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JOHN D. SMITH
BLACK JACK
TERZO EPISODIO
LO SPIN-OFF
DI
WARCHESS
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BLACK JACK TERZO EPISODIO
www.warchess.it
Proprietà letteraria riservata
Copyright 2015 riservato a John D. Smith
Illustrazioni di copertina di Livia De Simone
Di questa serie:
Black Jack Primo Episodio
Black Jack Secondo Episodio
Ogni riproduzione, totale o parziale, e ogni diffusione non espressamente autorizzata dall’autore è da
considerarsi come violazione del diritto d’autore.
Questo libro è un’opera di fantasia.
Nomi, personaggi, luoghi o avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore.
Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone reali è del tutto casuale.
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BLACK JACK TRE
CAPITOLO UNO
Dopo che il maestro Midnight era stato rapito da Valdindin, i Black Jack erano saliti sul furgone e
si stavano per dirigere nel garage sotterraneo.
David aveva lasciato la moto al monastero per viaggiare con loro e discutere dell’accaduto e
Aylina aveva recuperato il borsone con le sue cose.
«Ragazzi, abbiamo un problema» aveva detto Marco appena pronti. «Io non riesco più a sentire la
presenza di Midnight.»
Tarma cercò di concentrarsi. «Maledizione, hai ragione!»
«Neanch’io lo sento più» confermò David. «Com’è possibile?»
Ci fu silenzio per i momenti successivi.
«Adesso come facciamo a trovarlo?» chiese Marco.
Tarma si passò una mano sulla faccia, angustiato. «Il vero problema è un altro. È impossibile non
sentire la presenza di un altro Black Jack.»
«Vuol dire che Valdindin gli ha fatto qualcosa» David non riuscì a nascondere la sua apprensione.
«Lo ha ucciso?» chiese Marco.
«Non dire sciocchezze» intervenne Aylina. «Se lo voleva morto aveva altre occasioni per farlo.
Per lui tu eri molto importante e se ti ha lasciato qui per portare via lui vuol dire che gli serve per
qualcosa che altrimenti non riuscirebbe a fare. Quindi escludo che lo possa uccidere, la risposta più
logica è che abbia trovato il modo per nasconderlo dal vostro potere.»
«Solo William può aiutarci allora» prese il telefono. «Pronto William sono Tarma, mi senti?»
chiese mettendo il vivavoce.
«Ciao, finalmente ti fai sentire. Come sta il mio furgone Vandura?»
Marco guardò David. «Credevo che il furgone fosse di Tarma.»
«È una storia lunga» disse lui.
«Sta bene, non preoccuparti…»
«Sento che sei con David, è successo qualcosa alla mia Harley?»
«Anche quella è sua?»
David dovette annuire con la testa.
«No, non dirmelo, avete fatto qualcosa alla mia Pontiac?»
«Ma c’è qualcuno con un mezzo suo?» chiese Marco.
«Ti chiamo perché devi aiutarci» continuò Tarma.
«Ha a che fare con Midnight? Non riesco più a sentire la sua presenza. E so che era lì con voi solo
pochi minuti fa.»
Tarma spiegò a William tutto ciò che avevano scoperto da Valdindin al settimo livello degli
shofen fino alla lotta nel monastero.
«Stiamo per venire da te» dissero Tarma e David all’unisono.
«Così i due figlioli ribelli tornano alla base dopo quello che è successo con Duncan?»
Nessuno dei due rispose e Tarma riagganciò.
Tarma rimise in moto e giunti all’officina aprirono un passaggio segreto.
«Dove stiamo andando?» chiese Marco.
«Questo è il nostro covo, un po’ come Batman.»
L’aereo era abbastanza grande da farci stare il furgone e così, dopo che il soffitto si aprì mostrando
il cielo della sera, si alzarono in volo per raggiungere l’America.
La cabina del pilota era collegata alla saletta con i divanetti dove David e compagni erano seduti.
«Vedo che fare il monaco rende bene al giorno d’oggi» scherzò Marco. Nessuno replicò e lui
cambiò argomento. «Così l’auto, il furgone e la moto sono tutte di William»
«Lui è il nostro scienziato e oltre a creare nuove invenzioni ha un passatempo che noi chiamiamo
carsplay» spiegò Tarma.
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«Cosa sarebbe?»
«In pratica è un cosplay delle auto famose. Il furgone che abbiamo usato in questi giorni è lo
stesso che usava l’A-team nella serie tv, possibile che non l’avevi riconosciuto? Dai, la striscia
rossa che lo divide in due colori…»
«E la moto?» chiese David. «È la Harley del film Easy Rider. E l’auto che hai visto fuori dal
monastero?»
Marco ricordava solo che era nera.
«La Pontiac che David Hasselhoff usava nella serie tv Supercar!» Tarma scosse la testa deluso che
Marco non conoscesse queste vecchie serie.
«Almeno conoscerai Ritorno al futuro, spero» intervenne Marco. «William ha una riproduzione
perfetta della DeLorean, e poi la Cadillac degli acchiappa fantasmi…» il telefono sul pannello dei
comandi iniziò a squillare e due luci rosse lampeggiarono nella cabina.
Tarma aprì la comunicazione. Sullo schermo apparve William ma l’immagine era disturbata e
intermittente.
«Cosa succede?» urlò Tarma.
Si vide William parlare ma l’audio non arrivava, s’intravedeva solo il volto allarmato.
David si avvicinò. «È l’allarme. Ha attivato il piano d’emergenza.»
«Ofen-tano-se-uno» la voce di William arrivava a scatti finché le ultime parole giunsero tanto
nitide quanto spaventose. «Ci stanno attaccando e loro si sono svegliati!»
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CAPITOLO DUE
La comunicazione era caduta lasciando spazio a tante righe grigie e nere.
Marco fu il primo a parlare. «Sono ormai diverse ora che siamo in viaggio, mi avete fatto riposare
e abbiamo raggiunto il suolo americano ma non mi avete ancora spiegato nulla, si può sapere cosa
succede? Cos’è l’Hangar 6 e cos’è che si sta risvegliando?»
Tarma e David si scambiarono una lunga occhiata e fu Aylina a rompere il silenzio. «Maledizione,
volete rispondere?»
«Stavo solo pensando come spiegarvelo» disse Tarma. «Inizierò col dirvi che sconfiggere gli
shofen non è l’unica cosa che facciamo. William li studia. È per merito delle sue ricerche che è
riuscito a inventare il Gousen-tinsen. In pratica l’Hangar 6 è una base segreta nascosta in una
foresta dove William custodisce degli shofen catturati, studiando e facendo esperimenti su di loro.
Conosce questi esseri in ogni loro aspetto e sono le sue invenzioni che ci hanno aiutato a rimanere
anonimi in quest’era piena di tecnologia.»
«Ma non è tutto, nel suo laboratorio è documentata tutta la storia di noi Black Jack da prima che
iniziasse la vita dell’uomo con tutto ciò che riguarda i mondi paralleli, le razze e i segreti su ciò che
gli umani credono ancora siano solo delle leggende.»
«Eccolo, è davanti a noi» si giustificò Tarma.
Marco e Aylina si appoggiarono al vetro per vederlo.
«Lì c’è solo una foresta» protestò Marco.
«Il Gousen-tinsen è uno strumento che sfrutta l’energia residua dell’Iride» continuò Marco
indicando il suo medaglione. «Infatti solo in nostra presenza può essere usato, se un umano dovesse
entrarne in possesso lo troverebbe solo un congegno non funzionante. La cosa importante che
dovete sapere è che l’Iride è una fonte di energia derivante dalla nostra stessa anima e William ha
trovato il modo per sfruttare questa energia in vari modi.»
«Ci siamo, state a vedere» li avvertì Tarma.
Schiacciò tre pulsanti sul pannello e la parte centrale della foresta scomparve lasciando il posto
alla base. La prima cosa che si notava era la pista di atterraggio tra gli alberi e poi uno spiazzo con
dei grossi magazzini. In lontananza dei container e una costruzione.
«Guardate, ci sono degli shofen nella base. Valdindin dev’essere già qui e ci deve essere anche
Midnight» l’aereo scese di quota e Tarma rischiacciò i tre pulsanti.
«Come fa a scomparire una foresta?» chiese Marco.
«La soluzione è semplice. La foresta è un’illusione. Così come l’Iride nasconde il nostro aspetto di
scheletri allo stesso modo il Gousen-tinsen usato per la barriera numero quattro cela la presenza
della base e gli umani non vedono altro che alberi.»
«Aspettate, io sento che gli shofen si stanno moltiplicando» disse Marco.
«Raggiungere il laboratorio sarà una bella impresa» commentò Tarma. «Questo posto è protetto da
quattro tipi diversi di barriere create dal Gousen-tinsen. La numero quattro che hai appena visto è la
più grande mai creata e ha uno scopo semplice, impedire agli umani di oltrepassarla. Avrai sentito
storie di UFO che parlano di perdersi nel bosco, salti temporali eccetera, buona parte è colpa
nostra» sorrise.
«Per questo hai dovuto disattivarla, perché io potessi passare» disse Marco.
David confermò con un cenno.
«Parleremo delle altre barriere in seguito perché dobbiamo riuscire a superarle tutte fino all’ultima,
quella che protegge il laboratorio. Per il momento armatevi, atterreremo sulla pista e vedo già troppi
shofen.»
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CAPITOLO TRE
L’aereo toccò l’asfalto e investì le ombre che rimbalzavano con dei tonfi. Appena il mezzo si
fermò gli shofen di livello tre si lanciarono contro il vetro tentando di graffiarlo.
«Neanche in the Walking Dead sono così assatanati» scherzò Tarma.
Si sentì una botta e la lamiera sulle loro teste venne dilaniata dagli artigli.
«Molto bene abbiamo un livello cinque oppure è un controllore molto incazzato» Tarma si alzò.
«Entriamo nel furgone, proveremo a farci strada tra loro.»
Il portellone posteriore dell’aereo si aprì schiacciando le ombre più vicine. L’auto sfrecciò solo per
alcuni metri perché i mostri erano troppo numerosi e ostruivano il passaggio, circondandoli.
«Scendo io a farvi strada, voi proseguite» David si era trasformato e aveva già chiuso il portellone.
Si sentirono dei tonfi e pochi secondi dopo i bagliori di luce. Marco liberò la strada grazie al
parabufali fatto di Ennio, una pietra che poteva uccidere gli shofen, mentre gli altri proseguirono
quasi a passo d’uomo.
«Così ci metteremo una vita, se si sono risvegliati William potrebbe essere già morto e…» le
parole si spensero. «Scendo ad aiutarlo. Voi proseguite.»
«Vengo con voi» disse Marco.
«No, tu non devi morire per nessun motivo al mondo» uscì senz’aspettare la sua risposta.
Aylina si era messa al volante e con l’aiuto di Tarma avanzarono più in fretta.
«Almeno tu puoi spiegarmi perché è così importante che rimanga in vita?» chiese alla glover.
Non sapeva come dirglielo. «Se tu morissi, i Guardiani cambierebbero… la Terra non sarebbe più
un posto sicuro…» il furgone venne scaraventato a terra strisciando in scintille infuocate.
Lo shofen di livello sei era un cane alto due metri, gli occhi rossi esplodevano di rabbia mentre i
proiettili gli colpivano la schiena.
«Vieni qui schifoso cagnaccio» urlò David cambiando caricatore e ricominciando con nuove
raffiche.
L’animale si lanciò su di lui.
Tarma rimise il furgone in piedi e aprì la portiera. «State bene?»
Aylina annuì e Marco aveva solo una ferita sulla fronte.
«Dobbiamo andarcene da qui» li aiutò a uscire trafiggendo gli shofen di livello due più vicini.
«Aprite il retro e rifornitevi di armi. Tutte queste ombre sono state messe qui per impedirci di
raggiungere il laboratorio.»
Tarma vide che Aylina prese la sua borsa. «Non è meglio lasciarla qui? È troppo ingombrante e
scomoda, d’ora in avanti ci sarà solo da lottare.»
«Questa rimane con me.»
Marco aveva già le pistole pronte.
«Ascoltami, più ci avviciniamo al laboratorio e più gli shofen aumentano, tu non devi morire per
nessun motivo.»
«Non ci tengo affatto…»
Tarma l’aveva preso per le spalle. «Non devi morire» ripeté con il suo viso scheletrico.
Marco annuì, più glielo ripetevano più si preoccupava.
David aveva ucciso il grosso mostro e li raggiunse. «Sbrighiamoci!»
Aylina liberò la strada e il gruppo riprese l’avanzata. La pista di cemento era sparsa di ombre che
si spostavano lentamente verso di loro. Il gruppo s’inoltrò fra la boscaglia e gli shofen diminuirono
tanto da essere sparpagliati fra i cespugli in lontananza.
Tarma era davanti al gruppo, al centro Marco e Aylina e a proteggerli dietro c’era David.
Gli spari delle pistole erano l’unico suono che riecheggiava tra le fronde. Il sole era ormai quello
di metà pomeriggio e le chiazze di luce che penetravano tra la vegetazione mostravano le foglie
scure, ultimo segno di un inverno ormai lontano.
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«Credevo che questi alberi fossero finti» disse Marco sparando a due shofen in lontananza e
ricaricando.
«Non questi, sono solo una protezione naturale prima della prossima barriera.»
«Attento!»
Da un cespuglio sbucarono quattro ombre che si fiondarono su Marco.
La pistola di Marco aveva ucciso i primi due e David aveva fermato gli altri.
«Andiamocene da qui!» Aylina usò la spada per fermarne una decina, anche loro nascosti come se
li stessero aspettando.
«Non riesco a percepirli con chiarezza» si lamentò Tarma. «Sono troppi.»
Avevano aumentato l’andatura e quando la vegetazione terminò si trovarono davanti dei grossi
pilastri neri.
«Questa è la barriera numero tre, possiamo attraversarla senza problemi serve solo per fermare le
creature non umane» spiegò Tarma.
«A cosa vi serve una barriera simile sulla Terra?» chiese Marco.
«Questa è una bella domanda a cui non sappiamo rispondere» David oltrepassò i pilastri.
«Le prossime barriere che incontreremo impediscono sia di entrare che di uscire» aggiunse Tarma.
«Io non posso seguirvi» disse Aylina. «Non sono umana.»
Marco si fermò sorpreso. «Non possiamo lasciarla qui. Ci sarà un modo per disattivarla.»
Tarma scosse la testa. «Questa è l’unica barriera che non può essere disattivata in alcun modo se
non dal comando centrale.»
«Dici sul serio? Perché?»
Scosse di nuovo la testa.
«Ma che diavolo c’è nascosto qui dentro?»
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CAPITOLO QUATTRO
Dopo aver salutato Aylina, il terreno era diventato cemento intervallato solo da grossi magazzini.
Alcuni camion erano parcheggiati e gli shofen si aggiravano tra le lunghe ombre della prima sera. I
magazzini ospitavano macchinari e attrezzi, le bestie non erano numerose e il gruppo avanzò molto
in fretta uccidendole di rado.
Tarma provò a salire sul tetto di uno degli edifici ma fu subito attaccato da alcuni shofen di livello
cinque che lo ributtarono al suolo. «Non possiamo nemmeno usare la nostra forza per saltare da un
magazzino all’altro. Vogliono che rimaniamo qui sotto per non vedere cosa sta succedendo al
laboratorio.»
Le luci automatiche si erano accese ora che l’oscurità dominava ogni cosa, ma la visibilità era
rimasta scarsa per i grossi spiazzi e le lampade troppo deboli.
Marco spalancò gli occhi. «Li sentite anche voi?»
«Si moltiplicano, l’intero bosco è ormai invaso e stanno tutti venendo verso di noi» David si era
guardato alle spalle. Riusciva a percepire gli shofen avanzare tra le foglie con il loro passo lento ma
affamato.
«Forse mi sto sbagliando ma vedo qualcuno» Marco puntò le pistole. A tre magazzini di distanza
c’erano due figure. «Uno dei due non lo percepisco, mentre l’altro… non riesco a capire.»
«Ci sono troppi shofen, sfocano la nostra percezione» confermò Marco.
«Nascondiamoci qua dietro» gli disse Tarma. «Uno dei due è Valdindin. Prendiamoli di sorpresa,
non può percepirci quindi giriamogli attorno…»
Il compagno del Red Jack era zoppicante, la gamba destra era aiutata da un bastone d’argento che
scintillava quando passava sotto una luce.
Tarma e compagni si avvicinarono senza sparare contro ai pochi shofen che incontrarono. «Rimani
vicino al ragazzo» Tarma diede l’ordine all’amico e andò incontro a Valdindin. «Fermo dove sei!»
Il Red Jack si mise tra il Guardiano e lo zoppo. «Tu prosegui, ci penso io a tenerlo impegnato, ma
fai attenzione, devono esserci anche gli altri Guardiani.»
«Marco è presente? Sai che senza di lui…»
«Non devi preoccuparti. Ora vai, non c’è più nessuna barriera che può fermarti» poi alzò la voce.
Gli andò incontro. «Tarma, ti stavo aspettando.»
«Digli al tuo amico di fermarsi oppure…»
«Oppure cosa?» fece apparire due cani di livello sei e si abbassò per poterli accarezzare. «Ormai è
troppo tardi, siete caduti tutti nella nostra trappola.»
David e Marco raggiunsero l’amico, pronti a intervenire.
«Ben ritrovati» salutò Valdindin. «Ora che Marco è qui con noi vi dirò le ultime due cose:
Midnight è dietro quel magazzino» indicò un corpo appoggiato a un muro. «L’intero bosco che
circonda la base è pieno di shofen che si avvicinano sempre più, diventeranno così numerosi che
non potrete fermarli nemmeno se unite le vostre forze. In questo modo nessuno di voi potrà mai
scappare.»
Dal laboratorio si sentì un’esplosione e poi delle lamiere che venivano contorte con un rumore
stridulo, graffiante.
«Sei impazzito?» urlò Tarma. «Li stai liberando?»
Il Red Jack fece un gesto e i due cani partirono all’attacco. David scaricò alcuni colpi e trafisse il
primo con la spada mentre Tarma trafiggeva il secondo.
«Maledetto codardo» disse riponendo la spada nel fodero. «David, andiamo a prendere Midnight e
poi inseguiremo Valdindin.»
Il maestro era a terra. La luce del suo Iride era fioca, quasi spenta e il suo aspetto era quello dello
scheletro. Provarono a scuoterlo ma senza risultato.
«Credete che sia morto?» chiese Marco.
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«No, c’è ancora energia nel medaglione» rispose Tarma mettendoselo sulle spalle. «Solo non
capisco perché lo abbia lasciato qui. Lo ha solo usato per trovare la base?»
«Le sue parole erano state chiare, se Valdindin mi avesse liberato lui gli avrebbe dato l’esatta
posizione dell’Hangar 6» disse Marco.
«Midnight stava bluffando, ciò che è racchiuso in questo posto non ha valore» le parole di Tarma
si spensero. Alle loro spalle, dalla foresta in lontananza stavano arrivando gli shofen. Si riversavano
tra i magazzini come una marea scura.
David fece due passi indietro. «Non riesco nemmeno a capire quanti sono.»
«Ci sono dei livello cinque alati che non ci attaccano. Se ne stanno lì, pochi metri sopra gli altri,
solo per comunicarci che non possiamo scappare e che il cerchio si sta stringendo attorno a noi.
Valdindin aveva ragione. Stavolta non riusciremo a scamparla nemmeno trasformandoci» Tarma
sistemò meglio il corpo di Midnight. «Andiamo, l’unica cosa che possiamo fare è raggiungere la
barriera numero due.»
«Può esserci d’aiuto?» domandò Marco seguendoli.
«È creata apposta per gli shofen, li terrà lontani dal laboratorio.»
«È una buona notizia, credo» il ragazzo vide il volto preoccupato dei due Guardiani.
«Come ti ho detto nulla può entrare o uscire dalle barriere, questo vuol dire che oltre a essere in
trappola saremo anche in ottima compagnia. Li vedi quei container intorno al laboratorio? William
tiene rinchiusi vivi e morti…»
«Ci sono degli umani lì dentro?» domandò Marco.
«Non dire idiozie. C’è qualcosa che…»
«Qualcosa come quello?» Marco indicò davanti a loro, sopra al laboratorio. Le quattro colonne di
luce arrivavano fino al cielo e presto una figura si alzò in aria volteggiando tra la luce e l’oscurità
del cielo.
«Un livello sei?» chiese il giovane.
Tarma strinse il pugno. «Niente del genere. Quello è un drago.»
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CAPITOLO CINQUE
«Un vero drago qui sulla Terra?» La voce di Marco a metà fra l’orrore e lo stupore.
«Questo è ciò che mi ha raccontato William. Quando ci fu la divisione dei mondi e tutte le razze
che vivevano sulla Terra vennero trasferite, risultò impossibile raccogliere ogni essere vivente in
così poco tempo. Yuvi aveva concesso quindici giorni perché la Terra venisse evacuata. Mentre i
sei crearono gli altri mondi Yuvi, William, Duncan e Midnight aiutarono nella migrazione usando il
loro potere per individuare le ultime forme di vita in giro per il pianeta. Popoli come elfi, orchi,
mutaforma, insomma tutti gli esseri senzienti sono facilmente individuabili ma gli animali, quelli
sono un problema, percepirli è molto difficile. Così i Guardiani si occuparono di recuperare le
creature sparse per il mondo. Per questo voi uomini avete storie contrastanti, popoli di prima della
venuta dell’uomo e creature leggendarie che fanno parte delle leggende e dei vostri miti. I
Guardiani recuperavano queste creature e le riportavano negli altri mondi. Dal momento della
cattura al trasferimento venivano custoditi qui e William si prendeva cura di loro. Li mantiene
ibernati come se stessero dormendo.»
Superarono la barriera e s’inoltrarono tra i container. Il drago continuava a volare intorno come se
si sentisse spaesato e non sapesse dove andare.
Stavano attraversando le casse d’acciaio e spesso sentivano battere dall’interno.
«Quanti saranno?»
«I container sono molti ma gli animali rimasti sono tre in tutto. Uno è il drago che vedi in aria, uno
è quello che ha battuto poco fa mentre l’ultimo è vicino al laboratorio, un uomo lupo molto
particolare» spiegò Tarma.
«E gli altri? Sento battere dappertutto.»
«Sono shofen di livello quattro o superiore. È su questi che William svolge la maggior parte degli
esperimenti. Le Gousen-tinsei che ci hai visto usare in Irlanda e in Cina erano portatili quindi con
una potenza minore. Quelli che circondano la base invece sono fissi e per esempio non possono
essere distrutte da uno shofen di livello cinque. L’unico modo per superarle è che vengano
disattivate dall’interno del laboratorio. William ha un dispositivo molto simile all’orologio che
aveva Midnight con cui comanda tutte e quattro le barriere. Guardate, ci siamo.»
I container terminarono e davanti a loro rimase solo il laboratorio circondato da un grosso spiazzo.
Tre camion erano parcheggiati vicino all’ingresso e c’erano due gru a destra e a sinistra della
costruzioni.
Vicino al portellone c’era Valdindin seduto a terra.
I tre Guardiani sia avvicinarono a lui con le armi puntate ma notarono che il Red Jack aveva
posato le sue sul cemento.
«Non muoverti!» David l’aveva sorpreso alle spalle e gli puntava la lama alla gola. «Muovi un
solo osso e ti taglio la testa.»
«Non preoccuparti non reagirò, sono qui solo per godermi l’ultima parte dello spettacolo»
continuò a fissare all’interno del capannone.
Tarma posò Midnight vicino alla parete di cemento e si avvicinò con Marco.
L’interno del laboratorio era formato da un grosso schermo che ora mostrava la cartina del pianeta
Terra. Il pannello di controllo era composto da piccoli schermi, tasti e pulsanti lampeggianti. Una
scrivania faceva da contorno sulla destra con fogli e quaderni. Solo a pochi metri la grossa libreria
era caduta a terra con i tomi sparsi come cartastraccia.
«Non vedo William» disse Marco.
«Dev’essere dietro allo schermo» Tarma aveva spostato le armi di Valdindin e l’aveva perquisito
da cima a fondo per assicurarsi che non nascondesse altre sorprese.
«Allora entriamo, cosa stiamo aspettando?»
«Questa barriera non possiamo attraversarla. L’ultima difesa è per evitare a noi di entrare» disse
Tarma.
«O di uscire» aggiunse Valdindin.
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L’oscurità del cielo fu attraversata da bagliori bluastri. Gli shofen avevano raggiunto la base della
barriera e spingevano per entrare mentre i livello cinque si fiondavano contro la cupola invisibile
cercando di superarla ma producendo solo un alone luminoso.
«Non rimarranno lì fuori per molto» sorrise il Red Jack. «Sono attratti da voi ma soprattutto dal
drago, sentono la sua energia e se ne vogliono saziare.»
David spinse la lama sulle ossa di Valdindin facendo vibrare il suo scheletro. «Stai zitto.»
«Sono in debito con voi» il prigioniero restava immobile e nonostante fosse disarmato rimaneva
calmo. «È solo merito vostro se tutto questo è stato reso possibile.»
«Cosa vuoi dire?»
«Io non sapevo dove si trovasse l’Hangar 6. E nemmeno come rintracciare voi Black Jack. L’unica
cosa che conoscevo era la casa di Eric. Così ho atteso lì il vostro arrivo e quando Tarma si è
presentato avevo intuito che l’ultimo rimasto l’avrebbe raggiunto.»
«Aspetta, vuoi dire che il barbone che ho visto fuori da quella casa eri tu?» chiese Marco.
«Esatto» confermò lui. «Così vi ho seguiti fino al monastero di Midnight. Ma il mio obiettivo era
solo questo posto. Quando il maestro si è offerto in cambio del giovane uomo gli ho proposto di
dirmi l’esatta posizione della vostra base. Ovviamente lui ha rifiutato ma l’umano ha completato il
lavoro per me.»
«Io vi ho detto che l’avrebbe portato all’Hangar…» le parole di Marco si spensero in bocca.
«Quindi siete subito venuti qui e io non ho fatto altro che seguirvi. Avevo un mezzo pronto per
seguirvi dappertutto. Il resto è stato semplice.»
«Perché questo posto è così importante? Per il drago, è quello che vuoi?» Marco l’aveva afferrato
per l’impermeabile fissandolo dritto negli occhi.
«Drago, che stupidaggine. Voi Black Jack siete davvero ingenui, a partire da Duncan. Adesso mi
avete dato la certezza che non sapete proprio niente. Gli esperimenti per evitare che uno shofen
raggiunga il livello sette, perché la morte di Marco è così importante e cos’è nascosto all’interno di
questa fortezza piena di sistemi di sicurezza e barriere per tutte le forme di vita.»
«Se Midnight ha deciso di non dirci nulla deve averci voluto tenere al sicuro» disse Tarma. «Ma
ciò che più mi preme sapere è chi era quello zoppo che hai portato con te.»
«Vedo che hai percepito la sua natura» sorrise. «Ho tentato di disturbare il vostro potere in modo
che non vi fosse possibile riconoscerlo ma quando lo avete visto gli shofen non erano ancora
abbastanza numerosi, come adesso che con tutte queste ombre non riuscite a capire dove si trova.»
«Vuoi dire che è qui fuori?» Marco venne scaraventato a terra. Il pugno l’aveva colpito alla
mascella aprendogli un taglio sul mento.
Tarma era scattato con la lama tesa e lo zoppo usò il bastone argentato per fermare l’attacco. «Non
ho tempo da perdere con voi, voglio solo il ragazzo.»
«Allora avevo ragione…» stava dicendo Tarma.
«Il mio nome è Bryan» disse alzando il braccio libero verso uno dei container e lanciando
qualcosa.
Indossava un cappello nero e degli occhiali dalla forma insolita, con degli ingranaggi di un
orologio a formare la montatura. Sul petto aveva una serie di spille e un orologio a rotella nella
tasca trasparente dell’abito.
L’esplosione aprì uno dei container e quattro shofen di livello sei scattarono fuori ringhiando.
Bryan fece un gesto e le ombre scattarono verso i Guardiani.
«No.» Tarma era incredulo. «Non puoi comandare gli shofen.»
Bryan iniziò a ridere.
«È impossibile, non esiste un essere umano con questo potere.»
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CAPITOLO SEI
«Le cose sono cambiate» continuò Bryan.
Tarma non riusciva a capire chi fosse quest’uomo. Valdindin poteva comandare gli shofen perché
è un Red Jack e poteva anche avere un senso, ma un umano no, non poteva crederci. E come aveva
fatto a sconfiggere sia Midnight che William, entrambi impeccabili nella lotta? Era davvero così
forte?
«Ora avete una scelta difficile da fare» continuò Bryan. «Io e Marco siamo umani e se una di
quelle ombre ci uccide diverrà un livello sette.»
Tarma strinse i denti e si trasformò. Guardò Marco svenuto a terra e poi i cani che stavano
arrivando. Gli venne in mente il terrore di Midnight al monastero. Cosa sarebbe nato da una
trasformazione? Non voleva saperlo, inoltre Bryan poteva anche morire ma Marco doveva rimanere
vivo a tutti i costi. Lanciò uno sguardo a David ed entrambi si fiondarono sulle quattro bestie.
Lo scontro fu veloce, pochi colpi ma precisi e i livello sei sparirono in imbuti di luce.
«Davvero bravi» fece Bryan. Era oltre la barriera, all’interno del laboratorio.
«Maledetto, volevi solo portare Marco dove non potevamo entrare» urlò Tarma.
«Mi sembra di rubare caramelle a dei bambini» li canzonò l’uomo. «Ho impiegato decenni di
ricerche e ho speso un patrimonio per trovare questo posto ma l’unica cosa di cui avevo bisogno
erano due ingenui come voi.»
«Si può sapere chi diavolo sei?» urlò David.
«Ormai non ha più importanza che lo sappiate» si era avvicinato a uno schermo vicino all’ingresso
e iniziò a digitare sulla tastiera. Poi continuò. «Come vi ha detto Valdindin, vi abbiamo usato per
trovare la posizione della base, ma io essendo un essere umano non potevo entrarvi e ho dovuto
aspettare il momento in cui avete disattivato la barriera quattro per far entrare Marco. Per questo
c’erano già molti shofen all’interno, per distrarvi. Valdindin li ha chiamati e la loro presenza è
servita a rallentarvi, perché io arrivassi qui.»
Tarma scattò verso Valdindin ma lui fermò il colpo con la spada che aveva recuperato poco prima.
«Ti sei alleato con un umano? Non credevo che saresti mai caduto così in basso.»
«Tu non puoi capire cosa nasconde la morte di Marco» protestò lui.
«Ecco, ci siamo!» Bryan aspettò a schiacciare invio. «Ho sbloccato i comandi di controllo della
barriera numero due. Appena premerò questo tasto il Gousen-tinsen si disattiverà e tutti gli shofen
vi saranno addosso» disse vedendo che l’intera cupola era ricoperta dalle ombre, come insetti
intorno all’alveare.
«Aspetta, non puoi lasciarmi qui» disse Valdindin. «Uccideranno anche me.»
«Tu non mi servi più» Bryan sorrise. Prese il ragazzo in spalla e dopo aver premuto invio proseguì
verso il centro del laboratorio lasciandoli soli.
La barriera sparì all’improvviso e i lamenti e i versi degli shofen divennero assordanti. Le ombre
caddero verso il suolo come pioggia scura, sorpresi dall’improvvisa sparizione del loro
impedimento.
In pochi secondi il drago venne circondato e non bastò nemmeno il fuoco per fermare quell’ondata
di oscurità. Decine di livello cinque si trasformarono nel livello sei e precipitarono sulla massa
scura per poi avanzare verso di loro.
«Prendi questa» Tarma raccolse da terra la pistola caduta a Marco e la diede al Red Jack. Non
servirà a molto ma spero che ti dia quei secondi in più di vita perché tu possa pensare a quanto sei
idiota.»
Dall’interno del laboratorio suonò una sirena. Lo schermo gigante dove era raffigurata la cartina
del pianeta Terra iniziò a lampeggiare. L’America del Sud divenne una chiazza rossa e la scritta
ALERT riempì la metà superiore dello schermo lampeggiando in rosso.
Marco rimaneva svenuto a terra e Bryan prese un coltello e glielo infilò nel cuore.
«Nooo» urlò William che stava strisciando cercando di raggiungerlo. La luce del suo medaglione
era fioca, quasi spenta come quella di Midnight. «Non dovevi farlo.»
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Fu in quel momento che la terra iniziò a tremare e la risata di Bryan sparì nel frastuono. Estrasse la
lama grondante di sangue e la gettò a terra soddisfatto e facendo qualche passo indietro.
Le pistole esplosero gli ultimi colpi e i tre Guardiani buttarono a terra le armi ormai inutili. Gli
shofen erano più di cinquantamila e neppure trasformati in scheletri le loro tre lame potevano fare
qualcosa. Stavano per essere investiti dalle ombre quando una luce accecante esplose nell’oscurità
della notte.
Il corpo di Marco era in piedi ma il suo volto era deformato. Gli occhi emanavano una luce
intensa. La terra smise di tremare e si sentì solo la voce di Bryan euforica.
«Che abbia inizio l’Apocalisse.»
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WARCHESS 1- LA MOSSA DEL DRAGO
WARCHESS 2- GUERRIERI ETERNI
WARCHESS 3- LA LINGUA CHE NON ESISTE
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