l`equilibrio imperfetto: le pensioni italiane tra

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l`equilibrio imperfetto: le pensioni italiane tra
Matteo Jessoula
insegna Comparative Welfare States all’Università di Milano
L’EQUILIBRIO IMPERFETTO:
LE PENSIONI ITALIANE
TRA SOSTENIBILITÀ,
ADEGUATEZZA, EQUITÀ
Vent’anni di riforme sembrano aver permesso al nostro sistema pensionistico di raggiungere un punto di equilibrio tra sostenibilità
economica e adeguatezza delle prestazioni. Tuttavia, il progressivo
impoverimento del ceto medio e l’aumento del numero di lavoratori
con contratto atipico, che sono solo debolmente garantiti nell’attuale
sistema (multi-pilastro) anche dopo le riforme più recenti, sollevano
importanti questioni di equità. Su questo aspetto dovrà concentrarsi
ora il dibattito tra le forze politiche, avvalendosi anche dell’esempio
dei paesi che hanno già affrontato problemi analoghi.
Dopo due decenni di riforme il sistema pensionistico italiano sembra
aver raggiunto un punto di equilibrio, coniugando sostenibilità economica e adeguatezza delle prestazioni. La spesa per pensioni è ancora la
più alta tra i paesi dell’UE (16,1% del PIL nel 2011), ma le proiezioni
sono ben più rassicuranti: secondo i dati contenuti nell’Ageing Report
del 2012 della Commissione europea e del Comitato di politica economica, l’Italia è infatti tra i quattro paesi con una spesa pensionistica sul
PIL in diminuzione nel lungo periodo, e le riforme adottate tra il 2009 e
il 2011 consentiranno la riduzione della spesa anche nel breve-medio periodo, con un risparmio annuo previsto attorno al punto percentuale di
PIL tra il 2014 e il 2030 circa.1 I requisiti di accesso al pensionamento,
tradizionalmente laschi, sono stati resi molto più stringenti – l’Italia ha
oggi una delle età pensionabili più elevate d’Europa (66 anni e tre mesi) –,
oltre che collegati automaticamente all’incremento dell’aspettativa di
vita, e sono in fase di definitivo allineamento (nel 2018) tra uomini e
donne. Il tasso di occupazione nella fascia d’età 55-64 anni è cresciuto
1 Ragioneria generale dello Stato, Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario, Roma 2013, disponibile su www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/
VERSIONE-I/Attivit--i/Spesa-soci/Attivita_di_previsione_RGS/2013/Nota_Aggiornamento_Rapporto_n_14.pdf.
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dal 27,7% del 2000 al 42,7% del 2013, riducendo così il gap rispetto
alla media UE a 28 (50,1%). Non solo, le modalità di calcolo delle pensioni sono state ampiamente armonizzate con l’introduzione del metodo contributivo, applicato integralmente ovvero pro rata a tutti i nuovi
pensionati a partire dal 2012. Last but not least, circa l’adeguatezza dei
trattamenti pensionistici, l’effetto combinato delle tre riforme recenti sui
requisiti di pensionamento dovrebbe contribuire al mantenimento di
elevati livelli di pensione anche nei decenni futuri. Infatti, per la logica
del metodo contributivo, a più alte età di pensionamento corrisponderanno più elevati livelli di pensione e, secondo le stime della Ragioneria
generale dello Stato,2 un lavoratore “standard”, con carriera completa
e ininterrotta, che andasse in pensione nel 2040 a 69 anni e due mesi
(l’età pensionabile “normale” prevista per quell’anno) riceverebbe una
pensione netta pari all’80% dell’ultima retribuzione – valore che salirebbe attorno al 100% combinando pensione pubblica e complementare.
È tutto oro quel che luccica? Una riflessione sul sistema pensionistico
italiano sullo sfondo della tendenza all’assottigliamento e al progressivo
impoverimento del ceto medio – e, dunque, con riferimento all’equità –
richiede un’analisi più approfondita circa l’adeguatezza dei benefici pensionistici, sia rispetto al breve periodo sia (soprattutto) con riferimento
ai prossimi decenni.
Circa la situazione attuale e le recenti tendenze degli importi pensionistici, si possono avanzare due considerazioni. Da un lato, gli ultimi dati
INPS3 indicano che l’importo medio annuo dei trattamenti pensionistici ha raggiunto gli 11.482 euro nel 2012, con un incremento del 2,3%
sul 2011, ed è più elevato se si considerano soltanto i trattamenti di vecchiaia e anzianità (15.803 euro). Inoltre, negli ultimi cinque anni il valore delle pensioni è cresciuto Non solo il valore
in media del 3,2% a fronte di un tasso di inflazione medio di pensioni/
medio nel periodo pari al 2,3%, cifre che indica- assegni sociali è molto
no come gli attuali pensionati abbiano attraversato modesto (5210 euro
relativamente indenni la crisi economica e le suc- annui), ma anche
la distribuzione delle
cessive misure di austerità fiscale. Dall’altro lato,
pensioni risulta ancora
va detto non solo che il valore medio di pensioni/
molto schiacciata
assegni sociali è molto modesto (5210 euro annui), verso il basso
ma anche che la distribuzione delle pensioni risulta
ancora molto “schiacciata” verso il basso: il 42,6% dei pensionati (circa
sette milioni di persone) riceve prestazioni di importo inferiore ai 1000
2 Ragioneria generale dello Stato, op. cit.
3INPS, Trattamenti pensionistici e beneficiari. Anno 2012, 2014.
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euro lordi mensili, a fronte di poco meno di un milione (5,4%) che
percepisce pensioni superiori ai 3000 euro. Il dato più interessante al
riguardo è che in termini aggregati si spendono ogni anno 7,5 miliardi
di euro per tutelare i 2,2 milioni di pensionati che ricevono prestazioni
sotto i 500 euro mensili, contro 15 miliardi per i 200.000 percettori di
pensioni tra 5000 e 10.000 euro, e 1,8 miliardi per i circa 11.000 pensionati più ricchi, con pensioni oltre i 10.000 euro al mese.
Di fatto, la distribuzione degli importi continua a scontare gli effetti
dell’impianto tradizionale del sistema pensionistico italiano, incentrato
su un modello assicurativo-occupazionale a limitata capacità redistributiva verticale, nonché le conseguenze della “redistribuzione perversa”
indotta dal metodo retributivo – premiante per i lavoratori con carriere
più dinamiche e retribuzione più alta – che continua ad applicarsi in
larga parte anche ai nuovi pensionati.
Se si eccettua l’intervento di sospensione dell’indicizzazione delle pensioni operato dal governo Monti – che è andato, in effetti, a incidere anche
su trattamenti pensionistici relativamente modesti attorno ai 1400-1500
euro lordi mensili –, il dibattito pubblico e i più recenti provvedimenti
di riforma, tra cui la reintroduzione dell’indicizzazione per le pensioni
fino a 3000 euro, sembrano muovere proprio dalla consapevolezza del
modesto importo dei trattamenti pensionistici per un’ampia fascia di
pensionati suggerendo quindi che eventuali nuove misure nel breve periodo debbano prevedere una componente esplicitamente redistributiva.
Naturalmente il consenso sul punto non è unanime e soprattutto nel
breve periodo vi sono limiti dettati dai cosiddetti “diritti acquisiti”, il
rispetto dei quali è stato recentemente imposto anche da una sentenza
della Corte costituzionale proprio con riferimento alla legittimità di un
contributo di solidarietà. Ciò detto, e consapevoli che le risorse ottenibili da interventi redistributivi sulle pensioni in pagamento necessariamente non possono essere ingenti, appare condivisibile, e probabilmente
necessario, perseguire tale strategia non soltanto “per cassa”, ma anche
per equità, come hanno recentemente argomentato Boeri, Patriarca e
Patriarca.4
Rispetto al medio-lungo periodo, è invece opportuno valutare le principali implicazioni distributive di due decenni di riforme, e cioè le differenze di trattamento tra diversi gruppi e categorie di lavoratori, alla luce
di due processi fondamentali e dell’interazione tra questi: a) la transizione, lanciata nei primi anni Novanta, del sistema pensionistico verso un
4 T. Boeri, F. Patriarca, S. Patriarca, Pensioni: l’equità possibile, in “lavoce.info”, 14 gennaio 2014.
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assetto multi-pilastro; b) trasformazione, e specialmente flessibilizzazione, del mercato del lavoro italiano.
Circa il primo punto, va riconosciuto che, vent’anni dopo il primo provvedimento del 1992-1993, il piano volto a riconfigurare l’architettura
pensionistica complessiva affiancando alla tradizionale assicurazione
pubblica obbligatoria (il primo pilastro) schemi di previdenza complementare (secondo e terzo pilastro) capaci di coprire l’intera popolazione
occupata si è rivelato di fatto impossibile da realizzare: nonostante i ripetuti interventi normativi fino al 2007, gli iscritti alle varie forme di previdenza complementare sono oggi circa sei milioni su un’occupazione
totale attorno ai 22,5 milioni, iscritti che sono tra l’altro concentrati tra
i lavoratori a tempo indeterminato nei settori caratterizzati da imprese
medio-grandi ed elevata densità sindacale. Diversi sono i fattori che hanno contribuito alla limitata espansione del secondo e terzo pilastro previdenziale: tra questi certamente decisiva è stata la scelta per un sistema
di previdenza complementare ad adesione (soltanto) volontaria5 – pur
sostenuta dal meccanismo del “silenzio assenso” a partire dal 2007 –, che
l’esperienza di vari paesi europei (in primis quella britannica) ha mostrato condurre a significative lacune di copertura. Ciò
comporta, in altre parole, che la previsione di un La previsione di un
futuro pensionato che possa contare sulla combi- futuro pensionato che
nazione di una pensione pubblica di tipo contribu- possa contare sulla
tivo con una pensione integrativa appare realistica combinazione di una
pensione pubblica di tipo
solo per una minoranza degli attuali occupati.
contributivo con una
Sul secondo versante, l’attenzione va posta sui provpensione integrativa
vedimenti (riforma Treu nel 1997, legge 30/2003,
appare realistica solo
riforma Fornero del 2012) volti a flessibilizzare in per una minoranza
maniera progressiva – e per lo più “al margine”, degli attuali occupati
cioè tramite il sostegno alla diffusione dell’occupazione “atipica” – il mercato del lavoro italiano. In questa prospettiva è
importante notare come tale processo sia stato avviato dopo il ridisegno
dell’architettura pensionistica con le due grandi riforme Amato e Dini
del 1992-1993 e 1995.
Cogliere la dinamica temporale è cruciale perché, in aggiunta a quanto
accennato sopra, le criticità che paiono delinearsi sul fronte dell’adeguatezza (o equità, si veda oltre) del sistema pensionistico nel medio-lungo
periodo sono in larga parte da ricondursi proprio all’interazione tra un
mercato del lavoro caratterizzato da una quota consistente di lavorato-
5 Sul progetto di riconfigurazione multi-pilastro del sistema pensionistico italiano si
veda M. Jessoula, La politica pensionistica, il Mulino, Bologna 2009.
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ri “atipici” (collaboratori, lavoratori a tempo determinato e/o part-time
ecc.) e un sistema pensionistico che combina schemi di natura contributiva tanto nel primo quanto nel secondo/terzo pilastro – con conseguente limitatissima redistribuzione verticale, che di fatto si sostanzia nelle
modeste prestazioni assistenziali per gli anziani poveri (assegno sociale).
Sia il metodo contributivo nel pilastro pubblico sia gli schemi complementari “a contribuzione definita” calcolano, infatti, le prestazioni pensionistiche in base ai contributi effettivamente versati nella fase di vita
attiva, con due conseguenze fondamentali: primo, scaricano il rischio
pensionistico (derivante da bassa crescita economica, dinamiche demografiche sfavorevoli, volatilità dei rendimenti sui mercati finanziari ecc.)
sui lavoratori-assicurati; secondo, e più importante nella prospettiva di
questo contributo, questi schemi “riflettono” fedelmente sugli importi
pensionistici le dinamiche dell’intera carriera lavorativa, tra cui i sempre più frequenti – alla luce dell’incremento di flessibilità – periodi di
disoccupazione ovvero inoccupazione. In altre parole, questi schemi tendono a trasferire nella fase Gli schemi contributivi
di pensionamento l’insicurezza economica che ca- pubblici e complementari
tendono a
ratterizza i lavoratori atipici sul mercato del lavoro.
trasferire nella fase
Su questo sfondo, negli ultimi anni diversi contridi pensionamento
buti hanno analizzato le prospettive previdenziali l’insicurezza economica
delle varie categorie di lavoratori atipici, mettendo che caratterizza i
in luce il rischio di tutela insufficiente per questi lavoratori atipici sul
lavoratori, che si trovano in effetti in condizione di mercato del lavoro
“svantaggio cumulativo”. Infatti, da un lato essi rischiano di ricevere prestazioni molto modeste nel sistema pubblico – di
poco superiori all’importo dell’assegno sociale nelle situazioni più critiche –, poiché hanno in genere carriere frammentate da periodi di disoccupazione, ricevono retribuzioni inferiori e in alcuni casi (ad esempio, i
cosiddetti “parasubordinati”) sono stati soggetti ad aliquote contributive
più basse rispetto ai lavoratori standard (ora in fase di definitiva armonizzazione). Si consideri, al riguardo, che il livello delle pensioni contributive diminuisce rapidamente in presenza di carriere più brevi: Raitano
ha infatti calcolato una riduzione del tasso di sostituzione di sei punti
percentuali per un lavoratore con trentacinque anni di contribuzione
rispetto a un lavoratore con quarant’anni.6 Dall’altro lato, i lavoratori
atipici risultano sostanzialmente esclusi – non de jure, bensì di fatto –
dagli schemi di previdenza complementare. In sostanza, a oggi gli sche-
6 M. Raitano, I tassi di sostituzione attesi della previdenza obbligatoria e integrativa: alcuni
scenari di simulazione, in F. R. Pizzuti (a cura di), Rapporto sullo Stato Sociale 2010. La
“Grande crisi del 2008” e il Welfare State, Academia Universa Press, Milano 2009.
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mi di previdenza complementare non riescono a tutelare proprio quei
lavoratori che più avrebbero bisogno di una prestazione pensionistica
integrativa alla luce del modesto livello previsto delle pensioni pubbliche.
Come hanno inciso su questa situazione le tre riforme recenti adottate
dai governi Berlusconi e Monti? Come già anticipato, l’innalzamento
dell’età pensionabile, favorendo un più elevato livello atteso delle pensioni nei decenni futuri, potrebbe giovare anche ai lavoratori con carriere
atipiche. Tuttavia, la misura più rilevante in proposito è rappresentata
dalla clausola, introdotta dalla riforma Fornero, che impedisce il pensionamento all’età pensionabile “standard” nel caso in cui la prestazione pensionistica pubblica attesa sia inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale
– pari a circa 650 euro mensili, un livello non trascurabile per quanto detto
sopra: di fatto, un lavoratore con carriera frammentata e a basso reddito
rischia in futuro di dover raggiungere l’età pensionabile massima, prevista
attorno ai 73-74 anni tra il 2040-2050, per accedere al pensionamento.
Tale clausola, che da un lato risolve alla radice il problema dell’adeguatezza, e cioè di pensioni troppo basse per alcuni lavoratori, solleva dall’altro
importanti questioni di equità, se si considera che l’aspettativa di vita
non si distribuisce in modo omogeneo nella popolazione e tende a essere
più ridotta proprio tra le fasce sociali a basso status socioeconomico.
Sul punto, e più in generale sul ridisegno delle regole pensionistiche al
fine di trovare un migliore equilibrio tra sostenibilità, adeguatezza ed
equità a fronte di un mercato del lavoro ormai compiutamente postindustriale, dovrà necessariamente tornare il dibattito previdenziale italiano – peraltro in analogia a quanto sta già avvenendo nel settore della
tutela della disoccupazione. Per ragioni di spazio non è questa la sede
per delineare specifiche proposte di intervento, e tuttavia il raffronto internazionale con i paesi che hanno già affrontato la sfida di conciliare
sistemi pensionistici multi-pilastro con mercati del lavoro (più o meno)
flessibili (Danimarca, Gran Bretagna, Olanda, Svizzera) suggerisce almeno due grandi vie maestre da seguire:7 la prima consiste nella piena integrazione dei lavoratori atipici nei diversi pilastri pensionistici; la seconda
prevede il rafforzamento della componente redistributiva del sistema
pensionistico pubblico, come recentemente suggerito anche dalla Banca
mondiale,8 e la reintroduzione di un’effettiva flessibilità nell’accesso al
pensionamento.
7 K. Hinrichs, M. Jessoula (a cura di), Labour Market Flexibility and Pension Reforms.
Flexible Today, Secure Tomorrow?, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2012.
8 A. M. Schwarz, O. S. Arias, The Inverting Pyramid. Pension Systems Facing Demographic
Challenges in Europe and Central Asia, The World Bank, 2014, disponibile su www.
worldbank.org/content/dam/Worldbank/Feature%20Story/ECA/ECA-Pensions-Report-2014.pdf.
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