La Lotta al Terrorismo nella UE
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La Lotta al Terrorismo nella UE
Introduzione Introduzione di Serena Giusti e Andrea Locatelli Nell’analizzare il ruolo dell’Unione Europea (UE) come promotrice e garante della sicurezza sul continente, non si può prescindere dal riflettere sulla sua stessa natura. Essendo la UE una commistione di elementi di intergovernativismo e sovranazionalismo, il cui rispettivo dosaggio è variabile in relazione ai mutamenti che il suo divenire più o meno costantemente subisce, ogni esercizio definitorio appare superfluo. La UE è sempre di più un’entità ibrida e mutante da cui non ci si possono attendere né richiedere performance in termini di sicurezza simili a quelle che uno Stato tradizionale potrebbe garantire ai propri cittadini. Due sono gli elementi discriminanti: l’incapacità di esprimere una volontà unica e univoca e l’assenza di un esercito comune. Quindi non solo la UE non è dotata di hard power ma anche il suo agire da soft power è inficiato o indebolito dall’essere una entità composita che ogni volta, sulla base delle preferenze e degli interessi nazionali dei suoi membri, deve definire il bene europeo. Di conseguenza, anche le percezioni e gli obiettivi di sicurezza europea sono relativi e instabili, dipendendo dal consenso mutevole di ben 27 Stati membri. Con il dissolversi della Guerra fredda, il sistema internazionale è diventato più instabile e sfuggente. I tradizionali paradigmi e valori/disvalori della politica internazionale si sono sgretolati mentre manca ancora uno schema cognitivo consolidato per interpretare e intervenire sugli eventi. La fluidità del sistema internazionale in cui la UE si muove in quanto attore regionale ha in primo luogo minacciato la coesione interna dell’Unione, facendo paventare la sua stessa dissoluzione. Successivamente, sono state proprio le emergenze post-bipolari – la stabilizzazione del resto dell’Europa ai margini della UE, il terrorismo, i flussi migratori, la guerra in Iugoslavia, il riaccendersi dei conflitti etnici e la tendenza alla frammentazione più che all’aggregazione – a responsabilizzare la UE nella securitizzazione dello spazio pan-europeo. Dopo aver delegato agli Stati Uniti la questione della sicurezza per quasi cinquant’anni, la UE ha finalmente intrapreso un percorso che la potrebbe portare a distinguersi anche come security provider. Le pressioni esterne l’hanno sia indotta a consolidare il suo ruolo di soft power (come 7 Introduzione nel caso del Parternariato Euro-Mediterraneo, della politica di promozione della democrazia, dell’allargamento e della Politica Europea di Vicinato) sia a dotarsi di strumenti tipici di un hard power. Il nuovo contesto della sicurezza non ha prodotto effetti sull’approfondimento dell’integrazione, ma piuttosto ha funzionato da sprone affinché la UE si dotasse di una più spiccata identità esterna e agisse come un vero attore internazionale. In questo nuovo ruolo di vettore di sicurezza, la UE si trova però a subire la concorrenza di altre organizzazioni. Lo spazio politico europeo si caratterizza infatti per una intensa e complessa istituzionalizzazione non scevra da sovrapposizioni teleologiche e funzionali. Pare quindi appropriata la terminologia utilizzata da alcuni, secondo i quali la sicurezza in Europa è garantita da un insieme di interlocking institutions. La UE, infatti, condivide il ruolo di garante della sicurezza e della stabilità con, tra gli altri, il Consiglio d’Europa, l’OSCE e la NATO. Non è quindi un caso che per la stabilizzazione dei Balcani le missioni NATO siano state seguite, quando non sostituite, da forze UE. La presenza di istituzioni alternative oltre alla sovrapposizione di competenze pone anche la questione della appartenenza: il fatto che non ci sia una corrispondenza precisa tra paesi NATO, UE, OSCE può portare a divisioni interne anche profonde in seno e fra tali istituzioni. Il tema delle interlocking institutions emerge anche in relazione alle strutture interne della UE: i problemi legati alla difesa e alla politica estera sono affidati a organi diversi, sia all’interno della Commissione, sia in sede di Consiglio Europeo. La questione della sicurezza taglia trasversalmente non solo le istituzioni della UE, ma invero i tre pilastri. Il problema che si viene così a creare è un’inutile duplicazione delle agenzie, come testimoniato indubbiamente dalla presenza all’interno della Commissione di tre centri di informazione per la reazione rapida ai disastri (rispettivamente presso ECHO, DG Relex e l’Unità della protezione civile della DG Ambiente) (Sundelius 2005: 79-80). È inoltre evidente come la divisione delle funzioni e delle procedure operative tra Commissione e Consiglio possa comportare seri problemi di interoperabilità tra tali enti. In sostanza, dunque, c’è il rischio che, vuoi in relazione con altre organizzazioni internazionali, vuoi per dinamiche interne di competizione burocratica, anziché interlocking queste istituzioni possano infine rivelarsi interblocking. In questa prospettiva, quindi, il nuovo Trattato di Lisbona – con l’introduzione delle figure dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza e il Presidente del Consiglio Europeo – può considerarsi un passo in avanti nel tentativo sia di dare maggiore visibilità e rilievo alla politica estera dell’Unione, sia di produrre una politica e una visione strategica degli affari europei e internazionali maggiormente coesa ed efficace. Sebbene la creazione di nuovi ruoli e istituzioni costituisca uno stimolo verso l’integrazione delle politiche, tuttavia nel caso specifico della politica estera questa logica istituzionalista rischia di essere ancora invalidata dalla prevalenza di forti interessi nazionali, non solo molto differenziati ma spesso anche divergenti (come nel caso 8 Introduzione della guerra in Iraq e dell’approccio nei confronti della Russia). Inoltre, ogni tentativo di mettere a punto una politica estera tradizionale necessita del sostegno di un certo numero di Stati membri capaci di proiettare di volta in volta il proprio hard power al di fuori dei confini dell’Unione. È per questo motivo che gli Stati più piccoli della UE hanno ostacolato la creazione della figura del Presidente del Consiglio Europeo temendo che potesse divenire l’esecutore della volontà degli Stati più forti che già dominano il corso dell’Unione. Il peso interno ed esterno del Presidente dipenderà ovviamente anche dalla personalità politica di chi rivestirà tale ruolo e dal sostegno che riceverà dagli Stati membri. Ma se invece la UE continuerà ad agire prevalentemente come una potenza civile, privilegiando gli strumenti soft del potere e rafforzando la dimensione economica dell’integrazione, allora la Commissione Europea e il suo Presidente avranno ancora un ruolo di primo piano. È la Commissione infatti che rappresenta i 27 Stati membri nei negoziati internazionali sul commercio, che stabilisce regolamenti e standard e che intrattiene buoni rapporti con potenze emergenti come Cina e India. Al di là delle innovazioni istituzionali, il nuovo Trattato agevola anche la messa a punto di politiche comuni nell’ambito dell’energia, del cambiamento climatico e delle migrazioni. Se la UE riuscisse quindi ad agire in maniera unitaria in questi ambiti, evidentemente sensibili per gli Stati membri, non saremmo allora forse di fronte ad un importante progresso nella politica estera comune? Nel valutare gli sviluppi della politica estera europea è necessario adottare una sorta di approccio trans-pillar, ed è per questo motivo che si è deciso di non seguire nell’impostazione del volume una rigida divisione fra relazioni esterne, relazioni economiche, politica estera e difesa. In particolare, si assume in questa sede che la politica di sicurezza assommi elementi di politica interna ed estera, due ambiti che proprio nel sistema UE risultano sempre più sfumati – basti pensare al terrorismo, alle minacce ambientali e all’approvvigionamento energetico. Se si osservano le strategie di securitizzazione messe in atto dalla UE da una prospettiva esterna, è possibile identificare diverse aree geo-strategiche che si differenziano per vicinanza/lontananza geografica dalla “fortezza europea”, per livello di europeità, per interesse riversato dagli Stati membri (e quindi dalla UE) e per tipologia di intervento. Per i paesi con prospettiva di adesione, lo strumento più potente di securitizzazione è stata appunto la membership e la condizionalità che sulla base di tale promessa la UE è riuscita ad esercitare. Quando l’adesione non può essere spesa come risorsa (ad esempio per mancanza di requisiti del paese candidato, oppure perché si tratta di un paese instabile), allora la UE tende a proporre la creazione di aree di libero scambio, seguendo quindi un approccio funzionalista alla integrazione e alla sicurezza. Tuttavia, anche queste aree sono soggette a diversificazione a seconda di quanto i paesi coinvolti possano eventualmente in futuro aspirare all’adesione (si pensi alla differenza fra paesi del Mediterraneo e paesi dell’Est Europa, come Ucraina o Moldova). Nelle aree limitrofe in cui la securitizzazione deve fronteggiare conflitti appena ricomposti o ancora aperti, la 9 Introduzione UE è di solito intervenuta nel breve periodo all’interno di un contesto multilaterale, per lo più in missioni di pace congiuntamente ad altre organizzazioni internazionali (come nell’ex-Iugoslavia, in Libano, Albania e Kosovo). Nel lungo periodo, però, la strategia della UE risente della logica vicinanza/europeità, che consiste in piani ampi e più costrittivi per paesi come quelli della ex-Iugoslavia e interventi più blandi e tipicamente di carattere economico per i paesi meno vicini, come ad esempio in Medio Oriente (Palestina e Libano). Più lontano ancora, come in Africa, il ricorso alla forza militare è avvenuto esclusivamente in ambito multilaterale, e principalmente per missioni dagli obiettivi molto contenuti. Nella sua opera di securitizzazione, dunque, la UE sembra procedere all’organizzazione e differenziazione del resto del mondo secondo un doppio principio, geografico e strategico, che ovviamente riflette gli interessi politici ed economici dei suoi membri (e conseguentemente dell’Unione stessa). La trama che circonda la UE è dunque caratterizzata da aree geostrategiche discontinue e fluide, ma a diversa intensità di europeità. Una trama resa ancora più intricata dai legami – talvolta profondi e radicati – che uniscono alcuni paesi della UE ad attori esterni. Di fronte a tanta complessità, non ci si dovrà quindi stupire se le politiche di sicurezza discusse nel prosieguo della trattazione risulteranno incoerenti, disomogenee o prive di una visione strategica di lungo periodo. Né dovrà sorprendere l’eventualità che gli autori dei singoli capitoli abbiano visioni e aspettative differenti riguardo alle capacità di difesa dell’Unione: l’intento del volume è infatti quello di fornire al lettore gli strumenti e le nozioni per comprendere e – speriamo – apprezzare l’importanza e la complessità degli argomenti trattati. Il libro si articola in tre sezioni: la prima analizza la UE come security provider Nel primo capitolo Filippo Andreatta guarda a come gli approcci classici all’integrazione europea considerino la dimensione internazionale mettendone in luce limiti e debolezze. L’autore spiega poi come le principali teorie delle Relazioni Internazionali valutino le politiche esterne della UE e l’impatto dell’Unione sullo scenario internazionale. Nel secondo capitolo, Filippo Pigliacelli ricostruisce invece da un punto di vista storico i momenti topici dello sviluppo dell’integrazione europea nei settori della sicurezza e della difesa, mettendo in luce i fattori che hanno favorito o rallentato lo sviluppo di questa dimensione dell’integrazione. Nel terzo capitolo, Mario Telò propone una concettualizzazione della UE come potenza civile, mentre nel quarto Andrea Locatelli si concentra sulle potenzialità di sviluppo delle capacità militari della UE. La seconda sezione del volume si propone invece di cogliere il ruolo della UE quale promotore di sicurezza nell’attuale contesto regionale e internazionale. La fine della Guerra fredda e l’11 settembre sono stati i fattori che con tutta probabilità hanno maggiormente contribuito a ridefinire il ruolo della UE in questa dimensione. È dunque in questa parte del volume che vengono prese in esame in modo dettagliato le politiche elaborate dall’Unione per rispondere alle nuove 10 Introduzione minacce. Per meglio caratterizzare l’elemento di novità del mutato contesto internazionale, la sezione si apre con l’articolata riflessione di Stefano Procacci sulla sicurezza in termini di minacce, identità e istituzioni. Nel capitolo successivo, Enrico Fassi descrive gli strumenti e le modalità che la UE utilizza nella promozione della democrazia, una pratica condotta secondo i principi dell’esercizio del soft power e che a partire dagli anni Novanta si è rivelata di gran successo per la UE. Un’altra sfida a cui anche l’Europa deve sempre di più rispondere, come spiega Giampiero Giacomello nel capitolo 7, è quella del terrorismo. La lotta antiterrorismo, articolandosi su due livelli – “interno” nell’ambito del II pilastro ed “esterno” in ambito PESC e PESD – rende necessario un progressivo sforzo di coordinamento tra intelligence, forze di polizia e militari, aiuto umanitario e nation-building Come mostra Carla Monteleone nel capitolo 8, ciò vale anche per la prevenzione dei confitti e l’intervento militare. Tra le nuove sfide alla sicurezza, infine, figura sicuramente quella dell’approvvigionamento energetico: un tema cruciale, come osserva Antonio Villafranca, sia perché la vicina Russia è tornata a comportarsi da superpotenza grazie alle risorse energetiche di cui dispone, sia perché la UE appare divisa rispetto alla strategia da utilizzare riguardo alla politica energetica. Nella terza sezione, infine, il ruolo di security provider della UE viene esplorato da una prospettiva geopolitica: da Occidente, nell’ambito delle relazioni transatlantiche, all’Estremo Oriente (Cina e India), passando per la frontiera orientale dell’Unione e il Medio Oriente Allargato. In tutti questi scenari il ruolo della UE e la sua efficacia sembrano dipendere anche dal corso delle relazioni con gli Stati Uniti. La sfida più grande alla partnership transatlantica, come osserva Luca Bellocchio, sembra provenire non tanto alla dicotomia globalizzazione/frammentazione, quanto piuttosto da un’alterazione profonda della natura del gioco politico internazionale, che in ultima analisi discende dal rapido cambiamento del Sistema Internazionale e dal suo continuo riassestarsi su nuovi equilibri di forza. Ciò emerge anche dal capitolo di Serena Giusti, che indaga la stabilizzazione della frontiera orientale della UE allargata soprattutto in relazione alla necessità di una partnership strategica con la Russia. Dopo la strategia di allargamento, la Politica Europea di Vicinato appare troppo debole, mancando della risorsa della membership Analogamente, nel capitolo di Valeria Talbot emergono le debolezze del Parternariato Euro-Mediterraneo. Infine, Harsh Pant rileva come la UE, sebbene in ritardo rispetto agli Stati Uniti, stia alacremente cercando di rafforzare le proprie relazioni con Cina e India, anche se alcune divergenze di carattere politico potrebbero limitare la portata delle recenti iniziative della UE. 11