Un tentativo di ricostruzione del pensiero matematico nella

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Un tentativo di ricostruzione del pensiero matematico nella
Un tentativo di ricostruzione del pensiero matematico nella formazione
dei maestri
Donatella Iannece e Roberto Tortora
Dipartimento di Matematica e Applicazioni "R. Caccioppoli" - Università Federico II di Napoli
email: [email protected]
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“...andarli a prender là dove sono
e trovare una strada per accompagnarli
dove vogliamo che arrivino...”
Ludwig Wittgenstein
1. I problemi posti dall'insegnamento della matematica nel corso di laurea per
maestri.
Ciò che viene qui esposto è fondamentalmente il resoconto di un'esperienza condotta dagli
autori e tuttora in corso. Si tratta dell'organizzazione e dello svolgimento di un corso di
Fondamenti di Matematica all'interno del Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria.
Questo corso di laurea è stato avviato a Napoli all'Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa,
come del resto in altre sedi universitarie, nell'anno accademico 1998-1999. Nell'ordinamento
degli studi a Napoli, dopo un biennio dai contenuti esclusivamente umanistico-pedagogici, al terzo
anno figura il corso di Fondamenti di Matematica, costituito da due moduli di 30 ore ciascuno,
obbligatorio solo per gli studenti dell'Indirizzo "Scuola elementare". Ad esso seguirà al quarto
anno un terzo modulo di 30 ore di Didattica della Matematica.
In questo anno accademico 2000-2001 si tiene dunque per la prima volta a Napoli il corso
di Fondamenti di Matematica. L'importanza che un corso del genere riveste in termini di ricaduta
didattica nella scuola di base e la concomitanza con l'ampio dibattito attualmente in corso sulla
profonda ristrutturazione organizzativa e curricolare della stessa, ci sembrano già motivi sufficienti
per discuterne approfonditamente. Ma in aggiunta riteniamo che la nostra esperienza, preceduta e
sorretta da una base di riflessione teorica che è comune alle altre attività di ricerca e di formazione
sviluppate nel Nucleo di Napoli, per alcune sue caratteristiche, di cui diremo, costituisce una vera
e propria attività di ricerca sperimentale "sul campo", che già in questa fase iniziale ci sembra utile
sottoporre al confronto di una comunità di studiosi.
È necessario partire dalle difficoltà che un tale corso deve affrontare, che possiamo
distinguere in alcune di tipo organizzativo/burocratico e altre di carattere culturale.
Le prime sono legate alla collocazione ritardata e isolata del corso di matematica all'interno
del piano di studi degli studenti, alla quantità largamente insufficiente di ore disponibili, al numero
eccessivo di studenti e così via. Gli iscritti al terzo anno, per la scuola elementare, sono circa 120
di cui una media di 60-70 presenti in aula, con punte di 100 in momenti lontani da esami di
profitto relativi ad altri corsi. La consuetudine, come e più che in altri corsi di laurea, è quella di
frequentare poco i corsi (tranne quelli in cui si prendono le firme di frequenza), e limitarsi a
studiare dai testi consigliati in prossimità dell'esame.
Inoltre, pur avendo a disposizione due collaboratrici al corso, non è possibile prevedere
tempi aggiuntivi alle lezioni in aula da utilizzare come laboratori per piccoli gruppi, sia per
mancanza di spazi adeguati, sia perché gli studenti hanno al primo semestre sei corsi in
contemporanea e al secondo semestre le attività di tirocinio sovrapposte ad altri corsi.
Tali difficoltà rendono più acuto il problema culturale di fondo, identificabile nel fatto che gli
studenti che frequentano questo tipo di corso di laurea appaiono selezionati in partenza in
negativo, tra quelli cioè meno preparati in matematica, più estranei e addirittura ostili a questa
materia. Sono proprio gli studenti sui quali sono più evidenti i guasti di una formazione matematica
impartita nelle scuole secondo moduli e procedure inadeguati, dei quali tutti abbiamo piena
conoscenza.
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In questa comunicazione vorremmo mettere a fuoco soprattutto due aspetti problematici,
per illustrare le strategie adottate in relazione ad essi:
1) La profonda disomogeneità delle conoscenze di matematica, legata alla storia personale
e scolastica dei ragazzi. Sarebbe fin troppo facile riportare esempi di vero e proprio
analfabetismo matematico, sia per quanto riguarda le conoscenze, sia, ed è ancora peggio,
relative all'atteggiamento di fronte a questa disciplina. Nei compiti e nelle produzioni degli studenti
che abbiamo raccolto finora durante il corso, ci sono tante e tali "perle", che facilmente
indurrebbero allo scoramento. All'estremo opposto c'è ad esempio il caso di una ragazza che ha
concluso il primo anno del corso di laurea in matematica per trasferirsi poi al Corso di laurea per
maestri. E sono naturalmente presenti tutte le sfumature intermedie.
2) L'atteggiamento degli studenti nei confronti della matematica è quello consueto: o si è
"portati" o no per essa, e in entrambi i casi la questione è scarsamente importante e soprattutto
non modificabile.
Naturalmente poiché l'atteggiamento del docente si riflette sul suo modo di insegnare e
soprattutto si propaga quasi inevitabilmente agli studenti, è di capitale importanza cercare di
interrompere questo circolo perverso, che tende a confermare il diffuso cattivo rapporto che
hanno con la matematica bambini, adolescenti, insegnanti della scuola di base in formazione e in
servizio.
Il nostro corso si propone proprio questo ambizioso obiettivo: agire su questo anello della
catena, per rompere tale circolo vizioso.
La prima domanda che ci siamo posti è stata: quali contenuti inserire in un corso di
matematica per maestri? La risposta non è stata facile. Abbiamo scartato subito l'idea di trattare
tutti o buona parte degli argomenti di matematica che fanno parte dei programmi della scuola
elementare, sia perché sono già essi troppi per un corso come il nostro, sia perché è evidente che
non basta conoscere i contenuti da trasmettere per saperli trasmettere: occorre molto di più.
Inoltre non sarebbe stato facile scegliere il livello di formalizzazione a cui collocarci: quello adatto
ai bambini sarebbe stato inadeguato, quello adatto a studenti universitari inaccessibile a molti e
sostanzialmente inutile, se privo di adeguate mediazioni verso il basso. C'è peraltro da osservare
che la scelta di un taglio universitario sarebbe quella più semplice e tranquillizzante dal punto di
vista del docente (e quella purtroppo più praticata), e forse anche dal punto di vista degli studenti,
e avrebbe attivato ancora una volta una fin troppo diffusa e ipocrita collusione fra docente che
finge di insegnare e studenti che fingono di capire.
Abbiamo anche escluso di trattare solo argomenti di carattere didattico, appropriati in un
corso con tale nome, piuttosto che in uno di fondamenti, ma principalmente vuoti di senso se non
appoggiati a contenuti chiari e condivisi.
La scelta è così caduta sulla rinuncia a coprire molti argomenti; al contrario ne abbiamo
selezionato pochi, emblematici, e semplici. Circa il livello, la scelta è stata quella di utilizzare livelli
di astrazione diversi, passando, a seconda della necessità, da quello più elementare a quello più
sofisticato, sia per cercare di evitare due errori simmetrici e ugualmente pericolosi, banalizzare
troppo le lezioni (Zan, 200?), o renderle troppo difficili, sia per evidenziare per quanto possibile
gli aspetti di continuità che correlano, sia pure attraverso svariate mediazioni, le più immediate
esperienze con le astrazioni della matematica. Questo modo di procedere poggia in effetti sulla
convinzione (Guidoni, 1985) che l'attitudine all'astrazione sia connaturata alla natura umana ed
esercitata fin dalla prima infanzia, e solo perfezionata e resa più potente con la formalizzazione
matematica.
Comunque, oltre al fatto che non era possibile, come detto, fornire agli studenti tutti i
contenuti necessari per il loro futuro lavoro di insegnanti, la ragione fondamentale che ci ha indotti
a non preoccuparci di questo è stata la convinzione che non dovesse comunque essere questo il
nostro obiettivo principale, ma piuttosto quello di convincere gli studenti della possibilità di essere
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artefici del proprio processo di conoscenza e quindi di poter "capire" la matematica, e metterli
così anche in grado di apprenderla, in questa fase e anche nel seguito. E suggerire inoltre che tale
divenisse anche l'obiettivo del loro lavoro futuro.
Ci siamo anche resi conto che non è nostro compito quello di selezionare gli studenti sulla
base delle loro conoscenze e competenze matematiche pregresse (a parte certo una minoranza di
casi "irrecuperabili"). Infatti:
a) non ha senso esercitare un controllo tardivo di competenze, sostituendosi al ruolo non
svolto adeguatamente dalla scuola secondaria, e pretendere dagli studenti di studiare daccapo
(per l'esame) quello che avrebbero dovuto imparare a scuola;
b) sarebbe miope esercitare nell'ambito di un corso di laurea per maestri, a contenuti
prevalentemente pedagogici, il ruolo di castigamatti (quel ruolo che spesso esercitano i matematici
nei corsi di servizio per le Scienze), perché un tale comportamento ci condannerebbe
all'isolamento con conseguenze peggiori sul piano dell'efficacia a lungo termine della nostra azione
didattica.
c) un corso di laurea "facile" e di nuova istituzione, fino a poco tempo fa ritenuto non
necessario per l'accesso ad una professione poco remunerata, non può diventare
improvvisamente troppo difficile. Scoraggiare la scelta di un tale corso a studenti deboli non
darebbe come ricompensa l'incentivazione di studenti bravi. Naturalmente questo argomento è
contingente e si può immaginare e sperare che le trasformazioni in atto e future cambino il quadro
sociale ed economico attuale di questo settore. Dal corso per maestri oggi una elevata
percentuale di studenti comunque uscirà con il titolo e andrà ad insegnare, indipendentemente da
difficoltà e ostacoli interposti (che potrebbero anzi favorire l'adozione di strategie
controproducenti di superamento delle barriere: lezioni private, sforzi mnemonici, ecc.): con questi
studenti il migliore obiettivo da porsi è quello di convincerli della possibilità e della convenienza di
migliorare la loro preparazione anche dopo l'assunzione in servizio.
2. Basi teoriche
L'esperienza condotta nel N.R.D. di Napoli in questi anni con maestre in servizio ci ha
condotto a progettare un'attività didattica che metta gli allievi in condizione di riconoscere,
esercitare e sviluppare le proprie naturali funzioni cognitive verso l'ambizioso progetto del
"capire", contrapposto all'usuale "apprendere" (Iannece e Tortora, 2001). Per chiarire meglio
quello che intendiamo, ci sembrano efficaci le parole con cui Lina, una maestra del Nucleo,
esprime il suo coinvolgimento:
"L'esperienza, oltre a consentire di raggiungere "conoscenze" disciplinari, comporta
acquisizioni di competenze trasversali. Riuscire ad osservare, a riflettere, tornare indietro,
confrontare, riportare alla memoria esperienze passate (i bambini dicono: "è come l'altro"), fare
schizzi, rappresentare.... Sulla mia pelle dico che è molto più semplice imparare qualcosa di
scritto e riferirlo, piuttosto che esprimere, ordinandoli logicamente, i pensieri che si strutturano a
mano a mano che l'esperienza procede e prendono spazio ipotesi, verifiche, regole. Tuttavia il
mandare a memoria quanto letto il più delle volte non coincide col CAPIRE e fa sembrare che a
scuola si imparino cose che non hanno agganci con il quotidiano".
La storia ci insegna che le nozioni matematiche furono introdotte e via via affinate allo
scopo di interpretare la realtà. L'osservazione dei fenomeni fisici, la loro rappresentazione
matematica, lo sviluppo di strutture matematiche e del linguaggio scientifico, procedono da
sempre di pari passo, in un rapporto di continua interazione e rinforzo (Israel, 1996). Questo
processo storico può essere sfruttato come risorsa didattica sia sul piano cognitivo che
motivazionale, e noi riteniamo che possa essere utilizzato a qualunque età (Tortora, 2001).
Condizione perché questo accada è l'idea (Freudenthal, 1991) che la matematica vada
vista in ogni fase come una attività di cui ciascuno è protagonista, dove le conoscenze sono il
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frutto di conquiste personali, che devono porsi in continuità e in risonanza (Guidoni, 1985) con il
processo naturale di conoscenza che è attivo in ciascuno fin dai primi anni di vita e che procede di
pari passo con l'acquisizione del linguaggio. Si incomincia infatti a parlare ed a pensare nella
primissima infanzia; i due processi si stimolano naturalmente a vicenda in un intreccio continuo. La
necessità di formulare un pensiero che si "sente" stimola ad adeguare il linguaggio e d'altra parte
quando il linguaggio è adeguato il pensiero naturalmente evolve verso chiarezze e complessità
maggiori. Non si aspetta di avere il linguaggio più adeguato per pensare alle cose, si comincia
molto prima. Naturalmente, per proseguire in questa direzione e raggiungere livelli di maggiore
generalità ed efficacia, al di là di quelli stimolati dalla semplice esperienza quotidiana, è necessaria
una forma di "educazione": è precisamente questo il compito dell'insegnamento.
Tutto ciò ha una ricaduta fondamentale sul piano didattico nel senso che:
- non è conveniente aspettare le competenze matematiche adeguate per formalizzare le
cose di cui si parla, ma anzi cominciare a parlarne stimola la formalizzazione;
- sviluppare in simultanea i due aspetti può reinnescare il naturale intreccio.
Solo passando per l'attività si riconosce il valore della formalizzazione e può avvenire il
"salto" (Freudenthal, 1991) adeguato al livello.
3. Descrizione dell'attività e metodologia
Nel nostro lavoro abbiamo cercato di attivare un processo di recupero delle conoscenze
matematiche fornite dalla scuola e congelate in strutture inservibili, e di guidarne una
ristrutturazione consapevole di tipo disciplinare che le renda fruibili sia sul piano personale che su
quello didattico.
La nostra strategia utilizza due linee di attacco complementari, che nel nostro caso sono in
parte riconducibili alla formazione e alle concezioni sulla matematica dei due autori e docenti del
corso. Vengono sviluppati in simultanea - anche mediante il lavoro in compresenza dei due
docenti - un percorso di modellizzazione ed uno di strutturazione disciplinare, su argomenti
prototipo (soprattutto i numeri), con l'attenzione a favorire la riflessione e la valorizzazione
dell'azione sinergica dei due punti di vista sia sul piano cognitivo che motivazionale.
Per quanto riguarda la modalità interna alla matematica, uno dei percorsi tipici è costituito
da: osservazioni libere o guidate di proprietà di oggetti matematici noti; progettazione ed
esecuzione di verifiche; formulazione di congetture; sistemazione disciplinare/teorica ad un livello
di astrazione successiva, con riflessione sul processo che identifica come nuovi oggetti matematici
procedure operanti su quelli già noti, nel senso di (Sfard, 1991); e così via. Esempi di materiali su
cui è stato attivato un percorso di questo tipo sono: tavole delle operazioni in basi diverse, criteri
di divisibilità in basi diverse, tavole di calendario (Arcavi, 1994), algoritmi inconsueti
(moltiplicazione egiziana). L'uso di esempi non noti agli studenti, come quest'ultimo, ha in
particolare lo scopo di attivare in loro un atteggiamento di interesse per la novità. Ne abbiamo un
riscontro nelle dichiarazioni di una studentessa, che sulle procedura binaria della moltiplicazione
egizia afferma che essa è preferibile all'algoritmo tradizionale perché permette di fare aritmetica
divertendosi (Come se non fosse possibile - è stata la nostra risposta - operare così anche con
argomenti tradizionali!).
Un altro percorso tipico consiste nel proporre agli studenti una situazione problematica
(abbiamo proposto ad esempio il problema del pesce (Malara, 1993)); del problema ci interessa
sollecitare risoluzioni individuali o collettive; il confronto degli strumenti impiegati per la risoluzione
e delle diverse rappresentazioni (da spontanee/rozze a ufficiali/precise: grafiche, numeriche,
algebriche); e di nuovo l'esame delle proprietà degli strumenti stessi come "nuovi" oggetti
matematici: il grafico cartesiano, le equazioni e i sistemi, l'uso di variabili, le relazioni e funzioni; e
infine l'impiego delle proprietà di tali oggetti in funzione di rilettura della situazione problematica di
partenza, di generalizzazione, di ricerca di invarianti.
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La modalità "esterna" trae da esperienze fisiche elementari occasioni e motivazioni per
giustificare l'impiego di strumenti matematici, nel tentativo di recuperare il collegamento - della
storia e dell'individuo - tra interpretazione e descrizione del mondo e sviluppo di strumenti di
astrazione. La necessità di descrivere una situazione concreta o di risolvere un problema pratico
favoriscono in altre parole l'attivazione di un processo "genetico" di costruzione di conoscenza:
dalla osservazione alle prime ipotesi di modellizzazione, attraverso il riconoscimento di invarianze,
alla formalizzazione, rappresentazione e interpretazione, procedendo poi verso ulteriori cicli di
astrazione.
Questo percorso si esplica attraverso le tappe seguenti: si introduce un particolare campo
di esperienze, spesso tratto dalle attività già sperimentate da noi e da altri (Arcà e Guidoni, 1987),
nelle classi elementari e nella formazione di insegnanti in servizio. L'impiego di tali campi di
esperienza è peraltro nella linea delle attività didattiche organizzate e descritte da molti autori in
vari contesti (per citare un solo esempio significativo, si pensi all'attività con la luce e le ombre del
Nucleo di Genova: vedi ad esempio (Boero et al., 1996)). Si comincia con osservazioni libere e
guidate; si richiedono agli studenti descrizioni e relazioni scritte; si va alla ricerca di variabili,
vincoli, costanti; si separano le variabili pertinenti e misurabili da altre qualità non pertinenti, si
perviene a rappresentazioni di vario tipo dei dati (tabellari, grafiche, relazionali, algebriche); si
sfruttano infine tali rappresentazioni per capire meglio i fenomeni osservati e per far emergere nella
loro potenza e generalità gli strumenti matematici impiegati (numeri naturali, relativi, razionali;
grandezze discrete/continue, ecc.; ma anche riflessioni sui simboli adoperati e in generale sulle
caratteristiche del linguaggio matematico). Abbiamo proceduto così con bilance, elastici, misure
di peso e di capacità, raggruppamenti e classificazioni di oggetti.
Descriviamo più in dettaglio due esempi di attività di questo tipo.
1) Attraverso travasi da un recipiente ad un altro si cerca di far emergere la struttura
additiva dei numeri naturali, collegando le osservazioni derivanti dalla manualità del compito alla
possibilità di darne una descrizione matematica e ottenere per questa via i risultati. Per meglio dire,
una triplice rappresentazione di una struttura matematica (attraverso l'azione, il disegno e la
parola, i simboli) ha fornito uno spunto di riflessione sulla valenza didattica e cognitiva del
raccordo tra rappresentazioni nonché sull'uso della matematica per dire le cose e per pensarle.
2) Confrontare, con mezzi diversi (pratici, geometrici, algebrici), i volumi e le superfici di
due cilindri ottenuti curvando in due modi diversi un foglio rettangolare. In questo caso la richiesta
è stata di congetturare il risultato, di verificare, di dimostrare, di generalizzare al caso di più
cilindri, fino a proporre una descizione grafica dei risultati, che è sfociata nello studio del grafico di
una retta, del significato del suo passaggio per l'origine, del collegamento con la nozione di
proporzionalità, della distinzione, per una funzione, del ruolo di variabili e parametri, dei criteri con
cui scegliere in un piano cartesiano le unità di misura, ecc..
Come speriamo risulti chiaro dagli esempi riportati, i due approcci convergono verso
medesimi risultati. Porsi le giuste domande in matematica o progettare l'apparato sperimentale
adeguato in fisica aiuta a cogliere ed utilizzare ai fini dell'apprendimento l'isomorfismo di strategie
tra costruzione di competenze disciplinari fisiche e matematiche. Ad esempio, le stesse formule
algebriche e gli stessi grafici cartesiani rappresentano e riassumono situazioni interne ed esterne
alla matematica. Ci sembra che per questa via si affronti anche un nodo cruciale evidenziato da
molti autori sulle difficoltà che gli studenti incontrano a utilizzare il linguaggio dell'algebra come
strumento di pensiero (Arzarello et al., 1994), (Arcavi, 1994).
4. Strumenti di lavoro.
Il continuo spostamento di accento tra approcci e livelli di formalizzazione diversi consente
fra l'altro di assecondare i vari stili cognitivi degli studenti. Prendiamo il caso del lavoro su volumi
e superfici totali dei cilindri. Per qualcuno di loro stavamo parlando di "oggetti matematici", per
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qualcuno parlavamo di formule familiari e mai digerite, e così via, con tutte le sfumature
intermedie. Il nostro intento era di lavorare sui concetti di variabile e funzione, focalizzando il
modo di cambiare per rapporto e per differenza. Quindi abbiamo agganciato al precedente un
contesto di vita quotidiana, dotato della stessa struttura formale, e abbiamo riempito due cilindri
di riso, ecc.
Abbiamo potuto osservare che ognuno di loro "preferiva" l'attività più adeguata al suo livello
di astrazione. Mentre per i più deprivati il contrasto ha avviato un processo di comprensione della
struttura del problema matematico, per quelli "portati" per la matematica ha favorito una
riflessione critica sul rapporto astratto-concreto e sul valore intrinseco dell'astrazione; per tutti
l'attività ha stimolato un atteggiamento di consapevolezza di tipo metacognitivo.
Naturalmente il lavoro di condivisione del proprio punto di vista stimolato dalla costituzione
di gruppi e dalla simulazione di "laboratorio" (con opportune regole di delega) sta favorendo un
interscambio di competenze ed una "omogeneizzazione" del livello di astrazione verso l'alto. In
altri termini per ognuno di loro sempre più cose diventano "concrete", dal riso al volume del
cilindro, alle relazioni tra variabili. Ci sembra che per questa via si avvii a soluzione il primo dei
problemi che abbiamo indicato nel primo paragrafo, quello della disomogeneità di partenza degli
studenti. Potremmo anzi dire che l'obiettivo che ci siamo posti con il lavoro del primo semestre è
stato fondamentalmente quello di pervenire ad una condivisione di intenti e di linguaggio.
Parliamo ora della seconda difficoltà, la immodificabilità del rapporto personale con la
matematica. Un elemento speciale della nostra metodologia di lavoro è il cosiddetto "quaderno di
bordo", redatto individualmente da ciascuno studente, e contenente la storia personale delle
attività svolte, delle difficoltà incontrate e delle conoscenze acquisite nell'arco del corso. Esso è
chiaramente uno strumento di tipo metacognitivo, attraverso il quale lo studente si rende
consapevole:
a) delle competenze progressivamente acquisite di lettura, interpretazione e descrizione del
reale;
b) dell'uso via via più articolato e significativo del linguaggio matematico;
c) delle potenzialità del metodo argomentativo e dimostrativo.
Secondo (Bruner, 1966) la consapevolezza della crescita della propria conoscenza si rivela
come una fonte insostituibile di intrinseca soddisfazione; ci sembra di avere già oggi sufficienti
riscontri della mobilitazione delle intelligenze degli studenti.
5. Risultati e questioni aperte
I risultati fin qui ottenuti sono evidentemente parziali, ed è sicuramente troppo presto per
tracciare un bilancio dell'esperienza. Siamo anche consapevoli della difficoltà generale e teorica di
valutare un'azione didattica di qualunque natura; per un serio lavoro in tal senso occorrono tempi
lunghi, elementi chiari di confronto e la definizione di parametri oggettivi e condivisi. Pur con
queste limitazioni, ci sentiamo in grado di esprimere soddisfazione per una serie di elementi
indicativi di una positiva risposta da parte degli studenti.
In primo luogo abbiamo ottenuto, senza l'uso di strumenti costrittivi, una presenza degli
studenti assidua e attenta alle lezioni, molto al di sopra della media degli altri corsi.
Il livello di attivazione delle energie e di affidamento, dopo il primo momento di imbarazzo,
è stato continuo e crescente. Ad esempio non abbiamo registrato reazioni degli studenti del tipo:
"Studio 3 giorni prima dell'esame, tanto i numeri li so già".
Alla fine del primo modulo l'80% degli studenti ha affrontato un esame che in partenza molti
valutavano come fuori della loro portata e di questi circa il 60% lo ha superato con risultati che ci
sono sembrati soddisfacenti. In qualche caso non proprio sporadico abbiamo riscontrato
autentico entusiasmo. Molti studenti, in pari misura quelli più bravi e quelli più deboli, in vario
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modo hanno poi manifestato la loro sorpresa nel riconoscere di poter provare interesse per una
materia che avevano sempre subito con fastidio o vissuta come estranea.
Quasi tutti quelli che non hanno superato la prima prova di esame stanno in questa fase
seguendo il secondo modulo, e cercano con il nostro aiuto di trovare una soluzione per il loro
problema (forse la matematica si può "capire"!). Ad essi pensiamo di dedicare, con l'aiuto delle
nostre collaboratrici, una strategia di rinforzo in aggiunta alle lezioni ufficiali.
Sul merito di un'esperienza come quella descritta, che nasce sulla base di precedenti
esperienze, che è sostenuta da lunghe e animate discussioni, ma che prende comunque corpo
durante il corso della sua attuazione, molte domande è necessario porle. Stiamo provando a
passare dal dire al fare, ci rendiamo conto in qualche caso con il rischio dell'improvvisazione.
(Anche noi teniamo un quaderno di bordo!)
In primo luogo ci sembra importante segnalare che confluiscono nella nostra attività due
impostazioni/concezioni della matematica diverse, seppure complementari, ma all’interno di una
filosofia dell'insegnamento completamente condivisa. Noi riteniamo che la presenza di due modi di
vedere la matematica e perfino il conflitto che in qualche caso trapela tra queste due concezioni,
sia un elemento positivo all'interno della nostra esperienza. L'organizzazione del corso non a caso
richiede la compresenza di due docenti che spesso, su uno stesso argomento, interagiscono fra
loro, nella stessa ora di lezione o con rimandi da una lezione all'altra, proponendo agli studenti la
propria personale angolatura. L'esperienza finora ha mostrato che tale inconsueta modalità
didattica ottiene buoni risultati in termini di attenzione e di mobilitazione degli studenti, e di
indebolimento della fiducia passiva che essi spesso tendono a prestare al docente a scapito della
vigilanza critica.
Ma questa modalità ci chiediamo se non costituisca anche un limite dell'esperienza in termini
di riproducibilità della stessa. Noi pensiamo di continuare per il prossimo anno con la stessa
modalità, anche per avere l'opportunità di uscire dalla fase di rodaggio e correggere il tiro rispetto
a molti aspetti migliorabili evidenziati in questo primo anno. In particolare per il prossimo anno
dovremmo disporre di testi scritti di riferimento per gli studenti che nel corso del primo anno non
abbiamo fatto in tempo a predisporre. Ma riteniamo anche, a dire il vero, che un'analoga
impostazione didattica possa essere impiegata senza difficoltà da una sola persona. Vorremmo
anche verificare quanto dei risultati ottenuti quest'anno siano conseguenza degli assunti teorici e
quanto sia invece dovuto al sicuro impatto positivo della novità e all'entusiasmo che ci ha animato
nella fase iniziale. Ci auguriamo infine che la esperienza possa arricchirsi dal confronto con
analoghe o contrastanti attività condotte nelle altre sedi.
Bibliografia
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Zan, R.: 200?, ‘I danni del “bravo” insegnante’, in corso di pubblicazione.
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Desideriamo esprimere il nostro vivo ringraziamento a Paolo Guidoni per i preziosi suggerimenti
fornitici durante il lavoro di progettazione e svolgimento della attività didattica e in vista della
stesura di questa relazione.
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