la revisione costituzionale

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la revisione costituzionale
LA REVISIONE COSTITUZIONALE
Ossia, come intervenire sulle fondamenta di un enorme palazzo senza farlo crollare
(a cura di Francesco Dalla Balla)
FONTI
NORMATIVE
FONTI
NORMATIVE
Costituzione:
70 – 70
75 –– 71
76 –– 73
77 – 138 – 139
Costituzionet. artt.
L’occhio sull’attualità…
«Dobbiamo eliminare il senato per come lo conosciamo. Questa riforma è la chiave di tutto
Matteo Renzi, da “Europa”
«Entro il 25 maggio dobbiamo approvare la riforma istituzionale in prima lettura».
Matteo Renzi, da Il Sole 24 Ore, 18/03/2014
«Dovremo arrivare a quelle riforme della Costituzione che sono necessarie perché la Carta è una legge fatta
molti anni fa sotto l’influenza della fine di una dittatura e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate che
hanno guardato alla Costituzione russa come a un modello da cui prendere molte indicazioni».
Silvio Berlusconi (FI), Corriere della Sera, 07/02/2009
«Costituzione vecchia, è da buttare».
Silvio Berlusconi (FI),da l’Unità, 09/04/2011
«La riforma costituzionale sul semipresidenzialismo è la riforma delle riforme».
Angelino Alfano (NCD), su www.pdl.it
«I deputati del M5S hanno occupato, venerdì sera, il tetto della Camera dei Deputati come protesta contro il
Ddl per le riforme costituzionali in discussione in queste ore a Montecitorio. I dodici deputati 5 Stelle hanno
esposto uno striscione «6X8» calandolo sulla facciata di Montecitorio. La scritta riportata è: «La
Costituzione è di tutti» […][e] sostengono che “si sta scardinando l'articolo 138 della Costituzione”».
Da www.corriere.it, 06/09/2013
«Siamo di fronte a un bivio: procedere con la chiusura della legislatura, attraverso il voto anticipato, o
trasformarla in una legislatura costituente».
Matteo Renzi alla Direzione Pd, 13/03/2014
«Quella che si apre a marzo deve essere una legislatura costituente».
Enrico Letta, Europa, 12/02/2013
«La prossima legislatura sarà costituente».
Pierluigi Bersani a Il Sole 24h, 30/10/2012
Monti: «Prossima legislatura costituente per riforme. La priorità riduzione numero parlamentari e
semplificazione leggi».
Da La Stampa, 02/01/2013
«Auspico che si cominci a realizzare una legislatura costituente».
Renato Schifani (allora Presidente del Senato), 30/07/2009
«Ci sono le condizioni per una legislatura costituente».
Gianfranco Fini (allora Presidente della Camera), 29/07/2008
Violante [allora Presidente della Camera n.d.a.] apre alla Costituente: «Ripartiamo dal disegno di legge per
la Costituente […] presentato al Senato. Se passa bene, altrimenti si proceda con l' articolo 138 o la
Bicamerale».
Da la Repubblica 31/07/1997
Proviamo ad insinuarvi qualche dubbio…
 Si può modificare qualsiasi parte della Costituzione? E il legislatore, nel rispetto del procedimento
stabilito, è libero anche di sovvertirla, sopprimendo le libertà civili ed i diritti fondamentali da essa
tutelati?
 Perché se la riforma è approvata in seconda lettura con maggioranza di 2/3 non si può dar luogo a
referendum? Supponiamo che un legislatore, reso folle dall’enorme consenso che gli ha consegnato i 2/3
dei parlamentari, decida di riscrivere la legge fondamentale dello Stato, che possibilità rimangono ai
cittadini per impedirlo?
 Perché il referendum costituzionale non prevede un quorum strutturale?
 Il Presidente della Repubblica può rifiutarsi di firmare una legge costituzionale? E se firma una legge di
revisione costituzionale contraria ai principi fondamentali ed inderogabili della Carta (c.d. “principi
supremi”), è passibile di essere incriminato per “attentato alla Costituzione”?
 La Corte costituzionale può giudicare la costituzionalità di una legge costituzionale?
 Perché tra le forze politiche, da destra a sinistra, (quasi) tutti auspicano una “legislatura costituente”? È
così antiquata la nostra Carta?
Inquadramento costituzionale
La revisione costituzionale e le “altre leggi costituzionali” trovano la loro pressoché integrale disciplina nella
Costituzione, sia sotto il profilo del procedimento che dei limiti di contenuto.
A quest’ultimo riguardo, però, la Costituzione, all’art. 139, ci dice soltanto che “la forma repubblicana non
può essere oggetto di revisione costituzionale”: espressione che può volere dire tutto e niente. È chiaro
come questo articolo affondi le radici nel risultato del referendum che, il 2 giugno 1946, decretò la nascita
della Repubblica e la fine della Monarchia. Ed è questa anche l’impostazione che emerge dai lavori
dell’Assemblea costituente, che infatti videro, sul punto, la strenua opposizione delle rappresentanze della
destra monarchica. E quindi? Significa forse che la Costituzione rende in assoluto non restaurabile la
Monarchia, fornendo alla Repubblica un carattere permanente che soltanto una rivoluzione potrà
sovvertire? O, al contrario, essendo l’opzione repubblicana frutto di una scelta referendaria, la Carta
impone che solo una nuova consultazione popolare a possa riformarne la decisione? O, ancora, più
semplicemente, ciò comporta esclusivamente la necessità di una doppia revisione: prima l’eliminazione del
limite di cui all’art. 139 con legge costituzionale, poi la modifica?
In buona parte, sono interrogativi destinati a rimanere tali: non esiste, al momento, una soluzione del tutto
univoca e condivisa, anche se ad oggi la dottrina prevalente tende ad escludere la strada della “rivoluzione”
e si concentra, piuttosto, sulla ipotetica praticabilità di procedimenti istituzionali compatibili con l’assetto
fondamentale della Carta.
Ad ogni modo, già dai primi anni dopo l’avvento della Costituzione si comprese che “forma repubblicana”
non poteva intendersi soltanto come limite alla restaurazione monarchica: repubblica è anche sinonimo di
democrazia e sovranità popolare. Viene così valorizzato il legame tra l’art. 139 e l’art. 1, tra il primo e
l’ultimo articolo della Carta costituzionale, sulla base di un orientamento già autorevolmente rappresentato
in Costituente.
La questione dell’interpretazione dell’art. 139 è, però, passata in secondo piano, allorquando la Corte
costituzionale (conformandosi peraltro ad alcune tesi dottrinali) ha ritenuto di leggere tra le righe della
Carta i cosiddetti “principi supremi”, un nuovo, diverso limite alla revisione costituzionale, dotato di una
rilevanza pragmatica enorme, tanto fondamentale quanto arcano e foriero di interrogativi.
Siamo nel 1988 e la Corte sta valutando se la previsione, da parte dello Statuto speciale della Regione
Trentino-Alto Adige, di un’immunità per le opinioni espresse dai consiglieri provinciali violi l’articolo 3 Cost.
(principio di uguaglianza). L’antefatto in sé non è certo di importanza cruciale (un consigliere bolzanino
aveva vilipeso la bandiera) e il rinvio del giudice a quo è comunque così mal scritto e mal argomentato da
portare alla declaratoria di inammissibilità della questione di legittimità. Quella che ne esce, però, è una
sentenza dall’efficacia deflagrante, divenuta ad oggi pietra cardine del nostro sistema costituzionale, punto
di snodo fondamentale tra il principio democratico e l’equilibrio dei poteri, anche se ancora non chiarito in
tutte le sue sfaccettature.
L’Avvocatura dello Stato aveva infatti obbiettato che la Consulta non poteva giudicare leggi costituzionali (si
ricordi che gli statuti regionali speciali hanno questa caratteristica) e i giudici delle leggi colgono l’occasione
non soltanto per dire che ciò non è vero (l’art. 139 Cost., dicono, ne è la dimostrazione), ma anche per
affermare che al di là dei limiti “espliciti” affermati dalla stessa Carta “la Costituzione italiana contiene
alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale
neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali […], pur non essendo
espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale,
[perché] appartengono all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”.
Ma quali sono questi valori? Non c’è infatti una “tipizzazione” (vale a dire una lista tassativa) di principi
supremi capace di guidare l’interprete; spetta perciò alla stessa Corte definirli, di volta in volta, nel suo
insindacabile giudizio.
È facile comprendere come, così facendo, la Consulta si è attribuita un potere enorme, che comprime in
maniera drastica, ma incerta, le possibilità di revisione nelle mani del legislatore. Ma non è solo il
legislatore ad uscirne limitato: ciò che la Corte nei fatti impone con l’affermazione dell’immodificabilità è il
divieto al popolo stesso (formalmente sovrano) di disporre di taluni principi e di parte della propria
Costituzione, attraverso il limite stabilito all’azione dei suoi rappresentanti. Un limite che è la Corte stessa,
organo slegato dal circuito democratico-rappresentativo, a definire (come detto, manca un “elenco dei
principi supremi”) e a garantire; una natura che, come sostenuto da taluno in dottrina, la pone come un
organo quasi al limite del principio democratico.
E per fortuna, potremmo dire. Gli equilibri politici sono transeunti, volubili, strettamente relativi, il
consenso è spesso facile, la repressione del dissenso possibile (e infatti già sperimentata); i principi invece
sono duraturi, frutto di una lunga e sanguinosa conquista, con una natura stabile che prescinde dal
momento contingente, dalle generazioni, dalle etnie e dalla cittadinanza. I traguardi di civiltà, d’altra parte,
possono essere lunghi e faticosi da raggiungere, ma può volerci poco (e la storia lo ha dimostrato) per
frantumarli. I principi fondamentali sono non soltanto questione di assetto istituzionale del Paese (che è
mutevole e calato nel proprio tempo), ma anche di responsabile eredità tra generazioni. Non è infatti così
inverosimile, del resto, che una maggioranza politica, sfruttando la forza dell’intimidazione, orienti il
risultato di un referendum o imponga una legge elettorale (che, si ricordi, è una legge ordinaria) che le
garantisca la maggioranza dei 2/3 in Parlamento.
La presa di posizione della Corte, poi, fa da contraltare alla previsione della Carta secondo cui la legge
costituzionale approvata dalle Camere, in seconda lettura, con la maggioranza dei 2/3, non può essere
oggetto di referendum: se così non fosse l’eventuale maggioranza politica dei 2/3 (raggiunta mediante
esplosione di consenso, accordi politici, meccanismi elettorali) avrebbe un potere amplissimo, slegato da
quel sistema di pesi e contrappesi (checks and balances) che caratterizza lo stato di diritto.
Cosa ne penserebbe il Costituente? Non lo sappiamo; sappiamo però che dal dettato della Carta traspare
una certa sfiducia nella volontà delle “masse”; l’interpretazione dell’art. 139 resa dalla Corte non appare,
perciò, così distante da quell’esigenza di “protezione del popolo da se stesso”, che ha guidato i Padri e le
Madri del 1948 in molte delle loro scelte ed in riferimento ad altri istituti che già si è avuto modo (e che si
avrà ancora modo) di ricordare.
Ciononostante, quello dei principi supremi resta un punto estremamente problematico: quali sono questi
principi supremi, quale il criterio per definirli, come può il legislatore legiferare in materia costituzionale
nell’incertezza di ciò che può o non può modificare? Sono interrogativi che restano insoluti ed ancor più
controverso rimane il nodo tra costituzione materiale e principi supremi: l’interpretazione di un principio, la
sua preminenza rispetto ad altri ed il bilanciamento tra valori contrastanti (in pratica, la stessa
qualificazione come “supremo”), rimangono questione relativa, di interpretazione, sensibile ai tempi ed alle
scale valoriali che con essi cambiano. Come si possono affermare l’assolutezza e l’intangibilità dei principi
supremi, se la loro individuazione è legata ad una cosa volubile, oscillante e relativa come l’interpretazione?
Alcuni principi supremi
In pratica, ad oggi, dopo quasi 25 anni dalla sentenza del 1988, possiamo rifarci soltanto alla giurisprudenza
della Consulta per l’individuazione dei principi ritenuti “supremi”, di volta in volta emergenti nelle decisioni.
Tuttavia è necessario prestare particolare attenzione nell’analisi delle sentenze, soprattutto in riferimento a
quelle precedenti il 1988, scartando quelle in cui l’espressione è stata utilizzata in modo inappropriato.
Secondo un’autorevole ed accreditata lettura della giurisprudenza della suprema Corte1, andrebbero
ricondotti al novero dei principi supremi la sovranità popolare (art. 1), l’ordinamento democratico (che
deve ritenersi comunque tutelato, come detto, alla luce dell’art. 139 Cost.), il principio di uguaglianza (art.
3), il diritto di difesa giurisdizionale, il principio di laicità dello Stato…
Altri limiti alla revisione costituzionale
Oltre a quanto detto sopra, dottrina e giurisprudenza hanno tratto dall’interpretazione della lettera della
Carta ulteriori limiti.
Si ritengono insuscettibili di revisione costituzionale i diritti della persona umana che l’art. 2 Cost. definisce
“inviolabili” (libertà e segretezza delle comunicazioni, identità personale e sessuale, diritto alla salute,
diritto al lavoro…). Appare idonea a rappresentare un limite alla revisione costituzionale anche
l’“indivisibilità” della Repubblica di cui all’art. 5.
Più esplicito pare l’art. 132 che autorizza la costituzione di nuove regioni mediante legge costituzionale,
fissando però un limite “minimo di un milione di abitanti”.
1
Commento all’art. 139 in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI, “Commentario alla Costituzione”, Utet, Torino.
Il procedimento di revisione costituzionale: schema riassuntivo
Una scaletta logica
 La revisione costituzionale ed altre leggi costituzionali
o La natura rigida della Costituzione
o Le fonti di rango costituzionale (→ art. 138)
 Leggi di revisione
 Altre leggi costituzionali
o Il procedimento e il “doppio binario”
 Prima lettura (magg. relativa)
 Intervallo
 Seconda lettura
 Maggioranza assoluta
 Maggioranza 2/3 (→ art. 138, comma 3)
o Referendum sospensivo (art. 138, comma 2)
 Efficacia sospensiva
 No quorum strutturale
 Modalità di attivazione
o Limiti alla revisione costituzionale
 Il limite esplicito dell’art. 139
 Repubblica/monarchia
 Principio democratico
 I principi supremi (→ sent. cost. 1146/1988)
 Pregi e difetti dell’interpretazione della Corte
 Alcuni principi supremi (→sovranità popolare, uguaglianza, laicità…)
 Altri limiti
 Art. 2 e i diritti “inviolabili”
 Art. 5 e la repubblica “indivisibile”
 Art. 132 e il milione “minimo” di abitanti
Approfondimenti & attualità: revisionare la revisione
Al discorso giuridico ed un po’ filosofico sulla revisione costituzionale è, forse, interessante agganciare
qualche osservazione sulla quotidianità politica e gli avvenimenti dell’attualità, che hanno reso il tema assai
celebre, anche di recente.
Nella liquida situazione politica italiana, in particolar modo a partire dalla cosiddetta “seconda Repubblica”,
l’art. 138 Cost. ed i suoi vincoli sono stati spesso visti, se non con insofferenza, quantomeno con un certo
fastidio, in ossequio a quella convinzione, ormai socialmente e politicamente profondamente radicata, per
cui la maggioranza, forte e rappresentativa del consenso ricevuto, dovrebbe essere, se non legibus soluta,
quantomeno pienamente in grado di portare avanti e concretizzare il proprio disegno politico, senza se e
senza ma, fino al successivo appuntamento quinquennale, in occasione del quale saranno gli elettori a
poterne confermare o smentire l’azione, attribuendo o negando il consenso nelle urne.
Così, il legislatore, se, da un lato, ha comunque portato avanti progetti, più o meno fortunati, di incisiva
riforma del dettato della Carta mediante la via ordinaria del 138, ha, a più riprese, anche cercato di
deviarne e semplificarne il percorso, con l’obbiettivo di incardinare le riforme su un binario più rapido, più
facile o meno politicamente impegnativo. Una tentazione che non appare del tutto sopita.
In via generale, va annotato che, secondo un’accreditata ricostruzione dottrinale, il desiderio di
rifondazione delle basi istituzionali dello Stato sarebbe, per quanto riguarda la nostra storia repubblicana,
elemento tipico e ricorrente in momenti di particolare debolezza e delegittimazione della politica, che, da
un lato, cerca di mascherare la propria fragilità, mostrando l’intento di lanciarsi nel più complesso ed
ambizioso tra i possibili progetti di riforma, la riscrittura della Costituzione, dall’altro, rincorre il prestigio
perduto, proponendo l’immagine di sé come nobile cenacolo “padri costituenti”.
Guardando al dato concreto e cercando di evidenziare gli elementi ricorrenti nelle diverse riforme, in primo
luogo, i tentativi di introduzione di deroghe all’art. 138 hanno, pressoché tutti, previsto la costituzione di un
nuovo collegio a composizione mista di deputati e senatori, incaricato della redazione dei disegni di legge di
revisione da sottoporre poi al Parlamento. L’idea di fondo è, in pratica, quella di costituire una sede politica
(non tecnica quindi, ma munita di legittimazione democratica) cui demandare l’attività di discussione e
mediazione, utile a preconfezionare un testo di compromesso, che sia già, in partenza, garantito da una
maggioranza consolidata ed appaia conseguentemente in grado di reggere e mantenere fluido il passaggio
da un ramo all’altro del Parlamento, evitando possibili lungaggini ulteriori a quanto strettamente
necessario al già mal sofferto procedimento aggravato in doppia lettura. Si è così avuta, prima fra tutte, la
legge costituzionale n. 1/1993, che legittimò la c.d. Commissione De Mita-Iotti (conclusasi in un nulla di
fatto), cui fece seguito la l. 1/1997, che istituì la spesso rievocata nel dibattito politico “bicamerale
D’Alema” (che, parimenti, non produsse i risultati sperati).
In aggiunta e conseguentemente all’istituzione di un organo ad hoc, in ambedue i casi, fu prevista
l’applicazione di un procedimento speciale di approvazione, esclusivamente riservato a quei disegni che ne
fossero il prodotto, cui la legge riconnetteva talune semplificazioni procedurali in deroga all’art. 138 Cost.
ed ai regolamenti parlamentari (voto palese, regole speciali su emendamenti e questioni pregiudiziali,
termini temporali definiti).
Uno schema che è stato recentissimamente riproposto, in forme quasi coincidenti, in un disegno di legge di
iniziativa del Governo Letta che, ispirato anche dal lavoro dei c.d. “saggi”, irritualmente nominati dal
Presidente della Repubblica, prevede:
 l’istituzione di un “Comitato parlamentare per le riforme istituzionali ed elettorali”
- COMPOSIZIONE: verrebbe costituito da 42 membri (venti deputati e venti senatori, più i due
Presidenti delle rispettive Commissioni Affari Istituzionali), nominati, su indicazione dei
gruppi parlamentari, dai Presidenti delle assemblee di Camera e Senato, in modo da
garantire la proporzionalità sia con il consenso elettorale ricevuto che con i numeri della
rappresentanza istituzionale,
- FUNZIONI: al Comitato verrebbe affidato il compito di elaborare, mediante la redazione di
disegni di legge2, le proposte di riforme istituzionali da realizzare per via ordinaria (in
2
Opera cioè, secondo la distinzione tradizionale posta dalla Costituzione e dal diritto parlamentare, “in sede
referente” (che, si ricordi, segna la distinzione rispetto ai casi di attività “in sede redigente” o “deliberante”).
particolare, la normativa elettorale per le Camere) o con legge costituzionale, limitatamente,
però, in questo secondo caso, alla revisione di talune specifiche parti del testo della Carta
(disciplina del Parlamento, del Presidente della Repubblica, del Governo e dei rapporti con le
autonomie territoriali),
- ORGANIZZAZIONE: l’organismo verrebbe presieduto congiuntamente dai Presidenti delle
Commissioni Affari Istituzionali, che vi partecipano di diritto, coadiuvati, come normalmente
accade per le Commissioni parlamentari, da un Ufficio di Presidenza; nello svolgimento dei
lavori si applicherebbero, in generale, le norme previste dal Regolamento della Camera (salvo
che lo stesso Comitato non decida di darsene autonomamente delle altre), ma con alcune
importantissime deroghe, volte a garantirne la celerità ed impedire i comportamenti
ostruzionistici o dilatatori (come, ad esempio, il divieto assoluto di votare questioni
pregiudiziali o sospensive3),
- CESSAZIONE: il Comitato cessa le proprie funzioni o con la pubblicazione delle leggi costituzionali
ed ordinarie di sua proposta (disciplina a dir poco oscura) o con lo scioglimento di una delle
Camere;
 una rigidissima e predeterminata tempistica dei lavori delle Camere
- TERMINI: per ciascuna fase del procedimento il d.d.l. indica precisi termini temporali (cinque
giorni dall’entrata in vigore della norma per la nomina dei membri del Comitato, dieci giorni
massimo per svolgere la prima riunione, sei mesi per redigere e presentare alle Camere i
disegni di legge, tre mesi per l’esame e la votazione da parte dei deputati e, di seguito, altri
tre per i senatori, segue l’intervallo e quindi la votazione in seconda lettura, tenendo conto
che l’iter completo non dovrà durare più di diciotto mesi complessivi4) di cui spetta ai
Presidenti dei due rami del Parlamento ed ai loro uffici garantire l’adempimento in fase di
organizzazione dei lavori,
- ESCAMOTAGE ANTI-INTOPPI: stretta sulla possibilità di presentare emendamenti ai testi ed
obbligo di voto palese;
 l’approvazione in doppia lettura a maggioranza assoluta
- CONFERME: rimane valido lo schema generale di revisione basato su una doppia lettura e,
parimenti, si continua a richiedere almeno il raggiungimento della maggioranza assoluta nella
seconda lettura,
- RIDUZIONE INTERVALLO: come già detto, il comma primo dell’art. 138 prevede che, approvato una
prima volta il testo nell’identica formulazione da ciascuna Camera, queste debbano lasciar
decorrere tre mesi prima di poter procedere con la seconda lettura e quindi con la votazione
definitiva, tuttavia, per garantire la speditezza dei lavori, nei confronti dei d.d.l. di revisione
costituzionale proposti dal Comitato, il termine costituzionale è derogato e ridotto a 45
giorni, cioè praticamente dimezzato;
 il referendum
- CONFERME: possono richiedere l’attivazione del referendum senza quorum strutturale
sull’eventuale legge costituzionale così partorita gli stessi legittimati di cui all’art. 138 (1/5 dei
senatori o dei deputati, cinquecentomila elettori, cinque consigli regionali) entro il termine di
tre mesi,
3
Con la questione pregiudiziale viene rilevata la possibile esistenza di una causa ostativa alla discussione o votazione
di quella legge e si dà luogo alla sospensione dei lavori in attesa che, a seguito di un autonomo dibattito, questa venga
dipanata, accertandone la sussistenza (nel qual caso o viene risolta o il procedimento si estingue) o meno (nel qual
caso il procedimento ricomincia da dove si era interrotto). La sospensiva è invece la proposta di rinviare ad una
successiva e determinata scadenza la discussione di un punto all’ordine del giorno.
4
L’efficacia di questi termini non è però precisata. In particolare, si tratterebbe di termini ordinatori o perentori? Vale
a dire, allo scadere degli stessi, rimarrebbero comunque applicabili al disegno di legge le “facilitazioni” previste, come
sembrerebbe dalla sopravvivenza, possibile fino a fine legislatura, del Comitato, ovvero dovrebbe ritenersi ripristinato
il regime ordinario ex art. 138 Cost.?
- INNOVAZIONI: al contrario di quanto accade nel regime ordinario, anche qualora dovesse essere
raggiunta, in seconda lettura, la maggioranza dei 2/3 in ciascuna Camera, sarebbe comunque
possibile dar luogo al referendum.
Le norme sono già state approvate in prima lettura da ambedue i rami del Parlamento ed in seconda, a
maggioranza di due terzi (che quindi, se confermata, non la renderebbe sottoponibile a referendum), dal
Senato. Attualmente è in attesa di calendarizzazione alla Camera, ma, mutato il contesto politico, appaiono
trasformate anche le dinamiche che soggiacevano alla sua realizzazione e venuto meno l’interesse dello
stesso proponente (in particolare, l’attuale Governo appare orientato a fare di sé il fulcro dell’elaborazione
e della proposta delle riforme istituzionali).
In ogni caso, mancando solo una delle quattro deliberazioni necessarie per la sua approvazione, il disegno
di legge, attualmente giacente, rimane una strada quasi completamente compiuta, che Parlamento e
Governo possono decidere in ogni momento di riattivare, con l’adempimento veloce del solo ultimo
tassello.