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VIAGGIA
TORI
AT
Passeggiando sull’Etna
Ritratto di un villaggio e di un vulcano
I blasonati viaggiatori dei tempi passati compivano il viaggio con dispendio di tempo
e di energia a causa della carenza di mezzi di trasporto e di comode strade di
comunicazione.
Nel Settecento ci si spostava per motivi di studio o, più semplicemente, per svago;
oggi, spesso, per ricalcare le orme dei grandi scrittori, dei poeti o degli artisti, che
hanno lasciato un ricordo in una determinata località.
di
Eugenio
Mazzaglia
A
«Credo che
questo
itinerario,
che non ha
mai fatto
parte del
our
Gr
and T
Grand
Tour
ci ffar
aràà
ar
conoscere
molte cose
interessanti,
mai citate
prima nei
libri di
viaggio e così
penso ti ffar
aràà
ar
piacere
averne
descrizioni in
maniera da
compensare
la tua
mancata
conoscenza
di quei
luoghi …»
Patr
ic
atric
ick
Brydone
k Br
ydone
ccostarsi ai viaggiatori e alle loro
imprese rappresenta un compito
assai arduo; più volte affrontato dalla
storiografia ufficiale e mai trattato in modo
esaustivo a causa della ricchezza delle fonti
documentarie lasciateci dalle presenze straniere
“minori”. Attratte dalla Sicilia nel corso dei
secoli, ne sono state offuscate dalle “icone
inviolabili” quali i Goethe, i Brydone, gli Houel etc.
intorno ai quali si è sempre focalizzato l’interesse
da parte di studiosi nei più svariati campi.
Dalla rilettura dei loro diari (a volte
improntati da corrispondenze intime o
memoriali), dei Journal (giornali di viaggio o
scritti di natura scientifica), o semplicemente
limitandoci ad osservare i numerosi schizzi di
vedute paesaggistiche e di opere architettoniche
monumentali, è possibile scorgere frammenti di
grande interesse, utili per colmare lacune legate
alla storia della nostra terra. Preziosi tasselli
attestanti la presenza di un vasto parterre di ospiti
stranieri appartenenti alle circoscritte èlites, per
lignaggio o ruolo politico-sociale, spesso
accompagnati da gentiluomini e da una folta
schiera di servitori.
Il loro transito, non sempre animato da
peculiari interessi meramente conoscitivi, scaturisce
dalla curiosità volta ad indagare taluni aspetti: da
quello economico, in primo luogo, a quello
intellettuale nelle sue molteplici sfaccettature di
comprensione di una realtà territoriale caratterizzata
da forti contraddizioni, storicamente segregata dalle
interrelazioni pragmatiche, preclusa alle presenze
forestiere e totalmente sconosciuta alle cosmografie.
L’esame di tale fenomeno è da leggersi, in
questo articolo, come un succinto reportage
circoscritto ad alcuni secoli (dal XVI al XX ),
escludendo le età precedenti durante le quali, fino
alla seconda metà del cinquecento, l’isola era stata
terra di transiti e addirittura «center of travel-
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interest» come si esprime G. B. Parks in The
English Traveler to Italy ( anno 1954, pag. 147)
per monaci e dignitari di corte, militi e trovatori,
crociati e pellegrini etc. Risulta importante,
sottolineare, come alla fine di tale epoca la Sicilia
si riappropri della sua forte identità storica e
culturale entrando, prepotentemente, nel circuito
italiano ed internazionale, fino ad allora estromessa
da Itineraria e Deliciae Italiane, primordiali
manuali di viaggio nei quali la città partenopea (ed
il Vesuvio) rappresentavano per i viandanti la
frontiera invalidata. Ampia risonanza ebbe
l’impulso divulgativo successivamente promosso
dall’attività compiuta dallo storiografo e poligrafo
svizzero Jean Marie Vincent Audin (conosciuto con
lo pseudonimo Richard), autore, nella prima metà
dell’Ottocento, di celebri manuali per molti decenni
strumento insostituibile di consultazione e modello
ai “ciceroni” dei tempi successivi.
Per comprendere meglio tale periodo, di
indubbia validità risulta l’opera di Francesco
Ambrogio Maja, l’Isola di Sicilia Passeggiata,
scritta verso la fine del XVII secolo. È un’opera
cardine sulla letteratura della Sicilia. L’autore
svolge un eccellente lavoro di studio e di ricerca
sugli scrittori classici e sui testi moderni, summa
delle conoscenze acquisite sul patrimonio
culturale del tempo mirato alla divulgazione del
Mongibello e della Sicilia, da egli stesso definita
isola ch’era «la prima e principale del mondo
per eccellenza di bellezza e bontà della sua
essenza». Documentazioni integrate con
osservazioni e nuove cognizioni desunte dal
rapporto diretto con i luoghi e le cose oggetto della
trattazione.
Ma nella seconda metà del Seicento, e
soprattutto agli albori del Settecento, l’Europa,
pregna di spiriti illuministici, ricca di stimoli
culturali e talora di influenze massoniche, “scopre”
la Sicilia, come se un sortilegio si fosse finalmente
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spezzato, favorendo l’avvio ad un momento
predestinato dedicato alla “bella avventura”.
Giungono nella nostra isola gruppi di
giovani blasonati (non a caso quella stagione
venne detta del Grand Tour ) per i quali la nostra
terra era entrata a far parte dei loro codici
formativi. Dotti venuti ad indagare sui fenomeni
della natura e soprattutto dell’Etna; antiquari
allettati dai ruderi delle antiche civiltà e dallo
charme dei luoghi visitati; artisti infervorati dal
desiderio di concretizzare i dati teorici acquisiti
nelle accademie cimentandosi nella rappresentazione di scorci e di vibranti vedute che sfiorano
le più alte vette dell’estetica figurativa. Non
mancarono i viaggiatori che connotarono
l’impresa di implicazioni spirituali e persino
esistenziali, portatori di un ideale immaginativo
imbevuto di classiche reminescenze, predisposto
alle sensazioni forti provenienti dalla visione di
un mondo arcadico, ellenico, esotico e selvaggio,
incorrotto e mitico, splendido e solare. Costoro
ritornavano nei rispettivi paesi di provenienza
con un carnet colmo di esperienze, di ricordi,
ma soprattutto di informazioni.
Parecchi furono i personaggi eminenti che
hanno fornito un contributo alla divulgazione
della Sicilia nel Settecento; fra essi va ascritta la
conterranea figura catanese di Ignazio Paternò
Castello, principe di Biscari, autorevole referente
dei viaggiatori che varcavano lo stretto. L’illustre
patrizio aveva stilato un compendio dato alle
stampe nel 1781 dal titolo Viaggio per tutte le
antichità della Sicilia, nato per accompagnare il
visitatore alla scoperta della nostra isola in un
percorso “per mano” con l’esigenza di offrire,
al contempo, un testo attendibile, depurato dalle
innumerevoli imprecisioni riscontrate negli
scritti di autori passati e contemporanei. Più
contenuti furono gli entusiasmi e le emozioni
tra i visitatori giunti in Sicilia nella seconda metà
dell’Ottocento, alla fin de siècle, e nei decenni
successivi. L’isola non offriva più quel paesaggio
idilliaco e disincantato poiché era cambiata la
realtà politica del paese (una delle cause
principali). Rimasero però immutate le modalità
di approdo. Era prassi venire via mare, a bordo
di un postale, salpando da Napoli, per evitare il
lungo e faticoso attraversamento delle Calabrie. Le
imbarcazioni portavano nomi evocativi quali il
«Marco Polo», storico postale che percorreva la rotta
Napoli-Palermo, o «L’Elettrico», il naviglio più
rapido della flotta Florio-Rubattino. Gli inglesi
ricorrevano spesso a uno steamer con partenza da
Genova alla volta di Palermo. Altre imbarcazioni
spesso utilizzate erano la speronara (vi ricorse
Alexandre Dumas traendo lo spunto per le sue
Impressions De Voyage) o il ferry–boat con partenza
dal capoluogo vesuviano. Per circumnavigare l’isola
ci si imbarcava nei vaporetti lungo la tratta
marittima Messina-Palermo-Trapani, anche questi
dai nomi epici: «Archimede», «Cariddi», «Solunto»,
«Mongibello» etc.
Questo breve excursus introduttivo non
coglie del tutto le motivazioni del viaggio e le
sue modalità. Giunto a Palermo o a Messina, il
viaggiatore intraprendeva il tour dell’isola in lettiga
o a dorso di mulo per mancanza di strade. La sola
carrozzabile era la Palermo-Catania; buona tratta
era la litoranea da Messina ad Acireale, ma a sud
di Catania, l’intervallo fino a Siracusa era
interdetto alle diligenze e persino alle lettighe
potendo percorrersi soltanto a dorso di mulo. La
situazione muterà radicalmente nei primi anni del
Novecento, allorché si farà ricorso con maggiore
frequenza alla vettura ed al sidecar.
Per i pernottamenti, il viaggiatore doveva
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Frontespizio de
L’esploratore ,
giornale in cui
apparve
L’Osservatorio
Etneo di Federico
De Roberto.
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Copertina del
giornale inglese
The illustrated
London News del
1879 – collezione
Riccobono.
accontentarsi di malandate locande, il più delle
volte sudice e prive di arredi, ad eccezione di
Palermo, Catania (noti agli stranieri gli alberghi
Hotel du Globe e Hotel de L’Elèphant), e Siracusa
e non per tutti gli ostelli. Le deficienze della
ricettività, accentuate dalla carenza di comforts,
venivano egregiamente assolte dai conventi degli
ordini religiosi francescani e cappuccini. Meno
spesso dai gesuiti.
A Nicolosi era nota la sede monastica
dell’ordine benedettino di S. Nicolò La Rena il
“Vecchio” (per distinguerlo dalla monumentale
residenza catanese di S. Nicolò La Rena) come
luogo di ricovero per pellegrini e viaggiatori
desiderosi di avventurarsi nella perigliosa ascesa
al cratere. Colà trovarono generosa accoglienza
ospiti illustri: il poeta e critico inglese Samuel
Taylor Coleridge; il pittore paesaggista e incisore
francese J. Houel; il biologo e naturalista
emiliano, sacerdote L. Spallanzani; il viaggiatore
inglese T. Watkins (che definì la sede monastica
lussuosa ); il prelato tedesco massone Friedrich
Munter; lo storico e scrittore scozzese massone
William Agnew Paton; il romanziere e
drammaturgo francese Alexandre Dumas; il
reverendo inglese George Bridges (il quale nella
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primavera del 1846 ottenne il permesso dal «mio
amico, l’abate benedettino del convento di Catania»
a usare il piccolo convento di S. Nicolò sopra
Nicolosi come base per le sue operazioni
fotografiche); il re d’Italia e principe di Piemonte
Umberto di Savoia che, all’alba del 2 luglio 1862,
compì l’ascensione al vulcano insieme ai fratelli
Amedeo Duca d’Aosta e Oddone duca di Monferrato.
Gli itinerari erano standardizzati, con qualche
variante. Solitamente da Palermo si andava a ovest
per Castellammare fino a Segesta (primo contatto
con il mondo classico), quindi si raggiungeva
Trapani, per salire a monte San Giuliano (l’odierna
Erice), e costa costa si perveniva a Castelvetrano,
obbligata tappa di transito per Selinunte. Da qui
si proseguiva per Sciacca ed Agrigento
inoltrandosi alla volta di Caltanissetta. Dopo tale
centro le alternative erano due: Piazza Armerina,
Caltagirone, Lentini, Siracusa, da cui si risaliva
alla volta di Catania oppure il percorso per
Castrogiovanni (Enna), da dove, attraverso
Leonforte, il viaggiatore raggiungeva Catania,
importante centro turistico assieme all’Etna.
L’ascensione del vulcano si compiva con muli e
guida, via Nicolosi, attraverso zone boscose e
terreni di lava e di cenere, per concludersi alla
Casa degli Inglesi.
I passaggi salienti appena delineati (data la
vastità dell’argomento) servono a focalizzare meglio
il significato dei resoconti di viaggio, soprattutto
dei viaggiatori meno noti ed il contesto storico temporale e sociologico nel quale vengono descritti.
Ne vengono fuori particolari insoliti di cui vogliamo
offrire un quadro sulla principale meta che
accomuna gli stranieri: l’ascensione al cratere.
L’Etna è stata vissuta dai viaggiatori come una
sfida alle forze della natura, come affermazione della
volontà dell’uomo sugli ostacoli e sulle avversità
dell’esistenza, spesso nutrita da sentimenti di
timore e di forte coinvolgimento emotivo. Uno
dei motivi della presenza di uno specifico target
di viaggiatori (scienziati, naturalisti, geologi etc.)
rimane legato al desiderio di effettuare ricerche
scientifiche e di comprendere i fenomeni
vulcanici. Basti ricordare la scalata al vulcano
del predicatore domenicano di Sciacca Tommaso
Fazello, avvenuta nel 1541, e descritta nel De
Rebus Siculis, definita da lui stesso “un’impresa
audace e temeraria” mirata alla comprensione
dei fenomeni vulcanici. E prima di lui il veneto
Pietro Bembo, venuto in Sicilia per apprendere
il greco alla scuola messinese del Lascaris, salito
sul vulcano senza giungere alla sommità, il quale
ha fornito una descrizione alquanto vivace e
colorita della sua avventura in un dialogo, il De
Aetna, pubblicato nel 1496. Dopo la fase
cinquecentesca, caratterizzata dall’esplorazione
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Smith W. E.,
Travellig in Sicily,
Londra 1824.
Acquatinta
raffigurante in
primo piano la
tipica lettiga
sostenuta da due
muli.
e dallo studio dell’Etna, i secoli successivi sono
contraddistinti da un coinvolgente studio
finalizzato alla conoscenza dei fenomeni eruttivi
(da ricondursi alla colata lavica che lambì Catania
nel 1669). A tal proposito è opportuno citare la
Historia et meteorologia incendii Aetnaei anni
1669 del matematico Giovanni Alfonso Borrelli,
prestigioso esponente della scuola galileana, e
successivamente, l’intensa attività svolta dal
canonico della Collegiata di Catania Giuseppe
Recupero, il quale da curioso ricercatore di
antiquaria veste i panni dello studioso di
vulcanologia pubblicando un notevole lavoro,
apparso postumo nel 1815, dal titolo Storia
naturale e generale dell’Etna.
Il Recupero è stato un punto di riferimento
per i numerosi viaggiatori di passaggio da Catania
(tappa intermedia prima di giungere a Nicolosi per
compiere l’ascensione al vulcano), fornendo loro
preziosi informazioni sulla genesi dell’Etna e sul
modo migliore per accostarsi ad essa. È il caso
dello scienziato Brydone il quale ebbe dal
canonico l’indicazione di assumere come guida
un abitante di Nicolosi, un tale Biagio Motta,
soprannominato da Jean Houel Le Ciclope, che
conosceva meglio di ogni altro la montagna.
Gli anni ottanta del Settecento sono
caratterizzati dalla presenza di numerosi viaggiatori
attirati dalla Sicilia per motivi di svago o di studio
e indiscutibilmente dalla misteriosa bellezza del
vulcano. Il lustro vede emergere la figura del
cattedratico di Storia naturale Lazzaro Spallanzani
giunto il 3 settembre del 1788 al villaggio di
Nicolosi. Dopo una breve esplorazione del Monte
Rosso, con l’intento di compiere studi sul
magnetismo delle scorie vulcaniche, non mancò
di essere ospitato al cenobio benedettino: «….. S.
Niccolò dell’Arena, gradito Ospizio pè forestieri
che viaggiano all’Etna… Questa antichissima
fabbrica, che ha le fondamenta sulle lave, dava una
volta ricovero a buon numero di Religiosi
Benedettini; e sono ormai dugento anni che per le
molte e gravi calamità dall’Etna sofferte, furono
stretti di abbandonarla e rifugiarsi a Catania ...».
Sia lo Spallanzani che l’astronomo molisano
Leopoldo Del Re furono riconoscenti, per le
delucidazioni ricevute, al cavaliere Giuseppe
Gioeni Burgio, professore di Storia naturale
all’Università di Catania, autore, fra l’altro, di
uno studio pubblicato nel 1790, Litologia
vesuviana. Gioeni era titolare di una cospicua
raccolta di reperti lavici, ammirati da Goethe nella
sua visita a Catania prima del fallito tentativo di
ascensione del vulcano, dovuto alle avverse
condizioni metereologiche. Era il 3 maggio del
1787. A tal proposito merita di essere riferita una
locuzione verbale che il saggio cavaliere rivolse
all’illustre poeta: «... i forestieri in generale
prendono la cosa (l’ascensione) troppo alla leggera;
quanto a noi nati al piede della montagna, ne
abbiamo abbastanza se riusciamo a toccare la cima
due o tre volte in tutta la vita».
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Allis – Dambrum
(Saint – Non) –
Vue de la sommitè
de l’Etna, appelèe
regione scoperta,
Parigi 1781-86.
Acquaforte
raffigurante il
particolare della
tipica lettiga
trainata da muli.
Tra i viaggiatori che scelsero Nicolosi tra le
mete delle loro passeggiate, meritano di essere citati
il commediografo francese Joseph Louis Augè; il
teologo tedesco Johann Heinrich Bartels; il
professore di storia naturale lo svizzero Johannes
Baumann; lo scrittore francese Renè Bazin; lo
scrittore italiano Riccardo Baccelli; l’imperatrice
Eugenia Maria Ignazia de Guzman de Montijo
Bonaparte. Un discorso a sé merita l’architetto e
pittore francese Jean Houel il quale esaltò il lato
estetico del nostro versante (numerose e raffinate
le vedute dell’Etna e del paesaggio circostante), e
più in generale dell’isola. Citiamo alcuni brani del
dettagliato resoconto relativo alla sua prolungata
presenza in Sicilia: «Dopo aver a lungo osservato
Monte Rosso ci recammo a San Nicola Vecchio.
Attualmente questo palazzo, che appartiene ai
Benedettini del convento di Catania, è usato solo
come ospizio: essi ci vengono per rimettersi in salute
dopo qualche malattia. ...Bisogna essere
caldamente raccomandati dai Benedettini di Catania
per essere ricevuti in questa casa, e vi si può
usufruire del solo coperto. Una volta non vigeva
questa austerità, ma gli abusi commessi da
viaggiatori troppo invadenti hanno reso i monaci
diffidenti verso i loro ospiti». E ancora, riferendosi
all’escursione al cratere centrale: «Avevo fatto
portare dal mio domestico una scatola di colori e
una tavolozza preparata per l’uso. Avevo due tele
sistemate insieme su un telaio a doppia scalanatura
per impedire che si toccassero…».
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Non meno importante la presenza a Nicolosi
del dignitario ecclesiastico tedesco Friedrich
Munter, giunto a Catania il 23 dicembre 1786,
anche lui impedito dal compiere l’ascensione, a
causa delle temperature rigide e delle giornate poco
favorevoli. Il 28 dicembre 1785 egli annotava:
«…l’ultimo casale, che io passai, fu Nicolosi, ch’è il
più alto sopra la montagna; qui le umane abitazioni
han fine … Arrivai finalmente nell’antico Convento
dè Benedettini S. Nicolò dell’Arena piccolo, ed
oscuro edifizio lontano da Catania 12 miglia
italiane. Secondo l’opinione dè più dotti Antiquari
il detto Convento è costruito, ove un tempo era
situata l’antica Città d’Inessa, della quale alcune
colonie di Campani s’impadronirono discacciati
poscia dai Catanesi, i quali il nome di Etna le
diedero… Io giunsi in quel Chiostro verso
mezzogiorno; e poiché possibile non era di
andare più avanti senza compromettere la salute,
ove fossi stato costretto di passare a cielo scoperto
una notte nella grotta delle Capre, così fu da noi
risoluto di restare in quel sagro luogo, e di
esaminare da lì ciò, che di osservabile avesse
offerto l’adjacente montuosa campagna».
La figura di spicco che ha maggiormente
contribuito agli interscambi culturali e scientifici
con i viaggiatori del tempo, garante dell’eredità
scientifica lasciata dal Gioeni, è stata quella di
Mario Gemmellaro. Egli non mancò di
approfondire talune tematiche legate all’attività
del vulcano, lavoro facilitato dal contatto costante
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con la montagna che incombeva massiccia sulla
casa paterna di Nicolosi. Ad egli si deve la
costruzione della «Gratissima», piccola casa edificata
in prossimità della base del cratere centrale allo
scopo di consentire l’attività di studio e di ricerca,
offrendo al contempo un sicuro rifugio, in
alternativa alla “Grotta delle Capre”, l’ampio
antro utilizzato e rappresentato da Jean Houel.
Al lavoro condotto da Mario Gemmellaro si
affianca quello del fratello Carlo, personalità
carismatica e di forte spessore culturale. A lui
ricorsero geologi, naturalisti, scienziati, politici
e storici, come il toscano Gino Capponi che
riuscì a raggiungere la cima del vulcano il 23
aprile del 1817 in compagnia del vulcanologo.
Tra i viaggiatori stranieri dell’Ottocento
occorre segnalare la presenza di Alexandre Dumas
(padre), giunto a Catania il 4 settembre del 1806.
Il mattino seguente lo ritroviamo a Nicolosi, di cui
ci ha lasciato un resoconto dal tono sarcastico:
«Noi arrivammo a Nicolosi, una specie di piccolo
borgo costruito sul confine del mondo abitabile.
… Scendemmo in una di quelle bettole che solo
la Sicilia ha l’audacia di battezzare con il nome
di albergo, e siccome era ancora presto, noi (non
compie il viaggio da solo) mandammo, mentre
veniva preparato il pasto, le nostre carte al sig.
Gemmellaro (Carlo), domandandogli il permesso
di fagli visita». Non mancò di compiere una visita
al convento benedettino, del quale fornisce un
accuratissimo quadro: «…appena scesi dai monti
Rossi, ci incaminammo verso il convento. È una
costruzione innalzata, secondo Fazello, dal Conte
Simone, nipote di Ruggero il Normanno, il
conquistatore più famoso di tutta la Sicilia, è
conosciuto ancora da gli abitanti con il nome di
conte Ruggieri. Qualche sapiente pensa questo
monastero sia situato sul posto dell’antica città
di Inesse; è vero che altri sapienti pretendono
che l’antica città di Inesse si elevi sul lato opposto
dell’Etna; su questo argomento sono stati scritti
molti libri dagli eruditi di Catania, Taormina e
Messina, e il fatto è rimasto più oscuro che prima…».
Altrettanto ricco di spunti risulta essere il
“quaderno di viaggio” compilato nel 1865 dal
geografo francese Elysée [Jean-Jacques] Reclus.
Egli descrive così il villaggio di Nicolosi: «Al
cospetto di queste capanne nerastre, cinte da massi
di pietra, ognuno penserebbe di trovarsi in uno
squallido paesello e non in un grande villaggio
di tre mila abitanti, onorato dal fisco di una
cintura doganale. Nicolosi novera mezza dozzina
di chiese, senza contare diversi oratorii e il vasto
convento di San Nicolò di Rena, divenuto
villeggiatura dei Benedettini di Catania. Durante
l’ultimo mezzo secolo, corse voce che una mano
di briganti si fosse annidata nelle sale di quel
monastero; in quel tempo i pochi esploratori
dell’Etna non potevano scendere salvi dalla
montagna senza venire a patti coi masnadieri… Il
villaggio può vantarsi di due alberghi che
digradano ogni altro di Sicilia per una relativa
nettezza e per le comodità che vi si trovano. Una
di queste locande possiede perfino una carta delle
eruzioni dell’Etna disegnata da Gemmellaro, e
qualche ottimo trattato di vulcanologia e di
topografia locale, liberamente posto a disposizione
dei viaggiatori. Quanto poi al registro ove stanno
alla rinfusa notati i nomi di celeberrimi scienziati
e di ignoti e oscuri toristi, è bello vedere la
premura dell’oste nel presentarvelo… L’esame di
questo elenco considerato sotto l’aspetto statistico
dimostra che più della metà dei visitatori di
Nicolosi sono Inglesi; in numero quasi eguale vi
conto viaggiatori Tedeschi e Francesi, seguono
poi i Russi e Olandesi; pochissimi gli Italiani
continentali; in quanto ai Siciliani, appena un
paio l’anno cede all’amore della scienza e delle
avventure per esporsi al disagio di scalare le
inferiori pendici del vulcano».
Atto documentale alquanto veritiero, con
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AGORÀ n. 23-24/2005
Houel J. – Portrait
de Blaise Motta
surnommè le
Ciclope habitant
de Nicolosi, Paris
1782.
Acquatinta che
ritrae la più
famosa guida di
quei tempi che per
la conoscenza del
vulcano era
soprannominato il
“Ciclope“.
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Ittar S. –
Raffinata
vedutina della
zona di Nicolosi
con in primo piano
i Monti Rossi
formati
dall’eruzione del
1669 – Catania
1810 ca.
pagine talvolta inaspettate, tracciate con estrema
semplicità e vividezza di dettagli, risulta quello del
francese Renè Bazin. Dopo aver visitato Acireale,
il 12 settembre 1891 arriva a Nicolosi: «...grossa
borgata di tremilatrecento abitanti, situata a
settecento metri di altitudine. Non è costruita
peggio di un’altra. Ma la lava con cui sono
edificate le case le dà un’aria smorta… Muri e
facciate che dovrebbero essere abbagliati di luce
e che restano spenti, frontoni di porte le cui
sculture grossolane non sono mai state giovani e
che invecchiando, non sono mai state fiorite da
erbe selvatiche, tutto questo produce l’effetto di
quei poveri che non sanno sorridere…», e ancora:
«Occorre sapere che Nicolosi è la tappa obbligata
di quasi tutti quelli che salgono all’Etna. Il Club
Alpino vi ha stabilito una squadra di nove guide.
Ma molti viaggiatori si accontentano di una
passeggiata nelle vicinanze di Nicolosi, di una visita
ai monti Rossi o ai campi di lava del 1886. Quelli
che effettuano la grande ascensione non sono molto
numerosi. Leggo i certificati rilasciati al vecchio
Etna sui registri della locanda: sono mediocri.
Leggo questo pensiero di un procuratore legale
della Senna: “I vulcani hanno pudori da fanciulle;
vedendoci arrivare, l’Etna si ammanta di nuvole”
... I Tedeschi dominano sui quaderni del bravo
Mazzaglia (Giuseppe, l’albergatore organizzatore
di tutte le carovane), come sulle liste di stranieri
dei grandi alberghi di Milano».
Non meno importante annoverare due
viaggiatori al femminile: la prima Jeannette Power,
studiosa francese di scienze naturali, la quale girò
l’isola in lungo e largo e prese a Messina anche
marito, il commerciante inglese James Power.
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AGORÀ n. 23-24/2005
Nella sua Guida per la Sicilia relativamente alla
località di Nicolosi e dintorni fornisce dettagliate
descrizioni sul Monastero De’ Benedettini: «…
detto di S. Nicola dell’Arena, eretto nel 1156 da
Simone Conte di Policastro, nipote del Conte
Ruggieri. Di costa eravi un di una piccola città
per nome GUARDIA, dove abitò per lungo tempo,
forse per delizia Eleonora moglie al Re Federigo
II. Essa città distrutta da una eruzione dell’Etna ,
non rimanendone oggi che pochissime reliquie,
fra le quali una cisterna detta della Regina… a tre
miglia circa si sale alla Grotta delle Capre...». Un
cenno particolare merita la straordinaria e
meticolosa descrizione sulle modalità organizzative
per ammirare la levata del sole dall’apice del
vulcano: «Volendo vedere alzare il sole dalla
sommità del Monte Etna, e se la notte sarà
rischiarata dalla luna, si deve partire da Catania
alle quattro dopo mezzodì, in due ore dopo 10
miglia, si giunge a Nicolosi, e dopo 18 miglia,
verso mezzanotte alla casa degl’Inglesi; a due ore
dopo la mezzanotte, si continuerà il cammino a
cavallo per circa un 1/3 di miglio sino alla base
del cratere, poscia si cammina 800 passi a piedi
sino al detto cratere, su scorie e arena
sdrucciolevoli. Alla locanda a Nicolosi, conviene
munirsi della chiave e di un materasso per riposa
nella casa degl’Inglesi, perché è sprovvista di tutto.
… Ed ecco il punto più interessante delle regioni
etnee, ecco il luogo più ricco di vaghezze e
d’innocenti piaceri. Qui tutto ride allo sguardo, che
spingendosi a destra ed a sinistra, dall’alto al basso,
ed all’animata natura d’intorno, ha di che nutrire
l’animo dello spettatore».
Altrettanto intraprendente dimostrò di essere
l’italianista francese Hèlène Tuzet, docente di
letteratura italiana nell’Università di Poitiers la
quale compì la sua prima esplorazione in Sicilia
negli anni ’30 (all’età di appena 26 anni). Rilevanti
i suoi resoconti di viaggio, in particolare laddove
riporta il commento di Roland che così ritrae uno
dei “Ciclopi” (così furono intesi per diverse
generazioni le guide specializzate dell’Etna
reperibili a Nicolosi), immortalato da Houel in una
stampa: «Un uomo alto, di circa 50 anni,
un’impronta umana nella fisionomia, un’aria severa
con un che di venerabile; cammina davanti a grandi
passi, senza proferir parola, rispondendo
brevemente e precisamente ad ogni domanda;
andava, veniva, si fermava dove era richiesto; di
buon appetito non domandava niente e si adattava
a tutto; riceveva di buona grazia un’onza e vi lasciava
con la dignità con cui vi aveva preso in consegna».
I lustri successivi conobbero altre importanti guide
come i Mazzara e i Carbonaro.
L’Etna è meta anche di flussi locali, soprattutto
famiglie blasonate che cominciano a prediligere
Eugenio Mazzaglia
Mazzaglia,, Ritratto di un villaggio e di un vulcano
vulcano,,
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VIAGGIA
TORI
AT
per le loro escursioni la loro stessa terra,
organizzando gite nei vicini castagneti, alla ricerca
di una dimensione improntata al rilassamento ed
al riposo, quasi sempre alla larga dal cratere
centrale, ricorrendo alla vettura (sono gli
avanguardisti dei ruggenti anni venti del XX secolo)
che soppianta quasi del tutto la lettiga sorretta da
muli. Questa nuova realtà traspare dalle pagine di
Federico De Roberto in uno dei suoi scritti sull’Etna
nel quale non manca di descrivere il complesso
monastico: «San Leo, dove l’impeto della corrente
ha prodotto maggiori danni, e Nicolosi, che vede
rosseggiare la lava a cinque chilometri dalle sue
case, ha una storia di guai. Alla radice del monticello
che porta il nome del vescovo ravennate si
raccolsero nell’età di mezzo i primi frati,
obbedienti alla severissima regola benedettina…
Ma a poco a poco, crescendo il patrimonio del
convento, grazie alle donazioni del re, della
regina, dei principi e delle principesse
normanne, sveve e aragonesi, i monaci, postisi
sotto la protezione di San Nicola, giudicarono
che il loro celeste patrono avesse troppo da fare
per garantirli contro tanti pericoli, e pensarono
di rendergli più agevole il compito lasciando
quelle inospitali altezze e stabilendosi in un luogo
meno freddo e sopra un suolo meno infido: così
fondarono più al basso Nicolosi, che prese
appunto il nome di S. Nicola…». Eccede nel
descrivere la scrittrice francese Aurora Dupin, poi
Dudevant, conosciuta con lo pseudonimo maschile
di George Sand. Autrice del Piccinino, nel quale
descrive, in chiave romantica, una Sicilia mai
visitata, affidando ad un folletto di nome Ticket la
narrazione della straordinaria ascensione di un
viaggiatore sulla cima del vulcano.
Oggi sono cambiate le motivazioni del viaggio
e le modalità di approccio, ormai lontane dalle
connotazioni scientifiche, culturali o sentimentali
che caratterizzarono i viaggiatori settecenteschi e
i loro precursori. Ricche di sfumature appaiono le
suggestive descrizioni degli scenari paesaggistici
colti dallo scrittore francese Jules Verne durante
l’ascensione. Nei suoi numerosi romanzi di
avventura, egli descrive la cima del cratere, alla
ricerca dell’energia cosmica ed ancestrale,
compiendo un volo Icarico nella profondità delle
viscere del condotto vulcanico, baratro nel quale
ogni essere umano cela le proprie paure. Quei
momenti onirici e contemplativi rappresentano per
lo scrittore la fonte che si materializza nel
conosciuto Le tour du monde en quatre-vingts jours
ma soprattutto nel romanzo Mattia Sandorf, a noi
più affine in quanto ambientato nel versante
orientale della nostra isola della quale l’illustre
personaggio scriverà in modo sintetico: «La Sicilia
è, in piccolo, il riepilogo del globo terrestre, e vi
troviamo di tutto: monti, vulcani, valli, praterie,
fiumi, laghi, torrenti, città, villaggi, casali, porti,
seni, promontori, capi, scogli…».
I tempi, i luoghi e le persone, sono mutati,
ma uguale e immutabile rimane, in ciascuno di
noi, la percezione trasmessa dalla lettura di talune
narrazioni intrise di una emozione autentica e
profonda, come quella vissuta dall’imperatore
Adriano che, di ritorno dalla Grecia, deviò la nave
verso Catania per assistere allo spettacolo di un’alba
sull’Etna. Ma questa … è certamente una storia
lontana dal modo di organizzare i viaggi nella
nostra epoca.
I blasonati viaggiatori dei tempi passati
compivano il viaggio con dispendio di tempo e di
energia a causa della carenza di mezzi di trasporto
e di comode strade di comunicazione.
Nel tempo vi sono stati pure radicali
cambiamenti inerenti la sfera motivazionale di
ordine soggettivo.
Mentre nel Settecento, ad esempio, ci si
spostava per motivi di studio, più semplicemente
per svago, oggi si è alla ricerca di nuovi stimoli
come quello di ricalcare le orme dei grandi
scrittori, dei poeti o degli artisti che hanno lasciato
un ricordo in una determinata località. Quasi a
voler ricreare un substrato emozionale attraverso
un collegamento mentale spazio – temporale.
Con una avvertenza. Si diffidi di coloro che
hanno lasciato pagine immortali su luoghi mai
visitati. La casistica è lunga: dai grandi forestieri
del passato che citano nei loro resoconti
esperienze altrui, al limite tra la realtà e
l’immaginazione; ad esempio Emilio Salgari, che
non è mai stato in Malesia, o ad Edgar Allan Poe
che non conosceva la Parigi in cui ambientò le
avventure del detective Dupin; e ancora a William
Shakespeare il quale la Verona o la Venezia del
mercante le aveva lette e mai viste!
Eugenio Mazzaglia
Mazzaglia,, Ritratto di un villaggio e di un vulcano
vulcano,,
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AGORÀ n. 23-24/2005
«Senza la
Sicilia non ci
si può
formare
nessuna idea
dell’italia. È
qui che si
trova la
chiave di
tutto. … La
Sicilia
m’indica e mi
fa intendere
l’
Asia e
l’Asia
l’
Afr
ica, e non
l’Afr
Africa,
è poca cosa
trovarsi nel
centro
meraviglioso
dove son
diretti tanti
raggi della
Storia
Universale»
Johann
Wolfg
ang
olfgang
Von Goe
Goett he
Rara cartolina dei
primi anni del ‘900
che immortala una
delle numerose
escursioni di
studiosi e
viaggiatori in
prossimità del
Cratere Centrale
dell’Etna.
- 43 -
VIAGGIA
TORI
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Bibliografia Essenziale
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Arabi alla seconda metà del XX secolo, Istituto Siciliano di
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a.r.l. – Palermo 2000 Tomi I – II – III ( pag. 9 e segg. )
F. A. Maja – Isola di Sicilia Passeggiata, ( a cura di
Salvo Di Matteo ), Edizioni Giada – Palermo 1985 ( pag.
105 e segg. ).
F. Riccobono – Etna la montagna nel cielo
(Fondazione culturale “ S. Sciascia “), Arti Grafiche Siciliane
- Palermo maggio 1994 (pag. 37 e segg.).
Provincia Regionale – Etna mito d’Europa, Giuseppe
Maimone Editore - Catania, di Catania
Aprile
1997 (pag. 124 e segg. ).
E. Giliberti – Viaggiatori in Sicilia nell’Età Moderna
– Ediprint, Caltanissetta, Novembre 1991 ( pag. 7 e segg. ).
L. Spallanzani – D. Caracciolo – D. Sestini – G.
Formenti – I. Paternò Castello L’immagine della Sicilia
nell’Italia del Settecento – ( introduzione e note di Carlo
Ruta ) - Edi. Bi.si. – Palermo 2001 – 2° Edizione ( pagg.10,
11, 79 ).
W. A. Paton – Sicilia Pittoresca, ( prima traduzione
italiana di Ettore Sanfelice ) – Remo Sandron Editore –
Milano – Palermo – Napoli, 1902 ( pag. 341 e segg.).
J. W. Goethe – Viaggio in Sicilia – Edi. Bi.si. – Palermo
1997 ( pag. 90 e segg.).
R. E Lassam – M. Gray – The Romantic Era, La
calcotipia in Italia 1845-1860- Fratelli Alinari – Firenze,
Midway Press Bath England 1988 (pagg. 18,19,20,21).
A. Dumas – Impressions De Voyage – Le Speronare –
Calmann Lèvy, Editeur, Paris 1888 (pagg. 181 e segg.).
L. Spallanzani – Viaggio All’Etna – CUEN srl, - La
Buona Stampa, Ercolano – Napoli - settembre 1994 (
pagg.18,19).
R. Lambelin – La Sicilia 1894 – Ediprint – Siracusa
1990 (pag. 139 e segg.).
G. de Maupassant – La Sicilia - Sellerio editore Palermo
1992 – 2° edizione ( pag. 52 e segg.).
R. Bazin – Viaggio in Sicilia – Edizioni Ristampe
Siciliane – Palermo febbraio 1979 ( pag. 149 e segg.).
E. Reclus – La Sicilia e l’eruzione dell’Etna nel 1865
– B & B, S. G. La Punta 1999 ( pag. 91 e segg.).
J. Houel – Viaggio a Catania - Edi.bi.si. – Avola marzo
1998 (pagg. 21,22,36).
H. Tuzet – Viaggiatori stranieri in Sicilia nel XVIII
secolo - Sellerio editore Palermo 1988 – (pag. 203 e segg.).
J. Power – Guida per La Sicilia , ( ristampa anastatica
a cura di Michela D’angelo ) - Perna edizioni – Messina
1995 ( pag. 74 e segg.).
F. Munter – Viaggio in Sicilia - Accademia Nazionale
di Scienze Lettere e Arti, Palermo – Ristampa Anastatica
dell’ Edizione 1995 – ( pag. 38 e segg.).
F. De Roberto – Scritti sull’Etna, ( a cura di Giovanni
Finocchiaro Chimirri ) - Edizioni greco – Catania, S. A. Li
Battiati 1983 ( pagg.68, 82,83).
M. Cicala – Riusciranno i nostri eroi a incontrare i
loro? - tratto da Il Venerdi n° 905 – 22 luglio 2005,
supplemento al quotidiano “ La Repubblica “ , Anno 30
numero 172 – Roma ( pag. 24 e segg.).
Houel J. – “ Grotte des chèvres situèe dans la 2.e region applèe Silvosa, au midi de l’ Etna “ Paris 1782 - Acquatinta che individua
la grotta detta “ delle Capre “ che serviva da riparo ai Viaggiatori.
-I-
AGORÀ n. 23-24/2005
Eugenio Mazzaglia
Mazzaglia,, Ritratto di un villaggio e di un vulcano
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