ESTE: INSEDIAMENTO E TRASFORMAZIONI DEL

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ESTE: INSEDIAMENTO E TRASFORMAZIONI DEL
ESTE: INSEDIAMENTO E TRASFORMAZIONI
DEL CASTELLO, V-XIV SEC.
di
ANDREA MONETI
(ARCHEOMETRA srl)
Le indagini archeologiche effettuate sulla collina del
Castello di Este in occasione dei restauri al complesso carrarese, programmate dal Direttore dei Lavori arch. Antonio
Draghi insieme al recupero dei dati inediti degli scavi di A.
Alfonsi del 1913-14 (ALFONSI 1919), al fine di recuperare e
ampliare una già esistente e degradata area archeologica
medievale creata ai primi del secolo (DRAGHI 1997), hanno
confermato la presenza sulla vetta della collina di uno spessore stratigrafico che arriva ai dieci metri, includente strutture conservate per l’altezza anche di più piani. Si è confermato che il sito del ‘ridotto’ della vasta fortificazione trecentesca carrarese era stato fra XI e XIII secolo occupato
dalla prima rocca dei marchesi d’Este (BORTOLAMI 1988,
CONTEGIACOMO 1991) a sua volta cresciuta a partire da precedenti fortificazioni altomedievali, anch’esse ancora notevolmente conservate (MONETI 1994, 1995).
Il sito è molto esterno all’area dell’abitato cittadino della
città romana, prossimo all’incrocio di due strade antiche:
una strada pedecollinare romana (Este-Baone), verosimile
tratto della via Emilia Altinate (Aquileia-Modena) che doveva attraversare con un ponte posto proprio alle spalle del
colle proveniendo da Padova un antico ramo sinistro dell’Adige, e una via Verona-Este-Monselice, rimaste in uso
anche dopo la cessazione dell’esistenza del nucleo urbano
di Atheste avvenuta in epoca costantiniana.
La prima fase di insediamento di cui si è rinvenuta traccia è l’impianto di un recinto murario che recinge la vetta
del colle sfruttandone al meglio il suo bastione naturale, in
parte posato sopra una sorta di aggere artificiale di riporto
realizzato per regolarizzare i dislivelli troppo bruschi. Il suo
impianto è estremamente regolare: quasi simmetrico secondo un asse E-W nonostante il suo piano risulti in forte salita
in senso obliquo SW-NE, con torri rettangolari chiuse a metà
cortine e probabili torrette piene angolari.
Una torre del lato E era connessa sul suo lato S a un’auletta absidata, orientata in modo quasi perfetto con l’abside
a Est, nata contestualmente alla torre secondo un progetto
rigoroso di corrispondenze e allineamenti murari ortogonali, che si trova in una posizione rara per la chiesa di un castello, in questo caso non vincolato, nonostante la sua postura su una vetta, a ristrettezze di spazi così estreme. Essa
possiede cioè il corpo della navata completamente interno
al recinto, con la facciata allineata al vicino ingresso del
recinto, e l’abside, esternamente rettangolare, fuoriuscente
dal perimetro murario, solo in parte riparata dalla torre e
del tutto sporgente rispetto a una cortina che riprende sul
lato opposto con una sorta di sperone angolato volutamente
limitato dalla linea della giuntura interna dell’abside. Un
assetto molto regolare che però provoca in due punti un
pericoloso assottigliamento degli spessori murari esterni,
dunque apparentemente soggetto a ragioni progettuali simboliche se non estetiche, forse dovute alla necessità di rendere l’abside riconoscibile lungo la direzione di accesso al
castello. A nord le fondazioni della chiesa tagliano il suolo
sterile, ma a S il piano pavimentale è sopraelevato e posato
su riporti addossati a fondazioni regolari e accurate. Al centro dell’abside, preceduta verso la navata da due restrizioni
angolate successive, l’Alfonsi aveva rinvenuto i resti di un
basamento quadrato di un’altare, in grosse pietre e mattoni,
del quale resta ora molto poco. Una spessa e regolare stesura compatta di limo e ghiaietta copre all’interno le fondazioni e i riporti; ciò che resta di uno strato di preparazione
per un lastricato pavimentale perduto, ipoteticamente rea-
lizzato in lastre levigate di calcare rosa, come suggerito da
una lastra fuori posto ivi rinvenuta dall’Alfonsi, simile ad
altre riutilizzate nei pressi.
L’altezza delle cortine sembra essere stata limitata in
origine attorno ai 5-6m mentre le torri e la chiesetta, ancor
oggi conservate in parte per tali altezze, potevano elevarsi
ancora almeno fino ad 8 metri. La tecnica costruttiva di tutto questo impianto è molto omogenea e regolare. Ovunque
si presenta una muratura a sacco in bei paramenti di mattoni romani di riutilizzo, in buona parte interi o ridotti a misure regolari, ovunque intercalati da corsi di conci di volta
romani in laterizio, anch’essi di riutilizzo, con letti di malta
sottili, compresi fra i 0,5 e i 3 cm; tutto materiale che si
osserva utilizzato nelle fognature della città romana. In due
punti vi compare nelle parti inferiori qualche accenno alla
tecnica dei mattoni a spicatum verticale. Anche il nucleo
della muratura è prevalentemente in scaglie laterizie deposte in gettate orizzontali. Raramente sono inserite pietre, in
brevi corsi di piccoli blocchi ben adattati; solo presso la
vetta del colle la pietra è più densamente alternata al laterizio, mentre un netto corso orizzontale di lunghi blocchi calcarei marca tutto l’esterno dell’abside a un’altezza di circa
1,5 m dalla base (non si sa se ripetuto anche più in basso).
L’interno della chiesetta era originariamente intonacato, o
rivestito di paramenti applicati su malta. La misura che più
potrebbe riflettere la cultura del progettista, il raggio dell’abside – 152cm – risulta di 5,2 piedi romani o di 4,9 piedi
bizantini, ma nel complesso, fra una serie misure della chiesa
e delle due torri, paiono essere in prevalenza le misure vicine ai multipli interi del piede romano.
In una fase successiva pare sia avvenuto contro la facciata dell’auletta absidata un rialzo di terreno di un metro
rispetto al suo pavimento, che dovette probabilmente provocare l’inserimento di gradini di discesa verso il suo interno. In questo rialzo, forse originato da franamenti dalla vetta, fu fondato il muro perimetrale SE di un grande edificio
dall’aspetto di enorme torre, a W fondato ai piedi dell’aggere sostenente la cerchia laterizia; che quindi in quel punto imposta da una quota più alta di lui.
Si tratta di un impianto rettangolare di 9×11m posto al
centro del recinto in mattoni in modo da avere gli spigoli
distanti 4-5 m da esso, addossato alla cima del colle ma
molto esteso nella direzione opposta in situazione di deciso
dislivello, così da risultare più riparato dietro la vetta che
dominante su di essa. I suoi resti sono ancora elevati per
un’altezza fra i 3 e i 6m. Di questa struttura l’Alfonsi trovò
la porta su un lato simmetricamente opposto a quello della
chiesetta, rivolto verso un via secondaria collinare. Lo spazio fra esso e la chiesetta, ristretto fino a soli 3m senza corrispondenti aperture nel nuovo edificio, ricevette un rozzo
lastricato in trachiti e scaglie laterizie.
I muri dell’edificio, larghi da 2,30 a 3m, furono costruiti in una rozza muratura a sacco con camicie in grandi
blocchi di pietra di riutilizzo, di forma diversa e irregolare,
montati senza riuscire ad accostarli perfettamente e a creare corsi orizzontali, con inserimento di brevi filari semplici
o doppi di mattoni o conci di volta laterizi dello stesso tipo
di quelli utilizzati nella cerchia esterna, posti di piatto o a
spicatum, con le larghe fughe fra le pietre ridotte rozzamente con mattoni o altro pietrame e poi stuccate con abbondante malta, caduta già in antico quasi dappertutto. Il
nucleo murario è costituito da uno scarico di grosso e più
rozzo pietrame con rara deposizione di blocchi orizzontali
trasversali, non passanti sulle camicie. Sia nel nucleo che
nelle camicie si trovano murati pezzi architettonici romani
e frammenti epigrafici ricavati da edifici e monumenti funerari.
E’ evidente che nelle sue successive fasi questo edificio dovette costituire il principale nucleo residenziale del
castello, tanto da poterlo immaginare anche coperto e diviso in piani interni (una stretta finestra tamponata, a circa
2,5m d’altezza prospetta forse su un lato), e soprelevato a
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N di almeno altri 4m rispetto alle quote attuali. Ma nulla si
riesce a comprendere riguardo alla sua fase primitiva, nella
quale esso avrebbe potuto essere anche solo un recinto, strutturato internamente in modo leggero. La sua tecnica costruttiva indica buone possibilità di trasporto ma una cultura progettuale elementare e una scarsissima perizia, specialmente nell’utilizzo del pur ottimo materiale a disposizione. In particolare stupisce la possibilità di elevare e montare grandi blocchi, fino a 150x70cm, senza però riuscire a
rifilarli per accostarli del tutto, anche in piano. In un punto,
nel nucleo del muro presso l’angolo N, si trovano murati
dei mattoni di misura 29x10,5x5,5 e ?x13x7, forse longobardi o successivi ma che potrebbero essere stati introdotti
nel corso di qualche adattamento o restauro più tardo. Si è
osservato invece che presso l’angolo NE di questo edificio,
cioè vicinissimo all’area della vetta del colle, la sua tecnica
costruttiva tende a differenziarsi, mostrando una muratura
tendente all’opera quadrata in grandi blocchi parallelepipedi di riutilizzo ben accostati, forse indizio della presenza,
sulla vetta, di una più piccola torre preesistente. In questo
caso allora l’aggere in terra a W sottostante la cerchia in
laterizi potrebbe essere stato parte di un primo recinto improvvisato attorno ad essa, poi rinforzato in un secondo tempo con le mura in mattoni, ma i dati disponibili sono troppo
esigui e si entra nel campo della pura congettura. Altre evidenze attribuibili alla fase dell’inserimento del grande torrione centrale dovrebbero essere i resti di un pavimento in
laterizi spaccati rinvenuto nella chiesetta, troppo rozzo rispetto alle sue murature per essere quello originario, e una
grezza rifodera del vano triangolare risultante fra il muro S
della chiesa e la cortina della cerchia muraria, forse funzionale al sostegno del solaio di un piccolo ambiente di servizio.
L’antecedenza della cerchia in laterizi rispetto al torrione centrale è un’ ipotesi che si basa su dati troppo limitati per escludere con certezza che questo rapporto possa ribaltarsi. Ciò che è certo è che per perizia progettuale ed
esecutiva e cultura architettonica la cerchia è decisamente
un’opera più raffinata rispetto al torrione, che non può essergli coevo. Inoltre, mentre la cerchia in laterizi sfrutta al
meglio per lo scopo difensivo l’altimetria e la morfologia
del terreno cercando anche, con l’aggere, di correggerne la
forma, il torrione pare invece costruito col solo scopo di
risultare centrato rispetto al recinto, obbligandosi ad occupare un sito irregolare, in forte pendenza. Ma la grossolanità del torrione, l’imperizia e l’impaccio della sua tecnica
costruttiva nel complesso non si adattano alle condizioni
del medio XI secolo allorché, insediatosi in Este il Marchesato, questo edificio pare comunque assumere il ruolo predominante nel principale castello degli Estensi, epoca nella
quale si accetterebbe invece, per la sua qualità, la costruzione della cerchia in laterizi. Sulla base della bontà della
tecnica edilizia e della forma della chiesetta, in particolare
per l’arcata raddoppiata davanti all’abside che potrebbe
essere letta come particolare stilistico romanico, per essa
sarebbe possibile una datazione all’XI secolo, anche se sarebbe singolare l’assenza in essa di mattoni medievali. Ma
nella fase certamente databile a partire dall’XI-XII secolo,
proprio la chiesetta venne rimaneggiata con un trattamento
degno di un edificio già decrepito, e le sue superfici murarie vennero sepolte in uno stato di notevole consunzione.
Quindi, se il più tardo edificio fosse effettivamente il torrione, ciò vorrebbe dire che sia questo che la cerchia sarebbero precedenti l’insediamento marchionale, e quest’ultima di molto. Per una datazione della cerchia della chiesetta
fra VI e X secolo sarebbe infatti il rigore troppo astratto del
suo impianto ad essere poco convincente per quello che non
avrebbe potuto essere altro che un fortilizio militare di second’ordine, rigorosamente mai citato da alcuna fonte durante tutto questo intervallo.
Fino alla deviazione del corso dell’Adige avvenuta nel
589, la ragione strategica dell’esistenza di un tale castellum
sarebbe più che plausibile: lungo la direttrice delle invasio-
ni provenienti da E, superata la linea fortificata delle Alpi
Giulie, subito dimostratasi inefficiente, l’Adige rappresentava l’ultima e più notevole barriera naturale a chiusura
dell’intera pianura padana, ed Este, sulla via Emilia Altinate,
era ancora, nonostante l’estinzione del centro urbano, il suo
principale punto di passaggio fra Verona e il mare. La tecnica edilizia, a giunti di malta troppo sottili, farebbe scartare il VI secolo, infatti a Padova la cappella di S. Prosdocimo,
dovuta al patrizio Opilione, notabile delle corti di Teodorico e Teodato, presenta già l’opera laterizia tipica ad alti letti
di malta. Supponendo però la cappella padovana immediatamente precedente la Guerra Gotica, e cioè opera vicina
agli anni ’30, allora la tecnica edilizia di questo complesso
si adeguerebbe molto bene alla sobria e ordinata opera laterizia in mattoni di recupero dell’Italia settentrionale attestata fino alla fine del V secolo, adottata anche per circuiti
murari difensivi come le mura di Odoacre a Ravenna. La
Guerra Gotica, durante la quale pare sia avvenuto in zona il
transito di forze bizantine, avrebbe potuto essere una prima
occasione per rinforzare questa costruzione e ridedicare alla
Vergine la chiesetta (come la si ritrova documentata nel XII
sec.); poi durante le guerre longobarde avrebbe potuto esservi ospitato un caposaldo longobardo contrapposto verso
E al castello bizantino di Monselice, poi abbandonato alla
conquista di quest’ultimo nel 602, e la costruzione del torrione, che presenta l’ingresso sul lato opposto in questa direzione, potrebbe essere avvenuta in quel momento. Quando poi Este, già risorta come borgo nel 960, era già nel feudo della futura famiglia d’Este ma prima dell’insediamento
del marchesato, si era nell’epoca delle invasioni ungare, e l’
edificio potrebbe altrimenti essere stato eretto allora.
La fase successiva dell’insediamento su questo colle
vide un grande sviluppo e ingrandimento del castello, che
di certo iniziò con l’insediamento in Este del marchesato
con Azzo II dopo il 1056 (anche se la prima menzione documentaria del castello è solo del 1115). Il torrione centrale
pare il nucleo residenziale principale, il dolone dei documenti, mentre la cerchia in mattoni, in parte superata, diventa la spina di appoggio di una cintura di edifici di servizio.
L’ingresso si mantenne forse nella presunta posizione
originaria, e i primi interventi di ampliamento avvenirono
nell’area della chiesetta: probabilmente in seguito a un dissesto verificatosi nell’abside e nel muro S, quest’ultimo fu
abbassato fino a circa 2m di altezza. Quindi tutto il vano
interno, lo spazio esterno fra la chiesa e il dolone, e una
fascia esterna, furono colmati da un riporto che venne contenuto da un nuovo potente muro di cinta scarpato, che presentava verso la strada di accesso una doppia alta risega in
blocchi di recupero. La tecnica costruttiva di questo muro è
un nucleo in malta e piccoli inclusi rivestito da una camicia
in massi irregolari a faccia liscia posati secondo la loro base
maggiore con gli spazi di risulta ridotti con mattoni romani
spezzati fino a realizzare un nuovo piano di posa orizzontale; una tecnica che si differenzia notevolmente dalle successive e che per certi aspetti somiglia piuttosto ancora a
quella del dolone.
Anche il troncone della cerchia in mattoni legato a S
alla chiesetta venne abbattuto e la chiesetta ricevette un
nuovo muro S, posato sul precedente, del quale restavano
solo alcuni blocchi di pietra basamentali, e un nuovo sottile
pavimento in cocciopesto di colore rosso molto intenso. Probabilmente, dato il rialzo di 2,50m avvenuto all’interno, tutto
l’edificio venne rialzato nelle murature, anche se nulla di
queste parti è sopravvissuta, e una nuova porta gli venne
tagliata nel vecchio muro al centro della facciata. L’interno
fu reintonacato di bianco, e almeno tre alti gradini in pietra
vennero posti davanti all’ingresso sulla nuova stradina che
transitava fra la facciata e il doglione. Questa si presentava
qui in terra, ma più oltre, presso il colmo della salita, lastricata in malta. Questo è certamente l’edificio citato nel 1144
come chiesa di S. Maria in Castello. Con questa sistema-
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Fig. 1 – Posizione del Castello carrarese nella città (S. Meneghini).
zione fu così cancellata l’anomalia della chiesa posta sul
circuito difensivo, includendola interamente nel castello. Il
nuovo spazio fra questa e il nuovo terrazzamento venne
occupato da un’area cimiteriale, a quote superiori alle attuali, della quale l’Alfonsi scavò una tomba superstite. Altro terreno fu riportato anche in salita verso N, all’esterno
della vecchia cerchia in mattoni, dove vennero realizzate
piccole aree terrazzate e in parte pavimentate in mattoni
romani ricavati dalla vecchie mura e pietrame vario, in parte anche a secco. Verso W si realizzava anche la chiusura
della facciata della chiesa fra due ali, una a S di separazione
dall’area d’ingresso, e uno a N di perimetrazione di un’edificio addossato alla vecchia torre in mattoni.
Anche lungo le pendici SW del colle vennero erette
nuove mura più esterne, che andavano a ricongiungersi alla
vecchia cerchia in mattoni presso le torrette angolari, che
vennero sostituite da due torri quadre chiuse. La tecnica
costruttiva, tanto della cortina quanto delle torri somiglia a
quella della cerchia in mattoni, perché ne riutilizza i materiali, via via più spezzati e alternati a pietrame man mano
che la muratura si allontana dai resti di provenienza. I resti
della torre a NW risultano sezionati nel muro di gola a circa
quattro metri da terra, e la porta che vi si vede aperta doveva far comunicare col suo primo piano; ma in origine essa
doveva elevarsi almeno ancora altrettanto. Anche la torre a
S doveva elevarsi di almeno altri 7m dalla attuale quota di
rasatura, posta forse ad altri 4 o 5m dalla sua base, portando
così l’altezza di queste torri ad almeno 12m.
Fra queste due torri rimase racchiuso un tratto della
vecchia cerchia in mattoni con torre. Fu riportato terreno
sia all’esterno che all’interno di essa, creando degli spazi
verosimilmente piani a livelli diversi. I riporti interni furono contenuti in direzione dell’ingresso da un terrazzamento arretrato rispetto alla cortina laterizia, alto almeno 3m,
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Fig. 2 – Planimetrie delle fasi archeologiche (A. Moneti).
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realizzante poi una chiusura verso l’interno in corrispondenza dell’ingresso, così da racchiuderlo, insieme al muro
ammorsato a S, con la facciata della chiesetta, fra due aggetti. Nello spazio interno, dentro le vecchie e le nuove torri, si formò un deposito di carboni e ossa animali e frammenti di ceramica pettinata e pietra ollare, e contro la cortina a S della vecchia torre laterizia, verso l’interno, si addossò un primo edificio leggero di servizio con fondazioni
a secco, pavimento in argilla e focolare in argilla concotta
delimitato da pietre. Successivamente questa struttura venne sostituita da un più spazioso edificio in muratura, di un
solo piano, collegato al primo o al secondo piano della torre S, dotato, sopra il vecchio focolare del precedente edificio, di una piattaforma quadra, in argilla e laterizi, interpretabile come base di un camino a sbalzo; forse una cucina.
Questo fabbricato doveva proseguire verso NW fino a collegarsi, dietro la nuova torre W, a un altro edificio, già scoperto dall’Alfonsi, addossato alla cerchia in mattoni rimasta ancora in funzione verso NW, il cui ingresso si trova
esattamente di fronte a quello del dolone. L’Alfonsi verificò che questo ingresso si trovava rasato a 2.50 m di altezza
dalla base. Ma questa costruzione era dotata di molte aperture, un’altra verso N, vicinissima alla principale, e ancora
un’altra (o forse due) sul lato S, però già poste al primo
piano, comunicanti coi solai interni del fabbricato intermedio posto fra questo e quello più a sud dotato del camino.
La tecnica costruttiva di questi fabbricati, simili nella pianta trapezia, è ancora in muratura a sacco con camicie in
corsi di mattoni romani di recupero misti a pietre, piuttosto
accurata per l’edificio a W.
Infine un ulteriore edificio venne addossato a E a quello col camino, e fu restaurato o soprelevato l’edificio posto
a N della chiesetta, nel quale si vede finalmente un prevalente impiego di mattoni medievali di primo uso e di pietrame trachitico grezzo di pezzatura regolare di recente cavatura, databile ormai agli inizi del XIII secolo. Ma contro di
questo, a N, dovevano poi essere stati realizzati o iniziati
ancora altri fabbricati, di cui si è osservato solo il resto di
una spessa fascia di pavimento in getto di malta.
Si è registrato poi un evento distruttivo che certamente
coincide col primo grande assedio dei padovani del 1213.
In tutta la fascia a N del doglione, prospiciente il colle più
vicino, non sono affiorate tracce delle fasi precedenti, segno di un’aggressione con fronte a semicerchio apre una
breccia di ca 40m nelle cerchie esterne, giunta fino a contatto del dolone. Ma altre distruzioni e demolizioni avvennero all’interno: a W l’edificio interno a più ingressi fu demolito al piano superiore, e un enorme riporto o deposito di
macerie lo riempì e poi colmò tutto lo spazio fra il muro del
dolone e la torre W e le mura in laterizi disperdendosi verso
l’area della breccia. Quasi affiorante fra queste macerie, si
è rinvenuta una grande sezione muro S del fabbricato collegato alla torre W, crollata intero verso N. Anche a W e SW
le mura furono asportate o, vistosamente fratturate, rasate e
sepolte. Due muri in pietrame e mattoni di tutte le dimensioni furono costruiti a ricollegamento della torre W e dei
brandelli di mura ad essa connessi, con gli spigoli dell’ex
dolone. La chiesa fu scoperchiata, sul pavimento si depositò e si compattò sabbia per dilavamento delle macerie, poi
essa fu demolita tranne il suo lato N, e anche tutto lo spazio
della chiesa, della strada fra essa e il dolone e dell’edificio
addossato ad essa fu riempito di macerie. Questi lavori dovettero sconvolgere alcune delle vecchie sepolture, e un
gruppetto di ossa di adulti e bambini fu raccolto in una piccola buchetta-ossario riparata fra i ruderi. Un piccolo terrazzamento venne poi diretto dallo spigolo di questo edificio fino al margine E della breccia nella cerchia in laterizi,
e quindi un nuovo muro di chiusura venne diretto ancora da
questo spigolo allo spigolo vicino del dolone, e per simmetria si può pensare che venisse anche arretrato l’ingresso ad
una porta collocata sotto l’attuale muro N della torre d’ingresso carrarese; e che da qui non si proseguisse più dritti,
ma scalando una rottura praticata nello spigolo del dolone,
per salire sui depositi forse riversati anche lì. L’edificio a N
della chiesetta ricevette infine un pavimento in malta sul
piano di macerie che un tempo aveva forse coinciso con un
solaio della fase precedente.
Quindi, sulla spianata di macerie interna alla breccia e
in addosso al lato N del dolone, fu eretto un grande Mastio,
costituito da una torre dalla rara pianta pentagonale, rigorosamente simmetrica, con punta molto pronunciata diretta
sull’asse della breccia e singolare interno triangolare. La
tecnica edilizia dei suoi muri, larghi 2.55m, è un solido sacco in trachiti e laterizi rivestito da camicie in ottima muratura interamente in mattoni di primo uso, la migliore di tutte quelle osservate. Attorno ai quattro lati esterni del pentagono correva a protezione della base della torre una scarpa
larga ca 3m addossata alla torre ma non legata ad essa. Questa doveva elevarsi per almeno 3.5m giungendo probabilmente al livello dei muri del dolone. Verso la punta, troncata ortogonalmente, essa però doveva scendere maggiormente, seguendo la pendenza del colle e distaccandosi di più
dalla torre. La scarpa è costruita in gettate piane di pietrame e laterizi, rivestite verso l’esterno da una camicia molto
regolare e accurata in corsi di mattoni romani, sui quali fu
scalpellata in opera la superficie inclinata.
Il progetto di questa torre dimostra una raffinata cultura geometrica e uno studio degli angoli di impatto e dell’eliminazione degli angoli morti di tiro dei più avanzati. È
possibile che la sua costruzione sia da riferire al decreto di
Federico II del 1220 che imponeva ai padovani la ricostruzione del castello distrutto in favore di Azzo VII d’Este.
Questo Mastio è probabilmente la “torre” che sola fu risparmiata dopo le nuove distruzioni seguite al nuovo grande assedio di Ezzelino da Romano, del 1249. I suoi resti,
oltre che mozzati a circa 2.5m dalla base, si presentano anche vistosamente inclinati verso N, in direzione della vecchia breccia, e la scarpatura appare frammentata in quattro
grandi blocchi tutti scivolati in avanti nella stessa direzione, quello di punta di quasi 1m; situazione forse dovuta ad
opere di sottominamento o scalzo realizzate alla sua base,
effettuate nel corso dell’ultimo grande assedio, quello scaligero del 1317. Probabilmente in questi ultimi eventi bellici finirono di essere rasati fino alle quote attuali anche tutte
le ultime parti ancora superstiti del castello.
La costruzione del Castello tuttora esistente avvenne
nel 1339 ad opera di Ubertino da Carrara. I resti del fronte
S del vecchio castello estense, costituiti dal muro S del doglione, da un troncone della cerchia in mattoni e dal tardo
terrapieno di tamponamento, costituirono la fondazione della
cinta di un blando Ridotto interno sommitale, avente più
che altro il ruolo simbolico di ricostruzione di una parvenza di castello sul luogo della precedente rocca simbolo della città. Queste mura interne correvano lungo questo fronte
fino a una torre con funzione di doppia porta, collocata sul
luogo dell’ingresso precedente e certamente sfruttante come
fondazione dei lati N ed E più vecchie strutture. Da questa
torre si fecero giungere le mura interne fino ad includere la
prima torre della nuova cerchia esterna di NE, e così si riportò nuovo terreno estendendo il precedente terrazzamento sostenendolo poi con mura con basamento scarpato. Dalla
torre d’ingresso si poteva proseguire a salire per una larga
rampa realizzata con macerie estese sull’area della vecchia
chiesetta, fiancheggiata a sinistra da un muro di terrazzamento fondato sui resti del muro SE del dolone e a destra
da un’alto muro con finestrelle irraggiungibili e senza tracce di solai che divide tutto il Ridotto. Probabilmente nelle
prime intenzioni questo muro doveva forse delimitare un
edificio legato alla torre e occupante tutta l’area della rampa, poi mai realizzato. Nell’area sommitale un grande riporto di terreno e macerie, con frammenti di maiolica arcaica, livellò definitivamente anche l’area dell’ex dolone.
Sui resti emergenti della torre pentagonale viene eretta una
nuova più piccola torre del Mastio quadrata. La vecchia via
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di accesso, già molto ripida per i successivi rialzi e ostruita
di macerie e crolli fu abbandonata, e una nuova strada, con
massicciata ricoperta di limo compresso e breccia e fiancheggiata a valle da un basso muretto, si è osservata per un
tratto che risaliva da S poi voltava a W andando a scorrere
sui resti rasati del tratto più basso della antica cerchia in
laterizi, ancora fiancheggiata a monte da resti del terrazzamento interno estense, fino a raggiungere una sorta di cancello.
In seguito il Castello cadde in semiabbandono, e all’epoca veneziana risalgono solo un muro di chiusura della
rampa interna di salita, tracce di asportazione di materiali e
uno scavo nella chiesetta, e in seguito resti della sistemazione a parco del XVIII sec. in occasione della quale dovettero essere abbassate le mura interne del Ridotto trasformandole in terrazze panoramiche.
BIBLIOGRAFIA
ALFONSI A. 1919, ms. Scavi e memorie del castello di Este, Este,
Archivio MNA, Scavi Castello Comunale.
BORTOLAMI S. 1988, Este da città romana a città medievale: appunti per una storia delle difese murarie, in Città murate del
Veneto, Milano, p. 65.
CONTEGIACOMO L. 1991, Le origini del Castrum di Este tra storia
e mito, «Terra d’Este», 2.
MONETI A. 1994, Nuove ricerche archeologiche nell’area sommitale del Castello di Este, «Terra d’Este», 8, p. 41.
MONETI A. 1995, Le rocche di Este e la chiesa di S. Maria in
Castello. Le ricerche archeologiche degli anni 1994-’96,
«Terra d’Este», 10, p. 99.
DRAGHI A. 1997, (a cura di) Il castello di Este. Un progetto di
conservazione, Urbana.
I pannelli presentati come Poster sono a cura di A. Draghi.
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