NAZIFASCISMO E OMOSESSUALITÀ

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NAZIFASCISMO E OMOSESSUALITÀ
NAZIFASCISMO E OMOSESSUALITÀ
di Gianfranco Goretti
Cercherò di rimanere nei tempi previsti, anche se dovrò tagliare informazioni, visto tutto ciò
che dovrei e vorrei raccontarvi.
Il mio tentativo è di darvi soprattutto dei dati, di raccontarvi dei fatti innanzi tutto in
relazione alla persecuzione nazista degli omosessuali, per passare poi a vedere cosa è successo in
Italia - argomento che immagino vi interessi particolarmente, in quanto storia di quello che è
successo qui, nel nostro paese. Questo materiale relativo al fascismo è in gran parte inedito, essendo
stato trattato soltanto in alcuni articoli miei e di Giovanni Dall'Orto. Non è ancora stata pubblicata
una trattazione organica sulla repressione degli omosessuali durante il periodo fascista in Italia.
Prima di iniziare, però, visto che siete un bel pubblico di insegnanti, vorrei darvi dei
compiti: vi chiedo di porvi, quando tornerete a casa, due domande. La prima domanda è: “Chi è una
persona omosessuale, chi è un omosessuale?”. E la “definizione” che esce fuori, la risposta che
darete, può funzionare per tutte le epoche storiche? La seconda domanda è: “Perché le persone
omosessuali sono vittime delle persecuzioni, insieme ad altre categorie, durante questo periodo?
Perché sono vittime insieme ai disabili, perché sono vittime insieme agli ebrei, agli zingari....?”
Apro una parentesi: in questo convegno non c'è nessuno che parlerà dello sterminio delle
persone disabili. Io sono insegnante di sostegno, lavoro nella scuola come insegnante delle classi in
cui sono inseriti studenti in difficoltà di apprendimento e, anche in virtù di questo, vorrei ricordare
che il primo grande sterminio nella Germania nazista inizia nei manicomi psichiatrici, con
l'uccisione di 70.000 adulti e bambini disabili gasati e bruciati, sperimentando, tra l'altro, un metodo
che sarà poi studiato, perfezionato e utilizzato nei campi di sterminio.
Mi interessa che torni alla memoria anche questo.
Torniamo a noi. Rispetto alla prima domanda del compito a casa - “Chi è un omosessuale?”
- non vi do nessun aiuto: vorrei che cercaste in voi, nelle vostre conoscenze la risposta. Vorrei che
ripensaste alla storia - del corpo, della sessualità, dell'amore, degli affetti, ma anche alla storia
sociale in genere - e trovaste da soli una definizione. Poi, come dicevo, vi chiedo che questa
definizione da voi trovata sia applicabile a tutte le epoche storiche. Io però spero che voi scopriate
che non lo è. Mi interessa cioè che si esca dall'idea che la persona omosessuale sia “catalogabile”,
“spiegabile” semplicemente in base a una sua astorica omosessualità. La categorizzazione è
chiudere la persona in un pregiudizio: e questo è il fondamento della persecuzione nazista. La
persona omosessuale vive nella sua epoca storica insieme a tutti gli altri individui: io e voi
condividiamo la stessa idea di corpo (pur con sfumature individuali), di affettività, di amore. Per far
arrivare un messaggio chiaro di condanna degli eventi che stiamo trattando, bisogna che prima in
noi cadano i pregiudizi: solo in questa maniera i messaggi potranno arrivare chiari e non ambigui.
Per la seconda domanda, vi fornisco un aiuto. Vi chiedo di leggere Sessualità e
nazionalismo di George L. Mosse, storico tedesco fuggito nel '38 dalla Germania negli Stati Uniti.
E' un testo che applica alla storia d'Europa dalla fine dell'Ottocento al nazismo un approccio
storico-culturale; tra l'altro, Mosse è ebreo e omosessuale. Il suo intento è di mostrare in che modo
l'idea di rispettabilità borghese, il nascente nazionalismo, la teorizzazione degli stereotipi nazionali,
il degenerazionismo, si incontrino e si incrocino. Segue l'evoluzione di tali idee, che diventeranno
concrete nel pensiero nazista e porteranno poi, appunto, alle colonie di confino fascista e
all'uccisione degli omosessuali nei lager nazisti.
Cominciamo a parlare della Germania nazista.
I riferimenti antiomosessuali sono presenti in molti discorsi dei dirigenti del partito nazista,
anche prima della presa del potere.
La Germania di Weimar viveva in quel periodo un momento di iniziale apertura alle istanze
del movimento omosessuale. A Berlino operava un medico all'epoca molto noto, Magnus
Hirschfeld, che nel 1899 aveva fondato un'associazione detta “Comitato scientifico umanitario”.
Hirschfeld era un ebreo e un omosessuale di sinistra e lavorava a studi sull'origine
dell'omosessualità e sulla sessualità in genere. Creò in seguito anche un “Istituto per le scienze
sessuali” con sede a Berlino. Questa fu un'esperienza di grande visibilità e di lotta politica per
l'emancipazione delle persone omosessuali, forse la più importante non solo per la Germania ma
anche per l'Europa intera. La nascita e il lavoro dell'Istituto furono possibili nonostante fosse in
vigore in Germania una legge antiomosessuale, il “paragrafo 175”, contro la quale l'Istituto di
Hirschfeld si batteva. Anche altri stati, come l'Inghilterra, avevano leggi antiomosessuali.
Brevemente va ricordato che il Codice napoleonico aveva di fatto depenalizzato l'omosessualità in
tutte le province dell'Impero. Con la Restaurazione, pochi stati avevano poi restaurato nei rispettivi
codici nazionali una legislazione antiomosessuale. Essa sopravvisse però nell'articolo 143 del
codice prussiano, che con l'unificazione tedesca del 1870 venne esteso a tutto il Reich. Nasceva così
il paragrafo 175, che prevedeva il carcere per i maschi sorpresi a commettere atti omosessuali.
L'Istituto per la scienze sessuali lavorò tra l'altro a promuovere una petizione che chiedeva
l'abrogazione dell'articolo. La petizione - sottoscritta a livello internazionale, anche da figure come
Einstein, Hesse, Tolstoj, Zola, e sostenuta con forza da uno dei maggiori esponenti del partito
socialdemocratico tedesco, August Bebel - arrivò al Reichstag nel 1922, e nel 1929 la Commissione
penale del Parlamento espresse parere favorevole all'abrogazione.
All'indomani della nomina di Hitler a cancelliere, il primo episodio eclatante, il primo
“segnale” dei tempi a venire, è proprio l'assalto all'Istituto per le scienze sessuali. Distruzione della
biblioteca; distruzione dei lavori di ricerca; distruzione di tutto il materiale d'archivio; fuga di
Hirschfeld dalla Germania (morirà a Parigi nel 1935), e inizio di fatto della campagna
antiomosessuale. Va ricordato che il paragrafo 175 aveva avuto scarsa applicazione nella Germania
di Weimar: ora invece cominciano gli arresti massicci e le condanne al carcere. La più massiccia
ondata repressiva partirà però nel giugno del 1934, in coincidenza con la liquidazione,
probabilmente per motivi politici, dell'ala “sinistra” del partito nazista: saranno assassinati tutti i
dirigenti delle SA, compreso Röhm, notoriamente omosessuale. Questo eccidio sarà direttamente
rivendicato da Hitler, dal governo, in quanto necessario per “ripulire” la Nazione tedesca dalla piaga
omosessuale. Nel 1935 viene modificato, e inasprito, l'articolo 175. Nel 1936 Himmler crea (entro
la Gestapo) l'“Ufficio speciale 2S”, organo centrale del Reich per la lotta contro l'aborto e
l'omosessualità. Il numero di arresti in questi anni aumenta vertiginosamente, con punte massime
nel periodo 1936-39. Alcuni degli arrestati verranno in seguito inviati nei campi di concentramento
di Sachsenhausen, Mauthausen, Buchenwald e Dachau.
E' estremamente difficile fare una stima esatta dei deportati per omosessualità: alcuni
parlano di decine di migliaia, altri di un milione di persone. Io mi atterrò ai risultati di una ricerca
svolta in Germania dal prof. Lautmann, che ha potuto vedere e consultare il materiale di archivio
delle vittime naziste, contenuto nell'International Tracing Service di Arolsen (Hessen, Germania).
Si tratta di materiale frammentario, come tutto quello che riguarda la documentazione dei campi
nazisti; in più i conteggi degli arrivi non sempre venivano fatti con regolarità. Va aggiunto che la
ricostruzione della storia degli omosessuali è ulteriormente complicata sia dal fatto che al momento
della liberazione alcuni dei deportati continuarono a scontare la pena in carcere (visto che erano
stati condannati per la violazione di un articolo del codice penale, appunto il paragrafo 175), sia soprattutto - dalla difficoltà di reperire testimoni diretti della deportazione (visto che l'articolo 175
rimase in vigore nella Germania occidentale fino al 1967). Testimoniare dopo la liberazione dai
campi o all'uscita dalla prigione significava anche autodenunciarsi. Si capirà inoltre che fu
impossibile per le persone omosessuali, a differenza delle altre vittime del nazismo, chiedere
risarcimenti per le pene subite dai nazisti, come previsto dalla legge tedesca: i pochi che provarono
ebbero come risposta che la loro condanna e l'internamento erano avvenuti in base ad una legge in
vigore già prima del 1933, e quindi loro non potevano essere considerati vittime del nazismo.
Dai dati trovati e dalle poche testimonianze raccolte, Lautmann ha costruito stime
statistiche, e ritiene realistico parlare di circa centomila arresti, cinquantamila condanne, al massimo
trentamila deportati e quindicimila vittime nei campi.
Per le dure condizioni di vita comuni a tutti i deportati - il lavoro, la scarsezza di cibo, ecc. ma soprattutto perché triangoli rosa (questo era il simbolo che dovevano portare i deportati
omosessuali), gli internati omosessuali nei campi di concentramento affrontavano una possibilità di
morte che secondo Lautmann varia dal 60 al 90%. La vita nei campi era dura per tutti, lo sappiamo,
non lo ricorderemo qui; ma in genere le testimonianze sono concordi nell'affermare che le persone
omosessuali erano vittime del pregiudizio razzista anche all'interno dei campi, e in alcuni periodi
vissero anche in cameroni separati dagli altri. Come tutti subirono violenze, come tutti subirono
sperimentazioni.
Ne voglio ricordare soltanto una, avvenuta nel campo di Buchenwald. Siamo alla fine degli
anni Trenta e un medico danese, il dottor Karl Vernaet, ottiene il permesso di avviare una
sperimentazione sulle persone omosessuali. Si tratta di inserire nell'addome una ghiandola
artificiale che rilascia ormoni maschili. L'esperimento viene ripetuto più volte su diversi soggetti:
fallisce per la morte dei soggetti stessi, e viene abbandonato. L'idea era di “correggere”
l'omosessualità attraverso la cura con ormoni maschili.
Per quanto riguarda l'Italia bisogna dire che neanche qui è stato agevole ricostruire la storia
della repressione dell'omosessualità durante il fascismo. E' una storia ambigua, che presenta molte
contraddizioni, nonché difficoltà di lettura e di interpretazione delle fonti archivistiche. E' una storia
che comunque è stata in parte ricostruita, soprattutto in base ai documenti di archivio raccolti
nell'Archivio Centrale di Stato.
Nel progetto preliminare del nuovo Codice penale del 1927, quello che sarà nel 1931 il
Codice Rocco, si prevede l'inserimento di un articolo antiomosessuale. L'articolo presente nel
progetto viene però cassato, e non compare dunque nel nuovo Codice. Nella motivazione della
esclusione dell'articolo si rimanda - in caso di necessità di intervento energico - ai sistemi di
repressione contenuti nel Testo unico di Pubblica sicurezza: il confino, l'ammonizione, la diffida.
Questi strumenti saranno di fatto utilizzati, soprattutto a partire dal 1938. Quante le persone
coinvolte? Siamo sicuri di trecento casi di confino per omosessualità dal 1938 al 1943; potrebbero
essere di più. Non conosciamo il numero dei casi di diffida e ammonizione. In alcune sentenze
complete che ho trovato, il numero delle persone ammonite e diffidate era in genere maggiore dei
confinati. Le province coinvolte in questa ondata repressiva iniziata nel 1938 sono circa 59 su 90.
Ma cominciamo con il vedere quello che succede all'art. 528 del progetto di codice penale.
Inserito nel Titolo VIII, “Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume”, così
recitava: “Relazioni omosessuali. Chiunque (...) compie atti di libidine su persona dello stesso
sesso, è punito, se dal fatto derivi pubblico scandalo, con la reclusione da sei mesi a tre anni. La
pena è della reclusione da uno a cinque anni: 1) se il colpevole, essendo maggiore degli anni
ventuno, commetta il fatto su persona di anni diciotto; 2) se il fatto sia commesso abitualmente o a
fine di lucro.”1
Questo articolo riscosse molto successo. I giudizi dei magistrati, dei professori universitari
dell'Azione cattolica, erano stati favorevoli al mantenimento dell'articolo nel codice. Poche in realtà
le critiche. Ma nella discussione finale della commissione incaricata, l'articolo viene cassato. E'
interessante la motivazione che la commissione dà per il non inserimento dell'articolo 528 : “La
commissione ne propose ad unanimità, senza alcuna esitazione, la soppressione per questi due
1
Progetto di un nuovo codice penale, Tipografia delle Mantellate, Roma 1927, pag. 206. La discussione intorno al
progetto del nuovo codice penale è al centro di una accurata tesi di laurea in Storia contemporanea di Carola Susani, il
cui titolo è "Il dibattito sull'omosessualità nel tardo Positivismo italiano", discussa a Roma presso l'Università degli
studi "La Sapienza" il 23 novembre 1991.
fondamentali riflessi: a) La previsione di questo reato non e’ affatto necessaria, perché, per fortuna
ed orgoglio dell'Italia, il vizio abominevole che vi darebbe vita, non è così diffuso tra noi, da
giustificare l'intervento del legislatore. b) Nei congrui casi, può ricorrere l’applicazione delle più
severe sanzioni relative ai delitti di violenza carnale, corruzioni di minorenni e offesa al pudore.
E’ noto che per gli abituali e i professionisti del vizio, per verità assai rari, e di importazione
o di sfruttamento straniero, la polizia provvede fin d'ora, con assai maggiore efficacia, con
l’applicazione immediata delle sue misure di sicurezza, anche detentive.”2
A parte la retorica nazionalista sulla purezza morale degli italiani, il retroterra di questa
motivazione è in realtà indicativo di una ben precisa scelta politica. Qualcosa di simile si era già
verificato in Italia con la discussione del primo Codice penale dell'Italia unita (noto come Codice
Zanardelli): un articolo analogo era stato prima inserito nel progetto di Codice e poi cassato.
L'esclusione era stata motivata da una parte con l'opportunità che il legislatore non invadesse il
campo della morale, e dall'altra con l'idea che tacere sui “delitti di libidine contro natura” fosse più
utile nella lotta per la repressione del vizio stesso, in quanto il silenzio non permetteva la
conoscenza dell'omosessualità.
L'esperienza dei paesi europei nei quali vigeva un articolo antiomosessuale era già, e
sarebbe rimasta, sotto gli occhi di tutti: Oscar Wilde in Inghilterra, e Hirschfeld in Germania, solo
per citare i casi più eclatanti. L'Italia scelse, dapprima col codice Zanardelli e poi con il codice
Rocco, la strada della negazione della differenza, del massimo silenzio possibile. Giovanni
Dall'Orto, in un suo saggio, parla di “tolleranza repressiva”: non si parli dell'omosessualità, per far
sì che intorno alla persona omosessuale si creino solitudine, isolamento e nessun sentimento di
solidarietà. Strategia che ha ridotto (e in parte questo è visibile ancora oggi) gli omosessuali italiani
al parziale silenzio.
Ma in epoca fascista, come dicevamo, si intervenne anche in maniera diretta. Non solo con il
silenzio, ma se occorreva anche con la repressione attiva attraverso l'applicazione delle sanzioni
amministrative previste dal Testo unico di polizia del 1926 e del 1931. Il confino, come la diffida e
l'ammonizione, venivano assegnati su proposta del questore da una Commissione provinciale
presieduta dal prefetto. I motivi delle assegnazioni erano contemplati dagli articoli 164-189 del
Testo unico, ma erano piuttosto vaghi e grazie a questa vaghezza fu possibile utilizzare tali
strumenti non solo per i delinquenti abituali usciti assolti da processi per insufficienza di prove, o
per gli “oziosi e vagabondi”, ma anche come strumento di repressione delle opposizioni politiche e,
appunto, per la repressione della “pederastia” (questo in genere il termine che ho trovato nei
documenti relativi ai confinati). Gli articoli del Testo unico non menzionano affatto la distinzione
tra confino politico e comune, ma di fatto i due diversi istituti nascono e sono competenza di due
diverse sezioni del Ministero degli interni. Esistono quindi nell'Archivio Centrale di Stato due
differenti fondi, uno contenente i fascicoli dei confinati politici, l'altro che raccoglie i fascicoli dei
confinati comuni: sappiamo che i materiali di archivio non possono essere consultati se non a
distanza di settanta anni dai fatti, ma l'ANPPIA (Associazione nazionale perseguitati politici italiani
antifascisti) ha ottenuto il permesso, per ricostruire la storia della repressione politica durante il
fascismo, di consultare il materiale relativo ai confinati comuni. Grazie all'ANPPIA siamo riusciti a
consultare almeno i fascicoli degli omosessuali confinati come politici. L'amministrazione centrale
infatti presentò ambiguità nel classificare i pederasti arrestati: alcuni furono spediti nelle colonie
come confinati politici, altri (la maggioranza) come comuni.
Nel fondo dei politici sono state trovate circa 90 fascicoli personali di persone confinate per
omosessualità: di queste 10 vengono confinate prima del 1938, e il motivo per cui si muove la
questura è legato a fatti diciamo così “collaterali” all'omosessualità (denunce di terzi legate a casi di
ricatto, truffe, sacerdoti denunciati dalla popolazione, e così via). Fra questi si trova l'unico caso (in
assoluto) di arresto per lesbismo; riguarda una donna denunciata appunto dal marito di una sua
amica, in una difficile causa di separazione. L'omosessualità maschile è la più colpita (non solo in
2
Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, Tipografia delle Mantellate, Roma 1928/1929,
vol. IV, parte IV, pag. 377.
Italia). Gli arresti aumentano a partire dal 1938: solo a Catania da gennaio a maggio del 1939
vengono confinati 44 uomini. Il documento che segue è del questore di Catania: si tratta di una serie
di considerazioni che precedevano il profilo di ciascun candidato al confino per pederastia.
Propongo questo testo perché è indicativo del nuovo clima che si respira in Italia. Siamo nel 1939,
le leggi razziali sono entrate in vigore nell'ottobre del '38.
“Oggetto: proposta per il confino di polizia a carico di ......
La piaga della pederastia in questo capoluogo tende ad aggravarsi e generalizzarsi perché
giovani, finora insospettati, ora risultano presi da tale forma di degenerazione sessuale sia passiva
che attiva che molto spesso procura loro anche mali venerei. In passato molto raramente si notava
che un pederasta frequentasse caffè e sale da ballo o andasse in giro per le vie più affollate; più raro
ancora che lo accompagnassero pubblicamente giovani amanti e avventori. Il pederasta ed il suo
ammiratore preferivano allora le vie solitarie per sottrarsi ai frizzi ed ai commenti salaci; erano in
ogni caso generalmente disprezzati non solo dai più timidi, ma anche da quelli che passavano per
audaci e senza scrupoli, ma che in fondo erano di sana moralità. Oggi si nota che anche molto
spontanee e naturali ripugnanze sono superate e si deve constatare con tristezza che vari caffè, sale
da ballo, ritrovi balneari o di montagna, secondo le epoche accolgono tali ammalati, e che giovani
di tutte le classi sociali ricercano pubblicamente la loro compagnia e preferiscono i loro amori
snervandosi e abbrutendosi. Questo dilagare di degenerazione in questa Città ha richiamato
l’attenzione della locale questura che è intervenuta a stroncare o per lo meno ad arginare tale grave
aberrazione sessuale che offende la morale e che è esiziale alla sanità e al miglioramento della
razza, ma purtroppo i mezzi adoperati si sono mostrati insufficienti.
I fermi per misure, le visite sanitarie, la maggiore sorveglianza esercitata negli esercizi
pubblici e nelle pubbliche vie, non rispondono più alla bisogna. Perché infatti i pederasti fatti più
cauti per eludere la vigilanza della Pubblica Sicurezza ricorrono ad una infinità di ripieghi.
I più abbienti mettono su quartini con gusto civettuolo ed invitante, ricorrono ai più disparati
espedienti non escluso il furto, per procurarsi i mezzi e mettere anch’essi una casa ospitale. Tutti poi
per vanità, per piccole gelosie, menano vanto delle conquiste fatte che tentano mantenere a prezzo
di qualsiasi sacrificio.
I giovani dall’altro (quando non espressamente invitati) sono sospinti in quelle case, alcuni
dalla curiosità, altri dall’insidioso desiderio di fumarvi gratuitamente una sigaretta, e tutti, dopo aver
visto, hanno voluto poi provare sicché vi sono sempre ritornati.
E’ tale presa di contatto, anche quando non sfugge alla polizia, che non può in ogni caso
essere impedita, pur prevedendosene gli sviluppi e le ultime conseguenze.
Ritengo pertanto indispensabile, nell’interesse del buon costume e della sanità della razza,
intervenire con provvedimenti più energici, perché il male venga aggredito e cauterizzato nei suoi
focolai. A ciò soccorre, nel silenzio della legge, il provvedimento del Confino di polizia da adottarsi
nei confronti dei più ostinati fra cui segnalo l’individuo in oggetto segnato....”
Lo stesso stile e tono, sicuramente con minore fantasia e con minore ricchezza di particolari
relativi alla vita dei pederasti (il questore di Catania sembra essere un profondo conoscitore della
vita omosessuale catanese), si ha nei rapporti dei questori di Salerno, Palermo e Sondrio (che
complessivamente inviano al confino 8 persone).
Il riferimento alla mutata politica razziale sembra essere la chiave per la comprensione del
fenomeno in questione, la motivazione a rafforzare la repressione delle persone omosessuali.
Altri arresti, con conseguente sanzione di confino politico, li avremo a Firenze, a Vercelli e
in altre città italiane. Questi confinati sconteranno la pena (da 2 a 5 anni di residenza obbligatoria,
in genere in un'isola) a S. Domino delle Tremiti: per loro nel giugno del 1940, a guerra iniziata, il
confino sarà commutato in ammonizione, perché le camerate erano necessarie per alloggiare nuovi
confinati politici.
La vita al confino è sicuramente leggera paragonata al campo di concentramento nazista. S.
Domino è un'isola meravigliosa. I confinati erano soli e non facevano nulla. Il dramma che questi
uomini hanno vissuto, oltre alla perdita della libertà personale, è essenzialmente legato all'arresto,
all'aver subito la visita medica (all'ano, per “stabilire” se fossero pederasti o meno...), all'aver
vissuto lo sradicamento e la vergogna davanti ai loro famigliari e concittadini. A distanza di
quarant'anni ho rintracciato due dei catanesi arrestati: uno confinato, l'altro arrestato e rilasciato
perché minorenne. Alcuni dei reduci dal confino si sposarono per ricostruirsi una vivibilità sociale a
Catania. Non abbiamo tempo per approfondire l'argomento; ma la loro vita restò comunque
profondamente segnata da questa esperienza.
Continuando a cercare documenti nell'Archivio Centrale di Stato, ho scoperto che nel 1943
sono ancora al confino per pederastia, a Ustica e Lampedusa, 192 persone classificate come
confinati comuni. Non è possibile vedere i loro fascicoli personali (per i fascicoli dei comuni viene
rigidamente rispettato il termine dei settanta anni dai fatti). Per poter ricostruire con esattezza la loro
storia dovremmo aspettare almeno fino al 2013.... Sappiamo che arrivavano da 50 province italiane,
segno, come dicevo prima, che la repressione coinvolse la maggior parte del paese: fra le città con il
maggior numero di arresti abbiamo Roma, Vercelli, Venezia, Verona, Napoli, e ancora Catania e
Palermo.
A parte il nuovo clima razzista che ci spiega il numero di arresti, devo dire che a tutt'oggi
non ho trovato direttive che autorizzino a livello centrale l'ondata repressiva. Si trattò forse di
iniziative dei questori e dei prefetti, sicuramente non ostacolate a livello centrale (il Ministero
stabiliva le destinazioni di confino), anzi considerate logiche in quanto rientravano nella retorica
della lotta per “la purezza e la sanità della razza”.
Concludo raccontandovi un piccolo episodio. Ho partecipato un anno fa ad un convegno sul
tema “Omosessualità e nazifascismo”, organizzato da un circolo gay di Verona. Alla fine dei lavori
una persona, che si è dichiarata “gay di destra”, mi ha detto che era rimasto sorpreso dal tono
partecipativo, enfatico (non so se ha usato esattamente questi due aggettivi, ma il senso era quello)
con cui io parlavo della repressione degli omosessuali durante il fascismo: sembrava, continuava,
che il fascismo avesse commesso chissà quali crimini, in realtà solo un po' di isola a 300-400
persone... Io mi sono molto arrabbiato.
Non credo che il grado di repressione e il razzismo vadano misurati in base alla quantità di
sangue versato dalle vittime. Quello che è successo in Germania è stato atroce. In Italia abbiamo
avuto, per la nostra storia e cultura, un altro fenomeno repressivo. A quanto ne sappiamo, per
fortuna, nessuno è stato ucciso. Io sono “partecipativo” ed “enfatico” non solo perché questa è una
storia che mi riguarda (e non solo in quanto gay), ma perché ritengo che ogni violenza - qualsiasi
numero di persone coinvolga (anche una sola) e con qualsiasi mezzo essa si attui - e ogni restrizione
della libertà personale compiuta da un sistema statale vadano condannate, sia a livello morale che a
livello storico.
Spero che tutto questo lo raccontiate ai vostri alunni.
BIBLIOGRAFIA
AA. VV., Le parole e la storia. Ricerche su omosessualità e cultura, a cura di Enrico Venturelli, “Quaderni
di critica omosessuale” n. 9, Bologna, Centro di documentazione Il Cassero, 1991; in particolare i saggi di
Carola Susani, “Una critica della norma nell'Italia del fascismo”, e Gianfranco Goretti, “Catania, 1939”.
Massimo Consoli, Homocaust. Il nazismo e la persecuzione degli omosessuali, Milano, Kaos, 1991.
John Lauritsen, David Thorstad, Per una storia del movimento dei diritti omosessuali (1864-1935), Roma,
Savelli, 1979.
George L. Mosse, Sessualità e nazionalismo. Mentalità borghese e rispettabilità, Roma-Bari, Laterza, 1984
Martin Sherman, Bent. Nazismo, fascismo e omosessualità, con una presentazione di Guido Davico Bonino,
Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1984; in appendice i saggi “Gli omosessuali nei campi di concentramento
nazisti” di Rüdiger Lautmann e “Le ragioni di una persecuzione” di Giovanni Dall'Orto (su omosessualità e
fascismo).
Insieme a questi contributi va segnalato anche il bel film di Ettore Scola, “Una giornata particolare”, con
Marcello Mastroianni e Sofia Loren (1977).
Segnalo inoltre gli atti del convegno “Le ragioni di un silenzio. La persecuzione degli omosessuali durante il
nazifascismo”, tenutosi a Verona il 16 ottobre 1999. Il materiale, in via di pubblicazione, è disponibile presso
il Circolo Pink (Centro di Iniziativa e Cultura Gay e Lesbica a Verona), via Scrimiari 7, 37129 Verona, tel.
045-8065911, 0348-2634126.