Presentazione - Triangolo Scaleno Teatro
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Presentazione - Triangolo Scaleno Teatro
tst triangolo scaleno teatro Circus Kafka Show da Franz Kafka adattamento e regia Roberta Nicolai con Michele Baronio Roberta Nicolai Laura Riccioli Enea Tomei Uomini che sono cani, sciacalli, talpe o forse topi e una scimmia che è diventata uomo. In un luogo-non luogo, un circo devastato, un palcoscenico, un deserto, i personaggi di alcuni racconti di Kafka si incontrano, senza incontrarsi realmente. Attendono un messia, un liberatore, qualcuno che riveli il senso dell’esistenza. Uno di loro è vestito da scimmia, forse è una scimmia, forse è un uomo mascherato, forse è Dio; di sicuro è uno showman, il personaggio di “Una relazione accademica”, un’ex-scimmia che ha imparato ad essere uomo. Imparare ad essere uomini, per essere liberi, per essere speciali, per essere i soli a saper fare quello che tutti sanno fare. Frammenti kafkiani contaminati, spezzati da uno show surreale e grottesco, scoloriti dall’eco del circo. Gradi diversi di umanità danno vita ad uno scenario desolato che ha per argomento l’umanità stessa: un’umanità che non ha nulla da dimostrare, tutto da mostrare. Di numero in numero lo show rivela l’irrisolutezza dell’uomo, la sua affermazione fittizia, il vuoto dell’esistenza. E quando lo spettacolo finisce, ognuno torna alla sua tana, alla gabbia reale o mentale in cui struttura e difende se stesso. tst triangolo scaleno teatro via dei latini,4 00185 roma tel/fax: 06/444.12.18 www.triangoloscalenoteatro.it Note di regia In un mare di frammenti kafkiani, come pezzi di uno specchio andato in frantumi, il filo conduttore dello spettacolo è “Relazione per un’accademia”, racconto del 1917, in cui la scimmia Rotpeter, divenuta uomo, racconta il processo auto-educativo che lo ha portato alla nuova condizione umana. Nell’illustrare e descrivere il modo in cui l’ex scimmia, come egli stesso si definisce, sia potuta penetrare nel mondo degli uomini e vi si sia saldamente insediata, conquistando sicurezza di sé e salda fama su tutti i palcoscenici del mondo, Rotpeter apre il tema della differenza, esprime il gusto di riconoscere nell’altro una diversità che è plusvalore, che costringe l’altro ad entrare in gabbia, preda e oggetto di studio e divertimento. Da ex scimmia ha osservato l’uomo per imitarlo, per diventare come lui, non perché la condizione umana gli apparisse attraente ma perché non aveva scelta: “non avevo via d’uscita, ma occorreva che la trovassi, poiché non potevo vivere senza di essa. Sempre schiacciato contro quella cassa, allora…. ho smesso di essere una scimmia”. Un continuo gioco di specchi nasce dai suoi ragionamenti, dalla valutazione di valori e concetti, dal confronto tra l’oggetto imitato e la propria natura animale. Imitare l’uomo per crearsi una via di fuga e ancora di più: diventare un performer per assumere sull’uomo un potere, il potere di chi si esibisce. Sul filo rosso di “Relazione per un’Accademia”, si inseriscono sezioni di altri tre racconti: “Indagini di un cane”, “La tana” e “Sciacalli e arabi”. Sono finestre che si aprono dal file principale, sono inserti, strade che lo spettatore può cogliere, seguire e, a volte, ignorare. Sono l’immagine dell’umanità di cui Rotpeter parla nella sua relazione: la curiosità solitaria del cane che pone domande e cerca risposte; il reiterato processo di costruzione e distruzione della talpa che si barrica nella tana sono forme mutanti di un’umanità incapace di trovare pace. L’ultimo racconto, “Sciacalli e arabi” sostiene il senso escatologico dell’intero spettacolo, il senso morale e politico della vita. L’assunzione di responsabilità nei confronti dell’esistente da parte di colui che ha colto una verità: la responsabilità di passare dal ragionamento all’azione. Non è importante quale azione c’è da compiere, è importante che il fine sia raggiunto: - vogliamo avere pace – dice a Rotpeter la donna sciacallo – devi porre fine alla zuffa che divide il mondo. Il desiderio di pace, di superamento del dolore, individuale e collettivo, è uno dei tanti temi su cui Kafka si è più soffermato, nei finali dei racconti, tra parentesi a volte, ha espresso un desiderio di bene; non per moralismo ma per aspirazione ad una legge etica, la sola che possa dare pace all’uomo e senso alla sua esistenza. Contenuti Il tema centrale su cui i personaggi della storia ragionano è la libertà per l’uomo oggi (è l’oggi di Kafka ma sembra identico al nostro). I testi dei racconti originali sono disquisizioni sul tema della libertà e del disagio dell’uomo contemporaneo, sono la proiezione metamorfica di un disagio intimo ed esistenziale. È Kafka stesso che ha preso le sembianze di un cane, di uno scarafaggio, di una scimmia e che nell’ultimo periodo della sua vita, ha avvertito la sua stessa attività di sopravvivenza come quella di un animale (forse una talpa, ma non è mai detto esplicitamente) che costruisce e disfa la sua tana barricandosi contro ipotetici e invisibili nemici. È Kafka stesso che si è trasformato in animale per denunciare il suo disagio. “Hanno detto” Giovanni Lombardo Radice Regista, sceneggiatore, attore La magia, che ti prende alla gola fin dalle prime note della musica. la scena scarna eppure “assoluta”, che si anima di vita propria e respira con gli attori. Attori? No, scusate, è riduttivo. Interpreti. Ottimi, maturi, sensibili, preziosi interpreti, in cui corpo, voce, danza e canto si fondono in una trasfigurazione totale che da vita a creature umane e animali, sesso, amore, morte, divertimento. Perfino la loro pelle si illumina di una luce diversa, quella, interiore, dell’interpretazione. Nel retropalco, solo a spettacolo finito, ritorneranno se stessi. Come sempre dovrebbe accadere. Come così di rado accade. Guidati dalla loro abituale regista Roberta Nicolai (anche qui, come sempre mirabile attrice), Michele Baronio, Laura Riccioli e Enea Tomei, in uno spettacolo breve e serrato, oserei dire “indispensabile”, fanno rivivere, sulla base di alcuni testi di Kafka, un intero mondo, che dal palcoscenico scivola dentro di noi. Per restarvi a lungo. Ho pensato al “Woyzeck”di Carlo Cecchi (or sono trent’anni). ho pensato a “Ubu re” di Peter Brook (or sono pochi di meno). Ancora me li ricordo quasi scena per scena. Se ne campo altri trenta mi ricorderò anche questo CIRCUS KAFKA. Giuliana Visco Amisnet …Un cane che conserva i tratti malinconici della sua condizione dell’incontro con l’uomo, una sorta di bonaria rassegnazione alla non-libertà, che fa apparire la costrizione meno soffocante. Uno sciacallo che sembra lacerato più che da qualsiasi cosa, dalla spietatezza delle sue pulsioni e delle sue espressioni. Prigioniera della sua incapacità di affrontare il mondo e le relazioni in altro modo. Una talpa che non vede perché è buio e ha degli occhi che non gli consentono una visione dai contorni netti della realtà e che forse proprio grazie a questo, rimane osservatrice dubbiosa, curiosa… Ma tutti in gabbia, bravi a recitare e a mostrare il desiderio di libertà, la ricerca di salvezza in extremis, ma come se parte del personaggio includesse la necessità di esprimere simultaneamente l’incontro della volontà e l’essere destinati al fallimento. Impotenza in cattività. Ogni singolo brivido che il pubblico ha provato è “polvere di libertà”… Fabio Massimo Franceschelli www.amnesiavivace.com-gennaio 2004 Il Triangolo Scaleno è un collettivo teatrale di categoria A.Q.T. (Alta Qualità Teatrale; il marchio è mio). Lo dimostra ampiamente questo Circus Kafka Show, spettacolo non certo esente da sbavature ma, ripeto, deliziosamente di alta qualità. Qualità di recitazione da parte dei quattro attori/attrici (tra cui mi colpisce particolarmente Enea Tomei, per il quale il “recitare come un cane” una volta tanto è un complimento); qualità di regia da parte di Roberta Nicolai (doppiamente brava in quanto è anche presente in scena). I quattro protagonisti si muovono con ottima pulizia formale e parlano con non comune cura della dizione e dell’uso della voce. Dovrebbe essere scontato negli attori ma non sempre è così. Precisa a sfiorare la perfezione la direzione della Nicolai, che muove le quattro pedine (compresa se stessa) con un maniacale senso della coralità, espressa nei continui movimenti, nelle controscene mai fuori registro, nell’armonico alternarsi del ritmo tra “vuoti” e “pieni”. I sensi di chi assiste non sono mai lasciati a se stessi, né vengono violentati: solleticati direi, solleticati continuamente da un insieme – fisico e sonoro – in costante rotazione. Ne consegue una sorta di partitura adagiata su un registro denso e delicato nel contempo. Ed è nella delicatezza, forse, il limite dello spettacolo. Ovvio che in questo giudizio entri prepotentemente il mio gusto (e il “mio” Kafka), ma avrei gradito in certi momenti qualche “graffio” improvviso, qualche tono alto, qualche kafkiano volo della fantasia che invece mi è parsa un po’ tenuta a freno, così come la bestialità dei personaggi (scimmia, cane, talpa e sciacallo) veniva frenata dal loro tentativo di farsi uomini. Che sia proprio questa la chiave di lettura privilegiata dalla Nicolai? Il mortificare i colori selvaggi della natura ferina con gli ingessati e freddi abiti umani? Se così è stato, allora un ulteriore complimento a Roberta, ma quanta tristezza rimane nell’osservare l’impacciata impotenza dello sciacallo costretto a muoversi su quei tacchi alti. In conclusione, uno spettacolo sicuramente da vedere e una compagnia da seguire in altre prove.