Lo sciopero di gennaio 1944 alla Ercole Comerio di Busto Arsizio

Transcript

Lo sciopero di gennaio 1944 alla Ercole Comerio di Busto Arsizio
Lo sciopero del 10 gennaio 1944 alla Ercole Comerio di Busto Arsizio
Sei operai a Mauthausen
Sciopero! Una parola che ora si sente spesso pronunciare al telegiornale, un diritto acquisito, una
normalità. Negli anni della seconda guerra mondiale era proibito fare sciopero, nelle fabbriche del nord
Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 scioperare significava compiere un atto di sabotaggio e di
conseguenza rischiare la vita. E allora, cosa è accaduto dalle nostre parti? Per esempio a Busto Arsizio?
Due fabbriche simili
A Busto esisteva un’azienda fondata nel 1885, inizialmente nata come supporto alle numerose industrie
tessili del bustocco per riparare i macchinari, poi sviluppatasi con una propria produzione di macchine per
l’industria cotoniera per tintoria, candeggio, stampa e di calandre, impiegate anche nei settori della gomma
e della carta. Si tratta della Ercole Comerio, sita, negli anni della seconda guerra mondiale, in via Silvio
Pellico.
Anche a Legnano era nata una grossa azienda in circostanze simili: la Cantoni-Krumm sorta nel 1874 per
aggiustare i telai della Cantoni si è trasformata nel 1881 nella Franco Tosi, fabbrica metalmeccanica
specializzata anche attualmente in caldaie e turbine per impianti elettrici e motori, soprattutto per le navi.
Ercole Comerio era stato operaio alla Cantoni-Krumm e queste due aziende avevano un’altra cosa in
comune: durante le due guerre mondiali erano state entrambe convertite in industrie belliche.
Perché scioperare?
Le condizioni di vita particolarmente dure, il cibo scarso, le paghe basse, più basse rispetto a Milano, le
pessime condizioni di lavoro, le pressioni che subivano gli operai soprattutto nelle industrie legate alla
guerra avevano fatto nascere spontaneamente già a marzo 1943 scioperi in parecchie aziende del nord
Italia. A Busto Arsizio avevano scioperato gli operai della Venzaghi e della Comerio.
Dopo la caduta del fascismo avvenuta il 25 luglio 1943 in tutte le città italiane si festeggia. Due giorni dopo,
il 27 luglio gli operai della Ercole Comerio, guidati dalla Commissione Interna che si è ricostituita, scendono
in sciopero: vogliono che i quattro dipendenti fascisti vengano allontanati dall’azienda. La fabbrica viene
presidiata, un gruppo di lavoratori viene messo al muro e tenuto sotto tiro da un plotone di bersaglieri.
Intanto si tratta e si ottiene l’allontanamento dei quattro. Rientreranno in fabbrica, tuttavia, dopo
l’armistizio dell’8 settembre ‘43.
Questa data non colse impreparati i tedeschi che già erano presenti in forze nel nostro paese. E’
impressionante una fotografia del 10 settembre che ritrae un carro armato tedesco (della Leibstandarte
Adolf Hitler) e sullo sfondo il Duomo di Milano. Il 12 settembre il Comando Germanico del III Reich occupa
tre dei sei raggi del carcere di San Vittore di Milano e il 17 dello stesso mese emana una serie di norme e
disposizioni secondo le quali le fabbriche passano sotto la diretta amministrazione della RUK (Ruestung und
Kreigproduction) e le aziende di importanza bellica, quali la Comerio e la Tosi, dovranno sottostare alla
“protezione delle autorità germaniche”, rappresentate dal generale delle SS Otto Zimmermann.
La Resistenza in fabbrica
Inizia in quel periodo la Resistenza legata alle fabbriche, i rappresentanti della Commissione Interna della
Comerio di Busto Arsizio collaborano con quelli della Franco Tosi di Legnano, con Saronno, con Gallarate,
con il gruppo legato ai legnanesi fratelli Venegoni, si formano i “Comitati di agitazione”, i gruppi di difesa
armata delle fabbriche, il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), nascono le SAP (Squadre di Azione
Patriottica) delle Brigate Garibaldi. Brevi interruzioni di lavoro, rallentamenti intenzionali, sabotaggi furono
concertati ed attuati in tutto il nord Italia ed anche alla Ercole Comerio e alla Tosi finché in dicembre si
passò ad uno sciopero vero e proprio per ottenere, ancora una volta, l’aumento dei salari, equiparandoli a
quelli di Milano, e stavolta anche un pacco con viveri o tessuti o scarpe ed il pagamento delle ore di
sciopero con una quindicina del salario una tantum da corrispondere con la paga di dicembre. Si chiede
inoltre la sostituzione dei quadri del Sindacato Unico Fascista. Alla Comerio si raggiunge un accordo. A
gennaio ’44 però gli operai rientrano in sciopero perché le promesse della Direzione erano state del tutto
disattese. Il Generale Zimmermann in precedenza aveva affermato “che egli aveva possibilità di schiacciare
tutti ma che il suo intento era quello di veder il lavoro ripreso nella tranquillità generale; pertanto invitava
gli industriali a tenere nel giusto conto le esigenze economiche delle maestranze” e ora aveva deciso di
schiacciare, proibendo qualunque concessione agli operai.
La storia si ripete
Il 5 gennaio alla Franco Tosi di Legnano la Commissione Interna era giunta in tarda mattinata ad un accordo
con la Direzione ma verso le due del pomeriggio avevano fatto irruzione i tedeschi con alla guida
Zimmermann e avevano messo al muro un’ottantina di persone, poi portate in camion direttamente al
carcere di San Vittore a Milano. Nei giorni seguenti un poco alla volta molti erano stati rilasciati, ma non
tutti e la cosa aveva fatto scalpore in zona. Dopo il 5 gennaio si scioperava ma si aveva paura, molta paura,
tanto che il 9 due partigiani ex-dipendenti della Comerio entrati in clandestinità, Genellina e Michele
Riganti, si sono presentati in fabbrica a nome del CLN di Busto per chiedere alla Direzione spiegazioni del
mancato aumento ma anche per chiedere alle maestranze di sospendere lo sciopero, per cautela.
Purtroppo non venne dato loro ascolto ed il giorno seguente si notò in fabbrica una strana assenza:
mancavano il sottufficiale delle SS Mattias Franzen ed il colonnello dell’esercito italiano che controllavano
sempre la produzione.
In mattinata, la Comerio venne circondata da mezzi corazzati tedeschi che fecero irruzione, intimando
sotto la minaccia delle armi, di riprendere immediatamente il lavoro. Con un altoparlante vennero scanditi i
nomi degli appartenenti alla Commissione Interna. Se si fossero fatti avanti, gli altri non avrebbero subito
conseguenze. Nessuno si mosse. Allora vennero presi a caso alcuni operai e messi al muro. I tedeschi, come
avevano fatto alla Tosi, iniziarono la caccia all’uomo e cinque membri della Commissione finirono al muro,
con gli altri operai. Solo Luigi Casola riuscì a nascondersi e non lo trovarono. Infine venne messo al muro
anche Melchiorre Comerio, figlio del Presidente Ercole.
Verso mezzogiorno Zimmermann rinnovò la proposta di tornare al lavoro: “Chi lavora mangia, chi non
lavora non mangia” e fu a questo punto che il gruista della Comerio, Alvise Mazzon, seduto sulla propria
gru, fece un gesto che significava “Oh, finalmente si mangia!” ma che venne interpretato dal tedesco come
un gesto di sfida. Anche Alvise finì al muro sotto la minaccia delle armi. Intanto fuori la gente aveva capito
che stava succedendo qualcosa. “Ho ancora segnato nella memoria le sequenze dell’arresto, i volti, il
dispiegamento dei mezzi nazisti in città e all’interno della Comerio, la disperazione delle famiglie accorse nei
pressi della fabbrica” ricorda Angelo Castiglioni, partigiano, ex-deportato a Flossenbürg ed ex-presidente
ANPI di Busto Arsizio (in Cosimo Cerardi, “Gli scioperi del 1943-1944 a Busto Arsizio”).
Il bastone e la carota
Per sedare gli scioperi di dicembre si era usato il metodo gentile, per gennaio Zimmermann aveva avuto
ordine di usare la violenza. Di punto in bianco i tedeschi abbandonano la fabbrica, portandosi dietro sette
uomini che vengono incarcerati a San Vittore a Milano. Vittorio Arconti, Giacomo Biancini (decorato con
medaglia d'argento nella Grande Gueera), Arturo Cucchetti, Ambrogio Gallazzi, Guglielmo Toia, che
facevano parte della Commissione Interna, Alvise Mazzon e Melchiorre Comerio. Dopo una settimana il
Comerio viene rilasciato mentre gli altri a marzo vengono inviati al lager di Mauthausen, in Austria, vicino a
Linz e trasferiti poi in sottocampi collegati (Gusen, Ebensee, Melk). Solo Biancini, Toia e Mazzon torneranno
vivi, ma quest’ultimo morirà pochi anni dopo di malattia per le conseguenze della deportazione.
“Arconti Vittorio – si legge sulle conclusioni del testo di Ernesto Speroni “Deportazione della Commissione
Interna della Ditta Ercole Comerio”, redatto in forma di copione teatrale – morì di stenti e venne avviato ai
forni crematori. Cucchetti Arturo venne visto l’ultima volta entrare in infermeria e da lì nessuno usciva più se
non per essere portato ai forni crematori. Gallazzi Ambrogio venne sbranato dai cani durante un allarme
aereo. I tedeschi glieli aizzarono contro perché, stremato, era rimasto indietro rispetto agli altri suoi
compagni di sventura mentre si recavano nel rifugio antiaereo.”
L’eredità e l’augurio degli uomini della Resistenza
Sciopero nel 2016 significa perdere l’equivalente di una giornata di lavoro in busta paga, sciopero il 5
gennaio 1944 alla Franco Tosi a Legnano e il 10 gennaio 1944 alla Comerio di Busto Arsizio hanno significato
perdere molto di più: la libertà e la vita.
Angelo Castiglioni ci invita ad una riflessione: “l’insurrezione decretò la fine del regime fascista e la dipartita
del suo alleato, l’esercito nazista. … Qualcosa di nuovo per noi, ma soprattutto per le generazioni future
stava per nascere. … Una Repubblica in cui uomini liberi avrebbero potuto scegliere liberamente il proprio
futuro, una Repubblica il cui inizio era costato tante sofferenze e atrocità e aveva alimentato tante
speranze. Questo è quanto lasciamo noi uomini della Resistenza in eredità ai giovani, con l’augurio che
tutto questo non venga mai più dimenticato e che lo ricordino insieme, i giovani di oggi con i giovani di
allora.”
Renata Pasquetto e Giancarlo Restelli
- La Marcia della Memoria a Busto Arsizio, 27 gennaio '15
https://www.youtube.com/watch?v=GUR5YUn7tp8
- Associazione "Amici di Angioletto" (a tutela della Memoria)
http://associazioneangioletto.altervista.org/index.html

Documenti analoghi

Episodi della resistenza a Busto

Episodi della resistenza a Busto diverse percorsi: le donne-staffetta sono incaricate di recapitare i pacchi a destinazione andando in ferrovia per Novara o in bicicletta; in alternativa il materiale veniva depositato presso la Ca...

Dettagli

il percorso della liberta

il percorso della liberta accompagnano la colonna davanti alla fabbrica ma se ne restano fuori a presidiarne il perimetro. Dentro intanto un ufficiale delle SS con un altoparlante ordina agli operai di riprendere a lavorare...

Dettagli