All`Africa niente sconti

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All`Africa niente sconti
Tariffa Pagata P.D.I.
Autorizzazione
DRT/DCB Vicenza/PDI/254/2004
valida dal 12/01/2004
Microfinanza
BOLLETTINO PER LO SVILUPPO PLURALE
All’Africa niente sconti
L’Unione Europea conferma i sussidi sul cotone
Nei paesi produttori microfinanza e banche locali insieme per finanziare la filiera
Mentre l’Ecofin, su proposta italiana, “salva” Francia e Germania dalle sanzioni per la violazione del Patto di stabilità,
nessun sostanziale sconto viene fatto ai produttori africani di cotone che chiedono il ridimensionamento dei sussidi
Usa e Ue. La proposta di riforma delle politiche agricole sulle “colture mediterranee” conferma gli oltre 800 milioni di
euro di sussidi alla produzione cotoniera, sia pur con qualche novità nei criteri di erogazione. In un mercato internazionale dominato dai traders statunitensi e da una tendenza al ribasso dei prezzi, il sistema bancario ignora il fabbisogno
di credito dei produttori dell’Africa occidentale. Ma le organizzazioni di microfinanza aprono un confronto con le
banche locali per finanziare la filiera del cotone. PAG. 1•3
“Paradisi” di guerra
Riapre Tradevco, la Mediobanca di
Monrovia
PAG. 4
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postale. L’abbonamento per i 20 numeri del 2004 costa 40 euro.
Si può versare sul conto corrente postale n. 23482177 intestato a
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Altre notizie sulla macrofinanza e sulla microfinanza le trovi su
www.microfinanza.it
Qui Bruxelles
Cotone, la “riforma” dei sussidi:
(quasi) tutto come prima
B missione europea ha presentato le
RUXELLES
- Il 18 novembre la Com-
proposte di riforma della politica agricola comune (Pac) per i settori del tabacco, dell’olio d’oliva, del luppolo e
del cotone. La doccia fredda per l’Africa è che per il cotone sono confermati gli 800 milioni di euro di sussidi alla produzione europea, sia pur in un
quadro di misure parzialmente modificato. Questo proprio nei giorni in
cui la Francia invita l’Unione Europea
a prendere un’iniziativa per sostenere
i 2 milioni di produttori africani e il
viceministro italiano al commercio
estero Adolfo Urso, per bocca del suo
portavoce Giancarlo Salemi, dichiara
a Microfinanza: «L’Italia è a favore delle richieste dei paesi africani». Aggiungendo però poi: «In sede europea siamo bloccati dalla posizione della
Grecia e della Spagna».
I sussidi di Stati Uniti e Unione Europea ai propri produttori di cotone
greggio sono stati denunciati da quattro paesi produttori africani – Benin,
Burkina Faso, Ciad e Mali – come una
forma di concorrenza sleale. È stato
uno dei dossier scottanti della Conferenza interministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio di
Cancún, a settembre. Sul banco degli
imputati prima di tutto gli Stati Uniti,
primo esportatore mondiale, che sostengono i 25 mila coltivatori del cotton belt con quasi 2,3 miliardi di dollari l’anno di solo supporto al prezzo e
al reddito, che arrivano a 3,9 miliardi
considerando tutte le forme di aiuto
(Oxfam International, “Cultivating Poverty. The Impact of US Cotton Subsidies
on Africa”, 2002).
Anche la Cina, primo produttore
mondiale, finanzia la coltivazione del
cotone con 1,2 miliardi di dollari l’anno, ma la produzione cinese è destinata in gran parte al mercato interno,
N. 1 - 15 gennaio 2004
U n
n u m e r o
2
e u r o
Finanza del terrore,
l’Italia a maglie larghe
“Antipatriottico” negli Usa
evadere le tasse attraverso i
paradisi fiscali. I capitali italiani
invece, come raccontano i casi
Cirio e Parmalat, continuano
ad affluire nei tax havens
Secondo l’ultimo rapporto del Gruppo di
monitoraggio delle Nazioni Unite sulle sanzioni ad al-Qaeda e ai Talebani, importanti
operatori finanziari già da tempo indicati
come complici nella raccolta di fondi per il
terrorismo islamista continuano a controllare “attività finanziarie e altre risorse economiche, inclusi fondi di investimento e beni
immobili” in Italia, oltre che in Svizzera e
in Liechtenstein. I capitali italiani, nonostante gli “scudi” di Tremonti, continuano
ad affluire nei paradisi fiscali. PAG. 4
come anche quella indiana e quella
pakistana. L’Unione Europea, dal canto suo, sostiene la produzione greca e
spagnola (e una piccola produzione
portoghese) con aiuti che in qualche
annata agricola, ad esempio nel 199899, hanno superato i 900 milioni di
euro, mentre negli ultimi anni si attestano sopra gli 800 milioni. Le aziende produttrici, in genere di piccole dimensioni, sono 71.600 in Grecia e
7.600 in Spagna.
L’aiuto europeo corrisponde al doppio
dei prezzi mondiali del cotone del periodo più recente. Se la media del
prezzo internazionale tra la metà degli
anni ’90 e oggi si colloca intorno ai
280 euro a tonnellata, il sostegno medio è stato di 520 euro a tonnellata per
la Grecia e 620 euro per la Spagna.
Inutile dire che i coltivatori africani,
ma anche quelli turchi, brasiliani, egiziani, messicani non ricevono niente
di nemmeno lontanamente paragonabile (vedi tabella).
La riforma della Pac, sostengono a
Bruxelles, abbandonerebbe queste logiche assistenzialiste. Il meccanismo è
il cosiddetto “disaccoppiamento” dei
sostegni: non più aiuto ai prezzi e alla
produzione, ma sostegno al reddito
dei produttori. La proposta della
Commissione sul tabacco e sul luppolo prevede un sostanziale “disaccoppiamento”, sia pur graduale, che ha
già scatenato molte polemiche, in Italia soprattutto sul tabacco in cui lavorano 280 mila persone tra coltivazione, prima trasformazione, manifattura
e distribuzione.
Per l’olio d’oliva e il cotone, invece, il
[segue a pag. 2]
Microfinanza 1 15 gennaio 2004
1
nuovo regime copre il 60% dei sussidi,
mentre per il 40% resta il vecchio aiuto alla produzione sotto forma di aiuto per superficie. La proposta della
Commissione infatti prevede un aiuto
per ettaro coltivato a cotone di 594
euro per la Grecia, 898 euro per la Spagna e 556 euro per il Portogallo, per
uno stanziamento totale di 278,5 milioni di euro, 202 milioni per la Grecia, 76,3 milioni per la Spagna e 0,2
milioni per il Portogallo.
Altri 417,3 milioni di euro vengono
stanziati come sostegno diretto al reddito: 302,4 milioni per i produttori
greci, 114,5 per gli spagnoli e 365 mila per i portoghesi. A questi si aggiungono i finanziamenti per lo sviluppo
rurale – il “secondo pilastro” della
riforma Pac – per 102,9 milioni e 4,3
milioni di sostegno alle organizzazioni interprofessionali. Totale: 803 milioni di euro, lo stesso livello del sostegno nell’annata 2001-2002.
Con buona pace del piano francese,
anticipato dall’Agenzia France Presse a
metà novembre, che parla di «correzioni» al sistema dei sussidi e di «consolidamento» del settore cotoniero
africano con meccanismi contro la volatilità dei prezzi. E della posizione del
governo italiano: il viceministro alle
Attività produttive Adolfo Urso, per
bocca del suo portavoce Salemi, afferma che «l’Italia è a favore delle richieste del G22 [il gruppo dei principali
paesi in via di sviluppo n.d.r.]. Non si
può prescindere dalle esigenze dei
paesi più poveri. Sul cotone però, in
sede europea, siamo bloccati dalla posizione di Grecia e Spagna». E dal
complesso sistema di equilibri tra i
sussidi ai vari comparti agricoli. ■
Produzione mondiale di cotone greggio (media 1999/2000 - 2001/2002)
India 13,1%
Produzione mondiale di cotone greggio 2002/2003
(milioni di tonnellate)
4,9
Cina
Stati Uniti 20,1%
3,7
Stati Uniti
Pakistan 9,0%
2,3
India
Uzbekistan 5,5%
Zona africana del franco 4,5%
1,7
Pakistan
Cina 22,6%
1,0
0,9
0,9
0,8
Uzbekistan
Zona africana del franco*
Unione Europea 2,5%
Turchia
Brasile
Altri 22,7%
0,5
Unione Europea
Australia 0,4
Consumo mondiale di cotone sgranato (media 1999/2000 - 2001/2002)
2,1
Altri
0
Stati Uniti 9,5%
India 14,4%
Pakistan 9,0%
1
2
3
4
5
Totale: 19,2 milioni di tonnellate
* Paesi produttori dell’Africa occidentale
Unione Europea 5,4%
Cina 25,4%
I sussidi alla produzione del cotone 2001/02
"Altri"
Totale sostegno a prezzi
Europeain milioni di $
eUnione
reddito*
Altri 36,3%
Totale: 20,1 milioni di tonnellate
Esportazioni mondiali di cotone sgranato (media 1999/2000 - 2001/2002)
Australia 11,7%
Uzbekistan 13,3%
Africa occidentale 11,7%
Unione Europea 3,3%
Stati Uniti 30%
Altri 30,0%
Totale: 6 milioni di tonnellate
Stati Uniti
Cina
Grecia
India
Spagna
Turchia
Brasile
Egitto
Benin
Messico
Mali
Colombia
Pakistan
Stati Uniti
India
"Altri"
"Altri"
Sostegno medio per
libbra** prodotta in
centesimi di $
2.291
1.196
537
500
179
59
50
23
20
18
14
12
24
10
59
9
76
3
3
3
5
9
3
16
* Esclusi sostegni all’esportazione,
Unione
Unione
Europea
Europeacrediti agevolati e altre forme di aiuto
** Una libbra = 453,6 g
Fonti: Direttorato Generale Agricoltura dell’Ue; U.S. Cotton Market
Monthly Economic Letter
AfricaAfrica
occidentale
occidentale Committee
Fonte: International Cotton
Advisory
Australia
Australia
Uzbekistan
Uzbekistan
Chi domina il commercio mondiale dell’“oro bianco”
Mercato a stelle e strisce
«Regolamentare il sostegno che crea distorsioni degli scambi può essere una
strada da seguire, ma non può di per sé risolvere problemi come la tendenza al
ribasso dei prezzi delle merci o la concorrenza delle fibre sintetiche sul cotone»
ha detto il Commissario europeo all’agricoltura Franz Fischler, intervenendo il
1° dicembre scorso a Roma all’Istituto Italo Latino Americano. Insomma, secondo
Fischler, i sussidi sono solo una parte e non la più importante del problema. Ma le
sovvenzioni ai produttori diretti dei paesi ricchi sono l’altra faccia di un assetto di
mercato in cui i produttori non hanno voce in capitolo.
Prezzi: corsa al ribasso e fiammata speculativa
I prezzi di riferimento per il cotone
greggio sono il Cotlook A Index, prezzo
medio a pronti al porto di Liverpool,
tradizionale terminale britannico del
commercio “coloniale”, e i prezzi a
termine (futures e options) al New York
Cotton Exchange (Nyce). Le quotazioni del cotone sono estremamente volatili, ma dalla metà degli anni ’90 si è
prodotta una duratura tendenza al ribasso che ha portato il prezzo da oltre
70 centesimi di dollaro per libbra (=
poco meno di mezzo chilo) a minimi
sotto i 30 cents nell’autunno 2001.
Una lenta ripresa ha portato a metà
2002 i prezzi sopra i 40 centesimi e,
nel 2003, sopra i 50. Tuttavia ad ottobre un forte rally speculativo al rialzo
ha riportato bruscamente le quotazioni sopra gli 80 cents, salvo poi riprendere la china discendente. Le previsioni degli analisti per il 2004 sono di un
mercato debole e i futures scadenza dicembre 2004 dovrebbero attestarsi tra
i 50 e i 60 centesimi.
Produzione e consumo mondiali di
cotone si sono in questi anni rincorsi
2
Microfinanza 1 15 gennaio 2004
senza che si producesse un eccesso tale di offerta da giustificare il calo di
lungo periodo dei prezzi, anche se si
parla di una lenta erosione di quote di
mercato da parte delle fibre sintetiche.
Ora invece l’impennata delle quotazioni è legata a massicci acquisti da
parte della Cina, primo produttore ma
anche primo consumatore mondiale
grazie alla sua consistente industria
tessile, dove il prossimo raccolto, causa condizioni meteorologiche avverse,
scenderà sotto le previsioni.
Chi vende sono in primo luogo gli statunitensi. Ma l’andamento del mercato, come ormai per gran parte delle
materie prime agricole, è largamente
influenzato da operazioni speculative
– il 98% delle transazioni sui mercati a
termine sono di questa natura – ed è
dominato dalle compagnie di trading,
che gestiscono la cruciale fase della
commercializzazione.
Traders: americani, svizzeri e uzbeki
L’Icac, International Cotton Advisory
Committee, ha censito 475 società
impegnate in tutto o in parte nel com-
mercio del cotone. Di esse, 25 sono organizzazioni governative, 9 cooperative e 441 società private.
Le 19 maggiori compagnie, quelle che
trattano più di 200 mila tonnellate di
merce l’anno, gestiscono complessivamente 7,4 milioni di tonnellate di cotone, il 34% del mercato mondiale. Di
per sé non sarebbe neanche una concentrazione eccessiva, ma la classifica
dell’Icac ha un difetto: considera le
singole società e non i gruppi. Se si
prendono in considerazione collegamenti societari e partecipazioni la situazione è un po’ diversa.
La più grande compagnia cotoniera è
la Allenberg Cotton co. di Cordova,
Usa, che fa capo al gruppo Louis
Dreyfus, uno dei colossi del commercio delle materie prime agricole con 20
miliardi di dollari di fatturato annuo.
Del gruppo fa parte anche la società
numero 14 in classifica, la Louis Dreyfus Cotton International di Antwerp,
Belgio, nonché una quota del 15% del
capitale della Queensland Cotton co.
di Brisbane, Australia, dodicesima in
classifica. Dreyfus commercia annualmente 4 milioni di balle di cotone,
Scheda
L’Italia compra meno
dall’Africa
L’Italia, con una industria tessile
ancora di un certo rilievo, è tra i
primi dieci importatori mondiali di
cotone greggio. I trasformatori italiani, attraverso le società di trading, si riforniscono prima di tutto
in Uzbekistan, poi in Egitto, Siria,
Australia, Stati Uniti e Grecia. Mali,
Burkina Faso e altri paesi africani
hanno invece perso quote sul mercato italiano.
cioè circa 880 mila tonnellate. L’altro
colosso da 4 milioni di balle è la
Cargill, multinazionale commerciale
da 60 miliardi di dollari, che schiera la
Cargill Cotton, seconda compagnia
mondiale per merce trattata, e altre
quattro società più piccole: la Cargill
Cotton di Liverpool e le Cargill Zimbabwe, Tanzania e Malawi. Tra le prime 19, otto società hanno base negli
Stati Uniti, tre – tutte governative – in
Uzbekistan, due in Svizzera, due in Australia e una ciascuno in Belgio, Francia, Giappone, e Gran Bretagna.
I principali operatori in Italia, che si
collocano come volume di attività tra
le 50 mila e le 200 mila tonnellate annue, fanno capo a società estere: la Arco Cotton Agents di Milano alla International Cotton Trading britannica, la
Cottagon Italia srl alla Paul Reinhart
(Svizzera, quinto gruppo mondiale), la
Indutech spa, dal ragguardevole volume di affari di 131 milioni e mezzo di
euro e fortemente presente nell’ex
Urss, al Groupe Participations Financieres bv. L’unica italiana è la piccola
Battistel Amiotti srl di Milano, intermediari da appena 242 mila euro. ■
Importazioni italiane di cotone greggio (milioni di euro)
Paesi
Uzbekistan
Egitto
Siria
Australia
Stati Uniti
Grecia
Mali
Tagikistan
Cina
Burkina Faso
Totale (compresi altri)
1998
119,2
43,2
43,5
42,1
36,2
33,6
53,3
22,5
0,1
17,4
530,5
1999
69,1
55,2
25,9
30,7
16,1
34,6
27,3
9,0
0,5
12,4
394,9
2000
83,9
55,5
37,5
41,1
27,6
38,5
19,1
7,6
0,3
14,4
467,8
2001 2002
73,2 51,7
43,1 42,5
34,3 36,9
42,8 31,0
27,6 25,9
36,3 25,5
10,1 18,7
16,4 13,6
13,2 11,5
16,5 10,6
456,7 363,2
Fonte: Istat, Statistiche del commercio estero (www.istat.it)
Qui Ouagadougou
Microfinanza ad una svolta: come finanziare
i produttori di cotone
O ta alla povertà a strumento di svilupUAGADOUGOU
– Da strumento di lot-
po: questa la nuova frontiera della microfinanza in Burkina Faso secondo i
partecipanti alla Conferenza nazionale
del 21-24 ottobre scorsi. Dopo una fase
di rapida crescita, in tutta l’Africa occidentale è l’ora del consolidamento e
della professionalizzazione, ma anche
dell’articolazione col mondo bancario
per affrontare la sfida più grande: finanziare le filiere agricole di esportazione, prima tra tutte quella del cotone,
dove a partire da Cancún si sta consumando lo scontro con i paesi ricchi sulle politiche commerciali.
A Ouagadougou trecento operatori del
settore, esponenti di associazioni e organizzazioni non governative, rappresentanti delle istituzioni e delegati dei
paesi vicini (Benin, Niger, Senegal) si
sono confrontati dal 21 al 24 ottobre su
“La stabilizzazione dei sistemi finanzia-
ri decentralizzati e la lotta contro la povertà”. Il settore della microfinanza in
Burkina conta 56 organizzazioni contro
le 23 del 1995, con 1,3 milioni di clienti e un portafoglio complessivo di 6,8
miliardi di franchi cfa (10,5 milioni di
euro circa) rispetto ai 358 milioni di
franchi di otto anni fa. Il tasso di rientro dei prestiti è intorno al 92%.
Dalle tontines alle casse popolari
«La microfinanza in Burkina è nata su
basi varie» spiega Giampietro Pizzo di
Microfinanza srl, che in quelle settimane era in missione nel paese. «Alcuni
organismi vengono da esperienze tradizionali come le tontines (piccole mutue
finanziarie), altri sono stati promossi da
organizzazioni non governative. Poi c’è
la rete delle cooperative di credito, Réseau des Caisses Populaires, che da sola
comprende la metà della raccolta delle
istituzioni di microfinanza».
Mali: la banca della brousse
Rischio carestia
nella regione cotoniera
D dei produttori di cotone del sud Mali.
a quando è nata nel 1987 si è occupata
Non poteva fare diversamente, dato che da
quelle parti si vive quasi solo dei magri
proventi dell’“oro bianco”. Così Kafo Jiginew (Unione dei granai, in lingua bambara), la rete di casse di villaggio alla cui fondazione
ha
partecipato
anche
l’organizzazione non governativa italiana
Mani Tese, in questi anni è cresciuta ed è
diventata la banca della brousse (la boscaglia del Sahel) e una delle principali istituzioni di microfinanza dell’Africa.
Nella relazione all’ultimo bilancio, riferito
al 2002, il consiglio di amministrazione
presieduto da Issa Bengaly fa un quadro
preoccupante della situazione della regione cotoniera. «Il calo dei prezzi sul mercato mondiale della fibra nel 2001/2002 ha
obbligato le autorità maliane a diminuire
il prezzo di acquisto del cotone ai produttori per la campagna 2002-2003 a 180
franchi cfa (invece che 200 franchi) al chilogrammo». Significa che il contadino del
sud Mali guadagna l’equivalente di 12
centesimi di dollaro per libbra rispetto ad
un prezzo mondiale che è oscillato negli
ultimi anni fra 30 e 70 cents per libbra.
«Ha inoltre costretto ad aumentare il
prezzo del 4,2% per le sementi e di più del
21% per gli insetticidi. Queste misure
hanno avuto come effetto la diminuzione
del reddito dei produttori e quindi l’indebolimento delle loro capacità di risparmio
e di restituzione dei crediti». Per giunta le
produzioni, anche quelle alimentari, sono
diminuite per la siccità e la crisi in Costa
d’Avorio ha ostacolato le piccole attività
commerciali nei villaggi di frontiera. Conclusione: «Una sicurezza alimentare molto precaria, numerose zone sono minacciate dalla carestia». In questo contesto la
rete di Kafo Jiginew riesce ad accrescere ancora un poco il risparmio raccolto, che ammonta a 6,4 miliardi di franchi cfa (oltre
9,9 milioni di euro) ma soprattutto deve
far fronte alla crescente domanda di credito, soprattutto per l’acquisto degli input
produttivi, e gli impieghi aumentano del
48,3%, raggiungendo quota 9,2 miliardi di
franchi (più di 14 milioni di euro). Tuttavia
«la progressione dell’erogazione dei crediti
non s’è accompagnata ad un miglioramento della qualità del portafoglio»: i crediti in
sofferenza sono il 5% circa del totale.
Complessivamente Kafo Jiginew comprende 128 casse locali con 168 operatori
e quasi 145 mila soci, prevalentemente
uomini, 122 mila dei quali hanno un deposito a risparmio. I prestiti in corso sono
77 mila, per un montante massimo per
socio di 30 milioni di franchi (46 mila euro). I crediti hanno una durata media di 9
mesi, costano tra l’1,2 e il 2,5% al mese
per quelli di carattere più commerciale e il
10% l’anno per gli investimenti agricoli
che hanno tempi più lunghi. ■
Nel ’94 è entrata in vigore la normativa
che in tutta l’Africa occidentale ha cercato di mettere ordine nello status dei
“sistemi finanziari decentralizzati” – le
organizzazioni di microcredito – attribuendo la supervisione sul settore alla
Banca Centrale degli Stati dell’Africa
dell’Ovest, Bceao. «Il riordino è stato
positivo» commenta Pizzo «anche per
offrire più garanzie. E ha attirato l’interesse del sistema bancario».
Le banche più grandi del paese, soprattutto quelle partecipate dai gruppi francesi come Bnp-Paribas (la Bicia, Banque
Internazionale pour le Commerce l’Industrie et l’Agricolture du Burkina) e Société
Générale (Sgbb, Société Générale de Banques au Burkina), sono in condizione di
sovraliquidità, cioè impiegano poco.
«Hanno bisogno di rendere più efficiente il rapporto impieghi/raccolta e così
hanno tentato di trovare un nuovo mercato nei servizi di prossimità e nel microcredito. Ma è stato un tentativo grossolano che non si rendeva conto delle
novità portate dalla microfinanza».
L’articolazione con le banche
Oggi, prosegue Pizzo, il settore è ad una
svolta. «In primo luogo c’è l’esigenza di
consolidamento e di professionalizzazione, di offrire servizi di qualità in grado di sottoporsi ad auditing e di farsi
valutare». È il lavoro che svolge Microfinanza srl e che oggi consente a molte
istituzioni microfinanziarie in diversi
paesi di proporsi come destinatarie di
investimenti da parte di organismi del
Nord del mondo.
«Ci sono quindi da risolvere alcune
crisi senza utilizzare meccanismi assistenziali». Secondo uno studio di
Youssoufou Congo dell’Università di
Ouagadougou (“Performance of Microfinance Institutions in Burkina Faso”,
Discussion Paper n. 2002/01, United
Nations University/World Institute for
Development Economics Research, gennaio 2002) le performance delle istituzioni di microfinanza in Burkina restano basse rispetto alla domanda
potenziale e uno dei principali fattori
di debolezza è la scarsa mobilitazione
del risparmio locale. «Si discute anche
di un codice deontologico per le ong
che eviti il proliferare di linee di credito improvvisate».
Ma il punto di svolta più importante e
delicato è il nuovo rapporto col sistema creditizio. «L’articolazione con le
banche locali è un’esigenza delle organizzazioni di microfinanza per raggiungere obiettivi sostanziali avendo
accesso alle risorse del sistema bancario». La mobilitazione del risparmio
dei contadini e degli artigiani è un
processo lungo mentre i finanziamenti internazionali sono difficili da ottenere. Invece con alcune banche il dialogo si è avviato.
«Sono in particolare» precisa Pizzo «la
Caisse Nationale de Crédit Agricole
du Burkina (Cnca) e la Bank of Africa
(Boa)». La Cnca, che si sta trasformando in Banca commerciale dell’agricoltura del Burkina, è partecipata dallo
Stato burkinabè, dalle principali banche regionali di sviluppo e dalla Cooperazione francese. La Boa, presente
in tutta l’area con sede centrale a Cotonou in Benin, vede tra gli azionisti
soprattutto imprenditori privati africani. «Queste banche si stanno avvicinando alla microfinanza cercando di
conoscerla meglio».
In sostanza le microfinanziarie offrono
alle banche un servizio di prossimità e
copertura territoriale, vendendo anche
servizi non finanziari. «Rendono le
banche disponibili al contadino del villaggio sperduto». In cambio le risorse
raccolte dagli istituti di credito vengono
finalmente incanalate verso impieghi
locali, soprattutto nei settori dove lavora la maggior parte della popolazione
povera: il cotone in primo luogo.
Finanziare le filiere
«Attualmente le banche non garantiscono nulla nella filiera del cotone.
L’unico organismo che opera, in modo spesso burocratico, è la Sofitex, la
società nazionale di commercializzazione. D’altra parte, in termini quantitativi, l’attuale volume d’affari di tutta
la microfinanza del Burkina corrisponde al 60% del fabbisogno della filiera
del cotone. Quindi c’è bisogno di nuove risorse. La microfinanza “articolata” con le banche può cominciare ad
operare su pezzi del fabbisogno: il credito per gli input produttivi, il servizio
di riscossione».
«Se la microfinanza vuole crescere deve porsi il problema delle grandi filiere» conclude Pizzo. «Perché questa è
l’economia che tocca milioni di persone. Non dimenticando le filiere dei cereali, miglio, sorgo, con la necessità
per i contadini di finanziare l’immagazzinamento e attendere il momento
giusto per vendere». Il governo di
Ouagadougou sembra crederci. Tra le
agenzie di cooperazione, chi ha preso
sul serio questa prospettiva sono i danesi. L’Italia è impegnata solo nella sanità. Per lo meno nel 2003 ha condonato il debito, dopo aver incassato gli
ultimi 148 mila euro di interessi. ■
INVESTI NELLA NUOVA FINANZA
Fondi di investimento socialmente responsabili, finanza etica e, soprattutto, microfinanza: un servizio di consulenza indipendente
per chi sceglie un investimento consapevole. Da febbraio 2004 su www.microfinanza.it
Microfinanza 1 15 gennaio 2004
3
Cresce l’afflusso di capitali nei paradisi fiscali e societari
Per la finanza del terrore l’Italia è a maglie larghe
S po di monitoraggio delle Nazioni
econdo l’ultimo rapporto del Grup-
Unite sulle sanzioni ad al-Qaeda e
ai Talebani, importanti operatori finanziari già da tempo indicati come
complici nella raccolta di fondi per
il terrorismo islamista continuano a
controllare «attività finanziarie e altre
risorse economiche, inclusi fondi di
investimento e beni immobili» in
Italia, oltre che in Svizzera e in Liechtenstein. E i capitali italiani, nonostante gli “scudi” di Tremonti, continuano ad affluire nei paradisi fiscali,
anzi proprio in quelli, come le Bahamas, dove sono maggiormente segnalate società sospette. Ammonta ad
almeno 1.227 miliardi di dollari il volume mondiale della finanza off-shore. Nella lista di persone ed enti considerate vicine ai Talebani e alla rete
terroristica di Osama bin Laden, tenu-
Stati Uniti. Azionisti responsabili
ta aggiornata dall’apposito Comitato
di e mezzo di dollari confrontando gli
Zone franche
delle Nazioni Unite, figurano ancora
stessi paesi, a quasi 12 miliardi consiForse però non è neanche questa la
cinque società con sede in Italia, tra
derando le Isole del Canale della Manimanchevolezza maggiore. Dall’Italia
cui perfino un albergo di Milano.
ca di cui nel 2001 mancavano i dati.
infatti, e da altri paesi, continuano ad
Fanno tutte capo al gruppo finanziaOltre 5 miliardi di dollari sono i capitaaffluire capitali nei paradisi fiscali e
rio al-Taqwa e ai suoi dirigenti Youssef
li bancari italiani nelle Isole Cayman, il
societari, quella quarantina di Stati e
Nada e Ahmed Idris Nasreddin. L’Itamaggiore
rifugio fiscale del mondo con
mini-Stati dove non arrivano i conlia ha provveduto da tempo a congepoco
meno
di 800 miliardi di dollari di
trolli delle autorità politiche e monelare i conti bancari di questi personagcapitali
esteri.
Seguono le Bahamas,
tarie. Gran parte di essi, sollecitati dalgi e delle loro società, ma – nota
passate
in
un
anno
e mezzo da 2,8 a
l’Ocse che da tempo conduce l’azione
l’ultimo rapporto del Comi3,8 miliardi di dollari, un
tato presieduto dal cileno Capitali nei paradisi fiscali per paese di provenienza - marzo 2003 milioni di dollari vero boom. Poi c’è Jersey,
Heraldo Muñoz – «niente è
isola nella Manica, con quastato fatto rispetto alle loro
si 1 miliardo di dollari,
Crediti bancari
Titoli
TOTALE
attività economiche e mateGuernsey, l’altra isola, con
riali». Italia, Svizzera e Liech- Totale 29 paesi
400 milioni, le Antille Olan628.377
598.800
1.227.177
tenstein sono neanche tropdesi con 364 milioni e le Isodi cui da: Giappone
129.158
Germania
110.045
po velatamente rimproverati
le Vergini Britanniche con
Gran Bretagna
76.404
di contribuire ad una «seria
330 milioni.
Francia
47.643
debolezza» nel controllo dei
Insomma, visto da qui lo
Stati Uniti
25.391
flussi di denaro alle centrali
“scudo fiscale” del ministro
Italia
11.962
del terrore.
dell’Economia Giulio Tremonti
–
le
agevolazioni per far rienper eliminare le pratiche fiscali dantrare
in
Italia
i capitali esportati – non
nose, si sono impegnati ad essere un
sembra
essere
stata un’operazione di
po’ meno off-shore entro il 2005. Ma
successo.
Ma
i
soldi off-shore aumenin pratica le cose sono cambiate poco,
tano
su
scala
globale.
Nei diciotto mecome dimostrano gli scandali Cirio e
si
tra
il
settembre
2001
e il marzo
Parmalat che ruotano in buona parte
2003
sono
passati
da
1.032
a 1.138
su operazioni effettuate nelle “zone
miliardi
confrontando
lo
stesso
grupfranche” finanziarie.
McDermott (impianti), Ingersoll-Rand
po
di
paesi,
a
1.227
miliardi
consideTra i 99 enti considerati dall’Onu vici(componenti industriali). Il 26,4% degli
rando le Isole del Canale stimate per
ni ad al-Qaeda ce ne sono 6 con sede
azionisti Tyco ha votato la rinuncia alle
la prima volta. E mentre regrediscono
in Liechtenstein, 4 alle Bahamas e 3 in
società in Bermuda, attraverso le quali la
i flussi dagli Usa, quelli dal Giappone
Svizzera. Alle Bahamas, secondo i dati
multinazionale avrebbe evaso 400 milioe dell’Europa proseguono. ■
della Banca dei Regolamenti Internani di dollari nel solo 2001.
Secondo un rapporto di Citizen Works,
zionali, ci sono capitali esteri ufficiali
tra le maggiori compagnie Usa la Boeing è
sotto forma di crediti e di titoli per 26
Crediti bancari dell’Italia ai paradisi fiscali
milioni di dollari
passata tra il 1997 e il 2002 da 10 a 31 somiliardi di dollari, mentre in Liechtencietà controllate nei paradisi fiscali, la Pfistein ce ne sono per oltre 4 miliardi di
settembre 2001
marzo 2003
zer da 9 a 30, la Xerox da 6 a 23, un’imdollari. In entrambi i casi i volumi sopresa di impiantistica come El Paso da 52
Andorra
57
9
no in calo rispetto agli ultimi anni.
a 244 – prima in classifica tra le 500 magAntille Olandesi (Olanda)
425
364
Stanno calando però essenzialmente
Aruba
11
12
giori compagnie – e un’azienda energetiper la diminuzione dei capitali statuniBahamas
2.810
3.757
ca, emula in questo di Enron, la Aes, adBahrein
173
193
tensi, la cui fuga nei centri off-shore è
dirittura da 2 a 195.
Bermuda
305
193
Tra le banche si segnalano Morgan Stanley,
vivacemente contestata in patria, soCipro
75
70
passata da 2 a 99 filiali “esotiche”, Citiprattutto dopo l’11 settembre e il caso
Gibilterra (Gran Bretagna)
73
15
group da 19 a 92 e la Bank of America, l’iEnron (vedi “Quei capitali antipatriottiIsole Cayman
4.829
5.047
stituto del falso conto Parmalat, arrivata a
ci”). Non è così invece per altri paesi tra
Isole Vergini Britanniche
52 sedi. Infine, ma non per importanza,
(Gran Bretagna)
209
330
cui l’Italia. I soli crediti bancari – l’unila Halliburton: la società di cui è stato a
Liberia
84
79
ca voce su cui le statistiche internaziolungo amministratore delegato il vicepreLiechtenstein
40
32
nali diano la scomposizione per paese
Malta
183
153
sidente Dick Cheney ha moltiplicato in
di provenienza – ai paradisi fiscali sono
Mauritius
3
cinque anni le sue sedi “antipatriottiche”
Panama
255
317
passati dal settembre 2001 al marzo
da 8 a 58. ■
Totale
9.532
10.571
2003 da 9 miliardi e mezzo a 10 miliar-
Quei capitali antipatriottici
L societarie nei paradisi fiscali per non pa-
a pratica, di per sé legale, di aprire sedi
gare le tasse è finita negli Stati Uniti sotto
il tiro di investitori responsabili, attivisti
sociali e membri del Congresso. Non solo
per ragioni etiche ma anche “patriottiche”: a fronte delle decine di miliardi di
dollari che l’Amministrazione Usa sta
spendendo nella “guerra al terrorismo”,
l’Internal Revenue Service, l’agenzia delle
entrate, stima l’evasione fiscale delle imprese in 70 miliardi di dollari l’anno.
Così, mentre il governo italiano, attraverso lo scudo fiscale, fa ponti d’oro ai capitali espatriati e imprese come Cirio e
Parmalat costruiscono le loro (precarie)
fortune sulla finanza off-shore, negli Stati
Uniti avere una sede alle Isole Cayman
diventa uno scandalo. Una serie di azionisti responsabili, tra cui il fondo pensione degli impiegati californiani (Calpers)
che aveva già introdotto i diritti umani
tra i criteri delle sue scelte di investimento, hanno presentato risoluzioni sull’argomento alle assemblee societarie di colossi come Tyco (elettronica e plastica),
Liberia. Affari di guerra
Riapre Tradevco, la Mediobanca di Monrovia
N 30 giugno 2003, approvato dall’assemblea
el bilancio consolidato di Mediobanca al
Bollettino per lo sviluppo plurale
n. 1 - 15 gennaio 2004
Autorizzazione del Tribunale di Vicenza n. 1016/2002
Direttore responsabile Francesco Terreri
In redazione: Mameli Biasin - Ha collaborato: Gioia Nardin
Editore: Associazione Microfinanza e Sviluppo
via Monticello di Fara 13/b 36040 Sarego (VI)
tel. 3351284571 e-mail: [email protected]
Stampa: Publistampa Arti grafiche, Pergine (TN)
Abbonamento per venti numeri: 40 euro.
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intestato a Associazione Microfinanza e Sviluppo
via Monticello di Fara 13/b 36040 Sarego (VI).
Indicare con precisione nome e indirizzo.
4
Microfinanza 1 15 gennaio 2004
del 28 ottobre, The Liberian Trading and Development Bank ltd, la Tradevco di Monrovia
(Liberia), non c’è in quanto “a causa dei noti
eventi bellici ha interrotto la propria attività”. Gli eventi bellici sono l’interminabile
guerra civile liberiana, conclusa, almeno sulla carta, con gli accordi di pace del 18 agosto
scorso. Con la fine della guerra guerreggiata,
anche le attività economiche stanno riprendendo e in settembre Tradevco ha riaperto i
battenti.
La Tradevco, di cui Mediobanca ha il 60%
del capitale mentre il restante 40% è costituito da azioni proprie, risale al 1954, quando fu costituita per “agevolare lo sviluppo all’estero delle attività mercantili italiane”. Ha
affiancato a lungo un’altra controllata di
Mediobanca, la Intersomer, incorporata nel
2000 in Mb Finstrutture, che con le sue partecipazioni in aziende locali commercializzava in Africa prodotti italiani, in particola-
re veicoli Fiat. È la banca dove le agenzie dell’Onu che operano in Liberia hanno i loro
conti. Ma ha anche svolto altre funzioni meno note.
Nonostante la guerra, la Liberia aveva al
marzo 2003, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali (Bri), un volume di attività bancarie estere di 15 miliardi 496 milioni di dollari. Niente a che vedere col
debito estero, pari a circa 2 miliardi di dollari, cioè quattro volte il prodotto interno
lordo. Si tratta invece delle attività off- shore, quelle per cui Monrovia semidistrutta figura ancora nella black list dei paradisi fiscali: licenze marittime – le navi battenti
bandiera liberiana – e depositi bancari.
I capitali più importanti collocati in Liberia
sono tedeschi, giapponesi, francesi, britannici. Ultimamente sono calati quelli statunitensi. Ma ci sono anche 79 milioni di dollari dall’Italia, almeno questo è il dato
ufficiale sempre di fonte Bri. Tradevco di suo
raccoglie l’equivalente di 496 milioni di dol-
lari liberiani, 11 milioni di dollari circa, che
erano però molti di più, 45 milioni di dollari, alla metà degli anni ’90. Il calo probabilmente è collegato ad una oscura vicenda di
depositi restituiti in dollari liberiani invece
che in dollari Usa, vicenda in cui la Corte
suprema condannò la banca ma il dittatore
Charles Taylor diede ragione alla Tradevco.
La società di Mediobanca ha mantenuto anche negli anni di guerra i conti in avanzo: 34
mila dollari di utile semestrale al 31 dicembre
2002, ultimo dato esistente. Non è semplice
sapere di cosa si occupasse. Uno dei rari indizi si trova nei bilanci della Sipef, un operatore
internazionale belga nel campo dell’olio di
palma, del tè e della gomma, che nel 2000 salda con 2 milioni 785 mila euro le sue passività presso la Tradevco. Insomma, la Mediobanca di Monrovia ha continuato a lavorare
nel commercio delle materie prime, uno dei
canali attraverso i quali le fazioni armate si sono procurate in questi anni valuta pregiata
per la guerra. ■