La chiesa di Sant`Angelo - Associazione Culturale Francesco Sforza

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La chiesa di Sant`Angelo - Associazione Culturale Francesco Sforza
La chiesa di Sant’Angelo
a cura di Nino Sambataro
www.assofrancescosforza.it
I
INTRODUZIONE: GLI ANGELI NELLA TRADIZIONE
La tradizione religiosa e perciò la tradizione artistica legata alla figura degli angeli è ricchissima.
Spesso la devozione nei loro confronti nasce durante grandi epidemie.
La prima chiesa di Sant’Angelo infatti, che sorgeva tra Porta Nuova e Porta Garibaldi, quindi più
spostata verso l’esterno, e che poi fu distrutta per consentire la costruzione delle nuove mura
spagnole, si sviluppò da una piccola cappella duecentesca dedicata all’angelo che aveva fatto
cessare la peste.
In particolare, l’ordine dei francescani ha da sempre una grande devozione nei confronti degli
angeli: anche perché che la Porziuncola, la chiesetta poco fuori Assisi, dove comincia l’avventura
francescana, sorgeva in località Santa Maria degli Angeli. Ed è proprio in onore a questa tradizione,
che anche la chiesa Francescana di Milano è stata dedicata a Santa Maria degli Angeli. Sebbene i
milanesi, storicamente, l’abbiano sempre chiamata Sant’Angelo (proprio in ossequio all’angelo che
calmò la peste nel Duecento…).
II
I FRANCESCANI A MILANO 1
Il movimento francescano ha avuto, fin dalle sue origini, una grande espansione, tanto che una delle
caratteristiche più sorprendenti di Francesco d’Assisi è stata proprio la sua straordinaria capacità di
diffondere il suo messaggio ben oltre i confini dell’Umbria.
Ci dicono infatti gli storici che già nel 1212 troviamo in Lombardia e a Milano i primi Frati Minori,
predicatori della forma di vita da lui proposta.
Lo stesso Francesco venne e dimorò nella città di Milano almeno due volte, la prima tra il 1213 ed
il 1215 e la seconda nella primavera del 1221, dopo il suo ritorno dall’Oriente e già in quegli anni
cominciarono a fiorire i primi conventini, anche per dare ospitalità ai numerosi milanesi di ogni ceto
che, conquistati dalla proposta di Francesco, decidevano di fuggire il mondo per diventare Frati
Minori e vivere, rinunciando per amore di Dio, a ricchezze e onori, secondo la forma apostolica
della chiesa primitiva.
La simpatia suscitata da Francesco d’Assisi e la sua popolarità erano così grandi che, fin dal 1396,
come risulta dagli Statuti di Milano, il giorno di questo Santo era considerato festivo.
Agli inizi del secolo XV la venuta a Milano di Bernardino da Siena, esponente della vita
francescana rinnovata e grande oratore, suscitò nuovo entusiasmo per l’indirizzo spirituale ed
ascetico che egli proponeva. Nessuno mancava alle sue prediche, neppure i Duchi e gli addetti alla
Corte, che vi partecipavano devotamente, con tutto il popolo milanese.
Molti giovani manifestarono il desiderio di seguirlo nell’Ordine dei Frati Minori, tanto che ben
presto fu necessario costruire nuovi conventi. Proprio per questo scopo, in quegli anni fu ceduta a
San Bernardino anche una chiesina con accanto un tugurio da eremita, chiamata Sant’Angelo, che
esisteva già verso il 1280 tra Porta Nuova e Porta Garibaldi, sulle sponde del Naviglio della
Martesana.
Ben presto però, con l’aiuto di altre generose donazioni dei milanesi, poco dopo il 1420, tutto fu
trasformato per accogliere più di quattrocento persone che vollero seguire Bernardino nell’Ordine
dei Frati Minori. In breve tempo fu costruita una grande chiesa di stile lombardo, dedicata, come la
Porziuncola di Assisi 2 , a Santa Maria degli Angeli, ma chiamata dal popolo più brevemente
1
Tratto da “I francescani a Milano”, Sylvia Righini Ponticelli, Germano Mulazzani, Sant’Angelo, Milano – Convento
Frati Minori, 2002
2
La Porziúncola è una piccola chiesa fuori Assisi, in località Santa Maria degli Angeli, e attualmente inglobata
all'interno della grande basilica di Santa Maria degli Angeli, costruita proprio per proteggere e venerare questa piccola
ed antica chiesa, sede di notevole significato spirituale e storico. A questa Chiesa dobbiamo il nome originario della
città statunitense di Los Angeles, chiamata dagli spagnoli Ciudad de la Iglesia de Nuestra Señora de Los Angeles sobra
la Porziuncola de Asís (in italiano: Città della Chiesa della Nostra Signora degli Angeli della Porziuncola di Assisi).
2
Sant’Angelo, in memoria dell’antica cappella dove si diceva fosse apparso l’Angelo guaritore della
peste. Accanto alla chiesa fu edificato un convento, che andò sempre più sviluppandosi in
grandiosità e magnificenza fino ad avere ben sette chiostri.
Per la bellezza del luogo, dell’architettura e degli affreschi, il complesso era chiamato “il Paradiso
di Milano”. In esso predicazione, accoglienza dei più bisognosi, soprattutto quelli colpiti da varie
epidemie, vita conventuale, artigianato, scuola, cultura, si concatenavano l’una all’altra, rendendolo
un centro attivo e un polo di attrazione per tutti i ceti sociali della città. Aveva anche una
ricchissima biblioteca voluta dallo stesso San Bernardino.
Narrano sempre le cronache dell’epoca che questo centro di fede, ricco di arte e di carità,
frequentato e venerato dai cittadini, era così splendido e confortevole che in molti religiosi suscitava
dubbi e perplessità sull’effettiva pratica della povertà dei Frati che l’abitavano.
Nel frattempo erano sorti in città altri due conventi francescani, uno nei pressi dell’attuale via
Manzoni, l’altro nelle vicinanze dell’attuale Palazzo di Giustizia.
Nell’anno 1527, in conseguenza delle guerre dell’imperatore Carlo V, il convento di Sant’Angelo
venne coinvolto nella battaglia e finì semidistrutto, così che i Frati dovettero abbandonarlo e
rifugiarsi altrove, per tornarvi una volta ristabilita la pace, ed iniziata la ricostruzione.
Non molti anni dopo, precisamente nel 1551, l’autorità civile decise di radere al suolo tutto il
complesso, perché essendo eretto a cavallo delle mura costituiva un facile accesso alla città.
La demolizione del primo convento di Sant’Angelo fuori le mura faceva parte di un grandioso piano
di ammodernamento e fortificazione di Milano, voluto dal governatore Ferrante Gonzaga. Sempre
in quell’anno però, lo stesso governatore concedeva un appezzamento di terra di cento pertiche
all’interno delle mura, all’incrocio tra corso di Porta Nuova e l’attuale via Moscova, dove, ancora
con il concorso del popolo milanese si costruì il secondo Sant’Angelo. Si dice anche che, per
concorrere alle spese della nuova costruzione, il Comune di Milano aumentasse il prezzo del pane
di un centesimo per libbra. La posa della prima pietra avvenne il 21 febbraio del 1552 con una
solenne cerimonia alla quale parteciparono tutte le autorità civili e religiose dell’epoca.
All’architetto Domenico Giunti venne affidato il progetto del nuovo complesso, che comprendeva
la grandiosa chiesa attuale, accanto alla quale, sul lato destro si sviluppava il nuovo convento, che
in pochi anni avrebbe compreso tre chiostri, con giardino, orto, prato e bosco, tutto circondato dalle
mura della clausura. Ai lavori parteciparono i migliori artisti dell’epoca: i fratelli Procaccini,
Panfilo Nuvolone, il Legnanino, i fratelli Campi, il Barbarino, il Morazzone e altri, con le relative
scuole.
I benefattori facevano a gara per aiutare i Frati in tutto quanto avessero bisogno e ben presto il
convento fu in grado di ospitare regolarmente più di cento religiosi e di organizzare un’infermeria
di isolamento e cura per chi fosse colpito da una delle frequenti epidemie di quegli anni.
Purtroppo però, nel 1743 un incendio devastò il complesso, in modo particolare la Biblioteca,
privandoci di materiale prezioso per la storia, non solo religiosa, della presenza francescana nella
città di Milano.
Da Sant’Angelo, sede del Padre Provinciale, dipendevano ben trenta conventi sparsi per il Ducato
di Milano e per la Lombardia, con oltre settecento Frati, e numerose attività religiose, benefiche,
assistenziali facevano capo a loro, punto di riferimento per chi cercava conforto spirituale e aiuto
materiale.
Stando all'etimologia, "porziuncola" significa una piccola porzione di qualcosa. L'appellativo si riferisce o alla stessa
cappella, oppure al bosco in cui sorgeva, dove si dice che avessero cantato gli Angeli. Il luogo era stato donato a san
Francesco e ai suoi Frati, dai Monaci benedettini del Subasio, che lo possedevano dal VI secolo. Così, dal 1211 - dopo il
breve soggiorno a Rivotorto - Santa Maria degli Angeli segnerà l'inizio dell'avventura francescana. Francesco restaurerà
la cappella in rovina e, nel bosco, farà costruire le prime cellette francescane. (http://it.wikipedia.org/wiki/Porziuncola).
3
Ma tutta questa opera fu spazzata via nel 1810 3 , quando Napoleone Bonaparte decretò la
soppressione degli Ordini Religiosi ed i Frati, lasciato il saio francescano, dovettero andarsene per il
mondo. Solo nel 1854, finalmente, la comunità religiosa di Sant’Angelo riuscì a riunirsi e a
ricostituirsi nelle forme legali, riprendendo possesso del proprio convento. Solo per poco tempo
però, perché pochi anni dopo, lo Stato Italiano soppresse e sequestrò il complesso, dichiarandolo
proprietà del demanio, poi passato al Comune, che vi installò il Tribunale Militare.
L’archivio e la Biblioteca furono letteralmente depredati, i chiostri devastati, tanto che dei numerosi
affreschi, con certezza più di ottanta, ne furono salvati in seguito una decina in tutto.
Solo nel 1922, mutati i tempi e gli uomini, il 19 aprile, domenica di Pasqua, i Frati tornarono
definitivamente al loro antico convento, riappropriandosi, con una solenne cerimonia, di quanto ne
rimaneva. Si deve ad un altro grande francescano, Padre Agostino Gemelli, fondatore
dell’Università Cattolica, il riscatto degli spazi presso l’autorità civile, spazi che, essendo molto
ridotti rispetto al passato, costrinsero ad un radicale cambiamento della struttura del convento.
Sempre aiutati dalla generosità dei milanesi, accorsi numerosi ad accogliere i Frati tornati nella loro
casa, iniziarono i restauri della chiesa, ridotta a scuderia, e venne affidato all’architetto Giovanni
Muzio l’incarico della ricostruzione.
Negli anni dal 1940 al 1954 venne costruito il convento attuale, che occupa uno spazio molto
limitato sul lato destro della chiesa e si innalza per quattro piani, in mattone vivo, abbellito e
rallegrato dal verde e dai fiori del piccolo giardino interno, ancora oggi sorprendente oasi di
frescura e di silenzio, nel centro di Milano.
III
DOMENICO GIUNTI INGEGNERE DEL COMPLESSO CONVENTUALE DI
SANT’ANGELO 4
Domenico Giunti, nato a Prato il 25 febbraio 1505, fu architetto al seguito del governatore di
Milano Ferrante Gonzaga 5 , per il quale disegna la nuova cinta muraria della città, che prevede la
demolizione del vecchio convento francescano esistente fuori Porta Nuova e pone le premesse per
la costruzione del nuovo complesso di Sant’Angelo, del quale diverrà il progettista.
Fin dai primi anni di attività, Domenico, che lavora nella bottega del fiorentino Niccolò Soggi, si
dimostra giovane di buonissimo ingegno, nell’esercizio della pittura. Giorgio Vasari, narrando la
vita del Soggi, tratteggia anche quella dell’allievo, amato come un figlio e che istruiva affinché “si
facesse eccellente nelle cose dell’arte”, “nel tirare di prospettiva, ritrarre di naturale e disegnare, di
maniera che già in tutte queste parti riusciva benissimo”. Ma il Vasari dice anche che Domenico,
avendo appreso la “natura di Niccolò”, pittore non eccelso “non fu di molto valore nella pittura”.
Tuttavia, Ferrante Gonzaga, rimasto soddisfatto da alcuni saggi del Giunti, chiamò l’artista in
Sicilia, dove lo mise a lavorare ad alcune muraglie e fortezze.
Sembra certo che Domenico Giunti fosse ancora a Messina nel 1545: nell’anno successivo, don
Ferrante sostituì il marchese del Vasto nel governo di Milano, dove si recò accompagnato da un
numeroso seguito, del quale faceva parte anche l’architetto toscano.
Giunto a Milano, il condottiero contrappose alla sfiducia e all’incertezza economica che vi regnava,
le su doti di statista oltre a quelle di mecenate illuminato. C. Baroni ricorda la dimestichezza con
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Nel 1810 si ordinò la soppressione di tutti gli Ordini religiosi, con un editto firmato da Napoleone a Compiègne il 25
aprile: il decreto sopprimeva tutti gli Ordini e le Congregazioni religiose eccetto gli ospitalieri e le suore di carità.
Subito i delegati statali apposero i sigilli e i sequestri sugli archivi, le librerie, le casse e gli appartamenti religiosi.
4
Tratto da “Domenico Giunti ingegnere del complesso conventuale di Sant’Angelo”, Sylvia Righini Ponticelli,
Germano Mulazzani, Sant’Angelo, Milano – Convento Frati Minori, 2002
5
Ferrante Gonzaga (Mantova, 28 gennaio 1507 – Bruxelles, 15 novembre 1557) è stato un condottiero italiano, fu
viceré di Sicilia dal 1535 al 1546, signore di Guastalla dal 1539 e governatore di Milano dal 1546 al 1554.
(http://it.wikipedia.org/wiki/Ferrante_Gonzaga)
4
Paolo Giovio e la protezione che offriva ad artisti come Leone Leoni o Antonio Ferramolino e,
naturalmente, Domenico Giunti, il quale crebbe in ricchezza ed in prestigio.
Forse il primo degli impegni professionali di Domenico Giunti a Milano fu il riassetto del Palazzo
di Corte 6 , che, dopo un periodo d’abbandono era tornato ad essere sede del governo con Alfonso
d’Avolos e doveva essere adibito anche ad abitazione di Ferrante Gonzaga.
Sappiamo inoltre che, a partire dal 1549, collaborò con Gian Maria Olgiati all’edificazione delle
mura spagnole. Il Miniati riferisce anche che Domenico ricostruì le “tenaglie del Castello di
Milano” realizzate qualche anno prima dal Cesariano.
Se incerte sono altre attribuzioni, circa la paternità del complesso francescano di Sant’Angelo
invece, non ci sono dubbi.
La necessità di un nuovo complesso conventuale era stata determinata dalla esigenza di demolire
quello vecchio, fondato nel 1421, che era ubicato sul tracciato delle erigende fortificazioni.
Non si devono dimenticare, tuttavia, che con cause di tanto interesse del Governatore di Milano,
furono sia l’importanza assunta in città dall’Ordine Francescano del quale era, dal 1547, “Economo
Apostolico, Procuratore e Protettore”, sia l’indiscusso valore dell’antico convento che, per motivi
militari, doveva essere sacrificato, ma non senza adeguato compenso ai frati sfrattati.
All’impresa contribuì economicamente anche la città di Milano.
La posa della prima pietra avvenne il 21 febbraio 1552 alla presenza dell’Arcivescovo di Milano,
Giovanni Angelo Arcimboldi, del Governatore, Don Ferrante Gonzaga, del Prefetto delle Fortezze,
Giovanni De Luna, e di altre autorità.
Quale premessa all’analisi del monumento, occorre accennare ai dati oggettivi attorno ai quali
l’architetto organizzò il proprio progetto. Innanzitutto, il lotto di terreno messo a disposizione dai
frati: un grande rettangolo sito a metà circa dello stradone esistente, aperto per facilitare l’accesso ai
cittadini della città al vecchio convento di Sant’Angelo. Stradone che venne poi chiamato Borgo di
Sant’Angelo, nel tratto verso il centro, e Strada del Dazio di Porta Nuova, in quello verso la
periferia.
La disposizione planimetrica così concepita risolveva le esigenze di accessibilità alla chiesa da parte
dei fedeli e di riservatezza degli edifici conventuali raccolti attorno ai tre chiostri. Il limite orientale
del convento era invece segnato da un fontanile che collegava il naviglio interno con il fossato, e
serviva all’irrigazione degli orti e dei giardini che si sviluppavano su quel lato dell’area.
Oltre ai dati ambientali, l’architetto dovette considerare la funzionalità degli edifici che dovevano
ospitare una comunità che contava più di duecento frati e, naturalmente, le esigenze dettate dalla
Regola francescana.
Non esiste una tipologia specifica per la chiesa francescana. Le chiese di questo Ordine erano
concepite per accogliere folte assemblee di fedeli, che accorrevano ad ascoltare le predicazioni.
Per questo, lo spazio interno doveva essere omogeneamente illuminato, unitario e lineare, cosicché
la parola raggiungesse ognuno dei fedeli convenuti.
Domenico Giunti seppe dare una chiara e lucida interpretazione delle problematiche liturgiche e
funzionali, con una risposta progettuale altrettanto lineare, che addirittura anticipò le soluzioni
dettate dalla riforma conciliare. Egli infatti concepì una vasta aula voltata a botte, rinforzata ai
fianchi da alti contrafforti mistilinei, incorporati alla base dalla massa strutturale delle cappelle che,
otto per parte, la fiancheggiano. Perpendicolarmente, il transetto, lungo quanto l’ampiezza della
navata, comprese le cappelle, è anch’esso voltato a botte. In esso si aprono la cappella maggiore del
coro e due cappelle minori laterali, Una cappella ulteriore si affaccia sul lato settentrionale del
6
Palazzo Reale: sarà proprio con il periodo spagnolo che vediamo una completa fioritura di tutta l'opera, grazie
all'arrivo in città del governatore Ferrante Gonzaga il quale prende residenza stabile in città dal 1546, elevando la corte
ducale a vero e proprio palazzo di residenza del governo milanese. Sarà infatti il Gonzaga ad inaugurare i primi lavori
per realizzare le sale di rappresentanza del complesso, restaurando anche il corpo dell’edificio posto tra il cortile e il
giardino, affidato all'opera di Domenico Giunti. La struttura accoglie in un primo momento anche gli altri organi di
rappresentanza dello stato che vengono accolti nelle due braccia laterali della struttura dando alloggio al Senato
cittadino
ad
ai
Tribunali
Regi,
al
Magistrato
ordinario
ed
a
quello
straordinario.
(http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Reale_di_Milano).
5
transetto, mentre, sul lato opposto, due porte conducono rispettivamente, al chiostro ed alla
sacrestia.
La nuova prospettiva che, attraverso l’arcone, si apre verso il presbiterio e la conseguente
valorizzazione dell’altare prelude alle felici soluzioni post – tridentine lombarde, come il San
Fedele del Tibaldi.
Sulle scelte progettuali del Giunti influirono indubbiamente le reminiscenze toscane delle grandi
chiese monastiche, l’osservazione delle opere realizzate o che si andavano realizzando a Roma.
Fonte di ispirazione fu anche il De re aedificatoria dell’Alberti, grande teorico anche del tema della
chiesa a navata unica che aveva affrontato con Sant’Andrea a Mantova.
L’ispirazione dell’ampia sala coperta a botte gli venne dall’antico Templum Pacis, costruito
“Etruscorum more”, descritto da Vitruvio e che l’Alberti interpreta e codifica aprendo la strada al
rinnovamento, secondo supposti principi degli antichi, dei diffusi schemi tradizionali ad aula e
cappelle laterali. La scelta di questo tipo di tempio è motivata dall’Alberti anche dall’argomento
funzionale della capienza, ma, possiamo aggiungere che, con l’aula voltata a botte, si ricava un
sensibile miglioramento dell’acustica.
L’apporto del Giunti, così permeato di spunti classici, sarà dunque determinante per lo sviluppo
dell’architettura tardo cinquecentesca, poiché anticipa, con il poderoso vano interno di Sant’Angelo,
le ben note realizzazioni del Seregni, in San Vittore al Corpo, e di Pellegrino Tibaldi, nel San
Fedele.
Tra le paraste della navata sono inseriti gli archi che immettono nelle cappelle. Le cancellate e la
profondità delle arcate accentuano il voluto distacco tra la semplice linearità dell’aula e l’esuberante
decorazione delle cappelle, quasi ad affermare il loro carattere gentilizio. La morfologia
architettonica delle cappelle, a pianta quadrata, risulta compatta. Le volte, per lo più ad ombrello,
con otto o dodici spicchi, ma anche a crociera cupoliforme o a vela tesa, hanno sempre
impostazione alta, così da lasciare più spazio alle decorazioni parietali. La luce vi penetra dall’oculo
aperto sopra l’altare e dalle due finestre allungate che lo fiancheggiano. Gli archi che introducono le
cappelle sono ripresi ad affresco ed in prospettiva sulla controfacciata, che assume un’illusionistica
profondità, quasi a suggerire la presenza di un portico d’ingresso sotto ai tre grandi finestroni.
La facciata attuale è stata attribuita al Seregni. Dei riferimenti al disegno della facciata del Giunti
sono possibili ed è interessante verificare quali elementi siano stati ripresi dal disegno originario:
soprattutto la netta divisione verticale, in tre parti, che corrisponde alla partitura interna in navata e
cappelle.
IV
GIOVANNI MUZIO, ARCHITETTO DEL MODERNO CONVENTO DI SANT’ANGELO 7
Con la soppressione degli ordini religiosi decretato da Napoleone nel 1810 fu ordinata la chiusura
del Convento di Sant’Angelo. Alcuni religiosi tuttavia vi rimasero continuando ad officiare fino al
1868 quando, con la “soppressione italica”, il convento passò al demanio statale e poi al Comune
che vi installò, tra le altre funzioni, il tribunale militare.
La chiesa, adibita a magazzino di vestiario militare e stipata fino ad un’altezza di 15 metri fu
colpita, nel 1919, da un incendio che devastò la penultima cappella di destra. Nel marzo del 1922
venne disposta la derequisizione della chiesa e si procedette al rilievo dei danni perché era
intenzione permettere il ritorno dei frati: cosa che avvenne il giorno di Pasqua dello stesso anno.
La riapertura fu celebrata con un rito solenne ed accompagnata da un discorso di padre Agostino
Gemelli che nell’occasione rievocò le “glorie francescane”: padre Gemelli assunse anche la
presidenza del comitato per i restauri.
Anche il convento aveva subito trasformazioni deturpanti da quando era stato adibito a magazzini e
casermaggi, tanto che la Soprintendenza impedì che i depositi fossero ristrutturati chiedendo
7
Tratto da “Giovanni Muzio, architetto del moderno convento di Sant’Angelo”, Sylvia Righini Ponticelli, Germano
Mulazzani, Sant’Angelo, Milano – Convento Frati Minori, 2002
6
piuttosto la demolizione in quanto costituivano un grave “sconcio” che andava rimosso e non
mantenuto.
I frati si impegnarono con la Soprintendenza a fare eseguire lo strappo degli affreschi, a procedere
alla ricostruzione di un chiostro utilizzando le vecchie colonne ed applicando sulle pareti gli
affreschi recuperati.
L’area destinata ai frati era un rettangolo con il lato maggiore pari a quello del precedente convento
ed il lato minore limitato alla profondità dell’antico corpo d’ingresso.
Come progettista fu scelto Giovanni Muzio. La scelta dell’architetto può essere stata influenzata da
padre Gemelli che aveva voluto lo stesso architetto nella ristrutturazione dell’Università Cattolica.
Il Muzio riuscì a dare un’impostazione chiara e semplice al progetto, coerentemente con lo spirito
francescano, e proprio per questo, a proposito di questa e di altre opere eseguite per lo stesso ordine,
si è parlato spesso di “filone francescano” che fu motivo di profonda riflessione per l’architetto.
Nello stesso spirito di ricerca di architetture essenziali egli scrisse su “Emporium”, il manifesto
sulla necessità di stabilire il principio di “ordine”, reagendo contro la confusione e “l’esasperato
individualismo dell’architettura odierna”.
Il Muzio compose il proprio progetto attorno allo spazio dell’originario cortile, quasi volesse, e
forse lo fece, riutilizzare gli scavi di fondazione di quella parte del vecchio convento, per ristabilire
una continuità con il passato.
I volumi, di diversa altezza si sviluppano sui tre lati del cortile. Il corpo del teatro8 conclude il
complesso verso il corso di Porta Nuova. I servizi collettivi, mensa, accoglienza, cucina, sartoria,
biblioteca, sala di lettura ecc., sono situati al piano terreno del corpo, lungo via Bretoni; quelli
culturali, con l’auditorium sono invece raggruppati in maniera autonoma e con ingresso dalla piazza
Sant’Angelo, nella parte occidentale del complesso.
Le celle dei frati, situate nei corpi disposti a pettine verso la via Bretoni, si affacciano verso i cortili
interni isolati dalla pubblica via da alte pareti traforate da arcate sovrapposte.
E’ nel cortile che l’architetto ha affrontato il delicato tema del recupero degli elementi architettonici
dell’antico convento, risolvendolo non con un rifacimento stilistico ma interpretando i valori del
passato. Le colonne tuscaniche di recupero portano la nuova copertura del porticato che si sviluppa
lungo tre lati del cortile, coinvolgendo anche il fianco della chiesa. Su di esse poggiano le travi che
si piegano in corrispondenza del capitello quasi a formare un pulvino oppure a rappresentare i
triglifi di una immateriale trabeazione. Nei ritmi conferiti al colonnato, nella voluta accentuazione
della parte centrale in muratura piena con arcata a tutto sesto, edicola superiore e sottolineata anche
dalle diverse altezze del piano del cortile, non è difficile individuare una vaga reminiscenza
palladiana di “villa con barchesse”, da mettere in relazione con il suo soggiorno giovanile nel
Veneto e con i suoi studi rivolti al noto architetto.
L’illuminazione delle cappelle del fianco meridionale della navata, le cui finestre si aprono nel
porticato è risolta con l’inserimento in copertura di piastrelle in vetro cemento.
V
GLI INTERVENTI DECORATIVI E LE OPERE PROVENIENTI DALL’ANTICO
SANT’ANGELO 9
La decorazione della volta, riapparsa frammentaria dal discialbo effettuato nel corso dei restauri del
1935 e poi largamente ridipinta dopo i danni subiti in seguito ai bombardamenti del 1943, è stata
recuperata completamente ove possibile, nella sua cromia originale, e poi interamente reintegrata in
modo da restituirle la necessaria leggibilità, necessaria in rapporto al suo carattere eminentemente
architettonico.
8
In grado di accogliere 600 persone.
Tratto da “Gli interventi decorativi e le opere provenienti dall’antico Sant’Angelo”, Sylvia Righini Ponticelli,
Germano Mulazzani, Sant’Angelo, Milano – Convento Frati Minori, 2002
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7
La soluzione decorativa così ricostruita è pressoché monocroma: la sua semplicità fa pensare più
che a una voluta mancanza di ostentazione, a una scarsità di mezzi, ma è da osservare tuttavia che il
suo anonimo autore si rivela, a una osservazione più attenta, che si è potuto esperire nel corso dei
recenti restauri, non privo di sottigliezze, sia esecutive che compositive.
Lo schema decorativo da lui adottato è in effetti molto sobrio: oltre alle profilature delle vele e agli
archi trasversali, viene delimitato un campo centrale che racchiude quattro grandi rettangoli
contenenti il monogramma bernardiniano, dove sono impiegate le uniche note di colore. Questa
soluzione compositiva, pressoché monocroma, non solo riesce a movimentare uno spazio immenso
che altrimenti sarebbe rimasto del tutto anonimo, ma è anche in grado di suggerire un illusionismo
prospettico attraverso una calcolata differenziazione dei riquadri centrali che assicura una più
armonica percezione dello spazio interno.
Il medesimo progetto decorativo doveva coinvolgere anche le rimanenti zone della chiesa, con
l’esclusione delle cappelle laterali, la cui decorazione venne avviata subito dopo il completamento
della chiesa. Lo dimostrano i frammenti di decorazione “architettonica” riemersi sulle pareti del
transetto, e volutamente lasciati nella loro situazione frammentaria dal momento che in questo caso
non appariva più significativa l’originaria valenza architettonica di questa soluzione decorativa.
La semplicità dell’apparato decorativo originale, che probabilmente (ma non è stato possibile
accertarlo) doveva comprendere anche le pareti e la volta del coro (che tuttavia venne realizzato in
un secondo tempo rispetto al corpo della chiesa), sembra scoraggiare qualsiasi tentativo di dare un
nome al suo autore.
E’ possibile tuttavia impostare un significativo confronto con la decorazione della volta della navata
della chiesa della Passione, sempre a Milano, dove troviamo, accanto a moduli compositivi
analoghi, anche una gamma cromatica assai simile.
E’ opportuno ricordare che l’epoca cui appartiene la più antica fase decorativa di Sant’Angelo è in
assoluto la più ricca di iniziative pittoriche sia in ambito religioso che laico. Essa infatti corrisponde
alla lunga e fervida attività riformatrice avviata da San Carlo Borromeo (Arcivescovo di Milano dal
1560 al 1584), vero campione in Lombardia del rinnovamento religioso, edilizio e artistico della
Chiesa uscita dal Concilio di Trento.
La considerazione è opportuna per giustificare la presenza di personalità artistiche che sovente
stentano ad uscire dall’anonimato.
Il richiamo a San Carlo è poi opportuno perché egli riservò all’Ordine dei Frati Minori e alle
vicende costruttive della loro nuova chiesa un’attenzione del tutto particolare, attenzione che
l’Ordine religioso ricambiò con una totale ed eroica obbedienza all’arcivescovo soprattutto nel
corso dei tragici eventi relativi alla famosa peste del 1576.
La circostanza va tuttavia considerata alla luce del fatto che alla fervida volontà di profondo
rinnovamento spirituale, non corrispose un rinnovamento altrettanto vistoso in campo artistico, con
l’esclusione forse dell’architettura. Nel campo della pittura continua a dominare la sensibilità
propria del tardo Manierismo, compresa la sua inconfondibile impronta tendenzialmente “pagana”,
che rimaneva come retaggio insopprimibile di un Rinascimento ancora vitale.
La vicenda decorativa di Sant’Angelo si pone come esemplare di questa situazione e del suo
successivo, coerente sviluppo, quello che si deve alle iniziative di Federico Borromeo, con il quale
si opererà il necessario adeguamento “interno” delle arti figurative alla nuova sensibilità religiosa.
Questo nuovo esito, sulla scena milanese, troverà in Camillo Procaccini uno dei più precoci e
accreditati interpreti, che proprio a Sant’Angelo lascerà una testimonianza tra le più significative.
La prima fase di questa cruciale evoluzione della pittura religiosa si afferma nella nostra chiesa
all’interno delle singole cappelle, che ben presto vennero fatte costruire o acquistate dalle più
eminenti famiglie milanesi e lombarde allo scopo di assicurarsi una prestigiosa sepoltura all’interno
di una chiesa appartenente a uno dei più seguite ed amati Ordini religiosi.
E’ opportuno passare in rassegna tutte quelle opere che i frati avevano voluto e potuto recuperare
dalla loro precedente sede. Tra queste opere, certamente la più famosa è la tavola di Gaudenzio
Ferrari raffigurante il martirio di Santa Caterina di Alessandria, ricollocata sull’altare della prima
8
cappella destra, dedicata alla Santa. Oggi ne resta soltanto una copia, eseguita dal non mon meglio
noto pittore Sadis, dopo che l’originale era stato rimosso in seguito alla soppressione napoleonica
del 1810. l’opera si trova oggi alla Pinacoteca di Brera.
Un gruppo consistente di opere provenienti dall’antico Sant’Angelo è costituito da sculture, tra cui
la più importante è rappresentata dal Sepolcro della Beata Beatrice Rusca, collocato, nella nuova
chiesa, sulla parete orientale del transetto, a destra dell’arcone trionfale (quasi a fare da contraltare
al sepolcro del vescovo Pietro Giacomo Malombra (1573), attribuito ad Annibale Fontana).
Fatto erigere nel 1499, il prezioso monumento marmoreo è opera attribuita ad Agostino Busti, detto
il Bambaja. Il suo interesse non riguarda soltanto l’aspetto artistico ed espressivo, ma anche quello
tipologico, recentemente messo a fuoco nell’ambito di una notevole e motivata ripresa di attenzione
da parte degli studiosi di una stagione artistica, quella della scultura lombarda tra Quattro e
Cinquecento, ingiustamente per troppo tempo trascurata. In questo quadro meritano di essere prese
in considerazione altre opere di scultura, sparse in varie zone della chiesa, della sagrestia e del
convento, tutte provenienti dall’antica chiesa. Ricordo innanzitutto il bellissimo lavabo, collocato in
sagrestia, la cui alta qualità giustifica un’attribuzione al Bambaja. Notevole pure il rilievo della
Madonna col Bambino, firmato da Francesco Solari, situato oggi nell’atrio della chiesa verso la via
Moscova, dove si trova anche un rilievo in terracotta raffigurante la Pietà, di minore interesse e
forse assegnabile al primo decennio del Cinquecento.
Più antichi e forse risalenti alla costruzione del primo Sant’Angelo sono due tondi, entrambi
raffiguranti una Madonna col Bambino, collocati sulle pareti del chiostro.
Dopo aver completato la rassegna delle opere provenienti dall’antica chiesa menzionando il
bellissimo frammento di affresco raffigurante il volto di Angelo, sistemato nell’atrio della sagrestia
e infondatamente attribuito a Bernardino Luini, occorre menzionare un altro e più vistoso esempio
di scultura, la cui provenienza dall’antico Sant’Angelo non è del tutto certa: un bellissimo altare in
pietra policroma, sistemato sulla parete di fondo della Cappella Brasca, che si deve all’unica
iniziativa edilizia che abbia comportato un’aggiunta al progetto originario di Domenico Giunti,
collocata infatti in corrispondenza della parete terminale del braccio sinistro del transetto.
Composto da tre statue in pietra (la Vergine Immacolata, tra Santa Margherita e San Francesco
d’Assisi) e da una cornice architettonica di gusto pienamente rinascimentale, esso può agevolmente
essere collocato entro la prima metà del XVI secolo. Completamente ignorate dagli studiosi, le tre
bellissime statue sembrano tre sculture lignee, e in effetti, l’unica ipotesi attributiva, riguarda
proprio l’ambito della officina di Gian Giacomo Del Maino, autore di prestigiosi complessi
decorativi a Milano e in Lombardia, tra Quattro e Cinquecento.
Fonti:
Sylvia Righini Ponticelli, Germano Mulazzani, Sant’Angelo, Milano – Convento Frati Minori, 2002
Luciano Zeppegno, Le chiese di Milano, Newton, 1981
AA.VV, Milano, Touring Club, 2001
www.fratiminori.it
www.wikipedia.it
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