La piscina

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La piscina
La piscina
Arno è sicuro almeno di una cosa: che mai e poi mai si tufferà dal trampolino più alto.
Guarda i suoi compagni che si arrampicano uno dietro l'altro su per la scaletta, si portano fino
all'orlo del trampolino e si buttano giù. Gli schizzi d'acqua raggiungono Arno, che li guarda con
le spalle addossate alla parete. Vede le braccia e le gambe dei tuffatori muoversi veloci
sott'acqua verso la meta. Ma a volte gli sembra di scorgere anche qualcos'altro. Certe sagome
scure di altre cose che abitano sul fondo della piscina, vogliose di afferrare qualcuno per le
caviglie per trascinarlo giù. Arno guarda gli altri ragazzi, li vede tuffarsi e rituf-farsi; vede i
loro corpi lucidi d'acqua issarsi sul bordo opposto della vasca, ridendo allegramente, per
saltar di nuovo da lì dentro l'acqua. Loro non Io sanno. Nessuno lo sa, tranne Arno. E il nonno,
che però è morto da un pezzo. Annegato nella piscina. Un infarto, dicono, ma Arno la sa più
lunga. Non è stato sicuramente un infarto. Qualcos'altro ha rapito nelle sue grinfie la vita del
nonno. Perché il nonno era in forma come un giovane di vent'anni e aveva un cuore da cavallo.
Per questo veniva a nuotare qui ogni mattina. A farsi un bel numero di vasche. Quello, diceva
sempre, era anche un modo per stare un po' coi suoi vecchi compagni. Perché sull'area
dov'era stata costruita la piscina, un tempo si trovava il cimitero dov'erano sepolti tanti
compagni di gioventù del nonno. Ma un bel giorno le tombe erano state portate via e
ricollocate in un altro posto. Un bel posto nuovo, in mezzo al verde.
E ora la piscina era lì da qualche anno, e quando Amo aveva preso il brevetto di nuoto
era ancora un bambino che non rifletteva troppo su tante cose come adesso. Anche allora,
però, aveva provato quella vaga ansietà al momento di entrare in acqua. Così aveva fatto il
possibile per ottenere al più presto quel brevetto, in modo da poter decidere da solo se
nuotare gli piaceva o no.
Da allora, se proprio era costretto a recarsi in piscina con la scuola, Arno si era limitato
a contemplare l'acqua. E aveva scoperto per la prima volta quelle ombre scure, là sul fondo
della vasca. Forme vaghe, invisibili per chi non guardasse con la massima attenzione.
Bisognava socchiudere gli occhi e fissare l'acqua per lunghi minuti, e allora le si vedeva
spostarsi sul fondo, con movimenti quasi impercettibili. Esattamente come adesso. Ecco:
anche stavolta qualcosa si muove sott'acqua. E di sorpresa, prima che Arno possa tirarsi
indietro, il pelo dell'acqua si rompe in due e, con un ruggito, ne affiora un essere. L'onda
s'infrange contro la sponda della piscina e Arno vede due enormi occhi sfavillanti e una testa
calva, verde e bitorzoluta. Artigli di ghiaccio lo afferrano per le caviglie.
«N000! » grida Arno agitando le gambe e gettandosi all'indietro. Due braccia lo
agguantano impedendogli di sbattere la schiena per terra, e lo rimettono in piedi. «Ehi, calma!
Qui si scivola, potevi farti del male ». È la voce dell'insegnante, che prosegue, severa: «Ehi,
Kevin, è molto pericoloso acchiappare a tradimento per le caviglie qualcuno che sta in piedi
sul bordo di una piscina ». «Mi dispiace, prof». Il mostro dalla testa verde e bitorzoluta si issa
fuori dall'acqua, si toglie la cuffia verde da bagno e inforca gli occhialini da tuffi. Le gambe di
Arno sono ancora molli per lo spavento.
« Ragazzi, è quasi finita l'ora: ancora un tuffo, e poi fuori! » ordina l'insegnante. E
camminando lungo il margine della piscina aggiunge: « Fra due minuti, vestirsi! » «
È stato solo uno scherzo, Arno » gli dice Kevin con un'amichevole pacca sulla schiena. «
Fissavi l'acqua con un'aria così trasognata che non ho potuto resistere. Ma non credevo di
spaventarti a quel punto ». Arno scuote la testa. «Non fa niente » dice. «Ero soprappensiero ».
Ma il cuore gli martella ancora.
`È una pazzia' pensa. 'Non so neanche più divertirmi in piscina come gli altri. Mi sto
inventando tutto'.
Kevin posa una mano sulla spalla di Arno. « Vieni con me sul trampolino più alto.
Vediamo chi fa il tuffo più bello ». « Di lassù? » Kevin lo scruta negli occhi. «Ma sì, di lassù: non
dirmi che non te la senti ».
E ora? Se Arno ammette che non se la sente perderà senz'altro la faccia, perché Kevin
andrà a raccontarlo a tutta la scuola. Anche se si comporta da amico, Kevin è una biscia. Non si
lascerebbe mai sfuggire l'occasione di mettere qualcuno in ridicolo.
« Ora che ci penso, Arno, non ti ho mai visto nuotare. Ma ce l'hai il brevetto? » « Sì,
naturalmente». «E allora dai!» Kevin si è già avviato verso il trampolino più alto, e Arno lo
segue esitante, con la sensazione che tutta la piscina stia fissando lui.
Per non pensare a quelle cose che strisciano là sul fondo, non osa neppure guardare
l'acqua. `Stupidaggini' cerca di convincersi. 'Finiamola una volta per tutte con queste
bambinate. Gli altri si tuffano senza problemi e ancora nessuno è stato rapito sott'acqua. E
allora...'
Ciò nonostante, Arno si sente mancare le ginocchia; mentre sale dietro a Kevin la
scaletta che porta al trampolino più alto. Kevin si volta indietro a guardarlo e un sorrisetto
maligno gli guizza sul viso.
Arno continua ancora a non guardare l'acqua sotto di sé. Kevin è già arrivato in cima.
Raggiunge l'estremità del trampolino e saltella su e giù due, tre volte. Il trampolino rimbalza
facendo vibrare anche la scaletta di ferro. «Vado!» grida Kevin, e con un elegante tuffo, il corpo
inclinato a novanta gradi, scompare alla vista di Arno. Arno stringe gli occhi, e un attimo dopo
sente il tonfo del compagno che arriva in acqua. «Sta a te, Arno!» grida Kevin appena riaffiora
in superficie. Visto? Non è successo niente. Neppure Kevin è stato trascinato sott'acqua. «Dai,
Arno, cosa aspetti?»
A questo punto Arno si accorge che un buon numero di compagni di classe stanno a
guardarlo in piedi sul bordo della vasca. Qualche spiritoso ha l'idea di mettersi a scandire il
suo nome, e subito gli altri lo imitano: «Ar-no, Ar-no, Ar-no!» Lo stanno incitando, quei cretini.
Che disgrazia! Ora non ha più scampo.
Terreo in faccia, Arno si trascina sul trampolino, con le braccia e le gambe in preda ai
crampi. `Non guardare giù!' dice a se stesso. 'Chiudi gli occhi e salta. Cerca di non andare
troppo a fondo e nuota subito verso il bordo della piscina. Una cosa da niente'.
« Ar-no, Ar-no! » Le voci dei compagni gli rimbombano nelle orecchie, ma è come se a
chiamarlo fossero quelle cose striscianti sul fondo della piscina. Arno cammina con passo
rigido per quello che gli sem-bra un chilometro, fino al margine del trampolino. Si sente le
gambe come due manici di scopa, la pelle raggrinzita. Le voci gli ronzano forte nella testa.
Ecco, è arrivato, ormai le dita dei piedi sporgono oltre l'orlo della tavola. Sotto di lui si stende
la piscina, una massa d'acqua che gli sembra senza fine. Arno richiude in fretta gli occhi.
Le ha viste, quelle ombre sotto l'acqua! Ora ne è certo. « Ar-no, Ar-no, Ar-no! » « Andate
tutti a vestirvi, e subito! » «Ma professore, Arno deve ancora tuffarsi! » protesta Kevin. «
Peggio per lui, doveva farlo prima! Non voglio vedere più nessuno in acqua. Avanti, agli
spogliatoi! » Gli alunni si allontanano mormorando. « Scendi, Arno! Per la scaletta! » grida
l'insegnante.
Arno quasi non crede alle sue orecchie. È salvo! No è più obbligato a tuffarsi. E mentre
scende veloce a ritroso, avverte la delusione di quegli esseri là sott'acqua avevano sperato che
saltasse giù... Ma ora non è più il caso di pensarci.
«Non osavi, di' la verità! » dice Kevin mentre pedalano insieme dalla piscina alla scuola.
Pioviggina, ma per fortuna sono quasi arrivati. Arno accelera la pedalata. Non gli va di parlare
di quell'argomento, e tanto meno con Kevin. Ma Kevin riesce a stargli al fianco. « Fifone! » gli
sussurra. « Certo che osavo. Ma il prof me l'ha proibito. L'hai sentito anche tu ». « Storie! »
replica Kevin. « Stavi tremando come una foglia. Morivi di paura, ammettilo ». «Va' a quel
paese! » Per liberarsi di Kevin, Arno sbanda verso sinistra tagliando la strada al professore
che sta arrivando in quel momento. «Ehi, guarda dove vai con quella bici, Arno! » esclama.
Kevin sogghigna, ma senza aggiungere altro si porta in vantaggio per sussurrare qualcosa a
Ella. Da sopra la spalla Ella guarda Arno e ridacchia. Il tempo di arrivare a scuola, e Kevin ha
raccontato a mezza classe che razza di fifone è Arno.
«Per fortuna è tutto passato» pensa Arno mentre pedala verso casa. Il resto di quella
giornata è stato una tortura. Mormorii dietro le spalle. Occhiate micidiali. E tutto questo per
quella sua strana paura dell'acqua, che non riesce a spiegare a nessuno. Arno si insulta da
solo. Pezzo d'imbecille. Rammollito.
Ma il nonno, allora? Era stato il nonno a raccontargli di quelle cose nell'acqua. «Ma sei
ancora troppo piccolo per capire » aveva concluso. « Più tardi, quando sarai vecchio come me,
capirai meglio i segreti della vita e della morte. Per ora non pensarci ». Il nonno non aveva
aggiunto altro, ma senza saperlo aveva piantato un piccolo seme di paura nella mente di Arno.
Perché Arno non aveva dimenticato, ma aveva continuato a rimuginare su quelle parole
misteriose, finendo per vedere coi propri occhi quelle forme inquie-tanti sul fondo della
piscina.
Ma — si chiede ora, imboccando la strada dove una volta abitava il nonno — erano
state forse solo parole di un vecchio ancora un po' bambino? Il nonno aveva solo scherzato
per impaurirlo, senza sapere quanto le sue parole l'avrebbero impressionato? Al nonno
piacevano gli scherzi un po' pesanti, come certe parole un po' sconvenienti. Ora che pedala
lungo la stradina stretta, tra le due file di alberi e di piccole case, le sue paure gli appaiono
ridicole. È tempo di liquidarle una volta per tutte. L'anno prossimo, quando sarà alle superiori,
vorrà essere libero da quelle paure infantili. Arno appoggia la bicicletta contro la staccionata
dipinta di rosa fucsia, attraversa il giardino e suona il campanello. Pochi secondi dopo la
nonna gli apre. «Arno, caro piccolo, sei venuto a trovare la tua nonna? Che piacere! » Arno le
dà un bacio. «Non sono più tanto piccolo, nonna. L'anno prossimo andrò alle superiori ». « Sì,
sì » dice la nonna, «ma per me sei sempre il m caro bimbo. Non ti dispiace, vero? » «No, nonna!
»
Dalla piccola anticamera passano nel soggiorno pieno di luce e di verde. Grandi
finestre, molte piante, fichi freschi del giardino. Un televisore dal grande schermo è collocato
quasi al centro della stanza. La nonna matta per le telenovelas, una delle quali è in onda quel
momento. Arno si siede accanto a lei sul divano di vimini. Sullo schermo qualcuno dice: «
Mascalzone! » e sbatte una porta in faccia a un giovanotto in camice bianco da medico.
« Un cioccolatino? » La nonna mette la scatola di cioccolatini sotto il naso di Arno.
«Resti a farmi compagnia mentre guardo? È una delle mie serie preferite. Lei se la intende di
nascosto con lui all'insaputa del marito il quale a sua volta ha una storia con la sua segretaria,
che ha una malattia incurabile. Complicate, eh, queste telenovelas. Bisogna guardare tutte le
puntate per non perdere il filo ».
Arno non la ascolta già più. Guarda pensieroso la foto del nonno, in cornice sul
televisore. Sono già cinque anni che è morto.
«Nonna, ti ha mai detto niente il nonno di certe cose dentro la piscina? » « Cose dentro
la piscina? Che significa? » « Be'... cose che strisciano sul fondo della vasca e tentano di
acchiappare la gente per le caviglie ». La nonna guarda Arno aggrottando le sopracciglia. Poi
prende il telecomando e spegne la TV. «Cosa ti passa per la testa, Arno? Ancora incubi, come
quando il nonno era appena morto? » « Incubi? » «Già. Non te ne ricordi più? » La nonna lo
guarda, seria. « Di notte ti svegliavi di soprassalto e gridavi che
Il nonno era stato trascinato sul fondo da certi mostri invisibili mentre nuotava in piscina ».
Arno non riesce a ricordare niente. Che siano stati proprio quegli incubi l'origine delle
sue paure? « Dunque il nonno è morto davvero d'infarto? »
La nonna gli accarezza i capelli con un sorriso triste. « Sì, purtroppo, bambino mio. È
stato come un fulmine a ciel sereno, perché il suo cuore era fortissimo. Ma il medico l'ha detto
subito: il cuore lo ha tradito ». «E il nonno non aveva mai detto niente di certe cose che... » La
nonna sorride. « Il nonno raccontava tante cose. Gli piaceva inventare delle storie e mi
prendeva sempre in giro. E più invecchiava, più pazze diventavano le sue storie. Io non lo
prendevo mai troppo sul serio. Forse anche a te ha raccontato qualche stranezza ».
Arno ne ha saputo abbastanza. « Devo andare, nonna, altrimenti la mamma sta in
pensiero ». Le dà un altro bacio, e si dirige nell'ingresso. « Ciao, piccolo, hai fatto bene a venire
a trovarmi. Tornerai presto? » « Sì, nonna. Ciao ».
Mentre Arno pedala verso casa, un piano nasce lentamente nella sua testa. Un piano
strategico grazie al quale spera di liberarsi una volta per tutte della sua paura dell'acqua.
L'edificio della piscina si disegna scuro contro il cielo notturno. Dietro i finestroni le
luci sono spente, ma sui vetri si rispecchia il chiaro di luna. Il parcheggio è deserto. Sono le
dieci di notte e la piscina è chiusa da un pezzo. Arno appoggia la bicicletta contro un cespuglio.
Gli è costata molta fatica venir via di casa a quell'ora. Ma a quanto pare la sua scusa (« devo
assolutamente andare a riprendere un libro di geografia da un compagno ») è riuscita
abbastanza convincente. «Non restare troppo in giro » gli ha raccomandato suo padre. « Fa' in
modo di essere a casa per le dieci e mezzo ».
Arno guarda l'orologio. Ancora una mezz'ora. Dovrebbe farcela. Si dirige in fretta verso
un finestrone sul retro dell'edificio. Nella tasca interna del giubbotto ha un cacciavite. La
fessura tra le ante della finestra è abbastanza larga. Arno introduce il cacciavite e la finestra si
apre con un colpo secco. Tutto, per fortuna, sta andando liscio. Arno si guarda rapidamente
intorno. Nessuno in vista, nessuno può aver sentito niente. Si issa aggrappandosi alla cornice,
apre di più la finestra e con un volteggio porta le gambe sul davanzale. Ormai è dentro. Atterra
silenziosamente sul pavimento di piastrelle e si trova nello stretto passaggio dietro gli
spogliatoi. L'odore di detersivi misto a quello del cloro gli fa pizzicare il naso. La luce della
luna illumina a scacchi il pavimento. Arno ascolta, immobile. Silenzio assoluto. Non c'è proprio
nessuno. Allora si dirige in fretta verso il fondo del passaggio, dove si trovano le docce. La
grande vasca è là dietro. Nella mente di Arno s'insinua per un attimo l'immagine di quelle
presenze in agguato nell'acqua, vogliose di tendere le braccia verso di lui per farlo sparire nel
loro tetro mondo subacqueo. Può ancora tornare indietro per la finestra, nessuno saprà mai
che è stato qui. 'Scappa, scappa, fifone' sente Kevin sussurrare. Arno non scappa, ma si dirige
lentamente verso il trampolino più alto. Qui, stasera, liquiderà una volta per tutte le sue paure,
e Kevin potrà andare a farsi benedire.
Arno procede lungo la vasca e la sua ombra scivola silenziosa con lui, rispecchiandosi
sulla superficie dell'acqua. Si ode solo il leggero scalpiccìo delle suole di gomma sul
pavimento. Arno si ferma accanto al trampolino. Si toglie le scarpe, poi i calzini, i jeans, le
mutande, il giubbotto e la camicia.
I gradini di ferro della scaletta sono gelidi sotto le piante dei piedi. Un gradino alla
volta, Arno si arrampica fino a raggiungere il trampolino. Lo specchio d'acqua, di lassù, appare
così perfettamente liscio che è quasi un peccato romperlo, fra un istante. Eppure è necessario.
Un unico tuffo, e Arno sarà liberato per sempre. Attraverserà a nuoto la vasca come un
campione olimpico.
Ecco: mentre tende verticalmente le braccia sulla propria testa, vede dietro i finestroni
gli alberi che circondano il parcheggio e dondolano dolcemente le cime nel vento. Può
sentirne perfino frusciare le foglie. Sempre più forte.
Lentamente Arno si rende conto che quello che sente non è un frusciare di foglie. Del
resto, come sarebbe possibile? Quel rumore sommesso non potrebbe penetrare attraverso le
pareti di vetro e di pietra. Sono dei bisbigli, che crepitano come foglie secche. Voci che
sussurrano il suo nome, lo chiamano soffiandogli nelle orecchie: «Ar-no, Ar-no! »
Arno è immobile, le braccia tese in alto, la pelle bianca che splende nella luce della luna.
Una statuetta di marmo incapace di muoversi tra quei sussurri che si fanno sempre più forti.
Poi delle voci che si rovesciano come un'ondata sopra di lui, si ripercuotono contro le pareti
rivestite di piastrelle, rimbalzano contro il soffitto, si moltiplicano per mille: «Ar-no, Ar-no
arnoarnooo. » È una magica formula d'incantesimo che succhia via dal suo corpo ogni capacità
di resistenza.
Laggiù in basso, sotto di lui, l'acqua s'increspa, forma delle piccole onde, si agita come
se qualcosa salisse con forza su dal fondo, poi schiaffeggia la parete della vasca, tracima sul
bordo. La piscina è diventata un magma selvaggio, schiumante. Arno è in piedi, impietrito, in
un turbine ribollente di vento e acqua. I suoi occhi si abbassano, attratti irresistibilmente
verso l'acqua. Fuori della superficie si levano delle braccia, decine di braccia scorticate,
scheletriche, dalle grinfie rivestite di nudi muscoli, che si tendono graffiando l'aria. Affiorano
in superficie delle teste, crani calvi, orbite vuote, bocche dai denti guasti, che continuano a
proferire il suo nome: «Ar-no, Ar-no, vieni con noi, vieni qui da noi! ».
Arno sa di dover saltare in quell'acqua tempestosa, verso quelle centinaia di teste dalle
bocche spalancate.
Le voci gli riempiono la testa, gli trivellano le orecchie e le narici, gli penetrano in tutti i
pori. E il suo corpo obbedisce al comando. Arno si flette in avanti, i suoi muscoli si tendono,
pronti al salto. Gli artigli fanno cenni d'invito dall'acqua, le voci lo attraggono
irresistibilmente: «Forza, Arno: salta, vieni da noi, per l'eternità ».
«Non farlo, Arno » sussurra una voce. Una mano, una mano leggera sulla sua spalla.
Arno sbatte le palpebre, come appena svegliato dal sonno. Le voci continuano a chiamarlo, ma
ora c'è in loro una sfumatura di dubbio, forse anche di rabbia. E hanno anche cessato di
affollarglisi in testa. Poco a poco gli sembra di poter di nuovo decidere da solo. Si guarda
intorno. Alle sue spalle c'è un vecchio in calzoncini da bagno a fiori, troppo larghi per lui. Arno
inghiotte a vuoto. Una sensazione calda, pungente, dietro le palpebre.
«Nonno? » Il vecchio annuisce, benevolmente. La sua mano è ancora posata sulla spalla
di Arno. «Arno, avanti, salta! » lo incalzano le voci. Il nonno scrolla gentilmente la testa. I suoi
capelli bianchi sono un'aureola luminosa. Con la mano libera gli fa un cenno.
«Non ascoltarli, Arno. Non andarci. Il tuo posto è là in mezzo. Loro sono morti e tu sei vivo ».
Arno deglutisce di nuovo. Vede il nonno attraverso Io velo di lacrime. È proprio lui. È la sua
faccia, rugosa e gentile. I suoi limpidi occhi celesti. I capelli bianchi contro i quali Arno, da
piccolo, premeva così volentieri le guance.
«Nonno, allora non sei morto! E io che pensavo... » Poi aggrotta le sopracciglia. Ma
dov'è stato il nonno in tutti questi anni? Nascosto da qualche parte? Perché non si è mai fatto
vivo? Mai una lettera, una cartolina di auguri per il suo compleanno. E che cosa ci fa qui il
nonno, a quest'ora, in calzoncini da bagno? È entrato di soppiatto anche lui? A un tratto Arno
si rende conto di esser nudo come un verme, lì sul trampolino. Vulnerabile, indifeso. Laggiù,
sotto di lui, l'acqua forma dei mulinelli, schiaffeggia le sponde della vasca. Voci fioche e rauche
continuano a chiamarlo. Arno si guarda intorno con gli occhi sbarrati, pieni di sgomento. «
Vieni con me » gli dice il nonno, e lentamente riconduce Arno verso la scaletta. Con prudenza,
come se cercasse di dissuadere un aspirante suicida di gettarsi dall'alto di una torre. Un
gradino alla volta, senza fretta, i due arrivano in basso.
«E ora vestiti » dice il nonno quando sono ai piedi della scaletta. Arno raccoglie in fretta
i suoi indumenti, sbirciando di lato. «Non guardarli! E non ascoltare quel che ti dicono ». «
Ma... chi sono?» sussurra Arno infilandosi i jeans. « Zombie? » « Qualcosa del genere »
risponde il nonno. « Sono i morti che una volta se ne stavano sepolti qui. Sono adirati e
vogliono vendicarsi. Vendicarsi dei vivi che si divertono sul luogo del loro riposo, e fanno
chiasso, e disturbano la loro quiete ». «Ma perché vogliono proprio me? » Il nonno guarda
Arno con occhi pieni di compassione. «perché tu li hai visti. Possono adescare soltanto quegli
esseri umani che riescono a vederli, che avvertono la loro presenza ». Gli occhi del nonno si
velano di tristezza. «È tutta colpa mia. Sono stato io a raccontartelo, a metterti in condizione di
vederli ». Il nonno guarda l'acqua da cui continuano a uscire delle grida. « Sbrigati, Arno » dice
un po' ansioso. Arno si allaccia le stringhe delle scarpe e s'infila il giubbotto. «Ma allora tu... tu
li vedevi davvero? » Il nonno annuisce. «Ero già anziano, bambino mio. Pensavo molto ai miei
vecchi amici. Andavo spesso a trovarli al cimitero. E dopo, quando ci hanno costruito la
piscina, sono venuto ogni giorno a nuotare nello stesso posto. Forse sono stato io stesso a
evocarli, a riportarli qua ».
Un'onda bagna le gambe di Arno. Un volto, una spaventosa maschera di ossa e brandelli
di pelle, e per bocca un buco da cui si riversa un fiotto d'acqua, si affaccia oltre l'orlo della
piscina. « Ar-no » rantola una voce che non ha nulla di umano, poi un braccio dello zombie si
allunga tentando di afferrare Arno per una caviglia. Altre braccia emergono dall'acqua.
« Corri, Arno » grida il nonno. « Va' via di qui, stanno per venir fuori! » Arno
indietreggia con un balzo e corre verso l'uscita, sdrucciola sull'acqua strabordata dalla vasca,
si rimette freneticamente in piedi, ansimando. Quando si volta a guardare, vede il nonno in
piedi, immobile. Tre zombie si sono già arrampicati oltre il bordo della vasca e barcollano
verso di lui, tentennando le teste. «Presto, nonno, vieni, altrimenti ti prendono! » Il nonno
scuote la testa. «Non lo faranno, bambino mio » risponde con una voce infinitamente triste. «
Io sono uno di loro ».
E di colpo al posto del nonno c'è uno zombie da guance scavate e le orbite vuote. Da un
paio di calzoncini da bagno troppo larghi spuntano due gambe stecchite. Uno zombie in
calzoncini da bagno a fiori è tuto quel che rimane del nonno.
Arno caccia un urlo e fugge, oltrepassa il locale delle docce, corre lungo gli spogliatoi
per lo stretto corridoio. Incespica, si rialza. Può già vedere la finestra all'estremità del
corridoio. Sente dietro di sé lo scalpicciare degli zombie sul pavimento di piastrelle. Voci
lamentose, piangenti, gridano il suo nome, ma sembrano farsi sempre più fioche. Più cadendo
che correndo Arno raggiunge la finestra ancora semiaperta. La fresca aria della notte penetra
all'interno. « Ar-no, Ar-no! » chiamano le voci dall'interno de piscina.
«Andate a quel paese! » esclama Arno fra i denti. Poi si issa sul davanzale, spinge il
battente della finestra e cade a capofitto nei cespugli. Sente qualcosa graffiargli il braccio
sinistro e urla di nuovo. Ma non ha tempo di pensare al dolore: in qualsiasi momento delle
orribili mani potrebbero apparire dalla finestra. Reggendosi il braccio con la mano destra,
Arno si dirige barcollando verso la sua bicicletta, e con dita tremanti infila la chiave nel
lucchetto. La ferita brucia da impazzire. Arno si issa a fatica sul sellino, poi si volta a guardare
la finestra. Non si nota nessun movimento, e il silenzio è totale. Che si siano arresi?... E il
nonno? É davvero uno di loro? Il nonno lo ha salvato, lo ha trattenuto dal saltare in acqua. Ma
è poi successo davvero? Sono troppe le domande che turbinano nella sua testa.
Una mano gli afferra una spalla. Arno sussulta. « Calma, giovanotto. Cosa ci fai qui a
quest'ora? piscina è chiusa ». Alle spalle di Arno c'è un agente, e un po' più in là c'è un'auto
della polizia. Arno era così immerso nei suoi pensieri che non l'ha neppure sentita arrivare.
Vorrebbe dire qualcosa, ma una fitta lancinante al braccio ali contrae il viso in una smorfia di
dolore. «Ehi, cosa ti sei fatto? » chiede sorpreso il poliziotto. «Quel braccio è piegato
stranamente, figliolo. E fratturato. Com'è successo? » « Sono caduto » mugola Arno. Il
poliziotto non perde tempo. Carica la bicicletta di Amo nel portabagagli dell'auto, fa sedere
Arno al suo fianco e ingrana la marcia, alla volta dell'ospedale.
Tre giorni dopo, Arno siede accanto alla nonna sul divano di vimini, col braccio sinistro
ingessato. Ne avrà per almeno due mesi. Il che significa che per dieci settimane non dovrà
andare in piscina con la classe. I suoi genitori si sono presi un colpo quando il poliziotto lo ha
riportato a casa col braccio ingessato. Una caduta dalla bicicletta, si era limitato a dire Arno,
tacendo su tutto il resto. Ha riflettuto a lungo, e ha concluso che non è accaduto veramente.
Quel che ha visto in piscina è stato frutto della sua immaginazione, nient' altro. `Ho sognato'
pensa. 'Sognato a occhi aperti. Quando mi sono trovato lassù sul trampolino ho avuto tanta
paura che ho cominciato a vedere strane cose. E la cosa più strana di tutte è stata l'apparizione
del nonno con quei calzoncini da bagno a fiori'.
Neppure alla nonna ha raccontato niente. «Un cioccolatino, caro? » gli sta dicendo
mettendogli la scatola sotto il naso. Con la mano libera, Arno ne prende uno. « Sai » dice la
nonna, « anche qui è successa una cosa strana, la stessa sera che sei caduto di bicicletta ». « Ah
sì? » chiede stupito Arno. « E che cosa? » «Be', quella sera, saranno state le dieci, ho sentito un
rumore curioso. Una specie di scalpiccìo in camera letto. Ho preso la scopa e sono andata a
vedere. Oggi. giorno i ladri sono così sfacciati da derubare delle vecchiette sole, così, ho
pensato, non si sa mai ». « Ed era un ladro? » La nonna scuote la testa. «No! Non ho visto
nessuno, però mi è proprio sembrato di aver sentito dei passi, molto leggeri. E la tenda
davanti alla finestra dondolava un po'. Ma sarà stata una mia fantasia ». « Già. La fantasia, a
volte, può essere un problema » dice Arno.
« Ma sai qual è il fatto più strano? » dice la nonna. « Il giorno dopo ho notato che era
sparito qualcosa ». « Davvero, nonna? Che strano ». La nonna annuisce. «Era una cosa che non
poteva certamente interessare a un ladro, eppure è sparita proprio da quella sera: i vecchi
calzoncini da bagno de nonno, quelli a fiori. Erano troppo larghi, eppure lui an-dava sempre a
nuotare con quelli. Gli piacevano tanto. A volte » prosegue sorridendo, «penso che sia stato il
nonno, quella sera, a tornare qui per riprendersi quei cal-zoncini. Forse ci era così affezionato
da non poterne fare a meno. Lo trovo un pensiero tanto dolce! » Arno è rimasto senza fiato. Lo
assale una sensazione di vertigine. La stanza si mette a girare davanti ai suoi occhi. « Che c'è,
Arno? » esclama preoccupata la nonna. « Tutt'a un tratto sei diventato bianco come quel gesso
sul tuo braccio. Cosa ti succede? Ar-no, Ar-no! »