Il silenzio di Luigi

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Il silenzio di Luigi
SCAFFALE
Premio letterario “Collegio Ipasvi di Ragusa”
È giunta a conclusione anche la terza edizione del
Premio letterario “Collegio Ipasvi di Ragusa” riservato a tutti gli infermieri d’Italia. Come previsto, si
è avuto un incremento dei partecipanti.
La cerimonia di premiazione si è svolta all’interno
di un evento formativo, organizzato dal Collegio
Ipasvi di Ragusa, al quale hanno preso parte Mario
Schiavon, presidente dell’Enpapi; michele fortuna, presidente nazionale di Cives; Giovanna Bertoglio, presidente nazionale dell’Ailpi e Giovanni
valerio; il tutto con la moderazione di Gaetano
monsù, presidente del Collegio Ipasvi di Ragusa.
L’evento formativo ha avuto luogo all’interno
dell’happening 2010 della Rete Imprese Sociali Siciliane, organizzato dal Consorzio Sol Coop.Ibleo di
Ragusa, di cui è presidente Salvatore Borrelli.
Quest’anno si sono aggiudicati i premi: valentina Dorigo con Spicchi di quotidianità (primo classificato); il
gruppo formato da Patrizia rindi, Giuseppina ragonesi, Donatella Puccetti e Sabrina Gianni con Una
professione amica: l’infermiere di pediatria (secondo
classificato); il gruppo formato da Carla Agazzi, Patrizia Baroncini, marilena Guindani, Luciano Leni,
Aldo Lorenzini, Orietta meneghetti, maria rota con
L’evoluzione delle competenze tecnico-specifiche ed
etico-deontologiche dell’infermiere nel rinnovato
scenario del servizio sanitario (terzo classificato).
Il Premio letterario voluto e organizzato dal Collegio Ipasvi di Ragusa è nato nel 2008, con la volontà
di premiare tra gli infermieri coloro che, con i loro
scritti, riescano a rendere visibile il quotidiano che
spazia dalle vicende emozionali fino all’applicazione di metodologie scientifiche. Quest’anno è stato
particolarmente difficile stilare una graduatoria di
merito, in quanto, tra i lavori presentati alcuni erano
di notevole spessore. Arrivederci al prossimo anno.
Gaetano monsù
Per informazioni: Sezione PREMIO LETTERARIO sul sito www.infermierirg.it
I classificato nella Seconda edizione (2009)
Il silenzio di Luigi*
di Giacomo Lomuscio
infermiere, aSL Bat, Presidio Ospedaliero di Barletta
Corrispondenza: [email protected]
“Ho affidato quanto è da scrivere a un uomo qualsiasi;
non sarà mai quello che voglio dire,
ne sarà almeno un riflesso”
Jorge Luis Borges1
Premessa
“Homo mundus minor”
Boezio2
Se l’essere Umano è un mondo in miniatura vorrei avere la fortuna e la sapienza di conoscerne sempre la parola
chiave per comprenderlo affinché il mio cammino da Uomo e da infermiere sia il più costruttivo e soddisfacente
possibile.
Umanità non significa tralasciare competenza ed efficienza, ma esprime lo spirito con il quale occorre sentire l’altro, lo spirito con il quale noi professionisti della salute dovremmo sentire l’altro.
io e Luigi abbiamo cercato e trovato nelle nostre conversazioni e nel silenzio della riflessione le parole giuste per
conoscerci, capirci e condividere momenti di sofferenza e di ritrovata serenità.
Capitolo 1
Prima di arrivare al porto se si guarda in direzione del faro, si scorge su di un muro di tufo bianco questa frase: “Chi
ama il mare sarà sempre libero”.
Lettere grandi, azzurre che appaiono cautamente alle spalle di canuti alberi potati maldestramente.
Durante le mie passeggiate invernali, mi soffermo a osservarle; a volte, dietro di loro, il mare appare così scuro da
confondersi con il cielo carico di pioggia.
*racconto inedito, primo classificato alla ii edizione (2009) del Premio letterario indetto dal Collegio ipasvi di ragusa. Giacomo Lomuscio è nato a Barletta il 1° febbraio 1966.
1. Borges JL (1992) Elogio dell’ombra – Giovanni I,14. Torino: einaudi.
2. mastellaro P (a cura di) (1994) Il libro delle citazioni latine e greche. milano: mondadori.
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amo il mare nella stagione fredda e ancor di più amo il vento di tramontana che muove vivace i pescherecci e fa
abbaiare i cani lasciati soli a custodirli.
amo le dune di sabbia in quei lidi ormai desolati, nudi di schiamazzi, irriverenti nella stagione calda, sommessi e
timorosi in quella fredda.
amo guardare in lontananza il trabucco solitario che si leva come un vecchio marinaio proteso verso levante spingendo le sue ossute braccia verso il mare nell’estenuante ricerca di un’ultima rigogliosa pesca.
Socchiudo sempre gli occhi mentre passeggio cercando, soprattutto negli odori, i discreti compagni di brevi e
solitarie avventure.
mentre guardavo in direzione di uno sparuto gruppo di gabbiani bianchi e dissonanti rispetto alla rena torbida
dell’arenile ho rivisto Luigi.
era chino accanto a una di quelle vetuste automobili di cui se ne vedono esemplari in foto antiche in bianco e nero,
gioia di qualche appassionato collezionista; raccoglieva frammenti di un fanale con certosina pazienza.
La stessa pazienza che ogni giorno lo accompagnava quando, durante il ciclo della sua terapia, varcava la soglia
del reparto di oncologia dove lavoravo.
Ho conosciuto Luigi in una giornata uggiosa di fine ottobre. arrivò con qualche minuto di anticipo rispetto all’orario convenuto per le visite sedendosi in disparte e incrociando le mani, quelle grandi mani, disarmoniose per un
corpo gracile come il suo. mani con dita lunghe come quelle di un pianista o di uno scultore, vigorose ma non per
questo indelicate, forti ma non per questo rudi.
Scambiammo frasi convenevoli e fugaci che accompagnano sovente momenti lavorativi frenetici dove i gesti stereotipati non cedono volentieri il posto alle parole e l’azione non lascia quasi mai spazio all’emozione dell’incontro.
Luigi era un tipo taciturno e la malattia non è che l’avesse cambiato più di tanto, tacere era la sua virtù, il silenzio
il suo orto dove coltivare i suoi pensieri.
non fu facile entrare nel suo spazio, ma gli incontri quasi quotidiani in quelle giornate di inizio autunno melanconiche e per questo evocative, lo incoraggiarono: le parole formali e i gesti sterili cedettero lentamente ma inevitabilmente il posto a una lunga conversazione, un sincero e autentico dialogo fraterno.
Capitolo 2
Luigi era stato un sarto. Tra tessuti, modelli e bottoni aveva speso gran parte della sua vita. amava il suo lavoro e il
ritmo del suo lavoro che gli concedeva spazi di assoluta solitudine e amava la poesia Luigi; tra crune e gessetti sul
tavolo facevano capolino libri di versi che gelosamente custodiva in una vecchia credenza.
Un tipo caparbio Luigi anche nel rapporto con la malattia.
Quando entravo nella sua stanza durante il ciclo di chemioterapia gli chiedevo di raccontarmi di come il suo corpo
stesse reagendo ai farmaci, se avesse avuto dei problemi, domande che a volte sembravano risuonare come una
nenia, una languida nenia accompagnata spesso da risposte ovvie da appuntare poi in un anonimo registro di
consegne.
Luigi respirava profondamente prima di parlarmi e poi mi raccontava di come dal suo piccolo podere riusciva a
scorgere di lontano il cemento dei palazzi di periferia che piano piano si avvicinavano, rosicchiando giorno per
giorno, metro sopra metro la campagna: cemento freddo, irragionevole e spietato, cemento incomprensibile,
alieno come…come… “la malattia, la tua malattia Luigi?”.
a questa domanda Luigi non mi ha mai risposto, probabilmente non ce n’era bisogno.
Una cruda metafora che comunque non celava rassegnazione. Luigi lottava, a suo modo ma lottava e, credeva,
confidava in quello che lui definiva “il definitivo sfratto di quell’inquilino scomodo e inopportuno”.
Capitolo 3
“Chi giuoca con un bimbo giuoca con ciò che è prossimo e misterioso;
io volli giocare coi Miei figli. Stetti fra loro con stupore e tenerezza”
Jorge Luis Borges3
Per la moglie i suoi silenzi erano ormai diventati una consuetudine, mentre per i figli, ora lontani, era stato un padre
burbero, di certo non cattivo.
i bambini hanno bisogno di parole, di storie raccontate, di risposte e Luigi non che l’ignorasse, semplicemente
non le donava con facilità.
il padre di Luigi era stato un marinaio, di quelli che conoscono porti e città del mondo, di quelli che hanno vissuto
più con i compagni di bordo che con le loro famiglie.
Quando ritornava portava con sé oggetti strani e narrava di strane avventure, ma si fermava così brevemente che
non si aveva il tempo di raccontarsele per bene da potersele rammentare.
3. Borges JL (1992) Elogio dell’ombra – Giovanni I,14. Torino: einaudi.
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Luigi era cresciuto con lo zio, sarto anche lui e che gli insegnò i rudimenti di quello che sarebbe diventato il suo lavoro; di suo padre l’unico ricordo tangibile era un ulivo piantato nel podere quando lui era piccolo, l’unico segnale
di un’assenza più che di una presenza. Quell’albero e i suoi rami lo avevano protetto e fatto compagnia in molti
momenti di solitudine, anche il giorno in cui seppe del suo male.
Di quel giorno ricordava solo il volto del medico, il cigolio della porta dello studio, l’odore della corsia, sensazioni
che sarebbero diventate familiari ma che in quell’istante non appartenevano alla sua dimensione: in quei momenti
c’erano Lui, l’inquilino scomodo e il pensiero della sua vita a un bivio.
La grande prova che attende ogni uomo.
Discese le scale con calma, una strana quiete che non celava tempesta; si poteva affrontare pensò: perché sentirsi
sconfitto prima di affrontare una gara o una battaglia?
Dal medico di turno volle sapere la verità, se c’era un’incognita da affrontare, un evento imprevedibile, mi confidò,
sarebbe stato meglio conoscere l’avversario e Lui da bravo sarto gli avrebbe confezionato un abito su misura.
Un tipo caparbio Luigi durante tutto l’iter diagnostico e terapeutico, un tipo ligio, meticoloso anche in questo.
Pensai che forse la costanza – questo continuo ricercare anche la più piccola circostanza positiva nel mare delle incertezze che solo l’incontro con la malattia può rendere – per Luigi possa essere stata la parola chiave del percorso
che ha sostenuto coraggiosamente e risolto positivamente.
Prima che giungesse natale gli incontri con Luigi si diradarono per poi terminare in una tipica mattina dicembrina.
Ci salutammo senza dire quasi nulla, soltanto una stretta di mano, mani che non avevano perso la forza di lottare,
mani che sapevano ringraziare; ci scambiammo solo una promessa che se ci fossimo casomai rivisti sarebbe bastato un cenno di saluto, ancora il silenzio per non cadere nella banalità di frasi convenzionali.
Vedere Luigi chino vicino alla sua auto mi ha così riempito di gioia che ho eluso la promessa; mi sono avvicinato e
gli ho soltanto chiesto: “Luigi quando mi farai sedere all’ombra del tuo ulivo per compiacermi della sua saggezza?”.
Luigi raccolse i cocci e quella stessa mattina mi portò nel suo podere. Ci sedemmo come vecchi amici e parlammo
non ricordo per quanto tempo; mi riaccompagnò al molo quando ormai le gru erano ferme, i chiassosi portuali
avevano smesso di lavorare e i cani dormivano sui pescherecci attraccati.
Si udiva solo il lento movimento del mare, irregolare nel lambire gli scogli ormai deserti e incupito del grigiore
invernale.
rividi la scritta su quel muro di tufo bianco e in quel momento se avessi potuto l’avrei cambiata in:
“Chi ama la vita sarà sempre libero”.
Epilogo
il linguaggio non è il solo modo di comunicare, è anche la maniera più efficace per falsare ogni possibilità di comunicazione autentica e quindi per non comunicare.
infatti le parole possono essere adoperate per dar vita a funambolismi linguistici che hanno come fine l’incomprensibilità.
Sostegno tecnico-relazionale, comunicazione empatica, relazione di aiuto, parole, gesti, pause, ascolto attivo, assertività: tutto ciò è rilevante per un professionista che si occupa di salute.
Tuttavia, se non si riesce per inesperienza, tecnicismo esasperato, frustrazione professionale, burocratizzazione,
distacco emotivo a scoprire con umiltà e pazienza la parola chiave, la password per entrare in quel mondo che è
l’Uomo, non potremmo mai godere appieno della Sua unicità soprattutto in una fase delicata della vita: l’incontro
con la malattia e la sofferenza.
e ciò che con Luigi ho imparato, ciò che Luigi mi ha insegnato e donato.
Grazie Luigi
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