Anchel`estetica“cura”ilcancro
Transcript
Anchel`estetica“cura”ilcancro
Copia di 6e228950c1f1108dca69cfaeccee831a Pianeta scienza MARTEDÌ 21 GIUGNO 2016 IL PICCOLO Staffetta ecologica in partenza oggi davanti a Miramare Dal Golfo di Trieste alla Laguna di Venezia. Parte oggi dal Parco Marino di Miramare una sorta di staffetta ecologica a cui parteciperanno anche i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) e dell’Università di Trieste. A nuoto, in barca a vela, in canoa e in bicicletta attraverseranno habitat marini, laguna- ri e terrestri per illustrare la biodiversità e le peculiarità dei diversi ambienti, fino a raggiungere Venezia il 28 giugno. A 150 anni dalla definizione del concetto di ecologia, la Rete Italiana per la Ricerca Ecologica di Lungo Termine (Rete Lter-Italia) promuove i Cammini Terramare: i ricercatori percorreranno diversi itinera- ri e si confronteranno con i cittadini su questioni ambientali, spostandosi di volta in volta tra diversi siti di ricerca, in Friuli Venezia Giulia e in Veneto, della Rete Lter. «Questa Rete unisce siti, gestiti da università e istituti scientifici, dove si svolgono ricerche ecologiche di lungo termine per studiare gli ecosistemi: conoscerne la biodiversità e gli effetti dei cambiamenti climatici e ambientali» spiega Paola Del Negro, direttrice della Sezione di Oceanografia dell’Ogs. «E a Trieste, proprio presso il Parco Marino di Miramare, a circa 200 metri dalla costa, si trova la stazione C1 LterR, un sito storico di ricerca biologica marina. Da lì parte stamattina il primo cammino: Terramare – Il racconto del cambiamento tra terra, mare e laguna». Alle 12, ricercatori dell’Ogs e dell’Università, insieme ad alcuni rappresentanti dell’Unione Sportiva Triestina Nuoto, della Rari Nantes Adria Monfalcone e della Asd Forum Julii Cividale, si tufferanno in acqua e raggiungeranno a suon di bracciate Santa Croce. Dove nel pomeriggio, alle 15, la sede dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (in via Auguste Piccard, 54), ospiterà un incontro pubblico. Anche l’estetica “cura” il cancro Sabato a Trieste dermatologi e oncologi si confrontano nel convegno Gist di Arianna Boria Non identificarsi con il cancro. Guardare la propria immagine allo specchio senza disagio. Accettarsi e sentirsi accettati dagli altri. Concentrarsi sulla vita che ruota attorno alla malattia, per trovare nuova energia nell'affrontare terapie pesanti e riuscire a pensare al futuro con fiducia. La medicina estetica può fare molto per un malato oncologico, aiutandolo a stare meglio, con se stesso e nella vita di relazione, anche all’interno della famiglia. La caduta dei capelli, le cicatrici, le alterazioni cutanee sono spesso ulteriori motivi di sofferenza in pazienti già fragili e provati. Parlare dell'aspetto fisico di chi lotta contro il cancro non è dunque un sacrilegio. Il "frivolo", in questo caso, inserito in un contesto multispecialistico, ovvero affrontato da una task force di oncologi, chirurghi estetici, dermatologi, può diventare una vera e propria terapia. Di questo si parlerà il 25 giugno, all'hotel Savoia di Trieste, nel quarto congresso nazionale Gist, Gruppo italiano di studio sulle tecnologie, dedicato appunto all’"Estetica in oncologia". A confronto un centinaio di specialisti in differenti campi Rossana Castellana, medico estetico e organizzatrice del convegno della medicina, provenienti da varie regioni d'Italia e paesi europei. Il Gist è nato undici anni fa ed è composto da medici estetici, dermatologi e chirurghi plastici, che discutono sulle tecnologie più avanzate e scambiano esperienze per migliorare le capacità professionali e l'offerta al paziente. Imponente il programma dei lavori congressuali, dalle 8 alle 18, con una trentina di comuni- cazioni dei relatori. Gli specialisti affronteranno molti temi dalle lesioni al volto alle ricostruzioni mammarie, dalle riparazioni dei danni cutanei, ai sistemi per la prevenzione dell’alopecia nelle pazienti in chemioterapia, al trattamento laser nelle cicatrici - con un unico obiettivo: curare il paziente oltre la sua neoplasia, preservandone e ripristinandone l’integrità psico-fisica. Dice Rossana Castellana, specialista in medicina estetica, organizzatrice e presidente del convegno: «Quando c’è un malato oncologico, la vita della famiglia si trasforma. I bambini si mettono in allarme perchè la mamma, per esempio, è assente, stanca, non si può disturbare. Quando la vedono è pallida, i suoi capelli non sono gli stessi di prima, il disagio aumenta. Nel caso di cicatrici deturpanti, poi, anche il rapporto con il partner può diventare difficile, spesso si vive nell’isolamento. Al contrario, se il malato mantiene un aspetto esteriore il più possibile normale, a cominciare dal colorito della pelle, oltre a vivere meglio con i suoi cari può anche decidere o meno se condividere con altri, esterni, l’esperienza che sta vivendo». Nell’ambito dei lavori i chirurghi ospiti presenteranno le tecniche innovative che consentono di prevedere l’esito estetico di un intervento, in modo da favorire la strada al ricostruttore. I medici estetici, a loro volta, condivideranno gli approcci personali che praticano nelle patologie dermatologiche legate alla chemioterapia. «Saranno illustrate - prosegue Castellana tecniche microinvasive per ave- Riconosci le smorfie? Merito dell’ossitocina Uno studio dimostra l’azione dell’ormone nel percepire le espressioni del viso Alcuni studi hanno mostrato che l'ossitocina (che agisce come ormone ma anche sul cervello come neurotrasmettitore) ha un ruolo nel facilitare la percezione delle emozioni nelle espressioni del viso altrui. Uno studio internazionale condotto da Sebastian Korb (ricercatore nell'area di neuroscienze della Sissa) ha messo alla prova l'idea che questo fenomeno sia collegato all'imitazione facciale. Secondo le teorie dell'embodied cognition infatti il riconoscimento delle emozioni altrui è agevolato dalla loro imitazione, e cioè dalla loro riproduzione sul il nostro stesso viso. Lo studio conferma l'effetto di facilita- zione, che si dimostra più marcata per le espressioni che veicolano emozioni negative (rabbia, tristezza), specie quando osservate sul viso di un bambino. L'ossitocina, che funzioni come ormone o neurotrasmettitore, è coinvolta in una serie di importanti funzioni fisiologiche e psicologiche. Per esempio, promuove l'attaccamento materno, la lattazione, il legame fra partner, e la coesione del gruppo, anche se in realtà il quadro è ben più complesso, basti pensare che a volte può paradossalmente stimolare persino comportamenti aggressivi. I risultati sperimentali dimostrano anche che la somministrazione nasale (con uno spray) di ossitocina, rende le persone più disponibili a occuparsi degli altri e più brave a riconoscere le emozioni. Proprio quest'ultimo effetto ha attirato l'attenzione di Sebastian Korb, ricercatore della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste ed esperto di Facial Mimicry (imitazione facciale): «attraverso quale meccanismo avviene la facilitazione del riconoscimento delle emozioni dopo somministrazione di ossitocina?» si è chiesto Korb. Secondo le teorie dell'embodied cognition, la capacità di imitare (rispecchiare) le espressioni emotive del viso di chi ci sta Galileo. Koch. Jenner. Pasteur. Marconi. Fleming... Precursori dell’odierna schiera di ricercatori che con impegno strenuo e generoso (e spesso oscuro) profondono ogni giorno scienza, intelletto e fatica imprimendo svolte decisive al vivere civile. Incoraggiare la ricerca significa optare in concreto per il progresso del benessere sociale. La Fondazione lo crede da sempre. davanti facilita il riconoscimento di quell'emozione. «Potrebbe dunque l'ossitocina stimolare l'imitazione?». Per verificare il collegamento fra ossitocina e facial mimicry, Korb e colleghi hanno selezionato un campione di 60 maschi adulti, dove metà del campione riceveva una dose spray di ossitocina e metà una dose spray di placebo (né i partecipanti né l'esperimentatore erano a conoscenza di quale prodotto si trattasse). I soggetti, dopo un lasso di tempo sufficiente perché il farmaco facesse effetto, erano sottoposti ad alcuni test di valutazione e riconoscimento di espressioni emotive presentate in brevi video che ritra- re dagli oncologi un parere in merito e confrontarsi su come e quando è meglio intervenire». A precedere il convegno sarà, venerdì 24, una tavola rotonda proprio per tracciare linee guida su opportunità e tempistiche delle terapie di conforto estetico. «Le richieste che riceviamo dai pazienti in questo senso - testimonia Castellana - sono sempre più frequenti. C’è chi già effettuava trattamenti prima di ammalarsi, e chi vuole riavere il suo aspetto. Nella stragrande maggioranza dei casi i pazienti vengono sconsigliati, non per un reale pericolo, ma per la mancanza di dati certi. Contiamo che il convegno di Trieste possa avviare una collaborazione internazionale e multidisciplinare su questi temi». Tra gli interventi, quello della dottoressa Natalia Ribé di Barcellona, che presenterà una nuova tecnica per intervenire nella zona perioculare, la prima a segnarsi e a “denunciare” esteticamente la malattia, e delle dottoresse Józwiak-Ziminska di Varsavia e Mariya Sergeyeva di Kiev sul trattamento delle cicatrici. In ottobre, Castellana illustrerà i risultati del convegno triestino a Varsavia. ©RIPRODUZIONE RISERVATA evano dei visi adulti o infantili. Mentre eseguivano i test, veniva inoltre registrata la risposta dei muscoli facciali, per misurare l'imitazione facciale. I risultati hanno mostrato che l'imitazione delle espressioni era più marcata nei soggetti che avevano ricevuto l'ossitocina (rispetto al placebo), e che questo aumento dell'imitazione era soprattutto evidente quando i soggetti osservavano neonati piangere (la collera e il pianto sono difficilmente distinguibili nei neonati). «Il risultato è interessante non solo perché mostra che l'ossitocina ha un effetto modulatorio sull'imitazione facciale, ma anche perché esiste una risposta marcata verso i visi infantili anche nei maschi, mentre si pensava che questo tipo di effetti dell'ossitocina legati ai comportamenti di accudimento fossero tipicamente femminili». QUESTA PAGINA È REALIZZATA IN COLLABORAZIONE CON 41 AL MICROSCOPIO Da quattro geni si rigenerano gli organi perduti di MAURO GIACCA E ra l'estate di 10 anni fa quando la rivista Cell pubblicò un articolo scientifico destinato a rimanere nella storia. Shinya Yamanaka e il suo post-doc Kazutoshi Takahashi, dell'Università di Kyoto, riportavano che, introducendo soltanto 4 geni all'interno di una qualsiasi cellula, era possibile trasformarla in una cellula embrionale, pressoché identica a quelle prodotte nelle prime fasi dello sviluppo di un organismo. La notizia fece rapidamente il giro del mondo: laboratori in tutti i Paesi provarono a riprodurre i dati ed effettivamente funzionava: bastava prendere una cellula della pelle di un individuo, o un suo globulo bianco, inserire al suo interno i quattro geni di Yamanaka, ed ecco che questa, in un paio di settimane, diventava simile a una cellula dell'embrione, in grado quindi di proliferare all'infinito e, in opportune condizioni di coltura, di trasformarsi in qualsiasi altro tipo cellulare. Già nel 2009, più di 300 pubblicazioni scientifiche confermavano la scoperta. A Yamanaka fu assegnato il premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina nel 2012. L'eccitazione fu tanta perché, per la prima volta, si apriva la possibilità di ottenere cellule di cuore, cervello, retina e di ogni altro organo senza dover passare attraverso la produzione di un embrione vero e proprio. I pazienti con una delle tante malattie degenerative, quindi, avevano a disposizione una tecnica per rigenerare le cellule perdute. La prima che provò ad applicare il metodo ai pazienti fu Masayo Takahashi, un'oculista di Kobe, che insieme a Yamanaka, nel 2004 inoculò nell'occhio di una paziente, diventata cieca a causa di una degenerazione retinica, cellule di retina nuove ottenute in laboratorio a partire da un fibroblasto della pelle; la terapia migliorò la vista della signora. Ma questa paziente rimane l'unica trattata finora: fu Yamanaka stesso, lo scorso anno, ad accorgersi che il Dna delle cellule iniettate nell'occhio conteneva alcune mutazioni; per precauzione, la sperimentazione fu bloccata. Mentre si dibatte su come risolvere questo problema, la tecnica dei quattro geni di Yamanaka continua a essere universalmente utilizzata in laboratorio per ottenere, partendo dai fibroblasti della cute dei pazienti, cellule di cuore, cervello, pancreas e altri organi. Da marzo scorso, è anche disponibile un catalogo, prodotto da un consorzio di istituti pubblici e aziende private, di cellule derivate da pazienti con le mutazioni più diverse. Queste cellule possono essere utilizzate come mini-organi in laboratorio su cui sperimentare nuove terapie personalizzate, un traguardo neanche immaginabile solo 10 anni fa. ©RIPRODUZIONE RISERVATA