Giornate in onore di Clotilde Pontecorvo
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Giornate in onore di Clotilde Pontecorvo
Michele Giovanni Laquale Parlando si impara Interventi e riflessioni ospitati dalle Giornate in onore di Clotilde Pontecorvo Roma, 12-13 settembre 2006 Le giornate organizzate in occasione del 70° compleanno di Clotilde Pontecorvo sono state una circostanza importante per riflettere su temi e problemi riguardanti la psicologia dell’educazione. Il convegno si è aperto con una carrellata di notizie sulla vita professionale della docente che hanno messo in luce la sua natura poliedrica di ricercatrice, didatta ed intellettuale militante. La prima giornata è stata dedicata al tema “Lingua, linguaggi e comunicazione”, particolarmente caro in ambito psicopedagogico, nel quale si fa riferimento ad una nozione di individuo inteso come soggetto simbolico che costruisce realtà e identità nelle interazioni discorsive. Un ruolo prominente viene giocato proprio dal linguaggio, inteso come luogo che veicola conoscenze, segni, simboli e come strumento che consente di attribuire significato alle cose e di costruire la realtà. Lo studio del linguaggio diventa pertanto essenziale. I lavori sono stati aperti dall’intervento di Boscolo che ha esposto argomenti di psicologia della scrittura tra ricerca e didattica. Sono stati presentati due approcci, quello cognitivista, che fa riferimento all’insegnamento di strategie per scrivere e quello socioculturale che risulta estremamente interessante anche se di più complessa attuazione; possibili applicazioni consentono a insegnanti e studenti di superare le rigidità del meccanismo della produzione scritta, rivedere la fissità dei generi, modificare convinzioni e usare con maggiore dimestichezza ed efficacia lo strumento della scrittura. A seguire, Blanche Benveniste ha sottolineato che diventare “literate” richiede la partecipazione ad un complesso processo di socializzazione culturale che comprende una lunga serie di azioni. La docente si è poi soffermata sulle fasi che caratterizzano la costruzione del testo scritto. Successivamente invece Orsolini ha evidenziato come per studiare il ragionamento si deve porre particolare attenzione al discorso. Il modo di presentare un problema veicola e influenza le soluzioni. Lo stesso Moscovici sosteneva che “la gente pensa come parla”. Il pensiero viene inteso come processo dinamico che si forma, mentre si parla, per successive approssimazioni. E perché possa svilupparsi il pensiero è necessario un contesto sociale e culturale. Questo implica fra l’altro che è essenziale che gli adulti prestino ascolto al bambino per favorire lo sviluppo del suo pensiero. Ci si è poi occupati del passaggio dai concetti al discorso. L’intervento di Zucchermaglio ha messo in evidenza la nozione di discussione come situazione di ragionamento collettivo e l’importanza di questo aspetto nella psicologia delle organizzazioni. Il lavoro viene visto come insieme di pratiche interattivamente realizzate e la cultura come repertorio di risorse per l’azione e fenomeno emergente dell’agentività. Il gruppo risulta un processo emergente che permette di analizzare competenze e strategie decisionali. Si è poi passati all’analisi delle collaborazioni internazionali. L’argomento è stato introdotto da Ferreiro che ha presentato studi di grande interesse sulla lingua scritta. Ha fatto seguito l’intervento di Ochs. Osservando le interazioni familiari negli USA e confrontandole con quelle di comunità preindustriali quali quelle delle isole di Samoa, l’antropologa ha presentato il costrutto dell’autismo culturale. Ha sostenuto che questa metafora può essere impiegata in maniera molto efficace per descrivere quanto avviene nelle famiglie americane in cui bambini e adolescenti vivono rinchiusi in una condizione individualistica e narcisistica che lascia poco spazio alle interazioni con gli altri e in particolare con i genitori. Aronsson ha invece dedicato il suo intervento al gioco riproduttivo dei bambini, caratterizzato cioè dalla riproduzione appunto di attività rituali della vita reale degli adulti. Ha mostrato il video di una bambina che utilizzava un aspirapolvere giocattolo e ha dato prova che anche nel gioco riproduttivo il bambino attinge ai suoi spazi dinamici e creativi. La prima giornata di lavori si è chiusa con l’intervento di Duranti, che ha illustrato le caratteristiche del corso che tiene presso la sua università, incentrato sull’osservazione di un gruppo di musica jazz. Gli studenti hanno il compito di analizzare il modo in cui i componenti del gruppo suonano e il modo in cui comunicano. Imparano ad utilizzare metafore per esprimere ciò che altrimenti non si potrebbe descrivere e riscontrano che anche all’interno di un gruppo di musicisti, accanto a dinamiche creative e variabili, esistono regolarità. In tutto questo, esiste un’etica e persino una matematica. La seconda giornata di lavori si è aperta con una tavola rotonda riguardante il ruolo che le riviste scientifiche giocano all’interno del mondo della ricerca. Pinto ha richiamato l’attenzione sull’idea della rivista intesa come luogo generatore di idee e di confronto. Michelini ha parlato di didattica della fisica: in tale ambito le riviste hanno una funzione importante per promuovere formazione in termini dinamici e per dare enfasi al ruolo dell’osservazione quale elemento determinante nell’educazione e nello studio delle pratiche educative. Particolare attenzione ha suscitato l’intervento di Ligorio, che ha presentato la rivista Qwerty, designandola quale “successore” della rivista Golem. Quest’ultima, che si è occupata del bisogno dell’uomo di conoscere e dominare la tecnologia, rappresenta un antesignano sorto quando il PC ha cominciato a fare timidamente la sua comparsa nelle scuole come dispositivo che coinvolgeva ed influenzava strutture e modalità di insegnamento. Qwerty invece svolge un ruolo diverso. È un artefatto che costruisce ponti tra enti, culture, discipline e lingue. E uno strumento che si propone di neutralizzare i cascami di scetticismo, paura e incompetenza che ancora permangono nei confronti delle tecnologie. Ambisce a creare un dialogo ed una riflessione che consenta di conoscere il mondo delle tecnologie e di utilizzarle con maggiore consapevolezza ed efficacia. Al termine della tavola rotonda, Varisco ha fatto notare che nelle riviste scientifiche di solito si perde traccia di quelle ricerche che non sono riuscite a corroborare le ipotesi di partenza, ricerche che pertanto hanno perso la scommessa con sé stesse ma che evidentemente possono essere utilizzate come stimolo e come ulteriore strumento e motivo di riflessione. Chiusasi la tavola rotonda, si è aperto il secondo argomento di dibattito riguardante la “ricerca con e su la scuola”. Il primo intervento è stato di Ajello, che ha incentrato il suo contributo sulle competenze di base che è necessario apprendere a scuola. Ancora una volta è il linguaggio a giocare un ruolo nodale in quanto è discutendo che si impara. Il cuore delle competenze è costituito dalla riflessività, che implica abilità cognitive ed emotive. Successivamente Rossi Doria ha descritto l’esperienza di Chance, un esperimento che ha istituito nei quartieri napoletani una scuola per fronteggiare il fenomeno del drop out. Sono stati messi in rilievo gli interventi necessari a stendere e a realizzare un programma di successo in un campo così delicato. A proposito di scuola d’infanzia e scuola elementare, Rossi ha sottolineato come in tali contesti sia necessario perseguire il paradigma della ricerca-azione e paradigmi di ricerca e di intervento poco strutturati e ben lontani da pacchetti preconfezionati. Essenziale il coinvolgimento dei docenti, nonché un’azione informativa sui genitori per spiegare le scelte metodologiche operate. In classe inoltre è importante lavorare su piccoli gruppi, sollecitando argomentazioni e agendo con cortesia nei confronti degli alunni. Nel tentativo di mettere lo studente al centro del processo di apprendimento, Marchetti ha illustrato la sua esperienza di docente di filosofia nella scuola secondaria, nonché i suoi studi per innovare i programmi dello studio della filosofia nei licei. Punti di forza da cui un programma di apprendimento non può prescindere sono: il lavoro in gruppo; l’educazione alla responsabilità; il principio secondo cui l’apprendimento è qualcosa a cui si partecipa. Inutile sottolineare che a partecipare si impara partecipando. A proposito della dimensione affettiva dei discenti, Staccioli ha parlato dell’esperienza della scuola comunità Pestalozzi, una istituzione educativa nella quale si punta non solo sulla dimensione cognitiva dello studente ma anche su corpo, emozioni, relazioni. La comunità scolastica è un continuo smarrimento e ritrovamento, un percorso che dispensa autonomia, libertà, responsabilità. Tre gli slogan conclusivi: più città, meno scuola; più vita, meno didattica; più elaborazione e meno informazione. Non si può imparare a vivere se non vivendo, imparando dall’esperienza diretta e sperimentandosi in un mondo di uguali. A proposito dell’insegnamento delle scienze nella scuola primaria, Mazzoli ha sottolineato che è importante capire come si può descrivere il mondo facendo riferimento ai fatti di base e come i bambini pensano a questi quesiti. In tal senso la scuola svolge un ruolo fondamentale perché ospita un terreno privilegiato in cui si prende gusto a capire le cose. Resnick ha esordito delineando le differenze principali fra l’apprendimento “inside school” e l’apprendimento “outside school” (individual vs. shared cognition, mentation vs. tools, symbols vs. context, generalised vs. specific knowledge); ha sostenuto che nella società odierna tale distinzione non ha più molto senso in quanto la conoscenza simbolica è diventata fondamentale anche al di fuori del contesto scolastico. La scuola deve allora puntare su due funzioni: dare ai discenti gli strumenti per imparare e promuovere la partecipazione civile e culturale. Per raggiungere tali obiettivi è necessario che i discenti apprendano e potenzino le loro abilità di discussione. Tali abilità sono in parte nel codice genetico, in parte nella cultura; di certo possono essere coltivate. Perché ciò avvenga è necessario investire in un processo di socializzazione e promuovere gruppi di interazione nei quali intervenga anche l’insegnante in qualità di facilitatore. Per quanto riguarda formazione e psicologia dell’apprendimento, Perret Clermont ha riportato il caso di una scuola tecnica francese il cui prestigio e la cui qualità sono calate quando la scuola stessa è stata interdetta alla produzione di manufatti da vendere sul mercato, in seguito alla protesta delle aziende del settore. Gli ingegneri formatori sono diventati allora semplici insegnanti che non hanno avuto più gli strumenti per continuare a tenere alto il livello della scuola stessa. L’intervento conclusivo, tenuto da Luzzatto, ha preso in considerazione il rapporto tra università e formazione. È importante che gli atenei non abbiamo l’egemonia della formazione, ma è anche essenziale che non vengano ostracizzati da un settore nel quale potrebbero portare contributi essenziali. È indispensabile inoltre investire sulla formazione degli insegnanti lasciando ad essi spazi adeguati di autonomia e di sperimentazione. Nel complesso il convegno ha spaziato dalle ricerche sul linguaggio e sulla discussione ad argomenti riguardanti programmi e prassi educative. Comune denominatore di tutti gli interventi è stato il ruolo essenziale e imprescindibile giocato dalle pratiche discorsive in un qualsiasi contesto di apprendimento, nonché il ruolo svolto nella psicologia dell’educazione da una ricercatrice d’eccezione: Clotilde Pontecorvo.