LA CULTURA DELL`INCONTRO 50 ANNI DOPO LA REVOCA

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LA CULTURA DELL`INCONTRO 50 ANNI DOPO LA REVOCA
LA CULTURA DELL’INCONTRO
50 ANNI DOPO LA REVOCA DELLE SCOMUNICHE
Discorso
di Sua Eminenza il Metropolita di Bursa Mons. Elpidophoros
Egumeno del Sacro Monastero della Santa Trinità di Chalki
(Catanzaro, Italia, 24 ottobre 2015)
Eccellenza Rev.ma Mons. Donato Oliverio, Vescovo della Eparchia di Lungro,
Illustri ospiti,
Signore e Signori,
È per me una grande gioia e un grande onore, avere l’opportunità di
rivolgermi a voi, a questo prestigioso pubblico, composto da fratelli Cattolici
Romani con i quali ci lega una storia comune, la fede comune e la coscienza
ecclesiale comune, lo stesso amore per il Cristo crocifisso e risorto.
Ringrazio, in particolar modo e in primo luogo Lei, Eccellenza Rev.ma
Vescovo Donato, per il suo gentile invito, nonché i suoi illustri collaboratori,
specialmente il Sig. Avato per questa perfetta organizzazione.
Le nostre chiese, quella Cattolica e quella Ortodossa, stanno attraversando
ai nostri giorni un periodo di fioritura di buone relazioni e di rapporti fraterni.
Questa particolare e positiva atmosfera, della quale noi oggi godiamo con tanta
gioia, dal punto di vista storico è un fenomeno relativamente nuovo nella storia del
Cristianesimo. Molti nostri padri, Papi e Patriarchi, Cardinali e Vescovi, teologi e
monaci hanno faticato e lavorato duramente, perché diventasse oggi realtà, quanto
1
immaginato: poter dialogare senza intolleranza, pregare insieme, vivere
pacificamente, aiutarsi l’un l’altro nei momenti difficili, intraprendere un dialogo
teologico e avere certa la prospettiva per la riunificazione e la piena comunione nei
sacramenti.
“Il nome della Chiesa è nome di sinfonia e di concordia”1, sottolineava San
Giovanni Crisostomo ai suoi tempi. Eppure, la storia dei dissidi cristiani è tanto
antica, quanto è antica la storia di questa Chiesa. Come osservava Teodoro Studita
“Dagli Apostoli in poi, in molti modi, molte eresie irruppero contro la Chiesa e
subentrarono molte impurità empie e non canoniche”2. La Chiesa “Una” di Cristo e la
unica fede nel Dio e Salvatore Gesù, che, come testimoniano gli Atti degli Apostoli,
fu accolta con “semplicità di cuore” dalla Chiesa Nascente (Atti, 2, 46), cominciò
rapidamente a spezzettarsi, nella misura in cui tutto il mondo cristiano ancora in
fase iniziale, apparve come un mosaico di percezioni contrastanti per una sola e
medesima cosa: la verità rivelata.
Le Scomuniche dell’anno 1054.
Per comprendere il valore e l’importanza della revoca delle scomuniche,
bisogna prima vedere cosa accadde allora, nell’anno 1054.
Fin dall’inizio devo sottolineare che le scomuniche del Luglio 1054
avvennero in un clima di già esistenti diffidenze e di alienazione di entrambi i
mondi, delle Chiese d’Oriente e d’Occidente, cioè in una situazione di distanza già
esistente, di rapporti negativi e di sospetto. Ciò non vuol dire che vi fosse
semplicemente una mancanza di comunicazione, ma significa che vi era un
allontamento teologico e una differenziazione su punti fondamentali, teologici e
strutturali, dei due mondi ecclesiastici.
Le scomuniche del 1054, quindi, non crearono questa situazione, ma
nemmeno la determinarono in modo definitivo. Ciò significa che queste
scomuniche, nonostante l’opinione generalmente dominante, non crearono dal
nulla il grande Scisma tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente, e neppure resero
definitiva la già esistente distanza. Questa constatazione è importante, sia per
interpretare gli eventi di allora, sia per valorizzare giustamente la revoca delle
scomuniche del 1965, 50 anni fa.
1
GIOVANNI CRISOSTOMO, Migne, PG, 61, 646.
2
Lettera 28, Migne, PG, 99, 1003.
2
Che cosa successe, poi, nel 1054 con quei dolorosi avvenimenti a
Constantinopoli? In quel periodo vivevano due forti personalità nei centri
ecclesiastici dell’Occidente e dell’Oriente: il Papa Leone IX a Roma e il Patriarca di
Constantinopoli Michele Cerulario. I rapporti ecclesiastici tra le due Chiese erano
tesi, soprattutto a causa della situazione ecclesiastica di qui, del Sud Italia e della
Sicilia, e inoltre in relazione al movimento riformatore di Cluny, ma anche per la
pubblicazione di trattati polemici.
Ma un evento costrinse le due Chiese a venire in contatto e a collaborare: la
discesa dei Normanni dal Nord Italia costituì un pericolo comune, un nemico
comune, un fatto che richiese un’azione congiunta e di alleanza. Per questo motivo
il Papa inviò una delegazione a Constantinopoli per negoziare. Lo scopo della
missione fu quello dei negoziati per un’alleanza, e non per le scomuniche e per le
condanne.
Purtroppo la situazione tesa, la diffidenza e l’allontanamento istituzionale dei
due mondi ecclesiastici, non crearono le condizioni favorevoli per il successo della
missione. Certamente anche il capo della rappresentanza d’Occidente, il Cardinale
Umberto, non era il più idoneo per questa missione ed ebbe un ruolo molto
negativo nello sviluppo degli eventi con il suo comportamento offensivo. In questo
clima negativo, il Cardinale scrisse e depose l’anatema contro il Patriarca
sull’Altare di Santa Sofia. Il testo dell’anatema, oltre ad essere il risultato di
confusione e di nervosismo, fu nullo, perché:
a) La delegazione pontificia non aveva avuto dal Papa il mandato di
scomunicare alcuno.
b) anche se avesse avuto un tale mandato, l’anatema era nullo ugualmente,
poiché il Papa, l’autorità mandante, era già deceduto e il Cardinale
Umberto ne era a conoscenza.
c) anche se avesse avuto validità come anatema personale, di iniziativa
autonoma del Cardinale contro il Patriarca, tale anatema cessava di valere
dopo la morte di colui che emetteva la scomunica, secondo il Diritto
Canonico Romano Cattolico.
In entrambi i casi, anche se si trattasse di un anatema nullo, abbiamo una
scomunica soltanto personale e non da parte di una Chiesa contro un’altra. Di
conseguenza, questo anatema non creò il grande Scisma tra le due Chiese.
3
Il grande teologo Papa Benedetto XVI, in quanto professore Joseph
Ratzinger, concorda con il teologo ortodosso John Meyendorff sul fatto che le
scomuniche dell’anno 1054 non riguardavano le Chiese, ma concrete persone
storiche, e che il Cardinale Umberto oltrepassò l’ordine ricevuto e, ancora, che
l’anno 1054 non deve essere considerato come l’anno dello scisma.
Certamente nessuno può negare che queste scomuniche giocarono un ruolo
significativo nell’estraneazione delle due Chiese e che, senza dubbio,
influenzarono simbolicamente e psicologicamente l’allontanamento delle due
Chiese e la cesura definitiva di ogni contatto e comunione.
Ma allora si pone la domanda: quale fu il momento definitivo del Grande
Scisma tra le due Chiese?
Come la ricerca e la realtà storica dimostrano, lo Scisma non avvenne in un
preciso momento, né in una data particolare. Al contrario, si constata che
l’alienazione tra le due Chiese avvenne gradualmente nell’arco, non solo di molti
anni, ma potremmo dire, di molti secoli. Alcune volte avveniva in modo diverso, in
luoghi diversi e non sempre per le stesse ragioni. Si presentavano di volta in volta
crisi e tensioni. Altre volte i rapporti miglioravano e veniva ripristinata la
comunione ecclesiastica, la cui sospensione, molte volte, durava degli anni o anche
dei decenni.
Per la datazione del Grande Scisma concordano, generalmente, le opinioni
di coloro che affermano che gli eventi drammatici, con il triste esito della IV
Crociata del 1204, ebbero un ruolo molto più negativo nell’estraneazione delle due
Chiese, di quanto lo ebbero i tristi eventi del 1054. La caduta e il saccheggio di
Costantinopoli da parte dei cristiani dell’Occidente, la creazione di una doppia
gerarchia con la nomina di un Patriarca Latino a Costantinopoli, mentre il legittimo
Patriarca era in esilio e in vita, il collocamento parallelo di vescovi latini in tutto
l’Oriente, dove i Crociati si erano stabiliti, costituirono la principale pietra miliare
per l’estraneazione e la ferita interiore dei cristiani dell’Oriente. Di conseguenza,
allora non vennero alla ribalta divergenze dogmatiche o contese teologiche. Queste
seguirono dopo.
Così che, attraverso i secoli, in seguito alla sollecitazione di Basilio il
Grande: “…essendosi in gran parte raffreddato l’amore…” il ”…ricondurre verso l’unione
le Chiese, le quali sono state divise reciprocamente molte volte e in molti modi” fu un
4
dovere impellente di quanti “genuinamente e veracemente servono il Signore”3. La
Chiesa di Constantinopoli ha sempre cercato il dialogo di riconciliazione, dando “il
sacro segnale dell’abolizione del muro divisorio dello scisma, e la restaurazione dell’unione
di tutti, per la prevalenza della pace di Cristo sulla terra”4 come disse il Patriarca
Atenagora di beata memoria al Cardinale Bea.
Molteplici circostanze, nel corso della storia, dimostrano che il Patriarcato
Ecumenico, da sempre, ha ritenuto che l’indifferenza per le vicende ecclesiastiche,
era in contrasto con la missione che esso aveva nel corpo della Chiesa. Il
Patriarcato Ecumenico, lottando contro innumerevoli difficoltà che impedivano
l’adempimento del suo sacro mandato, e combattendo per la tutela del sacro
deposito spirituale dell’eredità cristiana, del quale rimaneva custode e depositario,
non ha mai smesso di tenere i propri occhi rivolti all’idea sublime dell’unità dei
cristiani. Così, avendo la profonda consapevolezza che l’unità è la caratteristica
essenziale della Chiesa, e che la divisione della cristianità è contraria alla volontà
del Signore, il quale vuole “che tutti siano uno” (Giovanni, 17, 21), Costantinopoli
cercò il contatto, l’incontro e il dialogo con la Chiesa divisa, poiché, come diceva il
mio compianto maestro, il Metropolita Crisostomos di Efeso, il perseguimento del
dialogo “fu l’unico modo di determinare la posizione della parte che rettamente professa la
fede, di fronte a chi è nell’errore”5.
La storia ci informa che già subito dopo il grande scisma del 1054,
innumerevoli furono i tentativi per lo svolgimento del dialogo teologico tra
l’Oriente Ortodosso e l’Occidente Latino. Tentativi di unione dal XI al XV secolo,
sotto gli imperatori Alessio Comneno (1081-1118), Manuele Comneno (1143-1180),
Giovanni Dukas Vatatze (1222-1255), Michele VIII Paleologo (1274), Andronico III
Paleologo (1328-1341), e Giovanni VII Paleologo (1438-1439), al Concilio di FerraraFirenze, furono chiari esempi dell’intenzione della Nuova Roma di riconciliarsi e
ristabilire la comunione con l’Antica Roma. Indipendentemente dal fatto che la
questione della riunificazione delle due Chiese sorelle non veniva sempre collocata
3
Lettera CXIV a Tarso, Migne, PG. 32, 528.
4
Tomos Agapis, Vatican-Phanar (1959-1970), Rome-Istanbul, 1971, 206.
5
CRISOSTOMO DI MIRA, Prospettive ortodosse, tomo I, Tertios, 1991, 232.
5
su una base retta, ma veniva trasformata in una questione politica e in un mezzo
per raggiungere scopi estranei.6
L’elezione del Patriarca Atenagora al Trono Ecumenico nel Novembre del
1948 segnò una nuova epoca. Nel suo discorso di intronizzazione rivolse il
consueto saluto di pace non solo ai Capi delle Chiese Ortodosse, ma anche ai Capi
delle altre Chiese Cristiane, di Roma, della Chiesa d’Inghilterra, della Chiesa
Episcopale, e delle diverse confessioni protestanti, “tendendo la mano anche a loro per
una collaborazione di fronte ai pericoli contro la Chiesa e la società”7 come disse
testualmente. Nell’ambito dei rapporti intercristiani si presentò dal primo giorno
del suo mandato Patriarcale, come successore della diaconia del Fanar sulla linea
che avevano indicato i suoi illustri predecessori, soprattutto il Patriarca Gioacchino
III. E non dimentichiamo il fatto che, quando Gioacchino III, con le sue Encicliche
note, toccava l’argomento cruciale e impellente della concordia e dell’unità della
Chiesa Ortodossa, all’epoca tormentata da controversie e scismi, nello stesso
tempo, metteva in rilievo, all’attenzione dei capi della Chiesa Ortodossa, anche la
questione “delle nostre relazioni con i due principali rami del Cristianesimo, vale a dire la
Chiesa d’Occidente e la Chiesa Protestante”, sostenendo il fatto di trovare modi “di
avvicinamento amichevole e reciproco”8 tra esse, dal momento che, come sottolineava
“anche loro credendo nella Santissima Trinità e onorandosi del nome del nostro Signore
Gesù Cristo, sperano di essere salvati per grazia di Dio”9.
Ma la particolarità del contributo di Atenagora alla generale diaconia
ecumenica del Fanar, consiste nella sua irremovibile volontà di promuovere il
dialogo dell’amore e della verità, nonostante le reazioni costanti e dirette che
incontrava nella realizzazione delle sue visioni per una riconciliazione e
collaborazione cristiana. E questo, da parte di coloro che ritenevano (e persino oggi
ve ne sono parecchi che lo ritengono), che “il nome di Cristo viene glorificato soltanto e
soprattutto mediante contrapposizioni fanatiche, scomuniche reciproche, e scontri
smisurati”10.
6
KARMIRI, La chiesa ortodossa in dialogo, Atene, 1975, 72.
7
Rivista Ortodossia, anno XXIV, (1949), 41.
8
Enciclica 1902, Gioacchino III, Tertios 1989, 26-34.
9
Idem, PG. 43.
10
Rivista Enatemis, XVI, Gennaio-Aprile 2012, 54.
6
Parlando ai padri del Monte Athos, durante la sua visita all’Athos nel 1963,
il Patriarca Atenagora diceva: “Metto in rilievo, con tutta la mia forza, che non vi è cosa
più dolce per l’uomo del porsi in dialogo con l’altro. E non vi è maggior sfortuna per l’uomo
del non essere in dialogo con l’altro…Se il mondo è diviso, questo è dovuto alla mancanza
di dialogo tra gli uomini”11.
Circa un decennio dopo la sua elezione al Trono Ecumenico, il patriarca
Atenagora e il Santo e Sacro Sinodo attorno a lui, presero l’iniziativa di ripristinare
la procedura preparatoria di un Sinodo Panortodosso, procedura interrotta per
varie ragioni.
Nell’Ottobre del 1958, il Papa Giovanni XXIII, nella sua prima omelia
radiofonica, chiese un rapido ritorno di tutti i cristiani d’Oriente alla Chiesa
Cattolica Romana, e disse che li aspettava “a braccia aperte” e con “amore
paterno”. Il Patriarca Atenagora diede la risposta durante il suo messaggio di
Capodanno del 1° Gennaio 1959; inoltre, inviò a Roma l’Arcivescovo Giacomo
d’America, nel marzo dello stesso anno, con il messaggio che non venisse ripetuta
la proposta del Papa di un ritorno degli altri cristiani a Roma. Il Papa accolse
positivamente questa iniziativa del Patriarca e assicurò che il ristabilimento
dell’unità non sarebbe avvenuto con il ritorno, ma con l’amore e la preghiera e che,
se non fossero stati messi in atto i princìpi della Rivoluzione Francese “libertà,
fraternità, ugualianza” non sarebbe stato possibile ottenere né la pace tra i popoli,
né l’unità tra le Chiese. “Riferite queste cose, per favore, al Patriarca” concluse il
Papa.
Certamente il Concilio Vaticano II ebbe un ruolo importante nell’apertura
della Chiesa Cattolica Romana e, in generale, negli sviluppi ecumenici con la
Chiesa Ortodossa.
È in mezzo a questo clima generale, che si raggiunse anche la revoca delle
scomuniche del 1054, che ebbe luogo contemporaneamente a Roma e al Fanar, il 7
Dicembre del 1965, 50 anni fa. Evento storico e di grandissimo significato. Se si
mettono a confronto gli avvenimenti del passato, nel corso del secondo millennio,
con questa azione comune di riconciliazione e di perdono, non si può non
innalzare lodi al Buon Dio per la grazia concessa nella sua Chiesa.
11
PANOTI A., Paolo VI-Atenagora I, Irinopil, Atene 1971, 46.
7
Con questa azione entrambe le Chiese sanno cosa fecero di preciso. Sanno
che con le scomuniche personali di allora non fu creato né fu fissato in modo
definitivo il Grande Scisma tra di loro. Lo Scisma accadde per l’estraneazione e la
differenziazione nella fede e nel diritto canonico. Conseguentemente, con la revoca
delle scomuniche e con il loro allontanamento dalla memoria della Chiesa, non si
revocò, né era possibile che venisse revocato lo scisma esistente tra le nostre
Chiese, dal momento che, con questa azione, le divergenze attuali non sono state
eliminate.
Il 7 dicembre 1965 avvenne un fatto di comune buona volontà che ebbe
come fondamento la riconciliazione e l’amore. Era stato allontanato un problema
serio dalle relazioni delle due chiese ed era stato fatto un serio passo nel cammino
verso il ristabilimento della piena unità dei cristiani. “La nostra speranza ed il
nostro desiderio è che il cammino degli sforzi ecumenici, giunga alla piena
comunione della fede, della fraterna armonia e della vita sacramentale, che esisteva
ininterrotta nel primo millennio della vita della Chiesa”, come sottolinea il Tomos
Agapis.
Papa Benedetto, quando era il professor Ratzinger, valutando la questione
disse che “il fatto centrale nella revoca delle scomuniche è che: il rapporto
dell’amore che si è raffreddato, delle contrapposizioni, della diffidenza e degli
antagonismi è stato sostituito dal rapporto d’amore, della fratellanza, delle quali il
bacio fraterno è il simbolo. Il simbolo dello scisma è stato sostituito dal simbolo
dell’amore” conclude il Papa.
Alla fine di tutto ciò tuttavia, permettetemi di dire che il più grande
successo con la revoca delle scomuniche è che: si è aperta la strada per i contatti tra
i cristiani su tutti i livelli. Dopo il ristabilimento di un clima d’amore e di
fratellanza ai più alti livelli di governo delle nostre Chiese, questo amore ha
iniziato ad estendersi come una brezza divina anche alle Chiese locali, ai vescovi,
ai sacerdoti e ai nostri fedeli.
A ciò hanno contribuito molto anche fattori storici concreti:
1. L’emigrazione e la diaspora dei cristiani. Cristiani di tutte le confessioni si
sono stabiliti in paesi che tradizionalmente sono sotto la giurisdizione di
altre confessioni. Questo ha contribuito a non sentire la verità come
proprietà esclusiva; ha approffondito l’amore e la convivenza pacifica; ha
coltivato il rispetto alla fede, aglli usi e ai costumi degli altri cristiani. Le
8
maggioranze hanno aiutato le minoranze ad acquistare propri luoghi di
culto, molte volte hanno ceduto i loro luoghi di culto per le necessità
ecclesiastiche dei loro fratelli. Li hanno aiutati a stabilirsi economicamente.
2. I matrimoni misti tra cristiani di diverse appartenenze hanno costituito
famiglie dalla doppia confessione. Lì dove era impensabile spiegare in
teoria e mettere assieme chiese tradizionalmente diverse e rivali tra di loro,
gli uomini semplici vi sono riusciti, attraverso le loro famiglie, vivendo in
pace e sposandosi, o se voltete, unendo le Chiese attraverso la loro unione in
una sola carne.
3. Le parrocchie confinanti delle diverse Chiese hanno scoperto i dolci frutti
dalle azioni comuni e dalla collaborazione su temi di comune interesse o
anche su temi di comune testimonianza cristiana di fronte al mondo.
4. I sinodi hanno aperto le loro porte anche ai vescovi di altre confessioni,
invitandoli come osservatori e come fratelli, domandando loro,
frequentemente, di contribuire con i loro punti di vista, alla ricerca di
soluzioni agli attuali problemi ecclesiali. Un esempio splendido, anzi
storico, in quanto avvenuto per la prima volta, fu l’invito che venne rivolto
al Patriarca Ecumenico Bartolomeo a prendere parte e a parlare al XII
Sinodo ordinario dei vescovi Cattolici, nell’anno 2008, a Roma.
5. La necessità di una comune testimonianza cristiana, perticolarmente in
alcune aree geografiche dove il cristianesimo costituisce una minoranza, ha
portato i cristiani ad una stretta collaborazione, lasciando da parte le
diversità del passato e demolendo i muri dei pregiudizi. Esempi: a) la
comune festività della Pasqua, b) celebrazione dei Sacramenti comuni del
matriomonio e del battesimo, c) riconoscimento dei sacramenti degli altri, d)
e ancora l’ammissione al sacramento della Divina Eucarestia, anche se a
determinate condizioni. Vi farò un esempio avvenuto di recente a
Costantinopoli: il 16 ottobre ha avuto luogo al Patriarcato Ecumenico la
presentazione di un libro dal titolo: “I principi fondamentali del
Cristianesimo”. Un libro che è stato redatto da una commissione mista di
tutte le Chiese di Turchia e contiene gli insegnamenti comunemente
accettati dal Cristianesimo, lasciando da parte le differenze che esistono tra
le confessioni. E questo lo abbiamo fatto per avere una comune
9
testimonianza di cristiani, di fronte ad una popolazione maggioritaria di
fede islamica, come lo è quella turca.
Permettetemi qui di rievocare alcuni avvenimenti, che sono stati registrati tutti
come avvenuti per la prima volta nella storia. Credo debbano, tutti, il loro inizio e
la loro causa al clima creatosi con la revoca delle scomuniche e l’avvicinamento
amorevole delle nostre Chiese.
25-26 Luglio 1967: Visita di papa Paolo VI al Fanar, e incontro col Patriarca
Atenagora. “Basta” gridarono i Cardinali che accompagnavano il Pontefice,
quando Paolo VI, senza lasciarsi influenzare da quanto prevede il protocollo, scese
velocemente la scala dell’aeroplano per baciare il Patriarca Atenagora.
26 ottobre 1967: Visita del Patriarca Atenagora alla Santa Sede dove si incontrò con
Papa Paolo VI. Da allora le visite reciproche tra Patriarchi e Papi, al Fanar e a
Roma, vengono considerate visite di routine. Questo, tuttavia, prima era
inconcepibile.
14 dicembre 1975: Undici anni dopo la revoca delle scomuniche, Papa Paolo VI si
inginocchia davanti al rappresentante del Patriarca Ecumenico, il Metropolita
Melitone di Calcedonia e bacia i suoi piedi.
30 novembre 1979: Papa Giovanni Paolo II visita il Fanar, incontra il Patriarca
Dimitrios e viene annunciata ufficialmente la costituzione di una Commissione
Teologica Mista per condurre il dialogo tra la Chiesa Ortodossa e la Chiesa
Cattolica Romana.
30 dicembre 1987: Il Patriarca Dimitrios visita Roma e sottoscrive una comune
dichiarazione con Papa Giovanni Paolo II.
27-30 giugno 1995: Il Patriarca Bartolomeo visita per la prima volta la Santa Sede e
incontra Papa Giovanni Paolo II.
24 gennaio 2002: I Patriarchi di Costantinopoli e di Antiochia e l’Arcivescovo di
Albania, presenziano al Giorno di Preghiera per la Pace, che organizza Papa
Giovanni Paolo II ad Assisi, in Italia.
29 giugno 2004: Il Patriarca Bartolomeo compie la sua terza visita in Vaticano e
festeggia assieme a Giovanni Paolo II il quarantesimo anniversario dalla revoca
delle scomuniche.
10
27 novembre 2004: Papa Giovanni Paolo II resituisce al Patriarca Ecumenico
Bartolomeo le reliquie dei Santi Gregorio il Teologo e Giovanni Crisostomo, rubate
a Costantinopoli durante la Quarta Crociata.
Per la prima volta un Patriarca Ecumenico, Bartolomeo I, è presente e prega
al funerale di un Papa, Giovanni Paolo II.
30 novembre 2006: Visita di Papa Benedetto XVI al Fanar e incontro col Patriarca
Ecumenico Bartolomeo. Il momento in cui il Papa e il Patriarca con le mani unite e
alzate benedicono i fedeli , attraverso l’obiettivo fotografico, fa il giro del mondo.
18 marzo 2013: Il Patriarca Ecumenico si incontra, non ufficialmente, col nuovo
Pontefice Francesco, circa 24 ore dopo la sua elezione.
Per la prima volta nella storia del cristianesimo un Patriarca Ecumenico,
Bartolomeo I, assiste alla cerimonia di intronizzazione di un Papa, Papa Francesco.
Per la prima volta! Per la prima volta! Per la prima volta!
La storia dimostra, amati padri e fratelli, signore e signori, fratelli miei amati
Cattolici Romani, che quando i padri e le guide spirituali, nostri Condottieri, ci
mostrano la via giusta, allora il giorno della fratellanza, il giorno del ristabilimento
della pace, il giorno del comune calice non tarderà a venire.
Come lo Scisma non avvenne in un preciso istante, ma fu provocato dal
pluriennale accumularsi di allontanamento e di intolleranza, così anche l’Unità non
avverrà solo con l’atteso accordo sulle nostre differenze teologiche, ma sarà
edificata con pazienza, con perseveranza, con la preghiera, con amore, con la
collaborazione di noi tutti, fedeli di ogni grado, chierici e laici, uomini e donne,
giovani e anziani.
Proprio per questo, esprimo ancora una volta la mia riconoscenza per
questo invito a rivolgermi a voi, fratelli miei e sorelle mie della Calabria, non solo
per la gentilezza di avermi chiamato, ma per dovere ecclesiale, poiché in questo
modo avete posto una pietra in più all’edificio, costruito da Dio, dell’unità
cristiana, procedendo sui passi apostolici dei nostri superiori ecclesiali, Sua Santità
il Papa Francesco e Sua Santità il Patriarca Ecumenico Bartolomeo.
Vi ringrazio tanto!
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