di era auspicabile che nel 150° anniversario dell`unificazione

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di era auspicabile che nel 150° anniversario dell`unificazione
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Prefazione
di
Silvano Montaldo
Era auspicabile che nel 150° anniversario dell’unificazione italiana
Angelo Brofferio non venisse dimenticato. Così è stato, grazie a Laurana Lajolo e all’editore Viglongo, che già avevano collaborato nel
2002, realizzando una preziosa edizione completa delle Canzoni piemontesi, e che ora ripropongono un’ampia biografia del poliedrico
scrittore e politico monferrino. Nel completo oblio la «dissentig voice
in the Risorgimento», come Brofferio è stato definito nel 1990 in un
articolo dell’«Historical Journal», non è mai caduta: dopo i primi, rapidi abbozzi giornalistici di Paul Collet ed Enrico Montazio, che risalgono agli anni Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento, con Brofferio
ancora in vita, una notevole messe di conferenze, scritti e riedizioni lo
ha ricordato in occasione del centenario della nascita, nel 1902. L’attenzione nei suoi confronti è continuata nel primo dopoguerra, con la
pubblicazione dei suoi carteggi con Guerrazzi a opera di Ferdinando
Martini, e nel secondo dopoguerra, con i numerosi lavori che gli ha
dedicato Enzo Bottasso, autore della bella scheda biografica per il Dizionario biografico degli italiani e curatore di una mostra bibliografica
nel centenario della morte. La figura dell’avversario di Cavour è stato
poi al centro di una discussione tra gli studiosi negli anni in cui Romeo pubblicava la monumentale biografia del grande conte, che ha
coinvolto lo stesso storico siciliano. In anni più recenti, mentre è proseguito l’interesse verso Brofferio autore dialettale e di teatro, la Provincia e la Città di Asti, il Consiglio regionale del Piemonte e il Comune di Castelnuovo Calcea gli hanno dedicato giornate di studio e
momenti di spettacolo ispirati dai suoi testi poetici, e il Comune natale di Castelnuovo Calcea ha inaugurato il centro culturale e museo
del Mè ritorn. Tuttavia, è indubbio che su di lui, come su altri personaggi di primo piano del Risorgimento – si pensi a Urbano Rattazzi –
manchi ancora un serio studio complessivo, che restituisca in una dimensione scientificamente adeguata la sfaccettata personalità e la sua
lunga e importante esperienza politica. A bloccare gli storici è stata la
dispersione e la quasi completa distruzione dei suoi carteggi personali, che normalmente costituiscono il pilastro principale su cui si costruisce un’opera di questo genere. Ora a questa mancanza sopperisce, almeno in parte, la preziosa fatica di Laurana Lajolo, che propone al lettore una vera e propria biografia di Angelo Brofferio condotta
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attraverso un paziente lavoro di tessitura, raffronto, integrazione tra
tutto quanto il giornalista e scrittore diede alle stampe. Il punto di
partenza e l’asse principale di questa impresa sono I miei tempi, l’autobiografia apparsa in venti volumi a partire dal 1857, riedita nel
1902-1904, alla quale si sono aggiunti gli spunti tratti dalla sua produzione poetica dialettale, intrisa di impegno civile e politico, e le notizie contenute nelle opere di carattere saggistico, dalla Storia delle Rivoluzioni italiane dal 1821 al 1848, edita a Torino nel 1849, alla Storia
del Piemonte dal 1814 ai giorni nostri, alla Storia del Parlamento subalpino, iniziatore dell’unita italiana. Come osserva l’autrice, anche nello
scrivere sulle vicende storiche generali del suo tempo Brofferio parla
sempre di sé, come protagonista e testimone di quegli eventi, per
quello straordinario gusto per la narrazione e il commento salace, lo
sguardo ironico, lo spirito polemico che caratterizza tutta la sua opera, e pertanto anche i suoi saggi forniscono tessere utili per ricomporre il mosaico della sua vita. Il risultato di questo impegnativo lavoro
di riduzione dall’autobiografia alla biografia è un testo appassionante,
che si presta a più letture. In primo luogo, è una biografia che si legge
quasi come un romanzo, soprattutto nelle belle pagine dedicate alla
giovinezza e all’ambiente teatrale, che certo non sarebbero dispiaciute
al solitario della Montagna anche per il loro equilibrio narrativo. Ma
si tratta, al tempo stesso, di una serie di finestre aperte su molti aspetti dell’Ottocento italiano: dalla vita di provincia, negli anni napoleonici, del figlio di un giacobino integratosi nelle strutture di governo
dell’amministrazione francese, alla Restaurazione vissuta in un collegio astigiano, alla Torino della piccola borghesia colta, ma anche dei
salotti e delle accademie letterarie, ai moti del 1821 vissuti da oratore
improvvisato, all’ambiente del teatro, che gli concede un precoce ma
effimero successo, fino all’approdo, controvoglia, a una professione
legale vissuta prima come pis-aller, poi non solo quale fonte di sostentamento, ma anche come occasione per lottare contro le ingiustizie, la
repressione, le discriminazioni dell’assolutismo sabaudo. Il coinvolgimento nella congiura dei Cavalieri della libertà, l’arresto e il carcere,
poi il perdono e la ripresa di una vita professionale alla quale unì l’attività giornalistica, caratterizzarono sempre di più la sua figura come
quella del classico intellettuale di opposizione negli anni Trenta e
Quaranta, che alle polemiche letterarie e politiche affiancò una vita
privata tutt’altro che regolare. Oppositore famoso e spesso isolato
pure nell’ambito della Sinistra risorgimentale, Brofferio continuò a
esserlo anche dopo l’emanazione dello Statuto, con la differenza, però, che nei primi anni Cinquanta egli fu parte del processo di adeguamento delle istituzioni al nuovo regime liberale, mentre poi rimase via
via più emarginato, quando dalla riforma dello Stato e della legisla-
prefazione
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zione lo scontro politico si spostò sulle questioni di politica italiana
ed estera. Politico tribunizio, isolato, velleitario, innocuo, talvolta anche ambiguo: è questo il luogo comune su Brofferio che il lavoro di
Laurana Lajolo contribuisce a superare, mostrando invece la coerenza e la continuità delle scelte ideali di questo personaggio che, privo
di grandi mezzi economici e in condizioni difficili, lottò contro la pena di morte, l’intolleranza religiosa, la crudeltà delle punizioni, una fiscalità ingiusta, la politica intesa come ragion di stato e gioco diplomatico, il potere esagerato dei militari, l’aridità del liberismo economico. Isolato, incapace di organizzare un partito e di seguirne la disciplina, ma anche abile e moderno nel far leva sull’intelligenza, la capacità oratoria, il sostegno della pubblica opinione, da coinvolgere
anche attraverso il ricorso al dialetto. E lungimirante, nel chiedere diritti e garanzie che gli italiani avrebbero avuto solo a Novecento inoltrato.
Pertanto, questo lavoro è anche una ricostruzione del processo di
unificazione visto con gli occhi di un radicale. Senza cadere nel revisionismo populista, il Risorgimento viene giudicato per le sue carenze
in termini di reale partecipazione, di ammodernamento delle istituzioni, di miglioramento delle condizioni di vita: questioni rimaste irrisolte nel Piemonte cavouriano, che si sarebbero riproposte come gravose zavorre nel cammino dell’Italia unita.
SILVANO MONTALDO