodi superluminescenti in grado di emmettere una radiazione luminosa con lunghezza d’onda pari a 1300 µm ca., prossima all’infrarosso.
La non invasività della tecnica è assicurata dalla natura non ionizzante della radiazione luminosa emessa dalla sorgente, dalla bassissima potenza di emissione di questa (20 µW), e dalla semplice applicazione del terminale ottico dello strumento sulla superficie cutanea
integra per il suo scanning.
La OCT fornisce in tempo reale (2-4 sec) immagini bi- e tridimensionali ad altissima risoluzione (fino a 10 µm) della cute e delle mucose in vivo, orientate secondo piani perpendicolari rispetto alla superficie cutanea stessa, senza alcun effetto collaterale, controindicazione o disconfort per il paziente.
La possibilità di indagine di questo strumento si spinge verso spessori cutanei variabili da 800 µm fino a 3 mm a seconda delle caratteristiche tecniche dello strumento utilizzato e delle proprietà ottiche del tessuto studiato.
Oltre a parametri di tipo morfometrico la OCT è in grado di produrre una “istantanea” sullo stato funzionale del tessuto esplorato, fornendo dati quali Indice di Riflessione, Indice di Rifrazione e Coefficiente di Dispersione luminosa del tessuto stesso.
L’analisi in OCT di lesioni psoriasiche in vivo si è rivelata in grado di fornire immagini ad elevatissimo potere di risoluzione e contrasto che
consentivano il riconoscimento dei principali marcatori istopatologici della malattia e di documentare la loro riduzione o scomparsa a guarigione clinica avvenuta.
La OCT rappresenta una interessante metodica che ha mostrato risultati preliminari estremamente promettenti quando utilizzata per
l’analisi morfologica e funzionale della cute.
Possibile ruolo della dermoscopia nella diagnosi preclinica della lentigo maligna del volto
• Stante M, De Giorgi V, Carli P
Dipartimento di Scienze Dermatologiche - Università di Firenze
La dermoscopia (dermatoscopia, microscopia in epiluminescenza) è una metodica non invasiva impiegata per la diagnosi differenziale
delle lesioni cutanee pigmentate (lcp) in vivo.
L’analisi di pattern standard si basa sulla valutazione integrata di tipo qualitativo dei numerosi parametri visualizzati durante l’osservazione in epiluminescenza della lesione oggetto di studio.
Il primo gradino del percorso diagnostico dermoscopico è la formulazione del giudizio sulla natura melanocitaria o non melanocitaria
della lcp. Successivamente, riconoscendo la presenza o meno di alcuni parametri specifici, l’osservatore è in grado di giudicare con maggiore livello di predittività rispetto alla sola osservazione clinica, circa la natura benigna o maligna della stessa.
Ad oggi questa tecnica viene impiegata come approfondimento diagnostico di secondo livello su lesioni classificate come sospette oppure equivoche, perchè clinicamente atipiche o inclassificabili.
Riportiamo alcuni casi di lcp del volto che si presentavano con caratteri clinici non sospetti, non manifestando i criteri dell’ABCDE del melanoma, nei quali soltanto l’esame clinico seguito da una valutazione dermoscopica “elettiva”, apparentemente non necessaria, svelava la reale natura maligna della lesione (lentigo maligna), che veniva confermata istologicamente dopo escissione chirurgica completa.
La identificazione di iniziali e ben definiti criteri dermoscopici di malignità si è rivelata in grado di consentire la diagnosi di lentigo maligna del volto in uno stadio pre-clinico, quando ancora la lesione non mostra evidenti segni clinici di sospetto (ABCDE).
Il possibile diverso impatto della dermatoscopia nella diagnosi delle lcp del volto potrebbe essere spiegato dalla peculiare struttura istopatologica di questa sede rispetto ad altre, maggiormente ricca di follicoli pilosebacei.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Proponiamo il possibile ruolo di uno screening dermoscopico di primo livello, eseguito anche in assenza di evidenti criteri clinici di malignità, nella diagnosi precoce (pre-clinica) della lentigo maligna del volto.
Erlichiosi: una nuova patologia trasmessa da zecche
• Stinco G
Clinica Dermatologica - DPMSC - Università degli Studi di Udine
In Europa finora sono stati segnalati solo pochi casi di erlichiosi granulocitica umana (HGE), causata da Ehrlichia (Anaplasma) phagocytophila, nelle stesse aree geografiche dove è presente la zecca dura Ixodex ricinus, il medesimo vettore della borreliosi di Lyme.
Caso 1. Uomo di 38 anni, agronomo, si è presentato con lesioni maculo-papulari diffuse al tronco e arti, non pruriginose presenti da circa un mese. Il paziente ha riferito il morso di una zecca alla coscia sinistra circa 40 giorni prima e dopo 7-10 giorni ha accusato febbre
alta seguita dalla comparsa del rash cutaneo. Su consiglio del medico curante ha eseguito un trattamento con amoxicillina più acido
clavulanico che ha determinato la scomparsa della febbre in circa una settimana. Dopo 10 giorni è ricomparsa la febbre alta per 2-3
giorni, seguita da febbricola, dolori articolari e astenia. Ha eseguito degli esami ematochimici che hanno rivelato: Ac anti Borrelia IgM
assenti, IgG 24 U/ml, leucopenia, trombocitopenia ed un aumento degli enzimi epatici assieme ad una elevazione degli indici di flogosi. Sulla base di questi esami ha assunto doxicilina, 200 mg/die per 15 giorni ed è stata richiesta l’IF per Ehrlichia (Anaplasma) phagocytophila che ha dimostrato la presenza di IgM titolo 1:256 ed IgG assenti. La febbricola ed il rash cutaneo sono scomparsi dopo una settimana, mentre hanno continuato a persistere l’astenia ed dolori articolari alle mani e gomito destro. Tre mesi dopo il trattamento ogni
sintomo è scomparso.
Caso 2. Una donna di 58 anni si è presentata febbrile, con congiuntivite, malessere generale ed una dermatite pruriginosa caratterizzata da papule eritematose, molte escoriate, agli arti e tronco. La paziente riferiva di essere stata morsa da una zecca alcuni giorni prima dell’insorgenza della sintomatologia. Gli esami ematochimici hanno rilevato un aumento degli enzimi epatici, una elevazione della
VES, leucopenia e trombocitopenia. L’esame istologico ha evidenziato gli aspetti di una dermatite perivascolare aspecifica. Sono stati richiesti gli esami di laboratorio per erlichiosi e per borreliosi che hanno dimostrato la presenza di anticorpi anti-Ehrlichia (Anaplasma)
phagocytophila (IgM titolo 1:128; IgG negative) e di anticorpi anti-Borrelia burgdorferi (IgM negative; IgG 17 U/ml). È stato instaurato
un trattamento con doxicilina (100mg x2/die per 10 giorni) che ha determinato il rapido miglioramento del quadro clinico generale e la
scomparsa delle lesioni cutanee.
Discussione. Nelle aree geografiche dove si riscontra la borreliosi di Lyme non deve essere dimenticata l’infezione da Ehrlichia quando
ci si trova di fronte a quadri clinici caratterizzati da febbre, brividi, cefalea, mialgie, artralgie, malessere generale, nausea, anoressia,
stanchezza e rash cutaneo. Inoltre, un grado variabile di anemia, leucopenia e trombocitopenia ed un aumento degli enzimi epatici assieme ad una elevazione degli indici di flogosi, devono far richiedere l’identificazione degli anticorpi anti-Ehrlichia. Secondo la Letteratura, l’eruzione cutanea è incostante, mal definita ed apparentemente poco specifica, ma una più attenta osservazione e la segnalazione di tutti i casi di questa nuova malattia potranno delinearne con precisione i tratti caratteristici e chiarirne l’importanza.
Bibliografia
• Ruscio M, Cinco M: Human granulocytic ehrlichiosis in Italy: first report on two confirmed cases. Ann NY Acad Sci 2003; 990: 350-2.
• Blanco JR, Oteo JA. Human granulocytic ehrlichiosis in Europe. Clin Microbiol Infect 2002; 8: 763-72.
Cute e acari minori: utilità dell’esame diretto delle polveri domestiche
• Stingeni L, Principato M*, Lisi P
Sez. Dermatologia clinica, allergologica e venereologica, Dip. Specialità medico-chirurgiche e *Sez. Parassitologia veterinaria, Dip.
Scienze biopatologiche veterinarie, Università di Perugia
La continua ricerca di soluzioni innovative atte a migliorare il comfort e a ridurre i costi di realizzazione e di gestione degli ambienti confinati, moderni e non, domestici e professionali, spesso trascura la salvaguardia delle più elementari norme di tutela della qualità di vita, esponendo l’uomo a patologie da ambiente “indoor”. Tra queste, figurano quelle derivanti da agenti biotici, e da piante, legname,
mobilio, animali domestici, acari minori in particolare. Questi artropodi, introdotti attraverso derrate alimentari o altri substrati, coabitano con l’uomo, a volte in grande carica e in diversi stadi evolutivi, specie se si realizzano in presenza di condizioni microclimatiche favorevoli1,2. Quando ciò si realizza, essi possono rendersi responsabili, con meccanismo per lo più non allergico, di manifestazioni cuta-
243
nee ad estrinsecazione clinica diversa (strofulo, dermatite papulo-escoriata, orticarioide, scabbioso-simile), gravità varia ed inquadramento eziologico per lo più oscuro; ciò condiziona pesantemente la gestione di questi pazienti, spesso sottoposti a misure terapeutiche
insoddisfacenti, rendendo frustrante il compito del dermatologo.
Attualmente disponiamo di una metodica, l’esame diretto delle polveri ambientali, che consente, dopo opportuna raccolta e processazione delle stesse, di:
• individuare gli ambienti domestici sede di infestazione;
• identificare gli “ospiti” dell’ambiente “indoor”;
• precisarne lo stato di vitalità e il tasso di infestazione.
Questi elementi sono indispensabili per una corretta ed efficace strategia di bonifica ambientale, unico presidio che consente di eradicare l’infestazione ambientale e i disturbi ad essa correlati.
Ad esemplificazione di quanto sopra, verranno presentati alcuni casi nei quali l’esame diretto delle polveri domestiche ha consentito di
identificare e caratterizzare, in ambiente domestico, Glycyphagus domesticus, Cheyletyella blakey, Neotrombicula autumnalis e Pyemotes ventricosus. Si tratta di artropodi che utilizzano substrati trofici specifici e presentano comportamenti biologici diversificati, la cui
eradicazione dall’ambiente domestico ha indotto remissione definitiva delle manifestazioni cutanee.
Bibliografia
• 1Stingeni L, Principato M. Epidemic professional dermatitis caused by Pronematus davisi (Actinide order, Euphodina suborder, Tydeoidea superfamily, Tydeidae family). Br J Dermatol 2002; 146: 929-930.
• 2Stingeni L, Principato M, Lisi P. Glicifagosi: due casi di dermatite papulo-vescico-pustolosa da Glycyphagus domesticus e Lepidoglyphus destructor (Astigmata: Glycyphagidae). Ann Ital Dermatol Clin Sper 1997; 51: 91-95.
A.G.A. e micro - miniautotrapianto di unità follicolo-sebacee
• Tarantino F, Maggio G*, Maddalo A**, Quarta N**
Specialista in Chirurgia Plastica e Ricostruttiva, Specialista in Anestesia e Rianimazione*, Specialista in Dermatologia e Venereologia**
- Lecce
Introduzione. Nel 400 a.C., Ippocrate prima, Aristotele e Plinio il Vecchio in seguito, s’interessarono al problema della caduta dei capelli. La calvizie, infatti, affligge l’uomo sin dai tempi più remoti, diventando in alcune persone un handicap estetico e/o psicologico.In
Italia si stima che circa il 60% degli uomini sotto i 30 anni è affetto da alopecia androgenetica, mentre le donne sono colpite da questa
patologia nel 10% dei casi o poco più. Nei giovani d’età compresa tra i 18 e i 30 anni, la perdita dei capelli rappresenta la principale preoccupazione di tipo estetico, dopo il problema del sovrappeso.
Materiali e Metodi. I pazienti prima di essere sottoposti ad autotrapianto di capelli devono sapere che: possono essere necessari più
interventi chirurgici per trattare adeguatamente l’area alopecica; il risultato finale si osserva dopo 8 mesi dall’intervento; non c’è un aumento del numero dei capelli presenti sulla testa, ma solo una ridistribuzione di una parte di quelli presenti nella zona donatrice, non è
possibile, perciò, ripristinare una densità elevata come nell’età giovanile.
In ogni caso clinico, occorre valutare con attenzione: il grado di calvizie secondo la classificazione di Norwood, il colore e il tipo di capelli, le caratteristiche del cuoio capelluto, la densità dell’area donatrice, la presenza eventuale di “vellus hair”, l’esistenza o meno di patologie cutanee (dermatite seborroica, psoriasi, ecc.). Il medico deve verificare, infine, se il paziente soffre di: ipertensione, patologie
cardiovascolari, anemie e coagulopatie, malattie infettive ed endocrine, allergie e patologie neuropsichiatriche. La losanga di cuoio capelluto prelevata dall’area donatrice occipitale viene prelevata con un bisturi a lama singola o con multilama. La grandezza è in relazione con la quantità di innesti che si desiderano ottenere nel trapianto dell’area calva o diradata. La losanga viene suddivisa in micrografts
e/o in minigrafts (1 - 5 bulbi piliferi). Questo tipo di innesti consente di evitare l’antiestetico effetto “a bambola” o “tuft effect” che si
verifica, invece, con l’autotrapianto di innesti cilindrici di 2 mm e più di diametro. I siti in cui sono inseriti i grafts sono realizzati mediante lame di bisturi, aghi di Nokor o con il laser a CO2. I bulbi piliferi preparati sono ordinati per grandezza e numero, al fine di rendere più agevole e rapido l’impianto.
Per raggiungere un buon risultato finale è necessario: orientare in modo corretto i grafts per avere una direzione di crescita naturale; tenere presente la possibile perdita dei capelli ancora rimasti nella zona diradata durante l’allestimento dei siti riceventi i grafts; tagliare la
parte eccedente la superficie cutanea dell’innesto per avere una cicatrizzazione ottimale.
Conclusioni. Esistono altre tecniche chirurgiche nella terapia dell’A.G.A., ossia: lo “scalp reduction”, gli estensori di Frechet, la rota-
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
zione o trasposizione di lembi di cuoio capelluto, gli espansori sottocutanei, ma hanno degli svantaggi considerevoli rispetto al microautotrapianto di capelli. Il micro-miniautotrapianto follicolare ha annullato, inoltre, tutti gli svantaggi dell’autotrapianto classico, eseguito in passato con l’uso di macroinnesti (cicatrici evidenti, effetto “a ciuffi di capelli”, aspetto innaturale della “frontline”, densità dell’area trapiantata non omogenea, esiti cicatriziali evidenti, ecc.). Attualmente il micro-miniautotrapianto di unità follicolo-sebacee rappresenta, pertanto, un efficace rimedio non solo per l’alopecia androgenetica, ma anche per le alopecie cicatriziali post-traumatiche o
post-chirurgiche del cuoio capelluto, delle sopracciglia, della regione sovrapubica o sternale, conseguenti ad ustioni, ferite lacero-contuse, asportazione di neoformazioni cutanee.
Nelle mani esperte di una équipe specializzata, il micro-miniautotrapianto di capelli è una soluzione valida per l’A.G.A., perché consente di ottenere dei risultati estetici che soddisfano sia il paziente e sia il medico.
Bibliografia
• Gouras I., Tarantino F., Ghionis A., Valvis P., Megasessione di microautotrapianto di capelli in pazienti con estesa calvizie e con ricca
area donatrice, in Atti Congr. S. I. M. E. 1: 81, 1998.
• Tarantino F., Gouras I., Valvis P., Ghionis A., Il danno estetico da autotrapianto di capelli, in Atti Congr. S.I.D.C.O. 1: 131-132, 2001.
• Tarantino F., Alessandrini G., Gouras I., Valvis P., Correzione degli effetti indesiderati da trapianto di capelli, in Atti Congr. A.I.D.A. 1:
153-154, 2002.
Eritema anulare centrifugo in un paziente con pregresso adenocarcinoma antrale ed epatopatia
HCV-correlata
• Terranova M, Amato L, Lucin C, Ketabchi S, Fabbri P
Dipartimento di Scienze Dermatologiche - Università degli Studi di Firenze
Presentiamo il caso di una donna di 76 anni che giungeva alla nostra osservazione per la comparsa da circa 5 mesi, di lesioni eritematose, figurate, con un bordo rilevato, localizzate inizialmente alla superficie estensoria degli avambracci e che in seguito si erano estese
alle superfici flessorie, agli arti inferiori e alla regione lombosacrale. Tali lesioni erano accompagnate da una lieve sintomatologia pruriginosa. Dall’anamnesi patologica remota della paziente emergevano, valvulopatia aorto-mitralica con fibrillazione atriale e ipertensione arteriosa dall’età di 62 anni (in terapia con acido acetilsalicilico, furosemide, spironolattone, enapril, diossina); intervento di gastroresezione per adenocarcinoma antrale 5 anni fa (seguito da intervento di plastica addominale per laparocele periombelicale l’anno dopo) calo ponderale di circa 40 Kg in seguito all’intervento.
Gli esami ematochimici di routine mostravano una lieve anemia sideropenica, un aumento della γ-GT, della fosfatasi alcalina, della CK
e delle IgA. Venivano inoltre riscontrati anticorpi anti HCV. Il dosaggio dei markers paraneoplastici (CEA, α-FP, CA 125, CA 19.9, CA
15.3) risultavano nella norma e la ricerca di sangue occulto nelle feci negativa. L’esame istologico eseguito sul bordo di una lesione della coscia sx mostrava una focale spongiosi epidermica e un modico infiltrato linfoistioide con qualche granulocita eosinofilo a prevalente disposizione perivascolare nel derma superficiale.
Abbiamo posto diagnosi eritema anulare centrifugo di Darier in paziente con pregresso adenocarcinoma antrale, con epatopatia HCVcorrelata, in terapia con acido acetilsalicilico e spironolattone per fibrillazione striale e ipertensione arteriosa.
Vengono riproposti gli agenti eziologici scatenanti e i meccanismi patogenetici operanti suggeriti dalla letteratura più recente.
Bibliografia
• Erythema annulare centrifugum. J Am Acad Dermatol 1981 May;4(5):597-602
Pemfigo con prevalente localizzazione al pene: presentazione di un caso clinico
• Tessari G, *Colato C, **Cagalli CA, Barba A
Università degli Studi di Verona, Dipartimento di Scienze Biomediche e Chirurgiche- Sezione di Dermatologia e Venereologia - Direttore Prof. GC Chieregato, *Dipartimento di Patologia-Sezione di Anatomia Patologica - Direttore Prof. F. Menestrina. **Libero Professionista,
Legnago (VR)
Introduzione. Il pemfigo volgare è una malattia bollosa autoimmune ad interessamento cutaneo e mucoso. Le mucose più frequentemente
colpite sono: la mucosa orale, faringea, laringea, nasale e, meno frequentemente, le mucose genitali femminili (vagina, vulva, cervice
uterina) e dell’ano. Rari sono i casi di interessamento della mucosa del glande. Presentiamo un caso giunto recentemente alla nostra
245
osservazione.
Caso clinico. Un paziente di sesso maschile, anni 24, professione operaio, giunse alla nostra osservazione nel luglio 2001 per la presenza
sul glande e sull’asta di numerose aree abrase con note di ulcerazione, di dimensioni variabili da 4 a 10 mm, margini regolari e netti, colorito rosso vivo, con superficie liscia e lucida. Le lesioni confluivano in aree di maggiori dimensioni. Il paziente lamentava un bruciore di
intensità moderata per tutto l’arco della giornata, che si esacerbava durante i rapporti sessuali. Le lesioni erano presenti da circa 20 gg.
Il medico di base aveva prescritto accertamenti microbiologici con esito negativo ed una terapia con antisettici topici senza alcun beneficio. Circa 15 gg dopo l’esordio delle lesioni del pene, venne osservata una lesione bollosa, flaccida, a contenuto citrino, di 1 cm di diametro, localizzata alla spalla dx.
Il paziente fu visitato da un dermatologo ambulatoriale che consigliò l’invio presso il ns. Istituto. Il paziente venne sottoposto ad esami
ematochimici di routine, dosaggio anticorpi anti-nucleo, sierologia per HSV, CMV, VZV, EBV, tampone balano-prepuziale ed uretrale per
batteri, miceti e lieviti con esito negativo. L’esame istologico evidenziò una dermatite bollosa acantolitica soprabasale, compatibile con
un pemfigo. L’immunofluorescenza diretta dimostrò una positività per IgG degli spazi intercheratinocitari. Il western blot evidenziò una
reattività a 130 kDa (DSG3), compatibile con pemfigo. Il paziente fu sottoposto a terapia corticosteroidea per os (prednisone 50 mg/die)
a scalare ottenendo la risoluzione del quadro clinico.
Discussione. L’interessamento prevalente od esclusivo delle mucose genitali femminili (vagina, vulva, cervice uterina), nel pemfigo, è
stato descritto in letteratura. Spesso si manifesta con bruciori urinari o genitali, leucorrea ed è facilmente confuso con una patologia infettiva. Più raro, e secondario ad una sintomatologia anche cutanea è l’interessamento del pene. Il paziente da noi osservato si caratterizza per la giovane età (< 30 aa), l’esordio primitivo delle lesioni a carico del pene, inizialmente non diagnosticate. Le problematiche in
tale paziente sono la necessità di una terapia steroidea a lungo termine, (data la giovane età), l’esacerbazione delle lesioni a seguito dei
rapporti sessuali. Il caso da noi descritto evidenza la necessità di un’accurata valutazione specialistica di tutte le lesioni delle mucose genitali, possibili spie di malattie sistemiche di notevole gravità.
Lentigginosi unilaterale parziale con pattern istologico a tipo “jentigo”
• Torchia D, Palleschi GM, Urso C, Fabbri P
Clinica Dermatologica, Università degli Studi di Firenze
Riportiamo il caso di un paziente (39 anni, maschio) che presentava centinaia di macule brunastre di forma rotondeggiante od ovalare,
a limiti netti, di alcuni mm di diametro, localizzate nell’emisoma sinistro a livello del dorso, del torace, del braccio e del collo, con una
netta interruzione a livello del piano sagittale mediano. Nella regione cervicale anteriore le lesioni erano distribuite nel territorio d’innervazione del nervo spinale C6. L’esame dermatoscopico rivelava che si trattava di lesioni melanocitarie (reticolo pigmentario, punti
neri), mentre l’esame istologico eseguito sulla biopsia di due lesioni contigue indicava che si trattava in un caso di una lentigo simplex
e nell’altro di un nevo melanocitico giunzionale lentigginoso.
Sulla scorta di questi dati e grazie ad un’attenta revisione della letteratura, fu fatta diagnosi di lentigginosi unilaterale parziale con pattern istologico a tipo “jentigo”.
La lentigginosi unilaterale parziale (PUL) è un disordine della pigmentazione caratterizzato da lentiggini distribuite in una parte di un
emisoma e che insorgono su cute normalmente pigmentata. L’affezione, di eccezionale osservazione (circa 60 casi descritti), si manifesta già alla nascita o entro le prime due decadi di vita; non sono descritti casi ereditari. Generalmente la PUL non si accompagna ad altre anomalie, anche se sono state descritte associazioni con la neurofibromatosi segmentale (8 casi), macchie caffellatte (6 casi), epilessia focale, ritardo mentale, neuropatie periferiche (3 casi), nevi blu, nevo depigmentoso ecc. L’esame istologico mostra nella grande
maggioranza dei casi i tipici reperti di lentigo simplex. Tuttavia, in 4 casi era possibile notare una combinazione dei pattern lentigginoso e melanocitico giunzionale (cosiddetta junctional lentigo o jentigo).
La PUL deve essere distinta dallo speckled lentiginous nevus segmentale (SSLN), caratterizzato clinicamente da un’area iperpigmentata
a distribuzione segmentale nel cui contesto è possibile osservare macule più scure. In questa forma l’esame istologico documenta un pattern di tipo lentigginoso nell’area ipercromica di fondo e nevi melanocitici giunzionali o composti nelle macule più intensamente colorate. L’altra principale diagnosi differenziale si pone con il nevus spilus segmentale, clinicamente simile allo SSLN ma che presenta istologicamente le caratteristiche dell’efelide.
In conclusione, il nostro caso è il quinto finora descritto di lentigginosi unilaterale parziale caratterizzato istologicamente dal pattern
“jentigo”.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Bibliografia
• Piqué E et al. Partial unilateral lentiginosis: report of seven cases and review of the literature. Clin Exp Dermatol 1995; 20: 319-22.
• Marchesi L et al. Segmental lentiginosis with “jentigo” histologic pattern. Am J Dermatopathol 1992; 14: 323-7.
• Ruth WK et al. Zosteriform lentiginous nevus. Arch Dermatol 1980; 116: 478.
• Matzudo H et al. Zosteriform lentiginous nevus. Arch Dermatol 1973; 107: 902-5.
La tecnica capillaroscopica (GIDEV)
• Trevisan G
Università degli Studi di Trieste - Dipartimento di Scienze Cliniche Morfologiche e Tecnologiche
Unità Clinica Operativa di Dermatologia e Venereologia
Nel 1661 Malpighi scopre i Capillari, nel 1912 Lombard applica la Glicerina alla plica periungueale, ma l’impulso a questa tecnica viene
data da Jean-François Merlène.
L’unità funzionale capillare è costituita da Endotelio e Membrana basale.
L’esame capillaroscopico viene spesso effettuato a livello periungueale, in quanto i capillari cutanei sono di solito perpendicolari alla superficie epidermica, mentre a livello del vallo periungueale questi sono disposti orizzontalmente al piano.
I distretti capillaroscopici usualmente utilizzati sono il Vallo periungueale delle mani, la Congiuntiva bulbare, il Prolabio, la Mucosa linguale, e la cute piena.
I vantaggi sono la semplicità e rapidità di esecuzione, la non invassività, il basso costo, e la ripetibilità.
Il Capillaroscopio è costituito da un microscopio, da una sorgente di luce fredda, da un misuratore (un reticolo sull’oculare, o un sistema digitale) e da un dispositivo fotografico.
I materiali che vengono utilizzati per un esame capillaroscopico sono: l’olio di cedro, bacinelle per l’acqua calda e fredda, un termometro, ed un misuratore della pressione sistolica digitale.
Nella conduzione dell’esame è importante la posizione del paziente, e la posizionamento della mano e del dito da esaminare.
La Capillaroscopia standard prevede uno studio morfologico, dinamico, quantitativo e qualitativo.
La scarsa visibilità delle anse può essere determinata da condizioni non patologiche o patologiche quali l’edema pericapillare o nei casi
gravi la necrosi digitale.
La conta delle anse viene effettuata applicando il misuratore alla base delle prima filiera capillare e vanno effettuate almeno tre misurazioni.
• Tappe complementari dell’esame capillaroscopico periungueale sono: la pressione sistolica digitale, l’immersione nell’acqua calda (45
°C), l’immersione nell’acqua fredda (12 °C) (cold pressure test), l’occlusione venosa, l’occlusione arteriosa, ed eventualmente i test
farmacologici.
Il quadro capillaroscopico nel soggetto normale è caratterizzato da: una colonna di eritrociti nel capillare di color rosso, fondo roseo,
diametro della branca afferente arteriosadi 7 µm, diametro della branca efferente venosa di 11 µm, diametro del tratto intercalare di 810 µm, lunghezza media delle anse di 350 µm, numero delle anse/mm da 10 a 14, riempimento/svuotamento del capillare in 20”. Le
anomalie dei capillari sono di tipo quantitativo e qualitative. Vanno valutati inoltre gli spazi pericapillari, e le caratteristiche dello scorrimento ematico.
Malattia di Lyme tardiva
• Trevisan G, Ortenzio S
Clinica Dermatologica, Università degli Studi di Trieste
La Borreliosi di Lyme (BL) è un’infezione multisistemica causata da una spirocheta, Borrelia burgorferi (Bb),e trasmessa all’uomo dal morso di una zecca dura del genere Ixodes, che coinvolge principalmente la cute, l’apparato muscolo - scheletrico, il sistema nervoso, il cuore e l’occhio. La BL è classicamente suddivisa in 3 stadi clinici, oppure in uno stadio precoce e uno tardivo.
I criteri clinici ed epidemiologici, supportati da indagini sierologiche, istologiche e colturali costituiscono le basi fondamentali per effettuare una diagnosi certa della malattia di Lyme, diagnosi che risulta essere relativamente semplice nelle forme precoci associate alla malattia. Tuttavia manifestazioni cutanee, nervose, osteoarticolari si possono manifestare anche dopo un lungo periodo la tramissione del-
247
la spirocheta, spesso associate a un riscontro laboratoristico di elevati valori di IgM, espressione come è ben noto di attività della malattia,
senza che tra l’altro sia stata fatta chiarezza sul probabile meccanismo patogenetico che causa tale persistente reattività. In altri pazienti
si segnala la persistenza dei sintomi nonostante un ciclo completo di terapia antibiotica adeguata e nonostante l’assenza di segni obiettivi o di markers biologici, il tutto legato, probabilmente, ad una persistenza intracellulare della Bb che riesce così a eludere la risposta
immunitaria dell’organismo ospite.
Una piccola percentuale di pazienti geneticamente predisposti poi, si presenta completamente resistente alla terapia antibiotica manifestando una infiammazione articolare persistente nonostante l’apparente eradicazione della spirocheta.
Post - Lyme Disease Syndrome
• Trevisan G, Ortenzio S
Clinica Dermatologica, Università degli Studi di Trieste
Negli ultimi anni si è posta l’attenzione su un complesso di sindromi cliniche correlate alla borreliosi di Lyme (BL) che presentano varie
similitudini e sulla cui patogenesi sono state formulate e vagliate varie ipotesi, legate ora alle caratteristiche proprie della spirocheta sia
alla risposta di tipo immunitario.
Tali sindromi sono state denominate:
• Late Lyme disease,
• Chronic Lyme disease,
• Post-Lyme disease (PLDS).
• Treatment resistant Lyme disease,
• Sindrome della stanchezza cronica, che presenta delle analogie cliniche con la PLDS.
Sebbene in parte definite e confermate, richiedono comunque un maggiore inquadramento nell’ambito di uno spettro clinico associato alla malattia di Lyme.
L’individuazione dei principali elementi di diagnosi differenziale, clinici e laboratoristici, costituisce il primum movens, per riconoscere e
diagnosticare le varie forme cliniche e scegliere, conseguentemente, delle efficienti strategie terapeutiche.
I potenziali evocati visivi nei soggetti psoriasici: dati preliminari
• Turio E, Benedetti S*, Perossini M*, Perossini T*, Romagnoli MC*, Barachini P
Clinica Dermatologica, Università di Pisa (Direttore: Prof. P. Barachini)
*Clinica Oculistica, Università di Pisa (Direttore: Prof. M. Nardi)
Il cheratinocita, la cellula nervosa e le cellule della retina derivano dall’ectoderma embrionale. Sulla base di questa comune derivazione
embriogenetica abbiamo eseguito la valutazione dei potenziali evocati visivi (PEV) in soggetti psoriasici per capire se le anomalie, geneticamente indotte, delle cellule epidermiche di questi malati si accompagnino ad alterazioni funzionali delle cellule nervose delle vie ottiche. Abbiamo selezionato 20 soggetti affetti da psoriasi volgare (PASI: media ± DS = 21,6 ± 10,2) di entrambi i sessi (15 maschi, 5
femmine) e di età compresa tra i 16 e gli 80 anni (media ± DS = 54,9 ± 18) che sono stati sottoposti, previa visita oculistica completa,
all’esame del PEV da Pattern a varie frequenze spaziali. I dati raccolti hanno evidenziato una riduzione d’ampiezza del PEV in 8 soggetti (40%) ed una latenza aumentata in 5 (25%). Gli 8 pazienti con bassi voltaggi della P100 erano affetti da psoriasi con un PASI medio
di 20,3 non molto discosto dal valore trovato per l’intero gruppo dei soggetti studiati, mentre quelli con latenza aumentata hanno presentato un PASI medio di 24,2 lievemente superiore alla media generale anche se in modo non significativo. Dai valori trovati nel presente studio emerge un marcato aumento d’anomalia dell’ampiezza e della latenza del PEV nei soggetti psoriasici rispetto alla normale popolazione d’uguale fascia di età. Pertanto possiamo concludere che in una parte consistente dei pazienti psoriasici esaminati è presente un danno subclinico del nervo ottico che si osserva indipendentemente dalla gravità del quadro cutaneo. Questa anomalia della
cellula nervosa potrebbe essere generata dalle stesse alterazioni geniche presenti anche nel cheratinocita (cromosomi 1, 3, 4, 6, 17, 19)
e che costituiscono la base genetica di predisposizione nei riguardi della psoriasi.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Bibliografia
• Grzybowski A, Grzybowski G, Druzdz A, Zaba R. Visual evoked potentials in patients with psoriasis vulgaris. Documenta Ophthalmologica 2001; 103: 187-194.
• Andrew SM, Edwards BD, Chalmers RJ, O’Driscoll JB. A quantitative immunohistochemical study of the expression of integrins by nerves in psoriatic and normal skin. Br J Dermatol 1992; 127: 359-364.
• Misery L. Skin, immunity and the nervous system. Br J Dermatol 1997; 137: 843-850.
• Al’Abadie MSK, Senior HJ, Bleehen SS, Gawkrodger DJ. Neuropeptides and general neuronal marker in psoriasis - an immunohistochemical study. Clin Exp Dermatol 1995; 20: 384-389.
• Henseler T. The genetics of psoriasis. J Am Acad Dermatol 1997; 37: S1.
• Zhang XJ, He PP, Wang ZX et al. Evidence for a Major Psoriasis Susceptibility Locus at 6p21 (PSORS1) and a Novel Candidate Region
at 4q31 by Genome-wide Scan in Chinese hans. J Invest Dermatol 2002; 119: 1361-1366.
Lichen sclerosus bolloso-emorragico
• Venturini M1, Capezzera R1, Sala R1, Zane C1, Vergoni F2, Pasolini G1, Calzavara Pinton PG1
1
Divisione di Dermatologia, 2Dipartimento e Cattedra di Anatomia Patologica, Spedali Civili di Brescia
Il lichen sclerosus (LS) è una malattia infiammatoria cronica ad eziologia ignota, più frequente nel sesso femminile (F:M=10:1), caratterizzata da lesioni scleroatrofiche bianco-porcellanacee ad interessamento genitale (80% dei casi), esclusivamente extragenitale (2,5%)
o di entrambi (17,5%). Il LS bolloso-emorragico è una variante rara di LS che si può presentare in forma generalizzata o localizzata, entrambe caratterizzate dall’insorgenza di lesioni bollose-emorragiche su preesistenti lesioni scleroatrofiche. Riportiamo due casi di LS bolloso-emorragico insorto in due pazienti di 72 e 73 anni rispettivamente in cui lesioni bolloso-emorragiche erano comparse su preesistenti lesioni scleroatrofiche localizzate al terzo superiore del dorso. Un paziente presentava fimosi, mentre nell’altro non vi era alcuna
evidenza di lesioni in sede genitale né al cavo orale. Gli esami ematochimici eseguiti risultarono essere nella norma. L’esame istologico
di una lesione bollosa ha evidenziato in entrambi i pazienti quadro morfologico compatibile con LS.
I pazienti sono stati sottoposti a terapia con corticosteroidi topici e calcipotriolo topico senza alcun miglioramento delle lesioni. Vennero in seguito entrambi sottoposti a 3 esposizioni settimanali di UVA1 (340-400 nm) a medie dosi (50J/cm2) con notevole riduzione delle lesioni bollose e della sclerosi dopo 3 mesi di fototerapia UVA1.
L’efficacia terapeutica della fototerapia UVA1 nei riguardi del LS sembra essere verosimilmente dovuta alle sue attività immunomodulanti e di induzione delle collagenasi dei fibroblasti.
Linfocitopenia CD4+ idiopatica in paziente atopica con molluschi contagiosi disseminati e
condilomi perianali
• Venturini M, Capezzera R, Sala R, Zane C, Calzavara Pinton PG
Divisione di Dermatologia, Spedali Civili di Brescia
La linfocitopenia CD4+ idiopatica (ICL) è una rara condizione ad eziologia sconosciuta caratterizzata dal riscontro in almeno due diverse occasioni di una conta assoluta di linfociti CD4+ < 300/mm3 o < 20% del numero totale di linfociti T in assenza di infezione da HIV o
HTLV o di altre identificabili cause di immunodeficienza. Lo spettro clinico della malattia è molto eterogeneo, includendo pazienti con
minima sintomatologia e pazienti con gravi infezioni opportunistiche quali polmonite da Pneumocystis carinii, micobatteriosi atipiche e
meningite da Cryptococcus neoformans. ICL può spesso manifestarsi con patologie cutanee che talora sono la sola presentazione clinica della malattia e che includono infezioni cutanee (virali, fungine, batteriche), dermatosi infiammatorie (dermatite atopica, dermatite allergica da contatto, psoriasi) e neoplasie cutanee (epiteliomi, linfomi cutanei a cellule T, sarcoma di Kaposi). Riportiamo il caso di una
giovane donna di 21 anni con dermatite atopica che presentava da circa un anno disseminati molluschi contagiosi ad arti inferiori e genitali esterni e condilomi perianali recidivanti nonostante ripetuti trattamenti con curettage, crioterapia e diatermocoagulazione. Gli esami ematochimici evidenziarono una linfopenia associata a grave deplezione di linfociti CD4+ e concomitante deficit di CD8+. La paziente presentava sierologia negativa per HIV e HTLV. Determinazioni multiple della tipizzazione linfocitaria confermarono il valore assoluto
stabilmente ridotto dei linfociti CD4+. È stata pertanto posta diagnosi di ICL.
La paziente è stata sottoposta a fototerapia UVA1 per l’aggravamento del quadro di dermatite atopica non più controllabile da terapia
249
corticosteroidea topica. Il ricorso a ciclosporina A o ad altri farmaci immunosoppressori comunemente impiegati nel trattamento di forme gravi di dermatite è in questo caso controindicato a causa dell’attività immunosoppressiva di tali farmaci nei confronti dei linfociti T.
In conclusione pazienti HIV-negativi con infezioni virali disseminate e recidivanti dovrebbero sempre essere indagati per escludere la presenza di ICL. Il riconoscimento di questa sindrome è importante poiché può complicarsi con infezioni opportunistiche talora fatali.
Linfoma cutaneo a cellule T siringotropo trattato con PUVA terapia (GIFDE)
• Venturini A1, Facchetti F2, Zane C1, Capezzera R1, Sala R1, Venturini M1, Calzavara Pinton PG1
1
Divisione di Dermatologia, 2Dipartimento e Cattedra di Anatomia Patologica, Spedali Civili di Brescia
Il Linfoma Cutaneo a cellule T Siringotropo (SCTCL) è una rara variante localizzata di Linfoma cutaneo a cellule T classico (CTCL), caratterizzato da un infiltrato di cellule atipiche che interessa preferenzialmente le ghiandole ed i dotti eccrini, con epidermotropismo minimo o assente. Il potenziale biologico di questa entità enigmatica e la sue relazioni con Micosi Fungoide sono ancora discussi e non ben
conosciuti. Non esistono modalità di trattamento standardizzate per questa forma di linfoma, ed i risultati terapeutici ottenuti sono stati spesso deludenti. Riportiamo il caso di un uomo con SCTCL in placche, localizzate a livello degli arti superiori ed inferiori, datante da
circa 1 anno. Si è osservata ottima risposta terapeutica a PUVA terapia: completa risoluzione delle lesioni dopo 26 trattamenti (Dose di
UVA cumulativa di 29,5 J/cm2). Il paziente è attualmente in remissione e non si sono osservate nuove lesioni cutanee ad un follow up di
9 mesi.
Microscopia confocale delle lesioni cutanee del lupus eritematoso
• Venturini M1, Santoro A2, Vermi W2, Calzavara Pinton PG1
1
Divisione di Dermatologia e di 2Anatomia Patologica, Spedali Civili, Brescia
La microscopia confocale è una metodica che permette la visualizzazione di sottili sezioni tissutali ad alta risoluzione e contrasto tramite “sezionamento ottico” del campione tissutale sfruttando una sorgente di luce laser. L’alto potere di risoluzione della metodica è garantito dalla sua capacità di visualizzare esclusivamente punti del campione in esame che giacciono sul piano frontale escludendo dall’immagine finale il contributo fornito dai piani sovrastanti e sottostanti.
Presentiamo la nostra preliminare esperienza riguardo all’utilizzo della microscopia confocale su sezioni cutanee classicamente orientate (sezioni verticali) di lesioni di lupus eritematoso (LE).
Il LE è caratterizzato dalla produzione di auto-anticorpi e dalla distruzione tissutale per apoptosi di cellule bersaglio. Non esistono tutt’ora conoscenze riguardo al tipo cellulare responsabile della processazione di tali cellule apoptotiche. È possibile che cellule dendritiche cutanee quali le cellule di Langerhans siano in grado di svolgere questo ruolo. Tale ipotesi è stata suffragata dall’evidenza che cellule dendritiche plasmocitoidi (CDP) possono modulare la risposta immune interagendo con cellule dendritiche mieloidi (CDM). A tale proposito abbiamo immunomarcato sezioni cutanee di lesioni lupiche con CD123 (marker specifico per CDP) e DC-LAMP (marker per CDM
mature). Le sezioni sono state inizialmente osservate al microscopio a fluorescenza al fine di selezionare le aree di interesse. La successiva osservazione al microscopio confocale ha permesso di identificare dettagli istologici non altrimenti visualizzabili con la microscopia
a fluorescenza classica. L’alta risoluzione della metodica ha reso possibile l’identificazione di fini dettagli istologici quali ad esempio l’interazione tra CDP e CDM in lesioni di lupus eritematoso in grado di indurre apoptosi nelle CDM e di avere pertanto un possibile ruolo
nella patogenesi di tale malattia.
Microscopia confocale del melanoma
• Venturini M1, Santoro A2, Vermi W2, Calzavara Pinton PG1
1
Divisione di Dermatologia e di 2Anatomia Patologica, Spedali Civili, Brescia
La microscopia confocale è una metodica che permette la visualizzazione di sottili sezioni tissutali ad alta risoluzione e contrasto tramite “sezionamento ottico” del campione tissutale sfruttando una sorgente di luce laser. L’alto potere di risoluzione della metodica è garantito dalla sua capacità di visualizzare esclusivamente punti del campione in esame che giacciono sul piano frontale escludendo dall’immagine finale il contributo fornito dai piani sovrastanti e sottostanti.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST
Comunicazioni orali
Presentiamo la nostra preliminare esperienza riguardo all’utilizzo della microscopia confocale su sezioni cutanee classicamente orientate (sezioni verticali) di cute umana normale e patologica.
Sezioni cutanee fissate in formalina e incluse in paraffina erano immunomarcate usando anticorpi monoclonali marcati con traccianti fluorescenti in grado di riconoscere strutture epiteliali (anti-citocheratine umane per i cheratinociti, anti-proteina S100 per i melanociti) e
dermiche (anti-CD34 e anti-Fattore VIII per vasi e fibroblasti). Le sezioni erano inizialmente osservate al microscopio a fluorescenza al fine di selezionare le aree di interesse. La successiva osservazione al microscopio confocale permetteva di identificare dettagli istologici non
altrimenti visualizzabili con la microscopia a fluorescenza classica. È stato pertanto possibile analizzare variazioni morfologiche lungo
l’asse z di diverse componenti epidermiche di cute umana normale e patologica. In particolare questa tecnica ha permesso di visualizzare i rapporti tra cellule di melanoma e strutture circostanti nei diversi compartimenti cutanei lungo l’asse z.
Ruolo delle ftalocianine nella terapia fotodinamica antimicrobica (GIFDE)
• Venturini M1, Sala R1, Calzavara Pinton PG1, Roncucci G2, Jori G3
1
Divisione di Dermatologia, Spedali Civili, Brescia; 2Molteni Farmaceutici, Tosco Romagnola, Firenze; 3Dipartimento di Biologia, Padova
L’ampia varietà di microrganismi patogeni così come il crescente diffondersi di resistenze batteriche alla terapia antibiotica sono i principali fattori di preoccupazione nel campo delle infezioni batteriche. L’approccio classico al problema prevedeva l’incremento del dosaggio del farmaco o la prescrizione di nuovi tipi di antibiotici appartenenti a classi diverse. Tale estensivo utilizzo della terapia antibiotica ha purtroppo portato all’insorgenza di ceppi resistenti e all’urgente necessità di trattamenti terapeutici alternativi.
La terapia fotodinamica, una strategia bimodale basata sull’effetto dell’interazione tra fotosensibilizzanti e luce, può offrire un nuovo
approccio per l’inattivazione di microrganismi patogeni e le ftalocianine sembrano essere il fotosensibilizzante di scelta in quest’ambito. Studi precedentemente condotti su questa classe di molecole hanno mostrato importanti risultati sull’efficacia fotosensibilizzante
delle ftalocianine nei confronti di diversi microrganismi patogeni. Variazioni nella struttura chimica hanno permesso l’identificazione di
fotosensibilizzanti caratterizzati da ampio o ristretto spettro d’azione indipendente da resistenze antibiotiche precedentemente sviluppate e privi di genotossicità. Alcuni di questi prodotti sono stati testati in vivo in tre modelli animali di infezioni con risultati promettenti.
Terapia fotodinamica nella micosi fungoide unilesionale (GIFDE)
• Venturini M, Capezzera R, Sala R, Zane C, Calzavara Pinton PG
Divisione di Dermatologia, Spedali Civili di Brescia
La micosi fungoide (MF) unilesionale è una variante di linfoma cutaneo a cellule T caratterizzata da una lesione unica con aspetti istopatologici e immunofenotipici indistinguibili da quelli della MF classica.
Tale forma di MF ha tipicamente un decorso benigno ed ha dimostrato una buona risposta a trattamenti topici quali radioterapia locale e terapia fotodinamica (PDT). Il razionale dell’impiego della PDT nella MF deriva dalla capacità del fotosensibilizzante applicato topicamente di accumularsi preferenzialmente nell’infiltrato linfocitario delle lesioni di MF su cui esplica il suo danno una volta eccitato dalla luce visibile. Lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare la risposta delle singole lesioni di MF alla PDT con applicazione topica di acido-5-aminolevulinico (ALA). Abbiamo incluso nel nostro studio 5 pazienti con MF unilesionale non responsiva a precedenti trattamenti fototerapici (PUVA, UVA1, UVB) in diversi stadi di malattia: 4 pazienti in stadio I, un paziente in stadio II. ALA al 20% in crema
veniva applicato sulla lesione e sulla cute adiacente per 5 ore in occlusione. La lesione era successivamente esposta a luce rossa alla dose di 75J/cm2. La risposta al trattamento era valutata 4 settimane dopo la prima irradiazione. Nel caso di persistenza di malattia il trattamento veniva ripetuto con frazionamento della dose fino al raggiungimento di una remissione completa della lesione. Risposta parziale al trattamento era definita come riduzione parziale (>50%) della lesione cutanea senza un ulteriore miglioramento nonostante altre 3 irradiazioni. Biopsie cutanee furono effettuate sulle lesioni prima dell’inizio del trattamento e dopo miglioramento clinico. Si osservò
stabile remissione completa delle lesioni in 3 pazienti e una risposta parziale in 2 pazienti (range di follow-up 1-23 mesi). In conclusione la PDT si è dimostrata efficace e ben tollerata nel trattamento della MF unilesionale e potrebbe pertanto essere proposta come trattamento di prima scelta in queste varianti di MF, evitando così l’esposizione della restante superficie cutanea sana agli effetti collaterali delle modalità fototerapiche tradizionali.
251
Espressione di CD44, bcl-2, Ki-67 nel carcinoma a cellule basali e nel ca. basosquamoso
• Vozza A, Agozzino L, Agozzino M, Esposito S, Agozzino M
Dipartimento di Dermatologia, Seconda Università di Napoli
Scopo dello studio è stato quello di valutare l’espressione di CD44 standard e delle isoforme v3, v5, v6, nonché l’entità dell’apoptosi e
dell’indice di proliferazione in base all’espressione di bcl-2 e Ki67 nel carcinoma a cellule basali (BCC) nodulare, superficiale, adenoideo,
infiltrativo e nel carcinoma basosquamoso.
Sono stati esaminati 60 BCC da 50 pazienti; i tipi istologici sono stati: infiltrativo (22pz. 36.6%), di cui 8 recidivanti (13.3%), superficiale
(12 pz. 20%), adenoideo (10 pz. 16.6%) e 6 carcinomi basosquamosi (6 pz. 10%), di cui 2 recidivanti (3.3%). Il pattern istologico più
frequente nei tumori recidivanti è stato l’infiltrante.
Ad eccezione del carcinoma basosquamoso, la positività media del CD44 è sensibilmente più bassa di quella dell’epidermide normale
(0.88 ± 0.6 vs. 4), mentre vi è poca o nulla differenza dell’espressione di detta glicoproteina tra i vari pattern istologici.
Il carcinoma basosquamoso invece ha evidenziato una positività più alta (1.25 ± 0.88). In merito all’espressione di bcl-2 e Ki-67 non vi
sono sensibili differenze tra i vari istotipi, tuttavia la distribuzione di bcl-2 varia nell’ambito di un determinato pattern ed è meno espressa nelle aree infiltranti rispetto a quelle solide e macronodulari, al contrario di Ki-67. Va sottolineato che il carcinoma basosquamoso
mostra un’espressione di bcl-2 bassa (5%) e viceversa una positività al Ki-67 sensibilmente alta (38.33%). Nell’ambito del pattern infiltrante, il confronto tra i tumori recidivanti ed il resto della casistica mostra una significativa differenza solo nell’espressione del Ki-67
(32.5% vs. 23.33%).
Tali osservazioni confermano che il profilo biologico di questo tumore è differente da quello dei BCC, pertanto va considerato come un
tumore a sé stante piuttosto che come un istotipo del BCC. Il profilo biologico e morfologico dei BCC è piuttosto complesso e contraddittorio, l’espressione di glicoproteine di membrana (CD44), di geni anti-apoptosici (bcl-2), e markers di proliferazione (Ki-67) non
sono strettamente correlati ai pattern di crescita ed alla biologia della neoplasia; per cui resta da considerare che il rischio di recidive dipenda anche e soprattutto da fattori extramorfologici, quali diametro massimo dei tumori (>2cm), sede, incompleta escissione chirurgica e stato immunologico del paziente.
Lichen orale da amalgame dentarie: osservazioni su 5 casi
• Zerboni R, Passoni E, Muratori S, Pigatto P, *Crippa R, **Guzzi G
Istituto di Scienze Dermatologiche, Università di Milano - I.R.C.C.S. Ospedale Maggiore, Milano; *Istituto Stomatologico Italiano, Milano; **Associazione Italiana Ricerca Metalli e Biocompatibità, Milano
Numerose osservazioni della letteratura hanno dimostrato la possibile associazione tra lichen del cavo orale e sensibilizzazione a materiali delle amalgame dentarie situate prossimamente alle lesioni. Abbiamo studiato 5 pazienti con lichen del cavo orale in sedi non strettamente adiacenti a capsule dentarie. I test epicutanei hanno evidenziato una sensibilizzazione a mercurio e/o ad oro con riscontro di
concentrazioni di tali metalli significativamente aumentate nella saliva. La rimozione delle amalgame dentarie ha portato alla completa
guarigione delle lesioni in un tempo massimo di tre mesi con riduzione della concentrazione nella saliva dei metalli a livelli non misurabili. L’osservazione di questi 5 casi suggerisce che anche lesioni di lichen orale in sedi non giustapposte alle amalgame dentarie possono essere correlate ad esse e trovare beneficio dalla loro rimozione.
Ottica, fisica e interazioni cutanee dei laser in dermatologia
• Zuliani R, Treviso
Associazione di Dermatologia Clinica
Nella relazione vengono brevemente presentati i concetti di base con cui si forma un raggio laser, a partire dalle generazioni del raggio
attraverso la stimolazione nella camera di pompaggio, definite le caratteristiche della luce laser considerandone anche le caratteristiche
fisiche. I tipi di laser, le caratteristiche elettromagnetiche, l’iterazione con i tessuti organici con riferimento ad effetti fotochimici e calore. Aspetti di ottica cutanea con assorbimento e diffusione e aspetti fototermici con danno termico cellulare e fototermolisi selettiva.
79° Congresso Nazionale SIDeMaST