All`Africa niente sconti
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Tariffa Pagata P.D.I. Autorizzazione DRT/DCB Vicenza/PDI/254/2004 valida dal 12/01/2004 Microfinanza BOLLETTINO PER LO SVILUPPO PLURALE All’Africa niente sconti L’Unione Europea conferma i sussidi sul cotone Nei paesi produttori microfinanza e banche locali insieme per finanziare la filiera Mentre l’Ecofin, su proposta italiana, “salva” Francia e Germania dalle sanzioni per la violazione del Patto di stabilità, nessun sostanziale sconto viene fatto ai produttori africani di cotone che chiedono il ridimensionamento dei sussidi Usa e Ue. La proposta di riforma delle politiche agricole sulle “colture mediterranee” conferma gli oltre 800 milioni di euro di sussidi alla produzione cotoniera, sia pur con qualche novità nei criteri di erogazione. In un mercato internazionale dominato dai traders statunitensi e da una tendenza al ribasso dei prezzi, il sistema bancario ignora il fabbisogno di credito dei produttori dell’Africa occidentale. Ma le organizzazioni di microfinanza aprono un confronto con le banche locali per finanziare la filiera del cotone. PAG. 1•3 “Paradisi” di guerra Riapre Tradevco, la Mediobanca di Monrovia PAG. 4 ABBONATI A MICROFINANZA Allegato a questo numero troverai un bollettino di conto corrente postale. L’abbonamento per i 20 numeri del 2004 costa 40 euro. Si può versare sul conto corrente postale n. 23482177 intestato a Associazione Microfinanza e Sviluppo, via Monticello di Fara 13/b 36040 Sarego (VI), indicando con precisione nome e indirizzo. Altre notizie sulla macrofinanza e sulla microfinanza le trovi su www.microfinanza.it Qui Bruxelles Cotone, la “riforma” dei sussidi: (quasi) tutto come prima B missione europea ha presentato le RUXELLES - Il 18 novembre la Com- proposte di riforma della politica agricola comune (Pac) per i settori del tabacco, dell’olio d’oliva, del luppolo e del cotone. La doccia fredda per l’Africa è che per il cotone sono confermati gli 800 milioni di euro di sussidi alla produzione europea, sia pur in un quadro di misure parzialmente modificato. Questo proprio nei giorni in cui la Francia invita l’Unione Europea a prendere un’iniziativa per sostenere i 2 milioni di produttori africani e il viceministro italiano al commercio estero Adolfo Urso, per bocca del suo portavoce Giancarlo Salemi, dichiara a Microfinanza: «L’Italia è a favore delle richieste dei paesi africani». Aggiungendo però poi: «In sede europea siamo bloccati dalla posizione della Grecia e della Spagna». I sussidi di Stati Uniti e Unione Europea ai propri produttori di cotone greggio sono stati denunciati da quattro paesi produttori africani – Benin, Burkina Faso, Ciad e Mali – come una forma di concorrenza sleale. È stato uno dei dossier scottanti della Conferenza interministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio di Cancún, a settembre. Sul banco degli imputati prima di tutto gli Stati Uniti, primo esportatore mondiale, che sostengono i 25 mila coltivatori del cotton belt con quasi 2,3 miliardi di dollari l’anno di solo supporto al prezzo e al reddito, che arrivano a 3,9 miliardi considerando tutte le forme di aiuto (Oxfam International, “Cultivating Poverty. The Impact of US Cotton Subsidies on Africa”, 2002). Anche la Cina, primo produttore mondiale, finanzia la coltivazione del cotone con 1,2 miliardi di dollari l’anno, ma la produzione cinese è destinata in gran parte al mercato interno, N. 1 - 15 gennaio 2004 U n n u m e r o 2 e u r o Finanza del terrore, l’Italia a maglie larghe “Antipatriottico” negli Usa evadere le tasse attraverso i paradisi fiscali. I capitali italiani invece, come raccontano i casi Cirio e Parmalat, continuano ad affluire nei tax havens Secondo l’ultimo rapporto del Gruppo di monitoraggio delle Nazioni Unite sulle sanzioni ad al-Qaeda e ai Talebani, importanti operatori finanziari già da tempo indicati come complici nella raccolta di fondi per il terrorismo islamista continuano a controllare “attività finanziarie e altre risorse economiche, inclusi fondi di investimento e beni immobili” in Italia, oltre che in Svizzera e in Liechtenstein. I capitali italiani, nonostante gli “scudi” di Tremonti, continuano ad affluire nei paradisi fiscali. PAG. 4 come anche quella indiana e quella pakistana. L’Unione Europea, dal canto suo, sostiene la produzione greca e spagnola (e una piccola produzione portoghese) con aiuti che in qualche annata agricola, ad esempio nel 199899, hanno superato i 900 milioni di euro, mentre negli ultimi anni si attestano sopra gli 800 milioni. Le aziende produttrici, in genere di piccole dimensioni, sono 71.600 in Grecia e 7.600 in Spagna. L’aiuto europeo corrisponde al doppio dei prezzi mondiali del cotone del periodo più recente. Se la media del prezzo internazionale tra la metà degli anni ’90 e oggi si colloca intorno ai 280 euro a tonnellata, il sostegno medio è stato di 520 euro a tonnellata per la Grecia e 620 euro per la Spagna. Inutile dire che i coltivatori africani, ma anche quelli turchi, brasiliani, egiziani, messicani non ricevono niente di nemmeno lontanamente paragonabile (vedi tabella). La riforma della Pac, sostengono a Bruxelles, abbandonerebbe queste logiche assistenzialiste. Il meccanismo è il cosiddetto “disaccoppiamento” dei sostegni: non più aiuto ai prezzi e alla produzione, ma sostegno al reddito dei produttori. La proposta della Commissione sul tabacco e sul luppolo prevede un sostanziale “disaccoppiamento”, sia pur graduale, che ha già scatenato molte polemiche, in Italia soprattutto sul tabacco in cui lavorano 280 mila persone tra coltivazione, prima trasformazione, manifattura e distribuzione. Per l’olio d’oliva e il cotone, invece, il [segue a pag. 2] Microfinanza 1 15 gennaio 2004 1 nuovo regime copre il 60% dei sussidi, mentre per il 40% resta il vecchio aiuto alla produzione sotto forma di aiuto per superficie. La proposta della Commissione infatti prevede un aiuto per ettaro coltivato a cotone di 594 euro per la Grecia, 898 euro per la Spagna e 556 euro per il Portogallo, per uno stanziamento totale di 278,5 milioni di euro, 202 milioni per la Grecia, 76,3 milioni per la Spagna e 0,2 milioni per il Portogallo. Altri 417,3 milioni di euro vengono stanziati come sostegno diretto al reddito: 302,4 milioni per i produttori greci, 114,5 per gli spagnoli e 365 mila per i portoghesi. A questi si aggiungono i finanziamenti per lo sviluppo rurale – il “secondo pilastro” della riforma Pac – per 102,9 milioni e 4,3 milioni di sostegno alle organizzazioni interprofessionali. Totale: 803 milioni di euro, lo stesso livello del sostegno nell’annata 2001-2002. Con buona pace del piano francese, anticipato dall’Agenzia France Presse a metà novembre, che parla di «correzioni» al sistema dei sussidi e di «consolidamento» del settore cotoniero africano con meccanismi contro la volatilità dei prezzi. E della posizione del governo italiano: il viceministro alle Attività produttive Adolfo Urso, per bocca del suo portavoce Salemi, afferma che «l’Italia è a favore delle richieste del G22 [il gruppo dei principali paesi in via di sviluppo n.d.r.]. Non si può prescindere dalle esigenze dei paesi più poveri. Sul cotone però, in sede europea, siamo bloccati dalla posizione di Grecia e Spagna». E dal complesso sistema di equilibri tra i sussidi ai vari comparti agricoli. ■ Produzione mondiale di cotone greggio (media 1999/2000 - 2001/2002) India 13,1% Produzione mondiale di cotone greggio 2002/2003 (milioni di tonnellate) 4,9 Cina Stati Uniti 20,1% 3,7 Stati Uniti Pakistan 9,0% 2,3 India Uzbekistan 5,5% Zona africana del franco 4,5% 1,7 Pakistan Cina 22,6% 1,0 0,9 0,9 0,8 Uzbekistan Zona africana del franco* Unione Europea 2,5% Turchia Brasile Altri 22,7% 0,5 Unione Europea Australia 0,4 Consumo mondiale di cotone sgranato (media 1999/2000 - 2001/2002) 2,1 Altri 0 Stati Uniti 9,5% India 14,4% Pakistan 9,0% 1 2 3 4 5 Totale: 19,2 milioni di tonnellate * Paesi produttori dell’Africa occidentale Unione Europea 5,4% Cina 25,4% I sussidi alla produzione del cotone 2001/02 "Altri" Totale sostegno a prezzi Europeain milioni di $ eUnione reddito* Altri 36,3% Totale: 20,1 milioni di tonnellate Esportazioni mondiali di cotone sgranato (media 1999/2000 - 2001/2002) Australia 11,7% Uzbekistan 13,3% Africa occidentale 11,7% Unione Europea 3,3% Stati Uniti 30% Altri 30,0% Totale: 6 milioni di tonnellate Stati Uniti Cina Grecia India Spagna Turchia Brasile Egitto Benin Messico Mali Colombia Pakistan Stati Uniti India "Altri" "Altri" Sostegno medio per libbra** prodotta in centesimi di $ 2.291 1.196 537 500 179 59 50 23 20 18 14 12 24 10 59 9 76 3 3 3 5 9 3 16 * Esclusi sostegni all’esportazione, Unione Unione Europea Europeacrediti agevolati e altre forme di aiuto ** Una libbra = 453,6 g Fonti: Direttorato Generale Agricoltura dell’Ue; U.S. Cotton Market Monthly Economic Letter AfricaAfrica occidentale occidentale Committee Fonte: International Cotton Advisory Australia Australia Uzbekistan Uzbekistan Chi domina il commercio mondiale dell’“oro bianco” Mercato a stelle e strisce «Regolamentare il sostegno che crea distorsioni degli scambi può essere una strada da seguire, ma non può di per sé risolvere problemi come la tendenza al ribasso dei prezzi delle merci o la concorrenza delle fibre sintetiche sul cotone» ha detto il Commissario europeo all’agricoltura Franz Fischler, intervenendo il 1° dicembre scorso a Roma all’Istituto Italo Latino Americano. Insomma, secondo Fischler, i sussidi sono solo una parte e non la più importante del problema. Ma le sovvenzioni ai produttori diretti dei paesi ricchi sono l’altra faccia di un assetto di mercato in cui i produttori non hanno voce in capitolo. Prezzi: corsa al ribasso e fiammata speculativa I prezzi di riferimento per il cotone greggio sono il Cotlook A Index, prezzo medio a pronti al porto di Liverpool, tradizionale terminale britannico del commercio “coloniale”, e i prezzi a termine (futures e options) al New York Cotton Exchange (Nyce). Le quotazioni del cotone sono estremamente volatili, ma dalla metà degli anni ’90 si è prodotta una duratura tendenza al ribasso che ha portato il prezzo da oltre 70 centesimi di dollaro per libbra (= poco meno di mezzo chilo) a minimi sotto i 30 cents nell’autunno 2001. Una lenta ripresa ha portato a metà 2002 i prezzi sopra i 40 centesimi e, nel 2003, sopra i 50. Tuttavia ad ottobre un forte rally speculativo al rialzo ha riportato bruscamente le quotazioni sopra gli 80 cents, salvo poi riprendere la china discendente. Le previsioni degli analisti per il 2004 sono di un mercato debole e i futures scadenza dicembre 2004 dovrebbero attestarsi tra i 50 e i 60 centesimi. Produzione e consumo mondiali di cotone si sono in questi anni rincorsi 2 Microfinanza 1 15 gennaio 2004 senza che si producesse un eccesso tale di offerta da giustificare il calo di lungo periodo dei prezzi, anche se si parla di una lenta erosione di quote di mercato da parte delle fibre sintetiche. Ora invece l’impennata delle quotazioni è legata a massicci acquisti da parte della Cina, primo produttore ma anche primo consumatore mondiale grazie alla sua consistente industria tessile, dove il prossimo raccolto, causa condizioni meteorologiche avverse, scenderà sotto le previsioni. Chi vende sono in primo luogo gli statunitensi. Ma l’andamento del mercato, come ormai per gran parte delle materie prime agricole, è largamente influenzato da operazioni speculative – il 98% delle transazioni sui mercati a termine sono di questa natura – ed è dominato dalle compagnie di trading, che gestiscono la cruciale fase della commercializzazione. Traders: americani, svizzeri e uzbeki L’Icac, International Cotton Advisory Committee, ha censito 475 società impegnate in tutto o in parte nel com- mercio del cotone. Di esse, 25 sono organizzazioni governative, 9 cooperative e 441 società private. Le 19 maggiori compagnie, quelle che trattano più di 200 mila tonnellate di merce l’anno, gestiscono complessivamente 7,4 milioni di tonnellate di cotone, il 34% del mercato mondiale. Di per sé non sarebbe neanche una concentrazione eccessiva, ma la classifica dell’Icac ha un difetto: considera le singole società e non i gruppi. Se si prendono in considerazione collegamenti societari e partecipazioni la situazione è un po’ diversa. La più grande compagnia cotoniera è la Allenberg Cotton co. di Cordova, Usa, che fa capo al gruppo Louis Dreyfus, uno dei colossi del commercio delle materie prime agricole con 20 miliardi di dollari di fatturato annuo. Del gruppo fa parte anche la società numero 14 in classifica, la Louis Dreyfus Cotton International di Antwerp, Belgio, nonché una quota del 15% del capitale della Queensland Cotton co. di Brisbane, Australia, dodicesima in classifica. Dreyfus commercia annualmente 4 milioni di balle di cotone, Scheda L’Italia compra meno dall’Africa L’Italia, con una industria tessile ancora di un certo rilievo, è tra i primi dieci importatori mondiali di cotone greggio. I trasformatori italiani, attraverso le società di trading, si riforniscono prima di tutto in Uzbekistan, poi in Egitto, Siria, Australia, Stati Uniti e Grecia. Mali, Burkina Faso e altri paesi africani hanno invece perso quote sul mercato italiano. cioè circa 880 mila tonnellate. L’altro colosso da 4 milioni di balle è la Cargill, multinazionale commerciale da 60 miliardi di dollari, che schiera la Cargill Cotton, seconda compagnia mondiale per merce trattata, e altre quattro società più piccole: la Cargill Cotton di Liverpool e le Cargill Zimbabwe, Tanzania e Malawi. Tra le prime 19, otto società hanno base negli Stati Uniti, tre – tutte governative – in Uzbekistan, due in Svizzera, due in Australia e una ciascuno in Belgio, Francia, Giappone, e Gran Bretagna. I principali operatori in Italia, che si collocano come volume di attività tra le 50 mila e le 200 mila tonnellate annue, fanno capo a società estere: la Arco Cotton Agents di Milano alla International Cotton Trading britannica, la Cottagon Italia srl alla Paul Reinhart (Svizzera, quinto gruppo mondiale), la Indutech spa, dal ragguardevole volume di affari di 131 milioni e mezzo di euro e fortemente presente nell’ex Urss, al Groupe Participations Financieres bv. L’unica italiana è la piccola Battistel Amiotti srl di Milano, intermediari da appena 242 mila euro. ■ Importazioni italiane di cotone greggio (milioni di euro) Paesi Uzbekistan Egitto Siria Australia Stati Uniti Grecia Mali Tagikistan Cina Burkina Faso Totale (compresi altri) 1998 119,2 43,2 43,5 42,1 36,2 33,6 53,3 22,5 0,1 17,4 530,5 1999 69,1 55,2 25,9 30,7 16,1 34,6 27,3 9,0 0,5 12,4 394,9 2000 83,9 55,5 37,5 41,1 27,6 38,5 19,1 7,6 0,3 14,4 467,8 2001 2002 73,2 51,7 43,1 42,5 34,3 36,9 42,8 31,0 27,6 25,9 36,3 25,5 10,1 18,7 16,4 13,6 13,2 11,5 16,5 10,6 456,7 363,2 Fonte: Istat, Statistiche del commercio estero (www.istat.it) Qui Ouagadougou Microfinanza ad una svolta: come finanziare i produttori di cotone O ta alla povertà a strumento di svilupUAGADOUGOU – Da strumento di lot- po: questa la nuova frontiera della microfinanza in Burkina Faso secondo i partecipanti alla Conferenza nazionale del 21-24 ottobre scorsi. Dopo una fase di rapida crescita, in tutta l’Africa occidentale è l’ora del consolidamento e della professionalizzazione, ma anche dell’articolazione col mondo bancario per affrontare la sfida più grande: finanziare le filiere agricole di esportazione, prima tra tutte quella del cotone, dove a partire da Cancún si sta consumando lo scontro con i paesi ricchi sulle politiche commerciali. A Ouagadougou trecento operatori del settore, esponenti di associazioni e organizzazioni non governative, rappresentanti delle istituzioni e delegati dei paesi vicini (Benin, Niger, Senegal) si sono confrontati dal 21 al 24 ottobre su “La stabilizzazione dei sistemi finanzia- ri decentralizzati e la lotta contro la povertà”. Il settore della microfinanza in Burkina conta 56 organizzazioni contro le 23 del 1995, con 1,3 milioni di clienti e un portafoglio complessivo di 6,8 miliardi di franchi cfa (10,5 milioni di euro circa) rispetto ai 358 milioni di franchi di otto anni fa. Il tasso di rientro dei prestiti è intorno al 92%. Dalle tontines alle casse popolari «La microfinanza in Burkina è nata su basi varie» spiega Giampietro Pizzo di Microfinanza srl, che in quelle settimane era in missione nel paese. «Alcuni organismi vengono da esperienze tradizionali come le tontines (piccole mutue finanziarie), altri sono stati promossi da organizzazioni non governative. Poi c’è la rete delle cooperative di credito, Réseau des Caisses Populaires, che da sola comprende la metà della raccolta delle istituzioni di microfinanza». Mali: la banca della brousse Rischio carestia nella regione cotoniera D dei produttori di cotone del sud Mali. a quando è nata nel 1987 si è occupata Non poteva fare diversamente, dato che da quelle parti si vive quasi solo dei magri proventi dell’“oro bianco”. Così Kafo Jiginew (Unione dei granai, in lingua bambara), la rete di casse di villaggio alla cui fondazione ha partecipato anche l’organizzazione non governativa italiana Mani Tese, in questi anni è cresciuta ed è diventata la banca della brousse (la boscaglia del Sahel) e una delle principali istituzioni di microfinanza dell’Africa. Nella relazione all’ultimo bilancio, riferito al 2002, il consiglio di amministrazione presieduto da Issa Bengaly fa un quadro preoccupante della situazione della regione cotoniera. «Il calo dei prezzi sul mercato mondiale della fibra nel 2001/2002 ha obbligato le autorità maliane a diminuire il prezzo di acquisto del cotone ai produttori per la campagna 2002-2003 a 180 franchi cfa (invece che 200 franchi) al chilogrammo». Significa che il contadino del sud Mali guadagna l’equivalente di 12 centesimi di dollaro per libbra rispetto ad un prezzo mondiale che è oscillato negli ultimi anni fra 30 e 70 cents per libbra. «Ha inoltre costretto ad aumentare il prezzo del 4,2% per le sementi e di più del 21% per gli insetticidi. Queste misure hanno avuto come effetto la diminuzione del reddito dei produttori e quindi l’indebolimento delle loro capacità di risparmio e di restituzione dei crediti». Per giunta le produzioni, anche quelle alimentari, sono diminuite per la siccità e la crisi in Costa d’Avorio ha ostacolato le piccole attività commerciali nei villaggi di frontiera. Conclusione: «Una sicurezza alimentare molto precaria, numerose zone sono minacciate dalla carestia». In questo contesto la rete di Kafo Jiginew riesce ad accrescere ancora un poco il risparmio raccolto, che ammonta a 6,4 miliardi di franchi cfa (oltre 9,9 milioni di euro) ma soprattutto deve far fronte alla crescente domanda di credito, soprattutto per l’acquisto degli input produttivi, e gli impieghi aumentano del 48,3%, raggiungendo quota 9,2 miliardi di franchi (più di 14 milioni di euro). Tuttavia «la progressione dell’erogazione dei crediti non s’è accompagnata ad un miglioramento della qualità del portafoglio»: i crediti in sofferenza sono il 5% circa del totale. Complessivamente Kafo Jiginew comprende 128 casse locali con 168 operatori e quasi 145 mila soci, prevalentemente uomini, 122 mila dei quali hanno un deposito a risparmio. I prestiti in corso sono 77 mila, per un montante massimo per socio di 30 milioni di franchi (46 mila euro). I crediti hanno una durata media di 9 mesi, costano tra l’1,2 e il 2,5% al mese per quelli di carattere più commerciale e il 10% l’anno per gli investimenti agricoli che hanno tempi più lunghi. ■ Nel ’94 è entrata in vigore la normativa che in tutta l’Africa occidentale ha cercato di mettere ordine nello status dei “sistemi finanziari decentralizzati” – le organizzazioni di microcredito – attribuendo la supervisione sul settore alla Banca Centrale degli Stati dell’Africa dell’Ovest, Bceao. «Il riordino è stato positivo» commenta Pizzo «anche per offrire più garanzie. E ha attirato l’interesse del sistema bancario». Le banche più grandi del paese, soprattutto quelle partecipate dai gruppi francesi come Bnp-Paribas (la Bicia, Banque Internazionale pour le Commerce l’Industrie et l’Agricolture du Burkina) e Société Générale (Sgbb, Société Générale de Banques au Burkina), sono in condizione di sovraliquidità, cioè impiegano poco. «Hanno bisogno di rendere più efficiente il rapporto impieghi/raccolta e così hanno tentato di trovare un nuovo mercato nei servizi di prossimità e nel microcredito. Ma è stato un tentativo grossolano che non si rendeva conto delle novità portate dalla microfinanza». L’articolazione con le banche Oggi, prosegue Pizzo, il settore è ad una svolta. «In primo luogo c’è l’esigenza di consolidamento e di professionalizzazione, di offrire servizi di qualità in grado di sottoporsi ad auditing e di farsi valutare». È il lavoro che svolge Microfinanza srl e che oggi consente a molte istituzioni microfinanziarie in diversi paesi di proporsi come destinatarie di investimenti da parte di organismi del Nord del mondo. «Ci sono quindi da risolvere alcune crisi senza utilizzare meccanismi assistenziali». Secondo uno studio di Youssoufou Congo dell’Università di Ouagadougou (“Performance of Microfinance Institutions in Burkina Faso”, Discussion Paper n. 2002/01, United Nations University/World Institute for Development Economics Research, gennaio 2002) le performance delle istituzioni di microfinanza in Burkina restano basse rispetto alla domanda potenziale e uno dei principali fattori di debolezza è la scarsa mobilitazione del risparmio locale. «Si discute anche di un codice deontologico per le ong che eviti il proliferare di linee di credito improvvisate». Ma il punto di svolta più importante e delicato è il nuovo rapporto col sistema creditizio. «L’articolazione con le banche locali è un’esigenza delle organizzazioni di microfinanza per raggiungere obiettivi sostanziali avendo accesso alle risorse del sistema bancario». La mobilitazione del risparmio dei contadini e degli artigiani è un processo lungo mentre i finanziamenti internazionali sono difficili da ottenere. Invece con alcune banche il dialogo si è avviato. «Sono in particolare» precisa Pizzo «la Caisse Nationale de Crédit Agricole du Burkina (Cnca) e la Bank of Africa (Boa)». La Cnca, che si sta trasformando in Banca commerciale dell’agricoltura del Burkina, è partecipata dallo Stato burkinabè, dalle principali banche regionali di sviluppo e dalla Cooperazione francese. La Boa, presente in tutta l’area con sede centrale a Cotonou in Benin, vede tra gli azionisti soprattutto imprenditori privati africani. «Queste banche si stanno avvicinando alla microfinanza cercando di conoscerla meglio». In sostanza le microfinanziarie offrono alle banche un servizio di prossimità e copertura territoriale, vendendo anche servizi non finanziari. «Rendono le banche disponibili al contadino del villaggio sperduto». In cambio le risorse raccolte dagli istituti di credito vengono finalmente incanalate verso impieghi locali, soprattutto nei settori dove lavora la maggior parte della popolazione povera: il cotone in primo luogo. Finanziare le filiere «Attualmente le banche non garantiscono nulla nella filiera del cotone. L’unico organismo che opera, in modo spesso burocratico, è la Sofitex, la società nazionale di commercializzazione. D’altra parte, in termini quantitativi, l’attuale volume d’affari di tutta la microfinanza del Burkina corrisponde al 60% del fabbisogno della filiera del cotone. Quindi c’è bisogno di nuove risorse. La microfinanza “articolata” con le banche può cominciare ad operare su pezzi del fabbisogno: il credito per gli input produttivi, il servizio di riscossione». «Se la microfinanza vuole crescere deve porsi il problema delle grandi filiere» conclude Pizzo. «Perché questa è l’economia che tocca milioni di persone. Non dimenticando le filiere dei cereali, miglio, sorgo, con la necessità per i contadini di finanziare l’immagazzinamento e attendere il momento giusto per vendere». Il governo di Ouagadougou sembra crederci. Tra le agenzie di cooperazione, chi ha preso sul serio questa prospettiva sono i danesi. L’Italia è impegnata solo nella sanità. Per lo meno nel 2003 ha condonato il debito, dopo aver incassato gli ultimi 148 mila euro di interessi. ■ INVESTI NELLA NUOVA FINANZA Fondi di investimento socialmente responsabili, finanza etica e, soprattutto, microfinanza: un servizio di consulenza indipendente per chi sceglie un investimento consapevole. Da febbraio 2004 su www.microfinanza.it Microfinanza 1 15 gennaio 2004 3 Cresce l’afflusso di capitali nei paradisi fiscali e societari Per la finanza del terrore l’Italia è a maglie larghe S po di monitoraggio delle Nazioni econdo l’ultimo rapporto del Grup- Unite sulle sanzioni ad al-Qaeda e ai Talebani, importanti operatori finanziari già da tempo indicati come complici nella raccolta di fondi per il terrorismo islamista continuano a controllare «attività finanziarie e altre risorse economiche, inclusi fondi di investimento e beni immobili» in Italia, oltre che in Svizzera e in Liechtenstein. E i capitali italiani, nonostante gli “scudi” di Tremonti, continuano ad affluire nei paradisi fiscali, anzi proprio in quelli, come le Bahamas, dove sono maggiormente segnalate società sospette. Ammonta ad almeno 1.227 miliardi di dollari il volume mondiale della finanza off-shore. Nella lista di persone ed enti considerate vicine ai Talebani e alla rete terroristica di Osama bin Laden, tenu- Stati Uniti. Azionisti responsabili ta aggiornata dall’apposito Comitato di e mezzo di dollari confrontando gli Zone franche delle Nazioni Unite, figurano ancora stessi paesi, a quasi 12 miliardi consiForse però non è neanche questa la cinque società con sede in Italia, tra derando le Isole del Canale della Manimanchevolezza maggiore. Dall’Italia cui perfino un albergo di Milano. ca di cui nel 2001 mancavano i dati. infatti, e da altri paesi, continuano ad Fanno tutte capo al gruppo finanziaOltre 5 miliardi di dollari sono i capitaaffluire capitali nei paradisi fiscali e rio al-Taqwa e ai suoi dirigenti Youssef li bancari italiani nelle Isole Cayman, il societari, quella quarantina di Stati e Nada e Ahmed Idris Nasreddin. L’Itamaggiore rifugio fiscale del mondo con mini-Stati dove non arrivano i conlia ha provveduto da tempo a congepoco meno di 800 miliardi di dollari di trolli delle autorità politiche e monelare i conti bancari di questi personagcapitali esteri. Seguono le Bahamas, tarie. Gran parte di essi, sollecitati dalgi e delle loro società, ma – nota passate in un anno e mezzo da 2,8 a l’Ocse che da tempo conduce l’azione l’ultimo rapporto del Comi3,8 miliardi di dollari, un tato presieduto dal cileno Capitali nei paradisi fiscali per paese di provenienza - marzo 2003 milioni di dollari vero boom. Poi c’è Jersey, Heraldo Muñoz – «niente è isola nella Manica, con quastato fatto rispetto alle loro si 1 miliardo di dollari, Crediti bancari Titoli TOTALE attività economiche e mateGuernsey, l’altra isola, con riali». Italia, Svizzera e Liech- Totale 29 paesi 400 milioni, le Antille Olan628.377 598.800 1.227.177 tenstein sono neanche tropdesi con 364 milioni e le Isodi cui da: Giappone 129.158 Germania 110.045 po velatamente rimproverati le Vergini Britanniche con Gran Bretagna 76.404 di contribuire ad una «seria 330 milioni. Francia 47.643 debolezza» nel controllo dei Insomma, visto da qui lo Stati Uniti 25.391 flussi di denaro alle centrali “scudo fiscale” del ministro Italia 11.962 del terrore. dell’Economia Giulio Tremonti – le agevolazioni per far rienper eliminare le pratiche fiscali dantrare in Italia i capitali esportati – non nose, si sono impegnati ad essere un sembra essere stata un’operazione di po’ meno off-shore entro il 2005. Ma successo. Ma i soldi off-shore aumenin pratica le cose sono cambiate poco, tano su scala globale. Nei diciotto mecome dimostrano gli scandali Cirio e si tra il settembre 2001 e il marzo Parmalat che ruotano in buona parte 2003 sono passati da 1.032 a 1.138 su operazioni effettuate nelle “zone miliardi confrontando lo stesso grupfranche” finanziarie. McDermott (impianti), Ingersoll-Rand po di paesi, a 1.227 miliardi consideTra i 99 enti considerati dall’Onu vici(componenti industriali). Il 26,4% degli rando le Isole del Canale stimate per ni ad al-Qaeda ce ne sono 6 con sede azionisti Tyco ha votato la rinuncia alle la prima volta. E mentre regrediscono in Liechtenstein, 4 alle Bahamas e 3 in società in Bermuda, attraverso le quali la i flussi dagli Usa, quelli dal Giappone Svizzera. Alle Bahamas, secondo i dati multinazionale avrebbe evaso 400 milioe dell’Europa proseguono. ■ della Banca dei Regolamenti Internani di dollari nel solo 2001. Secondo un rapporto di Citizen Works, zionali, ci sono capitali esteri ufficiali tra le maggiori compagnie Usa la Boeing è sotto forma di crediti e di titoli per 26 Crediti bancari dell’Italia ai paradisi fiscali milioni di dollari passata tra il 1997 e il 2002 da 10 a 31 somiliardi di dollari, mentre in Liechtencietà controllate nei paradisi fiscali, la Pfistein ce ne sono per oltre 4 miliardi di settembre 2001 marzo 2003 zer da 9 a 30, la Xerox da 6 a 23, un’imdollari. In entrambi i casi i volumi sopresa di impiantistica come El Paso da 52 Andorra 57 9 no in calo rispetto agli ultimi anni. a 244 – prima in classifica tra le 500 magAntille Olandesi (Olanda) 425 364 Stanno calando però essenzialmente Aruba 11 12 giori compagnie – e un’azienda energetiper la diminuzione dei capitali statuniBahamas 2.810 3.757 ca, emula in questo di Enron, la Aes, adBahrein 173 193 tensi, la cui fuga nei centri off-shore è dirittura da 2 a 195. Bermuda 305 193 Tra le banche si segnalano Morgan Stanley, vivacemente contestata in patria, soCipro 75 70 passata da 2 a 99 filiali “esotiche”, Citiprattutto dopo l’11 settembre e il caso Gibilterra (Gran Bretagna) 73 15 group da 19 a 92 e la Bank of America, l’iEnron (vedi “Quei capitali antipatriottiIsole Cayman 4.829 5.047 stituto del falso conto Parmalat, arrivata a ci”). Non è così invece per altri paesi tra Isole Vergini Britanniche 52 sedi. Infine, ma non per importanza, (Gran Bretagna) 209 330 cui l’Italia. I soli crediti bancari – l’unila Halliburton: la società di cui è stato a Liberia 84 79 ca voce su cui le statistiche internaziolungo amministratore delegato il vicepreLiechtenstein 40 32 nali diano la scomposizione per paese Malta 183 153 sidente Dick Cheney ha moltiplicato in di provenienza – ai paradisi fiscali sono Mauritius 3 cinque anni le sue sedi “antipatriottiche” Panama 255 317 passati dal settembre 2001 al marzo da 8 a 58. ■ Totale 9.532 10.571 2003 da 9 miliardi e mezzo a 10 miliar- Quei capitali antipatriottici L societarie nei paradisi fiscali per non pa- a pratica, di per sé legale, di aprire sedi gare le tasse è finita negli Stati Uniti sotto il tiro di investitori responsabili, attivisti sociali e membri del Congresso. Non solo per ragioni etiche ma anche “patriottiche”: a fronte delle decine di miliardi di dollari che l’Amministrazione Usa sta spendendo nella “guerra al terrorismo”, l’Internal Revenue Service, l’agenzia delle entrate, stima l’evasione fiscale delle imprese in 70 miliardi di dollari l’anno. Così, mentre il governo italiano, attraverso lo scudo fiscale, fa ponti d’oro ai capitali espatriati e imprese come Cirio e Parmalat costruiscono le loro (precarie) fortune sulla finanza off-shore, negli Stati Uniti avere una sede alle Isole Cayman diventa uno scandalo. Una serie di azionisti responsabili, tra cui il fondo pensione degli impiegati californiani (Calpers) che aveva già introdotto i diritti umani tra i criteri delle sue scelte di investimento, hanno presentato risoluzioni sull’argomento alle assemblee societarie di colossi come Tyco (elettronica e plastica), Liberia. Affari di guerra Riapre Tradevco, la Mediobanca di Monrovia N 30 giugno 2003, approvato dall’assemblea el bilancio consolidato di Mediobanca al Bollettino per lo sviluppo plurale n. 1 - 15 gennaio 2004 Autorizzazione del Tribunale di Vicenza n. 1016/2002 Direttore responsabile Francesco Terreri In redazione: Mameli Biasin - Ha collaborato: Gioia Nardin Editore: Associazione Microfinanza e Sviluppo via Monticello di Fara 13/b 36040 Sarego (VI) tel. 3351284571 e-mail: [email protected] Stampa: Publistampa Arti grafiche, Pergine (TN) Abbonamento per venti numeri: 40 euro. Versamento sul conto corrente postale n. 23482177 intestato a Associazione Microfinanza e Sviluppo via Monticello di Fara 13/b 36040 Sarego (VI). Indicare con precisione nome e indirizzo. 4 Microfinanza 1 15 gennaio 2004 del 28 ottobre, The Liberian Trading and Development Bank ltd, la Tradevco di Monrovia (Liberia), non c’è in quanto “a causa dei noti eventi bellici ha interrotto la propria attività”. Gli eventi bellici sono l’interminabile guerra civile liberiana, conclusa, almeno sulla carta, con gli accordi di pace del 18 agosto scorso. Con la fine della guerra guerreggiata, anche le attività economiche stanno riprendendo e in settembre Tradevco ha riaperto i battenti. La Tradevco, di cui Mediobanca ha il 60% del capitale mentre il restante 40% è costituito da azioni proprie, risale al 1954, quando fu costituita per “agevolare lo sviluppo all’estero delle attività mercantili italiane”. Ha affiancato a lungo un’altra controllata di Mediobanca, la Intersomer, incorporata nel 2000 in Mb Finstrutture, che con le sue partecipazioni in aziende locali commercializzava in Africa prodotti italiani, in particola- re veicoli Fiat. È la banca dove le agenzie dell’Onu che operano in Liberia hanno i loro conti. Ma ha anche svolto altre funzioni meno note. Nonostante la guerra, la Liberia aveva al marzo 2003, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali (Bri), un volume di attività bancarie estere di 15 miliardi 496 milioni di dollari. Niente a che vedere col debito estero, pari a circa 2 miliardi di dollari, cioè quattro volte il prodotto interno lordo. Si tratta invece delle attività off- shore, quelle per cui Monrovia semidistrutta figura ancora nella black list dei paradisi fiscali: licenze marittime – le navi battenti bandiera liberiana – e depositi bancari. I capitali più importanti collocati in Liberia sono tedeschi, giapponesi, francesi, britannici. Ultimamente sono calati quelli statunitensi. Ma ci sono anche 79 milioni di dollari dall’Italia, almeno questo è il dato ufficiale sempre di fonte Bri. Tradevco di suo raccoglie l’equivalente di 496 milioni di dol- lari liberiani, 11 milioni di dollari circa, che erano però molti di più, 45 milioni di dollari, alla metà degli anni ’90. Il calo probabilmente è collegato ad una oscura vicenda di depositi restituiti in dollari liberiani invece che in dollari Usa, vicenda in cui la Corte suprema condannò la banca ma il dittatore Charles Taylor diede ragione alla Tradevco. La società di Mediobanca ha mantenuto anche negli anni di guerra i conti in avanzo: 34 mila dollari di utile semestrale al 31 dicembre 2002, ultimo dato esistente. Non è semplice sapere di cosa si occupasse. Uno dei rari indizi si trova nei bilanci della Sipef, un operatore internazionale belga nel campo dell’olio di palma, del tè e della gomma, che nel 2000 salda con 2 milioni 785 mila euro le sue passività presso la Tradevco. Insomma, la Mediobanca di Monrovia ha continuato a lavorare nel commercio delle materie prime, uno dei canali attraverso i quali le fazioni armate si sono procurate in questi anni valuta pregiata per la guerra. ■