Il massimo premio ai segreti dell`invecchiamento
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Il massimo premio ai segreti dell`invecchiamento
L’EREDITÀ DEI TELOMERI Elizabeth Blackburn In questo articolo: invecchiamento telomeri Nobel Il massimo premio ai segreti dell’invecchiamento Partecipando alla sessione AIRC del convegno The secret of longevity, il premio Nobel che ha studiato i telomeri ha raccontato come la sua scoperta abbia influenzato la ricerca sulla senescenza delle cellule e delle persone a cura di FABIO TURONE a ricetta del successo, per lei, è davvero semplice: “Basta guardare ai fatti, al dato scientifico”. È così che Elizabeth Blackburn è arrivata a vincere il premio Nobel per la medicina, nel 2009, per la scoperta della telomerasi, una delle molecole cruciali nel processo di invecchiamento delle cellule, che l’organismo usa per riparare i danni dell’età e guadagnare più L anni di vita in buona salute. I telomeri sono la parte terminale dei cromosomi, e ne proteggono la struttura con un meccanismo analogo al cilindretto di plastica che oggi viene usato alle estremità dei lacci delle scarpe per evitare che si sfilaccino. LA CHIAVE DELLA GIOVINEZZA “Sono in corso moltissime ricerche che stanno esplorando il ruolo della telomerasi non solo in malattie come leucemie e linfomi, 12 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2013 o nei tumori del tratto intestinale, ma anche in fibrosi polmonare, cirrosi epatica e diabete, e in generale sul funzionamento del sistema immunitario” ha spiegato a Venezia, in occasione della nona conferenza The future of science in cui è stata l’ospite d’onore della sessione organizzata da AIRC proprio sul tema dei telomeri e dell’invecchiamento. La telomerasi, se conserva “giovani” le cellule, ha anche un effetto indesiderato: quello di aiutare le cellule tumorali a evitare la morte cellulare programmata, che permet-terebbe all’organismo di non sviluppare la malattia. “Sono da tempo in corso molte ricerche su possibili farmaci che agiscano sulla telomerasi, per mantenere giovani le cellule sane e per eliminare le cellule malate, ma al momento è difficile dire se e quando potranno essere disponibili” spiega. La scoperta che le è valsa il premio Nobel – e che la Blackburn ha condiviso con la sua ex studentessa Carol Greider, oggi alla Johns Hopkins School of Medicine di Baltimora, e con Jack Szostak, del Massachusetts General Hospital – è arrivata oltre vent’anni fa, partendo da una curiosità di tipo puramente scientifico e apparentemente priva di ricadute pratiche: nessuno allora immaginava che avrebbe aperto così tante nuove prospettive negli studi sull’invecchiamento e sulla genesi dei tumori. “Oggi il test che misura la lunghezza dei telomeri fornisce indicazioni interessanti sullo stato di salute presente e futuro, anche se per il momento si tratta di informazioni utilissime sul piano statistico, e quindi per la ricerca, ma che dicono ancora poco sulla salute e sulle prospettive future di ogni singolo individuo”. Proprio su questo aspetto cruciale, la Blackburn è entrata in rotta di collisione con un’azienda americana con cui aveva lavorato allo sviluppo e commercializzazione di un test destinato alla popolazione generale: “I fatti dicono che al momento il risultato del test fornisce un’indicazione puramente statistica, che richiede quindi moltissima cautela nell’interpretazione del significato pratico, delle ricadute sulla salute delle persone, ma per rendere più appetibile il suo prodotto l’azienda intendeva attribuirgli un valore predittivo che al momento è impossibile verificare e quantificare. Per cui ho smesso di collaborare con loro. Però stiamo conducendo molte ricerche che, se da un lato ci dicono che la lunghezza dei telomeri oscilla nello stesso individuo, e suggeriscono che questo possa avvenire anche in risposta all’adozione di uno stile di vita migliore, per esempio con la meditazione, dall’altro ci segnalano per esempio che in alcuni sottogruppi selezionati di popolazione la misurazione della lunghezza dei telomeri potrebbe avere un valore prognostico. Un esempio è uno studio che abbiamo in corso all’Università di San Francisco su un gruppo di malati di cancro della vescica, in cui il sottogruppo che presenta diagnosi di depressione appare particolarmente a rischio quando ha anche – in aggiunta a tutto il resto – telomeri più corti”. Elizabeth Blakburn ha tratto l’insegnamento sulla “importanza di mettersi al servizio della gente con gentilezza e al meglio delle proprie possibilità”, come ha raccontato durante la cerimonia del Nobel. Nata in Australia, e più precisamente in Tasmania, fin da bambina è stata attratta dagli animali selvatici, e da tutte le forme di vita osservabili nei dintorni di casa, dalle meduse sulla spiaggia alle formiche. Ma la sua curiosità di ricercatrice in erba si è manifestata ben presto anche con l’abitudine di ospitare nel giardinetto di casa animaletti di tutti i tipi, cani, gatti e conigli fino a polli, porcellini d’India, canarini, pesci rossi e girini. “Un vero zoo!” ricorda sorridendo, per lasciare poi spazio a un pensiero meno allegro: “Tra i motivi che mi hanno spinta a impegnarmi molto negli studi, fin da piccola, c’erano i problemi familiari tra i miei genitori”, che si sono separati mentre lei viveva i difficili anni dell’adolescenza. Dopo la laurea in biochimica e un Master all’Università di Melbourne, ebbe l’opportunità di emigrare per compiere gli studi di dottorato all’Università di Cambridge, in Gran Bretagna, dove si specializzò nel sequenziamento del DNA ottenendo nel 1975 il diploma di dottore di ricerca. Da lì, un nuovo salto per arrivare all’Università Yale, negli Stati Uniti. Era a tutti gli effetti un “topo di laboratorio”, come ama oggi ricordare: “Ero davvero focalizzata sulla scienza, la scienza, la scienza”. Ma la ragione principale del trasferimento oltreocea- Le applicazioni pratiche richiedono più tempo LA MEDICINA NEL SANGUE Seconda di sette figli, dai genitori, entrambi medici, RICADUTE PRATICHE IN AIRC SI STUDIANO I TELOMERI nche in Italia diversi ricercatori sostenuti da AIRC studiano l’invecchiamento cellulare per combattere il cancro. Comprendere a fondo in che modo una cellula invecchia può aiutarci a elaborare terapie per far “invecchiare” in modo mirato le cellule tumorali ed eliminarle. È l’idea alla base del progetto di Gerry Melino, direttore del Dipartimento di medicina sperimentale e scienze biochimiche dell’Università Tor Vergata di Roma, che ha scoperto il ruolo di due geni cruciali per l’invecchiamento, chiamati p63 e p73. La telomerasi è da tempo oggetto dello studio di Maria Pia Longhese che, con il suo laboratorio all’Università di Milano Bicocca, sta studiando i meccanismi d’azione e regolazione di questo enzima che determina il destino delle nostre cellule. Anche Anna Maria Biroccio, nel suo laboratorio presso l’Istituto Regina Elena di Roma, studia la proteina telomerica TRF2 e le sue possibili applicazioni antitumorali. Infine da molti anni Fabrizio D’Adda di Fagagna dirige, anche con l’aiuto dei fondi AIRC, l’unità di ricerca “Risposte al danno al DNA e senescenza cellulare” presso l’Istituto FIRC di oncologia molecolare, dove ha già raggiunto traguardi importantissimi nella comprensione dei meccanismi di regolazione cellulare che dipendono dai telomeri. A DICEMBRE 2013 | FONDAMENTALE | 13 L’EREDITÀ DEI TELOMERI Elizabeth Blackburn no era legata al fatto che il suo collega e fidanzato, il biochimico e biofisico John Sedat, aveva trovato un lavoro in quella università, e i due avevano deciso di sposarsi. Si stabilirono quindi a New Haven, nel Connecticut: “Lì ho cominciato a studiare i telomeri in un organismo unicellulare chiamato Tetrahymena – che ho sempre chiamato affettuosamente ‘schifezza dello stagno’. All’epoca ero convinta che le rivendicazioni per i diritti delle donne non fossero appropriate in un laboratorio di ricerca, luogo in cui è la scienza a parlare, però ebbi occasione di vedere casi in cui le donne partivano svantaggiate. In un certo senso non si guardava abbastanza ai fatti”. Un episodio che le rimase impresso è legato al responsabile del suo laboratorio, Joe Gall, che aveva una sensibilità particolare per l’equità anche in questo ambito: “Un giorno Joe entrò in laboratorio sventolando un foglio e annunciando che la sua ex studentessa Mary Lou Pardue aveva appena avuto la cattedra al Massachusetts Institute of Technology. Io non riuscivo a capire la ragione di questa eccitazione, e dissi che certo era giusto che l’avesse avuta, perché era Per arrivare al Nobel conta anche chi hai vicino 14 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2013 molto brava. Il tenore della risposta di Joe mi fece pensare che per una donna non fosse sufficiente essere molto brava, per cui il trionfo di Mary Lou era particolarmente meritato. Era un messaggio importante da trasmettere al laboratorio”. All’epoca, fu infatti una delle prime donne a ottenere la cattedra nel prestigiosissimo istituto di Boston. COMPAGNI E AMICI E se Elizabeth Blackburn è riuscita a diventare una delle poche donne vincitrici di un premio Nobel per la medicina – dieci in tutto sui 201 premiati dal 1901 al 2013 – una parte del merito va probabilmente a quel mentore illuminato e al solido rapporto con il marito che l’ha aiutata a credere in se stessa e a resistere alle avversità: “È difficile spiegare esattamente il tipo di appoggio che è stato in grado di darmi” racconta. “Non è stato solo l’incoraggiamento, ma anche e soprattutto una solida convinzione nelle mie capacità di ricercatrice”. Come premio Nobel oggi Blackburn è chiamata a collaborare con molti progetti diversi, ma è una convinta sostenitrice della necessità di dedicarsi a fondo a un certo argomento: “La multidisciplinarietà è essenziale per la scienza moderna, ma solo se ti dedichi a fondo e con convinzione allo studio di un argomento, e lo svisceri, allora avrai qualcosa da dire agli altri e potrai cominciare a occuparti di ulteriori discipline”. E pazienza se per sostenere le tue ragioni devi metterti contro il presidente degli Stati Uniti d’America George W. Bush. Accadde nel 2004, quando faceva parte del comitato di bioetica composto da scienziati di massimo livello chiamati a fornire consulenze al mondo politico sulle implicazioni etiche della ricerca biomedica: “Mi sono più volte dichiarata contraria alla legislazione con cui era stata drammaticamente limitata la possibilità di ricerca sulle cellule staminali”. Bush la sollevò dall’incarico, e a nulla valsero le intense proteste della comunità scientifica. Pochi anni dopo, però, l’Accademia del Nobel ha riconosciuto la sua validità scientifica e onestà intellettuale.