LA CULTURA DELL`INCONTRO 50 ANNI DOPO LA REVOCA
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LA CULTURA DELL`INCONTRO 50 ANNI DOPO LA REVOCA
LA CULTURA DELL’INCONTRO 50 ANNI DOPO LA REVOCA DELLE SCOMUNICHE Discorso di Sua Eminenza il Metropolita di Bursa Mons. Elpidophoros Egumeno del Sacro Monastero della Santa Trinità di Chalki (Catanzaro, Italia, 24 ottobre 2015) Eccellenza Rev.ma Mons. Donato Oliverio, Vescovo della Eparchia di Lungro, Illustri ospiti, Signore e Signori, È per me una grande gioia e un grande onore, avere l’opportunità di rivolgermi a voi, a questo prestigioso pubblico, composto da fratelli Cattolici Romani con i quali ci lega una storia comune, la fede comune e la coscienza ecclesiale comune, lo stesso amore per il Cristo crocifisso e risorto. Ringrazio, in particolar modo e in primo luogo Lei, Eccellenza Rev.ma Vescovo Donato, per il suo gentile invito, nonché i suoi illustri collaboratori, specialmente il Sig. Avato per questa perfetta organizzazione. Le nostre chiese, quella Cattolica e quella Ortodossa, stanno attraversando ai nostri giorni un periodo di fioritura di buone relazioni e di rapporti fraterni. Questa particolare e positiva atmosfera, della quale noi oggi godiamo con tanta gioia, dal punto di vista storico è un fenomeno relativamente nuovo nella storia del Cristianesimo. Molti nostri padri, Papi e Patriarchi, Cardinali e Vescovi, teologi e monaci hanno faticato e lavorato duramente, perché diventasse oggi realtà, quanto 1 immaginato: poter dialogare senza intolleranza, pregare insieme, vivere pacificamente, aiutarsi l’un l’altro nei momenti difficili, intraprendere un dialogo teologico e avere certa la prospettiva per la riunificazione e la piena comunione nei sacramenti. “Il nome della Chiesa è nome di sinfonia e di concordia”1, sottolineava San Giovanni Crisostomo ai suoi tempi. Eppure, la storia dei dissidi cristiani è tanto antica, quanto è antica la storia di questa Chiesa. Come osservava Teodoro Studita “Dagli Apostoli in poi, in molti modi, molte eresie irruppero contro la Chiesa e subentrarono molte impurità empie e non canoniche”2. La Chiesa “Una” di Cristo e la unica fede nel Dio e Salvatore Gesù, che, come testimoniano gli Atti degli Apostoli, fu accolta con “semplicità di cuore” dalla Chiesa Nascente (Atti, 2, 46), cominciò rapidamente a spezzettarsi, nella misura in cui tutto il mondo cristiano ancora in fase iniziale, apparve come un mosaico di percezioni contrastanti per una sola e medesima cosa: la verità rivelata. Le Scomuniche dell’anno 1054. Per comprendere il valore e l’importanza della revoca delle scomuniche, bisogna prima vedere cosa accadde allora, nell’anno 1054. Fin dall’inizio devo sottolineare che le scomuniche del Luglio 1054 avvennero in un clima di già esistenti diffidenze e di alienazione di entrambi i mondi, delle Chiese d’Oriente e d’Occidente, cioè in una situazione di distanza già esistente, di rapporti negativi e di sospetto. Ciò non vuol dire che vi fosse semplicemente una mancanza di comunicazione, ma significa che vi era un allontamento teologico e una differenziazione su punti fondamentali, teologici e strutturali, dei due mondi ecclesiastici. Le scomuniche del 1054, quindi, non crearono questa situazione, ma nemmeno la determinarono in modo definitivo. Ciò significa che queste scomuniche, nonostante l’opinione generalmente dominante, non crearono dal nulla il grande Scisma tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente, e neppure resero definitiva la già esistente distanza. Questa constatazione è importante, sia per interpretare gli eventi di allora, sia per valorizzare giustamente la revoca delle scomuniche del 1965, 50 anni fa. 1 GIOVANNI CRISOSTOMO, Migne, PG, 61, 646. 2 Lettera 28, Migne, PG, 99, 1003. 2 Che cosa successe, poi, nel 1054 con quei dolorosi avvenimenti a Constantinopoli? In quel periodo vivevano due forti personalità nei centri ecclesiastici dell’Occidente e dell’Oriente: il Papa Leone IX a Roma e il Patriarca di Constantinopoli Michele Cerulario. I rapporti ecclesiastici tra le due Chiese erano tesi, soprattutto a causa della situazione ecclesiastica di qui, del Sud Italia e della Sicilia, e inoltre in relazione al movimento riformatore di Cluny, ma anche per la pubblicazione di trattati polemici. Ma un evento costrinse le due Chiese a venire in contatto e a collaborare: la discesa dei Normanni dal Nord Italia costituì un pericolo comune, un nemico comune, un fatto che richiese un’azione congiunta e di alleanza. Per questo motivo il Papa inviò una delegazione a Constantinopoli per negoziare. Lo scopo della missione fu quello dei negoziati per un’alleanza, e non per le scomuniche e per le condanne. Purtroppo la situazione tesa, la diffidenza e l’allontanamento istituzionale dei due mondi ecclesiastici, non crearono le condizioni favorevoli per il successo della missione. Certamente anche il capo della rappresentanza d’Occidente, il Cardinale Umberto, non era il più idoneo per questa missione ed ebbe un ruolo molto negativo nello sviluppo degli eventi con il suo comportamento offensivo. In questo clima negativo, il Cardinale scrisse e depose l’anatema contro il Patriarca sull’Altare di Santa Sofia. Il testo dell’anatema, oltre ad essere il risultato di confusione e di nervosismo, fu nullo, perché: a) La delegazione pontificia non aveva avuto dal Papa il mandato di scomunicare alcuno. b) anche se avesse avuto un tale mandato, l’anatema era nullo ugualmente, poiché il Papa, l’autorità mandante, era già deceduto e il Cardinale Umberto ne era a conoscenza. c) anche se avesse avuto validità come anatema personale, di iniziativa autonoma del Cardinale contro il Patriarca, tale anatema cessava di valere dopo la morte di colui che emetteva la scomunica, secondo il Diritto Canonico Romano Cattolico. In entrambi i casi, anche se si trattasse di un anatema nullo, abbiamo una scomunica soltanto personale e non da parte di una Chiesa contro un’altra. Di conseguenza, questo anatema non creò il grande Scisma tra le due Chiese. 3 Il grande teologo Papa Benedetto XVI, in quanto professore Joseph Ratzinger, concorda con il teologo ortodosso John Meyendorff sul fatto che le scomuniche dell’anno 1054 non riguardavano le Chiese, ma concrete persone storiche, e che il Cardinale Umberto oltrepassò l’ordine ricevuto e, ancora, che l’anno 1054 non deve essere considerato come l’anno dello scisma. Certamente nessuno può negare che queste scomuniche giocarono un ruolo significativo nell’estraneazione delle due Chiese e che, senza dubbio, influenzarono simbolicamente e psicologicamente l’allontanamento delle due Chiese e la cesura definitiva di ogni contatto e comunione. Ma allora si pone la domanda: quale fu il momento definitivo del Grande Scisma tra le due Chiese? Come la ricerca e la realtà storica dimostrano, lo Scisma non avvenne in un preciso momento, né in una data particolare. Al contrario, si constata che l’alienazione tra le due Chiese avvenne gradualmente nell’arco, non solo di molti anni, ma potremmo dire, di molti secoli. Alcune volte avveniva in modo diverso, in luoghi diversi e non sempre per le stesse ragioni. Si presentavano di volta in volta crisi e tensioni. Altre volte i rapporti miglioravano e veniva ripristinata la comunione ecclesiastica, la cui sospensione, molte volte, durava degli anni o anche dei decenni. Per la datazione del Grande Scisma concordano, generalmente, le opinioni di coloro che affermano che gli eventi drammatici, con il triste esito della IV Crociata del 1204, ebbero un ruolo molto più negativo nell’estraneazione delle due Chiese, di quanto lo ebbero i tristi eventi del 1054. La caduta e il saccheggio di Costantinopoli da parte dei cristiani dell’Occidente, la creazione di una doppia gerarchia con la nomina di un Patriarca Latino a Costantinopoli, mentre il legittimo Patriarca era in esilio e in vita, il collocamento parallelo di vescovi latini in tutto l’Oriente, dove i Crociati si erano stabiliti, costituirono la principale pietra miliare per l’estraneazione e la ferita interiore dei cristiani dell’Oriente. Di conseguenza, allora non vennero alla ribalta divergenze dogmatiche o contese teologiche. Queste seguirono dopo. Così che, attraverso i secoli, in seguito alla sollecitazione di Basilio il Grande: “…essendosi in gran parte raffreddato l’amore…” il ”…ricondurre verso l’unione le Chiese, le quali sono state divise reciprocamente molte volte e in molti modi” fu un 4 dovere impellente di quanti “genuinamente e veracemente servono il Signore”3. La Chiesa di Constantinopoli ha sempre cercato il dialogo di riconciliazione, dando “il sacro segnale dell’abolizione del muro divisorio dello scisma, e la restaurazione dell’unione di tutti, per la prevalenza della pace di Cristo sulla terra”4 come disse il Patriarca Atenagora di beata memoria al Cardinale Bea. Molteplici circostanze, nel corso della storia, dimostrano che il Patriarcato Ecumenico, da sempre, ha ritenuto che l’indifferenza per le vicende ecclesiastiche, era in contrasto con la missione che esso aveva nel corpo della Chiesa. Il Patriarcato Ecumenico, lottando contro innumerevoli difficoltà che impedivano l’adempimento del suo sacro mandato, e combattendo per la tutela del sacro deposito spirituale dell’eredità cristiana, del quale rimaneva custode e depositario, non ha mai smesso di tenere i propri occhi rivolti all’idea sublime dell’unità dei cristiani. Così, avendo la profonda consapevolezza che l’unità è la caratteristica essenziale della Chiesa, e che la divisione della cristianità è contraria alla volontà del Signore, il quale vuole “che tutti siano uno” (Giovanni, 17, 21), Costantinopoli cercò il contatto, l’incontro e il dialogo con la Chiesa divisa, poiché, come diceva il mio compianto maestro, il Metropolita Crisostomos di Efeso, il perseguimento del dialogo “fu l’unico modo di determinare la posizione della parte che rettamente professa la fede, di fronte a chi è nell’errore”5. La storia ci informa che già subito dopo il grande scisma del 1054, innumerevoli furono i tentativi per lo svolgimento del dialogo teologico tra l’Oriente Ortodosso e l’Occidente Latino. Tentativi di unione dal XI al XV secolo, sotto gli imperatori Alessio Comneno (1081-1118), Manuele Comneno (1143-1180), Giovanni Dukas Vatatze (1222-1255), Michele VIII Paleologo (1274), Andronico III Paleologo (1328-1341), e Giovanni VII Paleologo (1438-1439), al Concilio di FerraraFirenze, furono chiari esempi dell’intenzione della Nuova Roma di riconciliarsi e ristabilire la comunione con l’Antica Roma. Indipendentemente dal fatto che la questione della riunificazione delle due Chiese sorelle non veniva sempre collocata 3 Lettera CXIV a Tarso, Migne, PG. 32, 528. 4 Tomos Agapis, Vatican-Phanar (1959-1970), Rome-Istanbul, 1971, 206. 5 CRISOSTOMO DI MIRA, Prospettive ortodosse, tomo I, Tertios, 1991, 232. 5 su una base retta, ma veniva trasformata in una questione politica e in un mezzo per raggiungere scopi estranei.6 L’elezione del Patriarca Atenagora al Trono Ecumenico nel Novembre del 1948 segnò una nuova epoca. Nel suo discorso di intronizzazione rivolse il consueto saluto di pace non solo ai Capi delle Chiese Ortodosse, ma anche ai Capi delle altre Chiese Cristiane, di Roma, della Chiesa d’Inghilterra, della Chiesa Episcopale, e delle diverse confessioni protestanti, “tendendo la mano anche a loro per una collaborazione di fronte ai pericoli contro la Chiesa e la società”7 come disse testualmente. Nell’ambito dei rapporti intercristiani si presentò dal primo giorno del suo mandato Patriarcale, come successore della diaconia del Fanar sulla linea che avevano indicato i suoi illustri predecessori, soprattutto il Patriarca Gioacchino III. E non dimentichiamo il fatto che, quando Gioacchino III, con le sue Encicliche note, toccava l’argomento cruciale e impellente della concordia e dell’unità della Chiesa Ortodossa, all’epoca tormentata da controversie e scismi, nello stesso tempo, metteva in rilievo, all’attenzione dei capi della Chiesa Ortodossa, anche la questione “delle nostre relazioni con i due principali rami del Cristianesimo, vale a dire la Chiesa d’Occidente e la Chiesa Protestante”, sostenendo il fatto di trovare modi “di avvicinamento amichevole e reciproco”8 tra esse, dal momento che, come sottolineava “anche loro credendo nella Santissima Trinità e onorandosi del nome del nostro Signore Gesù Cristo, sperano di essere salvati per grazia di Dio”9. Ma la particolarità del contributo di Atenagora alla generale diaconia ecumenica del Fanar, consiste nella sua irremovibile volontà di promuovere il dialogo dell’amore e della verità, nonostante le reazioni costanti e dirette che incontrava nella realizzazione delle sue visioni per una riconciliazione e collaborazione cristiana. E questo, da parte di coloro che ritenevano (e persino oggi ve ne sono parecchi che lo ritengono), che “il nome di Cristo viene glorificato soltanto e soprattutto mediante contrapposizioni fanatiche, scomuniche reciproche, e scontri smisurati”10. 6 KARMIRI, La chiesa ortodossa in dialogo, Atene, 1975, 72. 7 Rivista Ortodossia, anno XXIV, (1949), 41. 8 Enciclica 1902, Gioacchino III, Tertios 1989, 26-34. 9 Idem, PG. 43. 10 Rivista Enatemis, XVI, Gennaio-Aprile 2012, 54. 6 Parlando ai padri del Monte Athos, durante la sua visita all’Athos nel 1963, il Patriarca Atenagora diceva: “Metto in rilievo, con tutta la mia forza, che non vi è cosa più dolce per l’uomo del porsi in dialogo con l’altro. E non vi è maggior sfortuna per l’uomo del non essere in dialogo con l’altro…Se il mondo è diviso, questo è dovuto alla mancanza di dialogo tra gli uomini”11. Circa un decennio dopo la sua elezione al Trono Ecumenico, il patriarca Atenagora e il Santo e Sacro Sinodo attorno a lui, presero l’iniziativa di ripristinare la procedura preparatoria di un Sinodo Panortodosso, procedura interrotta per varie ragioni. Nell’Ottobre del 1958, il Papa Giovanni XXIII, nella sua prima omelia radiofonica, chiese un rapido ritorno di tutti i cristiani d’Oriente alla Chiesa Cattolica Romana, e disse che li aspettava “a braccia aperte” e con “amore paterno”. Il Patriarca Atenagora diede la risposta durante il suo messaggio di Capodanno del 1° Gennaio 1959; inoltre, inviò a Roma l’Arcivescovo Giacomo d’America, nel marzo dello stesso anno, con il messaggio che non venisse ripetuta la proposta del Papa di un ritorno degli altri cristiani a Roma. Il Papa accolse positivamente questa iniziativa del Patriarca e assicurò che il ristabilimento dell’unità non sarebbe avvenuto con il ritorno, ma con l’amore e la preghiera e che, se non fossero stati messi in atto i princìpi della Rivoluzione Francese “libertà, fraternità, ugualianza” non sarebbe stato possibile ottenere né la pace tra i popoli, né l’unità tra le Chiese. “Riferite queste cose, per favore, al Patriarca” concluse il Papa. Certamente il Concilio Vaticano II ebbe un ruolo importante nell’apertura della Chiesa Cattolica Romana e, in generale, negli sviluppi ecumenici con la Chiesa Ortodossa. È in mezzo a questo clima generale, che si raggiunse anche la revoca delle scomuniche del 1054, che ebbe luogo contemporaneamente a Roma e al Fanar, il 7 Dicembre del 1965, 50 anni fa. Evento storico e di grandissimo significato. Se si mettono a confronto gli avvenimenti del passato, nel corso del secondo millennio, con questa azione comune di riconciliazione e di perdono, non si può non innalzare lodi al Buon Dio per la grazia concessa nella sua Chiesa. 11 PANOTI A., Paolo VI-Atenagora I, Irinopil, Atene 1971, 46. 7 Con questa azione entrambe le Chiese sanno cosa fecero di preciso. Sanno che con le scomuniche personali di allora non fu creato né fu fissato in modo definitivo il Grande Scisma tra di loro. Lo Scisma accadde per l’estraneazione e la differenziazione nella fede e nel diritto canonico. Conseguentemente, con la revoca delle scomuniche e con il loro allontanamento dalla memoria della Chiesa, non si revocò, né era possibile che venisse revocato lo scisma esistente tra le nostre Chiese, dal momento che, con questa azione, le divergenze attuali non sono state eliminate. Il 7 dicembre 1965 avvenne un fatto di comune buona volontà che ebbe come fondamento la riconciliazione e l’amore. Era stato allontanato un problema serio dalle relazioni delle due chiese ed era stato fatto un serio passo nel cammino verso il ristabilimento della piena unità dei cristiani. “La nostra speranza ed il nostro desiderio è che il cammino degli sforzi ecumenici, giunga alla piena comunione della fede, della fraterna armonia e della vita sacramentale, che esisteva ininterrotta nel primo millennio della vita della Chiesa”, come sottolinea il Tomos Agapis. Papa Benedetto, quando era il professor Ratzinger, valutando la questione disse che “il fatto centrale nella revoca delle scomuniche è che: il rapporto dell’amore che si è raffreddato, delle contrapposizioni, della diffidenza e degli antagonismi è stato sostituito dal rapporto d’amore, della fratellanza, delle quali il bacio fraterno è il simbolo. Il simbolo dello scisma è stato sostituito dal simbolo dell’amore” conclude il Papa. Alla fine di tutto ciò tuttavia, permettetemi di dire che il più grande successo con la revoca delle scomuniche è che: si è aperta la strada per i contatti tra i cristiani su tutti i livelli. Dopo il ristabilimento di un clima d’amore e di fratellanza ai più alti livelli di governo delle nostre Chiese, questo amore ha iniziato ad estendersi come una brezza divina anche alle Chiese locali, ai vescovi, ai sacerdoti e ai nostri fedeli. A ciò hanno contribuito molto anche fattori storici concreti: 1. L’emigrazione e la diaspora dei cristiani. Cristiani di tutte le confessioni si sono stabiliti in paesi che tradizionalmente sono sotto la giurisdizione di altre confessioni. Questo ha contribuito a non sentire la verità come proprietà esclusiva; ha approffondito l’amore e la convivenza pacifica; ha coltivato il rispetto alla fede, aglli usi e ai costumi degli altri cristiani. Le 8 maggioranze hanno aiutato le minoranze ad acquistare propri luoghi di culto, molte volte hanno ceduto i loro luoghi di culto per le necessità ecclesiastiche dei loro fratelli. Li hanno aiutati a stabilirsi economicamente. 2. I matrimoni misti tra cristiani di diverse appartenenze hanno costituito famiglie dalla doppia confessione. Lì dove era impensabile spiegare in teoria e mettere assieme chiese tradizionalmente diverse e rivali tra di loro, gli uomini semplici vi sono riusciti, attraverso le loro famiglie, vivendo in pace e sposandosi, o se voltete, unendo le Chiese attraverso la loro unione in una sola carne. 3. Le parrocchie confinanti delle diverse Chiese hanno scoperto i dolci frutti dalle azioni comuni e dalla collaborazione su temi di comune interesse o anche su temi di comune testimonianza cristiana di fronte al mondo. 4. I sinodi hanno aperto le loro porte anche ai vescovi di altre confessioni, invitandoli come osservatori e come fratelli, domandando loro, frequentemente, di contribuire con i loro punti di vista, alla ricerca di soluzioni agli attuali problemi ecclesiali. Un esempio splendido, anzi storico, in quanto avvenuto per la prima volta, fu l’invito che venne rivolto al Patriarca Ecumenico Bartolomeo a prendere parte e a parlare al XII Sinodo ordinario dei vescovi Cattolici, nell’anno 2008, a Roma. 5. La necessità di una comune testimonianza cristiana, perticolarmente in alcune aree geografiche dove il cristianesimo costituisce una minoranza, ha portato i cristiani ad una stretta collaborazione, lasciando da parte le diversità del passato e demolendo i muri dei pregiudizi. Esempi: a) la comune festività della Pasqua, b) celebrazione dei Sacramenti comuni del matriomonio e del battesimo, c) riconoscimento dei sacramenti degli altri, d) e ancora l’ammissione al sacramento della Divina Eucarestia, anche se a determinate condizioni. Vi farò un esempio avvenuto di recente a Costantinopoli: il 16 ottobre ha avuto luogo al Patriarcato Ecumenico la presentazione di un libro dal titolo: “I principi fondamentali del Cristianesimo”. Un libro che è stato redatto da una commissione mista di tutte le Chiese di Turchia e contiene gli insegnamenti comunemente accettati dal Cristianesimo, lasciando da parte le differenze che esistono tra le confessioni. E questo lo abbiamo fatto per avere una comune 9 testimonianza di cristiani, di fronte ad una popolazione maggioritaria di fede islamica, come lo è quella turca. Permettetemi qui di rievocare alcuni avvenimenti, che sono stati registrati tutti come avvenuti per la prima volta nella storia. Credo debbano, tutti, il loro inizio e la loro causa al clima creatosi con la revoca delle scomuniche e l’avvicinamento amorevole delle nostre Chiese. 25-26 Luglio 1967: Visita di papa Paolo VI al Fanar, e incontro col Patriarca Atenagora. “Basta” gridarono i Cardinali che accompagnavano il Pontefice, quando Paolo VI, senza lasciarsi influenzare da quanto prevede il protocollo, scese velocemente la scala dell’aeroplano per baciare il Patriarca Atenagora. 26 ottobre 1967: Visita del Patriarca Atenagora alla Santa Sede dove si incontrò con Papa Paolo VI. Da allora le visite reciproche tra Patriarchi e Papi, al Fanar e a Roma, vengono considerate visite di routine. Questo, tuttavia, prima era inconcepibile. 14 dicembre 1975: Undici anni dopo la revoca delle scomuniche, Papa Paolo VI si inginocchia davanti al rappresentante del Patriarca Ecumenico, il Metropolita Melitone di Calcedonia e bacia i suoi piedi. 30 novembre 1979: Papa Giovanni Paolo II visita il Fanar, incontra il Patriarca Dimitrios e viene annunciata ufficialmente la costituzione di una Commissione Teologica Mista per condurre il dialogo tra la Chiesa Ortodossa e la Chiesa Cattolica Romana. 30 dicembre 1987: Il Patriarca Dimitrios visita Roma e sottoscrive una comune dichiarazione con Papa Giovanni Paolo II. 27-30 giugno 1995: Il Patriarca Bartolomeo visita per la prima volta la Santa Sede e incontra Papa Giovanni Paolo II. 24 gennaio 2002: I Patriarchi di Costantinopoli e di Antiochia e l’Arcivescovo di Albania, presenziano al Giorno di Preghiera per la Pace, che organizza Papa Giovanni Paolo II ad Assisi, in Italia. 29 giugno 2004: Il Patriarca Bartolomeo compie la sua terza visita in Vaticano e festeggia assieme a Giovanni Paolo II il quarantesimo anniversario dalla revoca delle scomuniche. 10 27 novembre 2004: Papa Giovanni Paolo II resituisce al Patriarca Ecumenico Bartolomeo le reliquie dei Santi Gregorio il Teologo e Giovanni Crisostomo, rubate a Costantinopoli durante la Quarta Crociata. Per la prima volta un Patriarca Ecumenico, Bartolomeo I, è presente e prega al funerale di un Papa, Giovanni Paolo II. 30 novembre 2006: Visita di Papa Benedetto XVI al Fanar e incontro col Patriarca Ecumenico Bartolomeo. Il momento in cui il Papa e il Patriarca con le mani unite e alzate benedicono i fedeli , attraverso l’obiettivo fotografico, fa il giro del mondo. 18 marzo 2013: Il Patriarca Ecumenico si incontra, non ufficialmente, col nuovo Pontefice Francesco, circa 24 ore dopo la sua elezione. Per la prima volta nella storia del cristianesimo un Patriarca Ecumenico, Bartolomeo I, assiste alla cerimonia di intronizzazione di un Papa, Papa Francesco. Per la prima volta! Per la prima volta! Per la prima volta! La storia dimostra, amati padri e fratelli, signore e signori, fratelli miei amati Cattolici Romani, che quando i padri e le guide spirituali, nostri Condottieri, ci mostrano la via giusta, allora il giorno della fratellanza, il giorno del ristabilimento della pace, il giorno del comune calice non tarderà a venire. Come lo Scisma non avvenne in un preciso istante, ma fu provocato dal pluriennale accumularsi di allontanamento e di intolleranza, così anche l’Unità non avverrà solo con l’atteso accordo sulle nostre differenze teologiche, ma sarà edificata con pazienza, con perseveranza, con la preghiera, con amore, con la collaborazione di noi tutti, fedeli di ogni grado, chierici e laici, uomini e donne, giovani e anziani. Proprio per questo, esprimo ancora una volta la mia riconoscenza per questo invito a rivolgermi a voi, fratelli miei e sorelle mie della Calabria, non solo per la gentilezza di avermi chiamato, ma per dovere ecclesiale, poiché in questo modo avete posto una pietra in più all’edificio, costruito da Dio, dell’unità cristiana, procedendo sui passi apostolici dei nostri superiori ecclesiali, Sua Santità il Papa Francesco e Sua Santità il Patriarca Ecumenico Bartolomeo. Vi ringrazio tanto! 11