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I ndice
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anno 39°
Quale diacono per quale città dell’uomo
luglio-ottobre 2007
PRESENTAZIONE
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9.
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Perché la nostra storia possa ancora dirsi sacra
Giuseppe Bellia
Quale diacono per quale città dell’uomo?
Enzo Petrolino
La chiesa nelle città dell’uomo: la diaconia italiana
Luciano Monari
Servi e messaggeri
Rob Mascini
Oltre i confini della parrocchia
Bill Ditewig
Incontro con le spose
Pierantonio Tremolada
Tra storia e profezia
Felice Scalia
Testimoni della diaconia nella chiesa e nel mondo
Arturo Paoli
Sacramentum Caritatis per il mondo
Giancarlo Maria Bregantini
Per una diaconia ecumenica
Vincenzo Paglia
Appendice
PAROLA
87
TESTIMONIANZA
94
Elementi di una diaconia profetica in Lc 1,26-56
Luca Bassetti
Il cammino di Santiago metafora della vita
Vincenzo Testa
A SUA ECCELLENZA REV.MA
MONS. PIETRO BOTTACCIOLI
VIA VESCOVADO 1
06024 GUBBIO
OCCASIONE CONVEGNO NAZIONALE PROMOSSO DA COMUNITÀ DEL DIACONATO
IN ITALIA SUL TEMA “QUALE DIACONO PFR QUALE CITTÀ DELL’UOMO”
SOMMO PONTEFICE RIVOLGE AT PARTECIPANTI BENEAUGURANTE SALUTO
ET MFNTRE AUSPICA CHE SIGNIFICATIVO INCONTRO SUSCITI RINNOVATA
ADESIONF AT CRISTO ET COSTANTE SLANCIO APOSTOLICO IN RISPOSTA
AT NUOVE SFIDE INVOCA LARGA EFFUSIONE LUMI CFLESTI PER GENEROSA TESTIMONIANZA EVANGELICA ET INVIA AT VOSTRA ECCELFNZA AT
ORGANIZZATORI RELATORI ET PRESENTI TUTTI IMPLORATA BENEDIZIONE
APOSTOLICA
CARDINALE TARCISIO BERTONE SEGRETARIO DI STATO DI SUA SANTITÀ
4
ATTI
GIUSEPPE BELLIA
Perché la nostra storia
possa ancora dirsi sacra
I
l XXI Convegno della Comunità del diaconato, svoltosi ad Assisi dal 19 al 22
luglio scorso, sul tema «Quale diacono per quale città dell’uomo», mi pare
abbia registrato rispetto ai convegni precedenti alcuni dati nuovi e positivi, sia
in relazione al modo più fraterno riscontrato, in particolare per lo stile diaconale
dello stare insieme dei cristiani, sia riguardo allo studio e all’approfondimento
della realtà ecclesiale e ministeriale della diaconia ordinata. Un convegno che
raduna insieme centinaia di laici, di diaconi, di delegati, di presbiteri unitamente alla presenza di alcune significative figure di vescovi, testimoni di diversi
contesti pastorali, se vuole avere esito richiede necessariamente ai partecipanti
una forte attitudine all’ascolto dell’altro e all’accoglienza reciproca. Una realtà
fraterna di convivenza che questa volta si è gustata più che in passato.
L’ascolto si deve intendere innanzitutto come realtà antropologica, come concreta possibilità che si dà all’altro di avere accesso al nostro mondo interiore,
al nostro universo cognitivo ed etico, offrendogli un’apertura rischiosa che può
permettere alla parola di fare breccia nelle nostre convinzioni, nei nostri giudizi, potendoli inquietare e addirittura modificare. L’ascolto biblico ha però nel
contempo anche una dimensione religiosa e teologica, perché è l’atteggiamento
proprio di chi si dispone a fare spazio all’irruzione verticale della parola di
Dio della sua luce, come grazia, e in senso orizzontale dispone a captare nella
quotidianità ciò che lo Spirito non cessa di dire alle Chiese (Ap 1,9).
La Parola di Dio, in modo ritmato, rigoroso e abbondante, è pervenuta a tutti i
partecipanti innanzitutto attraverso una serie qualificata di mediatori che da don
Luca Bassetti fino ai vescovi che hanno presieduto le celebrazioni liturgiche, Gli incontri
hanno donato una sensibilità e una prospettiva biblica, fondata e non di ma- e le mediazioni
niera. La mediazione teologica è stata avvertita maggiormente nelle relazioni e
nelle testimonianze, presentando i diversi interventi uno spaccato di lettura del
fatto diaconale e della realtà ecclesiale italiana e mondiale di grande rilievo che
ha suscitato domande e riflessioni di notevole interesse.
Inoltre, è stato da molti evidenziato come siano risultati più distesi e coinvolgenti i tempi di preghiera comunitaria che hanno scandito le varie giornate consegnando un clima più sobrio e raccolto che ha facilitato una partecipazione
più personale e discreta alla stessa liturgia. Forse è stato un effetto del minor
numero di partecipanti, un elemento che ha certamente contribuito a realizzare
un ambiente meno affollato e rumoroso, più tranquillo e a misura di riunione
pastorale, dove era possibile praticare un confronto serrato e insieme franco che,
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a sua volta, ha permesso a molti di esprimere le loro richieste di chiarimento o
di far conoscere, oltre le diverse esperienze, punti di vista ed opinioni differenti.
Proprio dall’opportunità offerta di uno scambio più coinvolgente e allargato tra i
partecipanti mi pare siano scaturite alcune indicazioni interessanti su cui è utile
far convergere per l’immediato futuro l’attenzione di quanti hanno a cuore il
mondo del diaconato.
In dettaglio sono emersi almeno due obiettivi quanto mai attuali e irrinunciabili, sia per l’impegno ministeriale dei diaconi, sia per la vitalità della nostra
Comunità del Diaconato in Italia; si tratta: della ricerca di uno stile diaconale
più autentico e adeguato al nostro tempo e alle nostre chiese e l’esigenza di progettare e di sperimentare e praticare un’azione di servizio alla città dell’uomo
più essenziale e coordinata che impegna tutta la comunità ecclesiale. In verità,
queste priorità erano già emerse nei lavori preparatori dei convegni regionali,
ma questa volta si sono segnalate per una configurazione più nitida e intensa,
come un chiaro appello ad una più decisa corresponsabilità ecclesiale. Queste
giornate assisane hanno permesso, infatti, di orientare interessi, curiosità ma
anche timori ed apprensioni, verso temi centrali e problematiche meno astratte,
evidenziando per tutti i ministri della parola, ma anche per i laici interessati,
come il vero successo della diaconia ministeriale non sta nell’impegno di servizio, ma nella fede, in quel vivere di fede del ministro che si radica ed esige una
continua conversione del cuore.
La parola di Dio (cf 1Cor 13,3) e i maestri spirituali insegnano che la stessa
ammirevole generosità posta nel servire si svela insoddisfacente e fallimentare
se non nasce da un’esperienza viva di conoscenza di Cristo e di gaudiosa comunione ecclesiale. Si potrebbe ricordare parafrasando l’adagio paolino che il
giusto vivrà non per la sua dedizione al servizio, ma per la sua fede; la parola
del Signore a riguardo è chiara: chi vuol servire veramente Cristo deve prima di
tutto decidersi a seguirlo (cf. Gv 12,26). Il primato della diaconia della parola
che caratterizza il ministero cristiano richiede, in modo quasi speculare, ai singoli ministri e alle comunità cristiane un animo penitente, un cuore convertito, il
solo in grado di cogliere il movimento non evidente dello Spirito, intercettando
nel contempo le domande più vere e le attese più profonde di quanti il Signore
pone sul suo cammino.
Un impegno pastorale così concepito non progetta e decide i cammini dello
Spirito, quanto piuttosto da questo si lascia precedere e governare: verità antica
e scelta inevitabile ma che a tratti oggi sembra una realtà così inutile e lontana
dal sentire e dalla prassi ordinaria delle nostre Chiese. Per questo si richiede una
costante conversione di condotta e di mentalità se si vuole che l’essere per il
mondo dei cristiani sia una testimonianza toccante e produttiva e non un vuoto
slogan propagandistico. In questa prospettiva di conversione dove preghiera e
studio raggiungono uno scopo più mirato e disciplinato, è potenziata l’azione
Quali obiettivi
per il nostro tempo?
G. BELLIA
In principio:
la conversione
del cuore
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sacramentale del diacono e lo spendersi della chiesa a favore del mondo diviene un segno di speranza sempre più lucido, disinteressato e determinato e non
improvvisazione o velleitarismo di stagione. In questi due obbiettivi mi pare si
può riconoscere il percorso complessivo del Convegno che ha messo a fuoco
ancora una volta la precisa identità del diaconato italiano, contrassegnato nella
sua storia più che trentennale da una certa indeterminatezza ideale.
Infatti, sin dai tempi generosi dell’inizio, seguiti da quelli dell’assestamento negli anni ottanta e novanta, culminati in quelli attuali dove un certo processo di
stabilizzazione istituzionale sembra configurarsi come stagnazione, si denota
una precisa, progressiva perdita di carica profetica. Questo però è un tratto penoso che riguarda anche altre figure ministeriali e purtroppo la Chiesa italiana
nel suo insieme. Prendere coscienza di questo tempo di inerzia dove l’affannarsi
di Marta non sembra recepire nemmeno l’amabile ironia del Maestro sulla parte
buona scelta da Maria, deve spingere i diaconi non verso una ministerialità di
servizio gridata e affannata, che si pone in concorrenza con il troppo daffare di
presbiteri e laici impegnati, ma proprio verso quel primato dell’ascolto, prima
accennato, che solo può donare nella fede quei frutti spirituali promessi dal
Signore a chi si converte a Lui con tutto il cuore.
Sul valore centrale della conversione autentica, prima religiosa e poi morale e
intellettuale per l’agire diaconale, nel suo intervento si è soffermato il vescovo
Luciano Monari. L’efficacia di una diaconia sacramentale che non si accontenta
di un esito sociale nel suo spendersi a favore del mondo, è procurata da quel
ribaltamento di orizzonti prodotto dalla fede e mosso e condotto dall’interno
dal dono pasquale dello Spirito del Risorto. Uno Spirito d’ineffabile sapienza
creatrice che con azione preveniente è all’opera in tutti gli uomini fatti a immagine di Dio e che quindi, in un modo e in un altro, agisce nel mondo affinché da “mondano” diventi umano. È un’azione sempre indiretta, mediata e non
immediata, perché tutto quello che Dio vuole per noi lo compie attraverso la
mediazione dell’umanità del Figlio.
Saper cogliere la trama provvidenziale delle molteplici mediazioni messe in
atto dalla grazia attraverso gli uomini del nostro tempo, con le loro diverse e
opposte strategie di magnanima liberazione e di avida oppressione, permette
di cogliere con maggiore lucidità come inestinguibile profezia il movimento
tracciato dallo Spirito nel nostro oscuro tempo di transizione. La relazione di
padre Felice Scalia, pacata nel tono ed inesorabile nella denuncia, ha spinto a
rivedere quale immagine realistica sta tentando di disegnare e accreditare oggi
la città dell’uomo. Conoscere in quale verso si consuma oggi l’agitarsi del mondo significa anche riconoscere quali prospettive e quali scenari reali si aprono
per la Chiesa del terzo millennio. Solo con uno sguardo allungato sul futuro di
Dio che illumina il presente si possono evitare le secche di una ministerialità
ripetitiva e pigra, incapace di cogliere il nuovo della grazia mentre parola e
Una stagnazione
che ha radici
lontane
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PERCHÉ LA NOSTRA STORIA POSSA ANCORA DIRSI SACRA
Il ribaltamento
di orizzonti
viene dalla fede
vita prospettano in concreto per il diacono, anche in questo contesto di rapide
mutazioni sociali, un ruolo ministeriale a misura di Cristo. Una lettura questa
che ha trovato non pochi punti di convergenza con gli orizzonti indicati da altri
interventi (vedi quelli di Bellia e Tremolada) e che ha ricevuto il suggello di una
scossa profetica dalle testimonianze vivide e appassionate dell’ultra novantenne
don Arturo Paoli e del vescovo di Locri mons. Bregantini.
Il piccolo fratello del Vangelo nel suo intervento ha riaffermato l’assolutezza e
l’urgenza di un’adesione personale, sempre più interiorizzata e radicale, del ministro ordinato a Cristo. Solo così è possibile prospettare un orizzonte di rinnovamento ecclesiale autentico che impara dalle chiese dei poveri, che non sono
affatto delle povere chiese, la gioia di una liberazione vera dal peccato che si
dispiega nel mondo, anche nella confusa storia dei nostri giorni come credibile
speranza di liberazione dal potere dell’ingiustizia e della violenza. Il vescovo
calabrese ha ricordato che la ragione e la forza del servizio ministeriale si radica
nella scommessa di fede del ministro ordinato che ha accettato di compiere un
compito che lo supera, potendo fare conto non sul suo vigore pastorale ma solo
sulla forza della sua obbedienza: di questo stile veramente diaconale oggi ha
bisogno la chiesa, ha bisogno il mondo.
Ma in concreto che cosa collega l’essere per il mondo al ministero diaconale?
Che cosa può stabilire un nesso sensato e realistico tra un mondo più umano da
realizzare spingendolo verso la fraternità e la risposta di fede del ministro ordinato? La mediazione dei ministri cristiani (vescovi, presbiteri e diaconi), consiste
nell’assecondare il progetto del Creatore «che vuole che tutti gli uomini siano
salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2, 4). Questa missione, della Chiesa e dei ministri cristiani, non è opera dell’uomo ma si configura come un
bene donato da Dio attraverso l’eucaristia ai credenti in Cristo prima e a tutti gli
uomini dopo. Diversamente però dai primi due gradi, il cui ministero consiste
nel mediare tra Dio e il suo popolo, il ruolo del diacono sembra in modo precipuo riguardare la mediazione da svolgere tra la Chiesa e il mondo. È questo un
compito fondato biblicamente e quanto mai urgente che prospetta un’identità
diaconale ancora da scoprire.
Partendo dalla lezione obliata dell’Aquinate sul carattere sacramentale, si deve
cogliere in quello diaconale con il segno distintivo (l’appartenenza a un gruppo
o a qualcuno), anche il segno configurativo (che rappresenta l’autorità cui si
appartiene). Nei tre gradi del sacramento dell’ordine non si danno tre diversi
caratteri, ma una diversa intensificazione dell’unico sacerdozio di Cristo. Al diacono non è conferito il carattere di «Cristo servo» e al vescovo quello di «Cristo
capo»; è la finalità che determina il tipo di configurazione al servizio. Essere per
il mondo, perché la storia giunga al suo compimento, potrebbe divenire uno stile tipicamente diaconale, seguendo il percorso tracciato dal Logos nel suo farsi
carne per diventare nel mondo, storia di salvezza. Il cammino d’incarnazione
Le chiese
dei poveri hanno
molto da dirci
G. BELLIA
La mediazione
è tra la Chiesa
e il mondo
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PERCHÉ LA NOSTRA STORIA POSSA ANCORA DIRSI SACRA
della Parola di Dio nel mondo è contemplato e cantato in modo incisivo nel magnifico prologo del Vangelo di Giovanni. Senza entrare nel vortice delle spiegazioni esegetiche e delle dispute teologiche si potrebbe accogliere, in compagnia
di molti interpreti accreditati, il movimento discendente e ascendente compiuto
dal Verbo nel suo incarnarsi descritto nel quarto Vangelo. Il testo del prologo
mostra che la rivelazione del Logos nella storia, il compiersi della piena relazione tra cielo e terra, attestata dal Battista, si realizza nel mistero della Parola. Il
Verbo che ha creato ogni cosa è la fonte di luce e di vita verso cui tutto ciò che
esiste si orienta; e, divenuto carne, è entrato nella storia degli uomini perché il
mondo avesse l’opportunità di entrare nell’essere trinitario di Dio: incarnazione
del Logos e divinizzazione dell’uomo sono dunque realtà inseparabili.
Disegno incredibile e strabiliante che però nel suo realizzarsi concreto ha in- La dignità nuova
contrato una sorte drammatica e dolorosa: la Parola-luce, infatti, è stata accolta della storia umana
ostilmente e rifiutata dal mondo e dai suoi, mentre ha recato in dono la grazia
di diventare figli a quanti per mezzo della fede si sono aperti alla relazione
personale con la benevola divinità. A quanti hanno accettato di credere al mistero dell’incarnazione, si è dischiusa la possibilità di diventare «come Dio»,
conferendo così all’uomo una dignità nuova e alla sua storia un valore sacro,
per la sua origine e per la sua destinazione: ad immagine del Figlio, l’uomo è
costituito come persona.
Chiunque accetta di essere configurato al Cristo, alla sua Pasqua, da creatura
diviene anch’egli figlio, potendo testimoniare e consegnare ad ogni uomo la
propria esperienza di salvezza. Questa divina metamorfosi non accade per caso o per un qualche automatismo impersonale, ma per la conformazione del
credente al Verbo divenuto carne e rivelatosi finalmente in pienezza nel Crocefisso. Per questa ragione nella debolezza dell’uomo ogni cristiano scorge la
stessa immagine del suo Signore, ma non è un’opera della carne dare questa
testimonianza: per preparare e rendere credibile quella conformazione di Figlio
che ogni essere umano ha in sé ma che solo l’opera dell’evangelizzazione porta
a compimento nella Chiesa, si richiede un dono di grazia dall’alto. La diaconia
ministeriale ci procura questo dono ed esige che fruttifichi nelle nostre chiese,
come nei discepoli di Cristo. È una verità che interpella le nostre coscienze sazie
e addormentate e ci spinge a prendere parte in modo creativo all’incarnarsi della Parola nella storia perché questa possa dirsi e mostrarsi ancora come sacra.