La persecuzione della comunità bahá`í nell`Iran khomeiniano

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La persecuzione della comunità bahá`í nell`Iran khomeiniano
Alma Mater Studiorum
Università di Bologna – Sede di Forlì
FACOLTA’ di SCIENZE POLITICHE
“ROBERTO RUFFILLI”
Corso di Laurea in
Scienze Internazionali e Diplomatiche
(Classe 15)
ELABORATO FINALE
in Storia e istituzioni dei paesi del Mediterraneo
TITOLO:
La persecuzione della
comunità bahá’í
nell’Iran khomeiniano
CANDIDATO
Jessica Martini
RELATORE
Marcella Emiliani
Anno Accademico 2004/2005
Sessione II
“Everyone has the right to freedom of thought, conscience and religion;
this right includes freedom to change his religion or belief,
and freedom,
either alone or in community with others and in public or in private,
to manifest his religion or belief in teaching, practice, worship and observance”
(Art.18 della Dichiarazione Universale dei diritti umani)
“…religion must be the cause of unity, harmony and agreement among mankind.
If it is the cause of discord and hostility,
if it leads to separation and creates conflict,
the absence of religion would be preferable in the world.”
(‘Abdu’l-Bahá)
INDICE SOMMARIO
p. 1
INTRODUZIONE
CAPITOLO PRIMO:
LA
REPUBBLICA
ISLAMICA:
ISLAM
E
MINORANZE
RELIGIOSE
p. 5
La storia dell’Iran: tra confessionalismo e laicizzazione
p. 6
L’islam e il governo islamico
p. 9
Le minoranze religiose nella Repubblica Islamica
p.11
CAPITOLO SECONDO: PERCHÉ UNA TALE REPRESSIONE?
p.17
Differenze ideologiche
p.18
La collaborazione con il regime dello Shah
p.20
Fazione politica ostile alla Repubblica Islamica
p.22
Immoralità dei costumi
p.24
CAPITOLO TERZO: INTERVENTO INTERNAZIONALE
p.27
Dichiarazioni internazionali per il rispetto dei diritti umani
p.28
Standard internazionali vs. principi islamici
p.31
Intervento delle organizzazioni internazionali e dei bahá’í all’estero
p.32
Risposta del governo iraniano
p.35
CONCLUSIONE
p.39
APPENDICE
p.43
Qualche accenno sulla religione bahá’í
p.44
Documenti relativi al capitolo primo
p.45
Documenti relativi al capitolo secondo
p.48
Documenti relativi al capitolo terzo
p.49
INTRODUZIONE
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
Il 1979 si apriva in Iran con agitazioni e manifestazioni sociali: milioni di
iraniani denunciavano il regime dello Shah, Mohammad Reza, e inneggiavano il
ritorno dell’Ayatollah, Ruhollah al-Musavi Khomeini. Cominciava per il paese un
periodo di grandi cambiamenti che avrebbero portato alla proclamazione della
Repubblica Islamica dell’Iran, nel marzo di quello stesso anno. Gli osservatori
internazionali non compresero subito il carattere della rivoluzione e le
implicazioni che essa avrebbe avuto, confusi tra i discorsi di Khomeini, invocante
l’uguaglianza sociale e la tolleranza religiosa, e la preoccupazione suscitata da
fanatici uomini col turbante nero, schierati contro le potenze occidentali, e dalle
negative conseguenze di una chiusura del paese per le economie industrializzate.
Ma all’inizio, fu difficile soprattutto cogliere quali sarebbero stati gli effetti per
l’Iran stesso. All’interno del paese, i milioni di iraniani che avevano partecipato
alla rivoluzione, erano fiduciosi e speravano in un cambiamento radicale, che
avrebbe garantito la fine della corruzione e il benessere sociale. Da più parti, ci si
aspettava una maggiore apertura e libertà, per le donne ad esempio, come anche
per le minoranze religiose.
In quest’ultimo caso, tuttavia, le speranze erano più incerte, in particolare
poi per la minoranza bahá’í che, comparsa proprio in Iran nella metà del XIX
secolo e pur essendo la comunità più diffusa nel paese, non è mai stata
riconosciuta dalle autorità iraniane1. Al contrario, questa nuova dottrina è sempre
stata considerata come un’eresia dell’Islam, la sua comunità come una setta
pericolosa per la società iraniana, di cui voleva corrompere i principi islamici. Fin
dall’inizio, l’annuncio da parte dello stesso Khomeini di una islamizzazione del
paese, non lasciava presagire cambiamenti nella posizione del clero sciita nei
confronti dei bahá’í. Per questa comunità cominciava, anzi, un periodo di
discriminazioni sistematiche e violenze arbitrarie, strumenti di un progetto ben
pianificato di persecuzione religiosa. Per capire sin da ora questo progetto,
appropriata è la definizione di Mohamed Eltayeb, secondo il quale possiamo
parlare di persecuzione religiosa in caso di “grosse violazioni del diritto di libertà
di pensiero, coscienza, religione o credo, dovute a sistematiche e attive politiche
da parte dello stato e da azioni volte a intimidire e punire individui e gruppi
1
2
Per una breve descrizione di questa religione, vedere l’appendice, p.44
Introduzione
religiosi, in modo tale da infrangere continuamente o minacciare il loro diritto alla
vita, la loro integrità e sicurezza personale2”.
Analizzeremo quindi, nel primo capitolo, i motivi che hanno spinto milioni
di persone ad insorgere contro lo Shah e che, allo stesso tempo, hanno favorito la
diffusione e l’affermazione dei principi islamici, così come interpretati
dall’Ayatollah Khomeini. Vedremo, allora, le conseguenze che l’instaurazione
della Repubblica islamica ha avuto sulla vita delle minoranze religiose, con
particolare riferimento alla comunità bahá’í.
Nel secondo capitolo, cercheremo, invece, di capire perché questa
comunità non è mai stata accettata dal clero sciita e quali sono state le accuse
sostenute dal nuovo regime per giustificare la propria politica discriminatoria.
Infine, nel terzo capitolo, vedremo come la persecuzione della comunità
bahá’i in Iran abbia suscitato la reazione e forti critiche da parte della comunità
internazionale, e come questo abbia indebolito le misure discriminatorie stabilite
dal governo iraniano, il quale, però, ha continuato a non-riconoscere la fede bahá’í
come una vera e propria religione.
2
Eltayeb M.S.M., “A Human Rights Framework for Defining and Understanding Intra-Religious
Persecution in Muslim Countries”, in Ghanea N. (eds), The Challenge of Religious Discrimination
at the Dawn of the new Millenium, Leiden, Boston: Nijhoff, 2004, p.93
3
CAPITOLO PRIMO
LA REPUBBLICA ISLAMICA:
ISLAM E MINORANZE RELIGIOSE
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
Il 1 febbraio 1979, il Boeing 747 della Air France atterrava in Iran: il
dodicesimo Imam tornava nella persona dell’Ayatollah Ruhollah al-Musavi
Khomeini (1902 – 1989). Con la partenza dello Shah dal paese, il seguente 11
febbraio, “il miracolo annunciato da Khomeini sembrava confermato1”: la
realizzazione di un governo islamico era sempre più imminente. Per capire cosa
ha spinto milioni d’iraniani ad acclamare Khomeini e a credere nel suo progetto, è
importante riassumere brevemente la storia di questo paese. Soltanto considerando
gli eventi che hanno caratterizzato l’Iran negli ultimi due secoli, infatti, è possibile
comprendere come il clero sciita sia giunto a formulare l’idea di uno stato
islamico e abbia ottenuto ampi consensi. Da questo quadro più generale, sarà poi
possibile analizzare la condizione delle minoranze religiose in una repubblica
fondata su un’incontestabile superiorità islamica.
La storia dell’Iran: tra confessionalismo e laicizzazione
Due aspetti caratterizzano la storia dell’Iran: l’importanza della religione
islamica e l’influenza delle potenze straniere. Nel mondo musulmano, l’Iran è
l’unico paese dove la tradizione sciita ha prevalso su quella sunnita. Secondo
questa dottrina, l’unico e vero successore di Maometto è Alí, cugino e genero del
Profeta. A partire da questi, la direzione spirituale e temporale della comunità è
stata attribuita ai cosiddetti Imam, o capi religiosi, infallibili nello svolgimento
delle loro responsabilità. Tuttavia, nel 260 A.H. (873 D.C.) il dodicesimo e ultimo
Imam scomparve, interrompendo così la successione. Secondo il credo sciita, egli
tornerà alla fine dei tempi per inaugurare il regno della giustizia nel mondo2. In
attesa del suo ritorno, l’autorità legittima è nelle mani degli ulema. In virtù della
loro accurata conoscenza della shari’a, la legge islamica, infatti, gli ulema, o
mujtahid, rappresentano il modello che tutti i credenti dovrebbero emulare3.
Questa tradizione spiega l’importanza del clero all’interno dell’Iran e
l’indignazione suscitata da qualsiasi tentativo, da parte del regime, di limitarne il
potere. Per quanto riguarda l’influenza delle potenze straniere, l’Iran, per la sua
posizione geografica e strategica, ha da sempre attirato l’interesse dei paesi
1
Brumberg D., Reinventing Khomeini: the Struggle for Reform in Iran, Chicago, London: the
university of Chicago press, 2001, p.94
2
Smith P., The Babí & Bahá’í Religions. From messianic Shi’ism to a world religion, Cambridge
University Press, 1987, pp.5-6
3
Ibidem, p.6-8
6
La Repubblica islamica: Islam e minoranze religiose
occidentali: dell’Inghilterra e della Russia durante il periodo dei Qajar (1796 –
1926), della Germania e, soprattutto, degli Stati Uniti durante il regime Pahlevi
(1926 – 1979). La presenza di queste due tendenze contrapposte è sempre stata
motivo di tensione per il paese.
Così, durante il regno dei Qajar, lo Shah si trovò spesso diviso tra gli
interessi delle potenze occidentali, da cui dipendeva per la difesa del paese, e
quelli del clero sciita, che godeva di un ampio potere nei centri urbani. In generale
comunque, in questo periodo, gli ulema cooperarono con il regime, che garantiva
loro protezione e sostegno nella lotta contro l’eresia, in particolare, quella
rappresentata dal movimento Babí, apparso negli anni ‘40. L’evento più
importante di questo periodo, è stata la concessione, nel 1906, di una Costituzione
che, se da un lato “garantiva la sovranità del popolo e la responsabilità
ministeriale del parlamento”, dall’altro “riconosceva la religione sciita come
religione di stato e istituiva un Consiglio dei Guardiani, formato da cinque
mujtahid, incaricati di controllare la conformità della legislazione alla shari’a4”.
Ma fu soprattutto con l’arrivo di Reza Khan al potere, nel 1921, e
l’instaurazione del regime Pahlevi nel 1926, che l’influenza straniera divenne
sempre più evidente. Nel tentativo di rafforzare il proprio paese, infatti, Reza
Khan portò avanti un progetto abbastanza ambizioso i cui punti chiave erano: la
centralizzazione dello stato, attraverso la formazione di un esercito numeroso e
ben organizzato; la modernizzazione, attraverso l’introduzione in Iran del modello
occidentale; la secolarizzazione, attraverso l’esaltazione del passato pre-islamico e
l’indebolimento del potere religioso sulla vita temporale. La realizzazione di
questo progetto, tuttavia, portò ad uno stato sempre più autoritario, basato sulla
volontà dello Shah e sulla forza dell’esercito, sulla censura e sull’oppressione di
ogni forma di opposizione…e sempre più dipendente dalle potenze occidentali, da
cui riceveva finanziamenti e la cui interferenza divenne ancor più preponderante
dopo la seconda Guerra Mondiale, quando Muhammad Reza divenne il nuovo
Shah. Continuando l’opera già iniziata dal padre, questi accelerò il processo di
centralizzazione, modernizzazione, secolarizzazione, suscitando, però, una forte
opposizione. Uno dei momenti di maggior tensione si ebbe negli anni ’50, con la
nazionalizzazione della compagnia petrolifera da parte del Primo Ministro
Mohammad Mosaddeq, leader del Fronte Nazionale. Toccando anche gli interessi
4
Hunter S.T., Iran after Khomeini, New York, London : Praeger, Center for strategic and
international studies, Washington, D. C., 1992, p.6-7
7
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
occidentali, questa decisione determinò l’intervento degli Stati Uniti e, con
l’appoggio della CIA, Mossadeq venne deposto. Da allora, la repressione del
governo nei confronti dell’opposizione, in particolare di quei movimenti
ideologicamente a sinistra, divenne sempre più dura e sistematica, grazie anche
alla creazione di una polizia secreta, la SAVAK. Allo stesso tempo, permettendo
un’espansione delle istituzioni religiose nel paese e gli attacchi contro i membri
della comunità bahá’í5, lo Shah riuscì a limitare l’opposizione dei mullah. Le
critiche da parte del clero, però, cominciarono ad emergere numerose a partire dal
1962, quando la Shah annunciò un vasto programma di riforme: nazionalizzazione
e privatizzazione; laicizzazione del sistema educativo; diritto di voto per le donne;
riforma agraria e nuova legislazione per l’elezione dei rappresentanti locali. Con
questa rivoluzione bianca lo Shah intaccava alcuni dei dogmi fondamentali della
tradizione sciita: il riconoscimento del voto alle donne era percepito come
contrario ai principi dell’Islam; la riforma agraria avrebbe ridotto gli introiti del
clero nelle zone rurali; l’educazione laica avrebbe indebolito l’Islam e la
conoscenza dei suoi precetti da parte dei giovani; l’apertura alle compagnie
occidentali avrebbe favorito la corruzione dei costumi. Particolarmente criticata,
poi, fu la nuova legislazione per l’elezione dei rappresentanti locali: essa
riconosceva il diritto di voto attivo e passivo anche ai non musulmani e,
soprattutto, permetteva al candidato eletto di governare secondo i principi della
propria religione. Questa clausola, ovviamente, “venne percepita come un
tentativo di emarginare l’Islam, come un mezzo per favorire l’affermazione dei
bahá’í6”. A questo punto, Khomeini, allora insegnante nella scuola religiosa di
Qum, si fece portavoce dei mullah iraniani. Le sue aspre critiche al regime, però,
gli valsero l’esilio in Turchia e, poi, a Najaf, in Iraq. L’allontanamento e
l’oppressione degli oppositori non ridussero, però, il malcontento nei confronti
dello Shah, considerato come semplice strumento al servizio degli interessi
stranieri. La crisi economica degli anni ’70, l’inflazione, la crescente
disoccupazione e il gap sempre più netto tra gli standard di vita della famiglia
reale e quelli del resto della popolazione, favorirono al contrario l’avvicinamento
degli iraniani alle istituzioni religiose. L’idea khomeiniana di un governo islamico
5
Ad esempio, l’assalto e la distruzione del centro bahá’í a Teheran, nel 1955.
6
Martin V., op.cit., p. 60
8
La Repubblica islamica: Islam e minoranze religiose
trovò progressivamente ampia approvazione tra i fedeli e divenne la possibile
alternativa al regime corrotto dello Shah.
L’islam e il governo islamico
Con il referendum del marzo 1979, il 98,2% della popolazione iraniana si
dichiarava in favore della creazione di una Repubblica Islamica7. Khomeini,
diventava il Velayat-e-faqih, “il supremo leader religioso cui spettava l’ultima
parola su ogni questione della vita nazionale8”. Egli vedeva, così, presentarsi
davanti a sé l’opportunità di realizzare quanto aveva teorizzato e scritto in vari
libri9 fin dagli anni ‘40: uno stato islamico fondato sulla shari’a.
Per Khomeini, l’obiettivo fondamentale dell’Islam era “la conoscenza e
padronanza di se stessi, la liberazione dai desideri più materiali”. In questo senso,
“la battaglia più importante era quella contro la propria natura carnale10”. Dopo
aver purificato se stessi, ogni fedele avrebbe dovuto rivolgere il proprio sguardo
alla società, combattere qualsiasi forma di corruzione e immoralità.
Il credente, tuttavia, poteva raggiungere la piena conoscenza del bene
soltanto grazie alla presenza di una guida spirituale. Con riferimento al clero
sciita, in particolare, i mullah, oltre a rappresentare un esempio morale da
emulare, dovevano anche agire attivamente all’interno della società, servendosi
delle moschee e delle scuole religiose per mobilizzare i fedeli e attirare strati
sempre più ampi della popolazione11. A questo proposito, egli credeva nel dovere
del clero ad intervenire nella vita politica per impedire la penetrazione straniera in
Iran e ostacolare alcune delle riforme volute dallo Shah. Egli, tuttavia, “non
dichiarò apertamente questa sua concezione per tutti gli anni ’50, per non opporsi
all’atteggiamento più quietista del marja del momento, l’Ayatollah Muhammad
7
Martini V., op.cit., p. 158
8
Hunter S.T., op.cit., pag. 18-20
9
Tra questi: La rivelazione dei secreti, pubblicato nel 1943-44, e Il governo islamico, pubblicato
nel 1970.
10
Martin V., op.cit., pp.42-43
11
Brumberg D., Reinventing Khomeini: the Struggle for Reform in Iran, Chicago, London: the
university of Chicago press, 2001, p.58
9
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
Husain Burujirdi12, e non creare divisioni nell’élite religiosa, di cui lo Shah
avrebbe beneficiato13”.
E’ proprio su queste basi che Khomeini elaborò l’idea di uno stato
islamico: “uno stato il cui governo sarebbe stato definito da valori islamici e che
sarebbe stato responsabile di fronte alla legge dell’Islam14”. Egli ha esplicitato
questo concetto in uno dei suoi libri, La rivelazione dei secreti, nel quale scrisse:
Qualsiasi sovranità che non sia quella divina è
contraria
al
benessere
degli
individui
e
rappresenta una forma di tirannia; tutte le leggi,
con l’eccezione delle leggi di Dio, sono vuote e
inutili15”.
La Shari’a, in pratica, doveva regolare ogni aspetto della vita privata e pubblica:
un esercito ben organizzato avrebbe protetto il paese e contribuito alla difesa e alla
diffusione dell’Islam; gli spazi pubblici avrebbero rispecchiato i principi islamici;
i mullah avrebbero assicurato un’educazione religiosa. Più in generale, egli
scriveva:
“L’Islam è un programma per la vita e per il
governo. Regola la vita ancor prima della nascita,
la vita nella famiglia e nella società. L’Islam ha
un’agenda
politica
e
si
occupa
16
dell’amministrazione di un paese ”.
Nella visione di Khomeini, tra l’altro, lo stato doveva garantire la sicurezza dei
suoi cittadini e la loro uguaglianza sociale. A questo proposito, egli criticava gli
sprechi della famiglia reale durante il regno degli Shah e denunciava la marcata
disuguaglianza sociale che ne era scaturita.
Lo stato islamico, infine, doveva essere assolutamente indipendente da ogni
influenza straniera. La cultura imperialista degli Stati Uniti doveva essere bandita
dal paese, così come ogni legame con Israele.
12
“Leader di tutti gli sciiti”. Nominato marja’ nel 1946, Burujirdi mantenne questo titolo fino alla
sua morte, nel 1961
13
Martin V., op.cit., pp.50-54
14
Ibidem, pp.104-105
15
Ibidem, p. 106
16
Khomeini, Sahifa, Vol.I, p. 198, in Martin V., op.cit., p.113
10
La Repubblica islamica: Islam e minoranze religiose
Khomeini, venne salutato come un leader ancor prima dell’instaurazione
effettiva della Repubblica Islamica. Le varie dimostrazioni contro lo Shah,
organizzate verso la fine del 1978, erano spesso accompagnate dallo slogan:
“Allah Akbar Khomeini Rahbvar - Dio è grande, Khomeini è il leader17”. Con il
suo progetto di una moralità islamica restaurata, di un’uguaglianza sociale, di un
benessere economico basato sulle risorse del paese, di uno stato finalmente libero
da ogni influenza straniera, egli era riuscito a conquistare le masse e a cogliere il
loro bisogno di cambiamento rispetto ad un sistema che sembrava, invece,
corrotto e lontano dalla purezza islamica. Questa visione totalizzante, tuttavia, finì
per limitare le libertà degli stessi iraniani che avevano sostenuto la rivoluzione
islamica e portarono alla creazione di uno stato autoritario, in questo simile a
quello precedente dello Shah. Secondo Khomeini, infatti:
“mentre negli altri governi, il singolo individuo
non può opprimerne un altro, ma gode comunque
della piena libertà di azione nella vita privata, il
governo islamico ha leggi per tutti gli individui, in
ogni luogo e in ogni condizione. Se qualcuno vuole
commettere un errore nella propria casa, anche
questo riguarderebbe lo stato; anche in assenza di
ispezioni ufficiali, quindi, quest’azione è comunque
vietata18”.
Le minoranze religiose nella Repubblica Islamica
Nonostante l’importanza fondamentale dell’Islam e la superiorità
riconosciuta a questa religione rispetto alle altre, la Costituzione della Repubblica
Islamica19ha riconosciuto una serie di diritti alle minoranze religiose. In base
all’art.13, in particolare:
“gli iraniani di religione cristiana, ebrea e
zoroastra sono le sole minoranze religiose
riconosciute dal governo. Nei limiti della legge,
essi possono celebrare liberamente le loro
cerimonie e i loro riti religiosi, possono agire
17
Martin V., op.cit., 152-153
18
Khomeini, Sahifa, Vol.I, p. 396-397, in Martin V., op.cit., p.124
19
La costituzione è stata elaborata da un’Assemblea di Esperti, composta per lo più da membri del
clero sciita (55 seggi su 73). È stata approvata il 15 novembre 1979.
11
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
secondo i loro principi nella vita privata e in
materia di educazione religiosa20”.
L’art.14, poi, specificava i diritti dei non musulmani, affermando che:
“[…] il governo della Repubblica Islamica
dell’Iran e tutti i musulmani hanno il dovere di
trattare i non musulmani conformemente alle
norme etiche e ai principi della giustizia islamica,
e di rispettare i loro diritti umani. Questo principio
va applicato a tutti coloro che non sono coinvolti
in attività di cospirazione o in attività contro
l’Islam e la Repubblica Islamica dell’Iran21”.
Importanti, sono anche gli art.19 e 20, che assicurano l’uguaglianza davanti la
legge; l’art.22 che garantisce la sicurezza della proprietà; l’art.23, che vieta la
persecuzione per motivi di credo22. In effetti, nelle parole di Khomeini, il nuovo
ordine avrebbe “tollerato le minoranze religiose; preservato l’identità dei gruppi
etnici presenti nel paese; ampliato i diritti delle donne; permesso la libera
espressione dei diversi movimenti politici23”.
In pratica, però, all’interno del nuovo sistema, ogni forma di libertà non
poteva essere accettata se non nei limiti di quanto stabilito dalla shari’a. Inoltre,
tutti questi diritti sono stati costantemente negati alla minoranza bahá’í, che pure
costituisce la comunità più numerosa presente nel paese. Non citandola
nell’art.13, l’Assemblea di Esperti non riconosceva la fede bahá’í come una vera e
propria religione al pari delle cosiddette religioni del Libro. È questo un
atteggiamento non nuovo per il clero sciita nella storia dell’Iran. Come abbiamo
accennato, infatti, già durante il regno dei Qajar e dello Shah, i bahá’í erano stati
vittime di violenze e la costituzione del 1906 non menzionava i bahá’í. Lo stesso
Khomeini, poco dopo la rivoluzione, espresse chiaramente la sua posizione a
questo proposito, nell’intervista pubblicata il 23 febbraio 1979 in Seven Days.
Interrogato a proposito dei diritti che sarebbero stati accordati alle minoranze
20
Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran, in Ghanea N., Human rights, the UN and the
Bahá'ís in Iran, Oxford: George Ronald; The Hague: Kluwer, 2003, p.258-259
21
Ibidem, p.259
22
Ibidem
23
Martin D., The Persecution of the Bahá’ís of Iran: 1844-1984, The Associations for Bahá’í
Studies, Ottawa, Ontario, Canada, 1984, p.31
12
La Repubblica islamica: Islam e minoranze religiose
religiose, Khomeini affermò in maniera intransigente che i bahá’í “erano membri
di una fazione politica pericolosa e non sarebbero stati accettati, né avrebbero
beneficiato della libertà religiosa riconosciuta ad altre minoranze24”.
In generale, quindi, la Repubblica Islamica non ha fatto che riprendere
quelle che erano già le disposizioni discriminatorie nei confronti dei bahá’í sancite
dai precedenti regimi. Tuttavia, in uno stato fortemente ideologizzato come quello
che nasceva dalla rivoluzione islamica e in cui la superiorità dell’Islam era
fermamente sancita, la condizione dei bahá’í diventava ancora più precaria. Se in
passato, in particolare sotto lo Shah, essi avevano goduto di una relativa
tolleranza, con Khomeini al potere, l’annientamento della comunità bahá’í
divenne l’obiettivo di un piano di persecuzione sistematica. Secondo la Comunità
Bahá’í Internazionale, questo piano prevedeva una serie di pressioni e violenze:
“arresto e esecuzione di personalità eminenti all’interno della comunità; confisca
di beni; strangolamento finanziario e intimidazione dei bahá’í, individualmente25”.
L’obiettivo di queste azioni era chiaramente quello di costringere gli eretici a
rinnegare la loro falsa fede e a tornare all’Islam.
Per quanto riguarda il primo punto, il governo islamico ha cercato fin
dall’inizio di eliminare i membri delle Assemblee Locali26 e dell’Assemblea
Nazionale, considerandoli come le guide spirituali in assenza delle quali la
comunità bahá’í sarebbe stata indebolita. Questa decisione era dettata, in realtà,
più dalla concezione sciita delle autorità religiose che da un’effettiva conoscenza
del ruolo attribuito dai bahá’í ai membri delle assemblee. Questi, infatti, sono
considerati come semplici fedeli, eletti democraticamente per servire la comunità,
senza che ciò conferisca loro alcun privilegio o potere. Nonostante ciò, le autorità
iraniane hanno arrestato la maggior parte dei membri di queste assemblee, spesso
condannandoli a morte attraverso dei processi sommari. Se all’inizio, le sentenze
erano basate su accuse politiche, come quella di appartenere ad un gruppo politico
e di essere oppositori del regime, a partire dal 1981, con la sentenza del Tribunale
24
Assemblée Spirituelle Nationale des Bahá’ís de France, Iran. Persécution des Bahá’ís. Un livre
blanc, Paris, ASN des Bahá’ís de France, 1982, p.30
25
Communauté Internationale Bahá’íe, Les Bahá’’ís en Iran. Un rapport sur la persécution d’une
minorité religieuse, Assemblée Spirituelle Nationale Bahá’’ie de Suisse, juin 1981, p.3-11
26
Queste assemblee sono composte di nove membri, eletti annualmente tra gli adulti appartenenti
ad una certa comunità locale. “Il compito delle assemblee è quello di controllare tutte le attività
locali, come quelle per la diffusione della fede, i programmi d’educazione religiosa,
l’organizzazione delle riunioni di preghiera”, in Hatcher W.S., Martin J.D., La foi bahá’íe :
L’émergence d’une religion mondiale, Bruxelles, Maison Editions Bahá’íes, 1998, p.183
13
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
Rivoluzionario di Shiraz del 16 marzo, il fatto stesso di appartenere alla comunità
bahá’í divenne motivo di punizione27. Coerentemente con questa posizione, se i
bahá’í arrestati avessero rinnegato la loro fede, avrebbero riottenuto la libertà.
Inoltre, poiché i bahá’í continuavano a rieleggere delle nuove assemblee, nel
settembre del 1983 il governo iraniano ha formalmente vietato la costituzione di
queste istituzioni. Seguendo l’insegnamento di Bahá’u’lláh che impone lealtà e
rispetto al proprio regime28, le assemblee locali e quella nazionale sono state
sciolte.
Un secondo strumento utilizzato per indebolire la comunità bahá’í, come
abbiamo detto, è stata la confisca dei beni. Una delle prime decisioni prese dal
regime, ad esempio, è stata quella di confiscare la Società Omana (Società di
Gestione). Questa società senza scopi di lucro era stata creata per amministrare i
beni posseduti dalla comunità. Tra le varie istituzioni confiscate compaiono,
inoltre, la Società Bancaria Nawnahalan e l’ospedale bahá’í di Teheran. La prima,
creata nel 1917 per incoraggiare il risparmio dei bambini, finanziava borse di
studio, pensioni e spese ospedaliere, attività culturali di vario tipo29. L’ospedale
bahá’í, invece, era nato alla fine della seconda guerra mondiale ed accoglieva
malati di ogni religione. Oltre le istituzioni ufficiali, le confische non
risparmiarono neanche i luoghi sacri e i cimiteri bahá’í, molti dei quali vennero
distrutti, come ad esempio la Casa del Báb a Shiraz o il Centro Nazionale di
Teheran, che venne adibito a Libera Università Musulmana.
Ma l’aspetto che va maggiormente considerato, nell’ambito della
violazione dei diritti umani, riguarda l’intimidazione dei singoli individui e le
discriminazioni cui sono stati sottoposti. Così, ad esempio, venne lanciata una
campagna a livello nazionale per ostacolare la diffusione dell’educazione bahá’í.
In particolare, ai ragazzi che dichiaravano di professare una religione non
riconosciuta dallo stato, veniva negato l’accesso stesso alle scuole. Al momento
dell’iscrizione, infatti, gli studenti dovevano riempire un modulo che controllava
incontestabilmente la loro appartenenza religiosa. Tra le varie domande, infatti,
comparivano:
27
Testo della sentenza in appendice, p.45
28
Hatcher W.S., Martin J.D., op.cit., p.203
29
Assemblée Spirituelle Nationale des Bahá’ís de France, Un livre blanc cit., p.62
14
La Repubblica islamica: Islam e minoranze religiose
“ I tuoi genitori sono bahá’í? Sei un seguace del
bahá’ismo? Da quanto tempo pratichi questa
religione?Parli di baha’ismo in classe? Quali sono
i tuoi famigliari appartenenti al baha’ismo? Sei
disposto a rinnegare la tua religione?30”
Questa campagna coinvolgeva anche gli insegnanti di religione bahá’í, accusati di
diffondere principi contrari all’Islam e di deviare, così, gli studenti di religione
musulmana. Il licenziamento degli insegnanti bahá’í venne stabilito e giustificato
da una circolare del Ministero dell’Istruzione31, nel quale si affermava che,
applicando la giustizia della Repubblica Islamica, non era possibile “tollerare la
presenza dei bahá’í nel sistema educativo islamico32. Quest’epurazione tra l’altro,
non investì soltanto il settore dell’istruzione. I bahá’í persero il loro lavoro sia nel
caso di cariche istituzionali che di lavori presso privati. In ogni caso, inoltre, il
governo chiedeva loro di restituire l’ammontare ricevuto fino a quel momento
sotto forma di salari: poiché pagani, eretici, oppositori dell’Islam, essi non
avevano il diritto di ricevere finanziamenti da uno stato islamico.
Più in generale, è facile immaginare come il non riconoscimento dei bahá’í
a livello costituzionale abbia reso difficile, se non impossibile, la loro esistenza in
un sistema dove qualsiasi azione è collegata alla propria appartenenza religiosa:
ottenere una carta d’identità, sposarsi o avere figli. Così, ad esempio, per
ufficializzare il loro matrimonio, i bahá’í avevano come unica soluzione quella di
rinnegare la loro fede e di sposarsi secondo i riti di una delle religioni
riconosciute.
Tutte queste misure, ovviamente, avevano come solo obiettivo quello di
privare le famiglie bahá’í dei mezzi di sostentamento basilari. Esse erano
accompagnate, inoltre, da pressioni psicologiche legate ad una condizione di
perenne incertezza e da violenze fisiche, spesso perpetrate anche da privati
cittadini in nome del loro dovere di combattere la corruzione presente nella
società. In sintesi, se da un lato, il piano sistematico di cui abbiamo parlato si
rifaceva ad una tradizione di discriminazione ben radicata, dall’altro può essere
30
Ezzatollah D., Stranger in their Native Land: the Situation of the Bahá’í Community of Iran
since 1978, Uppsala, Sweden, Bahá’í Förlaget, 1987, pp.99-100
31
Testo della circolare in appendice, p.45
32
Martin D., op.cit., p.46
15
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
considerato all’interno del più ampio progetto khomeiniano di islamizzazione
della società iraniana e “rivoluzione culturale33”.
33
Brumberg D., op.cit., p.113
16
CAPITOLO SECONDO
PERCHÉ UNA TALE REPRESSIONE?
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
Abbiamo visto nel primo capitolo, come la persecuzione dei bahá’í in Iran
abbia avuto il sostegno e l’appoggio del governo iraniano, che più volte ha
lasciato impuniti gli atti di violenza organizzati contro i membri di questa
comunità, atti di cui si è fatto anche promotore, direttamente o indirettamente.
Tuttavia, come mostra Eltayeb, “una politica di questo tipo non può realizzare gli
interessi dell’élite politica se la comunità nel suo complesso non ne è coinvolta1”.
In pratica, la persecuzione dei bahá’í non può essere compresa senza tener conto
dell’esistenza di pregiudizi ben radicati nella società, oltre che dell’isolamento
sociale e politico. Indicativo è, ad esempio, il fatto che “nessun uomo politico
iraniano, emigrato all’estero, abbia osato denunciare apertamente la repressione di
questa comunità nel suo paese, presentandola piuttosto come uno dei tanti atti di
violenza arbitrari che accadono nell’Iran di oggi”2. Questa reticenza, come nota
Cooper, “è dovuta al fatto che i bahá’í non costituiscono una causa popolare in
Iran” e, difatti, “ancora oggi, la concezione più diffusa che gli iraniani hanno di
questa Fede è quella di Din nist – non è una religione3”.
Differenze ideologiche
Per capire questo pregiudizio, bisogna risalire all’origine della fede bahá’í:
fin da quando il Báb (1819-50) ha cominciato a professare i principi di questa
nuova fede, nel 1844, è stato considerato un eretico e così anche i suoi seguaci.
Questa concezione è stata alimentata dal fatto che sia i babí, sia i bahá’í erano,
prima della nuova rivelazione, degli sciiti. La religione musulmana, infatti, non
ammette la possibilità di abbandonare l’Islam per abbracciare un’altra religione e
così, per le autorità religiose sciite, i bahá’í stavano deviando dalla giusta via.
Essi, inoltre, costituivano anche una minaccia di nuove conversioni. Il fatto che
quest’ostilità si sia poi rafforzata nel corso degli anni trova una spiegazione nelle
divergenze tra i dogmi della religione musulmana e i principi della religione
bahá’í.
1
Eltayeb M.S.M., “A Human Rights Framework for Defining and Understanding Intra-Religious
Persecution in Muslim Countries”, in Ghanea N. (eds), The Challenge of Religious Discrimination
at the Dawn of the new Millenium, Leiden, Boston: Nijhoff, 2004, p. 96
2
Cooper R., The Bahá’ís of Iran. The Minority Rights Group Report N°51, London: the minority
rights group, 1985, p.7
3
Ibidem
18
Perché una tale repressione?
A questo proposito, secondo il credo musulmano, Dio ha inviato vari
profeti a guidare gli esseri umani, il primo dei quali è stato Adamo e l’ultimo
Maometto. Per un musulmano, la professione di fede si compone di due
proposizioni fondamentali: esiste un solo e unico Dio; Maometto è il suo
messaggero. I bahá’í, quanto a loro, riconoscono il Corano come un libro rivelato
da Dio e vedono in Maometto un Suo messaggero, ma non credono che questi sia
l’ultimo. Al contrario, essi professano l’unità delle religioni e la continuità della
rivelazione divina: “Dio interviene nella storia dell’umanità inviando delle Sue
manifestazioni, i fondatori delle varie religioni, tra i quali Abramo, Mosè, Buddha,
Gesù, Maometto, il Báb e Bahá’u’lláh. I sistemi religiosi che ciascuno di loro ha
stabilito fanno parte di uno stesso piano divino4”: se vi sono delle differenze tra le
varie religioni, queste rispecchiano soltanto i diversi bisogni delle società cui esse
sono indirizzate. E’ proprio questo principio, che rinnega il secondo postulato
della professione di fede islamica, a rendere i bahá’í dei musulmani eretici e,
quindi, “delle persone il cui sangue può essere disperso senza punizioni – mahdur
al-damm5”.
Inoltre, credendo nella progressione della storia e della rivelazione
religiosa, i bahá’í sostengono che il dodicesimo Imam atteso dagli Sciiti sia
tornato nella persona del Báb e che Bahá’u’lláh sia il Promesso atteso dall’intera
razza umana. Tali rivendicazioni sono, ovviamente, inaccettabili per il clero sciita
che, fin dalle prime predicazioni del Báb, le ha interpretate come proposte
rivoluzionarie “che avrebbero tolto ai mullah la terra da sotto i piedi6”. La
situazione per i bahá’í è diventata ancora più difficile con l’avvento della
rivoluzione islamica e l’istituzione di una Repubblica teocratica. L’appello bahá’í,
infatti, se accettato, “significherebbe il compimento della preghiera sciita per il
ritorno dell’Imam nascosto e renderebbe inutile il ruolo occupato dall’Ayatollah
Khomeini, definitosi Nayib al-Imam – the deputy to the Imam7”.
La percezione che gli sciiti da sempre hanno della nuova religione è,
quindi, quella di una minaccia. In particolare per i mullah, la fede bahá’í rischia
“di influenzare gli strati più poveri della popolazione e di infiltrare persino le
4
Hatcher W.S., Martin J.D., La foi bahá’íe : L’émergence d’une religion mondiale, Bruxelles,
Maison Editions Bahá’íes, 1998, pp. 101,02
5
Cooper R., op. cit., p.8
6
Nash G., Iran’s Secret Pogrom, Suffolk, Neville Spearman, 1982, p. 25
7
Ibidem, p.50
19
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
scuole teologiche8”. La nuova religione, infatti, annuncia e promuove un modello
alternativo di organizzazione sociale e, in questo modo, sfida il sistema sciita non
soltanto da un punto di vista strettamente religioso. Come descritto nel primo
capitolo, nel sistema amministrativo bahá’í non vi sono guide spirituali, ma
assemblee locali e nazionali democraticamente elette. Per i bahá’í questo sistema
dovrebbe costituire un esempio per le società del futuro. Ciascun individuo,
difatti, è chiamato a cercare da solo la verità, che potrà comprendere grazie ad un
sistema d’educazione universale accessibile a tutti.
Se queste divergenze sono probabilmente le ragioni di fondo che spiegano
il non riconoscimento in Iran di quella che è la più grande delle minoranze
religiose, le autorità iraniane, tuttavia, hanno sempre giustificato l’arresto, la
condanna e le pressioni nei confronti di membri della comunità bahá’í con altre
argomentazioni.
La collaborazione con il regime dello Shah
La principale accusa politica è quella di aver cooperato con il regime dello
Shah, con il quale i bahá’í condividevano, tra l’altro, alcune considerazioni
ideologiche. Tra queste, il Libro bianco sulla persecuzione dei Bahá’í in Iran
indica, ad esempio, “il principio di uguaglianza tra uomo e donna, l’abolizione
della poligamia, l’educazione universale e gratuita9”. Per quanto riguarda l’accusa
di cooperazione con il regime precedente, essa deriva dal fatto che i bahá’i non lo
hanno mai denunciato e che alcuni degli alti funzionari erano membri di questa
comunità. A sostegno di quest’ultima argomentazione, vengono spesso citati i
nomi di alcuni funzionari famosi, come ad esempio il primo ministro Amir Abbas
Hoveyda10(1919-1979), figlio di bahá’í. Queste accuse, però, perdono la loro
validità se si analizzano alcuni aspetti della religione in causa.
Uno degli insegnamenti di Bahá’u’lláh incoraggia i fedeli ad istruirsi e ad
approfondire gli studi. E’ quindi invitabile che molti intellettuali e alti funzionari
iraniani fossero proprio dei bahá’í. D’altra parte, lo svolgimento d’incarichi
importanti non ha risparmiato i bahá’í dalle limitazioni imposte loro dal regime
8
Martin D., The Persecution of the Bahá’ís of Iran: 1844-1984, The Associations for Bahá’í
Studies, Ottawa, Ontario, Canada, 1984, p.32
9
Assemblée Spirituelle Nationale des Bahá’ís de France, Iran. Persécution des Bahá’ís. Un livre
blanc, Paris, ASN des Bahá’ís de France, 1982, p.50
10
Primo ministro dal 1965 al 1977.
20
Perché una tale repressione?
nel quale operavano. Anche se nessuno, sotto il regno dello Shah, è stato mai
arrestato o condannato a morte per la sua religione, i bahá’í sono pur sempre
rimasti cittadini di seconda classe.11
Il silenzio dei bahá’í nei confronti di questo regime, poi, trova una
spiegazione in altri due principi della loro fede. Primo, il principio di non
ingerenza nella vita politica stabilito da Bahá’u’lláh: i bahá’í, in pratica, non
possono “identificarsi a, o fare campagna per un qualunque partito politico o
movimento di parte12”. Proprio nel rispetto di questo principio, tra l’altro, i bahá’í
“hanno rifiutato di partecipare al referendum nazionale riguardante la formazione
di una repubblica islamica (marzo 1979) e questo ha alimentato le ostilità del
nuovo regime nei loro confronti13”. Questo principio è legato al secondo:
“completa lealtà e obbedienza al governo in carica in una certa epoca e astensione
da qualsiasi attività sovversiva nei suoi confronti14”.
Infine, l’esempio di Hoveyda non è attendibile se si tiene conto del fatto
che, per i bahá’í, la religione non può essere ereditata automaticamente dai propri
genitori: ognuno ha il diritto di cercare autonomamente la verità e di scegliere
liberamente e in maniera consapevole la propria religione, una volta raggiunta la
maggiore età, “fissata a 15 anni dal Kitáb-i-Aqdas, il libro delle legge scritto da
Bahá’u’lláh15”. Inoltre, durante il mandato di Hoveyda, furono adottate nuove
regolamentazioni discriminatorie nei confronti proprio dei bahá’í e quelle già
esistenti vennero rafforzate.
Per quanto riguarda la collaborazione con il regime Pahlavi sono stati
spesso presentati anche altri argomenti. Tra questi, ad esempio, il coinvolgimento
dei bahá’í nelle attività portate avanti dalla polizia segreta del regime, la SAVAK.
Anche in questo caso, nessuna prova concreta è mai stata presentata, ma, ancora
una volta, ci si è basati sul fatto che i bahá’í non hanno mai denunciato le azioni di
questo organismo e che alcuni suoi membri erano figli di bahá’í. Come abbiamo
11
In effetti, durante il regno di Reza Shah Pahlavi prima(1925-41) e di Mohammad Reza Shah poi
(1941-79), i Bahá’í hanno goduto di una certa tolleranza e hanno vissuto in maniera relativamente
pacifica. Soltanto nel 1955, poco dopo il colpo di stato che ha deposto il regime di Mosaddeq, la
comunità è stata vittima di una violenta campagna anti-Bahá’í, moderata dall’intervento di potenze
straniere e organizzazioni internazionali.
12
Hatcher W.S., Martin J.D., op.cit., p.202
13
Communauté Internationale Bahá’íe, Les Bahá’’ís en Iran cit., p.12
14
Ibidem, p.203
15
Hatcher W.S., Martin J.D., op.cit., pp.194, 197
21
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
visto prima, però, queste argomentazioni non concordano con i principi
fondamentali insegnati da Bahá’u’lláh e sono tanto più falsi se si pensa che la
SAVAK è stato uno dei principali strumenti di repressione contro i bahá’í. A
questo proposito, “nel giugno del 1980, un quotidiano iraniano, Mujahid, ha
pubblicato una lettera16 interdipartimentale del novembre 1972, che dimostra
incontestabilmente il ruolo della SAVAK nelle attività volte ad attaccare i bahá’í e
i suoi contatti con l’organizzazione fondamentalista musulmana, Tablighat-iIslam17”, più volte responsabile di attacchi contro i membri della comunità
religiosa. Inoltre, la partecipazione alle attività della Savak avrebbe sicuramente
implicato l’espulsione dalla comunità bahá’í, dal momento che “la fede condanna
ogni atto di violenza e di sovversione18”.
Fazione politica ostile alla Repubblica Islamica
L’esistenza di rapporti con il regime dello Shah implica un’altra critica,
che rendeva ancora più vulnerabili i bahá’í nel contesto rivoluzionario: quella di
essere oppositori del nuovo regime. Nonostante le confutazioni sopra esposte,
infatti, il governo iraniano ha sempre accusato la comunità bahá’í di non essere
una comunità religiosa, ma una fazione politica. Il 10 marzo 1986, per esempio,
un rappresentante iraniano all’ONU, in un intervento alla Commissione per i
Diritti Umani, ha descritto i Bahá’í come “un gruppo politico parte del complotto
per rovinare l’immagine della rivoluzione, […] una spia al servizio di Israele19”.
Quest’ultima è un’accusa ricorrente nella storia iraniana. I membri della comunità
Babí prima e quelli della comunità Bahá’í poi, infatti, sono stati spesso presentati
come agenti al sevizio di potenze straniere interessate al controllo sull’Iran. Se,
durante il regime dei Qajar, la fede bahá’í veniva descritta come una creazione
della politica russa e come uno strumento del colonialismo britannico, sotto il
regime Pahlavi si affermò l’idea di un possibile legame tra questa comunità e
16
Testo della lettera in appendice, p.48
17
Communauté Internationale Bahá’íe, Iran. Un livre blanc cit., pag. 54
La Tablighat-i-Islam venne costituita nel 1960 con il preciso obiettivo di contrastare la diffusione
della Fede Bahá’í e di promuovere l’Islam. Per un certo periodo quest’associazione è stata diretta
da Mohammad Ali Raja’i (1933-1981), in seguito primo ministro (dal 12/08/1980 al 04/08/1981) e
presidente della Repubblica Islamica (dal 03/08/1981 al 30/08/1981)
18
Assemblée Spirituelle Nationale des Bahá’ís de Suisse, Sur les persécutions des Bahá’’is d’Iran,
Berne (Svizzera), ASN des Bahá’ís de Suisse, 1981, p.24
19
Ghanea N., Human rights, the UN and the Bahá’ís in Iran, Oxford: George Ronald; The Hague:
Kluwer, 2003, p.119
22
Perché una tale repressione?
Israele, tra questa comunità e gli Stati Uniti. L’associazione della comunità bahá’í
alle varie potenze straniere è legata alla situazione storica in cui hanno operato i
diversi governi, e alla diffidenza nei confronti dell’influenza straniera da parte del
popolo e dei governi iraniani, oltre che ad alcune caratteristiche della fede stessa.
Così ad esempio, secondo Cooper, “il fatto che il mandato Britannico sulla
Palestina coincise con la diffusione della fede bahá’í, ha spinto molti iraniani ad
immaginarne un legame20”. Tuttavia, come rilevato nel Libro bianco sulla
persecuzione, “durante il periodo dei Qajar, i russi e gli inglesi hanno cercato di
rafforzare il regime in carica, piuttosto che di boicottarlo. Non avevano quindi
alcun interesse ad appoggiare un movimento che, invece, con i suoi principi,
rischiava di indebolirne il potere21”.
Per quanto riguarda i rapporti con Israele, invece, questi sono stati dedotti
dal fatto che “il Centro Mondiale Bahá’í si trova a Haifa, in Israele appunto, che
molti fedeli effettuano viaggi in questo paese e che finanziamenti vengono
regolarmente inviati dall’Iran in Israele22”. Inoltre, in alcuni scritti di Bahá’u’lláh
vi sono delle referenze al ritorno degli ebrei in Terra Santa e questo, ovviamente,
tocca la sensibilità dei popoli musulmani coinvolti, seppur indirettamente, nella
questione palestinese. Tuttavia, anche quest’accusa trova poco fondamento. La
decisione di costruire il Centro Mondiale Bahá’í in Terra Santa, infatti, è stata
presa da Bahá’u’lláh durante il suo esilio forzato nei territori dell’Impero
Ottomano, dove soggiornò dal 1868 fino alla sua morte, nel 1892. Le date
mostrano chiaramente che la localizzazione del Centro è avvenuta molto prima
della nascita dello Stato di Israele. Inoltre, la loro religione impone ai bahá’í di
effettuare almeno una volta nella vita un pellegrinaggio nei luoghi sacri, tra cui
appunto il Centro Mondiale e i luoghi dove è stato esiliato Bahá’u’lláh.
D’altronde, è proprio per finanziare il restauro e la manutenzione di questi luoghi
che i bahá’í spediscono fondi in Israele.
Infine, l’accusa rivolta ai bahá’í di essere agenti dell’imperialismo deriva
dal fatto che una delle più grandi comunità bahá’í all’estero si è sviluppata proprio
negli Stati Uniti e a Wilmette (Illinois) si trova una delle poche “case di
20
Cooper R., op.cit., p. 8
21
Communauté Internationale Bahá’íe, Iran. Un livre blanc cit, p.51
22
Ibidem
23
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
adorazione costruite nel mondo23”. Inoltre, già durante il regime dello Shah,
alcuni bahá’í riuscirono ad arricchirsi proprio grazie ad attività in qualche modo
legate agli Stati Uniti. Ad esempio, uno dei nomi più citati a testimonianza del
rapporto esistente tra questo paese e la comunità iraniana, è quello del “milionario
Habib Sabet, il primo a produrre Pepsi Cola in Iran24”. Ovviamente, questo non
può giustificare la persecuzione di un’intera comunità, ma ha sicuramente
contribuito ad indebolire la posizione dei bahá’í di fronte al regime di Khomeini:
è facile, infatti, immaginare il peso che queste accuse hanno assunto dopo la
vittoria della rivoluzione teocratica, fortemente anti-occidentale e soprattutto antiamericana.
Immoralità dei costumi
Come detto all’inizio, perché una vera persecuzione possa essere messa in
atto, è necessario un certo consenso da parte del popolo. Così ad esempio,
analizzando la situazione dei bahá’í in Iran, “non un iraniano, su 100 che negano
che i bahá’’i abbiano una loro religione, ha studiato i loro principi in maniera
approfondita o da fonti originali25”. Da sempre, infatti, ai bahá’í “è stato negato
l’uso di mezzi di comunicazione quali, ad esempio, radio, televisione, giornali,
distribuzione gratuita di libri o articoli, tanto che l’ambiente accademico ha per
lungo tempo ignorato l’esistenza della fede fondata nel loro stesso paese26”. La
censura di qualsiasi documento bahá’í, quindi, ha favorito una comprensione
parziale, e spesso erronea, degli insegnamenti bahá’í. Uno dei luoghi comuni più
diffuso tra la popolazione iraniana vede i membri della comunità bahá’í coinvolti
in atti di prostituzione, di adulterio e d’immoralità più in generale. In verità,
Bahá’u’lláh ha affermato la parità dei sessi, così che uomini e donne
amministrano insieme la comunità bahá’í e partecipano alle riunioni senza essere
separati. Il sospetto di adulterio o prostituzione, invece, riflette semplicemente il
divieto di riconoscere ufficialmente i matrimoni celebrati secondo i riti bahá’í.
Quest’accusa appare tanto più ingiustificata sapendo che, in realtà, “l’adulterio è
vietato da Bahá’u’lláh, il divorzio è sconsigliato e la castità pre-matrimoniale
23
Communauté Internationale Bahá’íe, Les Bahá’’ís en Iran op.cit., p.35
24
Nash G., op.cit., p.46
25
Cooper R., op.cit., p.7
26
Martin D., op.cit., p.11
24
Perché una tale repressione?
confermata, mentre il matrimonio è possibile solo se vi è il consenso e il permesso
dei genitori di entrambe le parti interessate27”.
Tutte queste imputazioni sono state generalmente utilizzate, durante i
sommari processi ad esponenti della comunità bahá’í, al fine di motivare il loro
arresto o la loro condanna a morte. Gli stessi rappresentanti della Repubblica
Islamica all’ONU hanno ripreso tali argomentazioni per rispondere alle critiche
internazionali riguardanti la violazione dei diritti umani in Iran. E’ comunque
evidente che la vera colpa dei bahá’í è quella di proporre una visione del mondo
in totale contrasto con quella islamica e tanto più inammissibile in un regime
teocratico, che non accetta alcuna deviazione da quella che è la Verità stabilita
dalla Guida Suprema. Come chiarisce Eltayeb, d’altronde, “fenomeni di
persecuzione religiosa sono strettamente legati alla natura esclusiva ed oppressiva
di uno stato teocratico”, che si fa promotore di un’interpretazione ortodossa della
religione. In un contesto del genere, “differenze teologiche possono essere
tollerate solo nella misura in cui esse non sono percepite come una minaccia per la
legittimità dello stato28”. In questo senso, l’instaurazione di un regime teocratico e
l’affermazione del ruolo dell’Ayatollah hanno ridotto le possibilità di
riconoscimento a favore di una religione percepita come concorrente dell’Islam.
27
Hatcher W.S., Martin J.D., op.cit., pp.199-201
28
Eltayeb M.S.M, op. cit., p.15-16
25
CAPITOLO TERZO
INTERVENTO INTERNAZIONALE
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
Quanto accadeva in Iran negli anni ’80, non poteva non essere notato dalla
comunità internazionale e, in particolare, dalle varie organizzazioni preposte alla
tutela dei diritti umani nel mondo. E’ così che, a partire dal 1981, risoluzioni da
parte di organismi internazionali e dichiarazioni, anche a titolo personale, da parte
di parlamentari ad esempio, hanno affrontato la questione della comunità bahá’í in
Iran. L’obiettivo era di denunciare gli atti di violenza e di repressione compiuti nei
confronti di questa minoranza religiosa. Ma di quali strumenti poteva servirsi la
comunità internazionale e come è intervenuta? E qual è stata la reazione della
Repubblica Islamica?
Dichiarazioni internazionali per il rispetto dei diritti umani
I principali strumenti internazionali per la protezione del diritto di
pensiero, coscienza, religione o credo sono la Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo1, il Patto Internazionale per i Diritti Civili e Politici2 e la
Dichiarazione dell’ONU sull’Eliminazione di tutte le Forme di Intolleranza e di
Discriminazione fondate sulla Religione o il Credo3. Quest’ultima è
particolarmente rilevante, sia perché è l’unica a trattare in maniera esclusiva il
problema della discriminazione religiosa, sia perché è stata adottata nel 1981,
proprio quando la Repubblica Islamica cominciava ad affermarsi calpestando i
diritti umani di milioni di oppositori politici e di infedeli. Attraverso questa
dichiarazione, la comunità internazionale mostrava come il tema dei diritti umani
e il rispetto della libertà di religione o credo fossero ancora di fondamentale
importanza. Gli articoli contenuti nella dichiarazione, riprendendo in parte quanto
già espresso nella Dichiarazione universale e nel Patto per i diritti civili e politi,
non derogano in nessun modo alle disposizioni adottate precedentemente (art.8)
Tenendo presente il testo della dichiarazione del 1981, la comunità internazionale
ha quindi mosso le proprie critiche circa la garanzia dei diritti umani in Iran.
1
Adottata il 10 dicembre 1948, non è uno strumento giuridico in senso stretto, in quanto non è
stata approvata sotto forma di trattato. L’Iran è uno dei paesi firmatari.
2
Adottato il 16 dicembre 1966, è entrato in vigore il 23 marzo 1976. L’Iran ha ratificato il patto il
24 giugno 1975, senza per questo aderire ai due protocolli opzionali relativi all’abolizione della
pena di morte e al diritto di appello per i singoli cittadini contro violazioni da parte dello Stato.
3
Adottata il 25 novembre 1981. Testo della dichiarazione in Appendice, p.49
28
Intervento internazionale
Confrontando i vari articoli con le vicende della comunità bahá’í, di cui
abbiamo trattato in maniera più approfondita nel primo capitolo, infatti, ne è
evidente la dissonanza. Così, ad esempio, l’art. 2 (I) afferma:
“Nessun
individuo
può
essere
soggetto
a
discriminazioni di sorta da parte di uno Stato,
un’istituzione, di un gruppo o di un qualsiasi
individuo sulla base della propria religione o del
proprio credo”.
Facendo riferimento non solo allo stato, ma anche ad istituzioni, gruppi di persone
e singoli individui, “questo articolo attribuisce la responsabilità di impedire la
violazione dei diritti umani sia ad attori pubblici che privati4”. Al contrario, in
Iran, i bahá’í sono stati più volte vittime di violenze da parte di privati cittadini,
spesso incitati dagli stessi mullah, indignati contro coloro che erano considerati
come eretici, infedeli e che come tali andavano puniti. A questo proposito, la
vicenda più nota è quella accaduta nel paesino di Núk, dove moglie e marito sono
stati aggrediti di notte da un gruppo di uomini mascherati, per essere poi bruciati
vivi nella loro stessa casa. Questo senza che nessun vicino osasse intervenire per
impedire una tale tragedia5. La legge iraniana, d’altronde, lascia impuniti gli atti
di violenza contro i bahá’í, poiché membri di “una setta ribelle (ferqeh-ye-zaleh6)”
e quindi privi di qualsiasi diritto di protezione o difesa. In questo modo, però, la
Repubblica Islamica violava un altro articolo della Dichiarazione, l’art.4 (I)
secondo il quale:
“Tutti gli Stati dovranno adottare misure efficaci
per
prevenire
ed
eliminare
qualsiasi
discriminazione fondata sulla religione o il credo,
nel riconoscimento, nell'esercizio e nel godimento
dei diritti umani e delle libertà fondamentali in
tutti i campi della vita civile, economica, politica,
sociale e culturale”.
Continuando il confronto, interessante è anche l’art.5 (I) :
4
Ghanea N., “The 1981 UN Declaration on the Elimination of All Forms of Intolerance and of
Discrimination Based on Religion or Belief: Some Observations”, in Ghanea N. (eds), The
Challenge of Religious Discrimination at the Dawn of the new Millenium, Leiden, Boston: Nijhoff,
2004, p.16
5
Sears W., The Bahá’’is in Iran: a cry from the heart, Oxford, George Ronald, 1982, pp.3-9
6
Afshari R., Human Rights in Iran: the abuse of Cultural Relativism, Philadelphia: University of
Pennsylvania, 2001, p.120
29
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
“I genitori o, all'occorrenza, i tutori legali di un
fanciullo hanno il diritto di organizzare la vita in
seno alla famiglia in conformità alla propria
religione o al loro credo e tenuto conto
dell'educazione morale secondo cui ritengono che
il fanciullo debba essere allevato”.
Nonostante le immancabili smentite da parte delle autorità iraniane, infatti, più
volte genitori bahá’í hanno denunciato la scomparsa delle loro figlie. Nella
maggior parte dei casi, queste ragazze venivano sottratte segretamente alle loro
famiglie e convertite forzatamente attraverso il matrimonio con uomini di
religione musulmana.
Ma è soprattutto l’art.6, definito da Nazila Ghanea come “l’articolo chiave
della Dichiarazione7”, a riassumere la divergenza tra gli standard fondamentali
riconosciuti a livello internazionale e l’atteggiamento della Repubblica Islamica.
L’art.6 riconosce, infatti:
a) La libertà di professare un culto e di tenere
riunioni connesse ad una religione o a un credo, e
di istituire e mantenere luoghi a tali fini;
b) La libertà di fondare e di mantenere
appropriate
istituzioni
di
tipo
caritativo
o
umanitario;
e) La libertà di sollecitare e di ricevere contributi
volontari, di natura finanziaria e di altro tipo, da
parte di privati e di istituzioni;
f) La libertà di formare, di nominare, di eleggere,
di designare per successione gli appropriati
leaders, in conformità ai bisogni e alle norme di
qualsiasi religione o credo;
g) La libertà di rispettare i giorni di riposo e di
celebrare le festività ed i riti di culto secondo i
precetti della propria religione o credo;
h) La libertà di istituire e di mantenere
comunicazioni con individui e comunità in materia
di religione o di credo, a livello nazionale ed
internazionale
7
Ghanea N., “The 1981 UN Declaration cit, p.22
30
Intervento internazionale
Alla luce di quanto già esposto nei capitoli precedenti, le libertà previste dall’art.6
sono state chiaramente negate ai bahá’í nell’Iran khomeiniano. Le loro riunioni
sono spesso state interrotte dall’irruzione di Guardie Rivoluzionarie, per poi
essere formalmente vietate; l’ospedale baháí ed altre istituzione caritative gestite
da questa comunità sono state confiscate; qualsiasi pubblicazione da parte dei
bahá’í è stata censurata; i membri delle Assemblee Spirituali Locali e Nazionali
sono stati più volte arrestati o condannati a morte e queste Assemblee sono state
poi definitivamente sciolte; le cerimonie e i matrimoni bahá’í non erano
riconosciuti; infine, ai bahá’í è stato spesso negato il passaporto, impedendone
l’allontanamento dall’Iran, mentre i finanziamenti a favore del Centro Mondiale
Bahá’í hanno motivato l’accusa contro i bahá’í di essere agenti del Sionismo,
crimine punibile con l’arresto e la condanna.
La Dichiarazione del 1981 presenta, sicuramente, anche molte lacune.
Come rilevato nel saggio di Nazila Ghanea, ad esempio, “non vi è un esplicito
riferimento ai diritti delle minoranze religiose o all’impatto negativo che possono
avere incitamenti all’intolleranza religiosa”. Inoltre, “non indica alcuna specifica
misura preventiva per combattere ogni forma di discriminazione su basi religiose,
né menziona la necessità di un’uguaglianza davanti la legge8”. Quest’ultimo punto
è centrale, studiando il caso Bahá’í, la cui repressione è giustificata proprio dal
loro non riconoscimento a livello costituzionale. Ad ogni modo, questo testo,
insieme alle altre dichiarazioni internazionali, costituisce una base importante per
la protezione dei diritti umani e, nel caso specifico, per la tutela della comunità
bahá’í in Iran.
Standard internazionali vs. principi islamici
Purtroppo, però, come spesso accade per le convenzioni e i trattati
internazionali, questi strumenti non sono riusciti ad imporre concretamente
obblighi e responsabilità alle parti contraenti. Questo è stato tanto meno possibile
in Iran, dove l’instaurazione di un regime teocratico ha sancito la superiorità della
legge islamica. Le varie dichiarazioni internazionali per i diritti umani, al
contrario, sono state percepite dal nuovo regime come l’espressione dei sistemi di
valore tipici delle società occidentali e, di conseguenza, come inadeguate al
mondo musulmano. Lo stesso Khomeini ha più volte affermato che “la libertà
8
Ghanea N., “The 1981 UN Declaration cit, p.26-27, 10
31
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
inneggiata dagli occidentali stava corrompendo le norme culturali islamiche e
diffondeva immoralità tra i giovani9”.
Ma non solo. Il Velayat-e-faqih ha contestato l’universalità stessa dei
diritti umani, cui contrapponeva l’idea di relativismo culturale, secondo la quale
“i diritti che uno stato garantisce ai propri cittadini dovrebbero essere stabiliti in
base alle tradizioni specifiche di quel paese10”. Con riferimento all’Iran, quindi,
difendere i valori dell’Islam diventava più importante della libertà di coscienza e
religione. Per le autorità islamiche, in un sistema che separava nettamente i
credenti dai non credenti, l’importante era garantire il rispetto della fede
musulmana e del Corano, anche se questo imponeva soprattutto dei doveri,
limitava i diritti e implicava la guerra agli infedeli.
Questa posizione è stata riaffermata, nel dicembre 1984, dall’ambasciatore
iraniano all’ONU, Said Rajaie-Khorassani11. Questi ha criticato la Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani e le Convenzioni ad essa correlate, “in quanto
strumenti derivati dal sistema giudeo-cristiano che, per questo, non potevano
essere applicati dai musulmani”. Egli ha poi sostenuto che “il suo paese, dovendo
scegliere tra la violazione della legge divina del paese e la violazione di
convenzioni laiche, non avrebbe esitato a violare le disposizioni della
Dichiarazione. Pur condannando la tortura, infatti, la Repubblica Islamica
dell’Iran credeva che le punizioni corporali e la pena di morte non potessero
essere considerate come forme di tortura, quando stabilite in base ai principi
dell’Islam da una sentenza della corte islamica12”.
Intervento delle organizzazioni internazionali e dei bahá’í all’estero
L’atteggiamento dell’Iran nei confronti degli standard riconosciuti a livello
internazionale, tuttavia, non ha scoraggiato molti rappresentanti stranieri ad
intervenire, individualmente o in nome dell’organizzazione per la quale
lavoravano, in favore dei bahá’í.
9
Afshari R, op.cit., p.4
10
Ibidem, p.3
11
Intervento durante il 65° incontro della 39° Assemblea Generale dell’ONU – 7 dicembre 1984.
12
Ezzatollah D., Stranger in their Native Land: the Situation of the Bahá’í Community of Iran
since 1978, Uppsala, Sweden, Bahá’í Förlaget, 1987, pp. 101-102
32
Intervento internazionale
Nei primi anni della Repubblica Islamica, i bahá’í, considerati come
“persone dall’opinione corrotta – aqideh-ye-mofsed13” – e non potendo, perciò,
beneficiare della protezione di tribunali nazionali, hanno cercato di migliorare la
loro situazione indirizzando vari appelli al governo. Essi chiedevano, soprattutto,
una maggiore tolleranza nei confronti delle minoranze religiose presenti nel paese.
Questi appelli sono rimasti per lo più inascoltati, spingendo così le comunità
bahá’í di altri paesi a rivolgersi ad organizzazioni internazionali. Fin dal 1948, la
comunità bahá’í internazionale è presente all’ONU14 attraverso un proprio organo
consultativo. I suoi delegati hanno potuto, così, denunciare il pericolo in cui si
trovavano i correligionari iraniani. A questo scopo, sono stati pubblicati e
presentati diversi rapporti relativi sia a casi specifici di violenza contro singoli
bahá’í in Iran, sia a questioni più generali come l’omissione della minoranza
bahá’í dalla costituzione della Repubblica Islamica. La comunità bahá’í all’ONU,
inoltre, ha potuto esprimere apertamente le rivendicazioni fatte dai bahá’í dell’Iran
alle autorità del loro paese. Tra queste richieste emergono, in particolare, “il
riconoscimento a livello costituzionale dei bahá’í come cittadini iraniani a pieno
titolo, con gli stessi diritti e gli stessi doveri degli altri cittadini; il diritto ad una
giusta protezione e le garanzie giudiziarie fondamentali; il riconoscimento del
matrimonio bahá’í; la fine di misure amministrative discriminatorie nei loro
confronti; la libertà di coscienza e di culto; il diritto di insegnare i principi etici
bahá’í ai propri figli e, infine, la restituzione dei beni confiscati alla comunità
bahá’í15”.
La prima istituzione internazionale ad intervenire sulla questione bahá’í è
stata la Sottocommissione dell’ONU per la lotta contro le misure discriminatorie
e per la protezione delle minoranze, organo legato alla Commissione per i Diritti
Umani. Nella risoluzione del 10 settembre 198016, la sotto-commissione
“esprimeva la sua profonda inquietudine per la sicurezza dei membri della
13
Assemblée Spirituelle Nationale des Bahá’ís de France, Iran. Persécution des Bahá’ís. Un livre
blanc, Paris, ASN des Bahá’ís de France, 1982, p.63
14
La CBI è presente al Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) e presso il
Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF). E’ associata al Programma delle Nazioni
Unite per l’ambiente (UNEP) e al servizio di informazione dell’ONU. Ha dei rappresentanti presso
i seggi dell’ONU a New York, Ginevra, Vienna e Nairobi.
Communauté Internationale Bahá’íe, Les Bahá’’ís en Iran. Un rapport sur la persécution d’une
minorité religieuse, Assemblée Spirituelle Nationale Bahá’’ie de Suisse, juin 1981, p.36
15
16
Assemblée Spirituelle Nationale des Bahá’ís de France, Un livre blanc cit., pp.63-64
Testo della risoluzione in Appendice, p.53
33
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
comunità bahá’í in Iran e pregava il governo iraniano di proteggere i diritti
fondamentali e la libertà di questa minoranza religiosa17”. Per la prima volta, un
organismo internazionale affermava che la persecuzione della comunità bahá’í in
Iran era legata a motivi di intolleranza religiosa. La sotto-commissione, inoltre, ha
designato degli ispettori internazionali con il preciso incarico di verificare e tenere
sotto controllo la situazione di quei gruppi etnici o religiosi maggiormente a
rischio di violazioni in particolari paesi. I rapporti presentati alla commissione in
seguito ai vari accertamenti sono stati molto importanti per l’intervento a favore
dei bahá’í in Iran18. Proprio a questo proposito, Afshari ha precisato le difficoltà
che gli ispettori internazionali dell’ONU hanno dovuto affrontare nel raccogliere
le informazioni relative ai bahá’í. Le autorità iraniane, infatti, ad ogni livello,
hanno sempre mostrato una certa reticenza a collaborare, subordinando ogni tipo
di cooperazione ad una precisa condizione: “la comunità bahá’í non doveva essere
definita dall’ONU come una minoranza religiosa19”. Gli ispettori internazionali
non potevano, ovviamente, accettare un tale compromesso. Inoltre, l’aggressivo
appello al relativismo culturale di Khomeini ha avuto un certo impatto sul
discorso e la pratica relativi ai diritti umani, soprattutto nei primi anni ’80. “Gli
ispettori internazionali sembravano aver accettato l’immagine di milioni di
musulmani favorevoli allo Stato islamico. L’intervento della comunità
internazionale non avrebbe, quindi, potuto diminuire l’oppressione subita da una
minoranza di non conformisti, obbligata a rispettare i valori religiosi della
maggioranza e ad accettare restrizioni nella vita privata e pubblica20”. Questo
spiega il carattere piuttosto vago delle prime risoluzioni dell’ONU contro il
regime iraniano. In ogni caso, l’intervento della sotto-commissione ha portato
sull’agenda internazionale la questione bahá’í, di cui ha continuato ad occuparsi
anche nelle successive sessioni annuali. Di fronte al deterioramento della
situazione iraniana relativamente al rispetto dei diritti e delle libertà delle
minoranza religiose, la commissione ha espresso ripetutamente la propria
17
Assemblée Spirituelle Nationale des Bahá’ís de France, Un livre blanc cit., p.20
18
Durante il regime di Khomeini, rappresentanti speciali della commissione per la situazione dei
diritti umani in Iran sono stati: Andrés Aguilar (Venezuela) dal 1984 al 1986 e Reynaldo Galindo
Pohl ( El Salvador). Dal 1986, hamantenuto il suo incarico fino al 1995.
19
Afshari R., op.cit, p.156.158
20
Ibidem, p.83-84
34
Intervento internazionale
preoccupazione, favorendo così l’intervento di altre organizzazioni e istituzioni, in
particolare a favore della causa della comunità bahá’í.
Il 19 settembre del 1980, il Parlamento Europeo adottava, all’unanimità,
una risoluzione21, nella quale chiedeva al governo iraniano di riconoscere
ufficialmente la comunità bahá’í e ne condannava la persecuzione. A questa, sono
seguite numerose altre risoluzioni: alcune facevano riferimento a casi particolari
di condanna a morte o arresto arbitrario di membri della comunità bahá’í in Iran,
di cui si chiedeva il rilascio; altre rinnegavano chiaramente le giustificazioni
presentate dal governo iraniano, come ad esempio quella secondo cui i bahá’í
fanno parte di un partito politico.
Sempre in Europa, anche l’Assemblea parlamentare del Consiglio
d’Europa ha espresso la propria preoccupazione attraverso, ad esempio, la
risoluzione22del 29 settembre 1980 in cui invitava il Comitato dei Ministri dei 21
paesi membri a rivolgersi urgentemente alle autorità iraniane, perché ponessero
fine alla persecuzione.
Infine, anche singoli paesi hanno frequentemente lanciato appelli in favore
dei bahá’í dell’Iran. In particolare, il Parlamento olandese, tedesco, svizzero e
canadese, il Senato australiano23.
Risposta del governo iraniano
Questa serie di richiami ha costretto il governo iraniano a rispondere delle
accuse fatte dagli altri paesi. La posizione principale, ovviamente, è stata quella di
negare qualsiasi atto di persecuzione. Così, ad esempio, il Chargé d’Affairs
iraniano Alireza Farrokhrouz, in una lettera24 indirizzata ad un parlamentare
inglese in data 22 giugno 1981, scriveva che “la fede bahá’í, in realtà, non è una
religione, ma un’ideologia creata dalle potenze coloniali con l’obiettivo di aiutare
il precedente governo illegittimo dell’Iran e di infangare l’Islam”. La lettera
veniva conclusa con la richiesta di “apprezzare la giustizia che la Repubblica
Islamica dell’Iran stava mettendo in atto, secondo i principi sanciti dal Corano,
21
Testo della risoluzione adottata dal PE in appendice, p54
22
Testo della risoluzione adottata dal Consiglio d’Europa in Appendice, p.56
23
Parte della risoluzione adottata dal Parlamento tedesco il 21 giugno 1981 in appendice, p.57
24
Testo della lettera in Appendice al capitolo 3, p.58
35
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
per combattere l’ingiustizia25”. Similmente, il 22 settembre 1981, l’Ayatollah
Mandavi Kani, membro della commissione iraniana all’ONU, Ginevra, ha
affermato che “i soli baháí ad essere arrestati e condannati erano quelli coinvolti
in attività di spionaggio e in azioni contrarie ai più alti interessi della Repubblica
Islamica dell’Iran26”.
Per chiarire la posizione dell’Iran nei confronti dei bahá’í, la delegazione
iraniana all’ONU ha pubblicato diversi documenti, tra cui, ad esempio, “Bahá’ism
– its origin and its role27”. Questa pubblicazione intendeva dimostrare come i
bahá’í fossero, in realtà, agenti al servizio di Israele e degli Stati Uniti, dei
collaboratori dello Shah e oppositori del nuovo regime, riprendendo in pratica le
accuse che abbiamo già presentato nel secondo capitolo. Proprio in conformità a
queste dichiarazioni, la delegazione iraniana ha accusato la Comunità Bahá’í
Internazionale presso la Commissione per i Diritti Umani, “di esistere con il solo
obiettivo di portare avanti una campagna contro l’Iran28”. Analogamente,
“l’intervento degli Stati Uniti e dei paesi europei non era motivato da interessi
umanitari, ma era parte di una campagna contro il governo iraniano29”.
Nel corso degli anni, l’Ayatollah Khomeini ha mantenuto ferma la sua
posizione nei confronti della comunità bahá’í. D’altronde, la natura teocratica del
regime e il profondo radicamento nella società iraniana di pregiudizi nei confronti
della fede bahá’í, lasciavano poche possibilità di cambiamenti radicali. Non per
questo, però, si può concludere che i numerosi interventi della comunità
internazionale e le pressioni fatte al governo iraniano siano stati vani. In un
mondo sempre più interdipendente, infatti, neanche la Repubblica Islamica poteva
restare completamente isolata e indifferente ai giudizi delle potenze straniere e di
possibili partners. Così ad esempio, la pubblicità che per anni aveva
25
Nash G., Iran’s Secret Pogrom, Suffolk, Neville Spearman, 1982, p.118-119
26
Cooper R., The Bahá’ís of Iran. The Minority Rights Group Report N°51, London: the minority
rights group, 1985, p.12
27
E’ stato distribuito alle 36° sessione della Sotto-commissione dell’ONU per la lotta contro le
misure discriminatorie e per la protezione delle minoranze, tenutasi nell’agosto 1983 a Ginevra.
Cooper R., op.cit., p.13
28
Intervento alla 39° sessione della Commissione per i diritti umani, 23 febbraio 1983
Ghanea N., Human rights, the UN and the Bahá'ís in Iran, Oxford: George Ronald; The Hague:
Kluwer, 2003, p.111
29
Intervento durante la 40° sessione della Commissione per i diritti umani, 22 marzo 1984
Ibidem, p.114
36
Intervento internazionale
accompagnato
l’esecuzione
di
membri
della
comunità
bahá’í
venne
progressivamente eliminata e il numero di condanne a morte e di arresti per
motivi religiosi venne ridotto. Nel 1988, il rappresentante speciale della
Commissione Galindo Pohl scriveva nel suo rapporto annuale: “Anche se, all’ora
attuale, 152 bahá’í restano ancora in prigione a causa della loro fede, l’intensità
della campagna contro i membri di questa comunità è stata ridotta nella prima
metà di questo anno30”, mostrandosi in qualche modo ottimista rispetto al futuro.
30
Ibidem., p.124
37
CONCLUSIONE
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
L’avvento della Repubblica Islamica ha accentuato l’odio e la repressione
nei confronti della comunità bahá’í, da sempre oggetto di discriminazioni e
violenze all’interno dell’Iran. Nonostante gli appelli in difesa di questa comunità
da parte della comunità internazionale e i controlli cui il paese è stato sottoposto
da parte della Commissione ONU per i diritti umani, l’Iran ha continuato a negare
i diritti di questa comunità e ribadito le proprie accuse nei suoi confronti.
Tuttavia, come abbiamo visto, alla fine degli anni ’80, il Rappresentante
Speciale dell’ONU si mostrava ottimista rispetto ad un possibile miglioramento
della situazione dei bahá’í. La morte di Khomeini, inoltre, ha ulteriormente
alimentato le speranze in favore della protezione dei diritti umani. Particolarmente
incoraggiante sembrava, infatti, l’elezione del presidente Alí Akbar Hachemi
Rafsanjani, considerato dai paesi occidentali come un moderato. In questo senso,
la riforma costituzionale approvata nel 1989, poco dopo la morte del Velayat-efaqih, sembrava promettere progressi in materia di diritti umani nel paese. In
realtà, se da un lato sono stati adottati dei cambiamenti istituzionali tali da
semplificare alcune delle procedure decisionali, non vi sono state modifiche
relative al riconoscimento delle minoranze religiose. In ogni caso, l’Iran ha
cercato di migliorare la propria immagine a livello internazionale: “ha partecipato,
ad esempio, alla Conferenza mondiale sui diritti umani che si è tenuta a Vienna
nel 1993; è stato creato il Comitato per i diritti umani in seno al majlis
(parlamento), la Commissione per i diritti umani islamici e il Dipartimento per i
diritti umani presso il Ministero degli affari esteri1”. Ciò nonostante, la situazione
della comunità bahá’í non è migliorata e, anzi, nel 1993 è stato scoperta una
circolare segreta emanata dal Consiglio Culturale Rivoluzionario nel l991, nella
quale veniva presentato un piano per bloccare lo sviluppo della comunità bahá’í e
“ridurre i suoi membri ad una condizione tale da scoraggiarne la volontà a restare
dei bahá’í”2.
Allo stesso modo, la fiducia riposta nel presidente Seyed Mohammad
Khatami, eletto nel maggio del 1997, è caduta per lo più nel vuoto. Solo per fare
1
Ghanea N., Human rights, the UN and the Bahá'ís in Iran, Oxford: George Ronald; The Hague:
Kluwer, 2003, pp.125-126
2
A questo piano la Communauté Internationale Bahá’íe ha dedicato Le plan secret de l’Iran pour
l’extermination d’une communauté religieuse, New York, Communauté Internationale Bahá’íe,
2000
40
Conclusione
qualche esempio, nel 1998 è stato chiuso l’Istituto Bahá’í per l’Istruzione
Superiore, un’università basata su corsi per corrispondenza al fine di permettere
agli studenti di religione bahá’í, cui era negato l’acceso alle università pubbliche,
di continuare i loro studi. Quindi, nonostante qualche cambiamento positivo sia
stato effettivamente realizzato, come l’eliminazione dell’obbligo di specificare la
propria religione durante la registrazione di matrimoni, nascite, divorzi e decessi,
in generale i bahá’í hanno continuato a vivere nella precarietà e nell’insicurezza.
Possiamo chiederci, a questo punto, se la comunità internazionale sia
allora davvero in grado di imporre il rispetto degli strumenti di cui dispone per la
protezione dei diritti umani. Come argomentato anche nel terzo capitolo,
sicuramente le pressioni internazionali sull’Iran hanno posto un qualche freno alla
sistematicità con cui erano perseguitati i bahá’í. Questa capacità d’influenza
avrebbe dovuto essere ancora più efficace con i governi successivi di Rafsanjani e
Khatami, vista, tra l’altro, la loro maggiore apertura nei confronti dell’occidente.
Da un lato, infatti un giudizio critico da parte della comunità internazionale può
costituire un deterrente alla violazione dei diritti umani da parte di uno stato.
Dall’altro, tuttavia, come nota Nazila Ghanea, “gli strumenti di cui essa dispone
restano ancora troppo legati agli interessi politici dei vari paesi, tanto che, per
esempio, il controllo sull’Iran da parte della Commissione per i diritti umani è
stato sospeso nell’aprile del 2002, probabilmente per la disponibilità prooccidentale e l’apertura al liberalismo del nuovo presidente3”, anche se, in realtà,
le violazioni nei confronti dei bahá’í erano ancora frequenti
Per concludere, è evidente che la strada che l’Iran deve percorrere verso il
definitivo rispetto dei diritti umani, in generale, e della comunità bahá’í, più in
particolare, è ancora lunga. Una soluzione potrà essere garantita soltanto
attraverso il riconoscimento costituzionale di questa religione. Ad ogni modo, per
raggiungere una tale meta, è necessario sia la ferma volontà delle autorità
politiche, sia il superamento dei pregiudizi sociali e culturali radicati nella società
iraniana. Per quanto riguarda questa seconda condizione, possiamo sperare nelle
nuove generazioni, più aperte e disponibili ad accettare la diversità. Tuttavia,
l’importanza della prima condizione è fondamentale e a questo proposito,
3
Ghanea N., Human rights, op.cit., p.145-146
41
La persecuzione della comunità bahá’í nell’Iran khomeiniano
l’elezione presidenziale avvenuta nella scorsa primavera dell’ultra ortodosso
Mahmoud Ahmadinejad, sembra rannuvolare il quadro. Ancora una volta, il
futuro della comunità bahá’í dipenderà dall’effetto che fattori economici, culturali,
politici, interni e internazionali, avranno sul governo iraniano.
42
APPENDICE
QUALCHE ACCENO SULLA RELIGIONE BAHA’I
Nata nella metà del XIX secolo in Iran, la fede bahá’í rappresenta la più
recente delle religioni mondiali indipendenti. Oggi, questa comunità conta più di
5.000.000 membri, residenti in tutto il mondo.
Precursore di questa dottrina è stato Syyid Alí Muhammad (1819-1850), il
quale, nel 1844, annunciò di essere il promesso atteso, il Báb (porta). Egli fondò
la religione Babí, basata su una riforma spirituale e morale della società persiana,
sul miglioramento della condizione delle donne e dei poveri, sull’istruzione.
Considerato come eretico dal clero sciita, venne condannato a morte nel 1850.
Il Báb aveva annunciato la venuta imminente di una nuova manifestazione
di Dio. Nel 1863, uno dei suoi discepoli, Mírzáí Husayn ‘Alí (1817-1892),
conosciuto come Bahá’u’lláh (Gloria di Dio) rivelò di essere il messaggero
proclamato dal Báb. Arrestato e poi definitivamente mandato in esilio dalle
autorità iraniane, egli arrivò nel 1868 ad Akko, in Palestina, dove resterà fino alla
morte. Da qui, Bahá’u’lláh si è più volte rivolto ai dirigenti della sua epoca,
proclamando l’unificazione dell’umanità, lo sviluppo di una civilizzazione
mondiale, la necessità della pace universale.
Dopo la morte di Bahá’u’lláh, l’amministrazione della comunità bahá’í
passò nelle mani del figlio maggiore ‘Abbas (1844-1921), che egli chiamava
‘Abdu’l-Bahá (servitore di Bahá). Questi era considerato come il solo interprete
degli insegnamenti bahá’í e, soprattutto, come il Centro dell’Alleanza. ‘Abdu’lBahá ha contribuito, in particolare, alla diffusione della fede bahá’í su scala
mondiale e alla creazione delle istituzioni amministrative della comunità.
L’ultima figura importante per i bahá’í è stato Shoghi Effendi Rabbani
(1897-1957), nipote di ‘Abdu’l-Bahá e Guardiano della fede. Sotto la sua
direzione, è stato costruito il centro mondiale bahá’í; sono stati tradotti e
interpretati i vari scritti bahá’í; è stato ampliato il sistema amministrativo.
I bahá’í credono dell’unicità di Dio e nell’unità delle religioni e
dell’umanità. Tra gli insegnamenti più importanti, possiamo ricordare, ad
esempio: l’eliminazione di ogni forma di pregiudizio e superstizione; la parità dei
sessi; l’istruzione obbligatoria per tutti.
44
Tratto da « Les Bahá’’ís en Iran. Un rapport sur la persécution d’une minorité
religieuse », Communauté Internationale Bahá’íe, Assemblée Spirituelle
Nationale Bahá’’ie de Suisse, juin 1981.
Articolo pubblicato nel giornale Djomhouri è Eslami n°520 dell’11 djamadiulaval 1401
(18 marzo 1981) p.4.
Questo articolo riporta il verdetto della Corte Islamica rivoluzionaria di Chiraz, che
condanna due bahá’í per le loro attività religiose. Il verdetto accusa i due bahá’í di
collaborazione con la SAVAK e con il sionismo, di aver insegnato la loro religione a dei
musulmani.
CONFORMEMENT AUX ORDRES DU TRIBUNAL REVOLUTIONNAIRE DE
CHIRAZ, DUEX PERSONNES ACCUSEES DE COLLABORER AVEC LE
SIONISME MONDIAL SONT ARRETEES.
Faisant suite aux résultats du jugement de deux individus qui étaient qui étaient en
relations avec le sionisme mondial, le tribunal révolutionnaire islamique de Chiraz a
publié le communiqué de presse suivant :
« Le tribunal révolutionnaire islamique de Chiraz a examiné les chefs d’accusations
concernant deux individus nommés Mihdi Anvari Nafti, fils de Masim, et Hidayatullah
Dihqani, fils de Nasrullah, originaire d’Abadeh, résident à Chiraz. Après quelques jours
de débats, le tribunal a rendu le verdict nécessaire, comme suit :
Le premier accusé était membre du corps consultatif national bahá’í (Shoraye Melli
Bahaian). De même que son père, il faisait partie des poètes et parasites de la cour du feu
chah et de son père maudit. Il avait également collaboré avec la SAVAK et s’ingéniait
activement à créer la discorde et la désunion parmi les musulmans. Il était en contact avec
la Baitulmal, à Haifa, le centre de l’espionnage sioniste en Israël, auquel il avait versé des
contributions en espèces et dont il avait reçu des remerciements par écrit. Il avait
également été en rapport avec des conspirateurs lors des récentes tentatives de coups
d’état, avait en outre collaboré étroitement avec le colonel Vahdat, l’un des plus fameux
espions sionistes, et commis de nombreux autres crimes.
Le second accusé, un membre très actif de l’assemblée bahá’íe d’Abadeh, collaborait de
façon soutenue avec le colonel Vahdat, et s’efforçait de son mieux à convertir des
musulmans pour en faire des bahá’ís (Bahai Kardan), de même qu’à corrompre les
personnes ignorantes, surtout les paysans. Il soumettait à une pression intensive les
sectateurs bahá’ís qui avaient été remis sur le droit chemin et étaient devenus des
45
musulmans. D’après la documentation actuelle et ses propres aveux, il a pris contact avec
250 chefs de village, kalantars et chefs de tribus de la province de Fars, et il a été félicité
pour ces actions par l’assemblée des bahá’ís. Il a également enregistré des conversations
téléphoniques du gouvernement et autres, et commis nombre d’autres crimes.
En conséquences, ces deux individus – à la fois corrompus et corrupteurs, adversaires de
Dieu, de son prophète et de l’Imam du jour promis (que Dieu nous vienne en aide et
ouvre bientôt les portes !) et accusés de collaboration avec le sionisme mondial – on été
reconnus coupables et condamnés à mort. Une fois approuvé par la cour suprême, le
verdict a été mis en exécution dimanche à 18 heures.
Signé par le tribunal révolutionnaire islamique de Chiraz »
46
Tratto da « Les Bahá’’ís en Iran. Un rapport sur la persécution d’une minorité
religieuse », Communauté Internationale Bahá’íe, Assemblée Spirituelle
Nationale Bahá’’ie de Suisse, juin 1981.
Lettera del ministro dell’Istruzione, Mohammad ‘Ali Rajá’í, in cui viene domandata
l’espulsione dei bahá’í dal corpo insegnante al fine di evitare che essi “devino lo spirito e
il pensiero d’innocenti studenti”. Questa lettera ricorda che “l’impiego di iraniani che non
professano una delle religioni riconosciute (musulmani, ebrei, cristiani e zoroastri)
all’interno dell’amministrazione governativa è contro la legge”.
Circulaire du cabinet du ministre de l’éducation.
En application du décret N°14973/2 en date du 1er Tir 1358 et du fait que vous
n’appartenez pas à l’une des religions officiellement reconnues du pays, vous êtes donc
renvoyés du ministère de l’éducation. Pour votre gouverne,
Le ministère de l’éducation, dont l’existence est uniquement due à la justice de la
République islamique d’Iran, ainsi qu’au sang et au martyre de milliers de musulmans,
hommes et femmes, ne saurait tolérer que, comme sous l’ancien régime, les bahá’ís
puissent participer effectivement aux activités d’enseignement dans le pays. Si vous vous
rappelez combien de milliers d’hommes et de femmes fidèles à la direction spirituelle des
théologiens musulmans ont souffert en exil et ont finalement goûté à la coupe du martyre,
vous devrez justement en conclure que le seuil sacré de l’éducation ne devrait pas être
abandonné à des individus de votre sorte, qui sont hostiles aux intérêts vitaux de l’Islam
et répandent des idées fausses.
En conclusion, je tiens à vous rappeler qu’il est illégal d’employer dans des
bureaux gouvernementaux des iraniens qui n’appartiennent pas aux religions légalement
reconnues, comme le sont les musulmans, juifs, chrétiens et zoroastriens.
Par conséquent, votre renvoi selon les termes des lois en vigueur n’est qu’une
peine mineure. Sans aucun doute, la peine majeure retombera sur les personnes qui vous
ont employé et qui seront jugées incessamment par le tribunal révolutionnaire islamique.
Les paiements qui vous ont été précédemment versés à titre de salaire, à l’encontre de la
loi, sont actuellement à l’étude et les résultats de cette enquête vous seront annoncés par
la suite.
Signé :
Muhammad ‘Alí Rajá’í∗, administrateur du ministère de l’éducation
de la République islamique d’Iran.
∗
devenu depuis Premier ministre d’Iran
47
Tratto da « Les Bahá’’ís en Iran. Un rapport sur la persécution d’une minorité
religieuse », Communauté Internationale Bahá’íe, Assemblée Spirituelle
Nationale Bahá’’ie de Suisse, juin 1981.
« Questo documento, pubblicato il 9 giugno 1980 in Mujahid, un quotidiano
iraniano, indica chiaramente che la società per la propaganda dell’Islam
(Tablighat-i-Islami) è stata aiutata dalla SAVAK – la polizia segreta dello Shah –
nelle sue attività anti-bahá’í. Questa società ha il primato per quanto riguarda le
attività organizzate contro i bahá’í ormai da parecchi anni e la maggior parte delle
difficoltà, di cui soffrono attualmente i bahá’í dell’Iran, provengono direttamente
dalle azioni intraprese da questo gruppo.
Destinatario: Direttore della SAVAK
Emittente: Il terzo bureau 341
N°341/1950
Data: 27.8.1351 A.H. (novembre 1972)
(SEGRETO)
Oggetto: Anjuman-i-Tablighat-i-Islami
Il
capo
dell’Anjuman-i-Tablighat-i-Islami
nella capitale richiede l’aiuto della SAVAK in
modo da poter attaccare i bahá’í in maniera
sistematica. Le trasmettiamo la domanda della
società sopra menzionata e la preghiamo di
mettersi in contatto con tutti gli agenti di
questa società nella regione, facendo loro
comprendere che le attività a questo proposito
non devono essere la causa di provocazione e
di problemi.
Firma:
Muqaddam,
per il direttore generale del Terzo Bureau »
48
DICHIARAZIONE SULL'ELIMINAZIONE DI TUTTE LE FORME
D'INTOLLERANZA E DI DISCRIMINAZIONE FONDATE SULLA
RELIGIONE O IL CREDO
L 'Assemblea generale,
Considerato che uno dei principi fondamentali dello Statuto delle Nazioni Unite è
quello della dignità e dell'uguaglianza inerenti a tutti gli esseri umani e che tutti gli
Stati membri si sono impegnati ad agire, sia congiuntamente che separatamente, in
collaborazione con l'Organizzazione delle Nazioni Unite, al fine di promuovere e di
incoraggiare il rispetto universale ed effettivo dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali per tutti, senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione,
Considerato che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ed i Patti
Internazionali relativi ai Diritti Umani proclamano i principi di non discriminazione
e di uguaglianza di fronte alla legge e il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza,
di religione o di credo;
Considerato che l’inosservanza e la violazione dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, in particolare del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza, di
religione o di credo, sono stati direttamente o indirettamente all'origine di guerre e di
grandi sofferenze inflitte all'umanità, in special modo qualora siano serviti come
mezzo d'ingerenza esterna negli affari interni di altri stati e per attizzare l'odio tra i
popoli e le nazioni;
Considerato che la religione o il credo costituiscono per colui che li professi, uno
degli elementi fondamentali della sua concezione della vita e che la libertà di
religione o di credo debbono essere integralmente rispettati e garantiti,
Considerato che è essenziale contribuire alla comprensione, alla tolleranza e al
rispetto per quanto concerne la libertà di religione o di credo ed assicurarsi che risulti
inammissibile l'utilizzo della religione o del credo a fini incompatibili conio Statuto
delle Nazioni Unite, gli altri strumenti pertinenti dell'Organizzazione delle Nazioni
Unite ed i fini ed i principi della presente Dichiarazione:
Convinta che la libertà di religione o di credo dovrebbe altresì contribuire alla
realizzazione degli obiettivi di pace mondiale, di giustizia sociale e di amicizia tra i
popoli e all'eliminazione delle ideologie o delle pratiche del colonialismo e della
discriminazione razziale;
Preso nota con soddisfazione dell'adozione. sotto gli auspici dell'Organizzazione
delle Nazioni Unite delle agenzie specializzate, di varie convenzioni, tese ad
eliminare diverse forme di discriminazione, e dell'entrata in vigore di alcune di esse;
Preoccupata per le manifestazioni di intolleranza e per l'esistenza di pratiche
discriminatorie in materia di religione o di credo che si riscontrano ancora in certe
parti del mondo;
Decisa ad adottare ogni misura necessaria per eliminare rapidamente ogni forma e
manifestazione di questa intolleranza e a prevenire e combattere qualsiasi
discriminazione fondata sulla religione o il credo;
Proclama la presente Dichiarazione sull'eliminazione di tutte le forme di intolleranza
e di discriminazione fondate sulla religione o il credo,
49
Articolo 1
1) Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
Questo diritto include la libertà di professare una religione o qualunque altro credo di
propria scelta, nonché la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo,
sia a livello individuale che in comune con altri, sia in pubblico che in privato, per
mezzo del culto e dell'osservanza di riti, della pratica e dell'insegnamento.
2) Nessun individuo sarà soggetto a coercizioni di sorta che pregiudichino la sua
libertà di professare una religione o un credo di propria scelta.
3) La libertà di professare la propria religione o il proprio credo potrà essere soggetta
alle sole limitazioni prescritte dalla legge e che risultino necessarie alla tutela della
sicurezza pubblica, dell'ordine pubblico e della sanità pubblica o della morale o delle
libertà e dei diritti fondamentali altrui.
Articolo 2
1) Nessun individuo può essere soggetto a discriminazioni di sorta da parte di uno
Stato, un’istituzione, di un gruppo o di un qualsiasi individuo sulla base della propria
religione o del proprio credo.
2) Ai fini della presente Dichiarazione, l'espressione "intolleranza e discriminazione
fondate sulla religione o il credo" sta a significare ogni forma di distinzione, di
esclusione, di restrizione o di preferenza basate sulla religione o il credo, avente per
scopo o per effetto la soppressione la limitazione del riconoscimento, del godimento
o dell'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali su una base di
eguaglianza.
Articolo 3
La discriminazione tra gli esseri umani per motivi di religione o di credo costituisce
un affronto alla dignità umana ed un disconoscimento dei principi dello Statuto delle
Nazioni Unite, e dovrà essere condannata in quanto violazione dei diritti umani e
delle libertà fondamentali proclamati nella Dichiarazione Universale dei Diritti
Umani ed enunciati in dettaglio nei Patti Internazionali relativi ai Diritti Umani, e
viene altresì condannata come un ostacolo alle relazioni amichevoli e pacifiche tra le
nazioni.
Articolo 4
1) Tutti gli Stati dovranno adottare misure efficaci per prevenire ed eliminare
qualsiasi discriminazione fondata sulla religione o il credo, nel riconoscimento,
nell'esercizio e nel godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali in tutti i
campi della vita civile, economica, politica, sociale e culturale.
2) Tutti gli Stati si sforzeranno di adottare misure legislative o di revocare,
all'occorrenza, quelle che sono in vigore, al fine di proibire ogni forma di
discriminazione, di questo tipo, e di adottare ogni misura appropriata per combattere
l'intolleranza fondata sulla religione o il credo.
Articolo 5
1) I genitori o, all'occorrenza, i tutori legali di un fanciullo hanno il diritto di
organizzare la vita in seno alla famiglia in conformità alla propria religione o al loro
50
credo e tenuto conto dell'educazione morale secondo cui ritengono che il fanciullo
debba essere allevato.
2) Ogni fanciullo dovrà godere del diritto di ricevere un'educazione in materia di
religione o di credo secondo i desideri dei genitori o, all'occorrenza, dei suoi tutori
legali, e non dovrà essere costretto a ricevere un'educazione religiosa contraria ai
desideri dei suoi genitori e dei suoi tutori legali, sulla base del principio ispirativo
dell'interesse del fanciullo.
3) Il fanciullo dovrà essere protetto contro ogni forma di discriminazione fondata
sulla religione o il credo. Egli dovrà essere allevato in uno spirito di comprensione,
di tolleranza, di amicizia tra i popoli, di pace e di fraternità universale, di rispetto
della religione o del credo altrui e nella piena consapevolezza che la sua energia ed i
suoi talenti debbono essere dedicati al servizio dei propri simili.
4) Qualora un fanciullo non si trovi né sotto la tutela dei genitori, né sotto quella di
tutori legali, i desideri espressi da questi ultimi, o qualunque testimonianza raccolta
sui loro desideri in materia di religione o di credo, saranno tenuti in debita
considerazione, sulla base del principio ispirativo dell'interesse del fanciullo.
5) Le pratiche di una religione o di un credo in cui è allevato un fanciullo non
devono recare danno alla sua salute fisica o mentale e al suo completo sviluppo,
tenuto conto del paragrafo 3 dell’articolo 1 della presente Dichiarazione.
Articolo 6
In conformità all'articolo 1 della presente Dichiarazione e previa riserva delle
disposizioni del paragrafo 3 del suddetto articolo, il diritto alla libertà di pensiero, di
coscienza, di religione, di credo include, tra l'altro, le libertà seguenti:
a) La libertà di professare un culto e di tenere riunioni connesse ad una religione o a
un credo, e di istituire e mantenere luoghi a tali fini;
b) La libertà di fondare e di mantenere appropriate istituzioni di tipo caritativo o
umanitario;
c) La libertà di produrre, acquistare ed usare, in misura adeguata, gli oggetti
necessari ed i materiali relativi ai riti e alle tradizioni di una religione o di un credo;
d) La libertà di insegnare una religione o un credo in luoghi adatti a tale scopo;
e) La libertà di sollecitare e di ricevere contributi volontari, di natura finanziaria e di
altro tipo, da parte di privati e di istituzioni;
f) La libertà di formare, di nominare, di eleggere, di designare per successione gli
appropriati leaders, in conformità ai bisogni e alle norme di qualsiasi religione o
credo;
g) La libertà di rispettare i giorni di riposo e di celebrare le festività ed i riti di culto
secondo i precetti della propria religione o credo;
h) La libertà di istituire e di mantenere comunicazioni con individui e comunità in
materia di religione o di credo, a livello nazionale ed internazionale.
51
Articolo 7
I diritti e libertà proclamati nella presente Dichiarazione sono accordati nella
legislazione nazionale, in modo che ciascuno sia in grado di fruire di tali diritti e
libertà nella pratica.
Articolo 8
Nessuna disposizione della presente Dichiarazione sarà interpretata come restrizione
o deroga ai diritti enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e nei
Patti Internazionali relativi ai Diritti Umani.
Il testo della presente Dichiarazione è stato adottato il 25 novembre 1981
52
Tratto da « Les Bahá’’ís en Iran. Un rapport sur la persécution d’une minorité
religieuse », Communauté Internationale Bahá’íe, Assemblée Spirituelle
Nationale Bahá’’ie de Suisse, juin 1981.
COMMISSION DES DROITS DE L’HOMME
Sous-Commission de la lutte contre
les mesures discriminatoires et
de la protection des minorités
10 (XXXIII) Droits des personnes appartenant à des
minorités ethniques, religieuses et
linguistiques 24/
La Sous-Commission de la lutte conte les mesures discriminatoires et de la
protection des minorités,
Rappelant sa préoccupation de longue date concernant l’élimination de
l’intolérance religieuse, dont témoignent les longues années de travail qu’elle a
consacrées à l’élaboration d’un instrument destiné à combattre la discrimination et
l’intolérance fondées sur la religion ou la conviction,
Ayant présents à l’esprit l’article 18 de la Déclaration universelle de droits de
l’homme, qui proclame le droit fondamental de toute personne à la « liberté de pensée, de
conscience et de religion », et l’article 18 du Pacte international relatif aux droits civils et
politiques, qui dispose que toute personne a droit à la liberté de religion, qui implique « la
liberté d’avoir ou d’adopter une religion ou une conviction de son choix, ainsi que la
liberté de manifester sa religion ou sa conviction, individuellement ou en commun, tant
en public qu’en privé, par le culte et l’accomplissement des rites, les pratiques et
l’enseignement » et, en outre, que « nul ne subira de contrainte pouvant porter atteinte à
sa liberté d’avoir ou d’adopter une religion ou une conviction de son choix »,
Ayant entendu des déclarations concernant la grave violation des droits de
l’homme et des libertés fondamentales dont est victime la communauté Bahá’íe d’Iran,
1. Exprime sa profonde préoccupation concernant la sécurité des membres du
Conseil administratif national élu des Bahá’ís d’Iran qui ont récemment été
arrêtés et celle de tous les membres de cette communauté, considérés
individuellement et collectivement ;
2. Prie le Secrétaire général de faire part de cette préoccupation au
Gouvernement de la République islamique d’Iran, et d’inviter ce
Gouvernement à exprimer son attachement aux garanties prévues dans le
Pacte international relatif aux droits civils et politiques susmentionné, ratifié
par cet Etat, en accordant la pleine protection des droits et libertés
fondamentaux à la communauté religieuse Bahá’íe d’Iran, et en protégeant la
vie et la liberté des membres de cette communauté Bahá’íe.
24 / Adopté à la 891ème séance, le 10 septembre 1980, par 12 voix contre zéro,
avec
6
abstentions.
53
Tratto da « Les Bahá’’ís en Iran. Un rapport sur la persécution d’une minorité
religieuse », Communauté Internationale Bahá’íe, Assemblée Spirituelle
Nationale Bahá’’ie de Suisse, juin 1981.
Vendredi, 19 Septembre 1980
RESOLUTION
sur la persécution des membres de la communauté Bahá’í en Iran
Le Parlement européen,
- rappelant son indéfectible attachement à une protection international des droits de
l’homme,
-
reconnaissant en particulier la nécessité de protéger les droits des minorités
religieuses dans tous les pays,
-
inquiet de la campagne systématique de persécution dirigée en Iran contre les
300.000 membres de la communauté Bahá’íe (la plus grande minorité religieuse
d’Iran) et des violations des droits élémentaires de l’homme qui l’accompagnent,
notamment :
a.
l’exclusion de la minorité Bahá’íe de toute protection légale ;
b.
l’arrestation sommaire, la détention et l’exécution de dirigeants de la
communauté Bahá’íe ;
c.
la confiscation ou la destruction des ressources et des moyens de
subsistance de Bahá’ís ainsi que les renvois arbitraires ou le refus d’employer
les Bahá’ís ;
d.
le menaces et actes de violence envers les Bahá’ís pour les forcer à
renier leur foi,
1. condamne la violation des droits de l’homme envers toutes les minorités religieuses
d’Iran et particulièrement celle concernant les Bahá’ís dont les droits en tant que minorité
religieuse ne sont pas reconnus par la constitution iranienne ;
2. demande au gouvernement iranien d’accorder à la communauté Bahá’íe la
reconnaissance légale et la protection dont doit jouir toute minorité aux termes des
différents pactes et conventions de l’organisation des Nations Unis, relatifs aux droits de
l’homme ;
3. condamne par ailleurs les mesures illégales prises contre des personnalités
catholiques et anglicanes ainsi que l’exécution de personnalités de la communauté juive ;
4. invite les ministres des affaires étrangères réunis dans le cadre de la coopération
politique de faire d’urgence une démarche auprès des autorités iraniennes pour qu’il soit
mis fin à la persécution des membres de la communauté Bahá’íe, qu’ils puissent pratiquer
leur religion en toute liberté et jouir de tous les droits civils, politiques, sociaux,
économiques et culturels ;
5. demande à la Commission et au Conseil d’imposer un embargo sur toutes les ventes
de produits agricoles excédentaires à l’Iran, lorsqu’elles sont subventionnées par les
contribuables européens, jusqu’au rétablissement complet des droits de l’homme dans ce
pays ;
54
6. charge son président de transmettre la présente résolution au Conseil, à la
Commission, aux ministres des affaires étrangères réunis dans le cadre de la
coopération politique, qu gouvernement iranien, aux gouvernements et parlements
des Etats membres et au secrétaire général des Nations Unies.
55
Tratto da « Les Bahá’’ís en Iran. Un rapport sur la persécution d’une minorité
religieuse », Communauté Internationale Bahá’íe, Assemblée Spirituelle
Nationale Bahá’’ie de Suisse, juin 1981.
CONSEIL DE L’EUROPE
ASSEMBLEE PARLEMENTAIRE
DECLARATION ECRITE N°88
relative aux persécutions en Iran
(déposée le 29 septembre 1980)
3ème édition
Les soussignés, membres de l’Assemblée,
1.
Scandalisés par la campagne de persécution systématique en Iran, dirigée
contre les 300.000 membres de la communauté Bahá’íe et par les violations des
droits de l’homme qui l’accompagnent, notamment :
a. le refus de toute protection juridique à la communauté Bahá’íe ;
b. l’arrestation sommaire, la détention et l’exécution des chefs de la
communautéBahá’íe, ainsi que la destruction et la confiscation de ses
biens et de ses ressources ;
2.
Egalement préoccupés par les violations grossières des droits de l’homme
infligées aux autres minorités en Iran, y compris les juifs, les catholiques et les anglicans,
3.
Demandent instamment au Comité des Ministres de faire d’urgence des
représentations aux autorités iraniennes afin qu’elles mettent fin à ces persécutions
illégales et inacceptables.
Signé :
MART
BACELAR
Van den BERGH
HESELE
KRIEPS
BATLINER
LEONARD
HUBINEK
KERSHAW
PORTHEINE
FLANAGAN
LANNER
TABONE
GRADIN
HAFSTAD
MADERNER
BUTZ
URWIN
BEITH
POLSTER
MOLIN
LIDBOM
FLETCHER
REINHART
FLEMING
TSRIMOKOU
CARO
STEINER
CALATAYUD
STOFFELEN
DESMOND
WINDSTEIG
LINDQUIST
DEJARDIN
COWEN
ANER
GRANT
Von BOTHMER
BLENK
AUGSBURGER
EDWARDS
SIGURDSSON
HAWLICEK
Ernst STEINER
WILHELM
DONZE
ALDER
Total : 47
56
Tratto da « Sur la persécution des Bahá’ís d’Iran », Assemblée Spirituelle
Nationale des Bahá’ís de Suisse, Berne (Svizzera), ASN des Bahá’ís de Suisse,
1981
Deutscher Bundestag (Parlamento Tedesco)
Jeudi 25 juin 1981
Résolution:
« ...Le parlement allemand….
1) condamne la violation des droits de l’homme commise à l’encontre des bahá’ís,
minorité religieuse dont les droits ne sont pas reconnus par la Constitution iranienne ;
2) invite le gouvernement iranien à accorder à la communauté religieuse bahá’íe la
reconnaissance officielle et la protection auxquelles chaque minorité a droit, aux
termes des divers accords et convention des Nations Unis sur les droits de l’homme ;
3) invite les ministres des affaires étrangères de la Communauté Européenne se
réunissant dans le cadre de la coopération politique, à demander instamment aux
autorités iraniennes, que cesse la persécution des membres de la communauté
religieuse bahá’íe afin qu’ils puissent pratiquer, en toute liberté, leur religion et qu’ils
puissent jouir de tous les droits civils, politiques, sociaux, économiques et culturels ».
57
Tratto da «Iran’s Secret Pogrom », Nash G., Suffolk, Neville Spearman, 1982
Dear Sir,
With reference to your letter of 22nd June 1981, I would like to draw to
your kind attention the following points:
Baha’ism is in fact not a religion but an ideology created by colonial
powers to help the past illegitimate government of Iran in their oppressions of the
brave people of Iran and to invalidate Islam as a divine religion and revolutionary
ideology.
Before the revolution especially at the time of the Shah, Baha’is have
cooperated with this government to oppress people and to plunder our country’s
wealth. The majority of people who had occupied high positions during the
Shah’s power, such as Prime Minister Hovida and many high rank military
officers were Baha’is.
Notwithstanding the above-mentioned facts, the Government of the
Islamic Republic of Iran has never oppressed them, although their beliefs have not
and will never be considered as a recognized religion by Iranian authorities and
therefore, unlike Christians, Jews etc. they do not have priorities such as the right
to elect representatives for the Parliament.
If some people who have been executed have happened to be Baha’is, or,
if some properties confiscated by the Islamic Courts have happened to Baha’is
belongings, this does not mean that the Islamic Government is oppressing them.
Considering the fact that most criminals who were executed by the orders of the
Islamic Courts have been so-called Muslims, I am sure this does not mean that the
Iranian authorities are oppressing true Muslims or non-Muslims if they have not
been criminals.
I hope this summary would help you to appreciate the justice being
implemented by the Islamic Republic of Iran based on the Quranic principles
against unjustice.
signed Alireza Farrokhrouz
Chargé d’Affaires
58
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University of Pennsylvania, 2001
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Bahá’ís d’Iran, Paris, Librairie Bahá’íe, s.d.
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Bahá’ís. Un livre blanc, Paris, ASN des Bahá’ís de France, 1982
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