Isabella Friso Occhio ibridato, dalla ragione emendato
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Isabella Friso Occhio ibridato, dalla ragione emendato
ATTI_IBRIDAZIONI_par2.1 30-10-2009 Isabella Friso Occhio ibridato, dalla ragione 11:26 Pagina 24 «Non ho mai provato il desiderio di eludere la realtà; attraverso la pittura mi interessa, al contrario, appropriarmi della realtà»1. emendato: lo spazio Con queste parole si esprime Felice Varini2, artista di Felice Varini zione e inganno visivo, basa la sua attività creativa, in bilico tra architettura, urbanistica e public art. La carriera artistica di Varini, in continua ascesa e destinata ad un successo senza precedenti, ha inizio tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80 dello scorso secolo, e vanta ormai innumerevoli e importanti installazioni site specific, esposizioni che entrano a far parte del palinsesto di alcuni tra i più noti e ambiti musei d’arte contemporanea del mondo. Ma Varini non si limita a concepire opere d’arte solo in queste particolari occasioni, anzi la sua produzione artistica è ricca di esercizi prospettici pensati proprio per essere inglobati in determinati edifici architettonici, la cui funzione oscilla, in maniera indistinta, tra il pubblico e il privato, integrandosi, senza difficoltà, con monumenti storici piuttosto che con elementi costruiti in anni più recenti. Al contrario di quanto accade nei teatri veri e propri, anamorfico 1 F. Varini, Entretien avec Zia Mirabdolbaghi, in Felice Varini, Château de Villeneuve, Fondation Émile Hugues, Vence 1995. 2 Felice Varini, artista nato a Locarno (Svizzera) nel 1952; conosciuto per le sue opere realizzate in prospettiva, nell'anno 2001/2002 è stato nominato per il premio Marcel Duchamp attualmente risiede a Parigi. 3 Cfr. J. Meinhardt, La realtà dell'illusione estetica. Le 'trappole visive' di Felice Varini, Edizioni Studio Dabbene, Lugano 1999, p. 69. elvetico contemporaneo, nel sintetizzare parte del proprio pensiero che sul labile confine tra arte, perce- dove l’involucro edilizio si trasforma, attraverso ulteriori elementi scenici, lo spazio in cui insistono gli interventi ideati dall’artista svizzero agisce trasformandosi nel palcoscenico di una messinscena teatrale in cui il luogo deputato all’illusione acquista una connotazione ambigua in quanto, non subendo alterazioni di alcun tipo, diventa scena assoluta, vera rappresentazione teatrale che esiste solo grazie in virtù dello sguardo di un fruitore immobile che ruota di 360° intorno al proprio corpo, assunto come asse di rotazione3. Trattasi di veri e propri artifici illusori, che dimostrano, 208 ATTI_IBRIDAZIONI_par2.1 30-10-2009 11:26 Pagina 25 ISABELLA FRISO 4 Con il termine “anamorfosi” (dal greco ana – all’indietro, ritorno verso – e morphe – forma) sono indicati gli affreschi o i dipinti nelle cui tele presenziano vere e proprie figure apparentemente illeggibili che se osservate scostandosi lateralmente dal punto di vista vantaggio (anamorfosi piana o diretta) o per mezzo di una riflessione attraverso la superficie convessa di uno specchio – anamorfoscopio – (anamorfosi catottrica) riacquistano le proprie configurazioni offrendosi, al pubblico fruitore, nella tipica prospettiva naturale. 5 Per saperne di più cfr. M. Kemp, La scienza dell'arte. Prospettiva e percezione visiva da Brunelleschi a Seurat, e A. De Rosa, G. D’Acunto, La Vertigine dello Sguardo. Tre saggi sulla Rappresentazione Anamorfica, Cafoscarina, Venezia 2002. 6 Per un maggiore approfondimento si veda Nel segno dell'Ekphrasis in A. De Rosa, G. D’Acunto, La Vertigine dello Sguardo, cit. per lo più, una totale conoscenza, da parte dell’autore, dei princìpi proiettivi su cui si fonda la prospettiva lineare; ma in esse sono riscontrabili soprattutto alcune analogie con quella forma di rappresentazione, definita da Baltrusaitis “ambigua” e “curiosa” e nota universalmente come anamorfosi4. Virtuosismo prospettico che nasce e si sviluppa, a partire dalla prima metà del Cinquecento, nei paesi del nord Europa, l’anamorfosi si fonda sulle rigorose regole della prospettiva lineare, per poi ripudiarle drammaticamente: come la prima, essa presuppone un punto di vista “privilegiato”, il cui ruolo è quello di attribuire un legittimo – sia pur remoto e bizzarro – significato escatologico ad un’immagine che, di primo acchito appare agli occhi del fruitore distorta e del tutto illeggibile5. Le documentazioni più antiche, riguardanti l’utilizzo dell’espediente figurativo in questione, risalgono a due schizzi, del 1515, attribuiti a Leonardo Da Vinci e contenuti nel suo celeberrimo Codice Atlantico, che ritraggono, l’una un occhio e, l’altra il volto di un bimbo: se visti frontalmente, essi risultano del tutto indecifrabili, ma se si accede ad uno scorcio accidentale, in regime di monocularità, sarà sorprendente verificare il ritorno delle immagini alle proprie proporzioni naturali. Tuttavia, le ricerche incentrate su questo tema sono dovute, principalmente, all’incessante lavoro di alcuni religiosi, seguaci dei frati Gesuiti e di quelli Minimi, ordini affascinati dal simbolismo e dal significato intrinseco che si nascondeva dietro la configurazione delle immagini deformate. Di notevole rilevanza assumono, allora, le teorie e le tecniche di deformazione prospettica, che occupano le pagine dei maggiori trattati scritti a cavallo tra il 1500 e il 1600, strumenti di divulgazione del virtuosismo prospettico ormai largamente in uso6. A partire dalla Pratica della perspectiva, del 1569, 209 ATTI_IBRIDAZIONI_par2.1 2.1. OGGETTI 30-10-2009 11:26 Pagina 26 O IMMAGINI: ANAMORFOSI E METAMORFOSI 7 Religioso, dell’Ordine dei Frati Minimi, Jean François Niceron, studia teologia e le materie scientifiche presso il famoso convento a Place Royale a Parigi. Dopo aver conseguito la carica di sacerdote, inizia gli studi scientifici diventando così esperto in matematica e ottica; inoltre, la smisurata passione in materia lo vede coinvolto anche nella traduzione, in francese, di alcuni dei più importanti testi matematici. 8 A. De Rosa, G. D’Acunto, La Vertigine dello Sguardo cit., p. 23. 9 Il padre parigino stabilisce che data una figura piana, della quale si vuole ottenere la deformazione, essa viene inserita in un reticolo a maglie quadrate. Successivamente si impone il punto di stazione dal quale l'immagine aberrata deve essere rettificata e, di conseguenza, la distanza dell’osservatore dal reticolo – il cui bordo inferiore coincide con quello deformato – determina il cosiddetto punto di distanza che permette la verifica degli scorci delle suddivisioni trasversali. Cfr. Nel segno dell'Ekphrasis in A. De Rosa, G. D’Acunto, La Vertigine dello Sguardo, cit. testo elaborato da monsignor Daniele Barbaro con Giovanni Zamberti, esperto matematico veneziano, numerosi sono appunto i trattatisti europei che sul tema della rappresentazione anamorfica concentrano la propria speculazione scientifica. É però merito del famoso trattato di Jean François Niceron7, La perspective curieuse, ou magie artificielle des effets mervellieux, risalente al 1638, se, finalmente, la comunità scientifica arriva a ripudiare il metodo di natura pressoché empirica in uso fra i predecessori, in favore di un processo sequenziale, regolato da rigidi princìpi che traggono spunto dalle più conosciute e severe norme della prospettiva. É così che il padre minimo «…affronta il problema delle deformazioni con un approccio che oggi possiamo dire ‘proiettivo’ ante litteram, abbandonando gli espedienti pratici ormai ampiamente usati»8. La perspective curieuse, tra tutti il testo più esaustivo e rigoroso dal punto di vista scientifico sull’argomento, è diviso in tre parti generali – l’Ottica, chiamata anche “prospettiva” o “visione diretta”; la Catottrica, scienza che studia la riflessione delle immagini mediante l’utilizzo di superfici riflettenti piane, cilindriche o coniche; la Diottrica, disciplina che chiama in causa la scienza della rifrazione –, ed è corredato da molteplici tavole dimostrative atte a descrivere il processo anamorfico9, desunto direttamente dal modello dello sportello düreriano, che si nasconde dietro l’aberrazione di figure complesse; ed è proprio sullo studio di queste tre discipline che le opere di Felice Varini traggono ispirazione, assumendo le caratteristiche ambigue e misteriose tipiche dell’anamorfosi. È possibile, dunque, rubricare tutti i lavori di Felice Varini, nel novero delle anamorfosi, a partire dai primi esperimenti realizzati alla fine degli anni ‘70, fino a quelli più recenti: essi, come i più antichi esercizi del 210 ATTI_IBRIDAZIONI_par2.1 30-10-2009 11:26 Pagina 27 ISABELLA FRISO Fig. 1. F. Varini, Trapezio con due diagonali n°1, Lugano-Porza, 1996. Acrylic paint. Collezione M. e D. Perret Rezzonico (in F. Varini, Points of view, Lars Müller Publishers, Switzerland 2004, n.110). padre minimo francese, hanno come denominatore comune la proiezione di figure geometriche semplici – nello specifico, figure ellittiche o circolari – osservabili nella loro coerenza geometrica da un preciso punto di vista; ma a differenza dei virtuosismi prospettici manieristi e barocchi, le opere di Varini non sono confinate semplicemente sulla superficie piana di una tela o entro i limiti fisici di una parete muraria, ma innervano lo spazio tridimensionale, intercettando tutto ciò che compone l’apparato strutturale dell’ambiente circostante chiamato ad ospitarle. Molteplici sono gli interventi che meriterebbero un’analisi più approfondita; ma in questa sede potremo soltanto occuparci di una breve carrellata di opere, effettivamente realizzate, circoscritte alle tre diverse tematiche ricorrenti nelle realizzazioni di Varini: segnatamente, è utile scegliere alcune opere, afferenti a serie diverse, che si insediano in ambienti dalle caratteristiche opposte e che, dalla comune disgregazione delle forme primitive, perseguono il comune obiettivo di ritornare all’elemento originario, avvalendosi non solo di un preciso processo metodologico, ma anche dell’uso di alcune superfici riflettenti, già adoperate nel ‘600 da padre Niceron, o di più contemporanei strumenti fotografici. Prima fra tutte è un’opera del 1999, dal titolo Encerclement à dix (fig. 2), ambientata nello spazio complesso di una chiesa gotica, oggi sconsacrata, a Thouars, in Francia, dove le immagini di 10 cerchi rossi, di differenti dimensioni, reciprocamente tangenti tra di loro, sembrano contenute su di un piano verticale virtuale e fluttuare liberamente entro il profilo della sezione trasversale della navata. In realtà, se si osserva attentamente, da un preciso punto di stazione, alcune delle circonferenze attrici di questa scenografia, risultano tangenti anche ad un’ennesima, rappresentata dal rosone circolare e ricco di decorazioni, 211 ATTI_IBRIDAZIONI_par2.1 2.1. OGGETTI 30-10-2009 11:26 Pagina 28 O IMMAGINI: ANAMORFOSI E METAMORFOSI presente nella parete conclusiva della chiesa. È così che la finestra circolare sembra mutare la sua collocazione spaziale avanzando progressivamente, fino ad assumere una posizione stabile entro la cornice del quadro pittorico inconsistente ottenuto solo dall’atto proiettivo. Appena ci si discosta dal luogo predefinito, è possibile svelare l’inganno e accorgersi della inconsistenza del piano pittorico, constatando l’invasione di forme sconnesse: i cerchi si deformano magicamente in archi di ellissi rossi, occupanti tutti gli elementi architettonici – pareti laterali e di fondo, finestre, vetrate, parte delle volte a crociera con le relative arcate d’ingresso che coprono l’ambiente e tutti gli elementi decorativi presenti quali contorte balaustre, capitelli e plinti di semicolonne addossate alle pareti murarie, etc. Una situazione analoga si verifica nell’intervento variniano, presso Castelgrande a Bellinzona, in Svizzera: il principio che lega le due istallazioni è pressoché lo stesso, ma a differenza dell’opera realizzata nella chiesa francese, qui l’autore è chiamato a relazionarsi con un paesaggio urbano, giocando con grandi spazi aperti che inglobano sia il paesaggio naturale che le facciate dell’architettura. In Segni – realizzata nel 2001 in concomitanza con l’inserimento del castello nella lista di monumenti protetti dall’UNESCO –, tre Fig. 2. F. Varini, Encerclement à dix, Chapelle Jeanne d'Arc, Thouars. 1999. Solo show (in F. Varini, Points of view cit., p. 100). 212 ATTI_IBRIDAZIONI_par2.1 30-10-2009 11:26 Pagina 29 ISABELLA FRISO archi di cerchio, rigorosamente rossi e di grande diametro, vengono dipinti sui piani verticali che contraddistinguono i prospetti e la cerchia muraria dell’edifico turrito, ma anche sulle sfaccettate superfici rocciose sulle quali esso sorge, a ridosso del paese. Il punctum optimum, già presente anche nell’istallazione francese, risulta posto tra i merli del Castello di Montebello, altra piccola fortezza, poco distante e localizzata in una delle colline che sovrastano e proteggono la cittadina svizzera; ma ciò che distingue quest’opera dalla precedente è la configurazione che il ‘piano pittorico’ assume: esso diventa una superficie molto più estesa perché non più contenuta entro i limiti dell’architettura stessa, rivelando la capacità e la maestria di Varini nell’operare anche in presenza di oggetti a grande scala. Ciò che appare evidente in queste produzioni artistiche è dunque l’importanza che si cela dietro l’uso dell’architettura intesa quale tela di un quadro in cui contenere le esperienze proiettive e percettive. Di grande importanza sono le opere in cui Varini impiega ampie aree riflettenti: durante l’estate del 2003, in un museo francese, egli realizzò Escalier Sud e Escalier Nord, due installazioni complementari e simultanee in cui introdusse l’uso di altrettanti specchi dalla superficie convessa che diventavano i veri protagonisti della scenografia anamorfica. Le due superfici riflettenti infatti sono state poste, rispettivamente, in corrispondenza dello spigolo verticale di intersezione tra due pareti, dipinte di bianco, e rivolte verso il soffitto, così delimitando lo spazio ristretto di una rampa di scale; inoltre ad essi era demandato il compito di riflettere e diffondere l’immagine di alcuni frammenti circolari, anche in questo caso rossi, concentrici, la cui deformazione appare dipinta sulle superfici del vano scala, alle spalle dell’osservatore. Il punto dal quale la proiezione anamorfica riassume coerenza percettiva è 213 ATTI_IBRIDAZIONI_par2.1 2.1. OGGETTI 30-10-2009 11:26 Pagina 30 O IMMAGINI: ANAMORFOSI E METAMORFOSI Fig. 3. F. Varini, 360° à San Stae, Biennale di Venezia, Chiesa di San Stae, 1988. Solo show (in F. Varini, Points of view cit., p. 159). situato di fronte agli specchi, allorché la riflessione magicamente azzera l’incoerenza segnica iniziale, voluta dall’artista. L’ultima delle pratiche artistiche frequentate da Varini richiede l’impiego di strumenti fotografici di alta precisione che immortalano l’architettura nel preciso istante deciso dall’artista. Come accadeva nella chiesa di San Stae a Venezia nel 1988, in occasione della XLIII Biennale veneziana, quando alcuni scatti panoramici, eseguiti in bianco e nero da Varini, furono disposti dall’artista nell’ambiente urbano in modo tale da sostituire l’ambiente costruito reale. In 360° à San Stae (fig. 3), il punto di vista privilegiato dal quale osservare lo spazio fittizio, viene esplicitato, per la prima volta, posizionando una piattaforma al centro dell’edificio sacro a circa 3.6m di altezza. Il processo anamorfico impiegato da Felice Varini presuppone non tanto una semplice distorsione dell’immagine, quanto una vera e propria frammentazione dell’oggetto attraverso l’uso di un comune proiettore posto nel preciso punto dal quale l’immagine dovrà essere ricostruita dall’osservatore. Il punto di vista o, in questo caso punto di genesi proiettiva dell’opera, coincide con l’altezza dell’occhio del genio creativo pari 162 cm. Dalla semplice proiezione spaziale della 214 ATTI_IBRIDAZIONI_par2.1 30-10-2009 11:26 Pagina 31 Fig. 4. F. Varini, Jaune, Rouge, Bleu pour couloir, Berlin, 1988. Acrylic paint. Collezione Allianz (in F. Varini, Points of view cit., pp. 66-67). 10 Cfr. Meinhardt, La realtà dell'illusione estetica cit., p.107. 11 Meinhardt, cit., p. 71. diapositiva, raffigurante le forme geometriche pure e indeformate, Varini ottiene una serie di frammenti segnici intercettati, secondo precise strategie visive, da elementi piani come pareti murarie, coperture, pavimenti ma anche corpi complessi quali colonne, capitelli, pilastri o pareti dall’andamento curvilineo che compongono gli ambienti. In tal modo, questi elementi ‘dispersi’ nello spazio perdono la propria connotazione originaria, assumendo un carattere confuso, diventando spesso irriconoscibili. La proiezione viene in seguito ricalcata fedelmente e riempita con vernici colorate10 per lo più attinte dallo spettro dei colori primari: giallo, blu e rosso, con l’aggiunta del bianco e del nero. Infatti, nelle intenzioni dell’autore, «… il colore denso e monocromo tende, di per sé, a trascendere la propria fisicità, quindi il proprio supporto e la realtà materiale di quest’ultimo. Varini si serve precisamente di questa capacità del colore di smaterializzarsi otticamente […] per produrre un’esplicita illusione spaziale: il colore si libra nello spazio, si distacca dalle singole superfici di supporto e produce un effetto unitario, totalizzante”11 (fig. 4). L’intento di Varini è quello di proiettare figure piane nello spazio e non, viceversa, di includere la rappresentazione di un paesaggio immaginario entro i confi215 ATTI_IBRIDAZIONI_par2.1 2.1. OGGETTI 30-10-2009 11:26 Pagina 32 O IMMAGINI: ANAMORFOSI E METAMORFOSI 12 Il trompe l’œil è una tecnica pittorica nata nel periodo Barocco, anche se l'uso risale ad epoche precedenti e prosegue fino all'età contemporanea, atta alla produzione di immagini che perseguono lo stesso obiettivo: ingannare l'occhio del fruitore attraverso dipinti illusori, di primo acchito reali, che sembrano ampliare notevolmente la configurazione dello spazio. 13 Per saperne di più si veda A. De Rosa (a cura di), James Turrell. Geometrie di luce. Il Roden Crater Project, Electa, Milano 2006 e relativa biografia. Fig. 5. J. Turrell, Aphrum Proto, 1966. Proiezione quarzo-alogena nella versione installata presso il Whitney Museum of American Art, New York 1980. Collezione Wortz, Pasadena. ni di una tela. Il suo obiettivo si discosta dal creare un’illusione ottica o di rappresentare uno spazio immaginario, come accade nei famosi trompe l’œil12 dei secoli passati, o di celare un’immagine criptata, come nelle anamorfosi Cinque-Seicentesche, ma, al contrario, di rivelare lo spazio fisico dell’architettura piuttosto che crearne uno illusorio. Il metodo operativo appena accennato è del tutto analogo a quello utilizzato dal famoso artista californiano James Turrell, quando, all’inizio della sua carriera, creava corpi illusori di luce, in apparenza solidi, che sembravano fluttuare all’interno di stanze domestiche, ottenuti attraverso la proiezione luminosa di diapositive opportunamente sagomate, lungo gli spigoli verticali di due pareti tra loro incidenti (fig. 5). In questo caso, invece, pur partendo dallo stesso principio proiettivo che prevede la visione monoculare e la posizione immobile dell’osservatore, si ricade in una situazione opposta: non più volumi luminosi che ondeggiano liberamente nello spazio, ma geometrie incluse in un piano bidimensionale, virtuale e fisicamente inesistente, che abitano lo spazio architettonico ed urbano. Appena ci si discosta dal punto di vantaggio, però, l’illusione svanisce poiché le forme tornano a disgregarsi, riprendendo ad assumere la propria incoerenza configurativa. Allo stesso modo i lavori turrelliani, perdono la loro consistenza quando, abbandonando il punto di stazione, rivelano il gioco prospettico su cui si basano, alludendo alla tridimensionalità di un oggetto creato con il materiale intangibile per eccellenza: la luce13. Nelle istallazioni di Varini – in cui il decoro piano si trasmuta in apparente struttura tridimensionale – esiste dunque una sorta di ibridazione tra il piano pittorico, ipotetico, astratto e intangibile, e lo spazio ecologico: 216 ATTI_IBRIDAZIONI_par2.1 30-10-2009 11:26 Pagina 33 ISABELLA FRISO 14 Ibidem il ruolo di schermo è affidato allo spazio, o meglio alle singole pareti in cui si articola lo spazio e che divengono il ‘supporto’ dell’immagine. Nella produzione dell’artista elvetico si verifica un’inversione del principio su cui si basa il trompe-l’œil, in quanto egli non propone la rappresentazione di un luogo inesistente e inventato, così deludendo le aspettative dell’osservatore: “anziché ingannarlo, egli mostra soltanto lo spazio reale a prescindere da qualsiasi spazio immaginario. Da vedere ci sono soltanto l’architettura dello spazio in funzione di ‘palcoscenico’ e, nel contempo, un ‘dipinto’ immateriale ma percettivamente reale, curiosamente sospeso nello spazio»14. Riferimenti bibliografici A. DE ROSA (a cura di), James Turrell. Geometrie di luce. Il Roden Crater Project, Electa, Milano 2006. A. DE ROSA-G. D'ACUNTO, La Vertigine dello Sguardo. Tre saggi sulla Rappresentazione Anamorfica, Cafoscarina, Venezia 2002. M. KEMP, La scienza dell'arte. Prospettiva e percezione visiva da Brunelleschi a Seurat, Giunti Edizioni, 2005. J. MEINHARDT, La realtà dell'illusione estetica. Le ‘trappole visive’ di Felice Varini, Edizioni Studio Dabbene, Lugano 1999. F. VARINI, Points of view, Lars Müller Publishers, Switzerland 2004. 217