1 Giuseppe Sermonti a cura di Federica Morisi A.A. 2007/2008 VITA

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1 Giuseppe Sermonti a cura di Federica Morisi A.A. 2007/2008 VITA
Giuseppe Sermonti
a cura di Federica Morisi A.A. 2007/2008
VITA ED OPERE
Nato a Roma nel 1925. Si laurea in agraria e in
biologia e nel 1950 entrò all'Istituto Superiore di
Sanità,dando vita ad un reparto di Genetica
Microbiologica
Genetica
dei
dove
compie
microrganismi
ricerche
di
produttori
di
antibiotici. E lo scopritore della ricombinazione
genetica parasessuale nel "Penicilium" e nello
"Streptomyces"
(produttori
di
sostanze
antibiotiche), è stato docente universitario dal
1964 di Genetica, dapprima a Camerino, poi a Palermo e infine a Perugia, dove, dal 1974 al 1986,
ha diretto l'Istituto di Genetica dell'Università.È stato per tre anni presidente dell'Associazione
Genetica Italiana e, nel 1980, vice-presidente del XIV Congresso Internazionale di Genetica
tenutosi a Mosca. È stato anche nominato, dal 1979 al 1988, presidente della Commissione
Internazionale del Working Group sulla Genetica dei microrganismi industriali.
Nel 1986 lascia l'Università per dedicarsi all'esegesi naturalistica (ovvero l'interpretazione in chiave
scientifica) delle fiabe, ma tuttora, e da circa vent'anni, dirige il giornale "Rivista di Biologia Biology Forum" (Tilgher, Genova).
Inoltre, sempre nel 1986, ha fondato, insieme ad altri studiosi, biologi, matematici e fisici l'"Osaka
Group for the Study of Dynamic Structures" (o, più semplicemnte, il "Gruppo Osaka"), finalizzato
all'elaborazione di una biologia "strutturalista", ovvero antimeccanicista ed antiriduzionista.
È autore di oltre cento articoli scientifici,testi, opere di epistemologia e di critica della scienza.
Tra i testi scientifici da lui scritti ricordiamo Genetics of antibiotics producing microorganisms
(Wiley & Sons) e Genetica generale (Boringhieri).
Già con alcuni suoi libri degli anni settanta, Il crepuscolo dello scientismo (Rusconi, 1971) e La
mela di Adamo e la mela di Newton (Rusconi, 1974), ha sviluppato una ferma critica dello
scientismo( è una concezione secondo la quale la conoscenza scientifica deve essere il fondamento
di tutta la conoscenza. Il termine scientismo è usato spesso in senso dispregiativo), successivamente
con Dopo Darwin (Rusconi, 1980), scritto in collaborazione con Roberto Fondi, dell'Università di
Siena, ha iniziato una approfondita opera di demistificazione dei miti fondanti del darwinismo e del
neodarwinismo, proseguita poi con altri libri, di cui l'ultimo è il recente Dimenticare Darwin
1
(Rusconi, 1999)pubblicato nel 2003, e tradotto i inglese col titolo why is a fly not a Horse? (perche
una mosca e non un cavallo?) venendo pubblicato dal think-tank creazionista Discovery Institute e
avente come editor Jonathan Wells.
In più ha scritto:Le forme della vita (Armando, 1981), L'anima scientifica (Dino editori, 1982), e La
luna nel bosco (Rusconi, 1985). In quest’ultima opera Sermonti sostiene esplicitamente la
discendenza delle scimmie dalla linea di discendenza (filetica) umana. In altre parole, suggerisce
che siano le scimmie a discendere dagli uomini, e non viceversa. Motiva tale ipotesi sostenendo che
è difficile spiegare come e perché solo una parte delle scimmie si siano evolute in uomini, mentre è
molto più semplice spiegare come e perché solo una parte degli uomini si siano devoluti in
scimmie.
Secondo questa ipotesi, viene considerato probabile che comunità di uomini costrette a vivere in
condizioni ed ambienti estremi per generazioni siano diventate "estreme" e selvagge esse stesse; in
sostanza, tali comunità umane si sarebbero adattate secondo necessità, a livello biologico, psichico e
morale, ad un ambiente non più umano, e che dunque non permetteva più all'essere umano di
rimanere tale.
A Sermonti dobbiamo degli interessanti studi sulle fiabe e le loro connessioni con il mondo del
simbolo: Fiabe di luna. Simboli lunari nella favola, nel mito, nella scienza (Rusconi, 1986), Fiabe
del sottosuolo. Analisi chimica delle fiabe di Cappuccetto Rosso, Biancaneve, Cenerentola
(Rusconi, 1989), Fiabe dei fiori (Rusconi, 1992).
Ancora dobbiamo ricordare diverse commedie da tavolo, cioè recitate da interpreti seduti attorno a
un tavolo, senza la presenza di scenografie. Alcune di queste sono raccolte in Profeti e Professori
(Di Renzo Editore, 1997). Infine va menzionata la sua trentennale attività di divulgatore di alto
livello su vari periodici e su quotidiani quali, in particolare, «Il Tempo» di Roma, dove chi scrive,
già nei primi anni settanta, ebbe già il piacere di apprezzarne gli interventi sia in campo scientifico,
sia nel settore delle discipline umanistiche.
IL PENSIERO DI SERMONTI
Il pensiero di Sermonti si sviluppa attraversando diverse fasi, si porta in un primo tempo su
posizioni vitaliste, e successivamente approdando al platonismo e al neoplatonismo, in un lungo e
sofferto itinerario di riflessione sul significato, sui retroscena e le implicazioni della disciplina che
insegnava.
Sermonti si comporta contemporaneamente sia da scienziato che da filosofo in senso antico, perché
attento al fondamento delle cose, al loro "perché", e anche poeta, dove poiesis ritrova il suo
significato etimologico di "creazione" non anarchica e scomposta, ma in aderenza a uno schema
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archetipale: lo scienziato, il filosofo e il poeta costituiscono tre figure che si sono maturate e
armonizzate nella sua personalità con il passare del tempo, attraverso numerosi passaggi,
ripensamenti, crisi, come lui stesso ha accennato in alcune occasioni.
Sermonti rammenta che alla fine degli anni sessanta, quando insegnava Genetica all'Università di
Palermo, nel suo «animo la scienza era entrata in crisi. Ricordo una sera, -scrive- mi aggiravo tra i
banchi dell'aula vuota e chiedevo a me stesso: "Perché insegno Genetica? Perché insegno la
Scienza? Insegno qualcosa a cui non credo, anzi insegno il contrario di ciò a cui credo". La scienza
non ci aiuta a conoscere la realtà, anzi si adopera ad insegnarci che la realtà non conta, valgono
solo alcuni principi astratti che l'uomo della strada non può comprendere, non può vivere. La
scienza non si rende neppure utile. Essa riversa i suoi prodotti sulla società, crea necessità
artificiali che coincidono con ciò che essa sa produrre».
Eppure per lungo tempo Sermonti aveva creduto alla "utilità della scienza" per l'uomo (ad esempio,
nel caso degli antibiotici). Presto nemmeno il metodo sperimentale riuscì più a soddisfarlo,
nonostante passi per essere uno degli elementi più solidi e convincenti della scienza moderna.
Infatti esso, scrive Sermonti, «può affrontare solo un mondo dissociato e condizionato, deve
scomporre le cose per poterle leggere e può toccare solo quella parte della realtà che si presenta
all'appuntamento
sempre
rigorosamente
eguale.
Cioè
nulla
che
riguardi
l'uomo».3
In definitiva la scienza mette in luce solo i problemi a cui sa fornire una risposta, e ignora,
definendoli di nessuna importanza, quelli a cui è incapace di offrire una soluzione. D'altra parte, il
metodo sperimentale ha come riferimento il "dato", a cui attribuisce un carattere fondamentale:
l'oggettività.
Ma già nel 1971, scrivendo Il crepuscolo dello scientismo, Sermonti, in linea con l'epistemologia
più valida e convincente, affermava che «l'obiettività scientifica non esiste, in quanto dallo stesso
materiale due scienziati possono trarre conclusioni diverse, ma ambedue vere, sebbene sotto certi
aspetti l'una possa valere più dell'altra e quindi a buon diritto superarla; ma ci sarà certamente
qualche aspetto per cui anche l'altra è vera».
Peraltro un dato, anche quello più attendibile e certo, assume significato solo se inserito in una
"trama simbolica" che lo qualifica.
Per lungo tempo Sermonti aveva cercato di conciliare nel modo classico le "verità della scienza" e
le "verità della fede", un modo francamente insoddisfacente (purtroppo ancora diffuso in ambito
cattolico) in base al quale si postulano due dimensioni incomunicabili e separate, che non si devono
disturbare a vicenda con interferenze anche se, alla fine, presentano due concezioni della realtà agli
antipodi, fortemente contrastanti. Ma questo è molto pericoloso se si ritiene veramente che la
dimensione spirituale abbia un suo valore conoscitivo e una sua dignità da preservare.
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Sermonti pensa che la scienza moderna nei suoi aspetti convenzionali non sa dire nulla circa il
destino, l'ordine, il significato della natura.
«Cosa è successo con l'inizio della scienza moderna?», si chiede, e la sua risposta è la seguente: «la
scienza ha rinunciato alla ricerca dell'armonia e, con passione che certamente nasconde un sottile
demonismo, si è lanciata alla ricerca del caos, alla adorazione del disordine e del nulla
primigenio».
E ancora, sotto un altro punto di vista, si può asserire che«tutto l'impegno contenuto nella
fondazione della Tecnica e della Scienza contemporanea è consistito nel privare le opere umane di
ogni significato, cioè di deritualizzarle. Il significato è un'esigenza che limita l'efficienza,
obbligando l'operatore a una quantità di adempimenti formali che lo distraggono da perseguire
direttamente e alla spiccia il punto di arrivo. I grandi progressi realizzati dalla tecnica sono stati
semplicemente il risultato dell'abolizione dalle operazioni umane di ogni sacralità: ciò ha reso,
come per incanto, le pratiche umane meravigliosamente efficienti, ha consentito di porre ogni cosa
in commercio, di sviluppare da ogni operazione un'industria. A un solo prezzo, appunto: che tutto
rinunciasse al suo significato. Ma la natura resiste alla sconsacrazione» e, nonostante il disincanto
in cui Tecnica e Scienza hanno preteso di sprofondare il mondo, la sacralità riemerge nelle cose, in
modo diretto ed elementare.
Il "significato" è inerente alla stessa vita in sé, che Sermonti equipara a un "gioco sacro", cadenzato
e regolato da leggi e ricorrenze, ritmi e cicli, che con la sua struttura simbolica fa trasparire l'Eterno,
sempre presente dietro le parvenze della manifestazione cosmica. In altre parole, il divenire del
bios, ma anche quello dell'intera Natura, si rivela ordinato: in quanto tale è un'epifania dell'Essere
che nelle forme lascia la sua impronta.
La scienza, ci insegna Sermonti, per molti aspetti è simbolicamente figlia di Apollo, Hermes,
Dioniso (o della loro ombra?), ma anche delle Moire, in quanto pura come Apollo, elegante come
Hermes, giocosa come Dioniso, ma portata per sua intrinseca natura a sezionare, tagliare,
parcellizzare la realtà fisica, secondo un'attitudine tipica della Moire.
Questo è il suo destino derivante dalle sue origini radicate in un orizzonte mitico-simbolico che si è
reso autonomo -diremmo, "emancipato"- dal sacro. E ciò può risultarci comprensibile solo per
merito delle nostre conoscenze umanistiche, dimostrando così la stretta correlazione tra discipline
scientifiche e discipline umanistiche.
Però va aggiunto che, forse, da alcune di queste "matrici" può derivare un riposizionamento degli
obiettivi e del ruolo della scienza, oltre che dei suoi metodi: in particolare reintegrandola in un
apollinismo dionisiaco, superando così l'oscura e opaca influenza delle Moire.
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Affrontando il tema della integrazione reciproca tra scienza e religione, Sermonti osserva che
preliminarmente servirebbe che la religione abbandonasse «il suo carattere puritano» elevandosi «a
rappresentazione del Cosmo, a contemplazione dei principi, dei segni e dei simboli». La scienza, da
parte sua dovrebbe trasmutarsi, liberandosi dallo spirito calcolatore, borghese, mercantile, e quindi,
sotto un certo aspetto, anch'esso «puritano», diventando , appunto, la «scienza degli archetipi», cioè
delle forme che sottendono la natura, di cui aveva parlato in precedenza. Ponendosi, quindi, al di
sopra dei rispettivi e angusti limiti, in un emozionante e pericoloso "al di là del bene e del male" ci
troveremmo in una situazione in cui «una religione elevata al piano metafisico ed una scienza alla
ricerca dello spirito del mondo possono identificarsi, ritornare ad essere un'unica cosa».
L'impegno di Sermonti, volto a chiarire e a demistificare alcuni pervicaci luoghi comuni, iniziò a
rivolgersi al grande pubblico nei primissimi anni settanta con Il crepuscolo dello scientismo e
successivamente con La mela di Adamo e la mela di Newton. In quest'ultimo libro Adamo e
Prometeo vengono presentati dall'Autore come simboli di due fasi della caduta dell'uomo, del suo
allontanarsi dal Divino, dall'Essere, e del suo sprofondare nell'opacità del cieco divenire:
costituiscono gli archetipi dell'umanità occidentale.
Sermonti critica in modo sistematico lo scientismo, da lui definito una "ideologia politica" in cui si
trasforma la scienza nel momento in cui vuole rifondare l'uomo e il suo destino biologico. Il buffo è
che tutta questa arroganza risulta assai poco motivata, dato che, come egli rileva, la scienza non ha
poi tanti successi di cui essere fiera, dato che specie la biologia e la medicina hanno conseguito
notevoli risultati solo vampirizzando sistematicamente le conoscenze empiriche, popolari, del
passato, spesso residui di una sapienza religiosa, e diffondendole in modo sistematico e
razionalizzato, come se fossero state conquiste proprie, o impossessandosi del merito di fenomeni
positivi (quali la diminuzione di gravi malattie contagiose), quando invece l'azione svolta dalla
medicina aveva avuto una influenza assai modesta sui fatti. Ad esempio il mondo contadino sapeva
da tempo che il contrarre il vaiolo dalle mucche, come avveniva ai mungitori, ammalandosi in
forma lieve, preservava dal vaiolo umano. Questa conoscenza popolare, trasmessa a un medico di
campagna del XVIII secolo, permise di mettere a punto in Inghilterra le prime forme rudimentali,
empiriche, di vaccinazione antivaiolo, anche se mancavano ancora del tutto le conoscenze
immunologiche tali da far comprendere il meccanismo d'azione di questa misura di profilassi. Il
chinino, usato a lungo e con efficacia per guarire dalla malaria, solo nel secolo scorso fu identificato
come principio attivo ed estratto dalla corteccia di una pianta, la Cinchona. Già dal XVII secolo il
suo uso terapeutico, sotto forma di polvere di corteccia di china, era stato introdotto in Europa
dall'America del sud, dove da tempo era impiegato dalla medicina tradizionale degli Indios per la
cura delle febbri malariche. Un'intera famiglia di composti, (tra i tanti che si possono citare ancora),
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le cumarine, da cui sono derivati molti farmaci differenziati per attività come vasodilatatori,
antibiotici, antinfiammatori, ecc., era nota da millenni nella medicina tradizionale di vari popoli (ad
esempio, gli Egizi). Può essere interessante aggiungere che alcune multinazionali farmaceutiche da
decenni stanno analizzando i vari rimedi terapeutici delle popolazioni extraeuropee per identificare
nuovi principi attivi, da spacciare poi come frutto della sola ricerca scientifica di laboratorio.
La storia dell'aspirina è altrettanto istruttiva: fu per merito di un sacerdote inglese del XVIII secolo
se si cominciò a usare, con un certo successo, la polvere della corteccia di salice per curare le
febbri. La sua scoperta non derivò da alcun procedimento "scientifico", ma fu il risultato,
riconosciuto dallo stesso autore, della applicazione di un'antica credenza tradizionale secondo la
quale gli ambienti che provocano certe malattie forniscono anche i rimedi naturali per combatterle.
Nel caso specifico il riferimento riguarda i luoghi umidi, dove è facile contrarre alcune malattie, ma
che al contempo sono favorevoli per la crescita dei salici. Solo successivamente si identificò il
principio attivo, l'acido salicilico, la cui attività venne migliorata in un secondo tempo ottenendo un
derivato di sintesi, l'acido acetilsalicilico, contenuto nella ben nota aspirina. Si potrebbe ricordare
ancora la scoperta del tutto casuale della penicillina o di altri farmaci, al di fuori di ogni procedura
lineare di indagine di laboratorio. Infine è ben noto che, nel nostro continente, la sconfitta delle
grandi epidemie, come la peste, fu dovuta non alla medicina, ma a misure di igiene e anche a fatti
casuali, come l'immigrazione dall'Asia in Europa del ratto bruno che sostituì il ratto nero, portatore
delle pulci che veicolano l'agente patogeno della peste. Tutto ciò precedette di alcuni secoli
l'identificazione del bacillo responsabile della malattia e la messa a punto di opportune misure
terapeutiche, ormai utili solo in aree dove la cura dell'igiene era molto carente.
Dal canto suo la tecnologia moderna viene definita come l'unione del metodo empirico-utilitaristico
con l'astratta oggettività di quello scientifico di laboratorio.
In quegli anni Sermonti inizia a esprimere i suoi rilievi critici nei confronti dell'evoluzionismo
darwiniano, di cui smaschera il ruolo di supporto ideologico per il progressismo (gli fornisce un
"fondamento naturalistico"), progressismo che costituisce «il preludio a una immagine uniforme e
quindi assolutista del mondo, che rifiuta la variabilità come manifestazione di dissociazione
dall'ideale progressista».
La logica sottostante è quella dell'opportunismo, dell'utilitarismo, dello strumentalismo,
dell'adeguamento di convenienza al corso delle cose.
L'evoluzionismo, tradotto più o meno correttamente in termini filosofici come sinonimo di
progressismo scientificamente fondato e giustificato, era da tempo divenuto un supporto per
svuotare di significato ogni valore eterno, ogni principio perenne, per cui supportava l'idea che la
morale debba essere semplice figlia del suo tempo e che quindi, in un'epoca dominata e plasmata
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dalla scienza, è quest'ultima a dover dare i fondamenti etici del vivere dell'uomo. Di fatto costituisce
uno strumento di persuasione dello scientismo. In queste analisi si notano influenze di Eliade,
Sombart, Weber, Goethe, Marcel, Zolla, Sedlmayr, Ortega y Gasset, Kerény, Wittgenstein,
Nietzsche.
Poi giunge il 1980 ed esce Dopo Darwin, dove la prima parte del volume è opera di Sermonti e la
seconda di Roberto Fondi, docente di paleontologia presso l'Università di Siena. È un libro che fece
scandalo e scosse fortemente il mondo dei biologi italiani. La critica all'evoluzionismo era
nettissima, anche se gli Autori differivano su alcune idee quando, dopo aver demolito il castello dei
darwinisti si apprestavano a proporre alcune soluzioni alternative.
In particolare Sermonti aveva individuato in due fenomeni, la neotenia e la simbiosi, le forze poste
alla base dei processi evolutivi, in luogo delle classiche "selezione naturale" e "mutazioni casuali".
Quest'opera approda ad una conclusione sorprendente: l'evoluzione biologica non è altro che un
mito. Gli autori ribaltano, con una documentazione ineccepibile, il fondamento intangibile su cui si
è sostenuta la biologia dell'ultimo secolo. La biologia – sostiene Sermonti – non ha alcuna prova
dell'origine spontanea della vita, anzi ne ha provata l'impossibilità. Non esiste una gradazione della
vita dall'elementare al complesso. Dal batterio, alla farfalla, all'uomo la complessità biochimica e
genetica è sostanzialmente uguale; i meccanismi e le funzioni biologiche basilari sono ovunque gli
stessi, nell'invisibile e nel gigantesco. Dalla prima comparsa di fossili ad oggi la diversità e la
ricchezza delle forme viventi non sono aumentate. Nuovi gruppi hanno sostituito i più antichi, ma
quelle forme intermedie che gli evoluzionisti hanno disperatamente cercato non esistono. Le diverse
forme della vita compaiono improvvisamente, senza ascendenti rintracciabili. Esse sono variazioni
su temi centrali permanenti, espressioni di un'armonia perenne e non prodotti storici del caso. Di
fronte all'utilitarismo darwiniano, all'atomismo di Monod e al bricolage di Jacob, gli autori
riaffermano la goethiana dignità della forma, entro l'immensa architettura d'un universo "dato tutto
insieme", con tutte le sue leggi.
L'attacco dei colleghi di ortodossia darwiniana è immediato e violentissimo: non vengono discusse
le loro tesi e considerate retrive, reazionarie.
Pochissimi sono, tra i non-darwinisti italiani, coloro che hanno il coraggio di riconoscere dei meriti
al libro.
Nel 1979 Sermonti aveva sostituito Aldo Spirito alla direzione della Rivista di Biologia, che da
allora diviene uno dei più validi strumenti per discutere, approfondire e diffondere, in ambito
specialistico, idee biologiche alternative a quelle egemoni di stampo scientista, meccanicista,
darwinista: un prezioso strumento di riflessione che ospita contributi di studiosi di varie nazioni
(Loevtrup, Sibatani, Webster, Goodwin, Barbieri, Sheldrake, Beloussov, Thom e molti altri).
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La rivista diviene anche punto di riferimento centrale del "gruppo di Osaka", dedito agli studi
biologici in chiave strutturalista, fondato nel 1985, anno che segna l'inizio di una seconda stagione
scientifica di Sermonti, più di carattere teorico, speculativo. In Italia vengono organizzati convegni
a Genova, Torino, Siena, Milano, Perugia. È l'occasione per riaprire il dialogo con gli avversari e i
critici.
Ne La luna nel bosco riprende il tema dell'evoluzione, focalizzando la sua attenzione su quella
dell'uomo, e suggerisce la discendenza delle scimmie dalla linea filetica umana. In tal modo viene
capovolto uno dei dogmi del darwinismo, cioè l'origine degli Ominidi da antenati scimmieschi, il
che provoca nuove ondate di critiche, ma anche alcune citazioni rispettose.
La critica di Sermonti al darwinismo e arriva alle sue conseguenze finali affermando che:
«L'idea di uno sviluppo evolutivo graduale della nostra specie da creature come l'australopiteco,
attraverso il pitecantropo, il sinantropo e il neanderthaliano, deve essere considerata come
totalmente priva di fondamento e va respinta con decisione. L'uomo non è l'anello più recente di
una lunga catena evolutiva, ma, al contrario, rappresenta un taxon che esiste sostanzialmente
immutato almeno fin dagli albori dell'era Quaternaria [...] Sul piano morfologico e anatomocomparativo, il più "primitivo" - o meno evoluto - fra tutti gli ominidi risulta essere proprio l'Uomo
di tipo moderno! [...] Sono senz'altro meno lontani dalla verità coloro che [...] sostengono l'ipotesi
opposta, e cioè che Australopiteci, Arcantropi e Paleoantropi siano tutte forme derivate dall'Uomo
di tipo moderno! »
La lettura dei lavori di Sermonti, in particolare Le forme della vita, un titolo che ricorda un bel libro
del biologo platonico Adolf Portmann, La forme viventi, e L'anima scientifica rivelano alcune
particolarità interessanti del suo pensiero e della sua concezione del mondo.
Ci riferiamo, ad esempio, alla grande attenzione e al sincero rispetto che egli esprime per gli aspetti
"femminili" della realtà, dell'esistenza, cioè per le funzioni, per i simboli, per i significati propri
all'altra metà del cielo, che egli coglie a vari livelli, da quello biologico, laddove parla della grande
importanza dell'eredità citoplasmatica, "materna", a quello del rapporto con la Natura, concepito
unicamente in chiave contemplativa, passiva, "femminile", e a quello religioso, con il suo
apprezzamento per l'Orfismo, in cui è presente un'impronta "lunare", "demetrica", volendo usare la
tipologia di Bachofen, e così via.
L'interesse per la sfera del simbolo e la sensibilità artistica lo spingono ad analizzare l'universo della
fiaba a cui dedica alcuni testi, come Fiabe di luna. Simboli lunari nella favola, nel mito, nella
scienza, Fiabe del sottosuolo.
Analisi chimica delle fiabe di Cappuccetto Rosso, Biancaneve, Cenerentola, Fiabe dei fiori, già
citati in precedenza.
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In campo letterario, ma con tematiche rigorosamente scientifiche, vanno poi ricordate le sue recenti
commedie da tavolo, dedicate a Mendel, Harvey, Darwin, Semmelweiss, Oppenheimer.
Intanto continua l'attività di divulgatore di idee controcorrente trattando su quotidiani e periodici
tutti gli argomenti scientifici di rilevanza sociale, dai trapianti alla clonazione, dalla biomedicina
all'AIDS, dall'aborto alla denatalità, dal ruolo degli scienziati nella società al problema della razze e
del razzismo (di cui dimostra le connessioni con il darwinismo).
Oggi Sermonti ritorna alla teoria dell'evoluzione con un libro, Dimenticare Darwin, da lui definito
«una meditazione e una narrazione», un testo dove con serenità e garbo smonta uno dopo l'altro
alcuni "punti fermi" dell'evoluzionismo darwiniano, osservando al contempo con disincanto e
lucidità lo stato di regresso sul piano concettuale, teorico, in cui si trova la biologia contemporanea.
Sermonti non si lascia abbagliare dai miti profani, non si illude di fronte alle promesse luccicanti,
piene di seduzione, offerte dalla scienza di punta. Così di fronte alla biologia molecolare non si
profonde in elogi e non prefigura scenari paradisiaci per il futuro, ma ne dimostra il corto respiro,
l'ingannevolezza, il pericolo "riduzionista" insito in essa.
Scrive: «La rivoluzione molecolare è consistita proprio nella messa in disparte delle osservazioni
naturalistiche, nell'esplicito disinteresse per le forme». E proprio lungo i sentieri della riflessione
sul significato della "forma" a vari livelli, Sermonti ci conduce attraverso le pagine del suo ultimo
libro, mostrando l'irrazionalità del darwinismo vecchio e nuovo, che ha dissolto il concetto di
organismo, ha ignorato sempre più la complessità radicale e originaria della natura, ha escluso a
priori ogni altra dimensione al di fuori di quella meccanicista basata sul DNA e sulle contingenze
ambientali.
Il suo discorso non è mai astratto, anzi si arricchisce di continui esempi, aprendo squarci su campi
della ricerca messi da parte dai darwinisti perché "imbarazzanti" e ricordandoci che certi presunti
"punti fermi" oggi lo sono assai poco (per citarne uno: il fenomeno di selezione di certe farfalle,
definito come "melanismo industriale", ormai sempre più in contrasto con i nuovi dati della ricerca,
ma ancora usato come esempio di selezione naturale creativa, all'opera sotto gli occhi dell'uomo).
Le forme geometriche, la matematica di Fantappiè, i frattali, costituiscono per il nostro Autore
ambiti in cui cercare alcune spiegazioni per svelare, almeno in piccola parte, le leggi che regolano
l'armonia del cosmo.
Se osserviamo il tono con cui Sermonti ha scritto Dimenticare Darwin, potremmo affermare che
sembra più un pacato racconto di un saggio dall'animo distaccato che un testo di "combattimento",
come invece era stato Dopo Darwin, dove egli si sentiva ancora coinvolto in polemiche e contese
scientifiche, in cui difendere con ardore le proprie posizioni. Il poeta e il filosofo hanno forse preso
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il sopravvento sullo scienziato, che però rimane sempre sullo sfondo, con il suo rigore e la sua
lucidità.
BIBLIOGRAFIA
Giovanni Monastra (2 ottobre 1999) “Politica, bio-business e scienza: il caso italiano di Giuseppe
Sermonti fra studiosi darwiniani e non-darwiniani
Wikipedia, l'enciclopedia libera (Giuseppe Sermonti, Devoluzionismo, scientismo)
Giuseppe Sermonti e Roberto Fondi, Dopo Darwin, Rusconi, 1980. Prime proposte alternative
all'evoluzionismo di Sermonti, insieme al co-autore e paleontologo Fondi.
Giuseppe Sermonti, La luna nel bosco, Rusconi, 1985. Prima esposizione accurata della teoria
devoluzionistica.
Giuseppe Sermonti, Dimenticare Darwin, Rusconi, 1999. Tentativo di smontare i principi
fondamentali del darwinismo, tacciandola come teoria ormai inadeguata all'era moderna.
Michael A. Cremo e Richard L. Thompson, Forbidden Archeology, BBT Science Books, 1993 e
1996
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