Settembre-Ottobre 2006 - Ordine dei Giornalisti

Transcript

Settembre-Ottobre 2006 - Ordine dei Giornalisti
Ordine
Anno XXXV
n. 9-10 Settembre/Ottobre 2006
Direzione e redazione
Via A. da Recanate, 1
20124 Milano
Telefono: 02 67 71 37 1
Telefax: 02 66 71 61 94
http://www.odg.mi.it
e-mail:[email protected]
Poste Italiane SpA
Sped.abb.post. Dl n. 353/2003
(conv. in L. 27/2/2004 n. 46)
art. 1 (comma 2).
Filiale di Milano
dei
giornalisti
della
Lombardia
Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo
Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo
PREVIDENZA E FREE LANCE
Con l’avallo del ministro del Lavoro e della Previdenza
sociale Cesare Damiano
SANZIONI PER LA STAMPA
Le intercettazioni illegali non potranno essere
utilizzate ai fini processuali e vanno distrutte
Controriforma all’Inpgi2: Cinquanta centesimi
a copia per chi pubblica
chi guadagna fino
a 1.500 euro all’anno
e ha più di 5 anni di Albo
verserà un acconto
di 270 euro
In precedenza pagava solo
un contributo di 120 euro!
In Italia - ma non per i giornalisti - il lavoro fino a 5mila euro
è occasionale ed è privo dell’obbligo d’iscrizione alla gestione
separata dell’Inps (ex articoli 61 della legge 276/2003 e 44
della legge 326/2003). Perché l’Inpgi non si adegua all’Inps?
I giornalisti sono cittadini di serie B? Il prelievo è una tassa sulla
povertà: somiglia alla “tassa del macinato”, che ha consentito
allo Stato risorgimentale di ottenere il pareggio del bilancio.
Franco Abruzzo: “Questa falsa riforma è una mossa
per far crescere tra i giornalisti un clima di odio contro
l’Ordine e per favorire i piani di abolizione dell’ente.
Il gioco è scoperto. È evidente che chi non è iscritto
all’Albo non ha questi balzelli sulla testa”.
IL SERVIZIO A PAGINA 2
Roma, 22 settembre 2006. Cinque articoli in
tutto per impedire qualsiasi utilizzazione delle
intercettazioni illegali e punire i responsabili. È
strutturato così il decreto legge approvato dal
Consigli dei ministri e che entra in vigore “dal
giorno successivo alla sua pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale”, probabilmente dunque da
domani.
È il primo articolo a stabilire che “l’autorità giudiziaria dispone l’immediata distruzione dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti
dati e contenuti di conversazioni e comunicazioni, relativo al traffico telefonico e telematico,
illegalmente formati o acquisiti”. E allo stesso
modo si provvede per i documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni. È
vietato pure farne copia, ma soprattutto, stabilisce la norma, “il loro contenuto non costituisce in alcun modo notizia di reato, ne può essere utilizzato a fini processuali o investigativi”.
Delle operazioni di distruzione è redatto un apposito verbale. La lettura del verbale che dà atto dell’avvenuta distruzione, stabilisce l’articolo
2, deve essere sempre consentita.
Il decreto punisce anche la semplice detenzione delle intercettazioni illegali con la reclusione da sei mesi a quattro anni; pena che aumenta da uno a cinque anni se il responsabile è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio.
Mentre è l’articolo 4 a stabilire le sanzioni pecuniarie a carico dei giornalisti: a titolo di riparazione ogni interessato può chiedere all’autore della divulgazione degli atti, al direttore o vicedirettore responsabile e all’editore in solido
tra loro “una somma di denaro determinata in
ragione di cinquanta centesimi per ogni copia
stampata, ovvero da cinquantamila euro a un
milione, secondo l’entità del bacino di utenza
ove la diffusione sia avvenuta con mezzo radiofonico, televisivo o telematico”. In ogni caso
“l’entità della riparazione non può essere inferiore a ventimila euro”. L’azione di risarcimento
“va proposta entro un anno dalla divulgazione”, tranne che la vittima della intercettazione
illegale “non dimostri di averne avuta conoscenza successivamente.
(ANSA)
ABRUZZO: “LE INTERCETTAZIONI
ILLEGALI
NON SONO COPERTE
DAL DIRITTO DI CRONACA”
Milano, 22 settembre 2006. Franco
Abruzzo, presidente dell’Ordine dei
giornalisti della Lombardia, ha così
commentato il provvedimento del governo:
“Le intercettazioni illegali non sono coperte dal diritto di cronaca e non possono trovare cittadinanza nelle pagine
dei giornali. Diverso è il discorso sulle
intercettazioni disposte dall’autorità
giudiziarie: quelle si possono pubblicare, ma salvaguardando la dignità delle
persone coinvolte.
Il rispetto della persona e della dignità
umana è il limite interno all’esercizio
del diritto di cronaca, principio questo
figlio dell’articolo 2 della Costituzione e
dell’articolo 2 della legge professionale
dei giornalisti”.
Abruzzo a
Capezzone:
5 ragioni a favore
dell’Ordine
dei giornalisti A PAGINA 6
Fabio Mussi ritira
“il Dpr Siliquini”.
Ma annuncia
alla Camera
la laurea triennale
per l’accesso A PAGINA 14
Promosso e organizzato dal Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia
Via al IX concorso tesi di laurea sul giornalismo
Sette sezioni: a ogni vincitore 2.500 euro. I candidati dovranno consegnare le tesi entro dicembre. Ammessi al concorso coloro
che hanno riportato un voto non inferiore a 99/110.
Milano, 12 luglio 2006. Promosso e organizzato dal Consiglio dell’Ordine dei giornalisti
della Lombardia (nel contesto dell’articolo 20/bis del Dpr 115/1965 e con l’approvazione
dall’assemblea 2006 degli iscritti), prende il via il IX “concorso” destinato a valorizzare le tesi di laurea dedicate al giornalismo e alle istituzioni della professione. L’obiettivo è quello di
capire, attraverso le tesi, i reali problemi del mondo multimediale e conseguentemente di
elaborare i migliori criteri di una formazione moderna dei giovani, che si avviano alla professione, e di quanti operano già “dentro” la professione. La collaborazione OrdineUniversità è prefigurata dal comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999 (che vuole l’esame
di Stato agganciato alle lauree della riforma) e dal Dlgs 300/1999 (che assegna alle
Università il compito di preparare i nuovi professionisti): il concorso, lanciato dall’Ordine dei
giornalisti di Milano, è un momento di questa collaborazione strategica per i giornalisti.
L’articolo 20/bis del Dpr 115/1965 impegna il Consiglio nazionale a “collaborare, direttamente o di concerto con i Consigli regionali, con università, facoltà o scuole nazionali universitarie di giornalismo ai fini della organizzazione dei programmi e degli esami per la
migliore formazione e specializzazione professionale dei giornalisti”.
Giudice insindacabile del Premio è lo stesso Consiglio dell’Ordine. Le tesi (in unica copia
e anche su dischetto in programma word oppure rtf) dovranno pervenire alla segreteria
dell’Ordine (via Antonio da Recanate 1- 20124 Milano) entro il 31 dicembre 2006. Le tesi,
comunque, non verranno restituite. Ogni candidato dovrà presentare la domanda in carta
semplice corredata dai dati anagrafici comprensivi del codice fiscale, dei recapiti telefonici
e della residenza nonché dal certificato di laurea in carta semplice (sono ammessi al concorso coloro che hanno riportato un voto non inferiore a 99/110). Potranno concorre-
ORDINE
9-10
2006
re le tesi discusse nelle Università italiane (pubbliche e private) nel periodo gennaio-dicembre 2006 a conclusione dei corsi quadriennali e quinquennali nonché dei corsi
biennali specialistici post laurea triennale (laurea magistrale). Le sezioni del Premio
(al quale ogni candidato dovrà far riferimento) sono sette e ogni vincitore di sezione riceverà 2.500 euro. L’impegno finanziario dell’Ordine è, pertanto, di 17.500 euro complessivi.
La cerimonia della consegna avverrà in occasione dell’assemblea degli iscritti all’Albo
dell’Ordine della Lombardia. La cerimonia, quindi, è prevista per il marzo 2007 al Circolo
della Stampa. Estratti (di 400 righe) delle tesi premiate (e segnalate) verranno pubblicati su
Tabloid, organo bimestrale dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Per la valutazione delle tesi il Consiglio si avvarrà, come lo scorso anno, dell’opera di consulenti (giornalisti e professori universitari).
Queste le sezioni:
1) Storia del giornalismo italiano, dei suoi interessi e dei suoi protagonisti, anche attraverso le vicende storiche e di costume che lo hanno impegnato.
2) Storia del giornalismo occidentale.
3) Istituzioni della professione giornalistica. La deontologia e l’inquadramento contrattuale
dei giornalisti in Italia, in Europa e nel resto del mondo occidentale.
4) Giornalismo radiotelevisivo.
5) Giornalismo telematico.
6) Giornalismo economico e finanziario.
7) Giornalismo culturale, sociale, scientifico, sportivo e di costume.
Con l’avallo del ministro del Lavoro e della Previdenza sociale Cesare Damiano
PROFESSIONE
Controriforma all’Inpgi2: chi
guadagna fino a 1.500 euro
all’anno e ha più di 5 anni di Albo
verserà un acconto di 270 euro.
In precedenza pagava soltanto
un contributo di 120 euro!
Roma, 8 settembre 2006. Gabriele
Cescutti, presidente dell’Inpgi, ha diramato
il 5 marzo una lettera, che riportiamo qui di
seguito. La lettera annuncia una riforma
del sistema di pagamento dei contributi minimi all’Inpgi2. Si tratta di prelievi iniqui,
che per di più assicurano pensioni di fame
ai giornalisti free lance, che vivono di collaborazioni. Finora coloro che guadagnavano fino a 1.500 euro all’anno versavano
all’ente un contributo ridotto di 120 euro.
Da oggi esiste un unico contributo minimo annuo per tutti coloro che abbiano
un’anzianità di iscrizione all’Albo professionale superiore a 5 anni a prescindere dal
reddito: la misura di tale contributo/anticipo
è pari a complessivi 270,11 euro. Chi, invece, ha meno di 5 anni di Albo dovrà versare un contributo/anticipo (ridotto) di
122,72 euro (contro i 120,43 euro di prima). Procediamo con un esempio: chi guadagna 10.000 euro, versa l’anticipo di 270
euro, che poi scalerà in sede di saldo dai
1.200 euro somma equivalente al 12% di
10.000 euro. In effetti la riforma favorisce
chi guadagna molto e penalizza chi guadagna poco, perché a chi guadagna poco
la riforma non consente il rimborso della
differenza tra l’acconto e la somma pari al
12% dei compensi percepiti. In sostanza
gli acconti (270 o 122 euro) non sono rimborsabili in quanto rappresentano quel
contributo minimo destinato anche a far
funzionare l’Inpgi2. Da oggi in avanti non
verrà accordato alcun trattamento di favore a chi guadagna meno di 1.500 euro.
Ancora una volta l’Inpgi/2 perde l’occasione di accogliere le richieste che vengono
dal mondo giornalistico giovanile e non so-
lo giovanile. In Italia - tranne per i giornalisti - il lavoro fino a 5.000 euro è occasionale ed è privo dell’obbligo d’iscrizione alla gestione separata Inps (ex articoli 61
della legge 276/2003 e 44 della legge
326/2003). Questo principio vale anche
per l’Inpgi2 in virtù del principio costituzionale di uguaglianza tra i cittadini e dell’articolo 76 (punto 4) della legge 388/2000:
“Le forme previdenziali gestite dall’Inpgi
devono essere coordinate con le norme
che regolano il regime delle prestazioni e
dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive”. Perché i giornalisti sono discriminati
rispetto ai cittadini assicurati con l’Inps?
Con il parere n. 881 (17 giugno 1998)
emesso su richiesta del ministro del
Lavoro e del ministro del Tesoro, il
Consiglio di Stato ha affermato: “Non sussiste obbligo di iscrizione alla Cassa di
previdenza per i soggetti iscritti nell’Albo
che esercitano un’attività professionale in
maniera occasionale” I due ministri e
l’Inpgi hanno disatteso il parere.
Può l’Inpgi/2 marciare in direzione opposta
agli interessi dei suoi iscritti? Che ne pensa la Fnsi?
Questa la lettera di Cescutti:
“Lo scorso 31 agosto il ministero del
Lavoro ha comunicato l’approvazione definitiva di un’importante delibera assunta dal
Comitato amministratore della Gestione
separata nel mese di maggio. Il provvedimento prevede una semplificazione del sistema di pagamento dei contributi minimi
che, come è noto, devono essere versati
ogni anno entro il 30 settembre, in acconto sulla contribuzione dovuta per il medesimo anno.
Biancheri:
“Non ci sono
indicazioni
per la ripresa
del negoziato
sul contratto”
Roma, 5 giugno 2006. “Non ci sono indicazioni che mi facciano pensare che vi siano condizioni per cui la ripresa di
un negoziato possa portare a risultati costruttivi e realistici”. Così il presidente della Fieg, Boris Biancheri, fa il punto sulla vertenza per il rinnovo del contratto giornalistico, a
margine di una conferenza stampa presso la sede della
Federazione degli editori. Nel ripercorrere le fasi salienti del
negoziato, Biancheri ha ricordato che “da parte della Fieg
era stata fatta una proposta di proroga della normativa vigente per affrontare solo la parte economica, ma la proposta è stata respinta e questo credo sia stato un errore”.
(Adnkronos)
Il ministro
Damiano
assicura:
“Continuerò
a cercare
il dialogo tra
Fnsi e Fieg”
Roma, 14 luglio 2006. Nella trattativa per il rinnovo del
contratto dei giornalisti il ministro del Lavoro, Cesare
Damiano, continuerà a cercare elementi di dialogo tra le
controparti, nonostante la recente presa di posizione, in
negativo, manifestata dalla Fieg, l'associazione degli editori. Lo ha detto, a margine di un incontro su concertazione
e politica del reddito, il ministro del Lavoro Cesare
Damiano.
“Il ministro - ha osservato riferendosi alle contrapposizioni
tra giornalisti ed editori in merito al rinnovo del contratto dei
primi - continuerà a cercare opportunità per il dialogo. I
giornalisti - ha concluso - hanno dato la loro disponibilità”.
(ANSA)
2
Sono attualmente in corso di spedizione al domicilio di tutti i colleghi
iscritti all’Inpgi2 i bollettini di pagamento prestampati e personalizzati.
Nel caso in cui qualcuno non dovesse ricevere il bollettino potrà effettuare il pagamento specificando la causale del versamento “contributi minimi anno 2006”:
o a mezzo c/c postale intestato a:
Inpgi Gestione separata D. Lgs.
103/96 - n. 94425006;
oppure a mezzo bonifico bancario intestato:
a Inpgi Gestione separata D.Lgs.
103/96 - Banca Popolare di Sondrio Agenzia 11 Roma - CIN W ABI 05696
CAB 03200
c/c 000020000X28
Il sistema di acconti
oggi abrogato
Gli acconti
da oggi in vigore
Finora il meccanismo in vigore prevedeva
tre casi distinti:
● gli iscritti all’Ordine da più di 5 anni dovevano pagare un contributo minimo complessivo di 338,90 euro (di cui 258,23 a
titolo di contributo soggettivo, 51,64 euro
a titolo di contributo integrativo e 29,03
euro per contributo di maternità);
Per questi motivi il Comitato amministratore, nella riunione del 10 maggio scorso, ha
approvato una modifica al Regolamento
(ora ratificata dal ministero del Lavoro) fissando un unico contributo minimo annuo
per tutti coloro che abbiano un’anzianità di
iscrizione all’Ordine professionale superiore a 5 anni, a prescindere dal reddito. La
misura di tale contributo è pari a complessivi 270,11 euro di cui 200 euro dovuti a titolo di contributo soggettivo, 40 euro dovuti a titolo di contributo integrativo e 30,11
euro per contributo maternità (tale ultimo
importo varia di anno in anno in relazione
all’andamento degli indici Istat).
●
coloro che invece erano iscritti all’Ordine
da meno di 5 anni dovevano versare un
contributo minimo ridotto pari a 120,43
euro (di cui 71,40 euro a titolo di contributo soggettivo, 20 euro a titolo di contributo integrativo e 29,03 euro per contributo di maternità);
inoltre, era previsto che dovessero versare soltanto il contributo ridotto di
120,43 euro anche coloro che, pur essendo iscritti all’Ordine da più di 5 anni,
prevedessero di conseguire nell’anno un
reddito non superiore a 1.500 euro. Per
potersi avvalere correttamente di questa
possibilità il collega doveva però comunicare per iscritto che il proprio reddito
(presumibilmente) non avrebbe superato
nell’anno la soglia dei 1.500 euro, salvo
eventuale conguaglio in caso di superamento del limite.
Quest’ultima previsione aveva però ingenerato confusione tra vari colleghi, con la
conseguenza che i numerosi errati pagamenti avevano comportato la necessità di
frequenti rettifiche di posizioni, con notevoli carichi di lavoro aggiuntivo per gli uffici dell’Inpgi.
●
Riepilogando, quindi, entro il prossimo
30 settembre, i colleghi iscritti dovranno
provvedere ad eseguire il versamento di
uno soltanto dei due seguenti importi di acconto:
Euro 122,72 (di cui 72,61 euro di contributo soggettivo, 20 euro di contributo integrativo e 30,11 euro per contributo maternità).
Tale importo dovrà essere versato in acconto da coloro che sono iscritti all’Ordine
professionale da meno di 5 anni.
●
●
Euro 270,11 (di cui 200 euro di contributo soggettivo, 40 euro di contributo integrativo e 30,11 per contributo maternità).
Questo importo, invece, dovrà essere
versato in acconto da coloro che vantano
un’anzianità di iscrizione all’Ordine superiore a 5 anni.
Fnsi:
quattro giornate
di sciopero
per riavviare
la trattativa
contrattuale
Roma, 7 settembre 2006. La Giunta della Federazione nazionale della stampa
italiana riunita con le Associazioni regionali di stampa, ha proclamato quattro giornate di sciopero nazionale dei giornalisti italiani per rivendicare la riapertura della trattativa contrattuale con la Federazione italiana editori giornali (Fieg).
I giornalisti dei quotidiani, delle agenzie di stampa, dell’emittenza radiotelevisiva
pubblica e privata si asterranno dal lavoro venerdì 29 e sabato 30 settembre; i
giornalisti dei quotidiani e delle agenzie di stampa attueranno altre due giornate
di sciopero nazionale giovedì 5 e venerdì 6 ottobre alle quali parteciperanno anche i colleghi dei quotidiani free press; i giornalisti della Rai e di tutta l’emittenza
radiotelevisiva nazionale attueranno le altre due giornate di sciopero lunedì 16 e
martedì 17 ottobre.
Le modalità dello sciopero dei giornalisti dei periodici saranno decise dal
Coordinamento nazionale dei cdr del settore convocato nei prossimi giorni in videoconferenza a Milano e a Roma.
(www.fnsi.it)
ORDINE
9-10
2006
ORDINE
9-10
2006
3
La nuova legge si riferisce ai professionisti iscritti nei vari Ordini e Collegi
PROFESSIONE
Il “decreto legge Bersani-Visco”
colpisce la piattaforma della Fnsi:
si allontana per i free lance
il tariffario delle prestazioni,
ma resta in piedi quello indicativo
e non vincolante dell’Ordine
di Franco Abruzzo
presidente dell’Ordine dei giornalisti
della Lombardia
Milano, 2 luglio-11 agosto 2006. Il “fuoco amico” del governo Prodi ha affondato quella parte della piattaforma contrattuale della Fnsi, che prevede un tariffario per le prestazioni
autonome (dei giornalisti free lance) con queste precise parole: “Si chiede, inoltre, la definizione di un tariffario delle prestazioni autonome rapportato alla specificità della prestazione (notizia, articolo, inchiesta) e al mezzo di diffusione (quotidiani, periodici, giornali elettronici). I compensi dovranno essere maggiorati quando si riferiscano ad avvenimenti che richiedano la presenza del giornalista nei giorni domenicali e
festivi infrasettimanali”. Il decreto legge, varato il 30 giugno
dal Consiglio dei ministri, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
del 2 luglio e poi dell'11 agosto come legge n. 248, stabilisce
che “sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti”.
È evidente che l’abrogazione riguarda le tariffe obbligatorie
fisse o minime in vigore, ma è evidente anche che non se ne
possano fissare di nuove, soprattutto tenendo conto che il
Contratto dei giornalisti, con il Dpr 153/1961, ha assunto forza di legge. Può sopravvivere il Tariffario dell’Ordine dei giornalisti, - varato ogni anno dal Consiglio nazionale con riferimento agli articoli 2, 11 e 35 delle legge professionale n.
69/1963 nonché agli articoli 2230, 2231 e 2233 del Codice civile -, che ha carattere indicativo e non vincolante. Il tariffario
in sostanza è una “tabella dei compensi minimi inderogabili,
al netto delle contribuzioni previdenziali, per le prestazioni
professionali autonome dei giornalisti (locatio operis) non regolate dal contratto collettivo di lavoro perché non comportanti subordinazione anche se costituenti cessioni di diritto
d’autore”. I minimi del Tariffario sono valorizzati dai presidenti regionali dell’Ordine quando rilasciano il parere di congruità
(ex artt. 2233 Cc nonché 636 Cpc) ai giornalisti, che hanno
deciso di citare in giudizio gli editori, che hanno omesso il pagamento delle collaborazioni. Recita l’articolo 636 Cc: “Il parere non occorre se l’ammontare delle spese e delle prestazioni è determinato in base a tariffe obbligatorie (che oggi sono state cancellate, ndr). Il giudice, se non rigetta il ricorso, deve attenersi al parere nei limiti della somma domandata, salva la correzione degli errori materiali”. Questo articolo dovrebbe voler dire che il parere riguarda prestazioni non regolate da tariffe obbligatorie (come sono quelle dei giornalisti).
Se così fosse, rimarrebbero in piedi il tariffario dell’Ordine nazionale e i pareri di congruità dei presidenti degli Ordini regionali. Secondo gli articoli articoli 2225 e 2233 del Cc, “il corrispettivo (o compenso), se non è convenuto dalle parti e non
può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”. Questi articoli conferiscono una supplenza ai
giudici, che dovrebbero determinare in via autonoma l’entità
dei compensi spettanti ai giornalisti liberi professionisti vittime
dei “tempi lunghi” o delle dimenticanze degli editori.
La legge Bersani-Visco, però, fa saltare l’articolo 633 del Cc
in base al quale “il giudice competente pronuncia ingiunzione di pagamento… se il credito riguarda onorari, diritti o rimborsi spettanti ai notai a norma della loro legge professionale oppure ad altri esercenti una libera professione o arte, per
la quale esiste una tariffa legalmente approvata”. Come dire:
Previsto
il taglio
ai contributi
a favore
dei giornali
organi di
partito
e/o di
movimenti
“fantasma”.
Collaborazioni
pagate
solo via banca
se non c’è più la tariffa legalmente approvata non c’è più il
decreto di ingiunzione di pagamento. Un bel rebus, che rafforza la pretesa degli editori di pagare le collaborazioni secondo i loro comodi.
“I compensi in denaro per l’esercizio di arti e professioni sono riscossi - dice l’articolo 35 della legge - esclusivamente
mediante assegni non trasferibili o bonifici ovvero altre modalità di pagamento bancario o postale nonché mediante sistemi di pagamento elettronico, salvo per importi unitari inferiori a 100 euro”. Anche i giornalisti free lance “sono obbligati a tenere uno o più conti correnti bancari o postali ai quali
affluiscono, obbligatoriamente, le somme riscosse nell’esercizio dell’attività e dai quali sono effettuati i prelevamenti per
il pagamento delle spese”.
L’articolo 20 del dl prevede un taglio ai contributi a favore dei
giornali organi di partito e/o di movimenti politici “fantasma”.
Anche per i giornalisti professionisti, quindi, decade
a) il divieto, anche parziale, di pubblicizzare i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto e il prezzo delle prestazioni.
b) il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che il medesimo
professionista non può partecipare a più di una società e
che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più
professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità.
Concludendo, l’articolo 2 del dl parla delle tariffe proprie di
coloro che svolgono “attività libero professionali e intellettuali”, cioè di coloro che hanno sostenuto (ex art. 33, V comma, della Costituzione) “un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale”. In una parola la nuova legge si riferisce ai professionisti iscritti nei vari Ordini e Collegi.
SCUOLE DI GIORNALISMO
Consulta dei presiden
Roma, 4 luglio 2006. A Roma, nella sede
dell’Ordine nazionale dei giornalisti, si è riunita la Consulta dei presidenti e dei vicepresidenti degli organismi regionali. Un solo tema all’ordine del giorno: le Scuole di giornalismo autorizzate. Un quesito su tutti: l’attività
di controllo (e verifica) deve essere svolta
solo dall’Ordine nazionale? Sì, secondo l’orientamento della quasi totalità dei convenuti. Anche se non è stata esclusa la possibilità di intervento da parte degli Ordini regionali, che potrebbero essere rappresentati sia
negli esecutivi delle Scuole sia nel Comitato
tecnico scientifico dell’organismo nazionale.
Fermo questo punto, Vittorio Roidi, segretario dell’Ordine nazionale, dopo una lunga e
complessa discussione, ha annunciato l’inizio di un lavoro per giungere a modifiche del
“Quadro di indirizzi” sulle Scuole di giornalismo, anche sulla base di contributi futuri.
Una modifica sostanzialmente di contenuti,
ma anche di numeri. Numeri, perché Roidi già nel suo intervento di apertura, ricordando le proposte sindacali di chiusura a tempo
delle Scuole (18 in tutto, 16 operative) per limitare il numero di disoccupati postpraticantato - non ha escluso una possibile “misura
politica” di riduzione dei praticanti ammessi
to Coordinamento delle Scuole, ha tra gli
obiettivi principali proprio lo studio delle modalità di insegnamento, nonché dei contenuti basilari. Lo stesso Coordinamento potrebbe partecipare alle riunioni del Comitato
tecnico scientifico, così come gli Ordini regionali potrebbero essere coinvolti negli incontri delle Scuole. Sugli stage dei praticanti (delle Scuole) posizione quasi unica: sono
colleghi, praticanti, non devono sostituire i
professionisti in ferie o altro (sottraendo lavoro ai disoccupati), ma neppure stare con
le mani nelle mani. Richiesto un utilizzo reale e costruttivo nel rispetto delle norme sindacali. Casomai, dovrebbero essere diversamente gestiti gli stagisti provenienti dalle
Università. Comunque, un tavolo di lavoro
ampio ma condiviso su più punti. Tra questi,
la difesa e la valorizzazione del percorso
universitario - in grado di garantire professionisti adeguatamente preparati e multimediali (nonostante i molti stop alla riforma dell’accesso alla professione) - e l’invito al
Sindacato a rientrare nei propri compiti istituzionali.
E veniamo ai singoli interventi registrati nel
corso della Consulta. Bruno Tucci, presidente dell’Ordine del Lazio, ha affrontato più
4
dalle strutture autorizzate dall’Ordine (ipotizzata una percentuale del 10 per cento). Il
segretario ha però ribadito un concetto: “Se
si è bravi e preparati il mercato c’è”.
Un’affermazione fondata ancora sui numeri:
9 professionisti su dieci (formati nelle
Scuole) lavorano, anche se con diverse tipologie contrattuali. Inoltre, Roidi, nel corso
dell’introduzione dei lavori, aveva sottolineato come, su base annuale, il numero di praticanti delle Scuole che sostengono l’esame
di stato rappresentano il 12 (massimo 15)
per cento dei circa 1200 candidati totali.
E ora i contenuti. Contenuti che si reggono
sul complesso equilibrio tra insegnamenti
universitari e giornalistici. Sorvolando sugli
accordi raggiunti nelle singole realtà, chi decide, relativamente ai giornalisti, se deve insegnare il professionista Bianchi o Rossi. E,
soprattutto, chi decide cosa insegnare. E come. Al di là delle direttive del “Quadro di indirizzi”, c’è stata la proposta di istituire un
“Albo dei formatori”. Insomma, chi è capace,
secondo certificato, insegna. Su questo punto, il segretario ha espresso una certa perplessità: “È una idea molto difficile da realizzare. E, poi, i formatori devono essere autonomi. È indispensabile”. Tra l’altro, il neona-
problemi: “Gli stagisti delle Scuole hanno poco spazio anche per la presenza in redazione di universitari che poi diventano abusivi”
(ipotizzata una trattativa con la Fieg sulle
modalità di accesso in redazione degli stagisti). Confermata la bontà del percorso universitario contro i ciucci: “Sulle Scuole l’ultima parola spetta all’Ordine nazionale”.
Sull’ammissione agli esami, per Tucci sono
necessarie regole uniche e uniformità di giudizio. E, più in generale, maggiore rigidità
anche in sede nazionale: sotto accusa il
“buonismo della Commissione ricorsi”. Sulla
necessità di uniformità di giudizio sull’ammissione agli esami (praticantati d’ufficio, ma
anche freelance) si è espresso anche
Maurizio Paglialunga, presidente dell’Ordine
del Veneto. E ancora: “Gli stagisti spesso sono forza lavoro a costo zero”; sull’argomento
numero di allievi (e relative polemiche sindacali), Paglialunga ha proposto di approfondire la capacità di assorbimento del mercato.
Infine, la richiesta di nuove regole nel segno
della chiarezza e della trasparenza (anche
finanziaria) nel rapporto con le Scuole in
convenzione: dal legame (“scarso”) con gli
Ordini regionali alle rette sborsate dagli allievi (“Scuole solo per ricchi?”). Silvano Rizza,
ORDINE
9-10
2006
Liste di “Autonomia e Solidarietà”, componente degli organismi di categoria dei giornalisti italiani Coordinamento nazionale
“Autonomia e Solidarietà”:
contratti, etica,
accesso alla professione,
le priorità della categoria
CONTRATTI
L’assemblea sottolinea la gravità della situazione che si è determinata per responsabilità degli editori della Fieg. La pervicace volontà degli editori di colpire a morte la contrattazione nazionale della categoria, di stravolgerne le regole, di indebolire fortemente
il sindacato e attraverso questo obiettivo colpire l’autonomia professionale dei giornalisti
ha avuto fin qui una risposta ferma ed unitaria, testimoniata dal successo delle otto
giornate di sciopero finora programmate. Il
giornalismo italiano non può accettare che
l’attuale blocco della trattativa contrattuale si
protragga ancora a lungo.
Occorre, come ha chiesto la Fnsi, che il governo ponga gli editori di fronte alle loro responsabilità sociali.
La Fieg ha presentato al governo un pacchetto di richieste, alcune delle quali sono
anche condivisibili. Tuttavia, gli editori italiani non possono chiedere che un fiume di
denaro prenda la strada delle loro aziende
e intanto operare una surrettizia riduzione
del costo del lavoro attraverso il blocco del
contratto, l’uso dei lavoratori precari e un
trattamento risibile al lavoro autonomo per
di più lasciato senza regole e tutele certe.
La trattativa deve avviarsi senza pregiudiziali e produrre ragionevoli compromessi.
Per quanto riguarda la definizione del profilo professionale dei giornalisti addetti stampa pubblici urge aprire la trattativa sull’ipotesi di testo che la Fnsi, d’intesa con un numero significativo di sindacati autonomi, ha
già presentato all’Agenzia per la negozia-
RIFORMA DELL’ACCESSO
Nel fine settimana di metà giugno, si è tenuta, a Ferrara, la
tradizionale Assemblea nazionale della componente di
“Autonomia e Solidarietà”, la principale forza di maggioranza
della Fnsi e parte importante del governo di tutti gli organismi
di categoria.
Il dibattito ha affrontato tutti i temi più importanti che stanno di
fronte alla categoria dei giornalisti. Nel corso della discussione
sono intervenuti 36 colleghi e tra questi tutti i principali esponenti
degli enti di categoria che fanno riferimento alla componente.
zione contrattuale nel pubblico impiego
(Aran). In questo caso la responsabilità del
governo è diretta e decisiva per indurre
l’Aran a convocare i necessari incontri. Il
permanere di una posizione di indisponibilità da parte di Cgil, Cisl e Uil non può impedire la realizzazione di quanto previsto
da una legge dello Stato che ormai risale a
6 anni fa, ma le cui previsioni restano pienamente valide.
Le grandi Confederazioni sindacali debbono comprendere che la loro è una posizione sterile che occorre superare nell’interesse più generale dei lavoratori.
Del resto la disponibilità del sindacato dei
giornalisti al confronto con le Confederazioni per individuare una strada comune su
questo tema è sempre stata totale.
Testo del decreto-legge 4 luglio 2006
Testo del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, coordinato
con la legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di
contrasto all’evasione fiscale”.
Art. 2. Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali
1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza
ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà
di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:
a) l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di
pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli
obiettivi perseguiti;
b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa
circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità
del messaggio il cui rispetto è verificato dall’Ordine;
c) il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l’oggetto sociale
relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a
più di una società e che la specifica prestazione deve es-
DEONTOLGIA
I giornalisti italiani si trovano di fronte a vicende che ne mettono fortemente in discussione la credibilità. È necessario che tutti gli
organismi della categoria facciano la loro
parte. È necessario che ciò che in queste vicende - scaturite da varie intercettazioni telefoniche che è stato giusto pubblicare - è
deontologicamente rilevante venga esaminato dall’Ordine professione in tutte le sue
articolazioni. È così, con la trasparenza dei
procedimenti, che si opera in modo effettivamente garantista verso i colleghi e la pubblica opinione.
Su questo tema occorrerà intensificare l’attenzione ed operare un approfondimento per
rendere più efficaci le regole deontologiche
che la stessa categoria si è data.
sere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità.
2. Sono fatte salve le disposizioni riguardanti l’esercizio delle
professioni reso nell’ambito del Servizio sanitario nazionale o
in rapporto convenzionale con lo stesso, nonché le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti. Il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio
e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale. Nelle procedure ad evidenza pubblica, le stazioni appaltanti possono utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute
adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali.
2-bis. All’articolo 2233 del codice civile, il terzo comma è sostituito dal seguente:
“Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra
gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali”.
3. Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1
sono adeguate, anche con l’adozione di misure a garanzia
della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio
2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla
medesima data le norme in contrasto con quanto previsto dal
comma 1 sono in ogni caso nulle.
Art. 20. Presidenza del Consiglio dei ministri
1. L’autorizzazione di spesa di cui alla legge 25 febbraio 1987,
n. 67, come determinata dalla tabella C della legge 23 dicembre 2005, n. 266, è ridotta di 1 milione di euro per l’anno 2006 e di 50 milioni di euro a decorrere dall’anno 2007.
2. In relazione a quanto disposto dal comma 1, con apposito
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono ri-
L’assemblea di “Autonomia e Solidarietà” ritiene il tema della definizione di meccanismi
certi ed univoci per l’accesso alla professione giornalistica una delle priorità a cui è di
fronte la categoria. La riforma della legge istitutiva dell’Ordine è ormai ineludibile: gravi
sono le responsabilità della classe politica
che da anni non affronta un problema che riguarda un settore importante per la qualità
della democrazia come è quello dell’informazione.
L’assemblea di “Autonomia e Solidarietà” ribadisce la validità della scelta, compiuta anni fa, di praticare vie che consentissero contemporaneamente di elevare la preparazione
culturale dei nuovi colleghi e nel contempo di
sottrarre la scelta stessa di poter praticare la
professione giornalistica alla totale discrezionalità degli editori. Alla luce delle enormi difficoltà che caratterizzano il mercato del lavoro giornalistico, sul quale preme una quota rilevante di inoccupazione intellettuale oltre
ad un numero altrettanto rilevante di disoccupati e precari, “Autonomia e Solidarietà” ritiene urgente un confronto approfondito tra
tutti gli organismi di categoria dei giornalisti
italiani, confronto dal quale devono scaturire
scelte in grado di attenuare quanto più possibile l’attuale confusione e disagio.
I temi della deontologia e dell’accesso alla
professione dovranno essere gli elementi dominanti della campagna elettorale delle elezioni per il rinnovo degli organi di governo
dell’Ordine dei giornalisti che si svolgeranno
tra un anno circa.
determinati i contributi e le provvidenze per l’editoria di cui
alla legge 7 agosto 1990, n. 250.
3. La dotazione relativa all’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, come determinata dalla tabella C della legge 23 dicembre 2005, n.
266, è ridotta di 39 milioni di euro per l’anno 2006.
3-bis. All’articolo 3, comma 2-ter, secondo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 250, e successive modificazioni, le parole: “Gli stessi contributi” sono sostituite dalle seguenti: “A
decorrere dal 1° gennaio 2002 i contributi di cui ai commi 8
e 11”.
3-ter. Il requisito della rappresentanza parlamentare indicato
nell’alinea dell’articolo 3, comma 10, della legge 7 agosto
1990, n. 250, e successive modificazioni, non è richiesto per
le imprese editrici di quotidiani o periodici che risultano essere giornali o organi di partiti o movimenti politici che alla data del 31 dicembre 2005 abbiano già maturato il diritto ai contributi di cui al medesimo comma 10.
Art. 35. Misure di contrasto dell’evasione e dell’elusione
fiscale
12. All’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica
29 settembre 1973, n. 600, dopo il secondo comma sono inseriti i seguenti: “soggetti di cui al primo comma sono obbligati a tenere uno o più conti correnti bancari o postali ai quali affluiscono, obbligatoriamente, le somme riscosse nell’esercizio dell’attività e dai quali sono effettuati i prelevamenti
per il pagamento delle spese.
I compensi in denaro per l’esercizio di arti e professioni sono
riscossi esclusivamente mediante assegni non trasferibili o
bonifici ovvero altre modalità di pagamento bancario o postale nonché mediante sistemi di pagamento elettronico, salvo per importi unitari inferiori a 100 euro”.
nti: “Va modificato il Quadro di indirizzi”
del Comitato tecnico scientifico dell’Ordine e
tra i fondatori dell’idea Scuole, è andato via
diritto: “Mi occupo solo di Scuole da circa
venti anni e l’esperienza mi dice che solo
due o tre sono buone”. Gli stage? “Sono l’essenza del percorso formativo”. Sui ventilati
squilibri occupazionali, Rizza ha aggiunto:
“Bisogna impedire che ne nascano altre o
quantomeno autorizzare nuove strutture tenendo conto delle condizioni di mercato”.
“L’opzione universitaria è irreversibile”, secco
l’esordio di Ermanno Corsi, presidente
dell’Ordine della Campania. Sul potere di
controllo da esercitare nei confronti delle
Scuole, Corsi ha affermato: “Non si può
escludere l’assegnazione di alcune funzioni
agli Ordini regionali”, tra cui la determinazione del numero di allievi da ammettere nella
struttura di competenza. Per Michele
Partipilo, presidente dell’Ordine della Puglia,
più che chiudere o stoppare le Scuole, è necessario intervenire sui praticanti fuori controllo (d’ufficio e freelance). “Le Scuole sono
l’unica strada per avere giornalisti sempre
più preparati, ma si devono anche individuare gli strumenti per farle funzionare”. Poi, due
proposte: l’istituzione dell’Albo dei formatori
e il voto degli allievi sugli insegnanti (da taORDINE
9-10
2006
gliare se non adatti), che alcune scuole già
adottano. Oreste Lopomo, presidente
dell’Ordine della Basilicata, ha diviso il suo
intervento in più punti: “Sulla formazione, è
indispensabile un compromesso tra Università e Ordine per ottenere giusti risultati”;
“Lo stage deve essere costruttivo e operativo”; “Il sindacato sta distruggendo il ruolo
dell’Ordine”. E infine: “Gli Ordini regionali devono essere rappresentati nel Coordinamento delle Scuole”. Per Fabrizio Franchi,
presidente dell’Ordine del Trentino AltoAdige, le Scuole garantiscono la formazione,
ma bisogna porsi “il problema del numero totale dei praticanti provenienti dalla strutture
convenzionate, perché contemporaneamente diminuisce il potere contrattuale, indebolito anche dai ricatti cui devono sottostare
abusivi e precari”. Franchi ha, poi, adombrato possibili situazioni a rischio, relativamente
ai finanziamenti percepiti da alcune Scuole.
Francesco De Vito, del Comitato esecutivo
dell’Ordine nazionale, contrario al blocco per
due anni dei corsi autorizzati (“una posizione sindacale meno minoritaria di un tempo”),
ha spostato il problema sul riconoscimento
dei praticantati d’ufficio (“spesso molto improbabili”). Sulla questione delle ammissioni
agli esami, negate dagli Ordini regionali, ma
poi approvate in sede nazionale, ha precisato: “Sono pochi episodi. Ineliminabili. Per
quanto riguarda il resto, bisogna dare atto
alla Commissione ricorsi dello sforzo massimo prodotto nell’applicazione dei criteri interpretativi dell’articolo 34”. Ezio Ercole, vicepresidente dell’Ordine del Piemonte, invece si è soffermato soprattutto sulla preparazione: “Perché non studiamo qualcosa per
favorire la crescita culturale dei pubblicisti?
La risposta potrebbe essere un master, in
convenzione universitaria (per laureati), finalizzato all’approfondimento delle conoscenze professionali”. Per Elio Pezzi, vicepresidente dell’Ordine dell’Emilia-Romagna,
l’organismo nazionale deve mantenere i poteri di controllo e verifica sulle Scuole, anche
se va rinnovato il quadro normativo.
Comunque, “non possiamo rinunciare alle
scelta universitaria”. Sul blocco dei corsi delle strutture in convenzione, una proposta all’insegna del turn over tra le Scuole.
Giannetto Sabbatini Rossetti, presidente
dell’Ordine delle Marche, ha insistito sulla
diversità di giudizio dei singoli organismi regionali nel trattare i riconoscimenti d’ufficio e
le richieste dei freelance: “Ci vogliono deli-
bere quadro per stabilire i criteri”. E poi: “Gli
stagisti praticanti devono lavorare non guardare, altrimenti non ha senso. Fermiamo
quelli provenienti dalle Università”. Infine: “Il
sindacato facesse la contrattazione, non
possiamo bloccare il mondo. I disoccupati si
qualifichino”.Maria Pia Farinella, consigliere
dell’Ordine nazionale, si è soffermata sull’avanzamento da parte delle donne nel mondo del giornalismo, da attribuirsi alla diffusione delle Scuole di giornalismo, perché, nei
processi di formazione, le donne non sono
mai seconde. Giulio Mastroianni, consigliere
dell’Ordine nazionale, invece, ha proposto
tre punti specifici su cui lavorare nel prossimo futuro: criteri unici (da parte degli Ordini
regionali) relativamente all’iscrizione al registro dei praticanti; utilizzo di soli disoccupati
e stagisti (provenienti dalla Scuole autorizzate) per le sostituzioni nelle redazioni; infine, la presenza degli Ordini regionali sia negli esecutivi delle Scuole sia nel Comitato
tecnico scientifico dell’organismo nazionale.
Alla Consulta sono intervenuti il presidente
dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Lorenzo
Del Boca, che ha definito la riunione “proficua”, e il direttore dell’ente, Ennio Bartolotta.
(g.c.)
5
Minaccia indiretta ai 2 milioni di professionisti italiani iscritti negli Ordini e nei Collegi
PROFESSIONE
Giornalisti:
5 ragioni
a favore
dell’Ordine
Non
vogliamo
tornare
al vecchio
“mestiere”
Risposta di Franco Abruzzo a Daniele Capezzone (Rnp)
che propone l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti
Milano, 11 agosto 2006. Pubblichiamo la lettera aperta che Franco Abruzzo, presidente
dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, ha
indirizzato all’onorevole rosapugnista Daniele
Capezzone, che oggi ha proposto l’abolizione
dell’Ordine dei giornalisti, accogliendo i suggerimenti degli editori e in generale dei padroni delle ferriere:
Ho letto con interesse le tue dichiarazioni
solitarie all’interno della maggioranza di
governo e contrastate dall’opposizione.
Mi permetto sommessamente di ricordare
che la parola Ordine significa riconoscimento giuridico di una professione, nel
caso particolare della professione giornalistica. L’Ordine, inoltre, è la deontologia.
Nel caso specifico le “regole” fissate dal
legislatore sono il perno, come afferma il
nostro contratto di lavoro, dell’autonomia
dei giornalisti. I Consigli degli Ordini sono
per legge i giudici disciplinari e in questo
campo fanno la loro parte, certamente con
alti e bassi.
Sottolineo l’importanza strategica per una
società democratica del nuovo diritto fondamentale dei cittadini all’informazione
(“corretta e completa”), costruito dalla
Corte costituzionale sulla base dell’articolo 21 della Costituzione e dell’articolo 10
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (che è legge
“italiana” dal 1955). Questo nuovo diritto
fondamentale presuppone la presenza e
l’attività di giornalisti vincolati a una deontologia specifica e a un giudice disciplinare nonché a un esame di Stato, che ne accerti la preparazione come prevede l’articolo 33 della Costituzione.
Le considerazioni sopra esposte consentono di risalire alle ragioni che hanno spinto il Parlamento nel 1963 a tutelare la professione giornalistica. L’eventuale abrogazione della legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica
comporterà questi rischi:
1) quella dei giornalisti non sarà più una
professione intellettuale riconosciuta e
tutelata dalla legge;
2) risulterà abolita la deontologia professionale fissata nell’articolo 2 della legge professionale n. 69/1963;
3) senza la legge n. 69/1963, cadrà per
giornalisti (ed editori) la norma che impone il rispetto del “segreto professionale sulla fonte delle notizie”. Nessuno
in futuro darà una notizia ai giornalisti
privati dello scudo del segreto professionale;
4) senza legge professionale, direttori e
redattori saranno degli impiegati di redazione vincolati soltanto da un articolo (2105) del Codice civile che riguarda
gli obblighi di fedeltà verso l’azienda. Il
direttore non sarà giuridicamente nelle
condizioni di garantire l’autonomia della sua redazione;
5) una volta abolito l’Ordine, scomparirà
l’Inpgi. I giornalisti finiranno nel calderone dell’Inps, regalando all’Inps un patrimonio di 2.500 miliardi di vecchie lire
(immobili e riserve).
Governo e Parlamento devono preoccuparsi di riformare le leggi sugli ordini e i
collegi nonché di tutelare i saperi dei professionisti. La formazione e gli esami per
l’accesso devono essere delegati a un altro soggetto (l’Università) anche per garantire il rispetto del principio costituzionale dell’imparzialità. Non possono essere i professionisti a giudicare chi debba
entrare nella cittadella delle professioni. È
condivisibile, infatti, quella parte del decreto legislativo 300/1999 sul riordino dei
ministeri che affida l’accesso alle professioni - e quindi anche della professione
giornalistica - all’Università. Oggi deve essere tolto agli editori il potere che hanno
dal 1928 di “fare” i giornalisti. I giornalisti
devono nascere soltanto in Università. Su
questo fronte sei in difficoltà, caro compagno Capezzone: il tuo partito, parlo dei
radicali, ha promosso un referendum per
abolire l’articolo 18 dello Statuto dei
Lavoratori. Ha perso anche questo referendum come quello contro l’Ordine dei
giornalisti. Oserai oggi metterti contro i
padroni, che negano ai giornalisti il rinnovo del contratto?
Non dimenticare: a) che l’Ordine ha cercato di liberalizzare la professione creando 19 scuole di giornalismo; b) che i suoi
minimi tariffari non sono vincolanti (come
vuole l’Europa); c) che l’Europa, con la direttiva 36/2005 (“Zappalà”) ha dato disco
verde gli Ordini e ai Collegi italiani.
Quella direttiva e poi il dlgs 30/2006 (“La
Loggia”) hanno stabilito che le professioni intellettuali si possono svolgere sia in
via autonoma sia in via dipendente.
Ti auguro un ravvedimento operoso. Per
ora sei un giovane vecchio, prigioniero
degli schemi pannelliani, rottami di una
storia con pagine anche dignitose sul terreno dei diritti civili. Vogliamo rimanere
professionisti e non tornare alla stagione
mortificante del “mestiere”. Di quella stagione il buon Giacinto Marco Pannella
(mio collega a Il Giorno di Mattei) è testimone parigino prezioso. Tu, caro
Capezzone, guarda avanti e non sposare
le aspettative degli editori, che vogliono i
giornalisti asserviti ai loro voleri. Senza
Ordine, infatti, rimarranno soltanto gli ordini degli editori.
Nota. La tua proposta sull’Ordine dei giornalisti è un messaggio indiretto di “abolizione” ai 2 milioni di iscritti agli Ordini e ai
Collegi italiani. I giornalisti non saranno
soli nella loro battaglia!
Cordiali saluti e buone ferie.
Franco Abruzzo
presidente dell’Ordine dei giornalisti
della Lombardia
Una volta abolito l’Ordine, rimarranno
Abruzzo attacca Serventi Longhi:
“L’Ordine dei giornalisti
è un giudice amministrativo,
non il giustiziere della categoria”
Milano, 12 agosto 2006. Paolo Serventi
Longhi, segretario generale della Fnsi, nel
contesto della proposta del parlamentare rosapugnista Daniele Capezzone di abolizione
dell’Ordine dei giornalisti, ha rilasciato una
dichiarazione, che rappresenta un capovolgimento di fronte e una pugnalata alla schiena di quanti operano nei Consigli dell’Ordine
nonché una caduta personale che denota
approssimazione e scarsissima preparazione giuridica.
Serventi Longhi scrive che “… un Ordine
che non riesce a svolgere tempestivamente e con efficacia il ruolo di garante
etico dei giornalisti, ma soprattutto dei
cittadini, non ha proprio più alcun senso
ed anche le regole dell’accesso alla pro-
6
fessione appaiono inadeguate di fronte
al dilagare del precariato e del lavoro nero”. Vogliamo tranquillizzare Serventi
Longhi: a partire dal 18 settembre, di
fronte al Consiglio dell’Ordine di Milano,
compariranno, come è già noto, i giornalisti coinvolti nelle vicende Calciopoli,
Sismi, “bimbo mai nato” e commistione
pubblicità/informazione.
Anche l’Ordine del Lazio ha convocato i
giornalisti coinvolti nelle analoghe vicende. La giustizia è una cosa tremendamente seria: i Consigli dell’Ordine non
sono giustizieri della categoria.
I termini a difesa sono un istituto anche
amministrativo, che i Consigli devono rispettare in maniera rigorosa (in caso
contrario, le decisioni verrebbero cancel-
late dal giudice di appello). La Corte costituzionale, con la sentenza 505/1995, ha
vincolato i Consigli a una disciplina austera: “Non è fondata, nei sensi di cui in
motivazione, la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 56 comma 2 legge
3 febbraio 1963 n. 69, sull’ordinamento
della professione di giornalista, proposta, in riferimento agli art. 3 e 24 cost.,
sotto il profilo che la norma non consentirebbe al giornalista incolpato di partecipare alla fase istruttoria del procedimento disciplinare a suo carico: la norma infatti può essere interpretata nel senso
che, quando in istruttoria si proceda all’accertamento dei fatti attraverso la raccolta di prove, l’incolpato abbia la possibilità di visione dei verbali e di utilizzo di
ogni strumento di difesa con memorie illustrative, presentazione di nuovi documenti e deduzione di altre prove, compresa la richiesta di risentire testimoni su
fatti e circostanze rilevanti ed attinenti alle contestazioni
(Corte cost., 14 dicembre 1995, n. 505;
Parti in causa: Pietroni c. Consiglio naz.
ord. giornalisti e altro; Riviste: Giust. Civ.,
1996, I, 651 e Rass. Forense, 1996, 32)”.
A questo punto ho un suggerimento da dare all’amico Paolo Serventi Longhi: quello di
studiare la “carte” prima di parlare e di capire che le inchieste citate sono state bloccate anche dal “generale estate”. Anche sull’accesso Serventi Longhi dice cavolate:
l’Ordine si è battuto e si batte in solitudine
per togliere agli editori il potere di “fare” i
giornalisti, un potere che risale al 1928.
L’Ordine ha creato 19 scuole o master di
giornalismo. Con il praticantato d’ufficio - avviato proprio da Milano nel 1967 - l’Ordine
ha stroncato l’abusivismo nelle redazioni.
Chieda lumi a Mario Ajello, che oggi sul
Messaggero scrive un articolo ingeneroso
sull’Ordine, dimenticando le sue vicende
professionali risolte dall’Ordine di Milano secondo legge e nel rispetto del valore della dignità della persona.
Le procedure garantiste - dettate dall’articolo 56 della legge professionale 69/1963 e
dalla legge 241/1990 - non possono essere
superate allegramente a patto che l’Ordine
dei giornalisti rimanga ente pubblico e giudice disciplinare amministrativo. E su questo
non ho dubbi: Capezzone ha lanciato una
proposta estiva, che è isolatissima all’interno
della maggioranza di governo (come ha
scritto l’on. Pierluigi Mantini, autorevole
esponente della Margherita).
Paolo Serventi Longhi si preoccupi piuttosto
di portare a casa il contratto atteso da due
anni, ma senza capitolazioni di fronte alle
pretese degli editori.
Franco Abruzzo
presidente dell’Ordine dei giornalisti della
Lombardia
ORDINE
9-10
2006
Stefano Pediva, IDV,
senza l’Ordine
non ci sarebbe tutela
Roma, 11 agosto 2006. “Che vada riveduta la riforma degli ordini professionali è un
obbligo che spetta al governo e al
Parlamento, ma che proprio Capezzone
voglia abolire l’Ordine dei giornalisti, per
facilitare la lottizzazione, per decidere posti e cariche dei gruppi che controllano
l’informazione, proprio non me l’aspettavo’’. Lo afferma Stefano Pediva, capo della
segreteria politica di Italia dei valori.
“Sono d’accordo con Tucci che senza
l’Ordine professionale non ci sarebbe una
tutela per tutti i giornalisti, professionisti o
pubblicisti, e sono convinto che sia meglio
un dibattito aperto che una proposta di legge ferragostana’’, sottolinea.
(Adnkronos)
Mantini (DL),
no all’abolizione
degli Ordini
Roma, 11 agosto 2006. “La proposta di
abolizione dell’Ordine dei giornalisti fatta
da Capezzone non è in sintonia con il programma di governo.
Noi siamo per la riforma e la modernizzazione degli Ordini professionali, già avviata nel decreto Bersani e non per l’abolizione degli ordini’’. Lo sottolinea in una nota il responsabile del settore Professioni
della Margherita, l’on. Pierluigi Mantini, secondo il quale “occorre più concorrenza
ma anche più professionalità, più responsabilità, più deontologia soprattutto in un
settore delicato come quello dell’informazione’’.
Gli Ordini professionali, per il parlamentare dell’Ulivo “devono funzionare meglio
nella promozione della formazione permanente e nella garanzia della qualità e dell’etica professionale a tutela dei cittadini
più che degli iscritti.
A settembre si avvierà alla Camera l’esame della proposta di legge dell’Ulivo per la
riforma delle professioni e sarà quella l’occasione per una iniziativa politica organica
e non episodica. Le fughe in avanti e le
Le reazioni
predicazioni pseudoliberiste servono a poco, occorre comprendere e far comprendere che la modernizzazione delle professioni - conclude Mantini - è per la crescita
del paese e delle professioni e non contro
le professioni’’.
(ANSA)
Marco Lion,
no all’ abolizione
sì a riforma
Roma, 12 agosto 2006. “L’Ordine dei giornalisti non va abolito, ma certamente profondamente riformato’’: lo sostiene il deputato e
responsabile Comunicazione dei Verdi
Marco Lion, secondo il quale “occorre una
riforma dell’Ordine per garantire la massima
trasparenza e per tutelare maggiormente i
diritti dei giornalisti, in particolare dei precari e delle categorie più deboli’’.
(ANSA)
Stiffoni e Davico
(Lega),
no all’abolizione
dell’Ordine.
Devono finire
piuttosto
i favoritismi
in redazione
Roma, 12 agosto 2006. “L’uscita del radicale Capezzone riguardo all’abolizione
dell’ Ordine dei giornalisti ricorda tanto il
ferroviere Totò in Destinazione Piovarolo
che, per fermare il treno con il ministro, si
inventa una frana. Capezzone per risolvere la sua acredine di astinenza parlamentare dei radicali, si inventa una cosa che
non ha né capo né coda, a parte qualche
collega che lo segue”.
A commentare la proposta del segretario
dei Radicali italiani sono i capigruppo del
Carroccio in commissione Lavori pubblici
e Comunicazione e in commissione
Cultura del Senato, Piergiorgio Stiffoni e
Michelino Davico. “Qual è lo scopo? - si
chiedono entrambi i senatori. Far arrivare
più soldi alle casse del governo Prodi con
i soldi dei professionisti iscritti all’Inpgi e
alla Casagit? Se è questo ebbene il binario è totalmente morto.
Almeno per quanto ci riguarda.
L’Ordine non deve essere abolito, ma alcune cose vanno cambiate come in altri
ordini professionali.
Per esempio, i favoritismi dei ‘figli di...’ in
alcune redazioni di giornali e televisioni
devono finire. Tanti bravi precari - concludono - sono da anni in attesa di un contratto sicuro”.
(Adnkronos)
Capezzone
a Vittadini, gli Ordini
vanno superati.
Altrimenti
non ci sarà alcuna
vera liberalizzazione
Roma, 20 agosto 2006. Gli ordini professionali “vanno superati”. Il presidente della
Commissione Attività produttive della
Camera, Daniele Capezzone, replica alle parole pronunciate dal presidente della
Fondazione della Sussidiarietà, Giorgio
Vittadini, al Meeting di Rimini. “Davvero, non
capisco l’enfasi e l’energia con cui ha ritenuto di difendere gli Ordini professionali, che
sono e restano uno dei maggiori fattori di
chiusura illiberale del nostro sistema economico e sociale, di impedimento o comunque
di restrizione nell’accesso alle professioni, e
di negazione di una vera concorrenza e di ef-
fettive condizioni di mercato”, afferma
Capezzone. “Lo dico da cittadino e da politico che, come si sa, è in prima fila nella lotta
per le liberalizzazioni. Non avremo nessuna
vera liberalizzazione, di cui abbiamo invece
un drammatico bisogno, se non si attiveranno meccanismi di superamento degli ordini,
e delle strozzature corporative che caratterizzano il sistema-Italia. Il paese è prigioniero di lobby e corporazioni”, aggiunge l’esponente radicale, concludendo che “è davvero
curioso organizzare convegni che portano la
parola “liberalizzazioni” nel titolo, e poi, nei
fatti, difendere quelle che Ernesto Rossi chiamava le ‘bardature corporative” italiane’.
(Adnkronos)
Piazza a Capezzone,
gli Ordini sono
presidio di legalità.
Occorre
una riforma
ma non vanno aboliti
Roma, 20 agosto 2006. “Capezzone sbaglia
profondamente, gli Ordini professionali sono
un presidio di legalità e qualità del servizio in
tutte le professioni in cui è necessario un vaglio nella ammissione all’esercizio della attività e un controllo sulla correttezza del suo
svolgimento, e ciò nell’interesse dei cittadini
e della collettivita”. Angelo Piazza, ex ministro della Funzione pubblica e deputato della Rnp, replica al presidente della Commissione Attività produttive della Camera
che, a sua volta, era intervenuto a commentare le parole del presidente della Fondazione della Sussidiarietà, Giorgio Vittadini.
“Occorre certo una riforma, che anteponga la
funzione di garanzia degli Ordini in favore degli utenti, rispetto a quella di tutela corporativa degli aderenti; si eviti di creare nuovi ordini inutili; ma abolire gli Ordini professionali
non aiuterebbe cittadini e imprese e li esporrebbe in troppi casi alla anarchia della mancanza di regole e controlli in attività di rilevante interesse pubblico”, argomenta Piazza,
sottolineando che “sarebbe come volere sopprimere, perché non funzionano in modo efficiente, ospedali o uffici pubblici: si riordina,
si migliora, non si butta tutto a mare”.
(Adnkronos)
soltanto gli ordini degli editori della Fieg
Abruzzo a Capezzone:
“Senza Ordine nessuna tutela.
Per la categoria
conseguenze devastanti”
Roma, 23 agosto 2003. “Abolire l’Ordine dei
Giornalisti avrebbe soltanto conseguenze
devastanti, perché la categoria non sarebbe
più tutelata”. A parlare è Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine dei giornalisti della
Lombardia, che ribatte così, all’Adnkronos,
all’intervento di Daniele Capezzone, segretario dei radicali italiani, pubblicato oggi su il
Giornale a sostegno della propria proposta di
abolizione dell’Ordine. “Mi batto da trent’anni - afferma Abruzzo - per ottenere un assetto innovativo, per avere una riforma
della legge ‘63 dell’Ordine professionale
ancorata all’Università e alla direttiva
89/48/Cee”. L’Europa vuole che i professionisti regolamentati abbiano alle spalle
almeno una laurea triennale. Il ministro
Mussi il 4 luglio in Parlamento ha dichiaORDINE
9-10
2006
rato che adeguerà gli ordinamenti vigenti
a quella direttiva. Il presidente dell’Ordine
dei giornalisti della Lombardia spiega inoltre
che sarebbe d’accordo “soltanto con l’abolizione di tutti gli Ordini professionali. Sarebbe
necessaria, dunque, una riforma totale,
dove tutti gli Albi dovrebbero essere gestiti direttamente dallo Stato: gli Albi potrebbero essere pubblicati nel portale del
ministero della Giustizia; l’esame di Stato
(previsto dall’articolo 33, V comma, della
Costituzione) potrebbe essere affidato alle Università, mentre le prime sezioni civili dei Tribunali di capoluoghi di regione
potrebbero svolgere le funzioni di giudice
disciplinare.
Capezzone non ha ancora capito che la
“Carta” francese non è adattabile al siste-
ma italiano, perché la nostra Costituzione
impone l’esame di Stato a chi intende
esercitare una professione intellettuale. Il
Parlamento e oggi l’Università hanno decretato che esiste la professione di giornalista. Capezzone non sa che coloro i
quali esercitano di fatto la professione
possono diventare giornalisti di diritto,
chiedendo ai Consigli dell’Ordine la delibera di iscrizione d’ufficio al Registro. In
Lombardia abbiamo sanato d’ufficio almeno 3mila posizioni. Capezzone è disinformato quanto impreparato”.
“Capezzone - conclude Abruzzo -, isolato
nella maggioranza, deve smetterla di lavorare per gli editori e di dire cavolate.
Studi, ne ha bisogno.
Colpisce che non spenda una parola contro gli editori padroni della professione
dal 1928: sono gli editori che assumono
ad libitum i praticanti. La sfacciataggine
ha un limite, quello costituzionale del
buon costume e della decenza (sesto
comma dell’articolo 21).
Nelle pagine seguenti interventi
di Del Boca, Tucci,
Andriolo e Roidi
Tel 02.748113.1 - Fax 02.748113.444
E-mail [email protected]
L’ informazione
ritagliata su misura
7
PROFESSIONE
Il segretario dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Vittorio Roidi
Insopportabile carnevale
di stagione: dai
radicali vecchio refrain
Nel dibattito interviene anche il segretario
dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Vittorio
Roidi. “Quello dei radicali è un vecchio ‘refrain’. Abolire un Ordine professionale ma
senza un perché. Affermano che la sua esistenza ostacola la libera professione. Il che
è assurdo, basta guardare quante centinaia
di persone scrivono sui giornali senza possedere alcuna tessera e quante, circa 1200
ogni anno, vanno ad affrontare l’esame di
stato”, scrive Roidi sul sito di Articolo 21.
Che si apra finalmente una discussione è
positivo”, osserva comunque Roidi, secondo
il quale “qualcosa si muove” ma “per ora nella direzione sbagliata”. “Torna la proposta
dei radicali di abolire l’Ordine dei giornalisti
e subito si accodano alcuni presunti liberalizzatori. Ci sono colleghi autorevoli e ce ne
sono non pochi che in passato dall’Ordine ri-
cevettero sanzioni di natura disciplinare.
Ancora non sappiamo - continua Roidi- se il
governo Prodi proporrà qualcosa per riformare l’organizzazione dei giornalisti. Può
darsi che si occupi anche di questa il ministro Bersani. E sarebbe un bene, visto che
da molti anni è stata chiesta una profonda
modifica della vecchia legge del ‘63, ormai
difficilmente applicabile. Finora il Parlamento
non ha mai trovato il tempo di occuparsene”.
Roidi scrive che “i giornali non si occupano
mai di questa questione, per una sorta di
strano pudore. Invece, è probabile che al cittadino interessi sapere chi debba considerarsi giornalista, quale preparazione debba
possedere e quali doveri. Avanti allora. Ma si
dicano, per favore cose precise. Anzitutto se
si vuole una professione giornalistica.
Oppure se, in un nome di una anarco-libertà
ciascuno possa fregiarsi di questo titolo”.
“Alle professioni, dice ad esempio l’Unione
Europea, si deve accedere attraverso una
laurea almeno triennale, prosegue il segre-
tario dell’Ordine nazionale dei giornalisti. Se
si vuole abolire il giornalismo professionale,
per lasciare spazio a quello dilettantistico, si
spieghi comunque quali sono gli obblighi dei
giornalisti: la ricerca della verità, come afferma la legge del ‘63?
Chiunque può diffondere notizie, anche se in
realtà si rivelano solo pensieri personali? Il
giornalista sarà come uno scrittore o un poeta? Se si vuole fare un discorso costruttivo si
deve spiegare cosa devono studiare gli aspiranti giornalisti?
E dove: all’università, oppure è sufficiente
apprendere un po’ di mestiere, nelle redazioni, come si faceva una volta? Trovate le risposte a questi interrogativi, si abolisca pure la vecchia legge. Quel giorno sarò d’accordo. Ma oggi serve una discussione in
profondità. Chi ha dedicato parecchie energie alle questioni della professione, il carnevale di stagione - conclude Roidi - lo trova insopportabile”.
Lorenzo del Boca, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, al direttore del “Giornale”
La politica riformi
l’Ordine
Caro direttore, in Italia la giustizia non funziona. Istruttorie spropositate che, non di
rado, mandano in carcere persone che non
c’entrano niente. Occorrono anni per ottenere una sentenza di primo grado ma
spesso - dopo altri anni di attesa - viene
contraddetta dal verdetto d’appello. Meglio
- molto meglio - i giudici anglosassoni e i
francesi. Persino gli spagnoli e i greci potrebbero insegnarci qualche cosa.
Dunque aboliamo la giustizia italiana? La
cancelliamo?! In Italia nemmeno i treni funzionano. I ritardi sono abituali e il personale è scorbutico. Le carrozze risultano sempre sporche e, qualche volta, fanno persino schifo. Hai viaggiato sui convogli austriaci, su quelli tedeschi, su quelli della
Gran Bretagna? Una delizia. Si scusano
un’infinità di volte per aver superato l’orario previsto di otto secondi - il battito delle
ciglia - e quando, per inconvenienti di eccezionale gravità, vanno oltre i venti, l’amministrazione rimborsa il biglietto. Un altro
mondo...
Allora, aboliamo le ferrovie dello Stato? Via
binari... stazioni... passaggi a livello... coincidenze... e via anche i capistazione: quelli cortesi e quelli maleducati?!
Per la verità non viaggiano bene nemmeno gli aerei. Lì i ritardi sono anche più cronici e più consistenti. Per un viaggio TorinoRoma che dovrebbe durare 50 minuti, si
sbarca dopo un’ora e mezzo. In proporzione, il trasferimento in Sud America dovrebbe comportare il ritardo di due giorni: code
- anche frustranti - per il check in, code per
entrare nell’atrio partenze, code per imbarcarsi, code all’arrivo. A Linate e Malpensa,
per complicare la vita dei passeggeri, hanno inventato il doppio pagamento: il biglietto ha un costo e si può utilizzare la carta di
credito ma poi c’è una non meglio precisata «tassa» e quella va saldata in contanti.
All’estero sai che all’ora di partire si parte
e - minuto più, minuto meno - all’ora di arrivare si arriva. Puoi programmare gli impegni, accettare appuntamenti, chiedere a
una persona di venire a prenderti all’aeroporto perché sai che non la costringerai a
un bivacco, con dilatazioni temporali impreviste.
Cancelliamo l’Alitalia? E chiudiamo gli scali nazionali?
Ma, allora, perché mai si dovrebbe abolire
l’Ordine dei giornalisti? Ammesso - e non
concesso! - che il suo funzionamento lasci
Maurizio Andriolo
a desiderare e che altrove sia meglio, perché chiudere bottega? Perché solo i giornalisti e perché i giornalisti prima di tutti?
Ovviamente, sono consapevole che l’istituto che presiedo non rappresenta il migliore dei mondi possibili. Mi piacerebbe che
l’accesso alla professione venisse regolato da un serio praticantato all’università.
Gli ingegneri si formano al Politecnico e i
futuri avvocati vanno a giurisprudenza.
Con l’accelerazione sociologica di questi
ultimi anni, gli aspiranti giornalisti devono
studiare, prepararsi sui libri e conoscere
gli argomenti di cui parlano. Le imprecisioni, qualche approssimazione di troppo e, a
volte, gli errori grossolani (anche nella sintassi) ci fanno perdere credibilità presso i
lettori.
All’esame di Stato sarebbe bene arrivare
con gli strumenti moderni, abitualmente in
uso nella quotidianità e, quindi, nelle nostre redazioni. Dimostrare di sapere scrivere ma doverlo fare con la Olivetti Lettera
22 che ormai sta nei musei e nella foto del
1940 che ritrae Montanelli nei corridoi del
Corriere sembra francamente un po’ desueto.
E poi sarebbe necessario che l’Ordine potesse esercitare un controllo deontologico
efficiente, in modo da intervenire con tempestività nei casi di inadempienza dei colleghi. Adesso le sanzioni arrivano dopo anni perché i procedimenti della magistratura
professionale seguono gli iter dei procedimenti amministrativi dove - sembra - non
c’è fretta. Per ottenere l’Ordine che tutti
vorremmo basterebbero dei piccoli ritoc-
chi. La categoria è d’accordo e, dunque, gli
aggiornamenti sarebbero pure i benvenuti.
E, allora, perché non realizzarli? Perché
l’Ordine dei giornalisti è regolato dalla legge del 1963 che, approvata quando in Italia
esisteva una radio nazionale e un canale
televisivo, era stata costruita sulle esigenze di allora e non poteva prevedere gli sviluppi - e i progressi - della società negli anni a venire.
I dirigenti politici degli ultimi quindici anni a mia memoria - si sono dichiarati d’accordo sulla necessità di riformare il nostro istituto, secondo le indicazioni che noi stessi
avevamo dato loro. Avessero detto che erano contrari, si sarebbe potuto discutere;
ma andava bene...
Ministri, sottosegretari, capigruppo, responsabili dell’informazione, di maggioranza e di opposizione della dozzina di governi che si sono succeduti in questo periodo.
Dunque non è l’onorevole Capezzone che
deve chiedere conto a me delle inefficienze dell’Ordine che presiedo. Sono io che
devo chiedere conto a lui del perché il
Parlamento non ha mantenuto le promesse. Occorre che la politica si metta nelle
condizioni di approvare la riforma che ci riguarda. Se qualcuno ha ancora a cuore gli
interessi dell’informazione. Altre strade, prima che impraticabili, sono dannose. Le notizie sono un bene prezioso che, tutti quanti, dovremmo tentare di salvaguardare.
Altro che affidarle al mercato che, malamente interpretato dai liberisti degli ultimi
cinque minuti, ha già provocato sufficienti
danni.
Bruno Tucci, presidente Odg Lazio
“Sulle professioni, dico no Nessun dialogo con
a chi invoca l’Europa”
Capezzone sull’Ordine
Roma, 21 agosto 2006. “Si discute molto - e
non è uno scoop ferragostano - se “abolire il
nostro Ordine. Personalmente ho sempre definito “satrapie”, i vari Ordini regionali.
Abolire un Ordine sarebbe cosa da poco, ma
diffido dei proponenti e delle proposte che come al solito - invocano un “allineamento”
dell’Italia a Paesi europei. In Europa sul tema di come fare i giornalisti c’è grande confusione, varietà di regole, arbitri e pochissima considerazione per chi fa il giornalista.
Unico valore: chi scrive sui giornali non è
quasi mai un “galoppino”.
In Italia quanto a disordine, abuso, prevari-
cazione ce n’è a sufficienza…
Se non c’è stata finora una riforma
dell’Ordine è perché la volontà e l’assenso
politico sono mancati. L’Ordine fa comodo
così com’è…
Ma non è con l’abolizione dell’Ordine sic et
simpliciter che risolveremo il problema di come si diventa giornalisti.
Né sarà con l’affidamento dell’accesso ad
Authority (?), a regole etiche (?), sindacati
(peggio) e consorterie varie che salveremo il
prossimo futuro del giornalismo italiano. Il rischio oggi è che i giornalisti facciano la fine
dei polli di Renzo”.
Tel 02.748113.1 - Fax 02.748113.444
E-mail [email protected]
L’ informazione ritagliata su misura
8
Roma, 23 agosto 2006. “Ho già detto una
prima volta che con il signor Capezzone, del
quale non conosco l’iter professionale, non
intendo dialogare, in quanto i presidenti degli Ordini dei giornalisti casomai dialogano
con chi dovrebbe modificare la legge del ‘63,
che noi per primi vogliamo cambiare, non
adeguata ai tempi”. Bruno Tucci, presidente
dell’Ordine dei giornalisti del Lazio, ribatte
così, all’ADNKRONOS, all’intervento di
Daniele Capezzone, segretario dei Radicali
italiani, oggi su il Giornale, nuovamente a sostegno della proposta di abolizione
dell’Ordine, secondo la logica di considerare
“giornalista non solo e non tanto chi sia titolare di una tessera, ma chi il giornalista lo fa
per davvero, perché a questo dedica la sua
attività lavorativa e professionale”. Tucci rivendica comunque l’adempimento da parte
dell’Ordine dei doveri di sorveglianza in campo deontologico, a fronte delle critiche in materia di Capezzone al quale ricorda poi che
l’Ordine regionale dovette intervenire nei
confronti di Radio Radicale per garantire ai
redattori l’inquadramento professionale.
Tucci chiarisce anche i meccanismi che portarono alla sospensione dall’ordine di Enzo
Tortora, criticata da Capezzone. “Nello specifico vorrei render noto che l’Ordine è intervenuto sempre e comunque nei confronti dei
colleghi che hanno violato le norme deontologiche”, afferma Tucci che sottolinea come
“a Radio Radicale, emittente che il signor
Capezzone dovrebbe conoscere, intervenimmo noi dell’Ordine del Lazio perché le persone che lavoravano all’interno della redazione
non erano inquadrati nella legge professionale ed erano pagati come semplici impiegati”. “Da allora anche il direttore Massimo
Bordin - ricorda il presidente dell’Ordine dei
giornalisti del Lazio - è divenuto giornalista
professionista grazie a noi”.
Tucci spiega infine che, “il collega Enzo
Tortora fu sospeso dall’Ordine dei giornalisti
perché la legge prevede che quando un
iscritto viene condotto in carcere, lo stesso
venga sospeso per tutto il tempo della detenzione, per poi essere in caso reiscritto a
reclusione finita”.
(Lmg/Col/Adnkronos)
ORDINE
9-10
2006
D I B A T T I T O
Disoccupati: chiarezza sui numeri,
fare formazione con i soldi
versati dagli editori all’Inpgi,
ripescare la “legge Santerini”
(forti incentivi alle testate
che assumono i “senzalavoro”)
di Franco Abruzzo
presidente dell’Ordine dei giornalisti
della Lombardia
Nessuno è padrone dei numeri veri sull’occupazione giornalistica. Cominciamo con il
dire che si possono definire disoccupati soltanto i giornalisti professionisti rimasti senza
lavoro (art. 4 Cnlg). Esiste anche un elenco
di praticanti giornalisti “il cui rapporto di praticantato sia stato interrotto a seguito di risoluzione del rapporto con aziende editrici di
quotidiani, periodici o agenzie di informazioni quotidiane per la stampa”. Tanti giornalisti
esercitano la professione in uffici stampa ed
in uffici di comunicazione inquadrati con contratto di dirigente. Quando partì l’Inpgi privatizzato, alcuni (pochi) optarono per l’Inps.
Quanti sono i giornalisti professionisti, regolarmente iscritti anche all’Inpgi, che oggi
esercitano altre professioni? Fatta questa
premessa, i dati, citati da Guido Besana, me-
ritano attenzione e rispetto.
Scrive Besana: “Dai dati del bilancio Inpgi risultano invece, per il 2005, 1.465 colleghi cui
è stato erogato il trattamento di disoccupazione e 98 cassintegrati. Totale 1563. Con i
777 che calcoli tu, se fossero disoccupati, si
arriva quindi a 2.340. Ma anche senza siamo a cifre diverse dalle tue. E non venirci a
dire che i pubblicisti non contano, per favore.
Contano eccome, e spesso sono i più deboli. A meno che tu sia rimasto al vecchio concetto tradizionale del pubblicismo, quello dei
farmacisti e degli avvocati. Però quel concetto lo hai demolito proprio tu, in questi lustri da presidente dell’Ordine lombardo, attuando una politica di riconoscimento a tutto
campo e a 360 gradi dell’attività giornalistica, proprio attraverso il massiccio ricorso alle iscrizioni di pubblicisti”. Ringrazio Besana
per quello che scrive sui pubblicisti: la mia
presidenza (dal 15 maggio 1989) è caratterizzata anche da una “sanatoria” che ha dato dignità ai pubblicisti redattori di fatto op-
pure praticanti free lance nonché respiro alle casse dell’Inpgi: la mia politica ha incrementato il numero degli iscritti all’Inpgi di almeno 2.500 unità (soltanto in Lombardia). In
questo momento i consiglieri Urp dell’OgL
Letizia Gonzales e Laura Mulassano hanno
sotto esame appena 5 domande di iscrizione d’ufficio al Registro. Devo ritenere sul rovescio che in Lombardia non esistono pubblicisti “abusivi” o “in nero”.
Rivendico di aver “inventato” giuridicamente
(nel 1967) la figura del praticante-redattore
di fatto (io sono il primo nella storia
dell’Ordine e sono un ex pubblicista) e nel
1989 la figura del “praticante free lance”
(accettata dall’Ordine nazionale soltanto negli ultimi tre anni).
Come presidente dell’Afg “Tobagi” e con
l’aiuto dell’assessore regionale Michele
Colucci (Psi) ho dato vita, nella sede dell’Ifg
(era il 1991!), ai primi corsi di aggiornamento dei giornalisti disoccupati. A coloro che mi
criticano (legittimamente) ricordo:
a) che ho sostenuto da solo una dura battaglia per convincere, ma ho perso, Fnsi e
Inpgi a investire in formazione i quattrini
che l’Inpgi riceve dagli editori (in base alla legge 338/2000) per far formazione. Il
Fondo per la formazione (che dovrebbe
attuare l’articolo 45 del Cnlg) è rimasto
sulla carta e nell’archivio elettronico del
portale dell’Ordine (www.odg.mi.it).
b) che ho cercato di convincere inutilmente i
colleghi disoccupati a battersi con durezza al fine di ripescare “la legge Santerini”
di 10 anni fa: sconti previdenziali agli editori che assumono giornalisti senza posto.
Il Consiglio di amministrazione dell’Inpgi
ha al riguardo intenzioni buone, che dovrebbero concretizzarsi presto.
Insisto: i colleghi senza lavoro devono battersi per ricevere formazioni e incentivi.
Chiederò al Consiglio dell’Ordine di Milano di
finanziare, con uno stanziamento di 50/60mila euro, almeno tre corsi di aggiornamento
nell’anno 2006/2007 dell’Ifg De Martino.
Ho usato un linguaggio crudo. È vero che nel
Cnlg c’è l’articolo 36 con la figura del redattore pubblicista.
Non mi va di illudere i pubblicisti: gli editori
non assumono come redattore chi è pubblicista (è tale perché ha scritto 40-60 articoli in
due anni). Gli editori danno la preferenza ai
praticanti delle Scuole: costano di meno e
hanno dimestichezza con il lavoro redazionale.
Questa è la realtà. Invito i pubblicisti (che
possono aspirare al tirocinio come praticanti) a non farsi prendere in giro dalla promesse sindacali e dall’Inpgi/2 (che promette la
pensione ai free lance). I pubblicisti contrattualizzati sono per lo più redattori grafici, corrispondenti (art. 12 Cnlg), collaboratori fissi
(art. 2 Cnlg) e redattori part-time nelle redazioni centrali, decentrate e negli uffici di corrispondenza. Esistono eccezioni anche di
grande livello, poche ma significative.
Per lo più sono persone che, per ragioni di
età, non intendono sostenere l’esame di
Stato. In questa pattuglia figurano anche seguaci di Marco Pannella “nemico storico”
dell’Ordine dei giornalisti. Per oggi, basta.
Serventi Longhi:
Biancheri (Fieg):
“Professionisti autonomi? “La Fieg mente. Sono precari
oltre 30mila giovani”
Sono appena 1.900”
Roma, 21 luglio 2006. Il presidente della Fieg Boris Biancheri
ha inviato al ministro del Lavoro Cesare Damiano e al presidente della Commissione cultura della camera Pietro Folena
un documento di analisi sulla situazione economica e sindacale del settore stampa. Il documento, che affronta tra l’altro
il tema dell’occupazione giornalistica in base ai dati Inpgi
2005, evidenzia un aumento dell’occupazione giornalistica
nell’ultimo quinquennio con “un tasso di espansione di circa
il 4% all’anno, che - sottolinea il documento - non trova riscontro in nessun altro settore di attività”. “Sono aumentate vi si legge - sia la popolazione stabile a tempo indeterminato, sia quella assunta con contratti a termine”.
“Si è incrementato anche l’utilizzo del lavoro autonomo che,
per i professionisti, interessa circa 1.900 unità che svolgono
attività autonoma piena e qualche centinaio di pubblicisti nelle stesse condizioni”. I cosiddetti precari sono “il 6,22% della
popolazione stabile, percentuale che è inferiore di oltre la
metà rispetto alla media nazionale”.
“Il fenomeno della cosiddetta precarietà - si legge ancora nel
documento - risultante dai dati indicati, si prospetta come assolutamente fisiologico rispetto alle esigenze produttive dell’informazione”.
(ANSA)
Roma, 21 luglio 2006. “La Fieg mente sapendo di mentire. I
dati sull’occupazione giornalistica diffusi oggi dagli editori - ha
dichiarato il segretario generale della Fnsi, Paolo Serventi
Longhi - sono un esempio di mistificazione e di distorsione
della realtà. Il Minculpop non avrebbe potuto fare di meglio.
La realtà è che la Fieg sembra ignorare che l’aumento del
16% dei posti di lavoro negli ultimi anni è determinato in larga parte dagli effetti del contratto dei giornalisti dell’emittenza radiotelevisiva locale (contratto Aeranti-Corallo, niente a
che vedere con la Fieg) e di quelli stipulati nell’ambito dell’applicazione della Legge 150 negli uffici stampa delle
Regioni, delle Province e dei Comuni e degli altri Enti pubblici. Dai dati Inpgi si evidenza, nel settore Fieg, un aumento nel
triennio 2003-2005 del 2,2%, una percentuale molto lontana
da quelle enunciate in maniera confusa dalla Federazione
degli editori. Quello che è più grave, è che la Fieg non precisa che di questo aumento i contratti a termine rappresentano la parte più significativa. Secondo l’Inpgi, infatti, questi
contratti a tempo determinato, talvolta anche di un mese, sono aumentati del 72%’’. ‘’La Fieg inoltre - prosegue Serventi
Longhi - mistifica sul numero dei giornalisti che hanno rapporto di lavoro autonomo. Altro che 1.900 freelance! Gli iscrit-
ti alla gestione separata dell’Inpgi per il lavoro autonomo sono quasi 22.500. Di questi poco più di un migliaio hanno anche un rapporto di lavoro dipendente. Se si considera l’area
di evasione o di elusione della contribuzione all’Inpgi2, si può
ragionevolmente affermare che sono oltre 30.000 le giornaliste ed i giornalisti che sono nell’area del precariato senza alcun rapporto di lavoro. La stessa Fieg è costretta ad ammettere che la retribuzione media di un giornalista autonomo è
di circa 7.000 euro l’anno, un compenso che tiene anche conto delle alte retribuzioni di poche decine di fortunati colleghi.
Questa è la realtà che la Fnsi e l’Inpgi hanno denunciato e
che presenteranno nel dettaglio al ministro del Lavoro,
Cesare Damiano. È ridicolo affermare che il fenomeno del
precariato giornalistico sia fisiologico. Si tratta invece di una
abnorme condizione che discrimina e marginalizza decine di
migliaia di ragazze e ragazzi che vivono di giornalismo in una
condizione di sfruttamento e di precarietà.
“Nulla invece - conclude il segretario della Fnsi - dicono gli
editori sul fatto che le retribuzioni lorde nelle aziende Fieg siano cresciute ben al di sotto dell’inflazione reale, smentendo
la campagna di disinformazione sui presunti effetti del peso
degli scatti di anzianita”.
(ASCA)
Convenzione per l’accesso degli iscritti all’Albo a banche dati pubbliche
Roma, 7 settembre 2006. Il Consiglio nazionale dei giornalisti e Visura spa, società di informatica distributrice di banche dati della Pubblica amministrazione online, hanno stipulato un importante accordo che consente a tutti i giornalisti iscritti
all’Albo di accedere, con una normale connessione Internet, al patrimonio di informazioni delle Camere di Commercio italiane, degli uffici del Catasto e delle
Conservatorie.
Per accedere al servizio il giornalista troverà nel sito www.odg.it il link “BANCHE
DATI”. Una volta entrato nel sito operativo (www.banchedatigiornalisti.it) si dovrà
procedere con la compilazione del form di iscrizione, all’interno del quale è prevista
la scelta di una username e di una password.
L’iscrizione è gratuita e serve a registrare i dati di fatturazione.
Il servizio funziona con il sistema del conto ricaricabile a scalare: il conto viene aggiornato in seguito a ogni operazione di versamento, che può essere effettuato con
ORDINE
9-10
2006
carta di credito, bonifico bancario, bollettino postale, assegno.
In caso di pagamento con bonifico o bollettino, l’iscritto dovrà inviare copia
via fax al numero 0668192749.
Il versamento è libero nell’importo. A ogni versamento segue ricezione di fattura in
posta elettronica.
Allo stesso modo, in seguito alla consultazione di una banca dati, il conto viene aggiornato con la detrazione del costo relativo al documento richiesto. Nel listino è
pubblicata la tipologia di documenti richiedibili con i relativi importi.
Visura spa mette, inoltre, a disposizione un servizio di customer care al numero
066841781 o alla casella [email protected].
Ulteriori informazioni sono presenti sul sito www.banchedatigiornalisti.it
9
I N T E R C E T T A Z I O N I
Roma, 23 giugno 2006. No a nuove leggi che limiterebbero
il diritto di cronaca in una materia, come quella delle intercettazioni, che rientra invece nell’applicazione dei codici già
esistenti. Lo ha deciso oggi il Comitato esecutivo del
Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, che ha esaminato il provvedimento adottato dal Garante della privacy per
quanto concerne la pubblicazione integrale delle trascrizioni
di intercettazioni telefoniche.
Il Comitato esecutivo - spiega una nota - rileva che secondo
il Garante “è legittimo l’esercizio del diritto di cronaca ed è altresì configurabile un interesse pubblico alla conoscenza anche dettagliata dei fatti”. Il Garante evidenzia poi la necessità
“di un’adeguata tutela dei diritti dei soggetti coinvolti dalla
pubblicazione pressoché‚ integrale di innumerevoli brani di
conservazioni telefoniche”. A detta del Garante “non risulta
allo stato comprovato che le più recenti pubblicazioni giornalistiche delle predette trascrizioni siano avvenute violando il
segreto delle indagini preliminari o il divieto di pubblicare atti del procedimento penale”.
Per questo il Comitato esecutivo ritiene pertanto che non sia
necessaria una nuova formulazione legislativa, che limiterebbe il diritto di cronaca in una materia che rientra invece nell’applicazione dei codici deontologici già esistenti.
Il Comitato esecutivo raccomanda quindi agli Ordini regionali, ai quali è già stato trasmesso il provvedimento del Garante,
di vigilare affinché i giornalisti nell’esercizio del diritto-dovere
di informazione e di critica assicurino sempre “il rispetto del
principio dell’essenzialità dell’informazione”.
Secondo l’Ordine “il Codice deontologico che il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha approvato d’intesa con il
Garante della privacy chiaramente indica le modalità, di rappresentazione degli elementi essenziali delle vicende che incidono sulla sfera privata delle persone e che hanno riguardo a dati sensibili”.
(ANSA)
Ordine dei giornalisti:
“No a nuove leggi.
Non si scrive nulla sulla
sfera privata e sui dati
sensibili delle persone”
PRESCRIZIONI DEL GARANTE DELLA PRIVACY AGLI EDITORI (ART. 154, C. 1, DEL DLGS 196/2003)
Informazione su fatti di interesse pubblico, rispettando le persone. Gli editori e i gio
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
Nella riunione odierna, in presenza del prof. Francesco
Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan, del dott. Giuseppe
Fortunato, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale;
Visti gli atti acquisiti d’ufficio in relazione alla reiterata pubblicazione nei giorni scorsi, da parte di varie testate giornalistiche, di numerose trascrizioni di intercettazioni telefoniche disposte da autorità giudiziarie e che hanno coinvolto diverse
persone;
Considerato che il Garante, ai sensi dell’art. 154, comma 1,
lett. c) del Codice in materia di protezione dei dati personali,
ha il compito di prescrivere anche d’ ufficio ai titolari del trattamento le misure necessarie o opportune al fine di rendere
il trattamento conforme alle disposizioni vigenti;
Rilevata la necessità di esaminare d’ufficio e in via d’urgenza, anche in assenza di ricorsi, reclami e segnalazioni allo
stato non pervenuti al Garante, la problematica del rispetto
dei diritti e delle libertà fondamentali delle diverse persone
coinvolte dalla predetta pubblicazione, con particolare riferimento alla loro riservatezza, dignità ed identità personale,
nonché al diritto fondamentale alla protezione dei relativi dati personali;
Rilevato dagli atti che, nell’ambito delle indagini preliminari in
corso presso uffici giudiziari, le ipotesi di reato in fase di accertamento denotano circostanze ed episodi per i quali, su un
piano generale, è legittimo l’esercizio del diritto di cronaca ed
è altresì configurabile un interesse pubblico alla conoscenza
anche dettagliata di fatti;
Rilevato, tuttavia, che si pone con seria evidenza la necessità di assicurare, con immediatezza e su un piano generale,
un’adeguata tutela dei diritti di soggetti coinvolti dalla pubblicazione pressoché integrale di innumerevoli brani di conversazioni telefoniche, intercorse anche con terzi estranei ai fatti oggetto di indagine penale o che non risultano allo stato indagati, o brani che riguardano in ogni caso diverse relazioni
personali o familiari o, ancora, persone semplicemente lese
dai fatti; rilevato che alcuni brani di tali conversazioni attengono, altresì, a comportamenti strettamente personali di persone pur coinvolte nelle indagini, ma non direttamente connessi a fatti penalmente rilevanti;
Considerato che, dagli atti al momento disponibili e dall’attuale quadro normativo riferito al processo penale, non risulta allo stato comprovato che le più recenti pubblicazioni giornalistiche delle predette trascrizioni siano avvenute violando
il segreto delle indagini preliminari o il divieto di pubblicare atti del procedimento penale;
Rilevato, infatti, che il codice di procedura penale:
a) vieta la pubblicazione di atti coperti dal segreto o anche
solo del loro contenuto (art. 114, comma 1, c.p.p.);
b) vieta anche la pubblicazione di atti non più coperti dal segreto fino alla conclusione delle indagini preliminari o al
termine dell’udienza preliminare (art. 114, comma 2,
c.p.p.);
c) consente sempre, però, la pubblicazione del contenuto di
atti non coperti dal segreto (art. 114, comma 7, c.p.p.) e
considera gli atti d’indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria non più coperti dal segreto
quando l’imputato ne possa avere conoscenza (art. 329
c.p.p.; v. anche art. 268, comma 6, c.p.p. relativo al deposito di atti concluse le operazioni di intercettazione);
Rilevato che, anche per effetto del meccanismo previsto dalla legge per acquisire agli atti processuali le sole conversazioni rilevanti per il procedimento penale, meccanismo non
più adeguato rispetto al fenomeno dell’incessante pubblicazione integrale di materiali processuali, si pone a volte in modo indiscriminato a disposizione dell’opinione pubblica un vasto materiale di documentazione di conversazioni telefoniche
che non è oggetto di adeguata selezione e valutazione; rilevato che tale materiale, oltre a non risultare sempre essenziale per una doverosa informazione dell’opinione pubblica,
può favorire anche una percezione inesatta di fatti, circostanze e relazioni interpersonali;
Considerato che la vigente disciplina di protezione dei dati
personali che contempera i diritti fondamentali della persona
con il diritto dei cittadini all’informazione e con la libertà di
stampa (d.lg. n. 196/2003; codice di deontologia relativo all’attività giornalistica) prevede invece espresse e puntuali garanzie da rispettare e, in particolare:
a) garantisce al giornalista il diritto all’informazione su fatti di
interesse pubblico, ma nel rispetto dell’ essenzialità dell’informazione;
b) considera quindi legittima la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale solo quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile per l’originalità
dei fatti, o per la qualificazione dei protagonisti o per la de-
Cassazione sui minori:
la tutela della loro privacy
... ma per il Tribunale assolutamente preminente
DUE SENTENZE CONTRADDITTORIE SULLO STESSO FATTO
Tribunale di
Mantova: vietato
pubblicare dati
delicati
su chi è vittima
di una rapina.
Società editrice
condannata...
La diffusione di dati personali nell’esercizio di attività giornalistica costituisce trattamento ai sensi della l. 675/96 ed è subordinata al consenso da parte dell’interessato. Il consenso non è però necessario quando il trattamento è effettuato nell’esercizio della suddetta professione e per
l’esclusivo perseguimento delle relative finalità, nel rispetto del codice di deontologia di cui all’art. 25, norma che ribadisce
la non necessità del consenso purché il
trattamento dei dati sia contenuto nei limiti del diritto di cronaca ed in particolare
dell’essenzialità dell’informazione riguar-
10
do a fatti di interesse pubblico. Nel caso di
specie, si è ritenuto che la divulgazione a
mezzo stampa delle generalità del soggetto rapinato, della sua età e della città di residenza, avuto riguardo al tipo di attività
esercitata (agente di commercio di preziosi), pure effettuata nell’ambito dell’esercizio del diritto di cronaca, abbia ecceduto i
limiti di quest’ultimo nel senso che la diffusione dei dati in questione (obiettivamente idonea a mettere in pericolo l’incolumità dell’attore) non era giustificata da
alcuna finalità informativa essenziale
(Tribunale di Mantova, Sez. II- Giudice
unico dott. Mauro Bernardi - Sentenza del
13 maggio 2004).
Il Tribunale di Mantova ha condannato la
società editrice del giornale a pagare alla
vittima della rapina, a titolo di risarcimento dei danni patiti, la somma di euro
9.000,00 oltre agli interessi legali dalla data della sentenza sino al saldo definitivo. Il
Tribunale, inoltre, ha condannato la società editrice a rifondere all’attore (il rapinato, ndr) le spese di lite liquidandole in
complessivi euro 2.818,38 di cui 211,64
per spese, euro 996,74 per diritti ed
1.610,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., oltre ad
I.V.A. e C.P.A. come per legge.
di Milano
notizia su persona
rapinata
non viola il diritto
alla riservatezza.
Assolto il
“Corriere della Sera”
Milano, 23 agosto 2006. Non è reato e nemmeno una violazione di carattere civilistico
pubblicare la notizia di una rapina con le generalità delle vittima. Lo ha stabilito il giudice
Domenico Bonaretti, della prima sezione del
tribunale civile di Milano, al termine della causa avviata da Gianpietro P., rappresentante
di preziosi, contro il Corriere della Sera, che
aveva pubblicato la notizia di una rapina da
lui subita nell'aprile del 1999 a Mantova. Il
promotore della causa chiedeva un risarcimento pari a 15.493 euro per violazione del
diritto alla riservatezza. Il giudice glielo ha
negato ritenendo sussistente il diritto di cronaca.
(ANSA)
Roma, 8 settembre 2006. La tutela della privacy dei minori viene prima di tutto. Lo ribadisce la Corte di Cassazione che sottolinea come “il diritto alla riservatezza del minore debba
essere, nel bilanciamento degli opposti valori
costituzionali (diritto di cronaca e diritto di privacy) considerato assolutamente preminente”.
L’unico strappo alla regola, nel caso della pubblicazione di una notizia che abbia il centro dell’interesse un minorenne, sottolinea ancora la
Suprema Corte, è costituito dalla “utilità sociale della notizia” stessa. In questo modo la Terza
sezione civile della Cassazione ha accolto il ricorso di una madre che si era vista rifiutare la
richiesta di un risarcimento pari a 150mila euro per la pubblicazione di una foto del figlio minore apparsa sulla rivista” Eva 3000 express
nella quale il ragazzino veniva ritratto integralmente insieme al padre e alla nuova compagna, attrice televisiva.
Nel negare la richiesta risarcitoria, la Corte
d’appello di Milano, dicembre 2001, aveva sostenuto che la riproduzione fotografica del minore era consentita perché lo stesso era stato
ritratto in compagnia di una attrice famosa, “come tale notoriamente soggetta all’interesse dei
fotografi di riviste”. Una motivazione bocciata
dalla Cassazione.
(Adnkronos)
ORDINE
9-10
2006
Roma, 4 luglio 2006. No a leggi liberticide
né a bavagli per i giornalisti, ma sì al rispetto delle regole, in particolare a tutela della
persona, per evitare abusi nella pubblicazione delle intercettazioni telefoniche. È quanto
è emerso dal convegno, organizzato a Roma
dall’Ordine dei giornalisti, al quale hanno partecipato il ministro della Giustizia Clemente
Mastella, i presidenti dell’Associazione magistrati Giuseppe Gennaro, delle Camere penali Ettore Randazzo, della Fnsi Franco Siddi
e dell’Odg Lorenzo Del Boca e il presidente
dell’Autorità per la protezione dei dati personali Francesco Pizzetti.
“Nessuna voglia di fare censura, di mettere la
museruola o il bavaglio, ma ritengo che ci
debba essere minor pigrizia giornalistica”,
ha sottolineato Mastella. “Io ho rispetto di
quello che i giornalisti mettono sui taccuini
ma non di quello che si deposita in maniera
pigra sui loro taccuini”. Per il ministro, “ognuno ha la sua autonomia e la sua espressione di libertà, però c’è anche l’anonimo che io
non conosco che finisce per essere sacrificato ed esposto assai spesso ingiustamente
al ludibrio e alla gogna mediatica. Credo si
abbia il dovere di tutelare questo anonimo”.
Quanto al rispetto delle regole, “se all’interno
di un’ordine c’è un organismo preposto a
sanzioni o reprimende, ben venga, altrimenti
ci devono essere norme esterne”, ha aggiunto Mastella, escludendo di essere “tra
quelli che vogliono mettere le manette ai giornalisti o chiudere gli ordini professionali. Ho
la mia idea di modernità basata sul rispetto
della persona, che è sacra”.
Intercettazioni: no a bavagli, ma si rispettino le regole
Protagonisti a confronto
al convegno dell’Ordine
con Mastella e Pizzetti
“Non servono leggi liberticide”, ha sottolineato Siddi. “È giusto che i misteri vengano svelati, che gli scandali escano fuori. Ma quando lo scandalo investe la sfera del potere,
scattano le tendenze a introdurre limiti alla libertà di stampa. Non siamo noi giornalisti a
fabbricare gli scandali, anche se nelle ultime
vicende qualche eccesso c’è stato: dobbiamo allora ripartire dal nostro Codice deontologico e dire che cosa occorre fare perchè
venga rispettato di più”.
L’idea giusta, per Siddi, potrebbe essere
“creare dentro l’Ordine dei giornalisti un Giurì
d’onore che si pronunci in pochi giorni sugli
eventuali abusi, offrendo l’eventuale ‘ristoro’
alla persona coinvolta”. Anche Vittorio Roidi,
segretario dell’Odg, ha lanciato un allarme
sulla “voglia di segretezza” maturata dopo i
recenti scandali, “che fa pensare a quello
che accadde nel ‘92-’93 con Tangentopoli. Il
giornalista deve rispettare la Costituzione e
la legge sulla privacy, ma tutto va ricondotto
nell’ambito dell’autoregolamentazione della
categoria”.
Su fronti diversi, penalisti e magistrati. “Nelle
vicende di questi giorni, compresa Calciopoli
- ha detto il presidente dell’Anm Gennaro - ci
sono parti delle intercettazioni pubblicate che
non provengono dagli uffici giudiziari che le
hanno disposte”, bensì “da chi le stava effettuando”. Sempre più spesso, infatti, “l’ascolto viene remotizzato: chi ascolta è persona
diversa da chi ha disposto l’intercettazione”.
“La mia - ha detto ancora - non è una difesa
d’ufficio della categoria: ci sono soggetti interessati, per ragioni diverse, alla fuoruscita
anticipata delle intercettazioni sottoposte al
segreto istruttorio”. In ogni caso, per
Gennaro, “è azzardato pensare di restringere ulteriormente i reati per cui è ammesso
questo strumento di indagine; i sistemi sono
estremamente sofisticati, per cui il potere di
controllo da parte del pm si è attenuato. Si
tratta, dunque, di un tema complesso su cui
bisogna interrogarsi senza cercare soluzioni
comode o rapide”.
L’unico discrimine possibile”, secondo il presidente dei penalisti Randazzo, è “la legalità.
Di leggi ce ne sono tante, il problema è farle
rispettare. Ha senso aggiungere altre regole
con la consapevolezza che non vengano rispettate?”
Per esempio, “la violazione del segreto d’indagine è un reato perseguibile d’ufficio dagli
uffici giudiziari: è possibile che non venga
perseguito?” L’unica soluzione è “riconquistare il primato della legalità”.
Al Garante per la Privacy spetta il difficile
compito di trovare l’equilibrio tra libertà di
stampa e tutela della persona: di qui il richiamo forte ai giornalisti al rispetto del
Codice deontologico, ma anche agli uffici
giudiziari ad adottare “precise misure di sicurezza” per i dati a loro disposizione.
Per l’Autorità, ha detto Pizzetti, sarebbe “utile” poter comminare “sanzioni pecuniarie più
significative”, in ogni caso “non sanzioni penali”.
(ANSA)
ornalisti “inosservanti” rischiano da 3 mesi a 2 anni di galera
scrizione dei modi particolari in cui sono avvenuti;
c) prescrive che si evitino riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti;
d) esige il pieno rispetto della dignità della persona;
e) tutela la sfera sessuale delle persone, impegnando il giornalista ad astenersi dal descrivere abitudini sessuali riferite a persone identificate o identificabili e, quando si tratta
di persone che rivestono una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica, a rispettare comunque sia il principio dell’essenzialità dell’informazione, sia la dignità;
Considerato che l’indiscriminata pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni di numerose conversazioni telefoniche,
specie quando finisce per suscitare la curiosità del pubblico
su aspetti intimi e privati senza rispondere integralmente ad
un’esigenza di giustificata informazione su vicende di interesse pubblico, può configurare anche una violazione delle
disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali che contemperano il diritto al rispetto della vita privata e familiare con la libertà di espressione (artt. 8 e 10 Conv. europea diritti dell’ uomo);
Considerato, quindi, anche sulla base dei principi affermati
nei provvedimenti di divieto o di blocco del trattamento dei dati personali già adottati dal Garante sulle tematiche in esame,
che risulta necessario prescrivere a tutti i mezzi di informazione di procedere ad una valutazione più attenta ed approfondita, autonoma e responsabile, circa l’effettiva essenzialità dei dettagli pubblicati, nella consapevolezza che l’affievolita sfera di riservatezza di persone note o che esercitano
funzioni pubbliche non esime dall’imprescindibile necessità di
filtrare comunque le fonti disponibili per la pubblicazione, che
vanno valutate dal giornalista, anche alla luce del dovere in-
Carissimo presidente,
desidero intervenire sulla tua ultima “new” a
proposito di intercettazioni e di dati personali. Molto si è detto e scritto in queste settimane sul fatto se sia lecito o meno pubblicare queste benedette “intercettazioni”. Il parere del Garante della Privacy, riportato nella nota dell’Ansa che ci hai inviato, dice che
“non risulta allo stato comprovato che le più
recenti pubblicazioni giornalistiche delle predette trascrizioni siano avvenute violando il
segreto delle indagini preliminari o il divieto di
pubblicare atti del procedimento penale”.
Secondo me non è di questo che bisogna
parlare; e io desidero quindi intervenire molto più a monte, cioè non sulla “comunicazione del fatto” quanto sul fatto stesso, dal quale poi la comunicazione discende.
Ho letto con sbalordimento il verbale dell’interrogatorio di una signorina che doveva confermare o meno se avesse fatto sesso con
un tale, e se lo avesse fatto nei locali di un
ministero.
Dico “con sbalordimento” perché non comprendo come mai la cosa possa assumere
rilevanza penale e come mai un giudice dello Stato perda il proprio tempo (e i nostri soldi, mi verrebbe da dire) nel chiedere con insistenza a una signorina maggiorenne in che
modo essa disponga del proprio tempo e del
proprio corpo.
Che io sappia non è affatto un reato “concedersi” sessualmente, anche se la cosa avvenga in assenza di una relazione amorosa.
È un reato la prostituzione (e anche questo
non è che sia evidentissimo; in numerose
ORDINE
9-10
2006
derogabile di salvaguardare la dignità delle persone e i diritti
di terzi;
Rilevata l’adozione di eventuali altre decisioni in casi specifici, all’esito dell’eventuale ricezione di ricorsi, reclami o segnalazioni da parte di persone interessate;
ti i principi affermati dal medesimo Codice e dall’allegato
codice di deontologia per l’attività giornalistica, richiamati
nel presente provvedimento;
b) dispone l’invio di copia della presente decisione al
Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti.
Roma, 21 giugno 2006
Viste le osservazioni formulate dal segretario generale ai
sensi dell’ art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;
Relatori il dott. Giuseppe Chiaravalloti e il dott. Mauro
Paissan;
Rilevata in conclusione la necessità, ai sensi dell’art. 154,
comma 1, lett. c) del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. n. 196/2003), di prescrivere a tutti gli editori
titolari del trattamento in ambito giornalistico di conformare
con effetto immediato, anche al fine di prevenire ulteriori violazioni, i trattamenti di dati personali relativi alla pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche ai principi richiamati nel presente provvedimento;
IL PRESIDENTE Pizzetti
I RELATORI Chiaravalloti e Paissan
IL SEGRETARIO GENERALE Buttarelli
Dlgs 30 giugno 2003 n. 196. Codice in materia di protezione dei dati personali. (Pubblicato nella Gazz. Uff. 29 luglio 2003, n. 174, S.O).
TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE:
Articolo 154. Compiti.
1. Oltre a quanto previsto da specifiche disposizioni, il
Garante, anche avvalendosi dell’Ufficio e in conformità al presente codice, ha il compito di:
c) prescrivere anche d’ufficio ai titolari del trattamento le
misure necessarie o opportune al fine di rendere il trattamento conforme alle disposizioni vigenti, ai sensi dell’ articolo 143;
a) ai sensi dell’art. 154, comma 1, lett. c) del Codice in materia di protezione dei dati personali prescrive ai titolari del
trattamento in ambito giornalistico di conformare con effetto immediato i trattamenti di dati personali relativi alla pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche a tut-
Articolo 170. Inosservanza di provvedimenti del Garante.
1. Chiunque, essendovi tenuto, non osserva il provvedimento adottato dal Garante ai sensi degli articoli 26, comma 2, 90, 150, commi 1 e 2, e 143, comma 1, lettera c), è
punito con la reclusione da tre mesi a due anni.
Rilevata, infine, la necessità di disporre la trasmissione di copia del presente provvedimento al Consiglio nazionale
dell’Ordine dei giornalisti, per le valutazioni di competenza;
L A
L E T T E R A
Ma smettiamola
di occuparci
di sciocchezze
città dell’Unione Europea esistono quartieri
dove si pratica la prostituzione con luminosa
evidenza) ma la prostituzione è comunque
un mestiere: praticato abitualmente, con un
tariffario più o meno noto e applicabile a
chiunque ne paghi quel prezzo.
Io credo che se qualcuno decide “liberamente” (qua ci vorrebbe un neuropsichiatra..) di fare sesso con una persona che possa - per questo - facilitargli la carriera lavorativa, ciò non sia affare da giudici né da tribunali. Qua siamo nel campo dell’etica ma
non desidero entrarvi. Mi limiterò a dire che
abbiamo dimenticato troppo in fretta, caro
presidente, che in gran parte della nostra
Italia in un passato neppure troppo lontano
(e in qualche caso tuttora) si “dava in sposa”
una donna a un uomo che magari essa non
aveva neppure mai visto, solo perché questi
era “un buon partito”. “Si dava in sposa” vuol
dire che la poveretta si trovava costretta a
prestazioni sessuali magari sgradite, per tutta la vita, a fianco di un estraneo che, però,
era ricco o potente o, peggio ancora, semplicemente un “amico di famiglia”.
Quella era l’epoca del maschilismo. Oggi che
c’è parità di diritti fra uomo e donna trovo
molto più dignitoso, allegro e moderno il fatto che una persona possa regalarsi una
mezz’ora di “bacini” (come diceva la signorina nella registrazione) con un signore magari garbato e piacevole e che in più abbia
anche la possibilità di aiutarla a fare carriera. E che questo non la obblighi per la vita.
Non lo trovi assai più accettabile di quanto è
stato costume condiviso, in Italia, per decenni?
È scandalosa “la cosa in sé” della carriera
contro sesso? Via, qua non stiamo parlando
di ingegneri che devono costruire case soli-
de o di medici che hanno in mano la salute
della gente o di bilanci di aziende multinazionali affidati a ragazzine di disinvolti costumi; qua stiamo parlando di veline e di lavori
di questi tipo, frivoli e futili di per sé. Difficile
immaginare che una ragazza che si avvia alla “carriera” di velina aspiri a un Oscar o a simili riconoscimenti professional-culturali. A
una giovane che abbia in mente di fare la velina e che però non sopporti palpeggiamenti e proposte sconce io consiglierei, da padre
quale sono, di studiare e imparare un mestiere. Scrisse Pier Paolo Pasolini, trent’anni
fa, che in ogni condominio di Roma c’era
una ragazza che si dava a tutti. Ma nessuna
di queste, che io sappia, è stata mai convocata a Palazzo di Giustizia.
Per venire al punto di partenza: stiamo facendo una misera commistione fra cose serie (tutti devono avere pari opportunità nel
campo del lavoro) e cose pruriginose (le “ragazze facili” sono sempre esistite). Poiché la
stampa è una cosa seria il compito di un
giornalista - a parer mio - dovrebbe essere
quello di rifiutare con sdegno di occuparsi di
queste sciocchezze, a prescindere dal
Garante della privacy, che Dio l’abbia in gloria. Qua il problema non è il Diritto bensì il rispetto per se stessi e per il lettore. Se un giudice ritiene fondamentale un interrogatorio
al limite del palpeggiamento psicologico, come quello che io ho letto, cuocia nel suo brodo. Nessun giornalista stia al gioco. Ci sono
livelli di dignità e di rispetto, di sé e degli altri, al di sotto dei quali un giornalista non dovrebbe accettare di scendere.
Paolo Mastromo, Milano
11
DELIBERA
D I S C I P L I N A R E Commistione pubblicità-informazione:
sanzionata con l’avvertimento
Valeria Corbetta (direttore di Flair)
L’avviso disciplinare del
2005. Analisi.
9 novembre
In data 9 novembre 2005 il presidente del
Consiglio dell’OgL, nell’ambito dei poteri attribuitigli dagli articoli 4, 5 e 6 della legge n.
241/1990, ha fatto notificare un avviso disciplinare alla giornalista professionista Valeria
Corbetta (direttore responsabile della testata Flair - editore A. Mondadori), ipotizzando
(attraverso la citazione di alcuni articoli del
Cnlg e della legge professionale 69/1963
nonché di un paragrafo della Carta dei
Doveri del giornalista) che la stessa abbia
adottato decisioni lesive dell’autonomia della professione giornalistica (art. 1, terzo coma, del Cnlg) che si fonda sul rispetto delle
regole fissate nell’articolo 2 della legge n.
69/1963 e in contrasto con l’articolo 44 dello stesso Cnlg, il quale impone “di separare
testi giornalistici e messaggio pubblicitari”
nonché con la Carta dei doveri del giornalista (paragrafo informazione e pubblicità) secondo la quale “i cittadini hanno il diritto di ricevere un’informazione corretta, sempre distinta dal messaggio pubblicitario e non lesiva degli interessi dei singoli. I messaggi pubblicitari devono essere sempre e comunque
distinguibili dai testi giornalistici attraverso
chiare indicazioni. Il giornalista è tenuto all’osservanza dei principi fissati dal Protocollo
d’intesa sulla trasparenza dell’informazione
e dal Contratto nazionale di lavoro giornalistico; deve sempre rendere riconoscibile
l’informazione pubblicitaria e deve comunque porre il pubblico in grado di riconoscere
il lavoro giornalistico dal messaggio promozionale”. La legge professionale detta vincoli fondamentali per l’attività giornalistica, impegnando il giornalista a essere e ad apparire corretto.
Fra i vincoli figurano:
1) l’esercizio delle libertà di informazione e
di critica ancorato ai doveri imposti dalla
buona fede e dalla lealtà;
2) il dovere di promuovere la fiducia tra la
stampa e i lettori.
Il mensile Flair (numero di novembre) alle
pagine 154-161, pubblica, a firma Monica
Capuani, un’intervista a Rula Jebreal dal titolo “Sono musulmana. E mi sento europea”. Alle pagine 158-159 e 160-161 le inserzioni Guerlain sono collocate anche in
mezzo all’articolo in modo da creare un’assonanza tra testo/pubblicità e inserzioni e tali da farle apparire come riferibili al contenuto dell’articolo con il fine di dare maggior vigore alla pubblicità del marchio. Quasi una
forma di pubblicità sublimale. Chi legge a sinistra (pag. 158) vede la pubblicità in piccolo e se guarda a destra (pag. 159) vede la
pubblicità in grande. La scena si ripete alle
pagine 160-161.
Di particolare richiamo sensuale è il rosso
(le nouveau rouge) della pubblicità (pag.
158) e delle labbra rosso Guerlain della ragazza Guerlain Kisskiss (pag. 159) che ha
una anticipazione “rossa” nella ragazza Gilli
di pagina 157, mentre alle pagine 160 e 161
si gioca su diverse tonalità (“camomilla”)
dell’Istant de Guerlain pour homme, dei
corpi nudi di lui e di lei nonché dei capelli di
lei. Anche qui l’assonanza è altamente suggestiva (la fusione dei corpi e delle mani intrecciate verso l’alto). Quando si parla di
pubblicità sublimale (da “sublime”) si intende
anche pubblicità che susciti istinti e desideri
nella persona suggestionata dal forte intreccio grafico delle pagine, pubblicità che è pure manifestazione di un fatto estetico/erotico/dannunziano nel suo massimo grado.
Le pagine 157,158,159 e 160-161 vanno viste in chiave unitaria, in sequenza, mentre
“tagliano” e spezzano l’intervista.
Le conclusioni.
Valeria Corbetta si è difesa affermando:
a) “Flair è un giornale nuovo che lavora
molto sull’immagine e c’è molta informazione scritta. C’è informazione moda, c’è informazione bellezza e soprattutto c’è una grossa ricerca sul piano
dell’immagine fotografica; vive questo
giornale molto di immagine. Il giornale
pone moltissima attenzione alla fotografia, cosa che non succede in altri
giornali. Lavoriamo con un pool di fotografi internazionali, lavoriamo tra qui e
gli Stati Uniti ed ha come obiettivo proprio l’internazionalizzazione… Chi ci
compra - sono tanti e vorremmo che
fossero di più, molti di più - sa benissimo il contesto in cui si trova, cioè si trova in un giornale che esplora anche
nuove strade di impaginazione, che
non sono in conflitto con la deontologia.
Quando abbiamo fatto le prime ricerche su questo giornale è venuto fuori
un dato al quale io tengo molto: la rivista viene comprata per i suoi contenuti
principalmente ma anche per come li
pone ed anche per il livello delle inserzioni pubblicitarie ... l’informazione pubblicitaria diventa ... un altro tipo di informazione per questo tipo di pubblico che
capisce perfettamente quali siano (almeno questi sono i risultati della ricerca) i messaggi che veicola ed è incuriosito anche dalla qualità dell’immagine che viene messa in queste campagne. Per fare la campagna Guerlain io
credo che abbiano speso delle miliardate perché si sa cos’è questo mondo
come dire della produzione. Quindi sono d’accordo con l’avvocato, diverso è
un contesto di un giornale il cui il lettore ha meno strumenti e diverso è invece un contesto di un giornale i cui lettori hanno parecchi strumenti e parecchie curiosità, insomma. È per questo
che non ho rilevato, come dire, conflitto”.
b) la pubblicità Guerlain è immediatamente riconoscibile ed è di livello molto alto.
c) la “continuità (con Gilly) in realtà è puramente casuale nel senso che non so
neanche che cosa viene messo al di là
di casi speciali oppure in realtà come
viene impaginato il giornale dalla pubblicità: lo scopro in fase diciamo nel
senso che non sono io che impagino la
pubblicità”.
d) ha avuto “la proposta da parte
dell’Ufficio pubblicità della Mondadori
di questo formato speciale di pubblicità
e ha ritenuto che non fosse assolutamente in conflitto sotto il profilo deontologico”.
e) «il problema me lo sono posto e proprio
per questo ho preteso degli accorgimenti nel senso che ci fosse un riquadro intorno alla fotografia, che in effetti
c’è…».
Secondo la difesa, Valeria Corbetta “il pro-
Economist: nel 2043
la morte dei quotidiani.
Internet e disinteresse
della gente condannano
la carta stampata
Londra, 24 agosto 2006. È il 2043, siamo negli Stati
Uniti. Un lettore sfinito acquista l’ultima copia di un giornale su carta. Èquesta la sorte del quotidiano secondo
quanto scriverà, sulla base di anticipazioni diffuse oggi, il
settimanale britannico ‘The Economist’ nel numero in edicola domani. La rivista diretta da John Micklethwait dedica alla morte del quotidiano la copertina e un lungo articolo, lanciando un preoccupante allarme: nei prossimi decenni la diffusione della carta stampata è destinata a crollare sotto i colpi di internet e del disinteresse dei lettori. Il
2043 è destinata a diventare la data di scomparsa dei
giornali in America, secondo un libro di Philip Meyer citato dall’Economist. La crisi dei giornali è già una realtà: la
12
blema se lo è posto subito” e ha affermato:
«Io pubblico il messaggio Guerlain, ma si
deve capire che è un messaggio pubblicitario» per cui ha detto: «Ho preteso questi
correttivi e cioè non l’immagine spot e poi la
pubblicità dopo tre pagine ma la pagina di
pubblicità a fianco del richiamo della pagina
precedente» in maniera tale che fosse percepibile immediatamente che era la foto della pubblicità ... separata dall’articolo. Il direttore non ha inteso “rigettare un discorso sofisticato che peraltro attira anche il lettore,
perché la pubblicità non è il demonio, la pubblicità consente a tutti quanti di andare
avanti e quindi ho messo in atto tutti i correttivi che impediscono gli equivoci”. Valeria
Corbetta ha esaminato il problema per cercare di risolverlo: “Cioè non è una roba che
è stata fatta a cuor leggero”. E, d’altronde,
lei dice: «Attenzione a rigettare questi tipi di
messaggi (tra virgolette) "pubblicitari" che
sono sofisticati, innovativi e che non creano
confusione con la mia attività di giornalista
per cui non me la sono sentita di rifiutarla».
Secondo la difesa, Valeria Corbetta ha ragionato così:
«Lo pubblico il messaggio frazionato ma a
condizione che sia pubblicata la fotografia,
che nella pagina a fianco ci sia la foto pubblicitaria, in maniera tale che il lettore viene
sì incuriosito da questa formula ma sa immediatamente che è una pubblicità. Quindi
questo è il primo correttivo.
Il secondo correttivo che non contrasti, cioè
che faccia capire che non fa parte dell’opera del giornalista, che l’articolo non sia dedicato ad un argomento che possa parlare
di profumi e di rossetti - ed infatti qui si tratta di un’intervista ad una vostra collega, peraltro musulmana e quindi tutto il contrario
della donna musulmana, che lavora - e quindi con nessuna attinenza all’articolo; il secondo discorso è che ci fossero quantomeno delle pagine di testo completo e senza
pubblicità e dopo cominciasse il discorso
pubblicitario.
Ultimo, terzo correttivo o quarto se si vuole
parlare anche del testo, che ci fosse comunque un riquadro, ovviamente esteticamente sofisticato, perché tutta l’impaginazione è molto sofisticata in questo tipo di
giornale, che lo separasse dall’articolo e
quindi, in effetti, c’è questo riquadro diciamo
bianco intorno alla fotografia che, come posso dire, lo tira fuori dal testo dell’articolo.
Questo ha ritenuto il direttore in buona fede.
Quindi, ripeto, c’è stata un’analisi della giornalista che si è posta le due problematiche:
quella che non venisse inficiato il suo lavoro di direttore, di giornalista come soggetto
che fa commistione con la pubblicità e nello
stesso tempo che non fossero ostacolati i
messaggi pubblicitari...”.
Il Consiglio ritiene che Valeria Corbetta non
sia riuscita nell’opera di demolire l’incolpazione, elevata a suo carico sia con l’avviso
disciplinare sia con la delibera di apertura
del procedimento. La giornalista ha in effetti
adottato decisioni in contrasto con l’articolo
44 del Cnlg, che (come la Carta dei doveri)
impone “di separare testi giornalistici e messaggio pubblicitari”, mentre la legge professionale vincola il giornalista al dovere di promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori. La
nuova tecnica pubblicitaria, di cui Flair si è
fatto portavoce, è in conflitto con la deontologia giornalistica. Gli “accorgimenti” sono ri-
loro diffusione é ormai da decenni in costante calo in
Europa occidentale e negli Stati Uniti. Le persone che lavorano nel settore negli Usa sono diminuite del 18% tra il
1990 e il 2004. La Knight Ridder, società editrice proprietaria di alcuni dei maggiori quotidiani americani, ha dato
il via ad un’operazione di smobilitazione, mettendo la parola fine ad una storia lunga 114 anni.
Tutti segnali di quello che sta accadendo al più vecchio
dei media. La condanna della carta stampata sembra ancora più inevitabile a causa dell’avanzata di internet: i ragazzi britannici tra i 15 e i 24 anni passano quasi il 30%
in meno del loro tempo a leggere da quando hanno conosciuto la Rete.
“Nei prossimi decenni, forse metà dei giornali del mondo
sviluppato dovrà chiudere”, questa la lapidaria conclusione della rivista britannica.
Non tutti, però, sono in pericolo. Pubblicazioni di alta qualità come “il New York Times e il Wall Street Journal dovrebbero essere in grado di aumentare il loro prezzo per
compensare le minori entrate pubblicitarie” e, forse, potrebbero tenersi in vita grazie al sostegno di associazioni
non-profit.
Una strada già intrapresa da alcune importanti testate come il Guardian.
(ANSA)
sultati vani e insufficienti.
Il mensile Flair (numero di novembre) alle
pagine 154-161, pubblica, a firma Monica
Capuani, un’intervista a Rula Jebreal dal titolo “Sono musulmana. E mi sento europea”. Alle pagine 158-159 e 160-161 le inserzioni Guerlain sono collocate anche in
mezzo all’articolo in modo da creare un’assonanza tra testo/pubblicità e inserzioni e
tali da farle apparire come riferibili al contenuto dell’articolo con il fine di dare maggior
vigore alla pubblicità del marchio. Quasi una
forma di pubblicità sublimale. Chi legge a sinistra (pag. 158) vede la pubblicità in piccolo e se guarda a destra (pag. 159) vede la
pubblicità in grande. La scena si ripete alle
pagine 160-161.
Di particolare richiamo sensuale è il rosso
(le nouveau rouge) della pubblicità (pag.
158) e delle labbra rosso Guerlain della ragazza Guerlain Kisskiss (pag. 159) che ha
una anticipazione “rossa” nella ragazza
Gilli di pagina 157, mentre alle pagine 160
e 161 si gioca su diverse tonalità (“camomilla”) dell’Istant de Guerlain pour homme.
Le pagine 157,158,159 e 160-161 vanno viste in chiave unitaria, in sequenza, mentre
“tagliano” e spezzano l’intervista.
La rivista si rivolge a un pubblico in prevalenza femminile, che ha bisogno di simboli
come il rosso Guerlain. I pubblicitari avvertono il rischio che la gente legga gli articoli
e non guardi la pubblicità e allora per rafforzare l’attenzione del lettore sul messaggio
pubblicitario spezzano gli articoli con un richiamo che è riferito alla pagina pubblicitaria successiva. Questa è una tecnica che è
innovativa, fortemente innovativa. In sostanza il giornale dev’essere percepito dal lettore come un tutt’uno senza differenze tra
informazione e pubblicità commerciale.
Nuove filosofie di comunicazione sostengono che il periodico dev’essere omogeneo al
punto tale che per essere appunto totalizzante, compatto, la pubblicità in qualche modo deve confondersi con il testo e viceversa.
È un nuovo modo, ma sleale, di porre la comunicazione commerciale, sleale perché
non tutela con priorità il rapporto di fiducia e
di credibilità con i lettori. Valeria Corbetta
porta intera la responsabilità di non aver opposto e reso pubblico il proprio dissenso rispetto alle pretese dell’Ufficio pubblicità/marketing della A. Mondadori; principio ribadito nella sentenza n. 1827/2003 della prima sezione civile della Corte d’Appello
di Milano e diffuso dall’Ordine di Milano con
lettere ai direttori nonché attraverso il mensile Tabloid e il portale dell’ente. In sostanza
la Corte d’Appello ha affermato la responsabilità soggettiva del direttore per culpa in
vigilando: “Il direttore quantomeno avrebbe
potuto evidenziare - scrivono i giudici - il proprio dissenso all’ufficio marketing... Al contrario non ha ritenuto di intervenire in alcun
modo ed in questa inerzia non può che ravvisarsi una sua grave omissione...”;
PQM
il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della
Lombardia, valutati i fatti addebitati,
delibera
di sanzionare con l’avvertimento (articolo 52
legge n. 69/1963) la giornalista professionista Valeria Corbetta, direttore responsabile
di Flair, che viene “richiamata all’osservan-
Giovannini: il web
non ucciderà i giornali
Bibbiena (Arezzo), 28 agosto 2006.- “I giornali non spariranno a causa dello sviluppo dei nuovi media e di internet; si
andrà soltanto verso un nuovo assetto, come è successo
quando sono comparse la radio e la televisione”. Èil parere di
Giovanni Giovannini, per molti anni presidente della
Federazione Italiana Editori Giornali e dell’agenzia Ansa, al
quale la sua città natale, Bibbiena, intitola la biblioteca comunale. “Io sono un divulgatore - ha aggiunto - e un difensore dei nuovi media e nel mio libro ‘Dalla selce al silicio’ parlo
della rivoluzione che hanno operato nel mondo della comunicazione come della ‘grande mutazione’”. Per quanto riguarda il fenomeno della free press Giovannini non pensa che esso potrebbe arrivare a mettere in crisi i giornali tradizionali. “I
giornali gratuiti - ha osservato - attraggono una fetta marginale di pubblico, dunque possiamo parlare di complementarietà più che di concorrenza dato che hanno due mercati diversi. Se io fossi un editore risolverei la questione pubblicando due giornali nella mia zona: uno free press e uno tradizionale”.
(ANSA)
ORDINE
9-10
2006
DELIBERA
D I S C I P L I N A R E Cinzia Felicetti non si esibirà in futuro
come “attrice pubblicitaria”
su Cosmopolitan.
Procedimento disciplinare archiviato
Milano, 22 luglio 2006. Il Consiglio
dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha
archiviato il procedimento disciplinare avviato nei riguardi della giornalista professionista
Cinzia Felicetti, direttore responsabile della
testata Cosmopolitan. Cinzia Felicetti si era
subito adeguata alle censure dell’Ordine e si
è impegnata a tenere in futuro comportamenti corretti: non si esibirà come “attrice
pubblicitaria” su Cosmopolitan.
I FATTI. In data 15 novembre 2005 il presidente del Consiglio dell’OgL, nell’ambito dei
poteri attribuitigli dagli articoli 4, 5 e 6 della
legge n. 241/1990, avendo la segreteria dell’ente acquisito copia del mensile
Cosmopolitan numero di novembre (n. 11)
2005, ha fatto notificare un avviso disciplinare alla giornalista professionista Cinzia
Felicetti (direttore responsabile della testata
Cosmopolitan), ipotizzando che la stessa abbia svolto e svolga funzioni in contrasto con
l’autonomia della professione giornalistica
(art. 1, terzo coma, del Cnlg) che si fonda sul
rispetto delle regole fissate nell’articolo 2 della legge n. 69/1963, mentre l’articolo 1 (3°
DELIBERA
comma) della stessa legge impone ai giornalisti professionisti “di esercitare in modo
esclusivo e continuativo la professionale di
giornalista”; l’articolo 6 “di adottare le decisioni necessarie per garantire l’autonomia
della testata”; l’articolo 44 “di separare testi
giornalistici e messaggio pubblicitari”. La legge professionale detta vincoli fondamentali
per l’attività giornalistica, impegnando il giornalista a essere e ad apparire corretto. Fra i
vincoli figurano: 1) la libertà di informazione
e di critica (valori che fanno definire il giornalismo informazione critica) come diritto insopprimibile dei giornalisti; 2) la tutela della
persona umana e il rispetto della verità sostanziale dei fatti principi da intendere come
limiti alle libertà di informazione e di critica;
3) l’esercizio delle libertà di informazione e di
critica ancorato ai doveri imposti dalla buona
fede e dalla lealtà; 4) il dovere di promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori.
In particolare a pagina 7 il mensile pubblica,
nella rubrica “io e voi”, l’articolo del direttore
(“Principesse si diventa”) con la foto del direttore. Di lato viene specificato che la foto
del direttore è di Daniela Berruti; il cappotto
è di Antonio Marras; la collana è di Pellini; i
pantaloni di Emporio Armani; le scarpe di
Celine e la borsa di Prada. Cinzia Felicetti
conclude così il suo articolo: “A questo proposito, se non riuscite a scegliere tra due oggetti, acquistate il più prezioso. La vita è così breve (e voi valete troppo) per portare a
spazzo una borsa scadente”. Cinzia Felicetti,
come riferito, nella foto porta una borsa
Prada (con il marchio visibilissimo). In sostanza il direttore di Cosmopolitan si presenta al pubblico dei lettori come “attrice pubblicitaria” o “indossatrice”, ruolo che mal si concilia con quello che l’ordinamento giuridico
assegna a una giornalista professionista,
che è direttore di un periodico.
Cinzia Felicetti ha tenuto lo stesso comportamento nel numero di dicembre di
Cosmopolitan. A pagina 7 il mensile pubblica l’articolo del direttore dal titolo “Arriva
Wonder Woman”. Di lato viene specificato:
foto di Daniela Berruti; pull Max Mara; stola
Luciano Soprani; pantaloni Laura Biagiotti;
borsa e scarpe Tood’s; trucco Fabienne Rea
per Biotherm; pettinatura Erroi per Piero
Bastriani-L’Oreal.
LE CONCLUSIONI. Il Consiglio ha preso atto che, ricevuto l’avviso disciplinare, Cinzia
Felicetti ha interrotto prontamente i comportamenti censurabili secondo le regole deontologiche in vigore. Il Consiglio, alla luce delle affermazioni fatte da Cinzia Felicetti nell’audizione del 19 giugno, ha ritenuto superato il problema posto dall’avviso disciplinare
e dalla delibera di apertura del procedimento disciplinare, decidendo di accogliere la richiesta della difesa presentata con memoria
9 gennaio 2006 e ribadita nella seduta del 19
giugno.
PQM
il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della
Lombardia, valutati i fatti,
delibera
di archiviare il procedimento aperto nei riguardi della giornalista professionista Cinzia
Felicetti.
D I S C I P L I N A R E Franca Sozzani si dimette dal Cda
delle Edizioni Condé Nast SpA.
Procedimento disciplinare archiviato
Milano, 21 luglio 2006. Il Consiglio
dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha
archiviato il procedimento disciplinare avviato nei riguardi della giornalista professionista
Franca Sozzani, direttore responsabile della
testata Vogue Italia, consigliere d’amministrazione e direttore editoriale di Edizioni
Condé Nast SpA,
Ecco in sintesi i fatti. In data 12 ottobre
2005 il presidente del Consiglio dell’OgL, nell’ambito dei poteri attribuitigli dagli articoli 4,
5 e 6 della legge n. 241/1990, avendo la segreteria dell’ente acquisito copia del Corriere
della Sera del 28 settembre 2005, ha fatto
notificare un avviso disciplinare alla giornalista professionista Franca Sozzani (direttore
responsabile della testata Vogue Italia,
Consigliere d’amministrazione e direttore editoriale di Edizioni Condé Nast SpA), ipotizzando che la stessa abbia svolto e svolga,
come direttore editoriale della casa editrice,
funzioni in contrasto con l’autonomia della
professione giornalistica (art. 1, terzo coma,
del Cnlg) che si fonda sul rispetto delle regole fissate nell’articolo 2 della legge n.
69/1963, mentre l’articolo 1 (3° comma) della stessa legge impone ai giornalisti professionisti “di esercitare in modo esclusivo e
continuativo la professionale di giornalista”;
l’articolo 6 “di adottare le decisioni necessarie per garantire l’autonomia della testata”;
l’articolo 44 “di separare testi giornalistici e
messaggio pubblicitari”. La legge professionale detta vincoli fondamentali per l’attività
giornalistica, impegnando il giornalista a es-
sere e ad apparire corretto. Fra i vincoli, che
sono alla base anche dell’autonomia professionale dei giornalisti (articolo 1, comma 3,
del Cnlg), figurano: 1) la libertà di informazione e di critica (valori che fanno definire il
giornalismo informazione critica) come diritto insopprimibile dei giornalisti; 2) la tutela
della persona umana e il rispetto della verità
sostanziale dei fatti principi da intendere come limiti alle libertà di informazione e di critica; 3) l’esercizio delle libertà di informazione e di critica ancorato ai doveri imposti dalla buona fede e dalla lealtà; 4) il dovere di
promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori; 5) l’esercizio in modo esclusivo e continuativo della professione di giornalista.
In una intervista apparsa (a firma Gian Luigi
Paracchini) sul Corriere della Sera del 28
settembre 2005, alla domanda se fosse la
“vera testa pensante di diversi stilisti”, Franca
Sozzani ha risposto così in modo secco: “Ho
soltanto suggerito a tutti di seguire il proprio
stile ed aiutato alcuni nelle campagne pubblicitarie visto che abbiamo i migliori fra modelle e fotografi”.
Le conclusioni. In data 23 giugno 2006, l’avvocato Caterina Malavenda ha comunicato
al Consiglio che il 22 giugno Franca Sozzani,
facendo seguito alle dichiarazioni rese il 19
giugno davanti al Consiglio, aveva rassegnato le dimissioni dal ruolo di consigliere dal
CdA della Condé Nast SpA. Il Consiglio, alla
luce degli impegni assunti da Franca Sozzani
nell’audizione del 19 giugno, ha ritenuto superato il problema posto dall’avviso discipli-
Internet: grazie al web
aumenta il numero
dei lettori di quotidiani, rileva
la ‘Scarborough Research’
Roma 5 settembre 2006. Il numero di coloro che leggono il giornale su Internet, senza andare a prenderlo in
edicola, ammonta attualmente negli Stati Uniti dal 2 al
15% del totale. Lo rileva una ricerca della Scarborough
Research, specializzata nell’analisi dell’andamento dei
mercati della stampa periodica. Gli analisti americani hanno esaminato l’andamento dei quotidiani nelle 25 zone di
maggior diffusione e la ricerca ha dimostrato che i siti
web stanno procurando un considerevole aumento di pubblico ai quotidiani tradizionali.
Un caso tipico è quello del New York Times: in una settimana l’8% del totale dei lettori si informa esclusivamente
attraverso il Pc, mentre coloro che leggono sia la versione stampata che quella digitale ammontano al 22% del
totale. Tra i lettori-tipo, il 39% è formato da pubblico adulORDINE
9-10
2006
nare e dalla delibera di apertura del procedimento disciplinare, decidendo di accogliere
la richiesta della difesa presentata nella seduta del 19 giugno. Resta inteso che Franca
Sozzani dovrà fornire la documentazione circa la cessazione ufficiale dall’incarico di consigliere d’amministrazione di Condé Nast
SpA.
Pubblicata
la foto
di un
arrestato
in manette:
censurato
Paolo
Mieli
PQM
il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della
Lombardia, valutati i fatti,
delibera
di archiviare il procedimento aperto nei riguardi della giornalista professionista Franca
Sozzani.
Milano, 13 luglio 2006. Il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della
Lombardia ha sanzionato con la censura il direttore responsabile del
Corriere della Sera, Paolo Mieli, per la pubblicazione il 10 settembre
2005 di una foto di Guglielmo Gatti, accusato di aver ucciso e fatto a
pezzi gli zii lo scorso agosto, mentre in manette viene portato in tribunale.
La difesa di Mieli, rappresentata dall’avvocato Caterina Malavenda, in
sintesi si è basata sulla sua assenza dalla redazione, perché in ferie
nel periodo in questione, e sul rispetto avuto nei confronti di Gatti e
della verità processuale sia all’interno dell’articolo, a cui la foto faceva
da corredo, sia nella didascalia che commentava l’immagine incriminata. ‘’La foto in questione - sostiene, tra l’altro, Mieli nella memoria
presentata al Consiglio - è stata pubblicata a pagina 16 di un’edizione sostanzialmente estiva che, di fatto, non è stata sottoposta materialmente al mio controllo. Inoltre quella era il solo modo per documentare l’arrivo di Gatti in Tribunale, visto che l’udienza era a porte
chiuse’’. Nonostante secondo Mieli non si sia voluto ledere la dignità
di Gatti, né anticipare un giudizio di colpevolezza, il Consiglio ha deliberato di sanzionarlo con la censura. Le motivazioni del Consiglio, riportate in un comunicato, sono: il direttore non ha fornito il nome della persona che lo avrebbe sostituito nel settembre 2005; le manette
non erano essenziali ai fini di documentare l’arrivo di Gatti in tribunale; un titolo e una cronaca ‘favorevoli non annullano la pubblicazione
della foto; le responsabilità del direttore abbracciano tutto quello che
viene pubblicato sul giornale.
(ANSA)
to che accede ai siti dei giornali attraverso link di altri indirizzi o da motori di ricerca.
Per rilevare questi dati la Scabrorough ha messo a punto
un nuovo sistema di misurazione, l’Integrated Newspaper
Audience, che serve a quantificare l’audience totale dei
giornali quotidiani, oltre il mero conteggio delle copie distribuite.
“Con tutti i dati negativi che sentiamo sulla stampa quotidiana in questi giorni, questa analisi porta un soffio di positività, dimostrando che la forza combinata della pagina
stampata e di quella digitale saranno fondamentali per il
futuro dei quotidiani, non solo negli Usa” afferma Gary
Meo, vice presidente sr. di Scanborough Research. I risultati della ricerca degli analisti americani sono stati confermati da un altro studio simile condotto, sempre sulla
stampa Usa, dal Pew Research Center for People and the
Press.
Lo studio colloca il New York Times all’apice della classifica dei quotidiani più letti on line.
Bisogna però tener conto, per un giusto raffronto, che secondo le rilevazioni di comScore Media Metrix, i lettori on
line di Yahoo! News in agosto sono stati il quadruplo del
totale di quelli del New York Times.
(ANSA)
Google: col nuovo servizio
News tutte le notizie in Rete
San Francisco, 6 settembre 2006. Continuano gli sforzi di
Google per migliorare i suoi servizi di ricerca news. Il gruppo di
Mountain View annuncerà oggi infatti un nuovo servizio che permette di cercare notizie apparse sulla rete anche anni fa. Fino
ad ora, il servizio Google News permetteva di trovare in Rete solo notizie “vecchie” al massimo di un mese. Adesso, si potranno
trovare “chicche” vecchie anche di anni. Il servizio è realizzato insieme al sistema di ricerca news Factiva, creato da Dow Jones
e Reuters, mentre Google ha firmato accordi con i più importanti
gruppi editoriali e dell’intrattenimento che daranno accesso alle
loro notizie agli utenti Google. Si tratta in particolare del New York
Times, della stessa Dow Jones e del Wall Street Journal, di
Time magazine e Washington Post. Digitando un termine nella
striscia di ricerca saremo rimandati agli archivi delle testate in
questione. Le quali offriranno poi (gratis o a pagamento, secondo la loro policy aziendale) l’accesso all’informazione che interessa. Google non avrà comunque alcuna commissione per
questo servizio. I guadagni del nuovo “News” arriveranno dall’aumento delle presenze sul sito, e dunque da maggiori introiti
pubblicitari.
13
P
R
O
F
E
S
S
I
O
N
I
Fabio Mussi ritira
il “Dpr Siliquini”, ma
annuncia alla Camera
che recupererà le regole
europee (laurea almeno
triennale per l’accesso).
Questa volta è la rivincita
dei giornalisti sugli editori
che dal 1928 “governano”
le redazioni dei quotidiani
1. Premessa. Mussi ritira il “Dpr Moratti/Siliquini”. Accesso agli Ordini professionali:
“Una materia sulla quale deve logicamente far
premio il recepimento della Direttiva comunitaria sulle qualifiche professionali superiori”.
Il ministro dell’Università, Fabio Mussi, su invito della Corte
della Conti, ha ritirato il “DpR Moratti/Siliquini” (uno degli ultimi atti firmati dal presidente Carlo Azeglio Ciampi), che
avrebbe dovuto disciplinare gli esami di Stato per l’accesso
alle professioni di dottore agronomo e dottore forestale, agrotecnico e agrotecnico laureato, architetto, pianificatore paesaggista e conservatore, assistente sociale, attuario, biologo, chimico, farmacista, geologo, ingegnere, psicologo, tecnologo alimentare e veterinario, consulente del lavoro, geometra e geometra laureato, giornalista, perito agrario e perito agrario laureato, perito industriale e perito industriale laureato nonché per l’abilitazione nelle discipline statistiche. Per
quanto riguarda l e professioni di consulente del lavoro, geometra e geometra laureato, giornalista, perito agrario e peri-
Contributi
all’editoria:
tagli per un
milione nel
2006,
50 milioni
nel 2007
e nel 2008
14
to agrario laureato, perito industriale e perito industriale laureato, il Dpr prevedeva la doppia via (diploma e laurea),
mentre nella versione originaria del 22 dicembre 2005 stabiliva soltanto il possesso della laurea.
Fabio Mussi, nell’audizione del 4 luglio 2006 davanti alla VII
Commissione della Camera ha dichiarato: “Ci sono anche
stati rilievi degli organi giurisdizionali sul decreto
Moratti relativo alle abilitazioni e all’accesso agli ordini
professionali: una materia sulla quale deve logicamente
far premio il recepimento della Direttiva Comunitaria
sulle qualifiche professionali superiori. La Corte dei
Conti, visto il ritiro del decreto sulle classi di laurea, ci
ha invitati al ritiro anche di questo”. La Direttiva
Comunitaria sulle qualifiche professionali superiori è la numero 89/48/CEE del 21 dicembre 1988 “relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione
superiore che sanzionano formazioni professionali di una
durata minima di tre anni”. La direttiva 89/48/CEE, recepita
con il Dlgs 115/1992, ha introdotto (con l’articolo 2/bis del
dlgs 115/1992) la definizione di professione “regolamentata”.
Si definisce formazione regolamentata “qualsiasi formazione
direttamente orientata all'esercizio di una determinata pro-
Roma, 5 luglio 2006. I tagli al settore dell’editoria ammonteranno alla cifra di un milione per il 2006 e a 50 milioni di euro per il 2007 e 2008: lo ha spiegato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per il
settore, Riccardo Franco Levi, aprendo con questa precisazione la sua audizione in Commissione Cultura alla
Camera.
“Voglio mettere a punto - ha esordito Levi - una notizia circolata nelle ultime ore e riferita alle cronache del Consiglio
dei ministri di venerdì scorso.
Nel dettaglio dei provvedimenti decisi dal Governo si era
parlato di tagli ai contributi per l’editoria da 80 milioni per
ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008. In realtà - ha precisato - si trattava della prima bozza del testo entrato in
Consiglio dei ministri”.
Dopo la discussione sul testo, “abbiamo preso atto - ha
spiegato Levi - della necessità di contribuire al riequilibrio
dei conti pubblici alla quale non può sottrarsi anche il
Dipartimento per l’editoria, ma abbiamo rimodulato i tagli:
non ci sarà nessun intervento per il 2006, se non quello
simbolico da un milione di euro, perché si tratta di un provvedimento di spesa triennale che ha bisogno di una voce
anche per il primo anno, mentre per il 2007 e 2008 le minori spese ammonteranno non a 80, ma a 50 milioni di euro”.
Il sottosegretario ha spiegato anche che i tagli investiranno “non solo la voce dei contributi diretti, ma il complesso
delle provvidenze all’editoria che corrispondono a circa
500 milioni. Si tratta di uno sforzo ancora significativo, ma
sopportabile”.
(ANSA)
Sole 24 Ore:
accordo
per
l’acquisizione
di Editoriale
Gpp
fessione e consistente in un ciclo di studi post-secondari di
durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a
tempo parziale in un’università o in un altro istituto di livello
di formazione equivalente e, se del caso, nella formazione
professionale, nel tirocinio o nella pratica professionale richiesti oltre il ciclo di studi post-secondari: la struttura e il livello di formazione professionale, del tirocinio o della pratica professionale devono essere stabiliti dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro
interessato o soggetti al controllo o all'autorizzazione dell'autorità designata a tal fine”.
La direttiva in conclusione ha fissato il principio per cui l’esercizio delle professioni presuppone il superamento di un
ciclo di studi postsecondari di una durata minima di tre anni
o di durata equivalente a tempo parziale, in una università o
in un istituto di istruzione superiore o in altro istituto dello
stesso livello di formazione. I principi fissati dalla direttiva
89/48/CEE sono stati realizzati dalla Repubblica Italiana con
la Riforma universitaria 1999/2000/2005 e con il contestuale collegamento (tramite il comma 18 dell’articolo 1 della
legge 4/1999) delle lauree (triennali) e delle lauree biennali
specialistiche (o magistrali) alle professioni regolamentate
organizzate con l’Ordine (o con il Collegio) e con l’esame di
Stato. Tra le professioni regolamentate rientra quella di giornalista (ex legge n. 69/1963, sentenze nn. 11 e 98/1968;
2/1971; 71/1991; 505/1995 e 38/1997 della Corte
Costituzionale) alla quale si accede tramite esame di Stato
al pari delle altre.
La Repubblica Italiana ha recepito in maniera inadeguata,
discriminatoria e parziale la direttiva n. 89/48/CEE, non includendo (al pari delle altre) la professione giornalistica
nell’Allegato A del Dlgs n. 115/1992, pur in presenza dell’allora Diploma triennale universitario (o laurea breve)
in Giornalismo (decreto 31 ottobre 1991 noto come “riforma Salvini”). La Repubblica Italiana, pur avendone la facoltà
in base all’articolo 11 (punto 1a) del Dlgs n. 115/1992, non
ha modificato o integrato (“con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri”) detto Allegato A, “tenuto conto delle
disposizioni vigenti o sopravvenute”, abrogando i commi 4,
5, 6 e 7 dell’articolo 33 della legge n. 69/1963, i quali non
stabiliscono alcun percorso formativo universitario minimo
per chi intende accedere alla professione giornalistica.
Solo nel 2003, con il dlgs 277, la Repubblica italiana ha compiuto un atto di riparazione parziale, modificando la tabella
delle professioni (allegato C) inclusa nel dlgs 319/1994 (che
ingloba la direttiva 92/51/CEE). Oggi, infatti, la professione
di giornalista rientra tra quelle caratterizzate dal possesso
del diploma (e non dalla laurea) riconosciute come tali dal
dlgs 2 maggio 1994 n. 319, che ha dato “attuazione alla direttiva 92/51/CEE relativa ad un secondo sistema generale
di riconoscimento della formazione professionale che integra la direttiva 89/48/CEE”. Il dlgs 8 luglio 2003 n. 277 ha dato, invece, attuazione della direttiva 2001/19/CE, che modifica le direttive del Consiglio relative al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali. L’allegato II (di
cui all'art. 2, comma 1, lettera l) del dlgs 277/2003 cita
espressamente la professione di giornalista come vigilata
dal ministero della Giustizia. L’allegato II del dlgs 277/2003
ha anche sostituito, come riferito, l’allegato C del dlgs
319/1994. I dlgs 277/2003 e 319/1994 in sostanza dicono,
con l’allegato II (ex allegato C), che la professione giornalistica (italiana), organizzata (ex legge 69/1963) con l’Ordine
e l’Albo (in base all’art. 2229 Cc) e costituzionalmente legittima (sentenze 11 e 98/1968, 2/1971, 71/1991, 505/1995 e
38/1997 della Consulta), ha oggi sì il riconoscimento
dell’Unione europea, ma a un livello inferiore rispetto a quelle comprese nell’allegato A del Dlgs 115/1992 caratterizzate dalla laurea. Ora Mussi intende correggere questa stortura con una norma regolamentare semplice in base alla quale i praticanti giornalisti all’atto della iscrizione nel Registro
dovranno possedere una laurea triennale.
La sentenza della quarta sezione della Corte di giustizia eu-
Milano, 8 set. (Apcom) - Il Sole 24 Ore ha siglato un accordo con Wise, società di gestione del Fondo Wise Equity, per
l’acquisizione dell’intero pacchetto azionario di Editoriale
Gpp.
Lo comuica in una nota il gruppo del quotidiano di
Confindustria.
L’operazione, attualmente sottoposta all’approvazione
dell’Antitrust, consentirà la creazione del primo operatore nazionale nel settore dell’editoria specializzata business to business con un fatturato di circa 80 milioni di euro e un portafoglio prodotti multimediale e multisettore ampio ed articolato. Il perfezionamento dell’accordo avverrà nell’aprile del
prossimo anno con l’approvazione del bilancio 2006. Le attività di Gpp saranno inserite nell’ambito dell’Area professionisti de Il Sole 24 Ore.
Il Sole 24 Ore è già presente in alcuni tra i segmenti tipici dell’editoria di settore con prodotti propri, grazie all’acquisizione
di Edagricole e all’accordo con Federico Motta Editore che ha
portato alla costituzione della nuova società editoriale Motta
Architettura. Gpp, azienda editoriale con un fatturato 2005 di
oltre 45 milioni di euro opera nei settori Ho.Re.Ca. (Hotel,
Restaurant e Catering), retail, ict (Informatica, Broadcasting
ed Elettronica), edilizia e architettura. Il portafoglio di Gpp è
costituito principalmente da periodici e può contare su oltre
70 testate.
“Con l’acquisizione di Gpp - osserva l’amministratore delegato de Il Sole 24 Ore Claudio Calabi - si consolida la posizione di leadership del Sole 24 Ore nella fornitura di servizi editoriali, formativi, software e di comunicazione a contenuto
tecnico, normativo e scientifico destinati al mondo delle professioni, delle imprese e della pubblica amministrazione”.
ORDINE
9-10
2006
ropea del 10 maggio 2001 - (nella causa C-285/00 contro la
Repubblica francese, che non aveva adottato la normativa
europea per il riconoscimento della professione di psicologo)
- afferma che “la direttiva 89/48/CEE va applicata alle professioni regolamentate, cioè a quelle per le quali l’accesso o
l’esercizio sono subordinati, direttamente o indirettamente,
mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di un diploma universitario della durata
minima di tre anni”. L’Europa, quindi, vuole che i professionisti, compresi i giornalisti italiani organizzati con l’Ordine, abbiano almeno una laurea triennale.
“La giurisprudenza costituzionale ha avuto più volte occasione di precisare che la norma dell’art. 33 Cost. reca in sé un
principio di professionalità specifica. Essa, cioè, richiede che
l’esercizio di attività professionali rivolte al pubblico avvenga
in base a conoscenze sufficientemente approfondite e ad
un correlato sistema di controlli preventivi e successivi di tali conoscenze, per tutelare l’affidamento della collettività in ordine alle capacità di professionisti le cui prestazioni incidono
in modo particolare su valori fondamentali della persona: salute, sicurezza, diritti di difesa, etc. (C.Cost., 23 dicembre
1993, n. 456; 26 gennaio 1990, n. 29)” (parere n. 448/2001
della Sezione Seconda del Consiglio di Stato emesso nell’adunanza 13 marzo 2002).
Sono mutati i requisiti culturali per l’esercizio delle professioni nell’ambito dei Paesi Ue e, quindi, gli aspiranti giornalisti
professionisti italiani non possono essere discriminati (con
violazione dell’art. 3 Cost.) rispetto agli altri aspiranti professionisti italiani e a quelli europei sotto il profilo della preparazione universitaria minima di tre anni. “Il titolo di studio
precede la maturazione professionale” (Corte Cost., 27 luglio 1995, n. 412, a proposito della professione di psicologo).
2. Il comma 18 dell’articolo 1 della legge n.
4/1999 (voluta dal governo D’Alema rispettoso
della direttiva 89/48/Cee) conferisce al ministero dell’Università, di concerto con quello
della Giustizia, il compito di “integrare e modificare” con regolamento gli attuali ordinamenti sull’accesso alla professioni e di raccordarli con le lauree triennali e con le lauree specialistiche biennali.
Il Dlgs n. 300/1999 affida al ministero della Giustizia la vigilanza sugli Ordini professionali e al ministero dell’Università
la “missione” di formare i nuovi professionisti. Il comma 18
dell’articolo 1 della legge n. 4/1999 (voluta dal governo
D’Alema rispettoso della direttiva 89/48/Cee) conferisce al
ministero dell’Università, di concerto con quello della
Giustizia, il compito di “integrare e modificare” con regolamento gli attuali ordinamenti sull’accesso alla professioni e
di raccordarli con le lauree triennali e con le lauree specialistiche biennali. Il regolamento (Dpr n. 328/2001) disciplina
la maggioranza delle professioni intellettuali, ma trascura
quelle dei giornalisti e dei consulenti del lavoro.
La base legislativa del regolamento risiede appunto nell’art.
1, comma 18, della legge n. 4 del 1999, ai sensi del quale
“Con uno o più regolamenti adottati, a norma dell’articolo
17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e
tecnologica, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia,
sentiti gli organi direttivi degli ordini professionali, con esclusivo riferimento alle attività professionali per il cui esercizio
la normativa vigente già prevede l’obbligo di superamento
di un esame di Stato, è modificata e integrata la disciplina
del relativo ordinamento, dei connessi albi, ordini o collegi,
nonché dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e
Rtl 102.5:
compie 15
anni la prima
redazione
“privata”
ORDINE
9-10
2006
delle relative prove, in conformità ai seguenti criteri direttivi:
a) determinazione dell’ambito consentito di attività professionale ai titolari di diploma universitario e ai possessori dei
titoli istituiti in applicazione dell’articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni;
b) eventuale istituzione di apposite sezioni degli albi, ordini
o collegi in relazione agli ambiti di cui alla lettera a), indicando i necessari raccordi con la più generale organizzazione dei predetti albi, ordini o collegi;
c) coerenza dei requisiti di ammissione e delle prove degli
esami di Stato con quanto disposto ai sensi della lettera a)”.
Con riferimento all’ambito della potestà regolamentare dei
Ministeri dell’Università e della Giustizia, si ritiene, - come
ha più volte osservato l’Ufficio legislativo del Ministero
dell’Università -, che la disposizione dell’art. 1, comma 18,
della legge n. 4 del 1999, non debba essere intesa con riferimento alle sole professioni per le quali è già richiesto il
diploma di laurea dalle disposizioni vigenti. La predetta norma, infatti, attribuisce la potestà regolamentare con riferimento a tutte le professioni “per il cui esercizio la normativa vigente già prevede l’obbligo del superamento di un esame di Stato”; l’oggetto della norma di delegificazione è pertanto costituito dalla disciplina delle professioni per le quali
è previsto l’esame di Stato, mentre le disposizioni contenute nelle lett. a), b) e c) costituiscono principi e criteri direttivi per l’esercizio della potestà regolamentare stessa. Tale
interpretazione della norma in questione è del resto confermata dal parere facoltativo reso dal Consiglio di Stato
nell’Adunanza della sezione seconda il 13 marzo 2002, n.
448/2001, proprio con riferimento alla possibilità di includere la professione di giornalista nella citata disciplina regolamentare; in tale parere si afferma la natura di esame di
Stato della prova di idoneità prevista per l’accesso alla professione di giornalista e si conclude per l’insussistenza di
motivi ostativi alla riforma dell’ordinamento professionale
dei giornalisti ai sensi dell’art. 1, comma 18, della legge n.
4 del 1999. Una pronuncia, questa, che correggeva la miopia della “Commissioni Rossi”, che aveva escluso la professione di giornalista dal Dpr 328/2001. Va detto anche che
dal combinato disposto degli artt. 33, quinto comma, e 117,
terzo e sesto comma, della Costituzione, discende la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di esami
di Stato per l’abilitazione alle professioni, e la connessa potestà regolamentare.
damento del pubblico; la rilevanza civile e penale dei Titoli
professionali e il riconoscimento e l’equipollenza, ai fini dell’accesso alle professioni di quelli conseguiti all’estero”.
L’Ufficio legislativo del Ministero dell’Università a ragione “ritiene di poter trarre il definitivo riconoscimento che la disciplina dell’esame di Stato richiesto per le professioni intellettuali e dei relativi requisiti di ammissione, compresi i Titoli
di studio, rientra nell’ambito della legislazione esclusiva dello Stato”. Le materie, di cui parla il comma 4 dell’articolo 1
del dlgs, sono tutte disciplinate dagli articoli 33 e 35 della
Costituzione, dal dlgs 300/1999, dall’articolo 2229 del Cc,
dal Codice penale e dalle varie leggi delle professioni intellettuali, insomma da norme che conferiscono allo Stato una
particolare capacità esclusiva di azione.
In sostanza il “dlgs La Loggia” afferma che il Governo ha
mantenuto, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, i
poteri di disciplinare le professioni, come riconosciuto ripetutamente, dopo l’entrata in vigore nel 2001 del nuovo Titolo
V della Costituzione, dalla Corte costituzionale con le sentenze 353/2003, 319/2005, 355/2005, 405/2005, 424/2005,
40/2006 e 153/2006. Va detto che l’articolo 33 (quinto comma) della Costituzione conferisce il potere esclusivo allo
Stato di legiferare in tema di “esame di Stato” per l’accesso
alle professioni intellettuali: “... Innanzitutto dobbiamo leggere la Costituzione nel suo complesso, dove c’è ancora la norma che dice che per l’esercizio dell'attività
professionale occorre l’esame di Stato (art. 33 Cost.):
“È prescritto un esame di Stato... per l’abilitazione all’esercizio professionale”. Quindi tutto ciò che attiene
allo status del professionista e delle libere professioni
è riconducibile all’articolo 33 della Costituzione, il quale parla di esame di Stato... una volta recuperato l'art.
33 che in effetti vuol dire che lo status delle professioni continua a rimanere nelle mani dello Stato, la devoluzione della materia “professione” alle Regioni può
avere il significato di affidare alle Regioni la disciplina
delle specificità delle professioni nelle realtà locali” (intervento conclusivo del prof. Vincenzo Caianiello-presidente emerito della Corte costituzionale, ”L’inserimento delle
professioni nel titolo V della Costituzione”, in Atti del
Convegno nazionale “Quale federalismo per le professioni”
del 18 marzo 2002 in Codroipo-Ud, promosso dal Cup del
Friuli Venezia Giulia). Vincenzo Caianiello, con lungimiranza, ha anticipato le sette sentenze della Corte costituzionale, che dal 2003 al 2006 oggi hanno affermato, con grande
coerenza, la competenza esclusiva dello Stato sulle professioni intellettuali.
3. Il “dlgs La Loggia” afferma che il Governo
ha mantenuto, dopo la riforma del Titolo V
della Costituzione, i poteri di disciplinare le
professioni, come riconosciuto ripetutamente
dalla Corte costituzionale con le sentenze
353/2003, 319/2005, 355/2005, 405/2005,
424/2005, 40/2006 e 153/2006.
4. Gli editori rivendicano il “diritto di assumere come giornalisti tutti coloro che, a proprio
discrezionale giudizio, ritengono di avviare all’attività di informazione”.
Questo contesto è stato rafforzato dal “dlgs La Loggia”
30/2006 il quale “individua i principi fondamentali in materia
di professioni, di cui all'articolo 117, terzo comma, della
Costituzione, che si desumono dalle leggi vigenti ai sensi
dell’articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131,
e successive modificazioni”.
Il comma 4 dell’articolo 1 del dlgs dispone testualmente che
non rientrano nell’ambito di applicazione del decreto “la formazione professionale universitaria; la disciplina dell’esame
di stato previsto per l’esercizio delle professioni intellettuali,
nonché i Titoli, compreso il tirocinio, e le abilitazioni richiesti per l’esercizio professionale; l’ordinamento e l’organizzazione degli ordini e dei collegi professionali; gli albi e i registri; gli elenchi o i ruoli nazionali previsti a tutela dell’affi-
Roma, 31 agosto 2006 - Compie quindici anni la redazione di Rtl 102.5: è stata la prima struttura giornalistica della radiofonia nazionale privata italiana. Era la fine di agosto
del 1991 e l’allora direttore Fabio Santini inaugurò la prima
edizione del giornale radio, alla mezzanotte in punto.
Da quel giorno, sotto la guida di Roberto Arditti prima e dell’attuale direttore Luigi Tornari poi, la redazione ha prodotto ben 131.500 edizioni delle news, con il contributo di oltre 140 giornalisti, tra professionisti che lavorano nelle redazioni di Milano e Roma, corrispondenti e collaboratori
dall’Italia e dal mondo.
Le principali sedi di corrispondenza sono New York, Mosca,
Parigi, Londra, Bruxelles e Berlino. In questi anni, la redazione di Rtl 102.5 ha raccontato tutti i principali avvenimenti
che hanno segnato la storia del mondo, alcuni anche con
lunghissime dirette, come è avvenuto in occasione dell’11
settembre con 72 ore consecutive di diretta dalle sedi di
Roma, New York e Milano, o negli ultimi giorni di vita di
Papa Giovanni Paolo II.
Quella di Rtl 102.5 è stata anche la prima redazione giornalistica di una radio privata a raccontare in diretta le partite della nazionale italiana di calcio (Europei 2004) e la finale di Champions League (2005), fino a produrre degli
“Special” in diretta per raccontare il recente trionfo dell’Italia
ai mondiali. Ha raccontato in diretta con i suoi inviati Giri
d’Italia, Mondiali di sci, Olimpiadi. In occasione delle
Olimpiadi invernali di Torino 2006 ha mobilitato gran parte
della redazione.
Ogni giorno la redazione produce, in diretta 24 ore su 24,
il “Giornale Orario”, il notiziario in onda allo scoccare di
ogni ora. Tutti i giorni dal lunedì al venerdì, alle ore 13 va
Gli editori organizzati dalla Fieg negano l’esistenza di una
professione di giornalista e non accettano il collegamento
dell’esame di Stato dei giornalisti alle lauree universitarie,
perché ciò intaccherebbe “il diritto alla libertà di organizzazione delle imprese editoriali” (art. 41 Cost.) e nel contempo limiterebbe “il diritto costituzionale di tutti i cittadini ad accedere, indipendentemente dal titolo di studio posseduto,
alla professione giornalistica” (avv. Giancarlo Zingoni, vicedirettore Fieg, convegno di Verona 31 maggio 2002). Gli
editori rivendicano il “diritto di assumere come giornalisti
tutti coloro che, a proprio discrezionale giudizio, ritengono
di avviare all’attività di informazione”, dimenticando che nell’ultimo decennio i laureati praticanti sono circa il 75% di
quelli che hanno sostenuto l’esame di Stato. Gli editori vogliono “fare” i giornalisti come se nulla fosse accaduto risegue
in onda, in coda al notiziario, un’appendice di un minuto di
notizie in lingua inglese. La redazione si occupa anche di
tutte le trasmissioni di approfondimento giornalistico: “Non
stop news”, in onda ogni mattina dalle 6 alle 9; “Password”,
in onda dal lunedì al venerdì, dalle 17 alle 19. Ogni domenica mattina, dalle 9 alle 11 va in onda “L’indignato speciale”, trasmissione di approfondimento giornalistico che
ospita in studio i protagonisti della politica, dello sport e
dello spettacolo. Molto spazio allo sport: ogni domenica
“Mai visto alla radio”, dalle 14 alle 17, collega tutti i campi di calcio della serie A per gli aggiornamenti in diretta sui
risultati delle gare e tratta di tutti i più importanti argomenti
sportivi della giornata. Ogni giorno, su Rtl 102.5 circa 180
minuti sono dedicati all’informazione.
(ANSA)
Time, meno
specchio
e più faro
dei tempi
New York, 4 settembre - Un nuovo timoniere fa cambiare rotta a Time: il settimanale diventerà più analitico sotto
il nuovo direttore Richard Stengel.
Stengel ha annunciato al New York Times il mutamento di
linea: “Siamo stati tradizionalmente uno specchio dei tempi, ora cercheremo di diventare un faro, una lampada che
illumina quanto sta accadendo”, ha detto Stengel.
L’obiettivo è di riempire le pagine del giornale con più saggi, analisi opinioni di quanto non sia accaduto finora. Per
Time è una rincorsa a Newsweek, l’arci-rivale sul fronte
dei news-magazine, che ha già un parco di grandi firme
come George Will, Anna Quindlen e Fareed Zakaria.
(ANSA)
15
P
R
O
F
E
S
S
I
O
N
I Fabio Mussi ritira
segue da pagina 15
spetto al Regio decreto (Rd) n. 384/1928 e alla stessa legge n. 69/1963, che davano e danno soltanto agli editori
stessi il potere di “creare” i praticanti giornalisti. Eppure con
il Rd n. 2291/1929 il monopolio degli editori di “fare” i giornalisti” era stato spezzato: quest’ultimo Rd prevedeva la nascita di una scuola professionale per giornalisti sostitutiva
del praticantato tradizionale. La scuola – che, aperta a
Roma, durò 4 anni dal 1930 al 1933 – ospitava per sei mesi anche gli studenti universitari, che frequentavano il corso di laurea in Scienze politiche a indirizzo giornalistico
dell’Università di Perugia: costoro, conseguita la laurea,
avevano la facoltà di iscriversi nell’elenco professionisti
dell’Albo.
L’impostazione degli editori trova, comunque, una barriera
insuperabile in alcune sentenze della Corte costituzionale
(11/68; 2/1971; 71/1991, 505/1995 e 38/1997). “Rientra
nella discrezionalità del legislatore ordinario – si legge nella sentenza 38/1997 della Corte costituzionale – determinare le professioni intellettuali per l'esercizio dle quali è opportuna l'istituzione di ordini o collegi e la necessaria iscrizione in appositi albi o elenchi ( art. 2229 cod. civ.)”. Non
solo. L’articolo 41 della Costituzione, nel proclamare che
“l’iniziativa economica privata è libera”, afferma che essa
“non può svolgersi ... in modo da recare danno... alla... dignità umana”. La posizione degli editori offende la dignità
dei giornalisti italiani (ai quali la Fieg nega assurdamente, - in violazione degli articoli 2, 3, 4, 34 e 35 della
Costituzione -, il diritto all’istruzione universitaria) e nei
fatti punta a sconfessare il principio elaborato dall’ordinamento giuridico comunitario (con la direttiva 89/48/Cee)
secondo il quale i professionisti “regolamentati” debbano
avere una formazione universitaria minima di 3 anni.
Questa direttiva fa da sfondo al Dpr n. 328/2001, che collega (in base all’articolo 1, comma 18, della legge n.
4/1999) l’esame di stato delle singole professioni intellettuali alle lauree della riforma universitaria. Il “nuovo” Dpr
328, che scriverà il ministro Mussi, sanerà una discrasia
tra Ordine dei giornalisti e normativa comunitaria in tema
di accesso, mandando in soffitta le restrizioni attuali.
Oggi, come riferito, sono gli editori che decidono chi entra nella professione giornalistica come praticante, prescindendo dal titolo di studio. La normativa professionale
del 1963 (legge 69) ferisce i principi costituzionali della dignità della persona e dell’uguaglianza, quando assegna
agli editori il potere esclusivo di manipolare, con scelte incontrollabili, il diritto costituzionale al lavoro professionale dei giornalisti. Con il passaggio dell’accesso
all’Università, viene superato un sistema medioevale di
selezione paternalistica e per giunta fortemente antidemocratico. L’Università, invece, aprendo le porte a tutti, è
la via maestra della formazione dei “nuovi” giornalisti.
La posizione degli editori va combattuta in maniera radicale con un forte impianto giuridico: sul piano della
Costituzione (artt. 2, 3, 21, 33 e 41), delle sentenze della
Corte costituzionale (11/1968; 2/1971; 71/1971;
389/1989; 505/1995 e 38/1997); della direttiva comunitaria 89/48/Ce (recepita nel dlgs n. 115/1992); della sentenza della quarta sezione della Corte di giustizia europea del 10 maggio 2001 (causa C-285/00 contro la
Repubblica francese); del dlgs 300/1999 (art. 50); delle
leggi (4/1999, art. 1, comma 18); del parere del Consiglio
di Stato 448/2001.
La finalità della legge 4/1999 (art. 1, comma 18) è quella
di adeguare i contenuti dell’attività professionale e del relativo esame di Stato all’evoluzione normativa dell’ordinamento degli studi universitari, avviata dall’art.17, comma
95, dalla legge n. 127/1997, al quale, appunto, la legge n.
4/1999 ha apportato modificazioni.
Con specifico riferimento, poi, alla professione giornalistica la Corte costituzionale ebbe a chiarire (sentenze
11/1968 e 38/1997) che l’Ordine professionale dei giornalisti “ha il compito di salvaguardare erga omnes e nell’interesse della collettività la dignità professionale e la libertà di informazione e di critica dei propri iscritti; il predetto Ordine non si pone pertanto in contrasto con i principi di libera manifestazione del pensiero, chiunque potendo scrivere per e su pubblicazioni di natura giornalistica, senza avere il titolo di giornalista”. “Con ciò la Corte
ha ribadito la distinzione tra giornalista munito di una specifica e verificata capacità di informazione e coloro che
sono legittimati a scrivere sugli organi di informazione
senza avere quella specifica capacità debitamente verificata e dichiarata” (parere II sezione Consiglio di Stato n.
448/2001). In breve l’Ordine dei giornalisti è l’ente che organizza i cittadini i quali manifestano il pensiero per professione. Sempre a proposito della professione giornalistica, la stessa Corte costituzionale precisò che “l’Ordine
professionale dei giornalisti è (al pari degli altri ordini e
Collegi professionali), ente pubblico non economico che
emette provvedimenti costitutivi del particolare status professionale di giornalista, al fine di perseguire fini di interesse generale, che superano di gran lunga la tutela sindacale dei diritti della categoria nel rapporto di lavoro subordinato con l’impresa giornalistica” [C. Cost., 8 febbraio 1991,
Radio 24: più
ascoltatori
e tante novità.
Santalmassi:
siamo
in trattative
con Sposini
16
il “Dpr Siliquini”, ma
annuncia alla Camera
che recupererà le regole
europee (laurea almeno
triennale per l’accesso).
Questa volta è la rivincita
dei giornalisti sugli editori
che dal 1928 “governano”
le redazioni dei quotidiani
n. 71; che richiamò la precedente sentenza n. 11 del 1968].
“Non è dubitabile che l’attività giornalistica costituisca “esercizio professionale” come previsto dall’art. 33, comma 5,
Cost. Essa, infatti, anche se svolta nella forma di lavoro dipendente, rientra nella previsione delle “professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi”, di cui all’art. 2229 cod. civ. Tale professione è infatti subordinata all’iscrizione nell’albo dei giornalisti istituito, come detto, dalla legge n. 69/1963” (parere II sezione Consiglio di Stato n. 448/2001).
“La natura professionale dell’attività giornalistica trova,
d’altronde, conforto dal combinato dispositivo dall’art.
1, comma 3, e dall’art. 2 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n.
115 (Attuazione della direttiva n. 89/48/CEE relativa ad
un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di
istruzione che sanzionano formazioni professionali di
una durata minima di tre anni) e nel decreto MURST del
28 novembre 2000.
“La prima fonte ha fissato il principio per cui l’esercizio
delle professioni presuppone il superamento di un ciclo
di studi postsecondari di una durata minima di tre anni
o di durata equivalente a tempo parziale, in una università o in un istituto di istruzione superiore o in altro istituto dello stesso livello di formazione.
“La seconda, emanata in attuazione dell’art. 4, comma 2,
del D.M. n. 509 del 3 novembre 1999 sull’autonomia didattica degli atenei, nel determinare le classi delle lauree specialistiche (il diploma di laurea di una volta) ha
MILANO, 7 settembre 2006. La formula “informazione e
passione” ha funzionato se è vero che Radio 24, l’emittente
del Sole 24 Ore, ha fatto registrare un aumento del 12,8% di
ascoltatori nel primo semestre dell’anno, con una media settimanale di quasi 1,8 milioni al giorno e con picchi di oltre 2.
I dati sono stati resi noti oggi dall’amministratore delegato
Roberta Lai, insieme con il direttore Giancarlo Santalmassi
che ha presentato le tante novità del palinsesto autunnale, al
via da lunedì prossimo. Si continua con la filosofia di un
network “news and talk”, ma alla parola e alla riflessione - è
stato spiegato - si rafforzano la contaminazione musicale, l’attenzione al mondo dell’immigrazione, ai cambiamenti dell’
Italia, alla storia e allo sport. Sottintesa è la continua innovazione e la ricerca di format e programmi che possano rispondere sempre di più ai target di chi ama la radio.
Non è ancora certo, invece, l’arrivo di Lamberto Sposini, l’ex
vicedirettore del Tg5: “Siamo in trattative per averlo a ‘Viva
voce’- ha spiegato Santalmassi - perché lui sta vagliando anche altre proposte e quindi preferiamo aspettare che abbia
definito gli impegni. È un giornalista di talento e gli sono grato per aver accettato la prospettiva di venire con noi”. La gran
parte dei programmi esordienti sono concentrati nel grande
contenitore “Domenica 24”, condotto, dalle 9 alle 15, da
Giampaolo Musumeci e Emanuela Pesando. All’interno, si
susseguiranno “Sua Eccellenza” di Giuliano da Empoli, “Il
taccuino del dottor Agro’’ di Domenico Cacopardo, ‘Obbligo
di frequenza” di Maria Piera Ceci, quindi “Viaggio in Italia” di
Gigi Donelli, una sorta di confronto sulla realtà di oggi rispetto al famoso libro-resoconto di Guido Piovene. E poi “Un
libro tira l’altro” di Salvatore Carrubba, “Formichine” di Paolo
Messa sulla cultura politica ed “Era mio padre” di Anna
Migliorati e ancora, a chiudere, “Strega e madonna” sulla
pubblicità. Dalle 15 alle 17 spazio allo sport, prima con “Il
Navigatore” condotto da Francesca Francone Maitreya e
Daniela De Pedrini, e dopo con “A tempo di sport” con Carlo
Genta. Completano le novità “Storia, storielle e storiacce”
raccontate da Daniele Biacchessi, Annarita D’Ambrosio e
Raffaella Calandra. Il sabato sono due le trasmissioni inedite: “Il volto e l’anima”, in onda dalle 13 alle 14, presentato da
Ricardo Augusto Moro e Filippo di Giacomo, in cui si dibatte fra cura del fisico e della personalità interiore, e “Viaggio
in Italia” (21-21,30). Dal lunedì al venerdì il ruolo di new-entry spetta a “I magnifici” (dalle 15 alle 16 con replica alle 22),
una serie di reportage sui grandi personaggi del secolo scorso, in particolare nel campo musicale, e all’appuntamento di
“Vedo, Leggo, Ascolto”, prima mandato in onda a spezzoni
dopo i giornali-radio e, poi, unitariamente alle 23,45. In particolare nella sezione “Ascolto” vi saranno informazioni e storie sui cittadini extracomunitari.
Anche l’informazione del mattino viene rinforzata, con i Gr
economia e sport e con la nuova rubrica “I furbetti del quartierino” (alle 7,15) curata dallo stesso Santalmassi. La fase
di collaudo dell’allungamento d’orario di “Essere e benessere” ha dato buona prova, e quindi il seguito programma di
Nicoletta Carbone resterà di 60 minuti, dalle 12 alle 13.
(ANSA).
ORDINE
9-10
2006
individuato all’allegato 13 la classe 13/S, intitolata “editoria, comunicazione multimediale e giornalismo”, indicandone le relative materie d’esame (“attività formative”).
“L’attività giornalistica si configura, dunque, vieppiù oggi come professione in relazione all’aumentato bagaglio
culturale specifico per il suo espletamento: bagaglio in
relazione al quale appare obsoleto – e dunque suscettibile di revisione normativa secondo l’intento legislativo
della legge n. 4/1999 – il contenuto delle prove d’idoneità
come oggi configurato dall’art. 32 della L. n. 69/1963 e
dall’art. 44 del DPR n. 115/1965. Infatti, mutati i requisiti
culturali per l’esercizio di una professione, l’accertamento dell’idoneità professionale non può prescindere
da essi, tenuto conto che “il titolo di studio precede la
maturazione professionale” (C. Cost., 27 luglio 1995, n.
412, a proposito della professione di psicologico).
“In tale mutato contesto dell’ordinamento universitario
la riforma dell’esame per giornalista appare oltretutto
quantomeno opportuna, in quanto risponderebbe alla
finalità di adeguamento perseguite dalla legge n. 4/1999,
di cui si è fatto cenno all’inizio.
“D’altra parte, nella giurisprudenza costituzionale non si
è mai dubitato che anche quello di giornalista, al pari di
altre professioni (come ad es. gli avvocati, gli ingegneri,
i geometri, etc.) costituisce un ordinamento speciale,
con le conseguenti caratteristiche comuni, tra cui quella dell’accesso mediante selezione rigorosa ed oggettiva (C. Cost., 14 dicembre 1995, n. 505, relativa al procedimento penale dei giornalisti)” (parere II sezione
Consiglio di Stato n. 448/2001).
5. La professione giornalistica, come quella
degli avvocati e dei medici, è nella Costituzione.
L’Antitrust, sbagliando, ha affermato che soltanto la professione degli avvocati e quella dei medici sono nella
Costituzione (con riferimento agli articoli 24 e 32, che parlano del diritto di difesa e del diritto alla salute). Anche la professione di giornalista è nella Costituzione. Il secondo comma dell’articolo 21 della Costituzione afferma che “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. La
stampa è fatta, alimentata, progettata e creata dai giornalisti
professionisti. “L'esperienza dimostra – ha scritto la Corte
costituzionale nella sentenza n. 11/1968 - che il giornalismo,
se si alimenta anche del contributo di chi ad esso non si
dedica professionalmente, vive soprattutto attraverso
l'opera quotidiana dei professionisti. Alla loro libertà si
connette, in un unico destino, la libertà della stampa periodica, che a sua volta è condizione essenziale di quel libero confronto di idee nel quale la democrazia affonda le
sue radici vitali”. La Costituzione e la Corte costituzionale disegnano, quindi, una professione giornalistica come professione della libertà ancorata alla carta fondamentale della
Repubblica. “Quella libertà che - come ha scritto Mario Borsa
- prima di essere un diritto è un dovere”. Il nuovo diritto fondamentale dei cittadini all’informazione presuppone la presenza e l’attività di giornalisti vincolati a un percorso formativo universitario (come impongono la direttiva comunitaria n.
89/48/CEE e il comma 18 dell’articolo 1 della legge n.
4/1999), a una deontologia specifica e a un giudice disciplinare nonché a un esame di Stato. La Corte costituzionale,
con la sentenza n. 1/1981, ha riconosciuto “il rilievo costituzionale della libertà di cronaca (comprensiva della acquisizione delle notizie) e della libertà di informazione quale risvolto passivo della manifestazione del pensiero, nonché il
ruolo svolto dalla stampa come strumento essenziale di
quelle libertà, che è, a sua volta, cardine del regime di democrazia garantito dalla Costituzione”.
Il secondo comma dell’articolo 21 va incrociato con il quinto
comma dell’articolo 33 della Costituzione: “È prescritto un
esame di Stato ... per l'abilitazione all'esercizio professionale”. Lo Stato, quindi, deve garantire i cittadini sulla preparazione dei giornalisti “all’esercizio professionale”. Su questa
base il Parlamento ha stabilito (con la legge n. 69/1963) che
esiste una professione giornalistica, che è stata poi organizzata, come prescrive l’articolo 2229 del Codice civile, con
l’Ordine (giudice disciplinare e giudice delle iscrizioni) e
l’Albo. Il vincolo italiano dell’esame di Stato per accedere all’esercizio delle professioni intellettuali è un’anomalia internazionale assorbita, però, dal dicembre 1988 nella direttiva
89/48/CE recepita nel dlgs n. 115/1992. Questo dlgs all’articolo 8 prevede una “prova attitudinale” per l’esercizio di una
professionale in ogni Paese comunitario. La “prova attitudinale” è in Italia l’esame di Stato di cui all’articolo 33, V comma, della Costituzione.
6. La direttiva 2005/36/Ce (“direttiva
Zappalà”) sulle qualifiche professionali (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione
Europea L 255/22 del 30 settembre 2005) consente, infatti, agli Stati membri di delegare parte della gestione delle professioni a organismi
autonomi, come gli Ordini e i Collegi professionali.
Frattanto il sistema ordinistico italiano esce rafforzato dal varo di una nuova direttiva comunitaria. La direttiva 2005/36/Ce
(“direttiva Zappalà”) sulle qualifiche professionali (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea L 255/22
del 30 settembre 2005) consente, infatti, agli Stati membri di
delegare parte della gestione delle professioni a organismi
autonomi, come gli Ordini e i Collegi professionali. Ora, gli
Stati avranno due anni di tempo, sino a settembre 2007, per
adeguarsi. La normativa riguarda sia il lavoro subordinato
che autonomo,
La direttiva “Zappalà” riconosce e definisce la specificità delle professioni liberali. La specificità si concretizza nella personalità, nella responsabilità individuale e nell'indipendenza
di chi svolge una professione liberale. Il professionista svolge prestazioni di natura intellettuale (distinte da quelle esecutive), nell'interesse del cliente e della collettività.
Le professioni liberali, proprio perché perseguono l'interesse
generale, possono essere esonerate dalla disciplina tipica di
chi pratica il commercio e l'industria, come la libera concorrenza, purché ciò avvenga nei limiti di quanto è strettamente necessario a tali obiettivi. In questo quadro, gli Stati Ue
potranno prevedere regole che pongono limiti all'esercizio
della professione, stabiliti per legge ma anche attraverso codici di autoregolamentazione degli organismi professionali.
La direttiva consente la valorizzazione degli Ordini (o delle
associazioni laddove esse siano chiamate a svolgere funzioni analoghe dagli ordinamenti nazionali). Infatti, gli Stati
possono delegare questi organismi a svolgere competenze
che la direttiva lascia alla competenza nazionale. Tra queste:
il ricevimento e la valutazione della dichiarazione preventiva
in occasione del primo spostamento del professionista che
intende esercitare in libera prestazione dei servizi; la verifica, in occasione della prima prestazione di servizi delle qualifiche professionali aventi impatto sulla salute e la sicurezza
che non siano disciplinate dalla sezione specifica della direttiva; lo scambio d'informazioni nell'ambito della cooperazione amministrativa; la conferma dell'autenticità dei documenti forniti dal prestatore di servizi; l'esame della richiesta
di autorizzazione per l'esercizio della professione.
In realtà la direttiva non fa che prendere atto della situazione esistente nella maggior parte degli Stati membri, ove i poteri pubblici delegano parte della gestione delle professioni
a organismi autonomi.
Tuttavia, la direttiva non prevede alcun obbligo di riconoscimento delle associazioni se non per quelle britanniche e
irlandesi tassativamente elencate. La professione esercitata dagli iscritti è assimilata alle professioni regolamentate e le associazioni sono ora sottoposte agli obblighi in materia di riconoscimento e iscrizione. In questo modo le associazioni britanniche e irlandesi non potranno più rifiutare l'iscrizione ai cittadini di altri Paesi Ue, obiettando
che la professione può essere esercitata da un cittadino di
un altro Paese Ue senza riconoscimento perché non regolamentata.
La legittimazione degli organismi rappresentativi delle
professioni non ha rilievo solo a livello nazionale ma anche europeo.
Milano, 15 luglio 2006
Calciopoli:
l’Ordine Lazio
sospende
Biscardi, Melli
e Sposini
New York, 6 settembre 2006. È passato un anno e mezzo da
quando il Consiglio di amministrazione di Hewlett-Packard ha
dato il benservito a Carly Fiorina, la donna amministratore delegato dal braccio di ferro ammirata da Wall Street per la sua
grinta, ma reputata troppo “arrogante” da molti dirigenti del colosso informatico. Su quale sia stato il vero motivo del licenziamento, se ne saprà di più il prossimo mese, quando in un
libro spiegherà la sua versione su quanto è accaduto.
Quale sia la verità, sta di fatto che i problemi interni al consiglio di amministrazione di Hewlett Packard sono ben lungi dall’essere risolti. Ne è prova del nove la notizia arrivata ieri, secondo cui George Keyworth, membro del Cda, non sarà rieletto. E questo perchè, dietro la fuga di notizie su Hp, che va
avanti da molti mesi, ci sarebbe proprio lui.
Sarebbe stato infatti Keyworth, in più di un’occasione, a rivelare agli organi di stampa americana il contenuto delle conversazioni che si tenevano all’interno del Cda.
Sarebbe stato lui a parlare anche di un meeting che si tenne
ai tempi di Fiorina, apparentemente all’insaputa di tutti, e che
poco dopo venne riportato in un articolo del Wall Street
Journal. E sembra che Fiorina all’epoca avesse avuto sospetti di lui in più di un’occasione.
Keyworth ha confessato di essere stato la fonte di molti articoli su Hp riportati dalla stampa e, in un incontro con Robert
Ryan, responsabile della commissione di supervisione del cda
di Hp che gli ha presentò i risultati di un’indagine avviata sulla fuga di notizie, si è scusato.
Successivamente, il board dell’azienda si è riunito per deliberare sulla materia, e lo stesso attuale amministratore delegato di Hp Mark Hurd, alla domanda di un membro che gli ha
chiesto cosa dovrebbe fare se un dipendente decidesse di dare informazioni riservate a un giornalista, ha risposto: “Non
avrei altra scelta se non licenziarlo”.
Ma Keyworth non vuole lasciare il Cda, e ha motivato la sua
determinazione a rimanere, con la fiducia che ha ricevuto dall’assemblea degli azionisti. A questo si è aggiunta la rabbia di
Tom Perkins, amico di Keyworth e lui stesso membro del
Consiglio di amministrazione che, nell’apprendere la notizia
relativa alla decisione del board di “cacciare” Keyworth, si è alzato dalla sedia, ha chiuso con violenza la propria valigetta
ventiquattrore, e ha tuonato. “Mi dimetto e me ne vado”.
(Apcom)
Hp:
fuga
di notizie
scatena
lotte
intestine
nel Cda
ORDINE
9-10
Roma, 20 settembre 2006. Sospensione di 6 mesi per Aldo
Biscardi, di 4 mesi per Franco Melli, di tre mesi per Lamberto
Sposini.
Sono alcuni dei provvedimenti decisi dal Consiglio dell'Ordine
dei giornalisti del Lazio nelle riunioni di ieri e oggi, in merito alle vicende legate a calciopoli.
Il Consiglio ha deciso anche la notifica di un avvertimento per
Guido D’Ubaldo, sempre la stessa vicenda, mentre per
Ignazio Scardina, la decisione (come da prassi) è stata sospesa in attesa della conclusione dell'inchiesta giudiziaria.
(ANSA)
2006
Truffa editoria:
rischia
il processo
ex direttore
di giornale.
Pm Roma
chiede
giudizio anche
per moglie
e due
collaboratori
Anche in
Austria tabloid
a 50 centesimi
ROMA, 8 settembre 2006. Avrebbero organizzato una vera e
propria associazione a delinquere che, inventando false collaborazioni giornalistiche, era riuscita ad ottenere contributi “gonfiati” dalle legge sull’editoria. Per le accuse di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato, frode fiscale mediante emissione e annotazione di fatture per operazioni inesistenti, favoreggiamento, false comunicazioni sociali e falsità nelle relazioni delle società di revisione rischiano di finire sotto processo Massimo Bassoli, ex direttore del Giornale
d’Italia la moglie Francesca Romana Dolazza, responsabile
della società editrice del giornale Puntocom, e due stretti collaboratori dello stesso Bassoli, Umberto Lorenzini e Rocco De
Filippis. Nei loro confronti, il pm di Roma Olga Capasso, a conclusione dell’inchiesta e dopo il deposito degli atti d’indagine, ha
chiesto il rinvio a giudizio. Saranno giudicati in sede preliminare dal gup Galileo D’Agostino il prossimo 13 ottobre. I quattro
furono arrestati nel maggio scorso (solo Francesca Romana
Molazza fu posta agli arresti domiciliari) dopo una indagine effettuata dal Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di
finanza. Secondo gli investigatori, fin dal 2000, sarebbero stati
sottratti alle casse dello Stato 14 milioni di euro, ottenuti illegittimamente da un fondo di 600 milioni di euro che ogni anno la
presidenza del consiglio dei ministri destina alla testate giornalistiche. Il Giornale d’Italia, di cui Bassoli è stato direttore fino al
novembre scorso, secondo l’accusa riceveva ogni anno circa
2,5 milioni di euro in quanto organo del movimento politico
Pensionati uomini vivi. Per gli inquirenti, il meccanismo ideato
per materialmente ricevere i contributi era semplice: venivano
formate e contabilizzate fatture su collaborazioni giornalistiche
fittizie emesse a nome di società inglesi, irlandesi e maltesi (poi
risultate inesistenti), frodando così il fisco e “gonfiando” in maniera rilevante i costi sulla cui base erano calcolate le provvidenze statali erogate dalla normativa sull’editoria. Per l’accusa
i pagamenti fittizi riportati in contabilità in realtà affluivano sui
conti degli indagati o di società a loro riconducibili. Nell’ambito
della stessa inchiesta, la procura di Roma si appresta a chiedere ulteriori sei rinvii a giudizio: si tratta di persone che, per
l’accusa, sarebbero “favoreggiatori” del gruppo. Tra questi ci sarebbero anche i responsabili della società di revisione che ha
certificato i falsi bilanci delle società editrici, relativi agli esercizi
dal 2000 al 2004.
(ANSA)
Vienna, 1 settembre 2006. È uscito in Austria il nuovo quotidiano Öesterreich. Costa solamente 50 cent, è il 17° quotidiano nel panorama editoriale austriaco ed è composto di circa 70 pagine a colori. Il primo numero oggi è eccezionalmente di 200 pagine ma è molto difficile reperirlo per problemi di distribuzione nelle edicole. Al livello nazionale Öesterreich è il quinto quotidiano dopo la Presse, lo Standard, il
Kurier e la Krone. I temi sono soprattutto attualità, cronaca ,
tivù, moda e sport. Gli editori di Öesterreich sono i fratelli
Wolfgang e Helmut Fellner, che tra l’altro pubblicano anche il
settimanale News, sul mercato dal 1992, e il settimanale economico Format.
(ANSA)
17
GIUSTIZIA
E
INFORMAZIONE
Dopo il convegno a Bema
Corso Bovio spiega la raccomandazione del Comitato
dei ministri europei del 10 luglio 2003, n. 2003/13,
sulla diffusione di informazioni attraverso i media in relazione
ai processi penali.
Indagini penali e Procure:
l’Europa chiede trasparenza.
I cittadini devono conoscere
quel che accade nei Palazzacci
di Corso Bovio
avvocato penalista del Foro di Milano
Lo scandalo della scalata dell’Antonveneta
che ha colpito il mondo bancario nel 2005,
la vicenda delle partite di calcio truccate,
l’inchiesta di Potenza che ha portato in carcere Vittorio Emanuele di Savoia, da ultimo
le indagini sulla complicità di ufficiali del
Smi con la Cia nel rapimento di Abu Omar,
sono i più clamorosi filoni investigativi che
fanno lavorare il “tribunale mediatico” in
udienza ininterrotta.
Intercettazioni, interrogatori, copie di atti,
hanno riempito pagine e pagine di giornali.
Nel caso di Potenza la misura cautelare integrale è pervenuta alla stampa su supporto informatico. L’interrogatorio del cittadino
Savoia (che ha confessato peccati carnali e
che ha ingenuamente chiesto ai magistrati
“ma mia moglie non saprà nulla di quello
che dico?”: avrebbe meritato la risposta
“non possiamo dirle se sua moglie lo saprà,
certo lo sapranno i cronisti e tutti i lettori dei
giornali”) ha occupato il supplemento di un
quotidiano che ha dato alle stampe il verbale nella sua interezza.
Il flusso di notizie giudiziarie arriva in edicola in mille rivoli e in cento fiumi. E non v’è
una autorità di bacino, non v’è un regolatore dei flussi delle informazioni. Vi sono però
decine di esondazioni. Si verifica anche
qualche devastante alluvione.
Oggi però è in vigore un nuovo principio per
quanto riguarda le Procure della Repubblica.
Il decreto legislativo 20 febbraio 2006,
n.106, prevede il riassetto dell’ufficio del
P.M. nel quadro della riforma dell’Ordi-
namento giudiziario, riforma contestata e
della quale si discute l’azzeramento, ma
che è, per quanto qui interessa, valida ed
efficace. L’art. 5 prevede che “il Procuratore
della Repubblica mantiene personalmente,
ovvero tramite un magistrato dell’ufficio appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione”. Ed aggiunge che
“ogni informazione inerente alle attività della Procura della Repubblica deve essere
fornita attribuendola in modo impersonale
all’ufficio ed escludendo ogni riferimento ai
magistrati assegnatari del processo”. Ed
ancora, precisa che “è fatto divieto ai magistrati della Procura della Repubblica di rilasciare dichiarazioni, o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio”, sotto pena della segnalazione da parte del Procuratore capo al
Consiglio giudiziario per l’esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione della
azione disciplinare, secondo quanto previsto dall’ultimo comma della norma citata.
La relazione governativa ha precisato che
“spetta al solo Procuratore della Repubblica
tenere i contatti con i mass media per fornire la doverosa informazione circa vicende
giudiziarie trattate dall’ufficio”.
I commentatori hanno ricordato come per i
magistrati si sia sempre ritenuto opportuno
evitare dichiarazioni alla stampa su processi che stanno trattando, o nei quali saranno
chiamati a qualunque titolo a svolgere la
propria funzione.
È doveroso per i giudici e procuratori formulare le valutazioni anche critiche su procedimenti ancora in corso, nei quali non
siano direttamente interessati, con cautela
ed attenzione nel rispetto della verità storica e senza offese gratuite.
Giuliano Amato sbaglia: la Corte suprema
(giugno-luglio 2005) ha fatto dietrofront
dopo l’intervento del presidente
dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia
nel senso che i nomi sono tornati nelle
sentenze. L’Ufficio del Massimario ha spiegato
che Franco Abruzzo aveva ragione
Sentenze della
nota di Franco Abruzzo
presidente dell’Ordine dei giornalisti
della Lombardia
La lettera circolare (n. 47/06/SG di Prot - Roma, 17 gennaio
2006) del primo presidente della Corte suprema
Cassazione, Nicola Marvulli, ai presidenti titolari delle
Sezioni civili e penali, al direttore dell’Ufficio del Massimario
e al direttore del Ced sulla “Tutela della privacy ed oscuramento dei dati identificativi delle sentenze” conferma
che la Corte di Cassazione può rilasciare copie integrali
delle sentenze ai giornalisti senza oscurare il nome degli
imputati. Lo aveva chiarito la relazione 5 luglio 2005
dell’Ufficio del Massimario della stessa Corte intervenendo
a seguito di precise richieste da parte dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. La questione era nata (nel giugno
2005) a seguito dell’istanza di un imputato per reati sessuali che, appellandosi all’articolo 52 del Dlgs n. 196 del
2003, aveva sollecitato che il proprio nome pubblicato sulla sentenza fosse sbianchettato. Per tale motivo, la copia
della sentenza n. 22724/05 della Terza Sezione penale era
stata stampata cancellando il nome e le generalità dell’imputato e con un timbro posto in alto a sinistra che richiamava la norma di legge che consente l’anonimizzazione.
La Suprema Corte ha infatti spiegato che chiunque può richiedere una copia delle sentenze perché in quanto atti
pubblici pronunciati “in nome del Popolo Italiano’’ e che deve, però, oscurare i dati personali se vuole pubblicarle su
una rivista specializzata di informatica giuridica; tuttavia, tale obbligo non vale per la cronaca giudiziaria in senso
stretto, che deve assicurare il diritto all’informazione pur nel
pieno rispetto dei diritti degli imputati. Nella relazione si affermava infatti che “le sentenze e gli altri provvedimenti giurisdizionali possono essere diffusi, anche attraverso il sito
istituzionale nella rete Internet, nel loro testo integrale, completo - oltre che dei dati riferiti a particolari condizioni o status, anche di natura sensibile - delle generalità delle parti
e dei soggetti coinvolti nella vicenda giudiziaria” e che “chi
esercita l’attività giornalistica o altra attività comunque riconducibile alla libera manifestazione del pensiero [...] possa trattare dati personali anche prescindendo dal consenso dell’interessato e, con riferimento ai dati sensibili e giudiziari, senza una preventiva autorizzazione di legge o del
Garante”.
Il “Testo unico della privacy” 196/2003 (come la legge
675/1996) dà piena libertà ai giornalisti di trattare i dati giudiziari (secondo le regole deontologiche). I giudici delle violazioni sono soltanto i Consigli dell’Ordine dei giornalisti.
Secondo l’articolo 137 del Dlgs n. 196/2003, ai trattamenti
(effettuati nell’esercizio della professione di giornalista e per
l’esclusivo perseguimento delle relative finalità) non si applicano le disposizioni del Testo unico del 2003 relative: a)
all’autorizzazione del Garante prevista dall’articolo 26; b) alle garanzie previste dall’articolo 27 per i dati giudiziari; c) al
trasferimento dei dati all’estero, contenute nel Titolo VII della Parte I. In sostanza l’articolo 137, non prevedendo il disco verde del Garante o di soggetti privati, rispetta l’articolo 21 (II comma) della Costituzione che vuole la stampa
non soggetta ad autorizzazioni. I giornalisti dovranno, comunque, trattare i dati (=notizie) con correttezza, secondo
i vincoli posti dal Codice di deontologia della privacy del
Il giornalista non si deve appiattire sulle veline
Il Consiglio superiore della Magistratura
ha da tempo tenuto presenti le esigenze
dell’informazione, affermando che, qualora ragioni di pubblico interesse richiedano
chiarezza e trasparenza, anche per rassicurare l’opinione pubblica su un procedimento pendente, è consigliabile che il magistrato incaricato del caso riferisca al capo dell’ufficio, il quale valuterà l’opportunità di una sua dichiarazione ufficiale o di
un comunicato stampa, rispettati i limiti
del segreto. Ancora “può e deve ritenersi
consentito fornire, nelle inchieste giudiziarie di particolare rilievo le precisazioni
necessarie per dissipare equivoci e per
impedire distorsioni, al fine di contribuire
ad una corretta informazione”. Mentre
“vanno evitati interventi che possono far
dubitare delle imparzialità del magistrato”
(e il pubblico ministero è una parte imparziale) e “della sua libertà di giudizio riguardo alla questione sulla quale questi
possa essere chiamato a pronunciarsi”.
La riforma delle Procure ha tenuto conto del-
18
la necessità di assicurare l’impersonalità dell’informazione, di evitare eccessi di protagonismo (magari involontari) e, nel contempo,
di garantire le esigenze di sicurezza del magistrato procedente.
Facendo agire il Capo dell’ufficio si fa luogo
ad “una presa di posizione ufficiale ed impersonale assai preferibile al coinvolgimento
diretto dell’interessato”.
Da quanto è stato possibile apprendere, proprio dai media, presso la Procura della
Repubblica di Bologna, già “regolamentata”,
la funzione di tramite con i mass media è stata assunta dal Procuratore capo, così come
a Palermo, ad Aosta e a Perugia.
A Verona invece i rapporti con la stampa vengono tenuti dal P.M. di turno.
I problemi che si pongono, sono innanzitutto
problemi di una riforma vissuta dalla magistratura come iniqua ed oppressiva, che può
quindi indurre ad una applicazione banale e
burocratica delle norme sui rapporti con i media.
Al di là di quello che può essere l’atteggia-
mento psicologico del terzo potere rispetto
alla nuova normativa, ciò che inciderà in modo assai significativo sui “rapporti con la
stampa” è il carico di lavoro, la carenza di
tempo e di risorse e anche, in una certa misura, la carenza di cultura dell’informazione.
Il Capo dell’ufficio (o il sostituto delegato)
informerà i giornalisti, ma a monte, chi informerà il capo? Come questi verrà notiziato?
Se al flusso informativo a valle è già stata attribuita la poco lusinghiera natura di velina, a
monte vi saranno altri “foglietti”; il capo della
Procura dirà al sostituto che segue l’inchiesta: “devo redigere un comunicato, scrivimi
una paginetta sulla quale mi potrò basare”.
Oppure discuterà brevemente di un tema
che, pur importante dal punto di vista della
comunicazione, sarà assolutamente secondario e residuale rispetto agli altri più urgenti doveri di ufficio.
I flussi informativi saranno modesti e poco
soddisfacenti, resterà così aperta la caccia,
da parte dei cronisti giudiziari, alle notizie.
Forse si otterrà una minore esposizione dei
singoli P.M., titolari delle varie inchieste; forse si avrà una qualche riduzione del protagonismo di certi magistrati, anche se taluni
sembrano essere una sorta di rubrica fissa
del Tg regionale o della cronaca locale (e talora nazionale), difficili da eliminare dal palinsesto radiotelevisivo o dalle pagine del
quotidiano. Certo, però, il costume e l’abitudine dei giornalisti di inseguire verbali, atti e
brogliacci non si perderà o non diminuirà in
maniera significativa.
Questa riforma può essere però un’importante occasione per riflettere sulla diffusione
e sulla canalizzazione delle notizie relative
alle inchieste giudiziarie, sulla esigenza di un
vero ufficio stampa, di un press office dei
P.M., di un press office del Palazzo di giustizia.
Le amministrazioni pubbliche comunicano: è
stato istituito un Ufficio delle relazioni con il
pubblico, con la brutta sigla di Urp.
Anche in virtù di indirizzi a livello comunitario, lo Stato deve informare il cittadino. Lo deve informare su come esso svolge i suoi
ORDINE
9-10
2006
In: https://www.odg.mi.it/docview.asp?DID=1882
Milano, 14 luglio 2006. Repubblica di oggi riporta una intervista di Giuseppe DAvanzo a Giuliano Amato, ministro
dell’Interno. Scrive D’Avanzo: “La disciplina che protegge il nostri dati personali è rigorosissima, dice Amato. Prevede
che la pubblicazione di una sentenza passata in giudicato non indichi il nome, ma soltanto le iniziali del condannato.
Non è una vistosa contraddizione, un illegalismo diventato prassi, che tutti gli atti giudiziari che precedono la
sentenza possano essere pubblicati dai giornali con tanto di nome e cognome? A che cosa servono allora gli infiniti
moduli che compiliamo per mettere al riparo da occhi indiscreti i nostri dati sensibili? Abbiamo perso, dice Amato, la
consapevolezza che ci sono limiti invalicabili. L´abuso nella pubblicazione delle intercettazioni telefoniche ne è la
prova. Non penso che bisogna ridimensionare le intercettazioni, dice Amato. Nessuno, se non un giudice, può
stabilirne la necessità”. Amato sbaglia in maniera clamorosa.
RELAZIONE (5 luglio 2005)
DELL’UFFICIO
DEL MASSIMARIO
DELLA CASSAZIONE.
Il Codice sulla privacy prevede
uno statuto particolare
per l’attività giornalistica …
a Cassazione e nomi degli imputati
1998, dagli articoli 2 e 48 della legge n. 69/1963 (sull’ordinamento della professione giornalistica), dalle Carte di
Treviso sulla tutela dell’infanzia e dalla Carta dei doveri del
1993.
Il trattamento dei dati - dice ancora l’articolo 137 - è effettuato anche senza il consenso dell’interessato previsto dagli articoli 23 (Consenso) e 26 (Garanzie per i dati sensibili). In caso di diffusione o di comunicazione dei dati per le
finalità di cui all’articolo 136 (trattamenti effettuati nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità) “restano fermi i limiti del
diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’articolo 2 e, in
particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico”. I giornalisti, che hanno diritto di leggere le sentenze nella forma integrale, non possono scrivere i dati identificativi di una persona (o di un minore) che ha
subito violenza sessuale o che ha subito ricatti sessuali
e né possono pubblicare dati che consentano, comunque, l’identificazione di queste persone o, comunque, di
soggetti deboli.
L’articolo 12 del Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica
(meglio noto come Codice deontologico dei giornalisti sulla privacy) tratta la “Tutela del diritto di cronaca nei procedimenti penali” (al trattamento dei dati relativi a procedimenti penali non si applica il limite previsto dall’articolo 24
della legge n. 675/1996. Il trattamento di dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 686, commi 1,
lettere a) e d), 2 e 3, del Codice di procedura penale è ammesso nell’esercizio del diritto di cronaca, secondo i principi di cui all’articolo 5). Ciò significa che i giornalisti possono raccontare quello che risulta scritto nel Casellario
giudiziale a carico di ogni persona protagonista di un
fatto di cronaca: sentenze di condanna, ordini di carcerazione, misure di sicurezza, provvedimenti definitivi
che riguardano l’applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale, dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere. Il diritto di cronaca, collegato a fatti di attualità,
vince in maniera ampia.
La legge sulla privacy non annulla un’altra legge centrale
dell’ordinamento giuridico, la n. 633 del 1941 sul diritto
d’autore. L’articolo 96 (in linea con l’articolo 10 Cc) protegge l’immagine della persona, che deve dare il consenso alla pubblicazione della sua foto. Senza il consenso, la pubblicazione della foto diventa un illecito civile. L’articolo 97 fissa le eccezioni: “Non occorre il consenso della persona ritratta quando la riproduzione dell’immagine è giustificata
dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità
di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”. Sul risvolto di tale norma si suole articolare l’ampiezza
del diritto di cronaca: si può pubblicare tutto ciò che è collegato a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico
o svoltisi in pubblico.
Si legge ancora nella relazione dell’Ufficio del
Massimario:
“Il Codice prevede uno statuto particolare per l’attività gior-
compiti istituzionali, su come la gente può
servirsi delle strutture pubbliche; queste promuovono la propria immagine, forniscono conoscenze sulla propria attività anche per
consentire alla gente di valutarla.
La trasparenza e questa attitudine comunicativa, dovrebbero estendersi alle Procure,
alla macchina della giustizia, ai Tribunali. La
giustizia è un fatto di enorme rilevanza per la
collettività, considerate anche le implicazioni
politiche di svariate inchieste.
Conoscerne i meccanismi e l’attività è un diritto dei cittadini, a fronte del quale vi deve
essere un significativo e limpido flusso di notizie. Tale flusso non può essere per così dire a senso unico, diffuso attraverso i soli comunicati stampa delle autorità, ma va coordinato con la facoltà dei giornalisti di interrogare e conoscere. Occorre dare al reporter la
possibilità di porre domande e di avere risposte, di chiedere carte e di verificare.
L’amico Franco Abruzzo ha ragione: forse
è utopistico, ma il giornalista deve essere
considerato, al pari delle parti processuaORDINE
9-10
2006
nalistica, che rifugge dalla previsione di regole rigide e minuziose e che affida in prima battuta il bilanciamento tra i
diritti e le libertà allo stesso giornalista il quale, in base ad
una propria valutazione (che può essere sindacata), acquisisce, seleziona e pubblica i dati utili ad informare la collettività su fatti di rilevanza generale e d’interesse pubblico,
esprimendosi nella cornice della normativa vigente e nel rispetto del proprio codice di deontologia. Esso stabilisce
che chi esercita l’attività giornalistica o altra attività comunque riconducibile alla libera manifestazione del pensiero
(inclusa l’espressione artistica e letteraria, come ora precisato dall’art. 136 del Codice) possa trattare dati personali
anche prescindendo dal consenso dell’interessato e, con
riferimento ai dati sensibili e giudiziari, senza una preventiva autorizzazione di legge o del Garante.
In caso di diffusione o di comunicazione di dati, il giornalista è peraltro tenuto comunque a rispettare alcune condizioni (art. 137, comma 3): i limiti del diritto di cronaca e, in
particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico, e i principi previsti dal codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali
nell’esercizio dell’attività giornalistica [41].
In ordine ai dati giudiziari, il codice deontologico (art. 12), a
sua volta, rinvia al principio di essenzialità dell’informazione (art. 5), in modo da evitare riferimenti a congiunti o ad
altri soggetti non interessati ai fatti.
La non diretta operatività all’attività giornalistica degli effetti dell’anonimizzazione disposta ai sensi dell’art. 52, commi
e 2, del Codice - ma, più limitatamente, l’affidamento all’autonomia e alla responsabilità del giornalista, nel rispetto della legge e del codice doentologico, dei risultati di quella ponderazione e di quel bilanciamento - sembra ricavarsi dal parere del Garante 6 maggio 2004 su Privacy e giornalismo. Alcuni chiarimenti in risposta a quesiti dell’Ordine
dei giornalisti [42]. Il Garante ha evidenziato la necessità
che l’esigenza di assicurare la trasparenza dell’attività giudiziaria e il controllo della collettività sul modo in cui viene
amministrata la giustizia debba comunque bilanciarsi con
alcune garanzie fondamentali riconosciute all’indagato e all’imputato: la presunzione di non colpevolezza fino a condanna definitiva, il diritto di difesa e il diritto ad un giusto
processo. In particolare, la diffusione dei nomi di persone
condannate e, in generale, dei destinatari di provvedimenti giurisdizionali, ad avviso del Garante, deve inquadrarsi
nell’ambito delle disposizioni processuali vigenti, di regola
improntate ad un regime di tendenziale pubblicità. Di guisa
che sono ritenuti pubblicabili, ad esempio, l’identità, l’età, la
professione, il capo di imputazione e la condanna irrogata
ad una persona maggiorenne ove risulti la verità dei fatti, la
forma civile dell’esposizione e la rilevanza pubblica (anche
solo in un contesto locale) della notizia. Secondo il Garante,
nella diffusione dei dati dei condannati devono essere presi in considerazione il tipo di soggetti coinvolti (ad esempio,
persone con handicap o disturbi psichici, o ancora, ragazzi molto giovani), il tipo di reato accertato e la particolare
tenuità dello stesso, l’eventualità che si tratti di condanne
scontate da diversi anni o assistite da particolari benefici
(es. quello della non menzione nel casellario), in ragione
dell’esigenza di promuovere il reinserimento sociale del
condannato. Le medesime ragioni di tutela dei dati personali, ad avviso del Garante, dovrebbero altresì prevalere
nei casi in cui la vittima ha manifestato la volontà che i pro-
li, titolare del diritto ad ottenere copia degli atti, o almeno di taluni essenziali (non
più coperti dal segreto).
Questo ovviamente presuppone che i
giornalisti abbiano un adeguato bagaglio
culturale, capacità di leggere, di interpretare e criticare gli atti.
Franco Abruzzo ha ancora ragione: la preparazione delle nuove leve del giornalismo deve passare per gli studi universitari, direi, anzi, prolungandoli con un master, per quanto qui interessa un master in
cronaca giudiziaria o in comunicazione
giudiziaria.
Quello tra fonte ed operatore dell’informazione, quello tra il giornalista (mediatore tra la
fonte ed il pubblico) e il Palazzo di giustizia
(o meglio l’ufficio stampa del Palazzo di giustizia) deve essere, come detto, un dialogo.
Al Palazzo spetta la decisione di quando comunicare e che cosa comunicare. Al Palazzo
tocca decidere quando va imposto un segreto assoluto e radicale (sicuramente doveroso
nella prima fase delle inchieste, allorché va
pri dati non siano resi pubblici (fermo restando il fatto che
il giornalista può procedere alla pubblicazione dei diversi
dati anche in assenza del consenso da parte degli interessati). Tale principio troverebbe, tra l’altro, fondamento nella
possibilità, per ogni soggetto interessato, di opporsi anche
in anticipo per motivi legittimi alla pubblicazione (art. 7,
comma 4, lettera a, del Codice). Secondo il Garante, il giornalista, nell’effettuare le valutazioni a lui rimesse, “non potrà non tenere conto del bilanciamento di interessi effettuato in un altro fronte e cioè che le sentenze pubblicate per
finalità di informatica giuridica (non giornaliste, quindi) dallo stesso ufficio giudiziario, oppure da riviste giuridiche anche on-line, potranno in alcuni casi più delicati non recare
il nome di taluna delle parti o di terzi (minore, delicati rapporti di famiglia, ecc.: art. 52 del Codice)”.
I nomi degli imputati continueranno, quindi, a comparire
nelle cronache. I nomi, invece, non compariranno, come riferito, nelle riviste giuridiche cartacee e in quelle informatiche, nelle raccolte delle massime pubblicate sul web o sui
cd. Vediamo come stanno le cose. Sull’articolo 52 del dlgs
196/2003 è il caso di osservare che:
a) l’articolo, su richiesta dell’interessato “per motivi legittimi”, consente alla cancelleria di “apporre un’annotazione
volta a precludere” l’indicazione delle generalità e di altri
dati identificativi «in caso di riproduzione della sentenza,
o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica, su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica”.
b) nei casi previsti dai commi 1 e 2 dello stesso articolo la
cancelleria o segreteria appone e sottoscrive anche con
timbro la seguente annotazione: «In caso di diffusione
omettere le generalità e gli altri dati identificativi di...».
c) secondo il settimo comma dello stesso articolo, “Fuori
dei casi indicati nel presente articolo è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di
sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali”.
Anche l’articolo 52, quindi, consente la pubblicazione “anche integrale” delle sentenze fuori dai casi relativi alle riviste
giuridiche cartacee o informatiche, ai supporti elettronici o
al web. Il Testo unico sulla privacy rispetta totalmente i primi
due commi dell’articolo 21 della Costituzione: “Tutti hanno
diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa
non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Nella
libertà di manifestazione del pensiero coesistono il diritto di
cronaca, di informazione, di critica, la libertà di stampare le
proprie idee e il diritto dei cittadini all’informazione. “Le libertà fondamentali affermate, garantite e tutelate nella Parte
prima, Titolo primo, della Costituzione della Repubblica, sono riconosciute come diritti del singolo, che il singolo deve
poter far valere erga omnes. Essendo compresa tra tali diritti anche la libertà di manifestazione del pensiero proclamata dall’art. 21, primo comma, della Costituzione, deve
senza dubbio imporsi al rispetto di tutti, delle autorità come
dei consociati. Nessuno può quindi recarvi attentato, senza
violare un bene assistito da rigorosa tutela costituzionale...
I fondamentali diritti di libertà proclamati nella Parte prima,
Titolo primo, della Costituzione, sono in gran parte compresi nella categoria dei diritti inviolabili dell’uomo genericamente contemplati nell’articolo 2” (Corte costituzionale, sentenza 122/1970).
protetta appunto l’investigazione) e quando
invece il segreto si attenua. Il segreto è altrettanto necessario nel caso in cui si tratti di
minori o quando si rischi di “sbattere in prima
pagina” non il mostro ma la sua vittima.
Infine, come è doveroso parlare di fatti di rilievo, così è doveroso trascurare quelli bagatellari.
Distinguere le informazioni, individuare quali
vanno diffuse e quali no è compito delicato,
difficile, forse pericoloso. Ma mi pare impensabile che venga “pubblicizzata” tutta l’attività
giudiziaria. Non si farebbe più luogo ad una
informazione chiara, precisa e limpida ma vi
sarebbe solo un confuso, incomprensibile
brusio di notizie. Brusio che diventerebbe assordante, quello che nel gergo della comunicazione si chiama rumore. Nella informazione ad un polo vi è il silenzio, al polo opposto
vi è il rumore: entrambi portano ad un difetto
di comunicazione. Il suono per essere chiaro
e percepibile, non deve essere ovviamente
silenzio, ma nemmeno rumore, deve essere
individuato ed individuabile. Ecco perché non
si può pretendere di avere informazioni su
tutto, ma è necessario focalizzare i temi che
meritano attenzione.
Ovviamente questa focalizzazione non può
essere “autoritaria”, ma deve nascere dal
dialogo, dalla stimolazione dei giornalisti verso l’Ufficio stampa del Palazzo di giustizia
per ottenere risposte e dati anche sui casi
che, a torto o a ragione considerati bagatellari dalla Procura, hanno, all’opposto, interesse e rilevanza agli occhi del giornalista.
Dunque il reporter, il cronista giudiziario
deve poter interpellare e stimolare la
Procura a fornire notizie su ogni caso rilevante, il giornalista non si deve appiattire sulle veline. Se egli è “quasi parte” ha
diritto di avere copia degli atti quando gli
stessi, non sono più segreti, ha diritto di
accedere agli stessi di esaminarli di averne estratti per conoscere e per far conoscere. Assumendosi ovviamente la piena
responsabilità di questo ruolo di mediazione appunto tra la fonte (in questo caso
segue
19
GIUSTIZIA
segue dalla pagina precedente
il documento, non più la persona, non più
il comunicato) ed il pubblico.
Glauco Giostra, validissimo docente di procedura penale all’Università di Macerata e
studioso dei rapporti tra giustizia e media, ha
curato una importante ricerca per il Cnr sul
processo penale e l’informazione.
Le sue critiche alla costituzione di uffici stampa presso le Procure critiche che si rivolgevano al disegno di legge presentato al
Senato nel 1998, non possono essere ignorate.
La ricerca, se cita i casi del Belgio (dove a
Bruxelles si è istituto una sorta di ufficio
stampa del Tribunale) e della Germania (dove vi è un magistrato addetto alle comunicazioni), conclude però che il press office della
Procura costituirebbe una innovazione inutile
e dannosa. Contribuirebbe a spostare il baricentro del trial by newspaper, il baricentro del
processo mediatico, a favore dell’accusa.
Pur ritenendo preziose le osservazioni di
Giostra, pur con tutti i dubbi e le doverose
perplessità, la domanda che dobbiamo continuare a porci è, se davvero non possiamo
fare nulla e dobbiamo stare alla finestra assistendo allo stillicidio, anzi, a non occasionali
scrosci temporaleschi, di notizie elargite o
sfuggite senza trasparenza alcuna, senza responsabilità alcuna, con il massimo della
soggettività delle scelte dai pubblici ministeri.
Non possiamo farlo perché vi sono due
valori nella nostra Costituzione, quello
della libertà di informazione e quello del
giusto processo, che dobbiamo rispettare
ma soprattutto condurre a sintesi. Il processo è tanto più giusto quanto più sottoposto al controllo sociale e giusto a condizione che vi sia una giusta informazione
sul processo.
Non possiamo trascurare il problema,
contentarci dell’attuale stato dell’arte o,
peggio, di una applicazione dell’art. 5 del
decreto legislativo n. 106 burocratica e pigra. Non possiamo farlo per gli obblighi
che abbiamo verso il Consiglio di Europa.
La raccomandazione del Comitato dei ministri del 10 luglio 2003, n. 2003/13, sulla
diffusione di informazioni attraverso i media in relazione ai processi penali è poco
conosciuta, ma di straordinario interesse.
Il Comitato dei ministri europei ha raccomandato alle associazioni professionali
dei giornalisti di elaborare le linee direttrici e le norme etiche e professionali per la
categoria con speciale riferimento ai re-
E
INFORMAZIONE
portage relativi ai processi penali. Ha raccomandato di rispettare in tali reportages
la presunzione di innocenza a favore dei
sospettati e degli accusati, sino a quando
la loro colpevolezza non sia stata accertata da un Tribunale. Di rispettare la dignità,
la sicurezza e, salvo nel caso in cui l’informazione sia di interesse pubblico, il diritto alla privacy (alla riservatezza sulla sfera intima), delle vittime, dei denuncianti,
dei sospettati, degli accusati, anche delle
persone riconosciute colpevoli e dei testimoni, nonché delle loro famiglie. Di evitare di arrecare pregiudizio alle indagini penali e alle procedure giudiziarie. Infine, di
assegnare i reportage sui processi penali
a giornalisti che abbiano una adeguata
formazione in tale materia.
Il principio da cui prende le mosse la raccomandazione è quello secondo il quale la libertà di espressione e di informazione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una
società democratica. L’importanza dei reportages realizzati dai media sui procedimenti
penali nasce dalla necessità di rendere visibile la funzione dissuasiva del diritto penale
e di permettere al pubblico di esercitare il diritto di critica sul funzionamento del sistema
penale.
Venendo ai vari principi contenuti nell’annesso alla raccomandazione, il pubblico deve
poter ricevere informazioni sulle attività delle
Autorità giudiziarie e dei servizi di polizia attraverso i media. I giornalisti devono di conseguenza poter liberamente rendere conto e
commentare il funzionamento del sistema
giudiziario penale.
L’informazione fornita dall’Autorità giudiziaria e dai servizi di polizia deve essere
assolutamente veritiera. Può anche basarsi su “presunzioni ragionevoli”, ma in questo caso dovrà essere chiaramente manifestato ai media che non si hanno ancora
certezze ma solo ipotesi sia pure confortate da seri indizi.
Deve essere garantita la parità di accesso
all’informazione giudiziaria, evitando che
vi siano discriminazioni tra i giornalisti e
favoritismi a vantaggio di questo o di quel
reporter.
Le Autorità giudiziarie e la polizia debbono
informare i media attraverso comunicati
stampa o conferenze stampa tenute da
agenti autorizzati o mediante altri simili “messaggi”.
Nell’ambito dei procedimenti penali di pubblico interesse o che attirano particolarmente
l’attenzione della collettività, l’Autorità giudi-
Levi: serve tavolo Fieg e Fnsi
per i diritti d’autore.
Servono anche proposte
per contrastare la pirateria
su libro, musica e cinema
Parma, 5 settembre 2006. L’invito a editori e giornalisti a
sedersi a un tavolo comune per affrontare e risolvere insieme il problema dell’evasione dei diritti d’autore sulle rassegne stampa; il rinnovo del Comitato per la tutela della
proprietà intellettuale per elaborare in tempi rapidi proposte
operative per contrastare la pirateria che colpisce l’industria del libro, della musica, del cinema. Sono queste le due
nuove iniziative annunciate da Ricardo Franco Levi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per
l’informazione e l’editoria. Levi ha parlato a Parma nel corso di un convegno sul tema “Proprietà intellettuale e potere di mercato” organizzato dalla Atrip, International
Association for the Advancement of Teaching and Research
in Intellectual Property. “Tanto la Fnsi, l’organizzazione sindacale dei giornalisti, quanto la Fieg, l’associazione che
rappresenta gli editori - ha detto Levi - hanno di recente, di
nuovo e formalmente sollevato la questione delle rassegne
stampa. Le ho, quindi, invitate a sedersi ad un tavolo per
studiare insieme come risolvere il problema. Con l’aiuto e
l’intervento della Siae, la Società italiana degli autori e degli editori, credo che ci siano le condizioni e gli strumenti
per risolvere il problema”. “Non sto parlando - ha precisato
Levi - del grande tavolo per il rinnovo del contratto di lavoro, materia che ricade sotto la responsabilità del ministro
Damiano. Sto parlando di un tavolo più piccolo e più modesto, un tavolino per parlare solo di rassegne stampa. Un
tavolino, però - ha concluso Levi - che potrebbe offrire
un’occasione di dialogo tra due categorie che da troppo
tempo faticano a parlarsi. I rappresentanti dei giornalisti mi
hanno già espresso la loro disponibilità; spero che lo stesso facciano gli editori”.
(ANSA)
20
Indagini penali e Procure:
l’Europa chiede trasparenza.
I cittadini devono conoscere
quel che accade nei Palazzacci
ziaria e la polizia devono informare i media
dei loro atti essenziali, a meno che ciò non
arrechi pregiudizio alla segretezza dell’istruzione o alle indagini ovvero ritardi o impedisca il conseguimento di risultati investigativi
o processuali.
Nel caso di processi penali che si protraggano per un lungo periodo, l’informazione deve
essere fornita regolarmente nel tempo.
Né i magistrati, né i poliziotti possono sfruttare le informazioni per fini di lucro o di altro
personale vantaggio.
L’informazione deve essere mirata alla
corretta applicazione della legge.
Va tutelata - come detto - la vita privata sia
delle persone sospettate, accusate o condannate, sia delle altre parti del processo.
“Una protezione particolare deve essere
offerta alle parti che sono minori di età o
alle altre persone vulnerabili, alle vittime,
ai testimoni ed ai familiari delle persone
sospettate, accusate e condannate”.
Deve venire assicurato con speciale cura
l’anonimato delle persone che possono
patire ingiustificati pregiudizi dalla divulgazione delle informazioni.
Ogni persona che è oggetto di resoconti
non corretti o diffamatori da parte dei giornali in materia di processi penali deve disporre di un diritto di rettifica o di replica.
Il diritto di rettifica deve essere possibile
anche nei confronti dei comunicati stampa, contenenti informazioni non corrette,
diffusi dalla magistratura o dalla polizia.
Nei procedimenti penali in generale e in particolare in quelli che coinvolgono dei giudici
popolari, la magistratura e la polizia devono
astenersi dal fornire pubblicamente informazioni che comportino il rischio di un’influenza
negativa sulla equità sostanziale del processo. Va cioè tutelata l’ingenuità o l’imparzialità
del giudice, vanno evitate “anteprime”, con
quei processi mediatici, ai quali ci siamo abituati di recente con casi giudiziari diventati
spettacoli sotto il pretesto dell’informazione.
La raccomandazione europea si occupa anche della ammissione dei giornalisti alle
udienze e alla lettura delle sentenze, con particolare riferimento ad uno spazio loro riservato nelle aule di udienza. I reportage in diretta e le registrazioni da parte dei media
nelle aule di giustizia non devono essere
possibili a meno che (e nella misura in cui) la
legge e l’Autorità giudiziaria lo permettano
esplicitamente.
I reportage in questione possono venir realizzati soltanto se non vi sia alcun serio rischio di una influenza indebita sulle vittime e
Watergate: nuovo libro
smonta Bernstein e Woodward
New York, 1 settembre 2006. Dopo oltre 30 anni passati a
cercare segreti su papi, presidenti, capi dell’Fbi e giudici della Corte Suprema, le leggende del Watergate Bob Woodward
e Carl Bernstein ricevono pan per focaccia. Un nuovo libro
che analizza la carriera dei due famosi reporter dopo lo scoop
di Gola Profonda li accusa di non aver mantenuto le promesse fatte da giovani alla musa del giornalismo investigativo.
Professoressa di giornalismo alla American University, Alicia
Shepard ha utilizzato per la prima volta le 75 scatole di documenti dell’era Watergate regalati alla University of Texas dai
due giornalisti. Woodward e Bernstein, una vita all’ombra del
Watergate, questo il titolo del suo libro in uscita negli Usa in
novembre, rende omaggio al colpo giornalistico che pose fine alla presidenza di Richard Nixon, ma fa una critica spietata delle carriere dei dioscuri del Watergate dopo lo scoop che
li ha fatti passare alla storia. Tra le accuse a Woodward, la più
velenosa è di avere anteposto il successo anche commerciale dei suoi libri al lavoro quotidiano al Washington Post.
Quanto a Bernstein, Shepard ne chiosa la carriera “sporadica” dopo aver lasciato il quotidiano della capitale.
Accompagna il libro un commento elogiativo del lavoro di
Shepard di Michael Isikoff di Newsweek, erede della tradizione di giornalismo investigativo inaugurata dal Watergate: “Èil
resoconto definitivo delle vite di due uomini che hanno cambiato il giornalismo per sempre”. Né Woodward né Bernstein
sono stati intervistati di recente da Shepard per il libro: “Èsuo
diritto scrivere quel che vuole”, ha detto Woodward al sito web
Editor and Publisher, che segue il mondo dei media. E anche
Bernstein, al lavoro su una biografia di Hillary Clinton, ha detto di “non aver collaborato” con la studiosa: “Grazie a Dio la
Costituzione le permette di scrivere quel che le pare. La nostra vera vita, il nostro lavoro, assieme e separatamente, per
libri, giornali, riviste, televisione, sono di dominio pubblico e la
gente può giudicare da sola”. Il libro è nato sulla scia di una
lunga intervista fatta da Shepard ai due nel 2003 per la rivista Washingtonian: riconoscendo lo storico momento della
coppia al tempo del Watergate, l’esperta di media ne esami-
sui testimoni, sulle parti dei procedimenti penali, sui giudici popolari e sui magistrati.
L’Autorità giudiziaria deve mettere a disposizione, al momento opportuno, e su semplice
richiesta dei giornalisti, i calendari delle
udienze, i capi di accusa e tutte le altre informazioni pertinenti per la cronaca giudiziaria. “I
giornalisti dovranno essere autorizzati senza
discriminazione ad effettuare o ricevere copia
delle sentenze rese pubblicamente”, tali sentenze potranno essere diffuse al pubblico.
Infine vanno protetti i testimoni la cui identità
non va divulgata, a meno che il teste non vi
abbia preventivamente acconsentito, o quando l’identificazione del medesimo è di interesse pubblico o la testimonianza ha già avuto luogo in pubblico. L’identità dei testimoni
non va però mai divulgata se ciò mette in pericolo la loro vita o la loro sicurezza.
Confido che mi venga perdonata questa puntigliosa e forse noiosa analisi; essa però contiene un importante “decalogo” sul diritto dei
media di avere, in condizione di uguaglianza,
notizie sui processi e di instaurare un franco,
leale ed esaustivo dialogo con l’Autorità giudiziaria. Proprio in virtù della raccomandazione del Consiglio di Europa è doveroso
creare quel flusso canalizzato ed ordinato di
informazioni sulla giustizia di cui ho detto. Il
flusso deve essere “interattivo”, fatto dalle
notizie date dai magistrati e dalle domande
dei giornalisti, domande che esigono risposta, che non possono restare inevase.
L’informativa consta di comunicati ma deve
comprendere, quando è possibile, anche gli
atti ostensibili al giornalista, che ha diritto di
sapere e di leggere.
Alle copie clandestine dei verbali, alle copie
abusive degli interrogatori, alle copie contrabbandate dei brogliacci, va contrapposto il
diritto del giornalista di acquisire documenti e
conoscere carte processuali.
Il giornalismo investigativo deve rinascere,
può essere giornalismo investigativo sul
campo, ma anche, direi soprattutto, giornalismo investigativo sui fascicoli e sugli atti dei
processi.
Il mestiere del giornalista sarà ancor più impegnativo e faticoso, dovrà essere attento
agli equilibri tra accusa e difesa, ma sarà un
mestiere più ricco e dovrà essere più responsabile.
Questo per la dignità del lavoro del reporter,
ma anche per la dignità del magistrato e soprattutto, forse un po’ retoricamente, per la
dignità della giustizia.
Corso Bovio
na la vita con un occhio puntato soprattutto agli errori. Oltre
agli archivi all’Università del Texas, Shepard ha utilizzato oltre 200 interviste attingendo anche agli atti del divorzio di
Bernstein dalla regista Nora Ephron, agli archivi del regista
Alan Pakula che diresse Tutti gli uomini del Presidente e agli
appunti di Robert Redford.
.
(ANSA)
Giornalisti: tre uccisi
al mese nel mondo
Washington, 20 settembre 2006. Negli ultimi 15 anni, ben 78
giornalisti sono stati uccisi in Iraq, che, secondo un recente rapporto, è il Paese più pericoloso per i professionisti dell'informazione. “Fare il giornalista è sempre più rischioso”, spiega lo studio, effettuato dalla Commissione per la protezione dei giornalisti, un’associazione di New York che promuove la libertà di
stampa. In media vengono uccisi più di tre reporter al mese, in
giro per il mondo, e in totale, negli ultimi 15 anni, 580 giornalisti sono morti nello svolgimento del loro lavoro, giudicato spesso scomodo o inaccettabile da governi e militari. Fra i Paesi che
hanno visto più uccisioni di giornalisti, dopo i 78 in Iraq, vi sono l’Algeria, dove negli ultimi 15 anni sono stati uccisi 60 giornalisti, quindi la Russia, con 42 e la Colombia, con 37.
Neanche il 2006 fa ben sperare: finora sono morti 31 giornalisti nel mondo, di cui 20, cioè due terzi, soltanto in Iraq. Due di
meno rispetto all’intero corso del 2005, in cui hanno perso la
vita 22 giornalisti in Iraq e 47 in totale nel mondo. “È chiaro a
tutti quanto sia diventato pericoloso lavorare in Iraq - ha detto
Joel Simon, direttore dell’associazione - e i giornalisti iracheni
sono i più vulnerabili”. I rischi più grandi sono corsi infatti dalla
stampa locale: circa l’85% degli omicidi registrati dal 1992, riguarda giornalisti del posto, piuttosto che corrispondenti stranieri. In Iraq sono 60 i giornalisti iracheni uccisi negli ultimi tre
anni, cioè da quando gli Stati Uniti hanno invaso il Paese. Lo
studio rivela infine che sette giornalisti su 10, fra le vittime degli ultimi 15 anni, costituivano un bersaglio perché erano in
qualche modo critici del governo: nel 27% dei casi, il governo
stesso o gli ufficiali militari sono considerati responsabili degli
omicidi.
(ANSA)
ORDINE
9-10
2006
Oltre 350 immagini dal 2 novembre al Museo di Storia contemporanea a Milano
M
O
S
T
R
A
di Patrizia Pedrazzini
“Quarto potere nelle mani della società civile, strumento di
denuncia e di conoscenza o mezzo di manipolazione delle
coscienze?”. È sulla traccia di questo “interrogativo antico”
che si sviluppa la mostra Il fotogiornalismo in Italia 1945 2005, a cura di Uliano Lucas e in programma a Milano, al
Museo di Storia contemporanea di via Sant’Andrea 6, dal 2
novembre al 7 gennaio. Un viaggio lungo sessant’anni nella storia del nostro Paese, per raccontare, in oltre 350 immagini, l’evolversi del linguaggio dell’informazione, e quindi
del fotogiornalismo, in rapporto alle mutate richieste della
società, dei suoi centri di potere, del mondo editoriale.
Ma soprattutto un viaggio che è un richiamo a riflettere, a
porsi domande oggi dimenticate, al di là e a prescindere
dalla facile retorica dalla quale la fotografia d’informazione
è, suo malgrado, avvolta. Documentano veramente, le foto
pubblicate in oltre mezzo secolo sulle decine di periodici italiani, la realtà del Paese? Cosa hanno fotografato i fotoreporter, e cosa hanno scelto di pubblicare i direttori? Qual è
stato, e qual è, il limite del loro fare informazione? In che misura le richieste dell’editoria hanno condizionato, se non ad-
dirittura modificato, il modo di fotografare?
Patrocinata dai ministeri dei Beni culturali, degli Affari esteri e dell’Istruzione, oltre che dall’Ordine dei giornalisti e dei
fotogiornalisti, la mostra si pone quindi, dice Uliano Lucas,
“non come un insieme di belle figurine o di belle foto, ma
come un invito a ragionare”. Perché, scrive (con Tatiana
Agliani) nell’introduzione al catalogo, “il fotogiornalismo, nei
suoi intenti e nelle sue formule originari, è morto da lungo
tempo, e tuttavia mai c’è stata epoca in cui la retorica dell’informazione è stata più grande”.
Sessant’anni di fotogiornalismo italiano
fra scomoda realtà e strumento di potere
Dal neorealismo
all’estetismo d’autore
Milano com’era,
Milano com’è
Ecco allora il viaggio. Dalla cronaca, dai reportage, dalla grafica dei giornali nell’immediato dopoguerra al passaggio dall’informazione all’intrattenimento che caratterizza il
“nuovo corso” della fotografia negli anni
Cinquanta; dal rotocalco del boom economico al fotogiornalismo della contestazione; fino
alla fotografia giornalistica dell’era postmoderna, sospesa fra creatività e omologazione.
Dal neorealismo al paparazzismo, dal reportage sociale agli scatti di cronaca degli anni
del terrorismo e delle stragi di mafia, dalla foto d’evasione all’ingresso nel mondo dell’arte
e del collezionismo.
Ma la mostra è anche una storia di direttori,
intellettuali e reporter che hanno tentato di infrangere il muro dell’informazione “di potere”
e di fare un buon giornalismo d’immagine.
Ecco, come si legge sempre nell’introduzione,“all’indomani di una democrazia ritrovata”,
in un Paese “che ha conosciuto per vent’anni
solo l’informazione di regime dell’Istituto
Luce” e sul quale pertanto pesa “la mancanza di una cultura visiva”, l’Europeo di Arrigo
Benedetti che offre al lettore, con i suoi scatti secchi ed essenziali, uno spaccato privo di
retorica dell’Italia del dopoguerra. Ecco
Tempo, con il grande reportage, firmato
Federico Patellani, sui minatori di Carbonia.
Ecco - e siamo nel 1950 - Epoca, e il “colore
sgargiante quanto innaturale dei primi ektacrome, che si fa efficace interprete del nuovo
ottimismo della società dei consumi”. Ecco,
nello stesso decennio, accanto alla “foto neutra, buona per ogni testata, che possa adattarsi alle diverse linee editoriali con una semplice modifica nella didascalia”, anche la scoperta tardiva, ma prepotente, da parte di una
nuova generazione di giovani, della fotografia
d’impegno civile del giornalismo europeo e
statunitense degli anni Quaranta. Settimo
Giorno, L’illustrazione italiana, Il Mondo di
Mario Pannunzio. E “la foto emblematica, ricca di ambiguità, pretenziosa nella sua funzio-
Fino ai femminili. E allo stabilirsi di “quello
stretto nesso fra stampa, pubblicità e modelli imposti dalla società dei consumi, che
influenza profondamente la natura dell’informazione, in Italia come all’estero,
spingendo sempre più verso la definizione
di una realtà virtuale o di un ideale di realtà
che, in un’epoca dominata dalle immagini,
finisce con il condizionare profondamente la
percezione e concezione del vivere della
gente”.
Gli anni Ottanta e Novanta, l’avvento del digitale, la perdita di quell’informatore che era
il fotografo, vero, come lo definisce Roby
Schirer, “occhio del giornale sul mondo”. E,
sono parole di Mario Dondero, le “foto estetiche, vuote di contenuti, senza carica sociale, senza critica della società, bellissime
immagini”. Ecco la fotografia d’intrattenimento, “la fine, nel bene come nel male, di
un giornalismo concepito come uno dei poteri fondamentali di ogni stato democratico”.
Mentre il vecchio reportage, “assurto ormai
a forma d’espressione artistica, perde la
sua carica di pressante denuncia”.
La mostra, frutto degli scatti di oltre 150 fotografi (“ne mancano alcuni - tiene a precisare Lucas - ma solo perché non hanno voluto farne parte”), reduce dal successo riscosso a Torino, approda nel capoluogo
lombardo arricchita da una sezione dedicata a Milano e alle sue metamorfosi dal dopoguerra a oggi. La capitale morale ed economica che la città è stata fino agli anni
Sessanta, i suoi quartieri ancora popolari,
le periferie degli immigrati, le fabbriche di
Sesto San Giovanni e della Bovisa, visti con
gli occhi dei reporter e dei fotografi di cronaca dei giornali del pomeriggio. I nuovi
spazi metropolitani degli anni Settanta.
Fino alla città invisibile del Duemila, e alla
fatica di catturare e di decifrare, con uno
scatto, la complessità di un presente sempre più immateriale.
ne simbolica, carica di seduzioni e di differenti
gradi di lettura”.
Poi il “giornalismo totale” di Le Ore e Vie
Nuove, e un’Italia che si affaccia alla stagione del boom economico con schiere di fotoreporter dallo “straordinario potenziale umano, di forza intellettuale e creativa”. Solo che
“il giornalismo d’informazione non lo sa o non
lo vuole sfruttare”. E, di seguito, gli anni della
contestazione, la scoperta che la fotografia riveste un’importanza capitale nell’informazione, i quotidiani che si precipitano a creare
propri staff fotografici, le immagini di vita me-
tropolitana dei quotidiani del pomeriggio, le
“decine di giornali, della sinistra extraparlamentare, dei sindacati, antimilitaristi, anarchici o della creatività, che fioriscono per dare
quella che allora era la controinformazione e
che avrebbe dovuto essere solo l’informazione”.
Quindi i rotocalchi della Mondadori, rivolti a
quella “borghesia che produce e lavora” della
quale parlava già nel ’53 il fondatore Arnoldo,
e che “puntano tutto su un giornale di immagini, che colpisca appunto per la sua grandeur”. Ecco Mario De Biasi e Mauro Galligani.
Uliano Lucas: “La fotografia? Deve diventare materia di studio”
“La fotografia? Un problema di cultura”.
Milanese, classe 1942, maestro del fotogiornalismo italiano, autore in Italia e nel
mondo di reportage sempre contraddistinti da spirito di indipendenza, forte impegno civile e grande capacità narrativa,
Uliano Lucas non ha dubbi, e insiste: la fotografia deve essere studiata. Da parte di
chi la pratica, ma anche da parte di chi la
utilizza, e non da ultimo da parte di chi la
guarda, perché, altrimenti, “non la sa leggere”.
Eppure non è certo in una tradizione di
studio che il fotogiornalismo italiano
affonda le proprie radici.
No, in questo senso la nostra è una tradizione di tipo artigianale. Anche se, grazie all’intelligenza, al gusto, alle indiscusse capacità di
tanti nostri fotografi, siamo comunque riusciti
a dar vita a un grande fotogiornalismo. Ma
quanti talenti sono stati sprecati, all’interno
dei giornali, perché non funzionali al sistema?
ORDINE
9-10
2006
Il fotogiornalista non ha mai avuto uno status
vero e proprio, e continua a non averlo.
Insomma, come al solito, all’estero va molto meglio.
Diciamo che il sistema organizzativo dell’immagine, in questo Paese, non ha mai investito sulla fotografia. E questo perché, a causa
del nostro ritardo culturale, non la comprendeva. E oggi non è diverso. Edilio Rusconi,
per esempio, aveva capito molto bene l’utilizzo dell’immagine. Ma poi, nel nostro panorama editoriale, hanno finito col prevalere la
paura, la mancanza di comprensione, le fonti inadeguate.
Una buona fetta di responsabilità andrà
anche alla televisione.
Indubbiamente. Senz’altro la crisi del fotogiornalismo è collegata alla tv e ai suoi introiti pubblicitari. Anche se bisognerebbe riflettere sul fatto che l’immagine televisiva ti passa
davanti e subito dopo te la sei dimenticata.
Mentre il destino di una fotografia è ben diverso. Ma occorre anche ragionare, per quanto riguarda i giornali, sulla fine della cronaca.
E dei quotidiani del pomeriggio. Nel senso
che, mentre quelli del mattino erano rivolti a
una sorta di élite di lettori, quelli appunto del
pomeriggio lavoravano sull’onda lunga della
curiosità della gente.
Quindi attingevano a più fonti fotografiche,
agenzie, free lance, gente che lavorava dentro la vita della città. Mentre oggi si attinge a
fonti uniche. E ancora: una volta c’erano stili
fotografici diversi per i diversi quotidiani. Oggi
più nessun quotidiano ha un suo stile fotografico. E la stessa foto artistica, la si ritrova
uguale su tutti.
All’estero come funziona?
All’estero esiste, nei giornali, la figura del redattore fotografico, una figura autonoma e
che attinge a più fonti. Ma lo sa che a noi, da
tre quarti del mondo, non arrivano fotografie?
Prendiamo la Cina, per esempio. Oggi come
oggi i fotogiornalisti cinesi sono i più straordinari. Ma noi cosa pubblichiamo? Le solite foto di grattacieli e autostrade. E il resto? Il resto non serve al sistema, e allora non lo si
pubblica. Da noi si illustra, si mette in pagina
la foto tappabuchi. Ma questa non è comunicazione.
Lei insiste molto anche sulla questione
della cultura.
Assolutamente. Il rapporto fra fotogiornalismo
e cultura è strettissimo. Non è un caso che
quello europeo sia nato nella Germania degli
anni Venti, dove il tasso di scolarizzazione era
molto elevato. Quanto alla fotografia, dovrebbe diventare materia di studio sia nelle scuole di giornalismo, che nelle Università.
Dovrebbe essere studiata, e bene.
Così come, nelle Università per esempio, si
potrebbero allestire musei della fotografia,
frutto dei tanti archivi fotografici accumulati,
anche dai giornali, nel tempo. E a rischio di
andare perduti.
21
L ’ A N A L I S I
di Franco Abruzzo
presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia;
docente a contratto di Diritto dell’informazione alle
Università di Milano Bicocca e Iulm di Milano.
Gli esami di Stato delle professioni intellettuali subiscono una
riforma radicale nel senso che il legislatore delegante si è
preoccupato, dopo 20 anni di sentenze opposte tra alcuni Tar
(in particolare Milano-gestione Mariuzzo, Ancona, Bologna,
Brescia, Lecce, Latina) e il Consiglio di Stato, di imporre la
motivazione in tema di giudizi negativi degli elaborati scritti e
delle prove orali. Due articoli (11 e 12) del dlgs 24 aprile 2006
n. 166 (Norme in materia di concorso notarile, pratica e tirocinio professionale) hanno ribaltato la linea consolidata del
Consiglio di Stato secondo la quale l'onere di motivazione in
riferimento alla valutazione delle prove scritte di un concorso
pubblico o di una procedura selettiva per il conseguimento
dell’idoneità per l’iscrizione negli albi e collegi professionali è
di regola sufficientemente adempiuto con la sola attribuzione
del punteggio numerico, essendo questa una espressione
sintetica, ma eloquente, della valutazione compiuta dalla
commissione. Palazzo Spada, con cocciuta pervicacia, ha di
fatto disapplicato per oltre 15 anni il primo comma dell’articolo 3 della legge 241/1990 (“Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione ammi-
nistrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal
comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione
dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”).
Il quinto comma dell’articolo 11 (Correzione delle prove scritte) del dlgs sul concorso notarile afferma: “Il giudizio di non
idoneità è motivato. Nel giudizio di idoneità il punteggio
vale motivazione”, mentre il quinto comma dell’articolo 12
(Svolgimento delle prove orali) ribadisce: “La mancata approvazione è motivata. Nel caso di valutazione positiva il
punteggio vale motivazione”.
Le norme, di cui agli articoli 11 e 12 dlgs 166/2006 non possono essere considerate di carattere settoriale e derogatorio.
Lo impedisce l’articolo 3 della Costituzione: non ci possono
essere comportamenti difformi nella pubblica amministrazione, obbligata peraltro alla trasparenza e all’imparzialità.
Finora era la giurisprudenza (del Consiglio di Stato) ad avere imposto una lettura distorta dell’articolo 3 della legge
241/1990. Oggi gli articoli 11 e 12 del dlgs 166/2006 valgono
almeno come orientamento nella interpretazione “autentica”
dello stesso articolo 3 della legge 241/1990. In sostanze le
bocciature allo scritto e all’orale devono essere motivate. Gli
aspiranti professionisti hanno diritto di conoscere le valutazioni negative delle Commissioni d’esame anche per trarne
un insegnamento per le prove future.
Le professioni e l’esame di Stato:
il giudizio negativo va motivato.
Il dlgs sul concorso notarile corregge
il Consiglio di Stato. Vincono i Tar
La “legge omnibus” n. 168/2005
Nel giro di un anno gli esami di Stato hanno subito cambiamenti profondi. La “legge omnibus” (n. 168/2005 pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 194 del 22 agosto 2005) ha inciso
sugli esami di Stato, soprattutto quando emergono disparità
di trattamento nelle prove scritte. In breve il candidato, che supera le prove orali, anche se l’ammissione è stata decisa da
ordinanze dei Tar, “consegue a ogni effetto” l’abilitazione professionale.
La legge di conversione (con modificazioni) del decreto legge 30 giugno 2005 n. 115 (meglio noto come “decreto legge
omnibus”), approvata il 20 luglio 2005 dal Senato e il 30 luglio dalla Camera in via definitiva, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 194/2005 come legge 17 agosto 2005 n. 168,
contiene un norma destinata a pesare sugli esami di Stato di
tutte le professioni intellettuali (in particolare di quelle di avvocato, notaio, commercialista ed architetto, le più bersagliate di ricorsi ai Tar e al Consiglio di Stato). La legge interviene in sostanza sulle modalità di svolgimento degli esami,
stabilendo che “conseguono a ogni effetto l’abilitazione professionale i candidati in possesso dei titoli per partecipare al
concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte e
orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela”.
Questa esplosiva novità è contenuta nel terzo comma (“2bis”) dell’articolo 4 del provvedimento legislativo. I primi due
commi regolano le elezioni degli Ordini professionali inquadrati dal Dpr 328/2001, mentre il terzo comma detta “disposizioni in materia di abilitazioni e di titolo professionale” come
annuncia la rubrica dell’articolo 4 della legge di conversione.
Questo terzo comma, quindi, riguarda, come si evince anche
dai lavori parlamentari, gli esami di tutte le professioni, anche
di quelle non regolate (come gli avvocati, i medici, i consulenti del lavoro e i giornalisti) dal Dpr 328/2001.
Questa normativa riguarda soprattutto i candidati, che abbiano ottenuto l’iscrizione con riserva nell’Albo dopo aver superato le prove orali dell’esame di Stato anche a seguito di
provvedimenti cautelari dei Tar e del Consiglio di Stato, che
hanno ammesso gli stessi alla prova orale senza aver disposto “il riesame degli elaborati scritti da parte di una
Sottocommissione diversa da quella che ha formulato il giudizio negativo impugnato”. Il terzo comma dell’articolo 4 della legge n. 168/2005 non ammette interpretazioni diverse.
L’iscrizione temporanea in sostanza diventa definitiva, anche
perché di fatto la nuova legge suggerisce che la prova orale
(positiva) abbia assorbito quella scritta (il cui giudizio negativo sia stato fulminato dalle ordinanze dei Tar e del Consiglio
di Stato). Si tratta di casi in cui i Tar e il Consiglio di Stato hanno accertato che gli elaborati, corretti in tempi minimi, avevano subito un trattamento negativo rispetto ad elaborati di
identica “qualità” giudicati, invece, positivamente. È risultato
decisiva l’acquisizione degli elaborati valutati positivamente e
corretti dalla stessa Commissione (magari nella stessa giornata).
La lunga battaglia Tar-Consiglio di Stato
sull’articolo 3 della legge 241/1990
È il caso di ripercorrere, sia pure sinteticamente, la lunga battaglia tra Tar e Consiglio di Stato sull’articolo 3 della legge
241/1990, cioè sulla motivazione dei punteggi insufficienti
nelle prove scritte degli esami di Stato (degli avvocati in primis).
La valutazione degli aspiranti procuratori leali, essendo finalizzata a verificare il possesso da parte dei candidati delle ne-
22
cessarie conoscenze di base di diritto sostanziale e processuale, desumibili dalla correttezza giuridica delle soluzioni date alle questioni oggetto delle prove scritte, non può essere
sorretta da un mero punteggio numerico (idoneo, di per sé.
ad esprimere soltanto un apprezzamento di valore del candidato esaminato, ma non ad esternare le rioni che ne hanno
giustificato l’attribuzione), richiedendosi l’espressione di un
giudizio, sia pure sintetico, ma idoneo a dare conto della negatività della valutazione, con riguardo alla gravità delle lacune dimostrate nella preparazione richiesta (Tar Marche,
12.02.1993, n. 66, in Giur. Merito, 1993, 408 ss., e in Giust.
Civ., 1993, 1, 1140 ss).
È illegittimo il giudizio di non ammissione di un candidato alla prova orale (nella specie, per gli esami di abilitazione all’esercizio della professione di procuratore legale) qualora - in
disparte la considerazione che la particolare ed elevatissima
qualificazione dell’esame impone complesse valutazioni, difficilmente sintetizzabili nel solo voto numerico - esso, peraltro
espresso sulla base di astratti criteri di valutazione caratterizzati da genericità, appaia inidoneo ad esplicitare l’effettiva
osservanza dei criteri e delle modalità predeterminati dalla
commissione e, perciò, tale da non esprimere assolutamente le ragioni della valutazione (Tar Puglia, sez. I Lecce, 27
marzo 1996, n. 120; Parti in causa Messuti c. Min. giust.;
Riviste Foro Amm., 1996, 3464, n. Colzi).
Il giudizio espresso da una commissione giudicatrice sulla
prova scritta di un candidato agli esami per l’iscrizione nell’albo di procuratore legale è soggetto all’obbligo di motivazione ex art. 3 l. 7 agosto 1990 n. 241, che non può ritenersi
soddisfatto con l’attribuzione di un semplice voto numerico
(Tar. Lombardia, sez. III Milano, 29 giugno 1996, n. 890;
Riviste: Foro Amm., 1997, 523; Rif. Legislativi L 7 agosto
1990 n. 241, art. 3).
Anche in materia di esami di abilitazione alla professione di
avvocato la non ammissione alle prove orali deve fondarsi su
una motivazione che, ai sensi dell’articolo 3 della legge 7
agosto 1990 n. 241, ponga il destinatario del provvedimento
nella condizione di ricostruire l’iter logico seguito dalla commissione esaminatrice, la quale non può limitarsi alla mera indicazione dei voti numerici assegnati alle prove scritte che,
nella fattispecie, risultano essere di alta difficoltà tecnica e
comportanti la soluzione di complesse questioni giuridiche
specie quando tali prove appaiono anche essere state oggetto di una sommaria lettura, dal momento che gli elaborati
acquisiti a seguito di istruttoria non portano segni di correzione o annotazioni che possano quanto meno consentire
l’individuazione di specifici argomenti sui quali la commissione abbia soffermato negativamente la sua attenzione (Tar.
Lazio, Latina, 5 marzo 1999, n. 188; Parti in causa Pesce c.
Min. giust.; Riviste Foro Amm., 1999, 1084; Rif. legislativi L 7
agosto 1990 n. 241, art. 3).
Nonostante il contrario orientamento della giurisprudenza del
Consiglio di Stato, la Commissione dell’esame di avvocato,
secondo costante giurisprudenza, non può valutare, nel rispetto dell’art. 3, L. 7 agosto 1990, n. 241, le prove mediante una semplice espressione numerica, ma deve motivare
adeguatamente il giudizio di insufficienza onde permettere la
ricostruzione dell’iter valutativo e il suo assoggettamento al
controllo giurisdizionale. (Tar Lombardia Brescia 15-03-2003,
n. 329; Malcangi c. Ministero giustizia e altri; FONTI Massima
redazionale, 2003)
Tar Lombardia: decida la Corte
costituzionale
Va sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 241/1990, il quale prevede un obbligo di puntuale
motivazione per tutti gli atti amministrativi, nella parte in cui -
secondo l’interpretazione datane dal Consiglio di Stato (v. in
part. il parere 9 novembre 1995, n. 120 reso dall’Adunanza
Generale) - non si applicherebbe alla valutazione delle prove
scritte previste per concorsi pubblici ed in particolare a quelle
previste per l’accesso alla professione di avvocato, essendo
stato ritenuto sufficiente che la valutazione delle dette prove sia
espressa solo con coefficienti numerici.
Tale interpretazione, infatti, sembra contrastare:
a) con l’art. 3 Cost. perché non appare ragionevole una disposizione normativa inserita nella legge generale sul procedimento amministrativo che, mentre consacra il generale principio dell’obbligo di motivazione, tra l’altro facendo
specifico riferimento a "lo svolgimento dei pubblici concorsi", ne esclude l’applicazione a categorie di atti (nella specie i giudizi sugli esami d’abilitazione) rispetto ai quali l’esigenza dei destinatari di conoscere, attraverso un’idonea
motivazione, le concrete ragioni poste a fondamento della
loro adozione non è diversa, né minore di quella dei soggetti interessati agli altri atti amministrativi, se del caso
egualmente esprimenti valutazioni di natura tecnica, sicuramente vincolati all’osservanza della norma;
b) con gli artt. 24 e 113 Cost., perché la non soggezione all’obbligo di motivazione dei giudizi d’esame di cui si discute, traducendosi nell’impossibilità per il singolo candidato
bocciato di conoscere e controllare le ragioni poste a base del giudizio negativo, interdice ogni concreta tutela nella già assai limitata sede della giurisdizione di legittimità,
in cui al giudice amministrativo è consentito il solo riscontro dell’iter logico delle valutazioni di merito compiute dalle commissioni esaminatrici; quando, al contrario, anche
tale limitato sindacato viene precluso di fronte al mero dato numerico del voto, non illustrato, cioè spiegato da una
almeno sintetica, ma concreta, motivazione, la tutela così
consentita dall’ordinamento si riduce al solo riscontro di
profili estrinseci e formali, quali quelli inerenti al rispetto
delle garanzie connesse alla collegialità dell’organo giudicante ed alla sua composizione con una cospicua riduzione del tasso di effettività dei giudizi nella sede generale
della legittimità;
c) con l’art. 97 Cost. perché la sottrazione di una categoria di
atti all’obbligo di motivazione appare confliggente sia con
il principio di imparzialità (evidentemente meno garantito
da un giudizio espresso in forma solo numerica), sia con
il principio di buon andamento dell’amministrazione, che in
un ordinamento modernamente democratico si traduce
anche nella piena trasparenza dell’azione amministrativa;
né le esigenze di snellezza e speditezza del procedimento, pure riconducibili al principio di buon andamento ex art.
97 Cost. e che sono pianamente percepibili nel già ricordato avviso dell’Adunanza generale, possono essere ritenute prevalenti rispetto all’inderogabile necessità di assicurare il più corretto rapporto tra cittadino e amministrazione pubblica, essendo invece diversamente tutelabili attraverso un’applicazione del principio dell’obbligo di motivazione ragionevole e proporzionato ai richiamati obiettivi
di trasparenza e di tutela (Tar Lombardia - Milano, Sez. III
- Ordinanza 7 febbraio 2000 n. 30 - Pres. ed Est. Mariuzzo).
La Corte costituzionale risponde: la questione è palesemente inammissibile, perché essa non è in realtà diretta
a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma si
traduce piuttosto in un improprio tentativo di ottenere l’avallo a favore di una determinata interpretazione della
norma, attività, questa, rimessa al giudice di merito, tanto
più in presenza di indirizzi giurisprudenziali non stabilizzati.
È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale - sollevata dal Tar per la Lombardia, Sez. III, in reORDINE
9-10
2006
Il Blog è giornalismo: la valutazione viene
da una sentenza di un giudice di Aosta,
Eugenio Gramola, che ha condannato il
giornalista Roberto Mancini per diffamazione in relazione ad alcuni “post” pubblicati
sul suo blog
Il blog è uno spazio giornalistico e chi lo
gestisce può essere equiparato al direttore
di una pubblicazione giornalistica. La valutazione viene da una sentenza di un giudice di Aosta, Eugenio Gramola, che ha condannato il giornalista Roberto Mancini per
diffamazione in relazione ad alcuni “post”
pubblicati sul suo blog “Il generale Zhukov:
il bolscevico stanco” .
La vicenda è stata segnalata da Carlo
Felice Della Pasqua sul suo blog
“Reporters”, su cui è possibile consultare
l’intera sentenza in pdf.
“Colui che gestisce il blog - afferma in particolare il giudice aostano - altro non è che
il direttore responsabile dello stesso, pur se
non viene formalizzata formalmente tale
forma semantica per indicare la forma del
gestore e proprietario di un sito internet”.
“Al di là delle critiche che si possono fare
e che sono state già fatte alla sentenza rileva Carlo Felice Della Pasqua - credo si
tratti comunque di un testo importante perché - a quanto ne so - si tratta della prima
in Italia contro un blogger accusato di diffamazione a mezzo stampa (anzi, a mezzo blog)”. “Da notare - scrive ancora Della
Pasqua - che a Mancini non sono state riconosciute le attenuanti generiche nonostante fosse incensurato (fatto non molto
frequente, mi pare) e che gli è stata applicata la pena pecuniaria, e non quella detentiva, ‘tenuto conto del carattere satirico
della pubblicazione e del fondo di verità in
linea generale ravvisabile in quanto esposto’ nel blog”.
Il Blog è giornalismo.
Lo dice un giudice
NORME IN RETE MOVIMENTO
DI PRESSIONE TRA I BLOG
Brevetti per il secondo Web
Vittoria (a metà) di Tom Raftery sull’uso
dello slogan - E in Usa i blogger vengono
dichiarati giornalisti a tutti gli effetti
A citarlo sono in tanti. Di sicuro i 35 milioni di blogger che popolano la rete. E una
grande fetta del miliardo di internettari
sparsi per il mondo. Non tutti sanno però
che lo slogan “Web 2.0”, il simbolo della
condivisione, della partecipazione e dell’interattività della seconda vita di Internet,
è un marchio registrato. E che per poterlo
utilizzare per eventi pubblici è necessario
chiedere il permesso a chi ne ha acquisito, legalmente, i diritti.
È la storia di Tom Raftery, insignito come
"Tech Blogger" dell’anno nella sua Irlanda
e soprattutto fondatore di It@Cork, organizzazione no profit che promuove l’adozione dell’information technology tra le imprese operanti nell’omonima contea.
Quando in febbraio Raftery ha avviato i
preparativi per organizzare la «Web 2.0
Half Day Conference» non avrebbe mai
immaginato che quella tavola rotonda tra
"smanettoni del social networking" sarebbe uscita dai confini della sua isola per
balzare, di blog in blog, fin sulle pagine del
lazione agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione - dell’art.
3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nella parte in cui - secondo l’interpretazione datane dal Consiglio di Stato - non
prevederebbe l’obbligo di motivazione per i giudizi d’esame.
La questione è palesemente inammissibile, perché essa
non è in realtà diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma si traduce piuttosto in un improprio tentativo di ottenere l’avallo della Corte costituzionale a favore di
una determinata interpretazione della norma, attività, questa, rimessa al giudice di merito (Corte Cost., ord. nn. 70
del 1998 e 436 del 1996), tanto più in presenza di indirizzi
giurisprudenziali non stabilizzati (Corte Cost., sent. n. 350
del 1997). (Corte costituzionale - Ordinanza 3 novembre
2000 n. 466. La Consulta ha deciso di non decidere sulla
questione del voto numerico anche con la sentenza14.11.2005 n° 419).
Corte costituzionale:
il giudice ha il dovere di seguire
l’interpretazione ritenuta più adeguata
ai principi costituzionali
“Pur essendo indubbio che nel vigente sistema non sussiste un obbligo per il giudice di merito di conformarsi agli
orientamenti della Corte di Cassazione (salvo che nel giudizio di rinvio), è altrettanto vero che quando questi orientamenti sono stabilmente consolidati nella giurisprudenza al punto da acquisire i connotati del “diritto vivente” - è ben
possibile che la norma, come interpretata dalla Corte di legittimità e dai giudici di merito, venga sottoposta a scrutinio
di costituzionalità, poiché la norma vive ormai nell’ordinamento in modo così radicato che è difficilmente ipotizzabile
una modifica del sistema senza l’intervento del legislatore o
di questa Corte. In presenza di un diritto vivente non condiviso dal giudice a quo perché ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha la facoltà di optare tra l’azione, sempre
consentita, di una diversa interpretazione, oppure - adeguandosi al diritto vivente - la proposizione della questione
a questa Corte; mentre è in assenza di un contrario diritto
vivente che il giudice rimettente ha il dovere di seguire l’interpretazione ritenuta più adeguata ai principi costituzionali
(cfr., ex plurimis, sentenze n. 226/1994, n. 296/1995 e n.
307/1996)”. (Corte costituzionale, sentenza n. 350/1997)
Consiglio di Stato-sentenza n.
5108/2003: basta il punteggio numerico
L’onere di motivazione in riferimento alla valutazione delle
prove scritte di un concorso pubblico o di una procedura
selettiva per il conseguimento dell’idoneità per l’iscrizione
negli albi e collegi professionali è di regola sufficientemente adempiuto con la sola attribuzione del punteggio numerico, essendo questa una espressione sintetica, ma eloquente, della valutazione compiuta dalla commissione (nella specie esame per l’idoneità all’esercizio della professione di avvocato). (Cons. Stato Sez. IV 15-09-2003, n. 5108;
ministero Giustizia c. L.; FONTI Foro Amm. CDS, 2003,
2532).
(Questa linea è stata successivamente ribadita dalla IV
sezione del Consiglio di Stato, in maniera secca, con
le sentenze 5175/2004 e 6155/2004 nonché dalla V sezione con le sentenze 8095/2004 e 4165/2005; quest’ultima afferma in maniera brutale quanto concisa: “Il
semplice voto in forma numerica attribuito dalle
Commissioni alle prove scritte od orali di un concorso
pubblico o di un esame di abilitazione è sufficiente”).
ORDINE
9-10
2006
New York Times. Il tutto alla velocità della
Rete.
“Il 24 maggio ho ricevuto una lettera in cui
mi si chiedeva di cambiare nome all’evento - racconta Raftery -. Sono rimasto allibito”. A inviarla sono stati i legali della
Cmp, società di marketing della United
Business Media che con Tim O’Really, a
capo dell’editore informatico O’Really
Media, organizza dal 2004 un summit annuale intitolato Web 2.0 Conference. La
stessa società ha registrato il marchio negli Stati Uniti e lo scorso 21 marzo ha presentato domanda presso l’ufficio brevetti
europeo. Qualcosa è però andato storto
nei piani degli avvocati. A sole due ore dalla pubblicazione del primo post sul caso,
sul blog di Raftery sono arrivati centinaia
di messaggi di solidarietà. Una petizione
virtuale che spontaneamente si è allargata a macchia di leopardo finendo anche su
Boingboing.net, tra i più noti e apprezzati
blog dell’ipertesto.
Il mugolio degli internauti non è risultato
vano: dopo tre giorni Raftery ha ricevuto
una comunicazione dalla Cmp che autorizza la It@Cork a tenere nella data prefissata dell’8 giugno la conferenza e in via
occasionale a non cambiarne il titolo. Lo
stesso Tim O’Really, pur difendendo le ragioni e la validità del marchio, si è scusato personalmente per l’accaduto con il
blogger irlandese.
Sentenza 6160/2000 della IV sezione
del Consiglio di Stato: “Sindacabile
la discrezionalità, che non è sinonimo
di arbitrarietà”
Il Cds, dopo l’ordinanza della Consulta sull’articolo 3 della
legge 241/1990, ha, con questa decisione, razionalizzato il
suo pensiero sulla correzione degli elaborati dei concorsi
pubblici.Scrive il Cds:
“II.3. Circa le doglianze svolte dall’appellante circa la negativa valutazione delle prove scritte, il Collegio ritiene di dover
osservare quanto segue.
È notorio che la valutazione delle prove di esame da parte
delle commissioni esaminatrici di concorsi a pubblici impieghi
è espressione dell’ampia discrezionalità tecnica di cui esse
dispongono nello stabilire l’idoneità tecnica e culturale dei
candidati.
Poiché discrezionalità non è sinonimo di arbitrarietà, il relativo esercizio è stato ritenuto sindacabile sotto il profilo dell’eccesso di potere (C.d.S., Sez. IV, 8 settembre 1997 n. 955),
per illogicità manifesta, travisamento dei fatti e palese disparità di trattamento (C.d.S., Sez. IV, 24 marzo 1997 n. 298): tuttavia nessuno di tali profili è stato rilevato in prime cure.
Invero l’appellante ha lamentato che la valutazione contestata era affetta da una (presunta) carenza di motivazione in
quanto il voto numerico assegnato dalla Commissione esaminatrice non era in grado di far capire l’iter logico-giuridico
seguito dalla commissione nella correzione degli elaborati
per addivenire ad una valutazione così negativa.
Così formulato il motivo è stato giustamente respinto dai primi giudici.
Anche se la storia ha avuto un lieto fine, ci
si interroga ora su quale sia l’utilizzo possibile di “Web 2.0”. Sbirciando tra i messaggi, i blogger si chiedono se “sia stata
una vittoria di Pirro” e se il motto non sia
comunque “finito nella scure del business”.
I dubbi svaniscono leggendo il documento
del Patent Office del Regno Unito (dove la
Cmp ha formalizzato la richiesta europea)
da cui si apprende che il brevetto non si
estende all’utilizzo generico del termine
ma è limitato all’organizzazione di conferenze. O’Really, dalle pagine del suo blog,
conferma: “Il brevetto è valido solo per gli
eventi”. Intanto, se negli Stati Uniti non è
più possibile cambiare le regole, nella Ue
chi non è d’accordo sull’acquisizione del
brevetto sul termine “Web 2.0” può opporsi entro il 21 giugno, il giorno in cui scade
il periodo di tre mesi che i soggetti terzi
hanno a disposizione per porre eventuali
obiezioni.
Tra diritto del web e attivismo dal basso, il
successo di Raftery non è l’unico che si
iscrive nel libro della blogosfera. La scorsa
settimana la Apple ha perso una causa
con i titolari di due diari elettronici
(AppleInsider e PowerPage) che nel 2004
avevano pubblicato anticipazioni su
Asteroid, un progetto in lavorazione nella
"bottega" di Cupertino. Per il Tribunale di
Santa Clara i due blogger non sono tenuti a rivelare la fonte delle loro notizie. Nei
giardini della Silicon Valley si è parlato di
sentenza rivoluzionaria perché equipara,
di fatto, i siti americani a testate, i blogger
a giornalisti, estendendo la tutela del segreto professionale a chiunque pubblichi
in modo periodico e continuativo contenuti su Internet.
Vito Lops
[email protected]
È stato ripetutamente affermato che anche dopo l’entrata in
vigore della legge 7 agosto 1990 n. 241 l’onere di motivazione delle prove scritte di un concorso pubblico è sufficientemente adempiuto con la sola attribuzione del punteggio numerico, quest’ultima essendo una espressione sintetica, ma
eloquente della valutazione compiuta dalla commissione: con
la conseguenza che se, per un verso, non vi è alcun bisogno
di integrare il punteggio numerico con una apposita motivazione (C.d.S., Sez. IV, 4 aprile 1998 n. 543), un obbligo di motivazione ad integrazione del punteggio si pone solo nel caso in cui vi sia un contrasto talmente rilevante fra i punteggi
attribuiti dai componenti della commissione da configurare
un’eventuale contraddittorietà intrinseca del giudizio complessivo (C.d.S., Sez. VI, 13 gennaio 1999 n. 14)” (Il Sole 24
Ore del 16 dicembre 2000).
Consiglio di Stato: quando i tempi medi della correzione
degli elaborati sono molto esigui, l’operato dell’organo di
esame va ritenuto illegittimo.
Una volta verificati, sulla base delle attestazioni contenute nei
verbali dei lavori della commissione giudicatrice di un pubblico concorso, i tempi medi utilizzati per la correzione e valutazione dei singoli elaborati, qualora il tempo impiegato risulti talmente esiguo da far dubitare che sia stato materialmente impossibile l’adeguato assolvimento dei prescritti adempimenti e dell’espressione ponderata dei giudizi sulla valenza
delle prove, l’operato dell’organo di esame va ritenuto illegittimo (Cons. Stato, sez. IV, decisione 7 marzo - 22 maggio
2000, n. 2915, in Guida dir., 1 luglio 2000 n. 24, con nota dì
G. Manzi. E’ superato così un precedente orientamento contrario, ancora affermato da Cons. Stato, sez. IV, 09.12.1997,
n. 1348)
FONTE NORMATIVA
D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 166. Norme in materia di concorso notarile, pratica e tirocinio professionale, nonché in
materia di coadiutori notarili in attuazione dell’articolo 7, comma 1, della L. 28 novembre 2005, n. 246. (Gazzetta
Ufficiale 10 maggio 2006 n. 107).
Articolo 11. Correzione delle prove scritte
1. La sottocommissione di cui all’articolo 10 procede, collegialmente e nella medesima seduta, alla lettura dei temi di ciascun candidato, al fine di esprimere un giudizio complessivo di idoneità per l’ammissione alla prova orale.
2. Salvo il caso di cui al comma 7, ultimata la lettura dei tre elaborati, la sottocommissione delibera a maggioranza se il
candidato merita l’idoneità.
3. Il giudizio di idoneità comporta l’attribuzione del voto minimo di trentacinque punti a ciascuna delle tre prove scritte.
4. In caso di idoneità, la sottocommissione assegna, in base ai voti di ciascun commissario, il punteggio complessivo da
attribuire a ciascuna prova scritta fino ad un massimo di punti cinquanta. A tale fine, ciascun commissario dispone di
un voto da zero a tre punti.
5. Il giudizio di non idoneità è motivato. Nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione.
6. Il segretario annota la votazione complessiva o la motivazione, facendola risultare dal processo verbale, per ciascun
elaborato.
7. Nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri
definiti dalla commissione, ai sensi dell’articolo 10, comma 2, la sottocommissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi.
Articolo 12. Svolgimento delle prove orali
1. La commissione del concorso per notaio, prima dell’inizio delle prove orali, definisce i criteri di valutazione delle prove.
2. L’esame orale è pubblico.
3. Il presidente, in ogni seduta, indica le materie su cui ciascun commissario interroga i candidati, restando ferma la facoltà di ogni membro della sottocommissione di intervenire su qualunque materia.
4. La sottocommissione, terminata la prova orale di ogni singolo candidato, assegna, in base ai voti di ciascun commissario, il punteggio fino ad un massimo di cinquanta punti a ciascun gruppo di materie. A tale fine, ciascun commissario dispone di un voto da zero a dieci punti. Per il superamento della prova orale è richiesto un punteggio minimo di
trentacinque punti per ciascun gruppo di materie.
5. La mancata approvazione è motivata. Nel caso di valutazione positiva il punteggio vale motivazione.
6. Il segretario annota la votazione o la motivazione per ciascun gruppo di materie, facendola risultare dal processo verbale.
23
di Leonardo Usini
M E M O R I A
La forza
della parola
Don Luigi
Di Liegro
“Ricominciare a vedere e ad ascoltare sono forse l’invito più forte che queste pagine lasciano, affinché ognuno possa trovare
gli strumenti e i modi per comunicare: per rompere e far rompere i muri, per inventare, scoprire strade nuove, per essere in
una viva ed efficace comunione con gli altri. In una parola, per essere umani”.
È tutta in questo breve passaggio la forza di Luigi Di Liegro, sacerdote, combattente, uomo aspro e difficile quanto generoso
e integro. Certamente scomodo, a lungo odiato e osteggiato da gerarchie e poteri, gli stessi che poi, quando la morte lo fece
uscire di scena dieci anni fa, lo posero sugli altari. Succede a tutti i “santi”, con o senza virgolette.
Solo la morte riuscì a farlo tacere, perché Di Liegro - a conti fatti - era soprattutto un grande comunicatore: è strano che un
prete, e soprattutto un prete abituato ai fatti, si affidasse poi alla forza della parola, che sapeva utilizzare come una spada.
Parole e fatti sono spesso antitetici, ma non in Di Liegro: nella storia recente del nostro Paese, nelle sue grandi conquiste sociali e di civiltà (la fondazione della Caritas è solo una delle imprese ascrivibili al sacerdote), resteranno come pietre miliari i
discorsi scritti e ancor più quelli pronunciati da quel piccolo grande uomo, che seppe fronteggiare schiere di nemici potenti,
molto più potenti di lui, ma meno abili nel comunicare…
Lo abbiamo letto sopra: comunicare è rompere e far rompere i muri, è inventare, è scoprire strade nuove, essere in una viva
ed efficace comunione con gli altri. In una parola, essere umani.
Prete, attore, giornalista:
in guerra per i reietti
A dieci anni dalla sua scomparsa, mentre
Canale 5 sta per mandare in onda la fiction
sulla sua vita (dopo don Orione e don
Gnocchi, due edizioni su padre Pio e due su
papa Wojtyla, anche Di Liegro diventerà così
un fenomeno “mass-mediatico”, nel senso letterale della parola, ovvero entrerà globalmente nelle case di tutti, anche di chi fino a oggi
non lo aveva mai sentito nominare), le sue
battaglie appaiono ancora più vividamente
combattute prima con la parola, immediatamente dopo con la realizzazione dei fatti.
Un esempio per tutti, la “guerra” sostenuta per
aprire Villa Glori, la prima casa famiglia per
malati di Aids, fortemente osteggiata dagli
abitanti del quartiere romano. Di Liegro, appoggiato da papa Wojtyla ma non da tutto il
clero, prima di tutto “fece sapere”, gridò, fece
scandalo. Si affidò ai giornali, che per mesi riportarono in prima pagina le barricate del prete scomodo. Non disdegnò quei mezzi (“media”, appunto) che oggi, a decenni di distanza, tutti sappiamo essere strumento potente
(e pericoloso) di propaganda. Come uno smaliziato uomo di teatro, seppe usare il colpo di
scena, fare comizi, ribattere punto su punto
agli avvocati - principi del Foro - che dell'oratoria facevano la loro arte. Ma Di Liegro oltre
all’arte della parola, scritta e orale, metteva in
campo la verità, e così vinceva.
Incredibilmente vinceva. Solo contro tutti e
contro ogni logica, se non quella del Vangelo.
Vent’anni fa, quando ancora da un sacerdote
ci si aspettava solo moderazione e obbedienza, Di Liegro seppe essere “attore”, lui, nato a
Gaeta, in terra geograficamente laziale ma
già campana per talento e verve, a pochi passi da dove morì Cicerone, il re degli oratori,
seppe alzare la voce e ancor più la penna. In
una parola, quando gli servì seppe essere
giornalista.
Maestro di scrittura, ancora oggi fa scuola:
basti vedere come dall’invettiva sa fulmineamente passare alla preghiera, chinare la fronte e supplicare. Non per sé, ma per i suoi
reietti.
La vita e gli scritti
nel libro di Ciociola
A “orientare” la vita e le scelte di don Luigi Di
Liegro, fondatore e responsabile per vent’anni della Caritas di Roma, è stata la sua stessa nascita: Sono figlio di un emigrato, per
giunta illegale, entrato clandestinamente negli Usa: non se ne vergognava lui, non mi vergogno io... Una famiglia in cui il marchio di
fabbrica sembrano essere il sacrificio e la povertà, impronta esistenziale che non poteva
non orientare le mie considerazioni. E, come
avviene nella vita delle persone “segnate”,
quelle destinate a lasciare traccia, anche il
suo venire al mondo ha qualcosa di anomalo,
imperscrutabile disegno di una superiore vo-
24
lontà: Mio padre emigrò più volte. A
Rotterdam fu pizzicato dalla polizia e tornò a
Gaeta. Mia madre aspettava un figlio. Quando
lo vide svenne: aveva fatto sacrifici enormi
per farlo partire. Quel colpo fu così forte che
mia madre perse il bambino. A quei tempi, se
succedevano cose del genere, si faceva un
altro figlio. E così nacqui io...
Parte da qui, dal mare di Gaeta e dalle umiliazioni del pescatore emigrante, la biografia
di monsignor Luigi Di Liegro, scritta dal giornalista di Avvenire Pino Ciociola per l’editrice
Àncora e da poco giunta in libreria è un percorso che si snoda lungo la breve vita di don
Luigi (stroncata nel 1997, a 69 anni), ma con
continue incursioni negli scritti che il primo direttore della Caritas romana ci ha lasciato:
preziose testimonianze che mai indulgono al
racconto fine a se stesso, ma sempre danno
profondità e spessore alle lotte del prete nato
povero e tra i poveri vissuto. A volte sono lettere o discorsi ufficiali, altre volte - e sono
questi i pensieri più “sconvolgenti” - semplici
appunti buttati giù sul blocchetto di un hotel o
sul retro di un foglio riciclato, prima di gettarsi
nell’arena e combattere per i “suoi” ultimi.
Sono ancora vive nella memoria le battaglie
più dure, tra il 1988 e il ‘91: “Quella per aprire
la casa-famiglia per malati di Aids a Villa Glori,
che vincerà, e quella per la Pantanella”, dove
erano accampati migliaia di immigrati, “che
don Luigi invece perderà”. Villa Glori aveva il
torto di ospitare nove malati di Aids nel cuore
dei Parioli, quartiere ricco e per bene. Don
Luigi aveva il torto di vedere nel sofferente l’incarnazione di quel Dio al quale, a 25 anni,
aveva votato se stesso: Com’è possibile che
Dio si manifesti in un falegname? In Gesù è
apparso un amore di Dio che sorprende, perché apparentemente sconfitto. Sarà insultato
dagli abitanti dei Parioli («Quella casa sarebbe una bomba innescata sotto i nostri bambini»), verrà persino blandito quando ormai sarà
chiaro che a lui le minacce danno più ostinazione («Noi lo facciamo per i malati, che essendo già deboli potrebbero aggravarsi a contatto con i bambini nel parco»), ma non si fermerà.
Tanto che sulle sue orme mano a mano ingrosserà il fiume buono, quel popolo scosso
dalla sua sincerità quasi violenta: tenevano
per lui i giovani della sinistra, tennero per lui i
missini del Fronte della Gioventù, che fecero
irruzione a Villa Glori per difendere il prete.
L’immagine di Di Liegro che emerge dal libro
di Ciociola non ha nulla di soave, anzi, la durezza necessaria a chi sceglie di capitanare
emarginati e delinquenti, drogati e reietti, sferza il lettore e nel contempo lo attrae. È lo stesso contrasto che attrasse i “peggiori”, chi aveva anche ucciso nel nome di un’ideologia perversa. Tra questi Maurice Bignami, comandante di Prima Linea, dal 1981 recluso a
Rebibbia. Quando viene affidato a don Luigi,
questi lo spedisce nell’ostello della Caritas,
“dove si affrontano e si aiutano le marginalità
più incarognite”. Oggi ha due figli, entrambi
battezzati da don Luigi, ed è responsabile della casa-famiglia Caritas per anziani. È da lì
che tramanda il messaggio ricevuto: «Che
dobbiamo aiutare quelli che invece vorremmo
sbattere al muro. Quando incontriamo il peggiore uomo, siamo noi a dovergli dare una
mano perché nessun altro lo farà». Proprio
com’era successo a lui.
Don Luigi sa bene che molti di questi lo vogliono solo sfruttare, forse lo inganneranno e
tradiranno, ma il problema non è stabilire se
il povero sta dicendo o no la verità: è piuttosto come aiutarlo ad accorgersi di Dio. Una
regola, che applicata a tutti, ingigantisce il
suo popolo, fatto di chi sceglie di essere un
“ultimo”. Agli altri, ai “primi”, a chi “è certo che
gli esseri umani non siano tutti uguali”,
Ciociola dedica questo libro.
L’esordio accanto
ai minatori
Luigi Di Liegro diventa sacerdote a venticinque anni, il 5 aprile del 1953, dopo essersi
laureato in filosofia e teologia. Il primo incarico è come vicario parrocchiale al Prenestino,
nella chiesa di “San Leone I”.
In un quartiere di ferrovieri ed operai, molto
politicizzati e diffidenti - scrive -. Dopo qualche tempo, si accorsero che non appartenevo alla classe borghese. Anzi, quando conobbero le mie origini mi dicevano: “Tu ci capisci, tu sei uno di noi perché hai sofferto le
nostre stesse situazioni difficili”. Devo dire
che il mio più grande successo è stato proprio quello di essere riuscito a dialogare con
persone ritenute lontane ed indifferenti.
Ancora la forza della parola, il dialogo come
grimaldello per entrare nell’animo altrui, dunque.
E all’inizio degli anni Sessanta don Luigi va
Oltralpe tra i minatori per tenere un corso alla “Jeunesse Ouvriere” (Joc).
Ho scoperto le miniere - dirà poi, portandosi
dietro via via un patrimonio di incontri ed
esperienze sempre più vaste - dove ho visto
quanta fatica i nostri emigranti erano costretti ad affrontare per portare a casa un tozzo
di pane. Ho visto la durezza del vivere quotidiano e spesso che in quelle miniere scendevano anche ragazzini di quattordici, quindici anni. La sera, nelle baracche, si discuteva e si pregava.
Rientrato a Roma, nel 1964 viene nominato
responsabile dell’Ufficio pastorale diocesano
dal cardinale Angelo Dell’Acqua (vicario di
Roma). Quasi contemporaneamente dal vicariato è scelto come rettore dell’Oratorio del
Santissimo Sacramento, in una piccola piazza affacciata su via del Tritone, dove c’è un
modesto appartamento che resterà la sua dimora fino alla fine. Il suo numero telefonico lo
si troverà poi tranquillamente anche sugli
elenchi: “Di Liegro Luigi, piazza Poli 10,
69920486”.
Dal 1965 al 1970 è assistente diocesano
dell’Azione cattolica giovani. E nel 1978 verrà
nominato parroco in una piccola dell’estrema
periferia romana, al Centro Giano di Acilia.
Nel 1973 riceve la carica di Cappellano di
Sua Santità, che prevede il titolo di “monsignore”. Don Luigi ne sorrise sempre:
Ma quale “monsignore”! - gli capitava di ripetere, specie incontrando i più poveri - io mi
chiamo Luigi e tu Giovanni. Diamoci del tu.
Un oceano di folla:
“I mali di Roma”
Nel 1972, intanto, lo aveva convocato il cardinale Dell’Acqua:
C’era stato un blitz dei carabinieri negli istituti religiosi che ospitavano bambini, un magistrato sospettava maltrattamenti - ricorda
lo stesso don Luigi -. Il cardinale mi chiese
come potevamo testimoniare che non davamo scandalo ed io suggerii una riflessione
pubblica.
Avverrà un anno e mezzo dopo. Non sarà
semplicemente una “riflessione”. E resterà
nella storia della città come il convegno sui
“mali di Roma”.
ORDINE
9-10
2006
Pino Ciociola,
Luigi Di Liegro,
prete di
frontiera,
Àncora Editrice,
160 pagine,
euro 12,00.
Nelle immagini
del servizio:
don Luigi
fotografato con
papa Giovanni
Paolo II
e in alcune
tappe della sua
vita pastorale.
È il 12 febbraio 1974: nella basilica di San
Giovanni (e nei cinque settori in cui la diocesi romana era appena stata suddivisa) comincia la conferenza su “Attese di giustizia e
carità nella diocesi di Roma”, che si chiuderà
il 15. Partecipano 5mila persone, fra credenti e non credenti, laici, sacerdoti, religiosi e
religiose. Si alternano 740 interventi in cinque
distinte assemblee. Don Luigi ha lavorato a
questo convegno senza risparmiarsi.
Realizzandolo poi con l’allora cardinale vicario, Ugo Poletti.
Nel 1968 a Roma quasi 70mila persone vivevano nelle baracche.
«Basta aprire gli occhi - dice don Luigi - per
accorgersi che all’interno della città convivono numerose sotto-città popolate di nullatenenti, disoccupati, clandestini, inabili sbandati, drogati, alcolizzati, senza fissa dimora».
“Il terzo mondo è nelle borgate”, è uno slogan
dell’epoca. Al convegno il cardinal Poletti
spiega che «Roma va cambiata. È una città,
non una comunità». Giuseppe De Rita (allora giovane sociologo) descrive la capitale come «una città culturalmente inerte, moralmente opaca, politicamente deresponsabilizzata». Nel 1995 don Luigi dirà che, dopo quei
quattro giorni, «cominciò un’epoca di rinnovata responsabilità della Chiesa locale nei
confronti del popolo romano».
La Chiesa e la diocesi romana avevano infatti
una lunga storia di impegno nel sociale: nella sanità, nell’educazione, nell’assistenza ai
più bisognosi, in tutti gli spazi della marginalità umana da sempre dimenticati dal potere
pubblico.
«Ma questo impegno sociale era un binario
quasi distinto dalle preoccupazioni pastorali,
una dimensione “specializzata”, quasi tecnica di piccole e grandi opere, di iniziative legate a carismi personali di persone o enti ecclesiali, in qualche modo non fatta globalmente propria della strategia pastorale complessiva della diocesi».
Dopo il convegno qualcosa cambia. Si rinnova. Senza “tradire” la storia:
«Si avverte che l’impegno nel sociale non
può essere riservato agli addetti ai lavori, ma
deve diventare parte “integrante” della presenza complessiva della diocesi nella società
romana - dirà don Luigi -. I problemi sociali di
una città come Roma sono di complessità tale da non poter essere delegati a singole persone, o singoli gruppo, o a singoli enti, ma
vanno fatti propri da tutta la Chiesa diocesana.
È un impegno per tutto il popolo di Dio. Anzi
è un modo di vivere e annunciare oggi il
Vangelo, per incarnarlo nei processi reali della città».
Ma quei quattro giorni - che avrebbero quindi dovuto dettare i modi del cambiamento di
metodi e circuiti dell’assistenza sociale ecclesiale - diventano via via anche una durissima, pubblica accusa contro l’assenza del
potere politico e istituzionale capitolino, che
si disinteressa dell’uomo. Una sorta di scossa elettrica ai muri e alla carne della città.
Questa conferenza passerà alla storia non
col suo vero nome, ma come “il convegno sui
mali di Roma”.
Un atto di coraggio imprevisto che gela i rapporti fra il Vicariato e la Democrazia cristiana.
Dirà Giulio Andreotti trent’anni più tardi, nel
febbraio 2004: «All’epoca la messa sotto accusa della politica mi disturbò. Ma che si dovesse fare di più a Roma, per Roma, era vero».
Una casa per
i malati di Aids
La casa di Villa Glori alla fine apre i battenti
il 5 dicembre 1988 ed accoglie i primi malati:
sono nove persone di sesso maschile, con
Aids conclamato e senza alcun supporto familiare, o perché soli al mondo, o perché abbandonati. Un mese prima era sceso in camORDINE
9-10
2006
po lo stesso papa Giovanni Paolo II, che il 6
novembre si era recato in visita proprio nel
cuore dei Parioli, nella parrocchia di San
Roberto Bellarmino, e aveva alzato il suo grido: “Esorto i cristiani a formare una comunità
solidale in tutto il quartiere, nella quale ogni
persona si senta coinvolta e corresponsabile,
a cominciare dai sofferenti nel corpo e nello
spirito, dai poveri e dai bisognosi, fino agli anziani e agli handicappati, agli emarginati e a
coloro che vivono nella solitudine”. Sta parlando agli abitanti del quartiere che, per scongiurare il pericolo che don Luigi riesca nella
sua piccola impresa, si sono persino rivolti alla magistratura: il loro intento è di fare “giustizia”. Ma hanno torto e la casa apre.
E pian piano si apre anche qualche cuore,
perché la solidarietà è più contagiosa del virus Hiv: adesso i malati, pur con molte difficoltà, a volte ricevono visite, escono persino
con qualche amico che li accompagna… «La
gente - scrive carico di speranza don Luigi ora sembra cominciare a capire. Durante le
festività ci sono persone che vengono qui a
portare doni». E la cosa più bella è che “vogliono consegnarli di persona, si fermano a
parlare”. Lo stigma è superato.
Il trionfo del più debole
Sono passati quasi 10 anni dall’appello di papa Wojtyla: “Esorto i cristiani a formare una
comunità solidale in tutto il quartiere…”. Ma
quello che scrive don Luigi nel 1997 sembra
quasi una risposta giunta molto tempo dopo:
la sua vittoria - spiega - è il trionfo del più debole, praticamente è il paradosso che scardina ogni nostra abitudine. “La Casa famiglia fu
voluta come una sfida alla cultura che s’infiamma alla vittoria del più forte”, dice. E prosegue, con parole tanto dense di significati
che vanno soppesate una a una, quasi assaporate: “Fu voluta come una sfida alla cultura che offre il giusto solo a chi può permettersi il meglio”. “Che riduce la politica a regole formali o a questioni monetarie, mentre le
più drammatiche esigenze dei dannati della
terra entrano (se ci entrano!) nei programmi
come le solite espressioni di auspicio che
non toccano nessuno…”. A don Luigi resta
poco da vivere, qualche giorno e morirà, ma
non desiste e continua a raccogliere l’invito di
quel papa: “Vogliamo batterci ancora perché
la convivenza sia civile dovunque, in quella
terra che è di tutti e non è privilegio di nessuno. Se questo è vero a livello planetario,
perché dovrebbe fare eccezione una città come Roma, un quartiere dentro questa città,
una villa dentro questo quartiere, una palazzina dentro questa villa?”…
Già, perché? Spesso la solidarietà è bella
purché sia lontana e non disturbi, non emani
il tanfo della malattia né offra il brutto spettacolo della miseria.
Lo slogan della sua vita
Nella vita non tutti devono diventare vescovi.
Ci deve sempre essere qualcuno che porta
la carretta e io spero di avere sempre la forza di continuare a spingerla, senza montarci
sopra…
Questo lo “slogan” della sua vita, la filosofia
che determinò ogni sua azione fino alla fine.
Che arrivò nella notte tra l’11 e il 12 ottobre
1997, quando don Luigi aveva 69 anni. E il
cuore molto malato.
Memorabili i funerali, anch’essi un evento
“mediatico”, anch’essi fin troppo espliciti di
ciò che Di Liegro non smise di rappresentare
nemmeno dopo la morte. Il giornalista Pino
Ciociola era presente:
«Tre giorni dopo la morte il funerale è nella
Basilica di Roma, San Giovanni in Laterano.
Lo celebrano duecento sacerdoti e una trentina di vescovi. Il papa manda un suo messaggio, sottolineando il coraggioso e instan-
cabile ministero a favore dei poveri e degli
emarginati di don Luigi, per i quali ha speso
generosamente le proprie singolari doti umane e sacerdotali.
Il suo corpo l’intera notte precedente è nella
sua parrocchia, Santa Maria del Ponte e San
Giuseppe, ad Acilia: a rendergli omaggio arrivano il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio e cinque o seimila persone.
A riempire San Giovanni, poi, ci sono immigrati e parlamentari, ragazzi di Villa Glori e
sindacalisti, barboni e ed ex-brigatisti. Nelle
prime file i “vip”, gli altri dietro. Per la prima
lettura, dal Libro della Sapienza, sale la nipote, Luigina, sull’altare: Agli occhi degli stolti parve che morissero… Le preghiere dei fedeli le leggono invece i volontari, un obiettore di coscienza, un nomade, un ragazzo malato di Aids: Preghiamo - recita una di queste
- affinché gli ultimi che sono sempre stati nel
suo cuore divengano realmente i primi di una
comunità solidale».
Quando la bara, al termine, esce dalla
Basilica portata a spalla da sei sacerdoti, sfila dentro un applauso che dura una decina di
minuti. E don Luigi da quel giorno riposa del
cimitero del Verano, nella sua Roma.
Il ricordo di Veltroni,
la poesia della Merini
«Ha ragione Pino Ciociola - scrive il sindaco
di Roma, Walter Veltroni, nella postfazione al
libro, che comprende anche un intervento di
Giulio Andreotti - quando dice che non come
a un eroe o come a un santo bisogna pensare a don Luigi Di Liegro. Ha ragione quando dice che don Luigi è stato innanzitutto un
uomo vero e un prete vero. Una persona in
carne e ossa, che delle persone in carne e
ossa si è occupato per tutta la sua esistenza.
Al tempo stesso non è stato un uomo come
tanti, don Luigi… Da queste pagine emerge
la sua figura così com’era, sempre ispirata al
sostegno degli ultimi, di ‘coloro che non hanno voce’…».
Dopo Roma, Milano: Alda Merini, la poetessa dei Navigli, scrive invece le parole di introduzione al libro. «Ho letto con crescente
emozione queste pagine, che di rigo in rigo,
di parola in parola, mi hanno schiuso un orizzonte sconosciuto e sorprendente. Ho scoperto che il miracolo non è il grande evento
che sconvolge il mondo, ma il piccolo gesto
ripetuto all’infinito, compiuto non per stupire
gli scettici, ma per servire i reietti. Dormire su
un materasso, in povertà assoluta, come faceva Di Liegro, non è una scelta. È eroismo.
Quanto del clero attuale ha perso questa genialità che è il darsi per gli altri…
Essere poveri è un privilegio, non una colpa,
né una follia o dabbenaggine.
Di Liegro è vissuto dell’essenziale, eremita in
mezzo alla moltitudine, una fiaccola d’amore
che molti hanno tentato di spegnere: perché
il diseguale dà fastidio, fa rumore anche
quando tace, disturba l’arroganza degli insensati. In fondo la povertà è un miracolo della ragione che pochi oggi conoscono, presi
come sono dall’orgasmo di accumulare...
Solo il poeta, forse, comprende: il poeta vive
di niente.
La città degli uomini è ancora troppo lontana
dalla città di Dio: ‘Case su case, cemento su
cemento, non trovo l’amico di un tempo…’,
cantava Celentano. E la Spaziani scriveva
‘tendo le mani a una popolazione di monchi…’. Oggi il mondo manca di mani tese,
mani di sacerdoti. Scambiatevi un segno di
pace, ci dicono in chiesa, ma le mani dove
sono?
Eppure l’opera instancabile di questo sacerdote risulta - e risultò allora agli occhi di molti - una specie di follia, la stessa di Cristo, dei
santi, dei poeti. Fu follia amorosa che salva la
vita, il luogo dove l’uomo campa di speranze.
Ma resta solo».
25
LIBRERIA DI TABLOID
Roberto Festorazzi
Mussolini e l’Inghilterra
1914-1940
di Romano Bracalini
L’amicizia italo-inglese risaliva al Risorgimento che i circoli liberali londinesi e una
vasta opinione avevano seguito con simpatia e sostenuto con campagne politiche e
mezzi finanziari.Storici come
Bolton King e George
Macaulay Trevelyan,con i loro
libri su Garibaldi e le guerre di
indipendenza,avevano reso
popolare e amata l’Italia.
Il fascismo,ribaltate le alleanze naturali e storiche dell’Italia, per cecità, ambizione
e risentimento, fece dell’Inghilterra la bestia nera del regime e la responsabile di tutti
i mali del paese. I libellisti salariati, anche di alta fama,
presero l’imbeccata e l’Inghilterra divenne la “Perfida Albione”, e gli inglesi derisi come “il popolo dei cinque pasti”, suprema ironia per un
popolo che a malapena ne
faceva uno.
La virulenza della politica antinglese del regime era nota.
Roberto Festorazzi ha il merito di averne ripercorso sistematicamente la trama e gli
sviluppi in base a un solido
apparato di documenti inediti
o poco noti.
L’impresa etiopica segnò l’apice del consenso popolare
ma fu anche l’ultimo successo politico del duce.
Festorazzi riconosce che l’irrigidimento dei britannici (padroni di tre quarti del mondo)
fu uno dei motivi che indussero Mussolini - anche per
ragioni di prestigio interno e
internazionale - a tener testa
all’impero britannico e a sfidarlo. Nell’estate 1935, pochi
mesi prima dell’inizio delle
ostilità con l’Etiopia, la Gran
Bratagna inviò una missione
a Roma, capeggiata da
Eden, con l’incarico di offrire
all’Italia una provincia dell’Ogaden; una concessione
che Mussolini ritenne offensiva.
Giorgio Santerini
L’orfano di Stalin
di Edmondo Rho
Un ossimoro. Un libro scritto
da Giorgio Santerini e venduto solo su Internet.
S'intitola L’orfano di Stalin e
non si trova nelle librerie,
perché si tratta di un ebook:
l’iniziativa dei libri venduti
esclusivamente in rete è del
giornalista ed editore Luciano Simonelli, che li propone
suhttp://www.ebooksitalia.com
Per chi non lo conosce (penso a molti giovani colleghi),
Giorgio Santerini è un giornalista che ha lavorato prima all’Avanti! e poi al
Corriere della Sera collaborando tra l’altro a Panorama,
Critica Sociale, Cinema
Nuovo, L’Europeo. Ma soprattutto è stato per lunghi
anni, fino al 1996, segretario
della Fnsi, dopo aver fatto il
presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti
raccogliendo nel 1980 il testimone di Walter Tobagi.
Certo, per chi lo conosce,
stupisce la scelta di affidarsi
al web da parte di un autore
che non ha mai amato le
tecnologie.
Ricordo per esempio nel
1990, quando la Fnsi lo ‘costrinse’ a usare uno dei primi telefoni cellulari, l’orrore
di Giorgio costretto a portarsi dietro quel ‘pesante mattone’…
In realtà lo stupore di trovare
Santerini in rete si supera
quando ci si trova in mano,
26
stampata, la ‘copia ex libris’
delle 120 pagine de L’orfano
di Stalin. L’editore lo chiama
‘volume su misura’, infatti arriva a casa dopo averlo ordinato sul web al link:
http://www.ebooksitalia.
com/ita/detail_ebook.lasso?
codice_prodotto=
20060325000313529495
Ecco allora un libro che racconta la fede incrollabile di
uomini d’altri tempi, e lo fa
sviluppando i ricordi di un
vecchio uomo, il dottor
Allon, misterioso personaggio che si ritrova nella sua
consueta notte d’insonnia e
controvoglia ripercorre la
sua vita. Allon è l’orfano di
Stalin: ovvero, l’erede di un
mondo che nel dopoguerra
ha provocato la nascita di
una nuova storia, quella del
Pci, dei suoi successori e
dei loro rapporti con Mosca,
con gli affari e i legami misteriosi che hanno unito
l’Italia all’Urss.
Un legame profondo: per
anni il segretario della sua
sezione ricorda che “il giorno della vittoria dell’armata
rossa arrivata a Berlino, il
compagno Stalin ha scritto
sulla Pravda l’articolo di fondo: sul futuro dell’agricoltura
sovietica… perché la seconda guerra mondiale deve
essere solo una tappa, la
storia futura la costruiamo
noi”. Ma il protagonista va
anche più in là: “lui non ha
mai abbandonato Stalin. È
dagli anni ‘50 che non crede
In realtà dopo la martellante
propaganda bellicista il duce
era ansioso di portare il paese alla prova del fuoco.
Inoltre bisognare vendicare
Adua, una sconfitta che bruciava dal 1896.
Le sanzioni applicate dalla
Società delle Nazioni all’Italia
costituirono per il regime un
altro motivo di propaganda e
di orgoglio. Anche una parte
non trascurabile della classe
politica inglese - dice Festorazzi - disapprovò le sanzioni
che furono più un incentivo
alla guerra che un motivo di
dissuasione. Mussolini colse
l’occasione per tacciare le
potenze occidentali, e prima
l’Inghilterra, di egoismo e disprezzo, e rivendicò all’Italia
gli stessi diritti delle altre nazioni coloniali. La prova serviva a vincere anche un cupo
complesso di inferiorità.
Da quel momento l’Italia, col
contributo fattivo di Francia e
Inghilterra, si legò mani e piedi al carro nazista, senza
smentire la fama di eterna
comprimaria.
Festorazzi, oltre che a fonti
italiane, ha attinto al Public
Record Office di Londra, che
ha una sezione dedicata interamente all’Italia e quindi ai
rapporti tra Londra e Roma,
ed ha potuto documentare i
sentimenti britannici meno
sondati in ordine alla crisi con
l’Italia. Il fronte ostile ai pro-
grammi d’ambizione del fascismo non era così compatto. C’era in Inghilterra una
corrente di simpatia per il regime di Mussolini. Sir Oswald
Mosley, lasciato il partito conservatore, aveva fondato un
movimento ispirato al fascismo italiano nella convinzione che esso solo costituisse
la più valida difesa della civiltà europea contro l’americanismo, il giudaismo, il comunismo.
Gli studenti di Oxford, non
condividendo gli indirizzi del
governo inglese, avevano firmato un appello nel quale si
dicevano “indisponibili per la
guerra e per il re”. Le dottrine
totalitarie apparivano più affascinanti della democrazia
perfino nella culla del liberalismo moderno. Lo stesso
Churchill, in un discorso del
maggio 1936, si dichiarò contrario ad ogni ritorsione contro l’Italia. Si giunse a un accordo con la firma del
“Gentlemen’s Agreements”,
un protocollo d’intesa da cui
dovevano derivare ulteriori
guai, dato che ciascuno dei
contraenti lo interpretò a modo suo.
Arthur Neville Chamberlain,
“l’uomo con l’ombrello”, come lo beffavano i caricaturisti
fascisti, conservatore e d’aspetto irrimediabilmente inglese, al potere dal maggio
1937 al maggio 1940, tentò
per un istante al dialogo con
i cattolici; neanche l’idea del
tatticismo lo salva dalla certezza sia un errore quella ricerca di alleanza politica
con una forza interclassista”… una convinzione
profonda su cui però s’innesta anche “questo senso
d’orrore che lo fa rabbrividire…Possono ucciderlo da
molto tempo, perché lui sa
troppo del vecchio partito. E
non solo degli affari sporchi”.
Già. L’orfano di Stalin, il dottor Allon, ha i suoi segreti distruttivi. E così ci accompagna nel racconto, dal dopoguerra fino ai giorni nostri,
entrando anche nei territori
imprevedibili di Tangentopoli. Perché Allon ha manovrato i finanziamenti occulti
e le sue tracce di uomo del
business sono disperse
ovunque. Anche se “tutte le
carte sono arrivate a
Pechino prima del crollo
dell’Urss e sono custodite
là…”
Il libro di Santerini è in realtà
un lungo racconto che abbraccia un tempo di poche
ore, quelle che separano
Allon dall’alba del giorno dopo, in cui emergono larghi e
profondi squarci di un’intensa esistenza. Andata in crisi
anche perché la sua lontananza dagli eredi del Pci è
incolmabile. Allon rimane
con la sua solitudine: indifeso e nevrotico orfano di
Stalin.
Invece noi, colleghi-lettori
ed eredi di un giornalismo
che ha saputo essere autonomo dalla politica pur essendone figlio, non vogliamo essere orfani di Santerini. E lo aspettiamo alla
sua prossima prova di scrittore.
Gianfrancesco Turano
Catenaccio!
di Michele Giordano
Nel 1944, gli aquilotti dello
Spezia calcio allenato da
Ottavio Barbieri vincevano lo
scudetto del campionato di
guerra battendo anche il
grande Torino di Vittorio
Pozzo, in una memorabile
partita disputata all’Arena di
Milano, semideserta per timore di rastrellamenti tedeschi. Barbieri aveva applicato
il cosiddetto mezzo-sistema,
che prevedeva l'introduzione
del libero, ideato quando faceva il vice dell’inglese Garbutt, ai tempi d’oro del Genoa. Con le pezze al culo,
spostandosi per le trasferte
su una vecchia autobotte,
sotto le bombe, gli spezzini di
Barbieri ci sono tornati alla
mente leggendo del Troia
Football Club, eroica armata
calcistico-brancaleonica protagonista di questo secondo
romanzo (dopo il giallo Ragù
di capra) di Gianfrancesco
Turano, inviato de Il Mondo
nonché “infestatore di campi
amatoriali”.
Luigi Litaliano (la crasi fu forse un fatale errore dell’anagrafe?) è l’allenatore della
compagine. Agli sgoccioli di
una carriera non certo fulminante, ma con 999 partite all’attivo, Litaliano è determinato a rendere catartica la tenzone numero 1000. Come?
Fanatico di Quel Libro (mai
nominato, ma che si palesa
subito essere l’Iliade), Lita-
di smussare i contrasti ma
con i dittatori l’unico modo di
smussarli è dar ragione a loro. Alla conferenza di
Monaco nel 1938 la guerra
venne soltanto rinviata di un
anno. Ma Chamberlain tornò
a casa convinto di aver assicurato la pace. Diede questo
giudizio di Mussolini, che
Festorazzi riporta: “L’ho trovato franco e pieno di riguardi
nei nostri confronti. Ha fornito
con enfasi la sua assicurazione che intende tener fede
agli accordi stipulati con noi,
che vuole la pace e che è
pronto a usare tutta la sua influenza per mantenerla”. Fu
così che si arrivò alla guerra.
Dopo i Sudeti e l’annessione
dell’Austria (contro la quale
Mussolini con gesto di teatro
schierò le divisioni al
Brennero), Hitler in alleanza
con Stalin, altra viola mammola, pretendeva la spartizione della Polonia,mentre
l’Urss si “pappava” i Baltici ed
aggrediva la piccola Finlandia, sempre in nome della
“fratellanza dei popoli”.
Il fascismo è fascismo sotto
qualsiasi colore si celi. Le sue
mosse sono sempre goffe e
prevedibili, purché l’interlocutore non si presti alle astuzie
del baro.
Quando si accorsero del pericolo e della piega degli avvenimenti, gli inglesi parvero
più disponibili a concedere
liano accetta la sfida di un ex
compagno d’arme, il barone
Uto Sombrero di Cirrocumulo, personaggio assai
poco limpido che mette in
campo la vipparola Achei
Associazione Oligarchica,
nell’ambito di una scommessa che non ha solo risvolti finanziari, ma prevede una
sorta di sfida virile, un boormaniano Duello nel Pacifico
all’amatriciana, o meglio all’ascolana, data la la rotondità pallonara delle tipiche
olive ripiene e la location stabilita per l’incontro.
Come andrà a finire non lo riveliamo, ma sappiate che
l’intero libro (forse un po’ troppo lungo per chi non è un fanatico della sfera a scacchi,
ma comunque piacevolissimo) si rivela da subito una
grande metafora omerica
che altro non è che un metafora al quadrato della vita. I
troiani di Litaliano sono i poveracci, gli sconfitti, gli emarginati, i rappresentanti di un
calcio che non c’è più, brutto,
sporco e cattivo, ma comunque epico, ostile a quello mediaticamente luccicante di
oggi, velinaro (in tutti sensi) e
divistico.
Nel Troia F.C. ci sono tutti i
reietti della società (o comunque bollati come tali): trans,
galeotti, sottoproletari di pasoliniana memoria. Fra gli
Achei è invece l’esatto contrario. Litaliano, che convive
con l’enuretico lupoide Eurimedonte, dopo che la moglie
ben più di una “pidocchiosa”
provincia africana. Ma le cose si erano spinte troppo
avanti e non c’era più verso
di fermarle.
Festorazzi,in questo libro documentato e ben scritto,frutto
di un lungo lavoro di ricerca e
di analisi degli avvenimenti,
corregge ed emenda parecchie false impressioni - oltre
ai soliti pregiudizi politici-,
suggerite da un manicheismo di maniera e dal dogma
delle scuole di dottrina.
L’autore mette in evidenza le
colpe e le responsabili delle
potenze occidentali nell’aver
ceduto alle tirannie e di averne sottovalutato il pericolo,
furono opportuniste e pavide
-più inflessibili con Mussolini
e molto meno con Hitler-nella
speranza mal riposta di dover rinunciare a qualcosa in
cambio di una promessa fallace. Il nazifascismo andava
affrontato e contenuto prima
che,gettata la maschera,
giungesse alla fase aggressiva in cui più nulla, salvo il rimpianto, avrebbe scongiurato
la guerra e la catastrofe.
Siamo sicuri che l’Europa abbia imparato qualcosa? Il libro di Festorazzi ci aiuta a riflettere.
Roberto Festorazzi,
Mussolini e l’Inghilterra
1914-1940,
Datanews,
pagine 236, euro 13,50
greca Maria Papathanassiou
lo ha lasciato per eccesso di
delocalizzazioni residenziali,
parla un linguaggio epicoignorantoide un po’ come
Alexander Perchov in Ogni
cosa è illuminata di Schreiber, si ciba di sughi pronti e
tiene sul comodino un ritratto
di Nereo Rocco, noto per l’amore nei confronti del catenaccio definito da Franco
Baldini, ex direttore sportivo
della Roma, “non solo un sistema di difesa ma soprattutto un modo di difendere una
mentalità”. Insomma una filosofia passatista e difensiva
che si contrappone a una logica modernista tutta puntata
all’attacco.
Già, un proiettarsi in avanti,
un mostrarsi tronfiamente
aggressivi in linea con l’oggi.
Pensiamo ad Alex Del Piero
autoproclamatosi
tronfiamente, prima dei Mondiali,
novello Achille, ma assai più
propriamente definibile come
il calciatore con l’uccellino, visto che dalla pelìdea collina,
a differenza dei poveri disgraziati di Litaliano, sembra non
essere mai sceso.
Gianfrancesco Turano,
Catenaccio!,
Dario Flaccovio Editore,
pagine 334, euro 14,00
ORDINE
9-10
2006
2005
Lucia Bellaspiga
“Dio che non esisti ti prego”
Dino Buzzati, la fatica
di credere
Gianfranco Bettetini
I Partigiani di Cittiglio
di Emilio Pozzi
“Luoghi, facce, battute, odori,
sapori, azioni, situazioni, desideri, aspirazioni, frustrazioni… memorie confuse e affascinanti…”. Rubo all’autore,
dall’ultima pagina del suo libro, queste parole che bene
rendono l’idea di quale sia il
nucleo di una narrazione di ricordi dell’infanzia e della gioventù, contrappuntata da
considerazioni dell’età matura.
I Partigiani di Cittiglio rievocano, per chi è consapevole di
quanto accadde attorno agli
anni quaranta e cinquanta
del secolo scorso, momenti
esaltanti e inquietanti, in una
cornice minimalista di piccole
storie private e di gruppo,
lampi di gioie e di dolori, notazioni nelle quali, mutando i
luoghi e le persone, ciascuno
può riconoscere squarci del
proprio passato.
Le pagine del tempo lontano
rievocato da Nico, ragazzo di
città, di famiglia borghese,
sfollato a Cittiglio, si alternano, nei capitoli, ad una corrispondenza, spostata a tempi
più recenti, tra il protagonista
e Lucio, uno del luogo, di solido ceppo contadino, in ritardo con gli studi ma precoce
per sensibilità e buon senso.
Avanti e indietro, in un gioco
di anticipi e flashback. Si assiste alla nascita di una bella
amicizia, come poteva capitare tra chi, con animo aperto
e cuore sincero, imparava a
condividere nuove emozioni
ed affrontare inattese esperienze.
Cittiglio, la Cittiglio di una volta, patria del tre volte campione del mondo di ciclismo
Alfredo Binda, è la cornice di
mille piccole avventure, dalle
gare in bici, all’assalto, non
autorizzato a rigogliosi frutteti, alle recite teatrali - una
passione premonitrice di un
futuro destino per Nico - di
compagnie messe su alla
belle e meglio, alla ricerca nei
boschi di castagne, un cibo di
guerra, e preziosi funghi porcini, i primi amori, quasi sempre virtuali, le prime scoperte
del sesso. E poi i momenti
drammatici dei bombardamenti di Milano, vissuti in prima persona e poi da lontano,
a cinquanta chilometri, nelle
notti d’agosto, come ad uno
spettacolo di fuochi artificiali.
E ancora, il dopo 8 settembre, con le scaramucce partigiane, le ritorsioni dei fascistelli di provincia, l’aggiustamento di vecchi conti personali, i morti ammazzati per
strada. Una tragedia nella dimensione della provincia.
Personaggi autentici, citati
con il loro nome: come il
grande caricaturista antifascista Giuseppe Scalarini che a
Cittiglio aveva avuto una villetta e che ogni tanto, veniva
prelevato da due carabinieri
per essere spedito al confino;
come Mario Apollonio, professore alla Cattolica e grande maestro di cultura teatrale; come Gianfranco De
ORDINE
9-10
2006
2005
Bosio, regista, che, giovanissimo nell’immediato dopoguerra, fece conoscere dall’Università di Padova, i valori
poetici e politici di Brecht, e
gli attori giramondo della
Compagnia Rame, con i fratelli Franca ed Enrico (Dario
Fo non era ancora comparso
all’orizzonte) . Altri sono citati
con il solo nome, Umberto,
(che di cognome faceva Eco)
o con cognomi allusivi come
Sergio Pugliese, primo direttore della Tv, qui chiamato
Barese e ricordato perché al
giovane Nico (in verità al promettente regista Gianfranco)
non aveva pronosticato un
grande futuro perché gli attori
non avrebbero preso sul serio un regista con l’erre moscia o il marchese Arardo
Spreti, (qui chiamato Riccardo de Seminari) coraggioso uomo di teatro, erede del
Sant’Erasmo, il teatro a scena centrale inventato da
Carlo Lari, che aprì le porte
al giovane Nico.
Per chi conosce Milano e le
vicende del mondo televisivo,
potrà ripercorrere un itinerario, ormai sfumato nel tempo,
ma che è stato intensamente
vissuto dal protagonista, nella cocciutaggine di chi credeva alla nuova Musa, la Tv,
cercando di allontanare un
destino che lo portava verso
l’Ingegneria.
In questo libro, denso di episodi, Bettetini, si confessa,
senza rigorosa sorveglianza,
in modo liberatorio. Anche la
scrittura è disinvolta. C’è però
chi sostiene (cito uno specialista in materia come Duccio
Demetrio) che “da sempre lo
scrivere e il parlare dei propri
ricordi ha rappresentato un rituale esplicito ma più spesso
segreto. Per se stessi e per gli
altri. L’autobiografia è inoltre
al contempo tentativo di chiarirsi le ragioni dei propri successi o fallimenti esistenziali
e strumento deduttivo di ‘ammaestramento’ intergenerazionale; è il rituale introspettivo dell’accorgersi di aver vissuto, di volerlo raccontare e
di illudersi che questo lascito
possa giovare a qualcuno”.
Che ne pensa l’autore? Gli
giro la domanda assieme a
due quesiti: perché il ‘Partigiani’ del titolo è con l’iniziale
maiuscola? Le vicende resistenziali del cittigliese non mi
pare meritino tale sottolineatura. O ‘i partigiani’ sono quelli
che hanno amato e amano
Cittiglio, comunque?
E, secondo quesito lessicale:
nel dialetto locale, qui gustosamente spesso riportato nei
dialoghi, mi pare che l’equivalente di sporco, sudicio, sia
Vunciun (o Vunsciun) con la V
e non nunciun.O Cittiglio si distingue anche in questo?
Gianfranco Bettetini,
I Partigiani di Cittiglio,
Effatà editrice 2006,
Cantalupa (Torino),
pagine 126, euro 15,00
di Patrizia Pedrazzini
C’è una considerazione, prima ancora di entrare nel merito del lavoro in questione,
che il libro della giornalista
Lucia Bellaspiga subito impone. Ed è che, nel momento in
cui, giunti al termine della lettura, si richiude fra le mani
questo volume di poco più di
duecento pagine, si ha la precisa, limpida sensazione di
conoscere Dino Buzzati.
Quasi di averlo conosciuto di
persona, di avergli parlato, di
averne condiviso l’esistenza.
Come, forse - ma forse anche di più e meglio - solo dalla lettura di tutti suoi scritti e
dalla visione di tutti i suoi dipinti - dal quadro più famoso
all’ultimo degli schizzi - ci si
potrebbe attendere.
Detto questo, Dio che non
esisti ti prego è, come scrive
nella prefazione Vittorino
Andreoli, “un libro che va alla
ricerca di quel segreto che
Dino Buzzati aveva dentro di
sé e che forse ognuno di noi
porta nascosto nella propria
mente”. Dio, appunto, “il Dio
che c’è o forse il Dio che non
c’è”. Il Dio che Buzzati, “pieno
di voglia di Dio”, è morto, da
non credente (non da ateo),
senza avere mai conosciuto.
Ma anche il Dio cercato, atteso, inseguito per tutta la vita.
“Non c’è pagina che non sia
carica di trascendenza e di
tensione verso un mondo parallelo, superiore a quello in
cui viviamo”, “Non c’è pagina
che non esprima una religiosità”, scrive l’autrice. Ed eccole, allora, queste pagine.
Stralci, passaggi, sintesi degli scritti del giornalista, scrittore e pittore (ma sono soprattutto i racconti a essere
presi in considerazione), raccolti, commentati, messi a
confronto con rigore scientifico e insieme appassionata
partecipazione nella prima
parte del libro, intitolata appunto Le Opere.
Una sorta di viaggio nei suoi
testi più significativi, “diario
travagliato di un’anima alla ricerca di Dio”, ma senza forzature, senza conclusioni
gratuite o imposte, senza deduzioni a tutti i costi: a parlare
è sempre e solo Buzzati.
Ecco la goccia d’acqua che
sale i gradini della scala, immagine del Destino che
avanza; l’immensa mano di
Dio ferma in mezzo al cielo,
pronta a fare giustizia; l’ospedale a sette piani, nel quale i
malati sono distribuiti, via via
Mario Capanna
La coscienza globale
di Filippo Maria Battaglia
In principio era la téchne, ovvero l’arte, la professione, l’abilità nel costruire. Ma già i
greci ne sottolineavano l’insidia, proprio quando ne davano un’accezione peggiorativa, indicandola quale l’artificio, il tranello o, peggio, l’inganno. Nel suo ultimo libro,
La coscienza globale, Mario
Capanna parte da questa distinzione per affrontare le
nuove sfide globali e per andare oltre «l’irrazionalità moderna». Si sofferma quindi
sull’uomo mediato, vittima ed
ostaggio di una miriade di
strumenti tecnici necessari a suo dire - per collegarlo alla
realtà, ma che in verità lo costringono a divenire prigioniero del «presente come totalità di riferimento». E da qui,
attraverso una narrazione lineare e sempre esemplificativa, analizza alcuni dei principali luoghi comuni che ossessionano il dibattito politico
e l’informazione.
La critica di Capanna muove
proprio dalla condizione in
cui versa quest’ultima e, in
particolare, quella televisiva,
sintomo significativo di una
venerazione nei confronti della tecnica, che ha reso sempre più l’uomo automa inconsapevole di un perverso meccanismo di identificazione tra
fine e mezzo. «Attraverso le
tecnostrutture, arterie dell’apparato scientifico-tecnologico, l’uomo moderno ha assunto un potere tale da modificare la natura fino al punto
da distruggerla»; il rapporto si
scendendo, a seconda della
gravità; il pertugio negli scavi
della metropolitana che porta
al mondo dei morti; l’antica
leggenda di Orfeo ed Euridice trasferita nella Milano
degli anni Sessanta. E il colombre: la salvezza scambiata per perdizione, fuggita per
tutta la vita, riconosciuta
quando ormai è troppo tardi.
Poi la seconda parte del libro,
I Giorni. Non tutti i giorni, ma
quei giorni. Quelli dell’“avviso
di partenza”, della “cartolina
di precetto”, dell’attesa, della
preparazione a quell’ultimo
viaggio, che solo svelerà il
Mistero. Quelli del “grande
congedo”, il 28 gennaio
1972, in un letto della clinica
“La Madonnina”. La moglie,
gli amici, i medici, le infermiere. I Pensieri di Pascal sul comodino. I ricordi. L’agenda
degli ultimi mesi, con le ultime riflessioni, gli ultimi contorni delle amate montagne
che svettano nel cielo: le nuvole rosse, le cime gialle di
sole. Il rifiuto di una forma di
fede in qualche modo tiepida
od opportunistica, della facile, vile conversione sul letto
di morte (Buzzati non volle
l’estrema unzione). Però, insieme, l’eterna domanda.
Che diventa attenzione continua, quasi studio, della morte
in quanto soglia “che conduce alla verità, qualunque essa sia”. E che sfocia nella più
umana delle incertezze:
“Però non posso non avere
dubbi”.
Già lo aveva scritto, su una
pagina di quaderno, nel
1957: “Dio che non esisti ti
prego che almeno su questa
grande nave che mi porta
via...”. Il libro, rigoroso anche
nell’accuratezza grafica, è
corredato da fotografie, scritti
autografi e disegni inediti. Di
particolare interesse, le testimonianze di Gabriele Franceschini, la guida alpina che
lo portava in scalata sulle vette dolomitiche (“Ma lo sai che
Dino letteralmente tutto l’anno sopravviveva nell’attesa di
quei quindici giorni di arrampicate?”); di Gaetano Afeltra
(“Quando lo si chiamava, rispondeva sempre ‘Comandi!’, alla veneta, una parola
che per un meridionale sarebbe servilismo ma detta da
lui era una cosa nobile”); di
Indro Montanelli (“Non so
quanto capisse del proprio
genio. Era semplicemente innamorato del mestiere di
giornalista, anche se avesse
guadagnato miliardi con i libri
non lo avrebbe lasciato mai”).
Di suor Beniamina, giovane
infermiera alla “Madonnina”
negli ultimi cinquantun giorni
di vita dello scrittore: “Quando suor Beniamina usciva
dalla stanza dopo avergli dato la buonanotte, le chiedeva:
E adesso cosa fa?. E lei tutte
le volte: Vado a pregare. E la
ricordo a Dio. Ma una sera le
cose cambiarono: Per la prima volta fu lui a chiedermelo:
Si ricordi anche di me”.
è così invertito: «l’uomo mediato, ora, definisce il contesto mediante, lo ridisegna, lo
sconvolge, lo produce».
Vittime di questo meccanismo sono in particolare i giovani, tendenzialmente sprovvisti di una criticità vigilante e
più propensi all’omologazione proprio perché cresciuti
ed educati all’interno di questa visione. Si infrangono così tutti i nessi degli avvenimenti, ormai dominati dalla
convinzione che «i fatti accadono e basta».
Responsabile di questa
aberrante rappresentazione
è l’Occidente, nella sua sorda pretesa di considerare il
proprio universo valoriale
quale l’unico possibile.
Inevitabile è quindi il cortocircuito logico cui cade l’uomo
contemporaneo, costretto a
trovare giustificazione dei
propri comportamenti non
più negli scopi e nelle finalità,
ma nella tecnica e nei mezzi.
Unico rimedio, la coscienza
globale, la consapevolezza
del legame con il tutto, una
visione omnicomprensiva e
compositiva, frapposta invece alla «falsa coscienza della
frantumazione». Risultato di
questa visione è l’elaborazione di una globalizzazione
multipolare, dove il modello
occidentale non si chiuda in
un atteggiamento totalitario
ed autoreferenziale, ma divenga consapevole della diversità e dell’alterità che lo
circonda attraverso l’aequitas, intesa come convivenza
e conciliazione di forze.
La coscienza globale, che si
conclude con un dialogo tra
lo stesso Capanna ed il filosofo Emanuele Severino, autore di un pamphlet proprio
sulla téchne, è un libro che
soffre una lettura passiva ed
immediata. Leggerlo senza
distinguo ed interrogativi significherebbe inevitabilmente
contraddirne alla radice tutte
le finalità.
Mario Capanna,
La coscienza globale,
Baldini e Castoldi Dalai
2006,
pagine 171, euro 16,00
Lucia Bellaspiga,
“Dio che non esisti
ti prego”
Dino Buzzati,
la fatica di credere,
prefazione di Vittorino
Andreoli,
Editrice Àncora 2006,
pagine 224, euro 15,00
Ordine/Tabloid
periodico ufficiale del Consiglio dell’Ordine
dei giornalisti della Lombardia
Poste Italiane SpA Sped.abb.post. Dl n. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004
n. 46) art. 1 (comma 2). Filiale di Milano Anno XXXVI - Numero 9-10,
Settembre-Ottobre 2006
Collegio dei revisori dei conti Giacinto Sarubbi (presidente),
Ezio Chiodini e Marco Ventimiglia
Direttore responsabile
Direttore dell’OgL
Segretaria di redazione
FRANCO ABRUZZO
Direzione, redazione, amministrazione: Via Antonio da Recanate, 1 20124 Milano
Centralino Tel. 02 67 71 371 Fax 02 66 71 61 94
Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia
Franco Abruzzo
presidente;
Cosma Damiano Nigro vicepresidente;
Sergio D’Asnasch
consigliere segretario;
Alberto Comuzzi
consigliere tesoriere.
Consiglieri: Letizia Gonzales, Laura Mulassano, Paola Pastacaldi,
Giuseppe Spatola, Brunello Tanzi
Elisabetta Graziani
Teresa Risé
Realizzazione grafica: Grafica Torri Srl (coord. Franco Malaguti,
Stampa Stem Editoriale S.p.A.Via Brescia, 22 20063 Cernusco sul
Naviglio (Mi)
Registrazione n. 213 del 26 maggio 1970 presso il Tribunale di Milano.
Testata iscritta al n. 6197 del Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC)
Comunicazione e Pubblicità Imagina sas Corso di Porta Romana, 128
-20122 MILANO
T. 02/58320509 Fax 02/58319824 e-mail: [email protected] - www.imaginapubblicita.com
La tiratura di questo numero è di 25.471 copie. Chiuso in redazione
il 30 settembre 2006
27
LIBRERIA DI TABLOID
Sandro Gerbi
e Raffaele Liucci
Lo stregone.
La prima vita di
Indro Montanelli
di Pilade del Buono
Dai giorni dell’infanzia alla
morte di Leo Longanesi, anno 1957, in un lungo viaggio
che ripercorre l’adesione giovanile al fascismo, l’avventura
africana, la guerra civile in
Spagna, l’Estonia felix, l’Europa campo di battaglia, l’arresto e la fuga in Svizzera, la
Liberazione e il ritorno in via
Solferino, i rapporti con il
Borghese di Longanesi e l’amicizia soffusa di velleità golpiste con l’ambasciatrice Usa
Clara Boothe Luce, per approdare a Budapest in rivolta:
questa l’estrema sintesi di Lo
stregone. La prima vita di
Indro Montanelli edito in marzo da Einaudi (titolo desunto
da una lettera dell’ex ministro
degli Esteri fascista Dino
Grandi nella quale veniva
sottolineata l’insuperabile
maestria del giornalista/scrittore di Fucecchio nel rendere
originali e attuali anche fatti e
situazioni che il corso del
tempo avevano fatalmente
scolorito). La biografia critica
dei primi cinquant’anni della
firma italiana più prestigiosa
del Novecento (1909-2001)
porta i corposi nomi degli storici Sandro Gerbi e Raffaele
Liucci, una biografia che ha
contribuito non poco ad animare (per i suoi risvolti e le
relative messe a punto) l’estate delle terze pagine e delle sezioni culturali delle grandi riviste. La prima parte del libro, ancorata all’8 settembre
‘43, è opera di Gerbi; la seconda di Liucci, il tutto (come
è ovvio) discusso e reciprocamente condiviso. Il limite
cronologico prescelto, il ‘57
appunto, non è casuale:
«L’anno prima, a causa delle
corrispondenze di Montanelli
dall’Ungheria in fiamme - vilipese dalla destra perché
considerate troppo “progressiste” -, si era interrotto bruscamente per quasi un anno
il sodalizio fra Indro e Leo, l’amico di una vita: una frattura
ricucita solo poche settimane
prima della morte di quest’ultimo».
Natalia Milazzo
Siciliani
di Massimiliano Lanzafame
Nata a Milano ma di origine
siciliana, Natalia Milazzo, caporedattore di Altroconsumo,
ci guida alla scoperta di una
straordinaria isola e dei suoi
fieri abitanti: la Sicilia e i siciliani. “Sicuramente avrete già
sentito vantare la bellezza abbagliante della Sicilia, della
sua natura, della sua arte... vi
avranno parlato di antichi teatri e templi intatti, di fontane e
spiagge, di cattedrali e mosaici, di limoni e palme, di acque
cristalline. Ma: e i siciliani?
Che cosa sapete, veramente,
dei siciliani?”. L’autrice ne descrive le abitudini, le contraddizioni e i difetti con divertenti
aneddoti e luoghi comuni, che
rendono piacevole la lettura, e
che alla fine fanno emergere
le grandi virtù di questo popolo, facendogli fare “bella figura”. E sì, perché per un siciliano, che ha scolpito nel cuore il
motto “superiore a molti, pari
a chiunque”, fare “bella figura”
è una questione vitale, d’onore. In Sicilia, poi, la forma ha
un’importanza pari, se non
superiore, a quella della sostanza. Per cui un semplice
invito a pranzo può trasformarsi in un’occasione di dar
sfoggio dell’innata “nobiltà” siciliana, ma può anche tramutarsi in un incidente diplomatico se, il malcapitato ospite del
Nord, ha la sventurata idea di
omaggiare il padrone di casa
con un vino o un dolce “polentone”. Tanto orgogliosi e tanto
permalosi, ma con un senso
innato dell’ospitalità, i siciliani,
sono amanti del lusso, ma an-
28
che disinteressati al denaro e
quando possono aiutare
qualcuno si fanno in quattro.
La Sicilia è sempre stata un
attivissimo centro dal punto di
vista artistico, culturale e
commerciale e l’autrice ricorda brevemente alcuni dei personaggi contemporanei che
ne proseguono le tradizioni e
il prestigio tra cui: Franco
Battiato, Pippo Baudo, Domenico Dolce, Andrea Camilleri, Carmen Consoli, Maria
Grazia Cucinotta, Emilio
Fede, Fiorello, Renato Guttuso e Gianni Riotta. Nel libro
si trovano anche trenta possibili cose da fare nell’isola come: visitare il Teatro Greco di
Taormina o la Valle dei Templi
di Agrigento; perdersi nel labirinto di Donnafugata o nel
mercato del pesce di Catania, la Pescheria; inebriarsi
con il gustoso cioccolato di
Modica o rinfrescarsi con l’impareggiabile granita al limone, e tanto altro ancora. Ma la
Sicilia è soprattutto una perla
da respirare almeno una volta
nella vita, lasciandosi prendere dai ritmi dell’isola dove il
tempo “non ha importanza”, il
passato è subito lontano e si
vive solo nel presente. E senza dimenticare il detto:“Cui va
a Palermu, e ‘un va a Muriali
si nni parti sceccu e torna
maiali”.
Natalia Milazzo,
Siciliani,
Le Guide Xenofobe,
Edizioni Sonda,
Casale Monferrato 2006,
pagine 140, euro 9,50
Soppesato che in settant’anni di professione, tra articoli,
corsivi brevi e lunghi e risposte ai lettori, Montanelli ha
pubblicato qualcosa più di
50mila pezzi, Gerbi e Liucci
si sono tuffati nella «lettura sistematica di tutti gli articoli
montanelliani individuabili»
trascurando le numerose biografie, eccezion fatta per la
testimonianza rilasciata da
Indro a Tiziana Abate negli
ultimi mesi di vita e pubblicata postuma nel 2002.
«Il punto d’arrivo - annotano
gli autori nella prefazione
(non escludendo un secondo
volume) - non è però così rigido come sembra. Tutte le
volte che ci è parso opportuno, abbiamo effettuato dei
salti in avanti nel tempo». E
proprio questi salti hanno stimolato il dibattito. Come per
la «visione idilliaca e paternalistica dell’avventura africana» di Montanelli (leggere: i
bombardamenti aerei con l’iprite) contrastata per decenni
dallo studioso Angelo Del
Boca. O per la Spagna (filo-
franchismo). O per la questione ebraica. O per la testimonianza su piazzale Loreto
(era o non era presente?). O
(soprattutto) per il nodo “fascismo/antifascismo” che
rappresenterà una costante
delle sue molte stagioni sino
allo sdoganamento della sinistra dopo la chiusura di partita con il Giornale e la breve,
intensa e amara avventura
della Voce, in aperta contrapposizione all’ex amico (e per i
conti del Giornale uomo della
provvidenza) Silvio Berlusconi, sceso in politica.
Nell’estate le prese di posizione e le polemiche non sono mancate. Una quindicina
di giorni prima che deflagrasse nel mondo l’imbarazzante
confessione-outing di Günter
Grass, il Corriere della Sera
del 22 luglio ha pubblicato
nelle pagine culturali il testo
inedito di una lettera del 1944
destinata all’allora prefetto di
Milano Piero Parini «nella
quale Montanelli, si legge,
per difendersi dall’accusa di
“tradimento”,
ricostruisce
puntualmente la storia del
suo distacco dal fascismo»,
lettera mai inoltrata giudicandone troppo temerario il contenuto l’amico che avrebbe
dovuto recapitarla - Gaetano
Greco Naccarato -, e conservata dunque a futura memoria. Due giorni dopo il
Corriere ospiterà un intervento proprio di Gerbi e Liucci
ispirato da quella lettera, nel
Il mondo incontaminato dei
Paesi del Sud è una leggenda, ma un mondo ideale da
contrapporre all’inferno corrotto e degradato dell’Occidente. La letteratura d’avventura dell’Ottocento ha ricamato molto sul tema. Dal
nostro Salgari a Stevenson,
da Dafoe a Kipling sino ad arrivare a Conrad e London.
Una metafora della vita, delle
speranze, degli ideali naufragati nel primo Novecento.
Il meticcio è il libro d’esordio
di Angelo Roma. John, il protagonista nativo dei mari del
Sud, apprende la lettura da
un vecchio capitano della
Marina britannica. Decide di
emigrare in Occidente consapevole di voler diventare uno
scrittore. Angelo Roma propone in una favola le nuove
avventure di un Robinson
Crusoe letterario. Inserendosi
nella civiltà il protagonista
scopre anche l’ipocrisia e la
cattiveria. Inaspettatamente
arriva il successo e l’amore di
una donna, grazie alla benevolenza del padrone che lo
spinge a scrivere. L’autore affida allo sguardo ingenuo e
puro del Meticcio il compito di
mettere in evidenza assurdità
e contraddizioni. È un romanzo senza legami con la realtà
del tempo che ignora gli
eventi storici drammatici del
secolo breve. Riflessioni attuali e provocatorie, ma molto
scontate e banali con un linguaggio minimale ed essenziale, dove il soggetto viene
posposto al verbo, quasi per
mento montanelliano nei
confronti del suo giovanile fascismo. Primo: Montanelli
non negò mai il proprio passato fascista, né mai usò le
consuete attenuanti della
“fronda” per vantare, nel dopoguerra democratico, precoci attestati di antifascismo
(...). Secondo: Montanelli non
si comportò mai come i tanti,
tantissimi intellettuali (di cui
per carità di patria è opportuno una volta tanto omettere i
nomi illustri) che nella loro
seconda vita di “redenti”
nell’Italia postfascista e antifascista si impegnarono a
cancellare le tracce della loro prima vita, insomma del loro precedente fascismo.
Questo fu il vantaggio di cui
Montanelli, dopo il ‘44, non
ebbe mai modo di godere,
semplicemente perché il
grande giornalista non volle
adeguarsi. Un bastian contrario. O forse un uomo con la
spina dorsale diritta».
Chi ha avuto la fortuna di conoscere Montanelli e il privilegio di lavorargli accanto, sia
pure nei contrasti che la vita
e la professione inevitabilmente disseminano, non si
chiede chi sia stato e cosa
abbia rappresentato: lo sa
perfettamente.
Sandro Gerbi e Raffaele
Liucci,
Lo stregone. La prima vita
di Indro Montanelli,
Einaudi, 2006
Dimitri Verhulst
Problemski Hotel
Angelo Roma
Il meticcio
di Filippo Senatore
quale vengono elencati alcuni “pedaggi” pagati da
Montanelli al regime dal ‘38
al ‘43 (tipo la denuncia al
Minculpop di un alto funzionario da lui considerato poco
leale al regime, l’incarico di
scrivere un libro sull’Albania,
l’invio di un articolo al direttore Borelli «che forse potrà
servirVi in tema razzista», l’elogio della cultura della
Gioventù hitleriana, articoli
schierati sul nuovo regime filofascista instaurato in Romania, l’incarico, all’inizio del
‘41, da parte del Minculpop,
di inviare notizie riservate dal
fronte greco-albanese) compensati dai «non rari spunti di
“fronda”» come il richiamo
elevatogli da Pavolini per la
denuncia di una spia dell’Ovra che riferisce apprezzamenti critici di Montanelli su
Mussolini ascoltati in luoghi
pubblici e i contatti con Maria
José e personalità antifasciste di area liberale.
Sulla stessa pagina del
Corriere “la replica” porta la
firma di Pierluigi Battista:
«Nel loro cortese intervento,
Sandro Gerbi e Raffaele
Liucci non sottolineano abbastanza che, con la sua lettera
a Piero Parini, Montanelli, dal
carcere, non aveva nessun
interesse a negare di avere
avuto “vantaggi” dal regime
fascista (...).
In questo dettaglio trascurato
da Gerbi e Liucci, si nasconde la peculiarità dell’atteggia-
rallentare un’azione effimera
e transeunte.
Il protagonista sembra vivere
solo delle letture di Dickens,
Tolstoi, Shakespeare e dei
Vangeli in un ritiro atemporale che gli permette di trovare
creatività letteraria, inventando un personaggio quasi come una sorta di alter ego alla
ricerca di valori perduti. Ma
l’epilogo sembra fine a se
stesso e non trova uno sbocco se non il ripetitivo e abusato ritorno allo stato di natura.
“Se gli uomini osserveranno
questi precetti conseguiranno il regno di Dio sulla terra e
il più alto grado di felicità accessibile ai mortali.
“Cercate il regno di Dio e la
sua giustizia, e il resto vi sarà
dato. Noi invece cerchiamo il
resto e ci sorprende di non
trovarlo.Ecco dunque lo scopo della mia vita. Appena
raggiunto uno, n’è cominciato
un altro!”.
Da quella notte si iniziò infatti
per Necliudov una vita nuova,
non solo perché mutarono le
condizioni della sua esistenza, ma perché tutto ciò che
accadde da quel momento in
poi assunse ai suoi occhi un
significato diverso. Come si
concluderà il nuovo periodo
della sua vita, lo dirà l’avvenire.” (Leone Tolstoi, da Resurrezione).
Angelo Roma,
Il meticcio,
PeQuod Editore,
pagine 107, euro 13,00
di Sabrina Peron
Dimitri Verhulst, scrittore e
giornalista belga, nel dicembre 2001 viene incaricato
dalla rivista Deus Ex
Machina di scrivere un articolo sui rifugiati. Egli decide
di immergersi nella notizia
trascorrendo un certo periodo nel centro di permanenza
Totem della cittadina belga di
Arendonk. Da questa esperienza, oltre al reportage per
la rivista, Verhulst ricava materiale per un libro di brevi
racconti Problemski Hotel , la
metà dei quali - come ci avverte l'autore - “è inventata,
anche se nessuno di essi
contiene una sola bugia”. Si
tratta di storie di uomini e
donne disperati in fuga dall’orrore e in viaggio verso la
speranza, che si trovano a
dover forzosamente sostare
in quella sorta di terra di nessuno che sono i centri di accoglienza. In questi luoghi di
indeterminazione extratemporale ed extraterritoriale nei
quali vengono rinchiusi, le loro vite sono sospese in attesa di imperscrutabili decisioni burocratiche ed in questa
attesa essi - come il misterioso animale de La tana di
Kafka - oscillano irresoluti da
una preoccupazione all’altra
sperimentandone tutte le angosce. Ne esce fuori un libro
volutamente scorretto e cattivo, scritto con un linguaggio
crudo ed essenziale, che rifugge dai soliti racconti edulcorati che mirano a suscitare
una facile pietà nei lettori.
Perché è la pietà il cuore del
problema: occorre un fotografo che faccia circolare
fuori immagini nauseabonde; occorre esercitarsi a fare
una faccia triste così che l’inarrivabile potere burocratico
che ne amministra a piacimento le vite, possa credere,
e giustificare, l’ingresso nel
Forte Europa perché si ha “la
vagina orribilmente mutilata”
e non si vuole che alle proprie figlie tocchi la stessa
sorte; occorre andare in giro
“con una faccia da calendario di un’associazione no
profit”; ed ancora occorre
surclassare tutti gli altri con
le proprie disgrazie, perché
se uno dice che “i militari del
suo paese gli hanno spezzato due gambe, l’altro risponde che nel suo paese è peggio, che i militari gli hanno
spezzato tre gambe. E così
naufraga ogni speranza perché come fa uno con due
gambe rotte ad ottenere asilo politico se non l’hanno
concesso a uno che di gambe rotte ne ha tre?” Il libro termina con una postfazione
dello stesso autore che constata amaramente come al
termine della prima stesura
del manoscritto, nessuno dei
vari rifugiati a cui il libro si era
ispirato aveva ricevuto parere positivo: alcuni erano tornati spontaneamente al loro
paese, altri erano stati rimpatriati con la forza, altri ancora
infine erano scomparsi o vivevano nell’illegalità.
Dimitri Verhulst,
Problemski Hotel,
Fazi Editore, 2006,
pagine 121, euro 13,50
ORDINE
9-10
2006
Carlo Graffigna
I pleniluni dell’orilanto
di Alberto Roccatano
Agostino Picicco
Padre Agostino Gemelli
di Massimiliano Lanzafame
Un libro rivolto ai giovani per
avvicinarli, nel loro cammino
di crescita personale, a una
delle figure più emblematiche
della cultura italiana del XX
secolo: padre Agostino Gemelli. Con linguaggio semplice e un taglio divulgativo,
l’autore, racconta le vicende
che hanno animato la vita del
fondatore dell’Università Cattolica. Una vita intensa che
ha attraversato due guerre
mondiali e irta di sofferenze,
con due incidenti automobilistici che l’hanno costretto a
trascorrere diciannove anni
tra bastone e carrozzina.
Questi eventi negativi non
hanno, però, mai fermato padre Gemelli che ha continuato a operare, scrivere e organizzare anche nella difficoltà,
sospinto com’era da uno spirito indomito e da una incrollabile fede. Ai giovani studenti
era solito dire: “Lavora finché
sei stanco morto, addormentati con la testa piena di programmi per l’indomani”.
Aveva un volto all’apparenza
burbero dietro il quale, in
realtà, si celava una persona
di squisita delicatezza, pronta ad ascoltare e aiutare
chiunque. Dalle pagine del libro emergono altre storie e
altri personaggi di grande valore: Armida Barelli, Ludovico
Necchi e Francesco Olgiati.
Sono gli amici e i più stretti
collaboratori di padre Gemelli, che hanno condiviso
con lui il progetto dell’università Sacro Cuore. Nella seconda parte del testo, invece,
sono presentati degli scritti
del protagonista, che ne mettono in luce ancor di più la
grande personalità. Mentre
nella parte finale vi è un glossario, che dà brevi spiegazioni su persone, luoghi e fatti
della narrazione, permettendo al lettore di collocarli nel
giusto contesto storico, sociale e religioso.
Agostino Picicco,
Padre Agostino Gemelli,
Edizioni Messaggero,
Padova 2005,
pagine 166, euro 9,80
Massimo Picasso
Il gemello di Dio
di Massimiliano Lanzafame
È ancora possibile dire qualcosa di nuovo su Dio? Pare
proprio di sì. Ci pensa Massimo Picasso, una vita alle
spalle nel mondo dell'editoria, che percorre strade non
convenzionali e confeziona
un “giallo teologico” dai risvolti sorprendenti. Il suo protagonista è tormentato dalle
immagini di guerra e di violenza che gli passano davanti
agli occhi, soprattutto quelle
sui bambini, e si domanda
dove sia finito Dio davanti a
tale orrore. Decide così di
mettere un annuncio sul
Corriere della Sera in cui dice di voler incontrare e conoscere Dio, e di essere anche
a disposizione di eventuali intermediari, “purché serissimi,
disinteressati e introdotti nell'ambiente”. Qualcuno gli risponde e gli dà un appuntamento. Si presentano due ragazzi normalissimi, un dandy
e un capomastro, praticamente due “angeli”. Inizia così il travagliato percorso interiore alla ricerca di risposte,
che lo porterà ad incontrare
alcuni personaggi singolari,
con cui rivivrà, tra gioie e sofferenze, le contraddizioni della vita. Accompagnato da un
sottile filo di angoscia e con
un crescendo di intrecci e suspance, tra morti misteriose
e “angeliche” apparizioni, il
protagonista comporrà il
puzzle della verità. Indagherà
sui lati più oscuri dell'essenza di Dio, di cui avverte l'indecifrabile esistenza, fino ad
avanzare un'ipotesi sconcertante: che anziché un Dio, ne
esisterebbero due. Due gemelli, entrambi sovrani, che
starebbero in eterna lotta tra
di loro per il dominio sul mondo. Uno rappresenterebbe il
principio del bene che chiamiamo Dio e l'altro il principio
del male che chiamiamo
Satana. Una teoria per certi
versi sconvolgente, che potrebbe turbare la sensibilità di
qualcuno facendo riflettere il
lettore sulle sue posizioni.
Massimo Picasso,
Il gemello di Dio,
Anima Edizioni,
Milano 2005,
pagine 307, euro 18,90
Le seppie, quando sanno
che un predatore le sta per
aggredire, si nascondono alla
vista spruzzando una nuvola
di inchiostro nero e si dileguano. È quel nero che serpeggia in questo romanzo.
L’illusione si comporta come
la seppia che, per sfuggire alla presa della realtà, si immerge nel buio più fitto, mentre la realtà si scopre a stringere nel pugno il vuoto del
dubbio. È la storia di un anello di orilanto che passa di
mano in mano, in un ospedale psichiatrico. Un talisma-
Qualcuno ha ucciso il generale segna il ritorno di Matteo
Collura al romanzo, dopo le
lontane e straordinarie storie
corali di Associazione indigenti (1979) e Baltico (1988).
Non che negli anni intermedi
egli non avesse scritto libri
con ritmo narrativo. Il ritorno
alla narrazione per Collura
non è quindi del tutto vero,
perché ha continuato sempre
a farla, anche quando l’urgenza di dipingere certe realtà
italiane e siciliane l’hanno indotto a scegliere la forma del
saggio, ma in chiave appunto
narrativa (come nel libro In
Sicilia o in Alfabeto eretico).
Qualcuno ha ucciso il generale non è perciò un vero “ritorno”, ma un’evoluzione, e la
prova appare arricchita dall’esperienza saggistica accumulata negli ultimi dieci anni.
Pertanto la storia del generale
garibaldino Giovanni Corrao,
deluso dal prosieguo delle vicende italiane dopo l’unificazione, al cui processo ha contribuito partecipando alla spedizione garibaldina fino alla
battaglia sul Volturno, e al
successivo tentativo di Garibaldi di ripetere l’operazione
nel 1862 con l’obiettivo di liberare Roma dal Papato e farla
diventare capitale del Regno,
è la storia di una disfatta spirituale e di una “morte annunciata” perché, come sempre
accade nei delitti di mafia, era
stato emarginato e lasciato
solo. Egli avrebbe voluto che il
programma rivoluzionario dei
ORDINE
9-10
2006
garibaldini si realizzasse interamente: non tanto nella forma repubblicana, perché
aveva capito che l’unità del
Paese era al di sopra di tutto,
ma nelle riforme auspicate e
promesse verso una giustizia
sociale, un ammodernamento delle strutture istituzionali,
una riforma agraria, un programma di investimenti industriali, e gli altri punti del programma garibaldino. Ma di
tutto questo non si verificò
nulla. Garibaldi si ritirò a
Caprera, sdegnato proprio
perché il rinnovamento da lui
promesso venne rinnegato
da Cavour e dai suoi successori alla direzione del governo
e giorno dopo giorno affossato. Le industrie del Sud furono
smantellate, i finanziamenti
cominciarono a fluire verso il
Nord per lo sviluppo industriale. I soldati garibaldini
non vennero accolti nell’esercito regolare come era stato
promesso e furono mandati a
casa come straccioni. Il Sud
fu messo a ferro e a fuoco
dalle truppe piemontesi di occupazione.
L’impoverimento generale del
Sud costrinse i contadini ad
emigrare, dopo il fallimento
della rivolta legittimista (a favore di Francesco II, che teneva corte a Roma, ancora
ufficialmente Re delle Due
Sicilie, da dove era stato costretto all’esilio volontario per
non diventare prigioniero del
cugino Vittorio Emanuele II
che fino all’ultimo gli mentì dichiarando che non aveva mire di conquista), ma non aveva né abdicato né era stato
detronizzato.
Il generale Corrao (il titolo gli
fu conferito da Garibaldi sul
campo per valore militare)
aspettava di riprendere l’azione prima o poi, quando si
fossero verificate le condizioni favorevoli: la chiamata alle
armi dei volontari da parte di
Garibaldi per fare la marcia
su Roma lo trovò pronto con i
suoi “picciotti” che all’appello
arrivarono tutti, conquistati
dai suoi proclami anche se
magari non li capivano. Ma
quando
sull’Aspromonte
Garibaldi fu ferito a una gamba da una fucilata di un soldato dell’esercito regolare
italiano, semplice continuazione di quello piemontese,
fu chiaro a tutti, anche a
Corrao, che ormai non si potevano più cullare illusioni. Il
processo di rinnovamento
era stato definitivamente rinnegato e riprendeva vigore il
partito dell’arroganza, della
corruzione, dell’immobilità
sociale, dell’ingiustizia, che in
Sicilia si identificavanocon la
nobiltà “gattopardesca” immortalata dal grande romanzo di Tomasi di Lampedusa.
L’idea forza di Corrao, cioè
che la rivoluzione avrebbe
potuto comunque riprendere
vigore in futuro, era da annientare, perciò nessun
esponente delle istituzioni gli
prestò più attenzione. Il generale fu abbandonato da tutti,
restò isolato, gli arrivarono
persino segnalazioni che
qualcuno gli avrebbe teso un
agguato. Ma continuò a fare
la sua normale vita, andando
e ritornando dal suo podere,
accompagnato dal suo fido
ex attendente. I due colpi di
fucile lo uccisero mentre tornava a casa sul calesse, come il padre della “cavallina
storna” di Pascoli. E questa
scena è raccontata da Collura con una visionarietà filmica, in una sequenza rallentata per fissare i particolari
strazianti della morte.
Il romanzo può ben essere
definito “storico/poliziesco”.
Non nel senso dei noir che
oggi pullulano nelle collane di
tutte le case editrici. Collura
non risponde all’esigenza
commerciale di una moda
che da alcuni anni rende.
Usa il metodo dell’inchiesta
quasi poliziesca alla maniera
di Sciascia: per riscrivere una
realtà negletta anche senza
prove documentali, per spiegare succintamente che il delitto è dentro uno scenario
storico, in cui si agitano alcuni personaggi veri dell’epopea garibaldina da Garibaldi
a Crispi, da Bixio a Rosolino
Pilo, nell’anno 1863 e nel
mese d’agosto, a circa un anno dall’avventura garibaldina
dell’Aspromonte.
Collura non scrive solo un romanzo, fa anche un lavoro di
contestualizzazione del passato storico, datato all’agosto
1863, con il presente. Collura
parte, nella sua lunga indagine, da una fotografia che ritrae la mummia di Corrao,
rinvenuta nella cripta dei
Cappuccini a Palermo, tra
due parenti e risale alle vicissitudini che nell’arco di cento
anni avevano oscurato la fama, il ricordo, l’esistenza di
questo “eroe” ombroso, gigantesco, passionale, esoterico. Egli continuò a coltivare
Carlo Graffigna,
I pleniluni dell’orilanto,
Corponove Editrice,
Bergamo 2005
pagine 176, euro 14,00
Carlo Graffigna
Montanaro di pianura
La montagna, quando diventa innamoramento, ti attira
come il magnete fa con il ferro. Ti scoprirai valligiano nel
cuore e nel sangue. Scoprirai
la montagna capace di prendersi cura della tua salute ma
anche di proteggere e mantenere fuori dal tempo il bambino di pianura che eri e che
se ne innamorò. E poi, vuoi
mettere.., un posto, nell’alta
Val Brembana, dove si trova
un antico ponte romano, per
quanto fuori dal mondo deve
essere un posto interessante; se poi aggiungi un lungo
serpente con le ali, sibilante
nel cielo notturno, che i vecchi del posto giurano di aver
Matteo Collura
Qualcuno ha ucciso
il generale
di Ottavio Rossani
no, (sfilato dal dito di una
donna dormiente in una grotta da millenni, in un deserto
verso i confini del Turkestan)
capace di realizzare i desideri durante le notti di plenilunio.
Uno scambio di corpi, un
amore raggiunto. Ma se la
realtà riesce a toccare l’illusione costringendola a mostrare la verità che nasconde,
il solo contatto scatena la folgore e il nero tizzone diviene
il suo nuovo nascondiglio.
il sogno di una rivoluzione
che potesse cambiare la situazione sociale in Sicilia, e
di conseguenza in Italia. “Da
due anni sono circondato da
una rete di spie per insidiare i
mie andamenti e i miei pensieri”, scrisse Corrao al giornale di Crispi, il Precursore.
“Perché tanta attenzione della polizia nei suoi confronti?”,
si chiede Collura. E tutto il libro cerca di rispondere al
quesito. La prova sul movente, sugli esecutori e sul mandante dell’omicidio non c’è.
Ma la logica della narrazione
surroga la mancanza di documenti certificali.
“Qualcuno” - come chiosa il
titolo del libro - ordinò l’uccisione del generale perché
non desse più fastidio. Il generale Corrao doveva morire
perché tutti capissero che i
sogni rivoluzionari dovevano
essere messi nel cassetto.
Per un eroe come Corrao
che godeva di un grande
consenso popolare, la soluzione era il mandato a un
clan mafioso di eliminarlo:
questo è quel che pensa
Matteo Collura. E ci arriva dopo aver visitato i luoghi che ricordano le imprese di Corrao, dopo aver visionato qualche ritaglio di giornale che
raccontava all’epoca il funerale, la vita, le azioni di Corrao. Pur in mancanza di documenti esaurienti, Collura risale verso la presumibile verità attraverso la letteratura,
perché come diceva Leonardo Sciascia “la letteratura
è verità”, non la sola verità
ma una verità possibile. Per
raggiungerla Collura dipinge i
visto, in qualche occasione,
allora è anche un posto magico. Un posto dove rubano le
acque ai focosi torrenti per
farci centrali elettriche. E, si
sa, con le centrali arrivano le
strade, e con le strade arrivano i pigri. La montagna, allora, si ritira sempre più su, per
farsi raggiungere, a piedi, solo dai cocciuti montanari e dai
solitari rocciatori. Quasi ottant’anni del ‘900 scorrono intense in queste pagine. Da
leggere.
Carlo Graffigna,
Montanaro di pianura,
Corponove editrice,
Bergamo 2005,
pagine 160, euro 14,00
ritratti “umani” degli eroi imbalsamati nell’oleografia del
Risorgimento (da Garibaldi a
Bixio a Crispi a Vittorio Emanuele II): fissa tali figure nelle
loro debolezze, sfrondandole
dal vecchiume delle agiografie. Ne esce un affresco dei
primi anni dell’Italia unitaria
fuori dagli schemi scolastici
cui ci hanno abituato centocinquant’anni di retorica patriottica. Collura scrive in un
italiano “visivo”, quasi con
una tecnica filmica. Mentre
leggiamo ci sembra di vedere
scene in movimento, magari
ritagliate al rallentatore per
darci la dimensione del tempo che scorre lento e inesorabile davanti e dentro la tragedia. Immagini, personaggi
e luoghi che le parole di
Collura, di volta in volta moderne e solenni, infuocate o
raffreddate, simpatiche o
odiose, risonanti o opache,
indignate o suadenti, ci offrono in una luce vivida che illumina dubbi e incertezze, ma
che non riesce a cancellare
del tutto le ombre della storia
e del presente. Una prova
narrativa di grande esito stilistico e ritmico, in un gioco di
invenzione e di verifica. Un
modo di raccontare che è tipico di una vasta schiera di
scrittori latinoamericani.
Vengono in mente il Garcia
Marquez di Nessuno scrive
al colonnello o il Manuel
Scorza di Rulli di tamburi
per Rancas. Un modo di narrare, epico-lirico-civile, molto
vicino a quel realismo magico che in Italia purtroppo è
poco frequentato, ma che in
America Latina riesce ancora
addirittura a smuovere le folle.
Matteo Collura,
Qualcuno ha ucciso
il generale,
Longanesi 2006,
pagine 156, euro 13,00
29
LIBRERIA DI TABLOID
Philip Meyer
Giornalismo e metodo
scientifico, ovvero
il giornalismo di precisione
di Giuseppe Prunai
Perplessità, dubbi, interrogativi: è ciò che resta della lettura di questo testo da parte di
un giornalista.
Il primo interrogativo riguarda
l’anno della prima pubblicazione del libro negli Stati
Uniti: il 1973. È ancora attuale
un trattato scritto ben trentatré anni fa? Forse, da allora,
sono cambiate un po’ di cose.
È cambiato il modo di fare
giornalismo, sono cambiate
le esigenze del pubblico,
sempre più abituato ad avere
l’informazione di base da radio, TV e web e approfondimenti e commenti dalla carta
stampata (ma poi vi sono delle geniali commistioni di ruolo
fra i vari media). E poi: è possibile un raffronto tra il pubblico americano e quello europeo in generale e italiano in
particolare? Probabilmente
no per un cumulo immenso di
motivi, primo fra tutti il diverso
retroterra culturale, la diversa
animosità con la quale da noi
si vive l’attualità, dalla politica,
alla cronaca nera, il diverso
spirito critico, l’ironia caustica
fino al cinismo.
A parte ciò, il libro è un pregevole trattato, ma non si capisce di cosa. Certo, non di
giornalismo soprattutto non
di quel “new journalism” che
viene sbandierato nella prefazione e nell’introduzione:
dopo 33 anni, quel “new” è divenuto un reperto archeologico. Molte le tematiche affrontate: dal calcolo delle probabilità (spiegato in modo discutibile) alla raccolta dei dati
per i sondaggi. Tutte cose interessanti ma che riguardano
altri mestieri. Poi si proclama
solennemente che le interviste vanno preparate e non
fatte estemporaneamente, alla garibaldina. Ma davvero?
E allora perché non spiegare
la tecnica di scrivere un pezzo a domande sottintese oppure quella di fare un’intervista a domande selettive per
strappare un commento a chi
non vuol commentare?
Sono alcune delle tecniche
del cosiddetto “giornalismo di
precisione”, note a tutti i colleghi. Da quelli che escono dalle più decantate scuole di
giornalismo, quanto da quelli
che si sono diplomati sul
campo, facendo la cucina, facendo la gavetta nei commissariati di polizia, nei tribunali,
nelle strade della propria città
o seguendo le più paludate
conferenze stampa.
Su un tema mi trovo d’accordo con il testo di Meyer, l’estrema prudenza nel trattamento dei dati elettorali a
scrutinio ancora in corso, nella diffidenza verso i sondaggi,
lo scetticismo nei confronti
degli exit poll, i limiti delle
proiezioni. Comunque, questo Giornalismo e metodo
scientifico è un ottimo spaccato del giornalismo americano degli anni 70. Senz’altro
molto utile agli studiosi della
storia della comunicazione
mediatica, ma non di più. E
poi sarebbe ora di chiudere
una volta per tutte nell’armadio i miti del giornalismo
americano. Francesco Bacone diceva che la conoscenza
passa per la liberazione da
certe convinzioni presenti
nella nostra mente, da certi
pregiudizi che limitano la possibilità di conoscere in modo
oggettivo la realtà, dai miti,
dai feticci che il filosofo inglese chiamò gli “idola”, gli idola
specus, tribus, fori e theatri:
quattro parole nelle quali ogni
collega potrà riconoscere i
propri condizionamenti e autocondizionamenti. È cancellando certi simboli e certe incrostazioni culturali che si
può costruire un giornalismo
italiano moderno.
Ovviamente di precisione.
Philip Meyer,
Giornalismo e metodo
scientifico, ovvero
il giornalismo
di precisione,
Luiss University Press,
Armando Editore,
pagine 255, euro 24,00
A. Bevere e A. Cerri
Il diritto di informazione
e i diritti della persona
di Sabrina Peron
Il volume di Antonio Bevere e
Augusto Cerri è dedicato e al
diritto dell'informazione, inteso quale articolazione del più
ampio diritto di manifestazione del pensiero che, a sua
volta, risponde a un bisogno
insopprimibile dell’uomo. Il diritto all’informazione, che si
pone in stretta connessione
con il più ampio diritto alla libertà di espressione, si declina non solo quale diritto di
informare e di informarsi liberamente, ma anche quale di-
30
ritto a non essere impediti
dalla ricezione di informazioni, nonché a quello di ricevere informazioni adeguate.
Tale diritto, di vitale importanza in ogni ordinamento democratico, non si esaurisce al
campo della mera cronaca,
ma si estende alla critica, in
tutte le sue svariate forme,
che vanno dal radicale dissenso, all’attacco veemente,
ai toni ironici o satirici. Il libero
pensiero difatti può germogliare solo nel vasto mondo
di tutte le idee possibili, con le
quali si deve quotidianamente cimentare, perché la vita
Marino Livolsi e Ugo Volli
Rumore e pettegolezzi
di Franz Foti
È bastata la spinta inesorabile
del mezzo televisivo per dare
“dignità” alle comunicazioni
leggere: pettegolezzi o rumor
che si vogliano. Negli anni ‘50
veniva considerato pettegolezzo la produzione di notizie
che si accompagnavano alla
pubblicazione di riviste - fumetto come Bolero e Grand
Hotel. Ma c’erano anche settimanali più blasonati che trattavano il pettegolezzo con
grande cura, popolati di re e
regine, attrici e attricette, insieme a servizi e reportage di
tutto rispetto. Qualche testata
è ancora sopravvissuta. Ora
siamo sul piano nobilitato del
pettegolezzo: il gossip. Nel
dopoguerra marciava il desiderio di leggerezza, il bisogno
di spensieratezza, sempre alla ricerca di un lembo di felicità che la tristezza e la ferocia del conflitto avevano cancellato nel volto di tutte le generazioni. Dominava la scarsità e le macerie della guerra
erano visibili per lungo tempo.
Di tutto ciò non è rimasta alcuna traccia. La modernità è
qualcosa di diverso, ma non
si riesce più a capire a quali
rumori ci si riferisce, da quale
epicentro scaturisce il bisogno d’infilare lo sguardo nelle
pieghe dell’anima altrui. C’è di
nuovo bisogno di leggerezza
per eccesso di carico emotivo, per stress da fatica, per
patologia da benessere, per
solitudine, per egoismo, rifiuto
della complessità e del pensiero critico. Marino Rivolsi e
Ugo Volli, insieme a Guido
Ferraro, Anna Col avita, Ivan
Sartori, Barbara Gasparini,
Nicoletta Vittadini e Pierluigi
Basso, hanno voluto rimettere
in campo i confini della parola, del gesto, dell’evento e del
luogo, per attraversare le dinamiche dei comportamenti
che legano e inchiodano le
persone al rumor, al pettegolezzo. Gli autori ripropongono
la comunicazione leggera che
viene a scuotere la sensibilità
sociale attraverso il medium,
politica e sociale non è altro
che un’eterna ricerca che
non può vivere senza contraddittorio e senza dialettica.
Su questa fondamentale premessa, gli autori tracciano il
quadro delle soluzioni proposte - non solo in ambito giuridico ma anche in quello filosofico - al problema dell’esercizio di tale diritto. Difatti, la libertà di manifestazione del
pensiero può trovare sì un limite in altri principi o beni
protetti dalla Carta costituzionale, ma è tuttavia difficile delineare tali limiti, quando l’esercizio di tale diritto è veicolo di verità, soprattutto quando questa verità attiene a valori sommi dell’uomo e della
convivenza sociale. Non a
caso, la nostra Costituzione,
fonda un cittadino che, non
solo è parte integrante di una
società che riconosce pari dignità e libertà di realizzare e
unico e incontrastato imperatore dell’ascolto semplice ed
emotivo. In questo mondo
s’intrecciano gli stili di vita, il
sé ideale che ciascuno si costruisce, l’appartenenza socio culturale. E dentro questi
tracciati ben affilati, raccontati, si entra nell’anima della
gente. Qui scorrono la carenza di tensioni, lo scoramento,
lo scollamento sociale, le insoddisfazioni, le aspettative e
il sogno. Forse scontiamo anche un calo di valori e vuoti
ideologici. In questo coacervo
emotivo dondolano la cultura
e le emozioni del tempo. Di
questo tempo. In questi passaggi il lavoro di Rivolsi e Volli
si rivela molto interessante.
Analizza la diffusione del reality, l’uso calcolato del “banale” come alfabetizzazione
mediatica. Passa in rassegna
il Grande Fratello, ormai noto
come GF, gabbia emotiva e
mentale, luogo in cui ci spinge la televisione, ponendo se
stessa al centro dell’universo
mediatico. Ci presenta la televisione che si progetta, si autoproduce, inventando eventi,
personaggi situazioni.
Troviamo la visibilità mediale,
teatro inventato, ma verosimile, smascheramento delle difformità, lo schema classico
del bello, del brutto, del buono
e del cattivo. C’è il sentimento
popolare nutrito di normalità e
perversione. In questo lavoro
c’è tutto. C’è la politica, il quartiere, l’ambiente di lavoro, l’intimo e il collettivo, il vero e l’inganno. C’è il profilo sociale
dell’oggi. Il dopo è già incerto,
perché sfera pubblica e privato mutano rapidamente. Di
queste pratiche è intrisa anche la politica. I nostri politici
pensano che il pettegolezzo
sia uno svago, e se colpisce
illustri colleghi ancora meglio.
Forse è il momento di capirci
di più e subito. Questo volume lo consente.
Leandro Castellani
Te la do io la tivù
di Emilio Pozzi
Marino Livolsi e Ugo Volli,
Rumore e pettegolezzi,
Franco Angeli,
Milano 2006,
pagine 142, euro 14,00
Quanta ironia e quanta amarezza in questo minuscolo libro di Leandro Castellani, regista, inventore del Teatro-inchiesta al tempi della Tv intelligente! E il sottotitolo (La
menzogna eretta a sistema
nelle riflessioni di un teleterrorista) e la citazione iniziale di
Karl Popper (Una democrazia non può esistere fino a
quando il potere della televisione non sarà pienamente
scoperto.Ma allora sarà troppo tardi) guidano nella lettura
dei brevi capitoli del pepato
volumetto, nato con la complicità di un piccolo editore,
Scipioni, che si autodefinisce
“anomalo e indisciplinato” .
La prima frase del volume mi
è sembrata molto esatta:
“Nella stampa che si occupa
di spettacolo c’è oggi una
specie di generica unanimità.
Nessuno critica più nessuno”. Ma subito dopo mi sono
trovato di parere diverso. Non
condivido infatti il tono usato
per criticare Benigni, nel senso di Roberto. “…pletorico,
arruffone, inventore di una
comicità becera e sguaiata,
apparentemente iconoclasta
e, in realtà, giullare dei potenti, da Berlinguer a cui voleva
tanto bene, al Wojtilaccio
amato-odiato sino all’approdo a una sorta di scombiccherato buonismo...”.
E via di questo passo. Mi
sembra strano che Castellani
non abbia tenuto presente le
radici della commedia dell’arte, quella sì quasi sempre
sguaiata, tanto che ci volle un
Goldoni a raddrizzarle le
gambe, e che non abbia usato il criterio dei grandi “numeri”, cioè una valutazione complessiva sull’iter professionale di un attore, giullare quanto
si vuole - ma anche un Premio Nobel come Dario Fo rivendica l’epiteto di giullare per rivedere un giudizio, troppo severo.
A parte questa diversità di
opinioni su Benigni, certamente imprevedibile ma au-
di sviluppare la propria personalità al riparo da ingerenze conoscitive ed interventi
manipolatori, ma che è anche titolare del diritto di esprimere liberamente il proprio
pensiero. Tuttavia, una società composta di cittadini
informati e critici, non è legittimata a chiedere il perenne
ed aprioristico sacrificio dei
diritti individuali all’altare del
diritto collettivo dell’informazione. In particolare, la Costituzione garantendo il libero
e pieno sviluppo della personalità umana in tutti i suoi
ambiti, esclude l’ammissibilità di una categoria di soggetti espropriati di ogni tutela
della loro persona, in nome
delle esigenze dell’informazione. Si crea così quella che
gli autori definiscono come
una “ontologica confliggenza” tra il diritto di informazione ed i diritti alla reputazione,
alla riservatezza ed all’identità personale, di cui ognuno
è titolare. Tale confliggenza,
crea un delicato gioco di bilanciamento, che si risolve a
favore del diritto di informazione, solo se, la comunicazione lesiva degli altrui diritti,
attiene a fatti di interesse sociale, veri (o almeno seriamente accertati), nonché espressi in termini correlati e
funzionali al livello della manifestazione polemica e del
dissenso manifestato.
Gli autori, inoltre, ben evidenziano come, se è pacifico che
il diritto di informazione abbia
radici dogmatiche e costituzionali nell’art. 21 Cost., non
altrettanto pacifiche appaiono le radici del diritto di accedere all’informazione (diritto
questo necessario per rendere effettiva la consapevole
partecipazione del cittadino
alla vita democratica del pro-
tenticamente sincero, lo scritto di Castellani, lo condivido
dal momento nel quale, quasi
subito, acquista il tono pungente della satira. Su tutto e
su tutti: naturalmente, uno dei
primi bersagli è il reality show.
Castellani inventa qualche
assurda proposta (una prevede lo svolgimento in un
ascensore dove sei persone
sono rinchiuse per un mese)
ma la realtà, di solito supera
la fantasia. Anche le figure tipiche della tv, come l’anchorman, il conduttore di programmi leggeri e tutte le tipologie che hanno afflitto i canali (tra pubblici e privati non
c’è molta differenza) vengono
analizzate, e immerse in bagni di acido solforico, senza
alcuna pietà da parte di uno
che si definisce “teleterrorista”.
Nel “sottofinale” (mutuando il
termine dagli spettacoli di rivista) l’autore fa ricorso ad una
raffica di citazioni “firmate”,
una gragnuola di sassate
contro un giocattolo odiato e
amato. Due, le più brevi, sono, anche se datate, sinteticamente il pensiero costante
di molti: “Domenica pomeriggio: continuano con successo
i corsi rapidi domenicali di
rimbambimento (Sergio Saviane); Teleamatori: Se mi
piace la Tv? Sì, perché si
spegne facilmente (Robert
Mitchum)”.
Leandro Castellani,
Te la do io la tv,
Scipioni 2006,
Valentano (VT),
pagine 122, euro 4,00
prio Paese). In particolare
viene sottolineato che il diritto
di ricevere informazioni non è
solo il riflesso passivo del diritto di informare, ma rappresenta anche il correlativo obbligo della Repubblica di eliminare ogni ostacolo di accesso all’informazione e di
garantire un’informazione
pluralistica. Laddove per pluralismo, non si intende solo la
mera libertà di concorrenza
in quello che viene chiamato
il “mercato delle idee”, ma
anche il pluralismo delle fonti
da cui l’informazione può essere attinta ed il pluralismo
che ricerca la presenza di tutte le idee, anche di quelle
scomode e poco vendibili.
Antonio Bevere
e Augusto Cerri,
Il diritto di informazione
e i diritti della persona,
Giuffrè 2006,
pagine 306, euro 29,00
ORDINE
9-10
2006
Gian Antonio Stella
Avanti popolo
di Filippo Senatore
“Nelle vite di essi artefici impareranno dove siano l’opere
loro, e a conoscere agevolmente la perfezione o imperfezione di quelle, e discernere tra maniera e maniera; e’
potranno accorgersi ancora,
quanto meriti lode ed onere
chi con le virtù di sì nobili arti
accompagna onesti costumi
e bontà di vita; ed accesi di
quelle laudi che hanno conseguite i sì fatti, si alzeranno
essi ancora alla vera gloria”
(Giorgio Vasari).
Non è facile descrivere trentasette personaggi dell’Unione in questa nuova fase fluida della politica italiana, dopo
cinque anni di governo del
centro destra. Gian Antonio
Stella senza attendere almeno i cento giorni del governo
Prodi, ha giocato d’anticipo e
molte sue intuizioni si sono rivelate azzeccate, altre scontate conoscendo il background dei soliti noti. Con
Avanti popolo, edito da
Rizzoli, l’inviato del Corriere
della Sera, completa il suo
“bestiario” della nomenclatura politica, dedicandosi questa volta ai ritratti della nuova
maggioranza.
Così come aveva fatto per la
corte berlusconiana, Stella
ironizza come il poeta shakespeiriano del Timone d’Atene. “Voi vedete come tutti i
ceti e tutti gli spiriti, i più frivoli
e vani non meno che i più
profondi e austeri, offrono i lo-
Ernesto e Sergio Menicucci
Annibale Frossi Über Alles e
le 32 stelle di Germania 2006
di Massimiliano Lanzafame
Olympia Stadion 1936-2006:
il cielo è sempre azzurro sopra Berlino. L’impresa compiuta dalla nazionale di Lippi,
partita tra le polemiche di
Moggiopoli, ricorda quella
olimpica degli azzurri guidati
da Vittorio Pozzo. Quella nazionale partecipò alle Olimpiadi tra lo scetticismo dei gerarchi fascisti, che ne rimasero volutamente alla larga temendo brutte figure, salvo poi
ricredersi, come i nostri attuali politici, per diventarne i più
caldi sostenitori. La partecipazione ai Giochi Olimpici
era riservata agli atleti dilettanti, così il ct-giornalista
Pozzo trovò un escamotage,
formare una rosa di studenti
universitari. In realtà erano
tutti professionisti, ma invece
di prendere soldi ricevevano
in cambio borse di studio. Tra
i giocatori si mise in luce
Annibale Frossi, l’ala che giocava con gli occhiali, in quanto miope, ma che davanti alla
porta ci vedeva benissimo,
tanto da risultare il capocannoniere del torneo con ben
sette reti. Annibale Frossi fu
autore del gol decisivo nella
finale, quel 15 agosto del
1936 contro l’Austria, davanti
ai novantamila spettatori dell’Olympia Stadion che tifavano apertamente per i nostri
avversari. Al secondo minuto
dei tempi supplementari un
Frossi irresistibile mise il pallone in rete, con una finta, dopo una veloce azione dell’intero reparto d’attacco. Dopo
aver vestito la maglia del-
Giandomenico Crapis
Televisione e politica
negli anni novanta
di Emilio Pozzi
Sono molto efficaci e illuminanti i titoli dei capitoli che
scandiscono gli ultimi dieci
anni del ventesimo secolo: Il
partito dei media, Il partito
mediale, Finisce il talk show?,
Senza regole. E riflettendo sul
titolo del volume di Crapis
(Televisione e politica negli
anni novanta) viene da chiedersi: la politica ha influenzato
la televisione o la televisione
ha influenzato la politica? Un
buon esercizio di analisi, con
una risposta difficile (la questione non è ancora risolta
adesso che il primo decennio
ORDINE
9-10
2006
del ventunesimo secolo si è
consumato al sessanta per
cento). Certo che questo nuovo contributo di Crapis alla riflessione sulla storia della comunicazione televisiva in
Italia va considerato tra gli
strumenti di consultazione più
indicati per rileggere, fra cronaca e storia, gli avvenimenti
che l’autore, nella premessa
nella quale dà giustamente
ruolo di protagonista l’opinione pubblica, ha chiamato, a rischio di semplificazione “i dieci anni che sconvolsero i rapporti tra politica e tv”. La convulsa accumulazione di fatti,
nello scenario del mondo
puntualmente raccontati at-
ro servigi al nobile Timone”.
Le maggiori perplessità di
Stella riguardano l’eterogeneità dei trentasette politici,
vecchi e nuovi che rappresentano il ceto politico della
maggioranza di governo. Ma
al contempo svela una “potente astrazione, un pragmatismo” di pasoliniana elaborazione. Descrive leader, vice
ed aspiranti vari senza indulgenze ideologiche.
Al di là dei pregi e dei difetti la
politica non più dei partiti ma
dei personaggi, diventa un’iperbole dai caratteri bizzarri,
eccentrici e surreali.
Se ci fermassimo alle etichette di Strapaese non comprenderemmo il lavoro certosino dello scrittore il quale
scopre aneddoti, episodi e dichiarazioni sottoponendo il
personaggio ad una radiografia e ad un giudizio non
sempre benevolo, a volte
caustico. Il linguaggio è colorito con citazioni proverbiali
che definiscono i sacri lombi
dei vip italici.
La definizione dei coniugi
Mastella: “ Potere e torroncini
dei Clinton di Ceppaloni;
quella di Bassolino: “Lo chiamavano il Toni Blair of
Afragola”. A proposito di
Diliberto: “Con gli amici è di
bocca buona. Basti ricordare
come difese a spada tratta
Nicola Grauso, suo testimone di nozze, anche dopo il
rinvio a giudizio (bancarotta)
per il fallimento della cartiera
di Arbatax e l’accusa di avere
estorto un miliardo al padre
della rapita Silvia Melis”.
Una citazione da Cuore, settimanale di resistenza umana: “Veltroni tratta con il virus
Ebola. Clamoroso successo
diplomatico del Cavour pidiessino”.
L’autore, come in una scena
di Anni Ruggenti di Luigi
Zampa, annota: “Mucche così sono l’orgoglio dell’Italia”,
sentenziò. “Scusi ministro è
un toro”, gli spiegarono. Da
quel momento sabato 28 ottobre 2000, Fiera della Zootecnia, Alfonso Pecoraro
Scanio sarebbe stato perseguitato dalle battute.
Nel ginepraio in cui si svolgono le biografie dei vecchi e
l’Inter, la favola di Frossi continuò da allenatore, nelle
squadre di mezza Italia,
quando per le sue idee rivoluzionarie fu definito da
Gianni Brera il “Dottor
Sottile”. Fautore dello schema a “M” ci teneva tantissimo
che i suoi giocatori rispettassero certi schemi di gioco e
fu, per questo, un anticipatore delle teorie rivedute e perfezionate, da Helenio Herrera, negli anni sessanta, e
da Arrigo Sacchi negli anni
novanta. La seconda parte
del testo è, invece, una carrellata sulle “stelle” del
Mondiale 2006, da Ballack a
Ronaldinho, con una breve,
ma alquanto affascinante
storia delle sfide mondiali:
dalla prima Coppa Rimet del
1930 vinta dall’Uruguay al
Brasile “Pentacampeon” in
Corea 2002.
Gianni Borsa
Cantiere Europa
dei nuovi politici, si rivela il
grande abisso tra passato e
presente.
Per
Moisei
Ostrogorski il partito di fine
Ottocento è una macchina di
manipolazione che “fa appello meno alla ragione eccitando di preferenza quelle emozioni che turbano la capacità
di giudizio e che rendono prigioniera la volontà”.
All’inizio del nuovo millennio
italiano, grazie alla concentrazione del potere televisivo
la situazione è peggiorata .
Oggi, secondo Gian Antonio
Stella, per entrare in politica
non è più necessario frequentare un partito. Prima bisogna diventare noti e il mezzo televisivo è l’unico pass
che ti permette di bruciare le
tappe. Non bastano le apparizioni nelle manifestazioni se
mancano i media. Chi ti nota
in mezzo a centinaia di persone più intelligenti di te?
Stella con qualche battuta
fulminea spiega gli arcana:
“Una certa notorietà con
qualche ospitata al Maurizio
Costanzo Show e battute folgoranti”. Una volta il segreta-
di Massimiliano Lanzafame
Ernesto e Sergio
Menicucci,
Annibale Frossi Über
Alles e le 32 stelle di
Germania 2006,
www.lulu.com, Edizione
2006, pagine 127
Quale informazione sull’Europa e dall’Europa? C’è davvero nella gente il desiderio di
conoscere la variegata realtà
europea?
Sono alcuni dei quesiti che si
pone Gianni Borsa, giornalista professionista, che da anni segue, per l’agenzia Sir di
Roma, le attività delle istituzioni dell’Unione Europea a
Bruxelles e a Strasburgo. Nel
libro sono raccolti diversi servizi giornalistici e interviste
dell’autore che, settimanalmente, racconta lo stato di
salute dell’Europa e le questioni aperte sulla strada della piena integrazione: a partire dall’iter di ratifica della
Costituzione, che ha subito
un brusco rallentamento con
le bocciature nei referendum
francese e olandese; ai negoziati per le nuove adesioni,
tra cui quello molto discusso
della Turchia; alle politiche inclusive verso i Paesi nuovi
entrati dell’allargamento a
Est; alla necessità di salvaguardare le diverse culture e
tradizioni e nello stesso tempo valorizzare le radici comuni, come quella cristiana, che
possono dare un’anima
all’Unione. Oggi l’Europa si
trova in un punto di svolta
della propria storia, deve decidersi a imboccare la strada
di una reale integrazione dei
popoli e degli stati, per non rischiare di arenarsi tra eccessiva prudenza e malintesi.
Anche perché gli “euroscettici” alzano la voce, si sente
sempre più spesso dire “è
traverso le immagini televisive, il nevrotico succedersi di
cambiamenti d’umore e di
conseguenti decisioni ai vertici nei palazzi del potere mediatico, il salire e scendere
degli indici d’ascolto e delle
simpatie nei “salotti” e nelle
“piazze” televisive, sono registrati con perizia di intelligenze cronista da un osservatore
essenzialmente scrupoloso,
anche se la sua collocazione
ideologica non è nascosta.
Ma proprio per questo, il lavoro di Crapis va apprezzato.
L’opinione poi di studiosi come Alberto Abruzzese, Enrico Menduni, Giovanni Cesareo, Nicola Tranfaglia e Peppino Ortoleva, anche loro collocati, in linea di massima,
sullo stesso fronte, ma scientificamente inattaccabili, ha
consentito di dare un serio
avallo alla strada imboccata
nella narrazione E la bibliografia (oltre duecento titoli)
conferma l’accuratezza della
ricerca. Del resto prova di serietà informativa, Crapis, l’aveva data nelle sue opere
precedenti (La parola imprevista. Intellettuali, industria
culturale e società all’avvento
della tv in Italia, del 1999 e Il
frigorifero nel cervello, Il Pci e
la Tv da Lascia o raddoppia
alla battaglia contro gli spot,
nel 2002). Con analoga impostazione il discorso dunque
prosegue. E il racconto si
snoda senza trascurare nessuno dei protagonisti (politici,
giornalisti, conduttori tv, attori
dediti alla satira) che hanno tiranneggiato molte serate del
piccolo schermo. Dieci anni di
persone e personaggi, anche
con le frasi più significative e
polemiche, scorrono davanti
agli occhi della nostra memoria, restituendoci le sensazioni che abbiamo provato nel
momento nel quale le ascoltavamo, fossimo, a nostra volta consenzienti o contrari.
L’elenco, se non di tutti, alme-
no dei principali riempirebbe
molte righe. Peccato non trovarli in un indice dei nomi.
Il volume si conclude con una
postfazione che scavalca il
decennio preso in esame e
indica, sempre facendo riferimento ai fatti più significativi e
alle polemiche, le linee di tendenza che si manifestano.
Siamo sempre nella cornice
delle due anomalie italiane
(“un polo privato in mano a un
unico imprenditore e un polo
pubblico mai uscito dall’orbita
governativa, finivano dunque
per sovrapporsi completamente […] e partorivano un
sistema televisivo in mano a
un unico soggetto politico
commerciale), e nelle diatribe
sulla par condicio”.
Il giudizio finale - la narrazione si ferma alla “legge Gasparri” - non è positivo.
Occasioni mancate da entrambe le parti, sia dal servizio pubblico che dalla tv commerciale egemone.
rio politico, locale o nazionale, selezionava i quadri nelle
sezioni di partito. Oggi c’è un
Grande Selezionatore che
decide chi sta dentro e chi
sta fuori. Stella, citando le frasi rubate al personaggio, lo
volgarizza e l’umanizza per
renderlo a scelta del lettore,
simpatico ovvero odioso. È
un esame onesto e al di sopra delle parti di virtù e vizi, di
tic e di colpi d’ala. L’autore,
secondo Luigi La Spina,
“sfoggia le principali regole
del giornalismo con disinvolta
sapienza. L’umiltà di un duro
lavoro di ricerca, l’indipendenza di chi ha convinzioni
politiche ma non le sottomette alla convenienza di fazione, il gusto di scavare bei
chiaroscuri dei comportamenti per illuminare le ambiguità delle idee e, soprattutto,
la curiosità per il personaggio, la via maestra per raccontare la realtà senza salire
sulla cattedra”.
Gian Antonio Stella,
Avanti popolo,
Rizzoli,
pagine. 268, euro 17,50
colpa dell’Europa” a proposito dei più svariati temi, che riguardano la vita quotidiana,
l’economia o la politica.
Diventa così fondamentale il
ruolo dell’informazione che
deve dimostrarsi matura e
competente, conoscitrice
delle istituzioni e delle aspettative della gente, per poter
analizzare in profondità i problemi. In questa ottica, il libro,
va inquadrato come un contributo “giornalistico”, cioè documentato e pensato, alla
costruzione della “casa comune” europea.
Gianni Borsa,
Cantiere Europa.
Allargamento,
Costituzione,Turchia:
dove va la “casa comune”,
Edizioni In Dialogo,
Milano 2005,
pagine 238, euro 11,00
Al prossimo libro, dunque,
che si spera, nell’interesse
dei cittadini, possa avere un
seguito diverso. Qualche timido segnale, tutto peraltro da
decodificare ( e forse per questo Crapis non ne parla) si riscontra ne LA7, dove coesistono, con grande professionalità, Giuliano Ferrara, affiancato da Ritanna Armeni, e
Gad Lerner, Daria Bignardi e
Piero Chiambretti, e rubriche
come Sfera condotto da
Andrea Monti e rubriche come Omnibus che ha rivelato
un giornalista come Antonello
Piroso, Effetto reale, Atlandide, 25a ora.
Giandomenico Crapis,
Televisione e politica negli
anni novanta.
(Cronaca e storia
1990-2000),
Meltemi editore,
Roma 2006,
pagine 288, euro 21, 50
31
I
N O S T R I
L U T T I
Paolo Murialdi,
“maestro” tra cronaca,
sindacato e storia
di Vittorio Emiliani
ra i giornalisti meno teneri nei confronti della propria corporazione può essere sicuramente annoverato Paolo
Murialdi. Eppure fu per non pochi anni, dal
1974 al 1981, presidente della Federazione
nazionale della stampa, attraversando con
Piero Agostini tutti gli anni definiti “di piombo”, ma pure quelli nei quali forse la categoria si espresse col massimo di autonomia
e di dignità fra le tempeste della politica e i
lunghi tunnel creati dall’emergenza terroristica. Che puntava diritta a colpire - e la
colpì in alcuni dei suoi uomini migliori - la libertà di informare coniugata con la responsabilità, con la necessità di non cedere né
al sensazionalismo né all’autocensura preventiva. Anni difficili, a volte impervi. Anni
duri, a tratti durissimi. Nei quali però la tensione politica e sindacale era in noi forte,
con la voglia di essere presenti, di non mollare, nelle aziende e fuori di esse.
F
Paolo interpretò bene, assieme a
Piero, questa tensione e questa voglia
al vertice della Fnsi. Credo che aver
eletto - a grande fatica la prima volta e con
momenti di vera suspense - un presidente
del sindacato giornalisti con le sue caratteristiche sia stato, e resti, un merito non da
poco per noi operatori dell’informazione.
Nella sua ligure sobrietà anti-retorica, non
avrebbe voluto, credo, essere definito “un
maestro”. Invece lo è stato nei libri,
all’Università e anzitutto nella professione,
principalmente al Giorno, prima di Baldacci
e poi di Pietra, dove fungeva, con una applicazione costante e a tutto campo, da caporedattore centrale e dove curò per anni la
più straordinaria pagina dei libri che io rammenti, con giovani talenti critici e letterari
che si chiamavano Arbasino, Citati, Garboli,
Giudici, Manganelli, lanciati da quelle memorabili pagine. Ma giovani e meno giovani
lo ricordano e lo ricorderanno a lungo per i
suoi volumi di storia del giornalismo italiano, per i suoi manuali su “come si legge un
giornale”, sui quali tanti di loro si sono formati e si formeranno.
Paolo era figlio d’arte, nel senso che il padre Vezio, inviato sportivo del Messaggero,
l’aveva introdotto quasi senza volerlo nell’ambiente. A Genova aveva fatto le sue prime prove, giovanissimo, nel principale quotidiano cittadino, il Secolo XIX. Con me, che
l’ho conosciuto nel 1960, ventiquattrenne
io, appena quarantenne lui, era portato ad
aprirsi, insolitamente. Forse perché, al
Giorno diretto da chi l’aveva portato in montagna fra i partigiani dell’Oltrepò, cioè da
Italo Pietra, anche lui cresciuto a Genova,
io ero il ragazzo di bottega che si occupava
sovente del porto e dell’economia della sua
città di origine e quindi potevo ormai cogliere le sfumature di quell’approccio umano
scevro da infingimenti, persino ruvido talora
(anche se entrambi, Murialdi e Pietra, avevano un à plomb da gentiluomini). Abbiamo
lavorato insieme per un quindicennio e, in
certe pause, mi raccontava di quando il padre l’aveva portato con sé a Roma nella storica sede del giornale dei Perrone (all’epoca proprietari anche del genovese Secolo
XIX) e lì vi avevano incontrato il direttore dei
primi anni Trenta che reduce da una cerimonia indossava ancora il tight. Il ragazzo
Murialdi ne aveva riportato un’impressione
buffa e paludata insieme del giornalismo, di
quello romano soprattutto.
E
l padre non era certo un fascista fervente.
Suo nonno Luigi, anzi, era stato deputato
socialista riformista di Ovada, sostenitore
delle leghe operaie (dei “carbunìn” in particolare) nel porto di Genova, e poi deputato
e sottosegretario con Francesco Saverio
Nitti nel drammatico periodo postbellico, prima della marcia su Roma. Ma in casa non
se ne parlava, non se ne accennava quasi.
I
32
Nella capitale, non molto lontano da San
Pietro, c’è un sito che i romani d’età chiamano ancora la Fornace dei Genovesi. Uno
di questi era Luigi Murialdi, nonno di Paolo,
che si era fatto imprenditore, prima di spegnersi ancora relativamente giovane.
La prima formazione di Paolo Murialdi era
pertanto avvenuta, come per tanti altri, nel
Guf della sua città, Genova. Lo ha ricordato
nel solo libro, se non erro, dedicato ad una
memoria personale, La traversata (Il
Mulino), in cui racconta il suo passaggio dalla fronda gufina nei confronti del fascismo in
cui era cresciuto (era nato nel 1919) all’antifascismo attivo, al partigianato dopo essere stato sottotenente degli alpini a Mondovì,
senza esperienze belliche. Anche quel suo
ingresso nelle brigate dell’Oltrepò pavese,
nella montagna fra Genova e il Po, lo raccontava smitizzandolo: “Mi arruolai in un
campo di meliga della cascina chiamata la
Fogliarina”.
ì l’aveva convocato Italo Pietra, amico
degli anni genovesi, di lui maggiore di
otto anni, quasi sempre in grigioverde
dai primi anni ‘30, fra Etiopia, Albania, e altri fronti. Pietra lo aspettava fra il granoturco
(la meliga) alto dove s’era fatto ricavare un
luogo appartato ove poter leggere: stava per
salire in montagna, nella “sua” montagna fra
Voghera, Piacenza e Genova, e voleva che
Paolo andasse con lui. Così ebbe inizio per
Murialdi quel terribile biennio in cui diede le
prime prove di coraggio, di senso dell’organizzazione e del comando, di disposizione
al dialogo. Fu lui l’ufficiale incaricato di tenere i collegamenti con le altre formazioni e
con gli Alleati per conto delle brigate
dell’Oltrepò e a trattare l’ingresso nelle stesse di disertori armati, come quei cecoslovacchi che possedevano sul Po un bel numero di armi pesanti, di mitragliatrici, utilissime per l’avanzata finale verso Milano ancora da liberare dagli ultimi pericolosi nuclei
di cecchini tedeschi.
Ma anche della Resistenza Paolo parlava
abbastanza poco e comunque nel modo più
anti-retorico.
Contavano i valori di libertà, di giustizia, di
solidarietà che essa aveva espresso, fra mille contrasti e difficoltà, fino alla Repubblica,
fino alla Costituente. Nella sua Traversata
non nascose certo quei contrasti e quelle
difficoltà, coi comunisti per esempio, ma pure con certi comandanti di GL, e però ciò
che valeva era lo sbocco democratico al
quale il movimento era pervenuto. Ne parlavamo ogni tanto, anche perché, avendo casa a Voghera, conoscevo benissimo tutti i
comandanti partigiani rimasti molto legati a
“Edoardo” (Pietra) e a “Paolo”: “Ciro”,
“Fusco”, “Albero”, “Americano”, “Gim” e tanti altri.
Una volta andammo in treno, assai lentamente, da Milano a Sondrio dove, quella sera, si doveva tenere un dibattito - che si annunciava tesissimo e lo fu - sulle inchieste
che stavamo conducendo su quella provincia dominata dalla Dc e dove il ruolo di oppositore era soprattutto dei socialisti.
Eravamo Pietra, Murialdi, Pansa ed io.
Giampaolo, che aveva pubblicato da Laterza
la sua tesi di laurea, piuttosto agiografica in
verità, sulla Resistenza fra Genova e il Po,
poneva ad entrambi domande ansiose su
questo e su quel personaggio partigiano comunista della VI Zona, l’area fra Voghera e
Alessandria.
L
Pietra si divertiva, sarcastico, a rispondere così: “Il tale? Era un volgare assassino” , “Il tal’altro? Un fucilatore”, e
così via. Pansa restava interdetto e Paolo se
la rideva condividendo le dissacrazioni del
direttore-comandante.
A Sondrio ci aspettava un distinto signore,
presidente della Provincia, il quale, a nome
della Dc locale (egemonizzata da Athos
Valsecchi, leader doroteo, attaccato con fondati argomenti da noi, da Pansa in specie)
E
“Ciao Paolo, hai insegnato molto
a tanti di noi, senza mai montare
in cattedra, con l'esempio morale
e professionale, con la dignità
dei comportamenti, qualche volta con la tua ligure rusticità.
Assieme ad altri, ci hai resi, in
anni lontani e indimenticabili, più
maturi, più consapevoli. Come
giornalisti e come uomini”,
doveva annunciarci che nessun esponente
democristiano avrebbe partecipato al dibattito di quella sera. Eravamo, se non erro,
nella primavera tarda del 1968 e per Pietra
non era la migliore delle notizie. Ma il successo della serata fu caldissimo. A riprova
che uomini come Pietra e Murialdi sapevano tenere ferma la barra politica di un giornale peraltro di proprietà dell’Eni.
alla Resistenza Paolo era uscito socialista e tale rimase tutta la vita, socialista senza tessera, senza dipendenze, senza indulgenze, anzitutto verso
se stesso. Aveva lavorato per l’Avanti! e poi
per la socialdemocratica Umanità. Poi era
entrato al Corriere della Sera restandovi
per alcuni anni. Al Giorno approdò con
Gaetano Baldacci venendo, per l’appunto,
assieme ad altri fondatori (Franco Nasi,
Giorgio Pecorini, Enrico Forni) da via
Solferino.
Quel caporedattore centrale che di tutto si
curava, scrupoloso, informato, rigoroso, di
tutto si preoccupava fuorché di apparire accattivante, popolare fra i redattori. Ma il suo
ruolo sapeva esercitarlo con decisione e
competenza. Con quello scatto di fantasia
che gli fece concepire e gestire per anni la
pagine dei libri più innovative degli anni ‘60
e oltre. Basta riprendere in mano, se lo si
trova, il volume sui “cento libri” consigliati
dal Giorno, curato da Garbali e da
Manganelli. Poi, licenziato, per ragioni politiche, nel ‘72, Italo Pietra dopo l’affermazione del centrodestra, Murialdi rimase poco
più di un anno con Gaetano Afeltra.
D
a tempo si era dedicato a scrivere la
sua prima storia del giornalismo. Si
dimise, andò in pensione con un anno di anticipo. Non fece polemiche esplicite
e tuttavia si capì bene il suo dissenso dalla linea afeltriana che noi della redazione
contestavamo in toto. Nel settembre del ‘74
Paolo era venuto al congresso della
Federazione della stampa a Rimini, invitato
ad una tavola rotonda organizzata dalla
Regione Emilia-Romagna.
Dopo quel dibattito, ci fermammo a chiacchierare seduti sui gradini nel Teatro
Novelli. “Perché non rimani? Non si sa
mai..”, gli accennai sorridendo. In effetti poteva essere un bel candidato-presidente. Si
mise a ridere: “Ma va’, chissà che giochi ci
sono già sotto”. C’erano infatti. Il vertice della corrente di Rinnovamento, la nostra, cioè
Cerchia, Curzi, Massimo Riva, avrebbe voluto un presidente di non grande spicco
(inutile fare nomi, oggi). All’interno della delegazione lombarda furono fermissimi nell’opporsi, con grande tenacia, Sergio Borsi,
Antonio Airò, Giampiero Grecchi e alcuni
altri. Con successo, alla fine. Ci accordammo in quattro, Andrea Barbato, Nuccio
Fava, Giulio Mazzocchi ed io per “spingere”
Murialdi dopo che era caduta al primo turno la candidatura, pure eccellente, ma ancor più di rottura, di Enzo Forcella, presidente del Movimento giornalisti democratici. Fui io a chiedere a Luciano Ceschia,
D
mentre si stava per rivotare (e la componente di centrodestra puntava su Sgarlata,
molto appoggiato), di salire su di un tavolo
e di candidare a nome di tutti Paolo.
Lo fece subito, in modo convinto e convincente. Murialdi vinse per cinque o sei voti
appena contro la ex maggioranza di centrodestra. Incredibilmente emozionato, il riminese Guido Nozzoli, ex partigiano ed ex
Giorno lui pure, arrivò da casa trafelato
brandendo alcune bottiglie di Sangiovese
costringendoci a brindare, stanchissimi, in
quell’alba affettuosa, davanti al Novelli al
primo presidente della Fnsi che veniva dalla Resistenza.
aolo Murialdi doveva formare, più tardi, con Piero Agostini segretario
un’accoppiata di grande serietà, competenza, passione sindacale e civile, accompagnando l’insegnamento universitario
al lavoro per la bella rivista Problemi dell’informazione (Il Mulino) e per nuovi libri
sui quali si è formata più di una generazione di giornalisti. Mai corporativo, schietto e
gran lavoratore Paolo lo fu anche in Rai nell’anno e nel Consiglio dei “professori”, presieduto da Claudio Demattè, fra 1993 e
1994, di cui scrisse un’amara cronaca
(Maledetti professori, Mulino), cercando di
ricostruire una azienda travolta dai debiti e
dal clientelismo di partito e di corrente.
P
ll’avvento del primo governo Berlusconi furono subito spazzati via, costretti ad andarsene dopo aver impostato un serissimo risanamento. Poi, lui si
era dato di nuovo all’insegnamento, ad altri
libri, agli incontri coi giovani, sempre con la
sua vena di pessimismo laico che però lo
sollecitava, alla fine, all’impegno democratico, a quella didattica formativa. Se lo invitavano a parlare della Resistenza, accettava
per pronunciare discorsi mai formali.
Detestava il trombonismo, ovunque si annidasse. Detestava i “prigionieri del sogno”,
anche di quello partigiano. Ma lui c’era sempre, nelle piazze, nei teatri, nei circoli, nelle
aule dei Comuni, anche quando la salute
declinava e un ictus l’aveva colpito alle corde vocali e quindi parlava con fatica,stancandosi presto.
Non si stancava però di lavorare, di essere
presente, di sentire i pochi, vecchi, veri amici. Soltanto due anni fa, già malato, aveva
accettato di ricordare il 25 aprile in piazza
a Stradella. C’erano molti giovani e questo
bastava all’ex sottotenente degli alpini reclutato fra i partigiani dell’Oltrepò in un
campo di meliga alla Fogliarina di
Montebello. Uscivano libri in cui la
Resistenza e ancor più il dopoguerra venivano dipinti soltanto come un bagno di sangue inflitto a fascisti e collaborazionisti.
A
e fu sinceramente amareggiato. Lui,
che pure mai era stato indulgente con
gli “esaltatori indiscreti”, acritici dell’antifascismo e del artigianato, sentiva il bisogno di rimettere a posto le cose.
“Alla fine trovammo la libertà”, ha lasciato
scritto, e questo contava, più che mai, e più
di ogni altra cosa.
Con Italo Pietra - che, come scrisse anni fa
un altro della banda del Giorno, anche lui
ex partigiano, Manlio Mariani, aveva accento di severo abate longobardo - l’amicizia si
era interrotta, in modo brusco e duro, come
accade fra uomini del Nord, poco portati alle mediazioni. Alla morte di “Edoardo” - avvenuta quindici anni or sono, nella stessa
clinica milanese dove si stava spegnendo
Luigi Fossati, inviato estero del Giorno e
successore di Pietra alla direzione del
Messaggero - Paolo manifestò un dolore
vero e scabro che lo riavvicinò alla famiglia
di Italo. Noi, amici e sodali di entrambi, ne
fummo felici. L’omaggio sincero che
Murialdi rese al suo antico comandante ne
La traversata fece da sigillo a quella riconciliazione ideale.
N
ORDINE
9-10
2006
I
N O S T R I
L U T T I
Umberto
Domina,
l’umorismo
senza veleno
di Emilio Pozzi
tata da Dino Villani) e poi, su segnalazione di
Antonio Valeri che apprezzava la sua dinamica fantasia, alla Philips (allora molto attiva in
intelligenti iniziative promozionali).
Gli era andato tutto bene, fin da quando era
scampato, per un atto di pigrizia, alla morte.
Era successo in tempo di guerra. Diventato ufficiale a Torino, poteva dormire fuori caserma
e, una mattina, non si era svegliato.
Era proprio il giorno della partenza per il fronte. Per punizione fu spedito in Calabria. Gli altri compagni, imbarcati su una nave diretta in
Africa, furono bombardati e perirono tutti. L’8
settembre del ‘43, al momento del ‘tutti a casa’, aveva avuto una seconda fortuna. A
Reggio Calabria trovò un ufficiale americano
che lo fece imbarcare su un traghetto per la
Sicilia, affidandogli il compito, tornato a d
Enna, di aprire l’ufficio del Pwb, che si occupava della censura. Forse da quell’esperienza
gli venne poi l’idea di raccogliere ritagli curiosi per due libri (Siamo tutti umoristi e La pubblicità è la mina - anziché l’anima, ndr - del
commercio, dedicato agli errori di stampa).
Ma l’umorista che era in lui ci ha regalato un
bel pacchetto di volumi, spiritosi e divertenti. Il
titolo del primo, Contiene frutta secca, prende
lo spunto dal fatto che al Sud si aveva l’abitudine di spedire molti pacchi a parenti e amici
trasferiti al Nord. E per evitare di dover specificare ogni volta il contenuto, si usava una frase standard, ‘contiene frutta secca’, appunto.
E nella prefazione - il libro è dedicato alla figlia Genny - Domina spiega la vicenda: “È la
storia di Gaetano Zappalà e di Gualtiero
Borletti. Di un meridionale cioè che aspira al
Nord e di un settentrionale che viene aspirato dal Sud. Tuo padre, cara Genny, è più che
altro un Borzalà, uno cioè che ha in sé quel
tanto di Borletti che lo costringe a rispettare le
regole civili ma tristi dei cisalpini, e quel tanto
Siamo tutti umoristi. In questa frase usata come titolo per un suo libro c’è il segno della filosofia di Umberto Domina, che umorista lo
era davvero. A tutto campo. Fierezza isolana,
quella della Sicilia, pervasa da umanissima
umiltà (non ha mai applicato alla lettera il suo
cognome), acquisita in mille esperienze di vita, ha marcato la sua personalità, almeno in
tre campi: il giornalismo, la pubblicità e la narrativa.
Il tre, lo si ritrova anche nei luoghi della sua
operosa vita, la Sicilia, Torino e Milano. E sul
filo dei libri che ha scritto, nei quali c’è molta
malinconica autoironia - più sorriso che riso -,
ritrovo le tracce di una vita. Intensa, qualche
volta sofferta, senza però scatti di inquietudine e trasalimenti.
Quando nel 1965, pubblicò il suo primo libro,
Carletto Manzoni lo salutò così: “In tempi come i nostri la scoperta di un umorista è un avvenimento che dovrebbe suscitare il più vivo
interesse in tutto il Paese. Bisogna dirgli grazie e pregarlo di non fermarsi sulla strada difficile che sta percorrendo”.
Aveva già 44 anni, ma i primi passi da giornalista li aveva fatti in Sicilia, come collaboratore
di un settimanale diretto da Massimo Simili
(altro umorista dimenticato), al Giornale di
Sicilia e al Corriere di Catania e poi era stato
un poco prigioniero della laurea in giurisprudenza conquistata a Torino, studi impostigli dal
padre Salvatore, maresciallo dei carabinieri,
ma senza nessuna voglia di fare l’avvocato,
per cui si trovò a lavorare al Totocalcio e poi
collaborando con Ezio Radaelli, ben noto come promotore di manifestazioni, si spostò a
Milano a occuparsi di pubblicità, prima alla
Giviemme (che organizzava Miss Italia, inven-
Gigi Villa,
un amico
in redazione
di Mauro Castelli
Perdere un amico è sempre una parte di te
che se ne va. Come nel caso di Luigi Villa,
scomparso qualche tempo fa, nel bel mezzo
della notte, proprio quando la vita sembrava
davvero sorridergli. Con due figli "arrivati"
(Matteo, ingegnere meccanico, e Federica,
detta Chicca, medico) e una vita privata che,
a quanto mi raccontava, era tornata a sorridergli. E per quei figli stravedeva, così come
non mancava di sottolineare il successo ottenuto da Francesco, figlio di Cesare, uno dei
suoi fratelli, più noto sulle scene come Franz,
il socio di Ale, campioni di applausi sulla scena di Zelig e dintorni.
Di certo è strana la vita. Gigi (tutti lo chiamavano così) sulla mia strada sarebbe entrato,
sia pure indirettamente, nel 1970. All'Agenzia
Italia cercavano un giornalista e alcune mezze promesse, a me giovane di belle speranze che si arrabattava a lavorare in nero di notte (leggi Sportinformazioni) e in chiaro di giorno (leggi ufficio), erano state fatte. Invece arrivò lui. Ed era giusto che fosse così, visto
che anni prima era stato assunto come telescriventista proprio dall'Agi e dove, una volta
tornato da militare, aveva fatto il salto di categoria diventando praticante e poi professionista nel 1962. Nel 1965 aveva però deciso di
lasciare l'agenzia attratto da altre aspettative
di vita: fu infatti "ingaggiato" dalla Honeywell,
società di punta, a quei tempi, nel settore
ORDINE
9-10
2006
informatico. Inutile dire che per me fu una
gran delusione. In ogni caso non lo conoscevo, anche se i colleghi Tullio Barbato, Sandro
Bianchi e Bruno Stella ne dicevano un gran
bene. E non avevo ragione di dubitarne.
In seguito me l'avrebbero presentato e avrei
incominciato ad apprezzare la sua cordialità
e le sue doti umani per certi versi uniche. Sin
quando il primo ottobre 1980 arrivò al Sole
24 Ore come addetto agli Interni, settore che
casualmente dipendeva dalla caporedazione
centrale di cui facevo parte. E al Sole non
mancò di farsi subito un sacco di amici ma
anche, lui troppo buono, di pagare - si sa come vanno certe cose nel nostro ambiente - la
sua voglia di far bene senza pensare alla carriera. Regalando peraltro il suo apporto ad altri settori, compreso l'innovativo inserto dedicato a quella che allora era la Comunità economica europea.
Alla fine del dicembre 1992 (era nato il 24
maggio 1936 a Usmate Velate, in provincia di
Milano) decise di lasciare, in quanto riteneva
giusto dedicare maggiore attenzione ai suoi
due ragazzi, che avevano pagato sin troppo
caro la scomparsa della madre, portata via
da un male incurabile quand'erano ancora
dei bambini. Senza comunque mai mancare,
lui che delle regole di buon vicinato si era fatto portavoce, di rimanere in contatto con gli
amici. E ancora oggi, per chi volesse salutarlo e scambiare con lui quattro chiacchiere sia
pure senza risposta, l'appuntamento è al cimitero di Arluno.
di Zappalà che l’aiuta a sopportarle”. Un altro
libro, scritto nel 1966 e ripubblicato nel 1975,
dedicato al figlio Paolo, La moglie che ha sbagliato cugino, ha la prefazione di Enzo Biagi,
che scrive di essersi divertito e di aver pensato a certe pagine di Campanile o di Zavattini.
E annota: “In ogni pagina c’è un’invenzione, le
trovate si succedono, la scrittura è gradevole.
Domina è di quelli che prima pensano poi parlano. Di solito accade il contrario”.
Morti di nebbia è invece dedicato alla moglie
Maddalena, ‘con allegria’, milanese doc (il padre era l’avvocato Ambrogio Giacomo Antonini, autore addirittura di una traduzione in
meneghino de La Divina Commedia e di un
vocabolario italiano-milanese. E si parla molto
di Milano, una volta città della nebbia.
L’umorismo di Umberto Domina ha percorso
anche le vie dell’etere, in trasmissioni radio e
televisive come “Il bello della diretta”, “Pregiatissima”, “Cari genitori”, alcune realizzate
con Guido Clericetti.
E ancora due trasmesse dalla Rai di Torino,
città alla quale il destino l’ha riportato, in anni
abbastanza recenti, e cioè la televisiva “Parola
mia” per Luciano Rispoli e la radiofonica “L’aria
che tira”.
Nel ricordarlo, anche noi con un sorriso, non
vogliamo dimenticare una sua creatura, giornalisticamente elitaria.
È una piccola pubblicazione per un ristrettissimo numero di amici lettori, arrivata al numero 100, dal titolo apparentemente misterioso:
UT. Non aveva niente a che fare con il latino
ma era l’inizio di una parola fondamentale che
forse, come a noi, gli piaceva: Utopia.
Carlo Vella,
giovane pioniere della
stampa delle comunità
di Franco Malaguti
L’esordio nel mestiere risale agli inizi degli anni Novanta, ma l’aria e le idee del giornalismo
Carlo Vella le respirava già da piccolo. Il nonno materno, Carlo Natale, antifascista vigevanese aveva fondato L’informatore, destinato a diventare, anche sotto la guida della figlia
Margherita, il giornale punto di riferimento
della comunità vigevanese e della Lomellina.
Carlo Vella è scomparso tragicamente la notte di giovedì 7 settembre in un incidente della strada. Aveva solo quarant’anni, e gli ultimi
tredici li aveva passati a dirigere L’informatore,
continuando la tradizione familiare con uno
spirito adeguato ai tempi e una formula che
aveva fatto del suo giornale un eccezionale
esempio dal punto di vista tecnico, con un impianto pionieristico per i tempi (primi anni
Novanta) basato sull’intervento diretto del
giornalista sulla pagina: modello che liberò
molti settimanali e bisettimanali locali dal gravame imposto dai sistemi editoriali copiati dai
grandi quotidiani. Un’altra spinta innovativa fu
quella impressa alla cronaca locale, che ancor oggi ghettizza questo settore della stampa a minuzie divise paese per paese, abbracciando tutta l’area della Lomellina nei
suoi molteplici intrecci. Partendo da quello
ambientale (la zona è interessata da una gran
fetta del Parco del Ticino) alle dinamiche in
evoluzione dovute allo spostamento di popolazione da Milano all’hinterland.
La crisi del settore calzaturiero, il principale
del distretto vigevanese e quella agricola che
ha investito il comparto risiero lomellino, sono
stati per Carlo Vella battaglie che hanno avuto nell’informatore un punto di riferimento nell’ultimo decennio.
Da qualche tempo aveva lasciato la direzione
del giornale all’amico Mario Pacali per dedicarsi a nuove iniziative editoriali, che, sperimentali come le precedenti, dessero impulso
all’enorme (e sconosciuto ai più) serbatoio
della stampa dei settimanali e bisettimanali
delle piccole comunità, quelle che con un riferimento alla storia e alle tradizioni avevamo
definite “percorribili in un giorno di cavallo…”
Guido Oddo,
cronista
gentiluomo
di Emilio Pozzi
Se ne è andato in punta di piedi, Guido
Oddo, come a confermare uno stile di vita, da antico gentiluomo piemontese (era
nato a Torino nel 1920). Alla figlia Miranda
aveva chiesto che il suo congedo dalla vita non fosse divulgato. I vecchi colleghi
hanno saputo per caso, e con molto ritardo, che era stato tumulato al Cimitero
Monumentale di Milano.
È stato una delle voci e dei volti più noti, in anni ormai lontani, della tv: cronista
di tennis e di sci, commentatore di serate
d'arte lirica, soprattutto alla Scala. La
passione per gli sport preferiti l’aveva portato a collaborare a qualche emittente locale, dopo il pensionamento dalla Rai.
Antenna 3 alla fine degli anni Ottanta gli
aveva affidato una rubrica di pallacanestro. Ecco in poche, scarne righe la sintesi di una vita trascorsa da testimone, ma
fino a farle diventare popolari. La sua voce, fuori campo, ha raccontato discipline
sportive considerate un tempo d’élite, gesta della Valanga Azzurra, di Gustavo
Thoeni, di Pierino Gros, di Ingemar
Stenmark E nel campo tennistico (anche
lui giocava discretamente nei campionati
dei giornalisti), ebbe la fortunata occasione di narrare i momenti d’oro di Adriano
Panatta. Aveva cominciato alla radio, come speaker, voce garbata e poco littoria
per i microfoni di Radio Tevere, la disinvolta emittente della Repubblica sociale
che trasmetteva da Milano (ne ha scritto
Gianni Bongioanni in un suo interessante
libro) e dieci anni dopo aveva cominciato
la sua collaborazione alla Rai con La rubrica Sette giorni in TV, il rotocalco dedicato all’illustrazione dei programmi televisivi della settimana. Nel 1957 (citiamo
dalla Garzantina sulla Tv) “in Sette note
leggeva improponibili testi accademici su
fenomeni ‘dotti’ come il song di Kurt Weill
o le sofisticate Canzoni di Juliette Grèco,
a proposito della quale commentava:
Ecco una sorprendente creatura, metà
donna metà mostro come una creatura
edipea…solo la pietà cristiana potrebbe
recuperare queste creature, travolte in un
gorgo sempre più vorticoso.
Alle piste di sci e ai campi di tennis è arrivato alla fine degli anni Sessanta. Ha
anche condotto, nel 1975, Domenica
sprint sulla seconda rete della Rai.
Ha insegnato uno stile professionale, e
anche di vita, a molti: lontano dagli urli e
dalla retorica strombazzante, riservato,
senza prendersi gratuite confidenze. La
notizia della sua scomparsa ha sinceramente addolorato molti colleghi (tra questi Giampiero Galeazzi che ha detto: “È
stato il mio maestro; un gran signore, in
tutti i sensi; bello, elegante, impeccabile
nelle sue giacche) e gli appassionati
sportivi con molti capelli bianchi.
33
I
N O S T R I
L U T T I
Aldo
De Martino,
inventò
il giornalismo
sportivo
in tivù
Pasquale
Salerno,
controcorrente
per
vocazione
Milano, 11 settembre 2006. È morto oggi a seguito di un arresto cardiaco, alla clinica Città
di Milano dove era ricoverato per accertamenti, il giornalista Aldo De Martino: aveva 79 anni
ed era figlio di Emilio, anch’egli giornalista e considerato uno degli inventori della pagina sportiva. Aldo De Martino era nato a Milano il 3 maggio del 1927. Diventato professionista nel 1957,
fu poi inviato speciale, scrisse libri e fu anche editore. È stato protagonista della nascita e della crescita della “comunicazione” sportiva in televisione, ed è considerato l’inventore della famosa Moviola che divenne strumento di confronto fra i tifosi nella Domenica Sportiva. Fu direttore per venti anni della produzione radiotelevisiva di Milano, raggiungendo con Fantastico,
il record assoluto dell’ascolto nazionale, sfiorando i 30 milioni di spettatori. Fondatore e direttore di agenzie giornalistiche nazionali, come Agisport e Agir, vicedirettore di
Sportinformazioni, ha creato e diretto periodici storici, da Sport Universitario, a Pugilato,
Vitalità, 30 Giorni di Medicina, Guidare Sport, Rotary Gazzetta 2040. È stato anche titolare
dell’editrice Adiemme. Ha scritto vari libri e tra questi una storia del giornalismo sportivo. Attivo
anche sindacalmente, attualmente era proboviro dell’Associazione lombarda dei giornalisti e
giudice aggregato del Tribunale civile di Milano su designazione del Consiglio nazionale
dell’Ordine. Lascia la moglie Carla e il figlio Giorgio, giornalista. (ANSA)
Milano, 8 settembre 2006. È morto il giornalista Pasquale Salerno. L’11 settembre avrebbe
compiuto 59 anni. Era nato a Terranova del Pollino (Pz), ma la sua famiglia vive a Cassano
Jonio (Cs). Lascia la moglie e una bambina di 8 anni. Cronista, appassionato dei temi e dell’attività delle istituzioni locali, Salerno faceva parte del Consiglio nazionale dell’Ordine, dove
era stato eletto nelle ultime due consiliature, in rappresentanza dei pubblicisti lombardi. Pur
avendo superato qualche anno fa l’esame di abilitazione professionale aveva preferito restare
iscritto nell’elenco dei giornalisti pubblicisti, che aveva rappresentato per molti anni.
Collaboratore di varie testate (fra le quali l’Indipendente e .Com) Salerno era stato capo ufficio
stampa dell’assessore regionale della Lombardia Domenico Zambetti ed attualmente lavorava
nell’ufficio stampa dell’Udc, in Lombardia. In campo sindacale, Salerno è stato presidente del
“Movimento nazionale liberi giornalisti”, di cui ha diretto la testata Europress. È stato delegato
per la Lombardia all’ultimo congresso della Federazione nazionale della Stampa. (www.odg.it).
di Gianni De Felice
Piccolo, asciutto, agile, gli occhi perennemente strizzati dietro gli occhialini da lettura
d’oro e altrettanto perennemente pronti a
lanciare occhiate fulminanti di curiosità e ironia, Aldo De Martino si portava un monumento sulle spalle: il proprio cognome. Lo
aveva avuto in eredità dal padre Emilio, il
giornalista sportivo che inventò il giornalismo sportivo in Italia fra le due guerre e
scrisse, di corsa in corsa, di Giro in Giro, l’epopea del nostro ciclismo, offrendo entusiasmo e aggettivi alle imprese di Alfredo Binda
e di Fausto Coppi. Un monumento chiamato Emilio De Martino, che Aldo venerava e
lustrava con iniziative, ricordi, premi, ritratti
preziosi e documenti rari alle pareti dei suoi
studi, ma del quale ormai non sentiva il peso per la semplice ragione che, senza accorgersene, era nel frattempo diventato un
monumento anche lui. Non alla bicicletta, alla tivù.
Aldo De Martino non aveva la veemenza
sanguigna del padre. Era uomo di redazione, più che di galoppate automobilistiche in
ammiraglia cabriolet fra Stelvio e Pordoi,
Ventoux e Izoard. L’avessero mandato a fare il suiveur di corse a tappe, sarebbe sceso di macchina dopo due giorni. Per stanchezza e per ubriacatura di aria vento sole.
Ma del padre aveva l’istinto del pioniere. E
rendendosi conto che in famiglia avevano
già scoperto le sconfinate praterie dello
sport raccontato sui giornali, del ciclismo
vissuto sulle pagine della Gazzetta prima
che davanti alle Magnadyne a cinque valvole, Aldo decise di scoprire le praterie altrettanto sconfinate della televisione. E inventò
lo sport raccontato in tivù, creando una testata destinata a sopravvivergli: La domenica sportiva.
Era, quando Aldo De Martino la propose,
una lettura di risultati e una sequela di brevi
servizi in bianco e nero. Niente studio, lo
speaker leggeva fuori campo. Ma la sigla
musicale era indovinata: allegra, squillante,
coinvolgente, la musichetta della Domenica
sportiva era la campana che ogni domenica
sera intorno alle dieci chiamava i fedeli del
calcio davanti al rito dei risultati, delle notizie, delle interviste e delle immagini. Poi vennero i gol, con i telecronisti e gli operatori
che la domenica pomeriggio si scapicollavano - neve, nebbia, ghiaccio, ingorghi non importa - per portare la “pizza” della pellicola
girata agli studi di corso Sempione, in tempo per montare immagini e commenti. Poi,
per conquistare le mogli dei mariti rapiti dal
calcio in tivù, Aldo De Martino - sempre più
nume della Domenica Sportiva - ebbe l’idea
di creare lo spettacolino in studio e di affi-
34
darlo non a un giornalista sportivo, ma a un
affascinante presentatore: Enzo Tortora. Poi
venne la moviola - siamo a metà degli anni
Sessanta - non con nastro magnetico, ma
con pellicola che l’indimenticabile duo
Sasso-Vitaletti facevano scorrere e bloccare
fotogramma per fotogramma.
Perfino Roma - eternamente desiderosa di
strappare la Domenica Sportiva agli studi di
corso Sempione - dovette riconoscere la genialità del pioniere Aldo De Martino nella invenzione del giornalismo sportivo in tivù e
chiamarlo a dirigere il settore dalle redazioni di via Teulada. Ma nel giro di qualche anno, invece di portare la Domenica Sportiva
ai piedi di Monte Mario, come forse qualcuno sperava, il milanese Aldo De Martino riuscì a riportare se stesso ai piedi della
Madonnina. Con alcuni galloni in più sulla
manica: quelli di direttore del Centro di produzione. E fu l’ultimo periodo di grandi produzioni in corso Sempione, come per esempio i Promessi Sposi a puntate del regista
Nocita. Poi, tramontata per ragioni anagrafiche la stella di Aldo, cominciò per corso
Sempione l’età di un declino che - fra promesse e rinvii - ancora continua. Cominciati
con una creazione, quella della Domenica
Sportiva, l’èra De Martino in Rai finì con una
nobilissima resistenza. E non poteva finire
diversamente, considerata l’insospettabile
tempra da inarrestabile motoperpetuo che,
tanto per non annoiarsi, trovò perfino il tempo di fondare con Peppino Prisco
l’Accademia degli Inquieti.
Non c’è dunque da meravigliarsi se Aldo De
Martino, mentre recitava una parte storica
nella vita della televisione italiana, inventava
anche Vitalità che fu uno dei primi periodici
dedicati alla salute, dirigeva l’agenzia politico-culturale Il telegramma, curava collane di
letteratura sportiva, collaborava alle grandi
iniziative culturali del Distretto 2040 del
Rotary, sosteneva manifestazioni artistiche
con riscoperta di grandi pittori del passato
prossimo e scoperta di possibili grandi talenti del futuro imminente. Una delle passioni segrete, ma non tanto, di Aldo era proprio
l’arte contemporanea. Andava a una mostra
di Baj quando l’ho incontrato l’ultima volta,
pochi mesi fa, in un autobus milanese. Mi
sembrava che stesse bene, nonostante l’età
(era nato il 3 maggio 1927), e mi raccontò
delle mille cose che aveva fatto quel giorno
e delle altre mille che avrebbe dovuto fare
l’indomani.
Ripenso a quell’incontro, risento quei suoi
programmi serrati e, volendogli bene, mi
vien fatto di credere che forse per l’instancabile Aldo l’aspetto più brutto della fine è
stato quello di non poter più essere Inquieto.
Di essere costretto, purtroppo, a riposare.
di Gianluca Marchi
Un altro amico-collega se n’è andato troppo
presto. Sapevo che lottava contro un male difficile, scoperto per caso come lui stesso mi
raccontò una volta riemerso dalla prima convalescenza, ma in cuor mio sempre speravo
che la lotta fosse vincente. Solo che avevo un
termometro indiretto per testare l’evoluzione
clinica: il tempo che trascorreva dalla sua ultima telefonata. Il black out di qualche settimana corrispondeva inevitabilmente a un periodo di cura durante il quale Pasquale era in altre faccende affaccendato piuttosto che pensare ad un articolo da propormi per .Com.
Poi, però, il cellulare squillava, il nome
Salerno si illuminava sul display e la sua voce sempre allegra mi invadeva il timpano. E
io, un po’ vigliaccamente per non essere stato il primo a comporre il numero di telefono, tiravo un sospiro di sollievo.
Stavolta, però, quell’intervallo fra le chiamate
si stava allungando in modo anomalo e ogni
tanto mi ritrovavo a pensare con preoccupazione a quell’assenza, senza avere il coraggio di fare la prima mossa. Non l’avevo sentito nemmeno in occasione delle traversie che
avevano colpito il giornale da me diretto, fino
alla sospensione delle pubblicazioni, avvenuta verso la fine di luglio, e alla successiva
messa in cassa integrazione di tutto il corpo
redazionale a partire da metà settembre.
Distratto dai miei problemi di lavoro, sono stato sfiorato in un paio di occasioni dal timore
di non sentire più la voce di Pasquale fino al
giorno della brutale notizia.
Pasquale Salerno è stato un amico mio e dell’ultimo giornale che ho diretto, .Com appunto. Un amico disinteressato, perché non gliene importava niente dei soldi che poteva raggranellare con una collaborazione più costante e continuativa.
A lui premeva di poter esprimere, tanto più su
un giornale specializzato come il nostro, il
suo libero e disinteressato parere intorno a
una professione, quella del giornalista, dai toni spesso più scuri che chiari. Faceva precedere il pezzo da una telefonata in cui sondava il mio parere sul tema che aveva in mente
di affrontare e quasi sempre, per non dire
sempre, otteneva il via libera. Il nostro rapporto era cominciato così fin dall’inizio di
.Com.
Ho addirittura l’impressione di averlo un po’
sorpreso, soprattutto i primi tempi, nell’accettare senza batter ciglio i suoi scritti controcorrente e di averli spesso pubblicati in prima pagina. Mi piaceva questo suo spirito libero, il
non essere per forza legato a un carrozzone:
erano le caratteristiche con cui volevo forgiare .Com. Pasquale mi ha dato una mano a
farlo. Gliene sarò sempre grato e lo saluto
con le parole care al grande Gianni Brera:
che ti sia lieve la terra!
L’ECO DELLA STAMPA
®
L’informazione su misura.
Rassegne Stampa
Rassegne Radio-TV
© Media Analysis
© Web Press Release
© Media Directory
© Banche Dati e Software
©
©
Per informazioni…o fare una prova, contattateci!
Ecostampa Media Monitor SpA
Tel 02.748113.1 - Fax 02.748113.444
E-mail [email protected]
www.ecostampa.it
ORDINE
9-10
2006
Interrogazione alla Giunta Formigoni
e all’assessore alla Formazione
Sara Valmaggi (Ds):
“La Regione dia risposte chiare
e garantisca futuro
a Ifg De Martino”
Ecco il testo dell’interrogazione urgente:
I sottoscritti consiglieri regionali
PREMESSO CHE
- L’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha deliberato nel 1974 di dar vita alla Scuola
di giornalismo di Milano, oggi Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al
Giornalismo (detto “Ifg De Martino”), che dal 1977 organizza corsi biennali per lo svolgimento del periodo di praticantato giornalistico e la preparazione all’esame di Stato
per la professione giornalistica;
- L’Ifg Carlo De Martino è gestito dall’Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione
al Giornalismo, ente privato senza scopo di lucro;
- La Giunta Regionale della Lombardia ha finanziato per la prima volta il biennio di formazione giornalistica 1977-1979 con Dgr n. 16092 del 24 maggio 1978, in applicazione della legge regionale 83/1975, poi sostituita dalla l.r. 95/80
- In base alla legge 95/80 l’Associazione Walter Tobagi è ente accreditato presso la
Regione Lombardia e l’Ifg è un centro di formazione professionale.
VISTO CHE
- La Regione Lombardia ha finanziato l’Ifg nel corso dei 29 anni di attività con un contributo complessivo pari a circa 15 miliardi di vecchie lire, che hanno consentito la formazione di oltre 600 giornalisti professionisti;
- Le erogazioni regionali a favore dell’Ifg sono andate riducendosi progressivamente
nell’ultimo triennio, passando da una copertura dei costi pari all’88% nel 2002-2003 ad
una copertura del 61% nel 2004-2005;
- In particolare, il contributo erogato dalla Regione è stato di 398.500,00 euro nel 20032004, di 357mila euro nel 2004-2005 e di 284mila euro nel 2005-2006 (parzialmente
versati).
CONSIDERATO CHE
- Il fabbisogno reale minimo stimato dall’Ifg (per una gestione competitiva) è pari a
585.000,00 euro;
- La retta pagata dagli iscritti al corso dell’Ifg De Martino è pari a 50 euro/annui a fronte di un costo di frequenza per master e corsi universitari equipollenti che si attesta mediamente sui 5/6mila euro all’anno;
- I tagli ai finanziamenti regionali effettuati nel biennio 2003-2005 hanno indotto l’Ordine
dei giornalisti ad erogare contributi una tantum pari a 131mila euro nel 2004 e 205mila euro nel 2005 per garantire il seguito dell’attività istituzionale dell’Ifg.
Milano, 15 giugno 2006. “La Regione dia
risposte chiare in merito alle sorti della
Scuola di giornalismo di Milano”. È questa
la richiesta che viene da Sara Valmaggi
(consigliere regionale Ds), che in un’interrogazione firmata da Giuseppe Benigni
(capogruppo Ds) e sottoscritta dagli esponenti di tutti i gruppi dell’Unione in
Consiglio regionale, sollecita la ripresa
delle trattative per garantire il futuro
dell’Istituto per la Formazione al
Giornalismo (Ifg) Carlo De Martino.
“La drastica riduzione dei finanziamenti afferma Sara Valmaggi - dimezzati nel giro di pochi anni, ha creato una situazione
di estrema incertezza e rischia di determinare la chiusura dello storico istituto di
Milano. Un istituto, che in questi anni ha
formato valenti professionisti del settore
oltre a fornire una prospettiva di formazione e ricollocazione nel mondo del lavoro a molti giornalisti disoccupati”.
“Noi chiediamo - prosegue Valmaggi - che
sia garantito un adeguato contributo finanziario, sufficiente a consentire all’istituto di funzionare e di avere una sede
adeguata in cui operare”.
“Auspichiamo infine - conclude la consigliera diessina - che si giunga alla stipula
definitiva dell’Accordo di Programma, individuando in questo strumento di collaborazione la prospettiva di vita e espansione di questa importante istituzione
lombarda”.
CONSIDERATO INOLTRE CHE
- Nel marzo del 2005 i presidi delle facoltà di Lettere, Giurisprudenza e Scienze politiche, in nome e per conto del prof. Enrico Decleva hanno dichiarato la disponibilità immediata dell’Università degli Studi di Milano ad assorbire l’Ifg Carlo De Martino collocandolo nel polo multimediale di Sesto;
- Da diversi mesi è aperto un tavolo tecnico con la Regione per definire l’accordo sul
futuro dell’Ifg. Dall’offerta iniziale (annunciata nella primavera 2005 dall’assessore
Alberto Guglielmo all’Ordine) di un finanziamento regionale annuale pari a 445mila euro si è passati ad un’offerta di contributo, da definire attraverso lo strumento
dell’Accordo di Programma, di 250mila euro all’anno fino al 2010;
VISTO INFINE CHE
- In data 12 giugno 2006, in risposta alla lettera aperta inviata dal presidente dell’ordine
dei giornalisti della Lombardia Franco Abruzzo ai consiglieri e agli assessori regionali, in
cui si espongono le difficoltà sopra elencate in cui versa l’Ifg, la Regione Lombardia ha
unilateralmente deciso di far saltare sine die l’incontro, previsto per il giorno successivo,
con la dirigenza dell’Ifg per la definizione dell’Accordo di Programma di cui sopra.
INTERROGANO LA GIUNTA E L’ASSESSORE COMPETENTE PER SAPERE
- Quali iniziative intendano assumere per garantire la continuazione di uno storico
Istituto che, oltre alla formazione al giornalismo, organizza anche corsi per l’aggiornamento di giornalisti rimasti disoccupati;
- Quando intendono riprendere il confronto, interrotto in data 13 giugno, con la dirigenza
dell’Ordine e dell’Afg Tobagi-Ifg Carlo De Martino;
- Se e quali iniziative ulteriori intendano porre in atto per supportare la struttura dell’Ifg
anche per quanto concerne la sede fisica e le spese condominiali;
- Se intendono trasformare l’Ifg De Martino in “Istituto regionale di giornalismo” gestito
direttamente dalla Regione e dall’Ordine lombardo dei giornalisti con il contributo di altri soggetti pubblici come Provincia di Milano, Comune di Milano e Camera di
Commercio di Milano anche per garantire, con cadenza biennale e attraverso concorso pubblico, a 40 laureati capaci e meritevoli l’accesso al praticantato giornalistico.
Giuseppe Benigni (Ds)
Sara Valmaggi (Ds)
Giuseppe Civati (Ds)
Antonio Viotto (Ds)
Carlo Porcari (Ds)
Maria Grazia Fabrizio (Dl)
Milano, 15 giugno 2006
Luca Gaffuri (Dl)
Riccardo Sarfatti (L’Unione Lombardia)
Luciano Muhlbauer (Prc)
Gianfranco Concordati (Uniti nell’Ulivo)
Carlo Monguzzi (Verdi)
Marcello Saponaro (Verdi)
Il Piccolo Teatro per i giornalisti a prezzo scontato dal 25 al 35%
Il Piccolo Teatro di Milano
- Teatro d’Europa compie
nel 2007 sessant’anni e
celebra questo importante traguardo proponendo
al suo pubblico 60 spettacoli.
Il Piccolo, fondato da
Giorgio Strehler e Paolo
Grassi nel maggio 1947 e
oggi diretto da Sergio
Escobar - mentre a guidare le scelte artistiche è
Luca Ronconi - propone
per la stagione 2006-2007
condizioni speciali per gli
iscritti all’Ordine dei giornalisti ai quali, previa esibizione del tesserino,
sarà riconosciuta una riduzione sul prezzo d’acquisto dei biglietti per gli
spettacoli in scena nelle
sale del Teatro Strehler,
del Teatro Grassi e del
Teatro Studio.
La riduzione oscillerà dal
35 al 25 per cento, a seconda degli spettacoli.
Presso le biglietterie del
Teatro Strehler, largo
Greppi e del Teatro
Grassi, via Rovello 2, i
giornalisti potranno acquistare i biglietti per gli
spettacoli della serie
Festival a 22,50 euro anziché 35,00, quelli della serie Stagione a 22,50 euro
anziché 29,50, e gli spettacoli della serie Blu a
17,00 euro anziché 22,50.
Le riduzioni si riferiscono
a posti di platea.
Si consiglia di acquistare
i biglietti con largo anticipo per trovare i posti migliori.
www.piccoloteatro.org
ORDINE
9-10
2006
19 - 24 settembre 2006
19 - 21 settembre 2006
26 - 28 settembre 2006
3 - 8 ottobre 2006
4 - 15 ottobre 2006
11 - 22 ottobre 2006
17 ottobre 2006 - 21 giugno 2007
18 ottobre - 5 novembre 200
20 - 29 ottobre 2006
24 - 27 ottobre 2006
30 ottobre 2006
31 ottobre - 19 novembre 2006
7 - 19 novembre 2006
7 - 19 novembre 2006
14 - 25 novembre 2006
TEATRO GRASSI
TEATRO STUDIO
TEATRO STREHLER
TEATRO STREHLER
TEATRO STUDIO
TEATRO STREHLER
TEATRO STUDIO
TEATRO GRASSI
TEATRO STUDIO
TEATRO STREHLER
TEATRO STUDIO
TEATRO STREHLER
TEATRO GRASSI
HANGAR PAOLO FONDRINI,
AREA EX MARELLI,
SESTO SAN GIOVANNI
TEATRO STUDIO
21 novembre - 7 dicembre 2006
30 novembre - 20 dicembre 2006
2 e 3 dicembre 2006
4 dicembre 2006
6 - 10 dicembre 2006
12 - 15 dicembre 2006
12 - 20 dicembre 2006
22 dicembre 2006 - 7 gennaio 2007
26 dicembre 2006 - 6 gennaio 2007
9 - 28 gennaio 2007
11 - 21 gennaio 2007
16 febbraio - 4 marzo 2007
16 gennaio - 18 febbraio 2007
23 gennaio - 11 febbraio 2007
30 gennaio - 11 febbraio 2007
21 - 25 febbraio 2007
27 febbraio - 18 marzo 2007
TEATRO STREHLER
TEATRO GRASSI
TEATRO STUDIO
TEATRO STUDIO
TEATRO STUDIO
TEATRO STREHLER
TEATRO STUDIO
TEATRO GRASSI
TEATRO STUDIO
TEATRO GRASSI
3 marzo - 5 aprile 2007
6 - 25 marzo 2007
20 marzo - 5 aprile 2007
2 - 5 aprile 2007
6 - 29 aprile 2007
11 - 15 aprile 2007
18 - 29 aprile 2007
18 aprile - 14 maggio 2007
2 - 13 maggio 2007
3 - 6 maggio 2007
8 - 27 maggio 2007
16 - 20 maggio 2007
18 - 20 maggio 2007
23 - 27 maggio 2007
24 - 27 maggio 2007
5 - 10 giugno 2007
12 - 24 giugno 2007
giugno 2007
TEATRO GRASSI
TEATRO STUDIO
TEATRO STREHLER
TEATRO STUDIO
TEATRO STUDIO
TEATRO STREHLER
TEATRO STREHLER
TEATRO GRASSI
TEATRO STREHLER
TEATRO STUDIO
TEATRO STUDIO
TEATRO STREHLER
TEATRO GRASSI
TEATRO GRASSI
TEATRO STREHLER
TEATRO GRASSI
TEATRO GRASSI
TEATRO STUDIO
TEATRO STUDIO
TEATRO STREHLER
TEATRO STUDIO
TEATRO GRASSI
TEATRO STREHLER
TEATRO STREHLER
Enzo Jannacci
Corte Sconta
Roger Planchon
Moni Ovadia
Kai Hensel
Bertolt Brecht
Pierre Marivaux
Hugo von Hofmannsthal
Lucio Dalla
Antonio Moresco
Dacia Maraini
Samuel Beckett
Vittorio Foa, Miriam Mafai,
Alfredo Reichlin
Teatro
Kol
Soirée de Gala
Es iz Amerike!
Quale droga fa per me? regia Andrée Ruth Shammah
Le storie del signor Keuner uno spettacolo di Roberto Andò e Moni Ovadia
La Casa delle Scuole di Teatro
Le false confidenze regia Toni Servillo
Elettra un progetto di Andrea De Rosa e Hubert Westkemper
Speak truth to power
Voci dal caos regia Pippo Di Marca
La lunga vita di Marianna Ucrìa regia Lamberto Puggelli
Finale di partita regia Franco Branciaroli
Il silenzio dei comunisti regia Luca Ronconi
Athol Fugard, John Kani,
Winston Ntshona
David Harrower
Walter Fontana
Henrik Ibsen
Patrice Chéreau
Carlo Colla e Figli
Heiner Müller
Ugo Chiti
Carlo Colla e Figli
Accademia Perduta
August Strindberg
Sizwe Banzi est mort regia Peter Brook
Bertolt Brecht
Carlo Goldoni
Aristofane
Miguel de Cervantes
Visioni di Galileo regia Maxmilian Mazzotta
Il ventaglio regia Luca Ronconi
Gli uccelli Compagnia Lombardi-Tiezzi
Don Chisciotte regia Maurizio Scaparro
Slava's Snowshow
Io e Margaret Thatcher
Marco Paolini con
I Mercanti di Liquore Miserabili
Hermann Broch
Carlo Goldoni
Eduardo De Filippo
Fanny & Alexander
William Shakespeare
Achille Campanile
Carlo Goldoni
Andrea Camilleri
Sergi Belbel
Johann Wolfgang Goethe
Fernandez de Moratin
William Shakespeare
Carlo Goldoni
Carlo Colla e Figli
Carlo Colla e Figli
Omero
Blackbird regia Peter Stein
Miss Universo regia Cristina Pezzoli
L'anitra selvatica regia Eirik Stubø
Le Grand Inquisiteur
Aida
Quartett regia Robert Wilson
I ragazzi di Via della Scala
Il Gatto con gli stivali
Pollicino
Il padre regia Massimo Castri
Inventato di sana pianta regia Luca Ronconi
La barca dei comici regia Stefano de Luca
Le voci di dentro regia Francesco Rosi
Ada cronaca familiare
Spazio a Serena Sinigaglia
Cymbeline regia Declan Donnellan
Il povero Piero regia Pietro Carriglio
Arlecchino servitore di due padroni regia Giorgio Strehler
La concessione del telefono regia Giuseppe Dipasquale
Mobil regia Lluís Pasqual
Spazio a Paolo Rossi
Faust regia Eimuntas Nekrosius
El sí de las niñas regia Vicente Genovés
Twelfth Night/The Taming of the Shrew regia Edward Hall
Il campiello regia Jacques Lassalle
Aristide e Il mondo alla roversa
Il giro del mondo in 80 giorni
Iliaca regia Anatoli Vassiliev
ORDINE
9-10
200535
36
ORDINE
9-10
2006

Documenti analoghi

Ddl Mastella Inchiesta Ordine Personaggio

Ddl Mastella Inchiesta Ordine Personaggio New Tabloid. Mi incoraggiano a fare sempre meglio. Nonostante le poste, che purtroppo hanno tempi di distribuzione biblici, in particolare a Milano dove il giornale è arrivato dopo due mesi! Ma par...

Dettagli

Ottobre 2001 - Ordine dei Giornalisti

Ottobre 2001 - Ordine dei Giornalisti Anno XXXII n. 8, settembre-ottobre 2001

Dettagli