Massimiliano Tomba - Università degli studi di Bergamo
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Massimiliano Tomba - Università degli studi di Bergamo
Tempi storici della crisi nel mercato mondiale A partire dalla Marx renaissance1 Massimiliano Tomba “È giunta l’ora di chiedere scusa a Karl Marx?”, si chiede Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco, in un libro dedicato alla critica delle ragioni del mercato dal punto di vista della dottrina sociale della Chiesa2. La recente Marx renaissance sorta nel contesto delle riflessioni sulla crisi finanziaria, ha posto, specialmente da parte cristiana, un problema: la crisi non può essere spiegata «facendo riferimento a comportamenti sbagliati di singole persone o anche di gruppi»3. È il capitalismo moderno che «forgia il comportamento economico (e in parte anche non economico) dei singoli e lo integra nel sistema»4. Piuttosto «l’attuale evidente crollo del capitalismo» va spiegato proprio con la «sua espansione illimitata e quasi sregolata»5. Gli fa eco dalle pagine de Le Magazine Littéraire, in un lungo Dossier dedicato a Marx: Les raisons d’une renaissance, Pascal Combemale che avverte che «les forces productives sont aussi des forces destructrices (…) le danger principal résidait dans la démesure»6. Se dunque il capitalismo è dismisura, la questione è porre dei «limiti a un’espansione illimitata»7, perché se non si riesce a porre un freno, la nostra intera società è in pericolo8. Ma dal momento che, nell’epoca della globalizzazione, questo limite non può più essere fissato dagli Stati-nazione, per Reinhard Marx come per Böckenförde, è compito di una rinata dottrina sociale cristiana porre un freno. La Chiesa dovrebbe riacquisire la funzione di Katechon. Questa è una delle possibilità. Ma l’immagine della crisi è sempre intrecciata a un’immagine del tempo storico. A diverse immagini del tempo corrispondono diverse immagini della modernità capitalistica: lungo il corso unilineare della storia il modo di produzione capitalistico può correggersi e riequilibrarsi continuamente, anche attraverso le crisi; può crollare in forza delle proprie contraddizioni immanenti, comunque da sviluppare; oppure deve essere trattenuto e frenato prima che esso giunga alla devastazione ecologica e sociale del pianeta. Queste opzioni sono complementari e condividono il medesimo dogma fondamentale: il tracciato della modernizzazione capitalistica è comunque intrascendibile. Pensare diversamente la crisi significa pensare una diversa concezione del tempo storico. Alla richiesta di un commento sula recente crisi economica, un attivista del Mali ha risposto “What crisis? We live in a permanent crisis!”9. Dobbiamo imparare a guardare tutto da questa prospettiva. Se c’è un Marx da rileggere oggi, non è il Marx “self-service” dal quale prendere la portata preferita lasciando sul banco ciò che invece non piace. Il Marx profeta della mondializzazione, della società liquida, dell’economia della conoscenza o del catastrofismo ecologico può essere abbandonato alle mode postmoderne in cerca di profeti e profezie. Ugualmente inutile è il Marx “classico”, imbalsamato sotto la campana di vetro degli studi filologici. Marx può essere considerato 1 Questo articolo sarà pubblicato nel prossimo numero del 2010 di “Fenomenologia e Società”, in una parte dedicata a Marx e la sua renaissance nell’attuale crisi. Questa parte è stata discussa in diversi incontri seminariali organizzati assieme a padre Pirola, alla cui memoria questo articolo è dedicato. 2 R. Marx, Il capitale. Una critica cristiana alle ragioni del mercato, Milano, Rizzoli, 2009, p. 23. 3 E.-W. Böckenförde, L’uomo funzionale. Capitalismo, proprietà, ruolo degli stati, in «Il Regno», n. 10 (2009), p. 289. 4 Ibidem. 5 Ivi, p. 291. 6 P. Combemale, Contre l’économie, tout contre, in «Le Magazine Littéraire», n. 479 (2008), p. 63. 7 Böckenförde, L’uomo funzionale, cit., p. 291. 8 Marx, Il capitale. Una critica cristiana, cit., p. 60. 9 Crossing Borders (2009), “Intendi dire crisi?”, Transnational Newsletter No. 7 (Luglio), http://www.noborder.org/crossing_borders/newsletter07en.pdf un classico solo nel modo in cui T.S. Eliot intendeva l’irruzione di novità di un’opera classica, come ciò che modifica contemporaneamente tutti i rapporti producendo una nuova coerenza tra l’antico e il nuovo. L’irruzione di un classico veramente nuovo riordina l’intero senso di una tradizione, retroagendo sul passato e obbligandoci a ripensarlo. Marx non è solo un punto alto di comprensione della modernità e del funzionamento del modo di produzione capitalistico; con Marx inizia qualcosa di nuovo, che si impone come alternativo alla modernità capitalistica e alla sua autocomprensione. Poiché crisi, politica e concezione della storia formano un’unica costellazione, le osservazioni che seguono intendono affrontare questo intreccio lungo tre scansioni della riflessione marxiana. 1. Linearità storica I Grundrisse, scritti tra il 1857 e il ’58, rappresentano un tentativo di organizzare tutto il materiale analitico raccolto da Marx per comprendere le dinamiche che portano alla crisi del modo di produzione capitalistico, indicando al contempo tendenze e possibili vie di uscita oltre questo modo di produzione. I Grundrisse cercano di capire per meglio colpire. Sono una scommessa politica, che Marx elabora pensando che il capitale, in quanto «rivoluzione permanente», lavorando alla distruzione dei propri limiti avrebbe lavorato anche alla propria distruzione. Erano le aspettative di un rivoluzionario di fronte alla crisi degli anni ’50. Nell’ottobre 1857 Marx scriveva ad Engels: la «crisi americana – che nella rassegna del novembre 1850 noi avevamo predetto che scoppiasse a New York – è meravigliosa»10. Con questo spirito e con la convinzione che una grossa crisi fosse alle porte, Marx inizia a scrivere i Grundrisse. Convinto che la crisi avrebbe rimesso in moto la macchina rivoluzionaria, lavora intensamente al suo progetto. L’8 dicembre del 1857 scrive a Engels: «Lavoro come un pazzo le notti intere a riordinare i miei studi economici, per metterne in chiaro almeno le grandi linee prima del déluge». Il potenziamento delle forze-produttive attraverso l’uso di macchine costituisce per il Marx dei Grundrisse il fulcro sul quale fare leva per rompere il guscio capitalistico e liberare elementi immediatamente comunistici. Marx compie questa operazione su due livelli contemporaneamente: indica nella dilatazione della sfera dei bisogni e nel potenziale tempo liberato un nuovo tipo umano al di là dell’individualità moderna11, un andres Subjekt il cui primo precipitato è dato nel concetto di individuo sociale12; cerca di cogliere nella sostituzione del lavoro umano con il macchinario una tendenza autodistruttiva del capitale. Lo sviluppo del macchinario, che dovrebbe dissolvere dall’interno il modo di produzione capitalistico, è seguito secondo una dinamica oggettiva e soggettiva: crollo («Zusammenbrechen», «overthrow»13) da una parte, «sviluppo dell’individuo sociale»14, dall’altra. In un ultimo disperato tentativo di lavorare con le ambivalenze della modernità capitalistica, Marx viene risucchiato dentro una dialettica storica delle forze oggettive. 10 Marx a Engels, 20.10.1857. La crisi induce ottimismo in Marx, che il 13.11.1857 scrive a Engels: «Per quanto io stesso mi trovi in difficoltà finanziarie, dal 1849 non mi sono mai sentito così bene come in questo scoppio». In realtà, dalla fine del 1856, quando Jenny tornò a Treviri per prendere l’eredità lasciata dalla madre, le sue condizioni economiche erano migliorate. La famiglia Marx abbandona il tugurio di Dean Street per una casa ammobiliata di quattro stanze al numero 9 di Grafton Terrace e il 26 settembre 1856 scrive a Engels: «Il fatto stesso che io sia finalmente in grado di arredare nuovamente una casa e di portarci i miei libri mi dà la prova che la “mobilitazione” di tutti noi sia a portata di mano». Ottimismo privato ed entusiasmo politico si alimentavano a vicenda. 11 Il «capitale spinge il lavoro oltre i limiti dei suoi bisogni naturali, e in tal modo crea gli elementi materiali per lo sviluppo di una individualità ricca (reiche Individualität) e dotata di aspirazioni universali nella produzione non meno che nel consumo»: K. Marx, Grundrisse, in MEW 42, p. 244, trad. it. di E. Grillo, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Milano, La Nuova Italia, 1978, vol. I, p. 317. 12 MEW 42, p. 607; trad. it. cit., vol. II, p. 410. Sulle ambivalenze del concetto di “individuo sociale” si veda G.A. Di Marco, Dalla soggezione all’emancipazione umana. Proletariato, individuo sociale, libera individualità in Karl Marx, Soneria Mannelli, Rubbettino, 2005, pp. 101-2; L. Basso, Socialità e isolamento: la singolarità in Marx, Roma, Carocci, 2008, pp. 210-1. 13 Rispettivamente MEW 42, p. 601, trad. it. cit., vol. II, p. 401 e ivi, p. 643, tra it. cit., p. 462. 14 Rispettivamente MEW 42, p. 601, trad. it. cit., vol. II, p. 401 e ivi, p. 641, trad. it. cit., p. 461. Cercando di tenere assieme l’automatismo macchinico e la centralità del rapporto lavoro-valore, Marx è costretto a trarre la conclusione che, riducendosi ad una quantità esigua il lavoro umano, deve ridursi anche il valore che deriva da esso. La tensione prodotta è scaricata in un orizzonte geschichtsphilosophisch: «il capitale lavora così alla propria dissoluzione»15. Dalla prospettiva del nesso tra crisi e caduta del saggio di profitto16, quest’ultimo rappresenta un indice per determinare il grado di maturità del capitale, la sua obsolescenza in termini di aumento della parte costante di capitale. Se infatti il saggio di profitto è dato dal rapporto tra il plusvalore al numeratore e la somma tra capitale variabile (salari) e capitale costante (macchine e materie prime) al denominatore, aumentando gli investimenti e supponendo che i lavoratori siano pagati il minimo indispensabile per farli sopravvivere, cosicché quasi l’intero tempo di lavoro è tempo di pluslavoro, la cifra al denominatore tende comunque ad aumentare, generando una caduta del saggio di profitto. Marx aveva così individuato una delle dinamiche che, nel modo di produzione capitalistico, produce crisi. A queste crisi il capitale risponde con la distruzione di una parte del capitale stesso, in modo tale da poter «continuare ad andare avanti impiegando pienamente le sue capacità produttive senza suicidarsi»17. Sono al riguardo possibili due diverse direzioni. Da un lato c’è l’ipotesi crollista: «queste catastrofi regolarmente ricorrenti conducono alla loro ripetizione su più larga scala, e infine al crollo violento del capitale (finally to its violent overthrow)»18. Dall’altro lato vi sono le controtendenze: «la caduta viene arrestata mediante la creazione di nuove branche di produzione nelle quali, in proporzione, occorre più lavoro immediato che capitale, o in cui la produttività del lavoro, ossia la produttività del capitale, non è ancora sviluppata»19. In seguito ne Il Capitale l’attenzione di Marx si concentrerà su questo secondo aspetto, sulle controtendenze messe in essere dalla creazione di nuove branche di produzione. Nei Grundrisse, invece, Marx cercò di rovesciare la crisi in rivoluzione. Lo stesso impianto categoriale fu piegato a questo scopo. Marx pensava che la grande industria, potenziando la produttività attraverso l’uso delle macchine, avrebbe ridotto ad un minimo il tempo di lavoro umano, e quindi anche il valore contenuto nelle merci.20 Dopo aver individuato il modo in cui «il capitale lavora […] alla propria dissoluzione»21 erodendo la legge secondo la quale il lavoro è misura del valore, non gli restava che lanciare la conclusione: «con ciò la produzione basata sul valore di scambio crolla»22. Le convulsioni acute di una crisi capitalistica inducono Marx a pensare e sperare in un crollo del modo di produzione capitalistico. La teoria è così rapidamente orientata a delineare le condizioni del superamento del modo di produzione capitalistico prendendo a modello ciò che è storiograficamente disponibile: il superamento dei precedenti modi di produzione, ai quali viene fatto riferimento per delineare una dialettica tra sviluppo e limite delle forze produttive all’interno del modo di produzione capitalistico. Lo schema serve a Marx la dinamica del superamento attraverso i suoi limiti immanenti, esattamente come avvenne in passato con le corporazioni23. Marx utilizza politicamente il suo affresco sugli stadi storici: «Queste indicazioni, unite all’esatta comprensione del presente (richtige Fassung des Gegenwärtigen), offrono poi anche la chiave per 15 MEW 42, p. 596, trad. it. cit, vol. II, p. 395. Si veda il saggio di Peter Thomas contenuto in questo stesso numero di «Fenomenologia e società». 17 MEW 42, p. 643, trad. it. cit., vol. II, p. 462. 18 MEW 42, p. 643, trad. it. cit., vol. II, p. 462. Questa concezione del crollo finale del capitale sarà abbandonata dopo i Grundrisse. La fine della crisi economica nel 1858 indurrà Marx a ripensare il concetto di crisi a un nuovo livello categoriale, complicando l’analisi del “capitale in generale” (espressione che non comparirà più dopo i Grundrisse) con la competizione fra diversi capitali. Si veda al riguardo anche M. Heinrich, Reconstruction or Deconstruction? Methodological Controversies about Value and Capital, and New Insights from the Critical Edition, in R. Bellofiore and R. Fineschi, Re-reading Marx. New Perspectives after the Critical Edition, New York, Palgrave, 2009, pp. 80-1. 19 MEW 42, p. 643, trad. it. cit., vol. II, p. 463. 20 Cfr. MEW 42, p. 601; trad. it. cit., vol. II, p. 401. 21 MEW 42, p. 596; trad. it. cit., vol. II, p. 395. 22 MEW 42, p. 601; trad. it. cit., vol. II, p. 401. 23 MEW 42, p. 328; trad. it. cit., vol. II, p. 19. 16 intendere il passato (Verständnis der Vergangenheit) – che è un lavoro a sé a cui speriamo di arrivare. Questa osservazione esatta porta d’altra parte a individuare anche dei punti nei quali c’è l’indizio di un superamento dell’attuale forma dei rapporti di produzione – e quindi un presagio del futuro (foreshadowing der Zukunft), un movimento che diviene»24. Il Verständnis der Vergangenheit unito a una richtige Fassung des Gegenwärtigen dovrebbe gettare una luce sul futuro – foreshadowing der Zukunft – che non è l’utopia da realizzare, ma il «movimento che diviene». Con la caduta del saggio di profitto, il capitale diventerebbe un ostacolo (Schranke) per lo stesso sviluppo delle forze produttive. A questo punto, riproducendo in forma geschichtsphilosophisch gli schemi storici elaborati nella storiografia delle forme precapitalistiche, il modello della dissoluzione di queste ultime viene applicato al modo di produzione capitalistico: il capitale ostacola lo sviluppo delle forze produttive che esso stesso ha liberato, ostacolando al contempo lo sviluppo dell’individualità e di nuova soggettività che esso stesso ha reso possibile. Questa concezione della storia, progressiva e unilineare, porta però Marx a considerare necessario il passaggio attraverso il modo di produzione capitalistico. Prospettiva che influenza anche il suo modo di considerare il colonialismo. Un certo prometeismo dà infatti luogo ad ambivalenze, possibilità di considerare il lato espansivo ed emancipatorio della modernità capitalistica, che diventano al tempo stesso ambiguità. Queste si manifestano nell’analisi del colonialismo, giustificato agli inizi degli anni cinquanta in quanto portatore di quella profonda rivoluzione nei rapporti sociali asiatici che avrebbe dovuto preludere alla rivoluzione sociale25. Da questa prospettiva Marx parlava di una di una «double mission» che l’Inghilterra aveva da compiere in India: «una distruttiva (destructive), l’altra rigeneratrice (regenerating) – annichilire l’antica società asiatica e gettare le basi materiali della società occidentale in Asia»26. L’affermazione del modo di produzione capitalistico in Europa dalla dissoluzione delle forme comunitarie precapitalisitiche, viene generalizzato in una «ontopogenic division of the world into ideal forms»27. Poiché la crisi non portò al tanto atteso crollo del capitalismo, il quadro teorico e categoriale elaborato freneticamente nei Grundrisse doveva essere rivisto. Sia per ragioni teoriche, sia per ragioni politico-congiunturali. L’ottimismo dei mesi precedenti si attenua. In una lettera dell’8 ottobre 1858 Marx abbozza ad Engels un primo bilancio della riorganizzazione del capitale dopo la crisi: «Non possiamo negare che la società borghese ha rivissuto per la seconda volta il suo sedicesimo secolo, dal quale spero che sarà sepolta così come fu chiamata in vita dal primo. Il vero compito della società borghese è la creazione del mercato mondiale, almeno nelle sue grandi linee, e di una produzione che poggi sulle sue basi. Siccome il mondo è rotondo, sembra che questo compito sia stato portato a termine con la colonizzazione della California e dell’Australia e con l’apertura della Cina e del Giappone. Ecco la questione difficile per noi: sul continente la rivoluzione è imminente e prenderà anche subito un carattere socialista. Non sarà necessariamente schiacciata in questo piccolo angolo del mondo, dato che il movement della società borghese è ancora ascendant su un’area molto più vasta?». In questa lettera ci sono le coordinate del lavoro teorico e politico di Marx degli anni Sessanta. A leggerla con attenzione, alla luce della riflessione successiva, si può intravedere lo scarto rispetto all’elaborazione dei Grundrisse. Marx pone tre questioni cruciali. Il «secondo sedicesimo secolo» del capitalismo obbliga a pensare l’accumulazione di lunga durata: 24 MEW 42, p. 373; trad. it. cit., vol. II, p. 82. K. Marx, The British Rule in India, in «New York Daily Tribune», 25.6.1853, in MEGA I/12, pp. 166-73, trad. it. a cura di B. Maffi, in K. Marx e F. Engels, India Cina Russia, Milano, il Saggiatore, 1976, p. 77. 26 K. Marx, The Future Results of British Rule in India, in «New York Daily Tribune», 8.8.1853, in MEGA I/12, pp. 248-53, trad. it. in Id., India, Cina Russia, cit., p. 112. Cfr. K. Mohri, Marx and “Underdevelopment”, in «Monthly Review», vol. 30, n. 11 (1979), p. 35. Scrive Mohri: «In the 1840s and 1850s Marx emphasized the "revolutionary" role of British free trade, basing himself upon a general expectation that it would destroy the framework of the old society which was an obstacle to the growth of productive forces, and would generate in its place the kind of development that would lay the basis for a new society. However, this view was discarded by Marx himself from the 1860s onward, as he became well aware that the destruction of the old society would not necessarily give rise to the material conditions for a new society» (ivi, p. 40). 27 J. Wainwright, Uneven Developments: From Grundrisse to Capital, in «Antipode», vol. 40, n. 5 (2008), pp. 883-5. 25 l’accumulazione capitalistica non va confinata nella protostoria del modo di produzione capitalistico28. In secondo luogo non solo l’analisi teorica, ma anche quella politica, devono essere pensate all’altezza del Weltmarkt. Il mondo è rotondo è il mercato mondiale mette in relazione le diverse aree geografiche e le diverse forme di sfruttamento29. Il capitalismo non può più essere analizzato guardando solo ai Paesi dove esso è maggiormente sviluppato. Non si può pensare che questi costituiscano il locomotore che traina gli altri vagoni. Infine, e proprio da queste considerazioni, Marx si chiede e interroga l’amico sulle possibilità di successo che può avere una rivoluzione non in un solo Paese, ma anche in Europa, a fronte della mondializzazione del mercato. Senza una prospettiva internazionale la rivoluzione sarà necessariamente schiacciata. Questi tre punti, che costituiranno la tavolozza di lavoro di Marx per gli anni successivi, saranno invece ignorati da molto marxismo novecentesco. Le lotte della classe operaia europea andavano seguite alla luce di insorgenze mondiali solo apparentemente non situate allo stesso livello dello sviluppo capitalistico. Durante e dopo la stesura dei Grundrisse Marx non studia solo economia politica, ma segue con interesse i movimenti di indipendenza e le lotte nelle più diverse parti del mondo. Il suo sguardo è sempre più posizionato sulle dinamiche mondiali, per guardare da qui il «piccolo angolo del mondo» che è l’Europa. E non viceversa. 2. Sincronia e sincronizzazione Dai Manoscritti degli anni 1861-63 al Capitale (1867) almeno due acquisizioni meritano attenzione. Da una lato Marx sofferma la propria attenzione sulla combinazione delle diverse forme di sfruttamento; dall’altro inizia a pensare a forme ibride di sussunzione che lo portano a rivedere e superare l’immagine stadiale propria di una visione unilineare del tempo storico. Plusvalore non è ciò che viene prodotto dal lavoratore nell’ultima parte della giornata lavorativa, esso è prodotto in ogni attimo del processo di valorizzazione e corrisponde al rapporto tra la produttività del lavoro individualmente erogato in una data impresa e quella del lavoro socialmente necessario30. Se l’orario di lavoro dovesse essere ridotto a parità di salario, circostanza che può verificarsi solo in seguito a delle lotte operaie, allora avremmo anche una diminuzione del plusvalore prodotto. A meno che il lavoro non venga intensificato e potenziato attraverso l’impiego di un nuovo macchinario. Può infatti verificarsi che un’ora di lavoro di maggiore forza produttiva corrisponda a due ore di lavoro sociale, là dove la società nel suo insieme non utilizza ancora l’innovazione tecnologica. Questo scambio, dove uno è uguale a due, viola solo i principi intellettuali di chi si ferma all’aritmetica del pallottoliere; il valore della merce in generale, e quindi anche di quella prodotta con un’innovazione tecnologica, è il suo valore sociale, vale a dire la quantità di lavoro sociale in essa oggettivata. Il fatto che il tempo di lavoro effettivamente speso sia inferiore a quello socialmente necessario non cambia nulla al rapporto, se non che il capitalista, vendendo la merce al suo valore, si appropria di plusvalore sociale, perché scambia un’ora di lavoro con due. «Dunque se il capitalista che applica il nuovo metodo vende la propria merce al suo valore sociale di uno scellino, la vende tre pence al di sopra del suo valore individuale, realizzando così un plusvalore straordinario (Extramehrwert)»31. Al di là dei numeri, l’Extramehrwert di cui si appropria il capitalista corrisponde alla quantità di plusvalore sociale che egli può prelevare dalla società in quanto sfrutta lavoro potenziato. In questo modo un numero maggiore di ore di lavoro 28 Cfr. W. Bonefeld, Accumulazione primitiva e accumulazione capitalistica: categorie economiche e costituzione sociale, in Sacchetto D. e M. Tomba (a cura di), La lunga accumulazione originaria. Politica e lavoro nel mercato mondiale, Verona, Ombre Corte, 2008, pp. 89-105. 29 Si vedano i contributi raccolti in G. Vertova (a cura di), Lo spazio del capitale. La riscoperta della dimensione geografica nel marxismo contemporaneo, Roma, Editori Riuniti, 2010. 30 Si veda R. Bellofiore, La teoria marxiana del valore come teoria macromonetaria dello sfruttamento, in R. Fineschi (a cura di), Karl Marx. Rivisitazioni e prospettive, Milano, Mimesis, 2005, pp. 142 ss. 31 K. Marx, Das Kapital, Bd. I, in MEW Bd. 23, p. 336, trad. it. di D. Cantimori, Il Capitale, Roma, Editori Riuniti, 1980, Libro I, p. 356. concretamente svolte passano nelle mani di questo capitalista senza violare la legge dell’equivalenza. Si tratta di un’acquisizione degli anni 1861-63. Se un capitalista usa una macchina che gli permette di sfruttare una maggiore forza produttiva del lavoro, egli potrà «vendere la merce al di sotto del suo valore sociale, benché la venda al di sopra del suo valore individuale»32. Anche se può sembrare che il plusvalore provenga dalla vendita, e quindi dalla circolazione, esso è determinato dal differenziale tra il tempo di lavoro impiegato a produrre una data merce e il tempo di lavoro socialmente necessario in essa oggettivato. La Fata Morgana della circolazione svanisce non appena si vede come in essa «un minor numero di ore di lavoro diventa (…) uguale a un maggior numero di ore di lavoro del lavoro medio»: il capitalista «paga il lavoro come lavoro medio e lo vende per quello che è, lavoro superiore (höhere Arbeit)»33. La stessa questione viene ripresa e nuovamente esposta esposta nel Capitale34. L’immediata ripercussione di un’innovazione tecnologica è infatti il prolungamento del tempo e l’aumento dell’intensità di lavoro là dove l’innovazione non è ancora impiegata: «Una delle prime conseguenze dell’introduzione di nuovo macchinario, prima che esso sia diventato dominante nel suo ramo di produzione, è il prolungamento del tempo di lavoro dei lavoratori che continuano a lavorare con i vecchi e imperfezionati mezzi di produzione»35. Se l’introduzione sporadica di un nuovo macchinario permette, ai capitalisti che lo impiegano, di sfruttare lavoro la cui forza produttiva è superiore a quella del lavoro socialmente necessario, ne segue che i capitalisti che ancora non dispongono dell’innovazione tecnologica possono continuare a concorrere nel mercato mondiale solo estendendo o intensificando il tempo di lavoro dei lavoratori che essi sfruttano, aumentando il grado di condensazione (Verdichtungsgrad) attraverso un «più fitto riempimento dei pori del tempo di lavoro»36. Infatti «l’ora più intensa (die intensivere Stunde) della giornata di dieci ore contiene tanto lavoro, ossia forza-lavoro spesa, quanto l’ora più porosa (die porösere Stunde) della giornata lavorativa di dodici ore»37. Anche astraendo dalla quantità di plusvalore relativo prodotto come conseguenza dell’aumento della forza produttiva del lavoro, il macchinario dà luogo a una intensificazione del lavoro, sia per l’aumento della velocità imposto dal macchinario, sia per l’aumento del volume di macchinario. «Non appena il nuovo metodo di produzione comincia a guadagnare terreno [...] i capitalisti che continuano a lavorare secondo i vecchi sistemi di produzione devono vendere le loro merci al di sotto del loro pieno prezzo di produzione, perché il valore di queste merci è diminuito ed il tempo di lavoro necessario per la loro produzione è superiore a quello sociale».38 Poiché le merci prodotte dai diversi capitalisti valgono per quanto lavoro socialmente necessario esse contengono, si darà un trasferimento di plusvalore da capitali che sfruttano lavoro meno produttivo verso quelli che sfruttano lavoro potenziato. Ed è per non soccombere che i primi, fino a che non possono disporre della stessa forza produttiva del lavoro, 32 MEW 43, p. 315, trad. it. in K. Marx, Manoscritti del 1861-1863, a cura di L. Calabi, Roma, Editori Riuniti, 1980, p. 336. 33 MEW 43, p. 315; trad. it., p. 336. 34 MEW 23, pp. 336-8, trad. it., pp. 356-8: «Supposto che la giornata lavorativa normale di 12 ore costi 12 scellini (6 pence all’ora) e che in 12 ore si fabbrichino 12 pezzi, l’introduzione di una macchina che raddoppia la forza produttiva permetterebbe di produrre, in una giornata, 24 pezzi, cosicché ogni pezzo viene ora a contenere solo 3 pence di lavoro anziché 6. Accade quindi che «il valore individuale di questa merce sta ora al di sotto del suo valore sociale»; ma poiché il suo valore reale è quello sociale, e non quello individuale, il capitalista che sfrutta il nuovo macchinario, può ottenere 3 pence di plusvalore straordinario per ogni pezzo. Oppure può scegliere di ottenere meno Extramehrwert, ridurre il prezzo delle merce e spiazzare la concorrenza. In una lettura consonante con quella qui presentata, Riccardo Bellofiore osserva come nella nozione marxiana di valore sia presente sin dall’inizio la «concorrenza (dinamica) di un capitale in opposizione agli altri capitali»: R. Bellofiore, Teoria del valore e processo capitalistico. Note di teoria marxiana, in «Vis-à-Vis», n. 6 (1998), p. 223. 35 MEW 43, p. 323, trad. it., p. 345. 36 Cfr. MEW 23, p. 431, trad. it., p. 454. 37 MEW 23, pp. 432-433, trad. it., p. 454. 38 K. Marx, Das Kapital, Bd. 3, in MEW 25, p. 275, trad. it., Il Capitale, trad. it. a cura di M.L. Buggeri, Roma, Editori Riuniti, 1980, p. 319. devono aumentare intensità e durata del lavoro da essi sfruttato. D’altra parte i benefici derivanti dall’impiego di macchine e di lavoro potenziato sono possibili solo sfruttando lavoro la cui forza produttiva è superiore a quella del lavoro socialmente necessario. Quest’ultima quindi, nel mercato mondiale, deve essere trattenuta verso il basso, impedendo che le nuove tecnologie si diffondano in tutte le branche della produzione e in ogni Paese. I vantaggi derivanti dallo sfruttamento di un lavoro high tech, con una maggiore forza produttiva, possono essere realizzati e preservati dal capitale solo mantenendo e producendo violentemente differenziali di salario e di forza produttiva del lavoro, in modo da garantire l’estrazione di quel plusvalore straordinario che deriva dall’aumento della forza produttiva attraverso l’utilizzo di una nuova macchina. Questi trasferimenti di plusvalore sociale avvengono nel processo di circolazione sfruttando le differenze tra capitali con composizione organica diversa, e specificamente i differenziali tra forze produttive39. Ne segue che il capitale si globalizza in funzione dell’esigenza di trovare, produrre e conservare differenziali di salario e di produttività del lavoro. L’intervento costante della violenza extraeconomica segna, come un basso continuo, l’andamento della lunga accumulazione originaria40, disciplinando e controllando la mobilità della forza-lavoro migrante, continuando l’espropriazione di terre e la lunga guerra contro proprietà e diritti collettivi, trasformando anche la fame in business41. Le diverse forme di sfruttamento si intrecciano fra loro poiché le diverse forme di estorsione di plusvalore si combinano e implicano a vicenda. Da questa nuova prospettiva, raggiunta da Marx sul piano categoriale della concorrenza fra capitali, non è più possibile parlare di forme arretrate o residuali. Se è vero che il registro delle punizioni del sorvegliante prende il posto della frusta del sorvegliante di schiavi42, è anche vero che queste diverse forme di comando esistono una accanto all’altra e scandiscono all’unisono un medesimo tempo quando la legge del valore si impone nel mercato mondiale. Non appena forme di lavoro apparentemente anacronistiche come la schiavitù o la corvè «vengono tirate dentro un mercato mondiale in cui domina il modo di produzione capitalistico (…) allora sull’orrore barbarico della schiavitù, della servitù della gleba ecc. s’innesta l’orrore civilizzato del sovraccarico del lavoro»43. L’immagine più adeguata di questa combinazione sono le forme ibride (Zwitterformen) di sussunzione44. Si tratta di forme nelle quali il pluslavoro viene estorto mediante coazione diretta (direkter Zwang), senza che ci sia sussunzione formale del lavoro al capitale. Queste forme possono essere intese come forme di transizione, ma possono anche essere «riprodotte sullo sfondo della grande industria»45. Le forme ibride permettono di comprendere la contemporaneità di forme apparentemente anacronistiche come la schiavitù, forme che vengono prodotte e riprodotte sullo sfondo dell’attuale modo di produzione capitalistico46. 39 Simile è l’analisi svolta da K. Karatani, Transcritique: On Kant and Marx, Boston, MIT, 2003, p. 11 e p. 227, che spiega il plusvalore a partire da una differenza tra value systems. Poco soddisfacenti le conclusioni di Karatani, che cerca di pensare politicamente la complementarietà tra produzione e circolazione come incontro tra produttori e consumatori nel LETS (Local Exchange Trading System) basato su uno scambio non mercantile. 40 Cfr. M. Tomba, Forme di produzione, accumulazione, schiavitù moderna, in Sacchetto e Tomba, La lunga accumulazione originaria, cit., pp. 106-22. 41 Wall Street a caccia dei campi africani, intitolava La stampa del 3.8.2009 un servizio che spiegava come «nell’Africa subsahariana soltanto dal 2 al 10 per cento dei contadini può dimostrare con un atto legale che possiede ciò che coltiva. Gli espropri sono facilissimi». 42 MEW 23, p. 447, trad. it., p. 469. 43 MEW 23, p. 250, trad. it., p. 270. 44 MEW 23, p. 533, trad. it., p. 557. 45 MEW 23, p. 533, trad. it., p. 557. 46 Marcel van der Linden, contrariamente alla tesi marxista secondo cui la schiavitù sarebbe, nel modo di produzione capitalistico, un’anomalia, sostiene che il capitalismo è compatibile con diverse forme di lavoro, inclusa la schiavitù e il lavoro salariato non libero: M. van der Linden, Plädoyer für eine historische Neubestimmung der Welt-Arebeiterklasse, in «Social.Geschichte», n. 20 (2005), pp. 7-28; Id., Warum gab (und gibt) es Sklaverei im Kapitalismus? Eine einfache und dennoch schwer zu beantwortende Frage, in M.E. Kabadayi und T. Reichardt (Hg.), Unfreie Arbeit. Ökonomische und kulturgeschichtliche Perspektiven, Hilesheim, Georg Olms Verlag, 2007, pp. 260-79. Nimtz, infine, sottolinea che se per Tocqueville l’oppressione razziale e la schiavitù negli USA erano fattori marginali del sistema politica, per Marx «were key to understanding economic and political developments not only in America but worldwide»: A.N. Nimtz, Lo sfruttamento del lavoro minorile nei paesi asiatici e orari di lavoro che arrivano alle diciotto ore al giorno47 non vanno inventariati come casi di sottosviluppo capitalistico, ma esprimono l’attuale livello di produzione di plusvalore sociale. Le diverse forme di produzione esistenti contemporaneamente in spazi geografici diversi sono integrate in modo tale da impedire qualsiasi considerazione in termini di forme sviluppate e arretrate. A ragione Sergio Bagù affermò che la società coloniale non fu feudale, ma di «capitalismo coloniale […]. L’America Latina nasce per integrare il ciclo del capitalismo nascente, non per prorogare l’agonia del ciclo feudale».48 Se si assume fino in fondo la compenetrazione reciproca tra plusvalore assoluto e plusvalore relativo, allora la distinzione tra Nord e Sud del mondo, tra primo, secondo e terzo mondo, o, se si vuole, tra centro, semiperiferia e periferia con capitalismi “avanzati” e “arretrati”, perde ogni significato.49 Non è più possibile ragionare in termini di tendenza e di residuo: le diverse forme di sfruttamento andrebbero piuttosto pensate in un multiverso storico-temporale, nel quale esse si intrecciano nella contemporaneità del presente. La storia del capitale, osserva Bensaïd, è sempre sottomessa ai tempi discontinui dei rapporti di scambio, di sfruttamento e di dominio, mostrandosi «come un processo di determinazione ritmica, che inverte continuamente nuove armonie in disarmonie»50. Il modo di produzione capitalistico, lasciato libero di svilupparsi, di realizzare la propria tendenza, si presenterebbe come un immane processo di distruzione che non solo abbasserebbe i salari fino alla soglia minima di sopravvivenza dei lavoratori, ma desertificherebbe anche l’intero pianeta. Vi sono però controtendenze che riorientano continuamente quella tendenza: la tendenza, di per sé astratta, è reale solo nel complesso delle controtendenze. In una lettera a Kugelmann, scritta subito dopo la pubblicazione de Il Capitale, leggiamo: «la scienza consiste appunto in questo: svolgere come la legge del valore si impone. Se dunque volessimo “spiegare” a priori tutti i fenomeni apparentemente contrastanti con la legge, bisognerebbe dare la scienza prima della scienza (die Wissenschaft vor der Wissenschaft)»51. È questo il modo in cui Marx ragiona. Ha bisogno di disegnare lo sfondo, cioè «come la legge del valore si impone», per poter poi far emergere le controtendenze, i «fenomeni apparentemente contraddittori». Le controtendenze sono solo apparentemente contraddittorie perché il quadro complessivo è dato dalle figure sopra lo sfondo, che, una volta riempito di soggetti, assume un significato interamente nuovo. Così quando Marx ragionava sulla caduta tendenziale del saggio di profitto, la sua attenzione andava alle «forze antagonistiche che ostacolano, rallentano e parzialmente paralizzano questa caduta (…)» dandole il carattere «della tendenza»52. Per la stessa ragione riempie il primo libro di materiali storici – i precipitati della lotta di classe – per mostrare come la tendenza del capitale sia in sé una pura astrazione, poiché questa è piuttosto la risultante di un urto con la legislazione sul lavoro minorile, con la legge sulle dieci ore e i ritmi sincopati delle insorgenze operaie. Il rapporto tra storia e logica nel Capitale è analogo a quello tra valore d’uso e valore di scambio nell’analisi della merce, ciò che conta è la parallasse53. Lo spostamento marxiano di prospettiva non è verso la totalità, ma verso una parte: il valore d’uso operaio, la corporeità vivente del lavoratore. Marx mette innanzi tutto in discussione la pretesa oggettività e neutralità del punto di vista. Non per cercarne uno capace di rappresentare l’oggetto nella sua totalità. La Marx, Tocqueville and Race in America. The “Absolute Democracy” or “Defiled Republic”, Lanham, Lexington Books, 2003, p. VIII e pp. 121 ss. 47 Secondo i dati dell’ILO i minori costretti a lavorare nel mondo sono circa 218 milioni, di cui più di 132 milioni sono impiegati nel lavoro agricolo ed hanno un’età compresa tra i 5 e i 10 anni. Di questi, almeno 400 mila vengono sfruttati nella “civile” e “moderna” Italia (il manifesto, 12 giugno 2007). Sempre l’ILO ci informa che nel 2006 circa 600 milioni di lavoratori hanno orari superiori alle 48 ore settimanali. 48 S. Bagù, Economias de la Sociedad Colonial, Buenos Aires, Ateneo, 1949, p. 260. 49 Si veda al riguardo A.G. Frank, Per una storia orizzontale della globalizzazione, a cura di A. Vitale, Soneria Mannelli, Rubbettino, 2004. 50 D. Bensaïd, Marx l’intempestivo. Grandezze e miserie di un’avventura critica, Roma, Alegre, 2007, pp. 292-3. 51 Marx a Kugelmann 11 luglio 1868. 52 MEW 25, p. 249, trad. it., p. 290. Osserva Bensaïd che «coloro che pretendono di dedurre dalla legge della caduta tendenziale una teoria del crollo automatico e immanente del capitalismo non comprendono ciò che la tendenzialità e il passaggio dalla legge economica alla strategia politica implicano in Marx»: Bensaïd, Marx l’intempestivo, cit., p. 310. 53 Su questo punto si veda Karatani, Transcritique, cit., p. 160. prospettiva è quella del lavoro vivo, lavoro effettivamente erogato nel processo lavorativo, dove la corporeità vivente del lavoratore viene effettivamente messa al lavoro e dove essa, al tempo stesso, cerca di resistere allo sfruttamento54. Non c’è nulla di antropologicamente naturale nell’essere costretti a un lavoro più o meno ripetitivo per otto o più ore al giorno. È nella produzione, e non nella circolazione dove si incontrano liberi soggetti di diritto, che si mostra l’ingiustizia assoluta. Non c’è salario che possa risarcire la corporeità vivente del lavoratore costretto a un lavoro ripetitivo e nocivo. Assumere la non neutralità del punto di vista di questa parte è la prospettiva del Capitale contro il capitale. 3. Strati di tempo Questo livello della riflessione marxiana porta, con Marx o al di là di Marx, a ripensare criticamente il paradigma stadiale della temporalità dei Grundrisse. Karl Korsch aveva già osservato come la «teoria marxiana dello sviluppo sociale poggia sulla cognizione critica del carattere illusorio di quel “cosiddetto sviluppo storico … (che) si fonda in generale sul fatto che l’ultima forma considera le precedenti come semplici gradini (Stufen) che portano ad essa… e le concepisce sempre unilateralmente” (MEW 19, 636, trad. it. cit., p. 251-2). Proprio là dove Marx apparentemente accetta questa metafisica dell’evoluzione, ingenua e pseudo-darwiniana (…), egli ha in realtà formalmente rovesciato la sua struttura intrinseca e con ciò soppresso il suo carattere metafisico»55. La genesi del modo di produzione capitalistico non può essere indagata ricercando una catena causale che l’avrebbe fatto sbocciare come un fiore dal bocciolo medievale. La produzione capitalistica «si sviluppa contemporaneamente allo sviluppo delle sue condizioni»56, i suoi presupposti storici, il lavoro salariato, la «trasformazione di prestazioni in natura in prestazioni in denaro», la presenza di «una massa di denaro sufficiente per la circolazione e per la tesaurizzazione», hanno luogo come processi relativamente indipendenti e vanno pensati in rapporto al modo di produzione capitalistico non secondo un prima e un dopo, ma come combinazione di diverse temporalità storiche. Si potrebbe avanzare l’ipotesi che, senza la violenza dello Stato, senza la produzione di proletari, senza la dissoluzione dell’autorità dello Hausvater e dei vincoli corporativi, senza il disciplinamento dei lavoratori formalmente liberi, senza enclosures e separazione tra mezzi di produzione e condizioni di vita dei lavoratori e delle lavoratrici, senza queste ed altre storie, senza la loro sincronizzazione, il modo di produzione capitalistico non sarebbe sorto. Althusser parla al riguardo di una «processus de rencontre aléatoire»: «ogni modo di produzione è costituito da elementi indipendenti gli uni dagli altri, ciascuno è il risultato di una storia propria, senza che vi sia alcun rapporto organico e teleologico tra le diverse storie. Questa concezione culmina nella teoria dell’accumulazione primitiva, dove Marx, ispirandosi a Engels, ha ricavato un magnifico capitolo nel Capitale, il suo vero cuore»57. Althusser afferma che spesso Marx ed Engels hanno lavorato con una storia teleologica, nella quale il carattere aleatorio dell’incontro di elementi diversi cede il posto a una storia orientata secondo un fine, cosicché i diversi elementi storici vengono a incastrarsi organicamente in quella teleologia. Il loro incontro non sarebbe aleatorio, ma in un qualche modo predeterminato. Ad esempio ciò accade quando si presenta il proletariato come il prodotto dell’espropriazione capitalistica, come se il modo di produzione capitalistico potesse preesistere al suo elemento essenziale: la «main-d’oeuvre dépossédée». In una concezione di questo genere, «le storie in senso proprio non fluttuano più nella storia come gli atomi nel vuoto, a favore di un rencontre che può anche non aver luogo». In questa concezione organica tutto è compiuto in anticipo, «la struttura precede i suoi elementi e li riproduce per 54 R. Bellofiore, Quelli del lavoro vivo, in Id. (a cura di), Da Marx a Marx?, Roma, manifestolibri, 2007, pp. 197-250 K. Korsch, Karl Marx, Bari, Laterza, 1969, p. 33. 56 K. Marx, Das Kapital, Bd. 2, in MEW 24, p. 345, trad. it. a cura di R. Panzieri, Roma, Editori Riuniti, 1980, p. 360. 57 L. Althusser, Ecrits philosophiques et politiques, Tome I, Stock/Imec, 1994, p. 572, trad. it. Sul materialismo aleatorio, Milano, Unicopli, 2000, p. 109. 55 riprodurre la struttura»58. Se si dovesse però seguire il Matérialisme de la rencontre di Althusser si rischierebbe di avere tanti modi di produzione quante sono le possibilità di incontro tra gli elementi distinti, o quanto meno si dovrebbe parlare di diversi modi di produzione capitalistici. La questione è che molti di quegli elementi si annodano e funzionano solo se combinati, cosicché quelle distinte temporalità storiche vengono catalizzate verso una configurazione, che, certo, avrebbe potuto anche non aver luogo. In Italia, nonostante la finanza, la tecnologia e la manodopera il capitalismo non riuscì a svilupparsi. Mancava ciò che Machiavelli esortava a mettere in forma al più presto: uno Stato. È infatti lo Stato ad operare una prima violenta sincronizzazione delle diverse temporalità storiche, a produrre, come effetto della concentrazione della Gewalt e come reazione alle lotte di emancipazione dei serventi, lavoratori formalmente liberi e contrattualizzazione dei rapporti di lavoro. Prodotti gli individui e trasformati in proletari una parte di essi, bisognava disciplinarli al lavoro59: distruggere i precedenti rapporti consuetudinari e imporre il diritto astrattamente uguale in quella che sarà la lunga guerra dei Cent’anni contro i diritti collettivi60. Da questa prospettiva la modernità capitalistica non è l’esito teleologicamente necessario di una successione di stadi storici, ma piuttosto una reazione alle lotte dei serventi e alle eresie cristiane, come quella dei contadini di Müntzer61, che in nome della regola vitam communem ducere e del grido di battaglia omnia sunt communia, si contrapponevano alla autorità dei signori mandando in frantumi l’edificio medievale nel quale le disuguaglianze trovavano ancora una giustificazione ontologica. Ma l’uguaglianza rivoluzionaria di quelle prime insorgenze è stata piegata nell’eguaglianza del diritto; i suoi autori, liberatisi dalle pastoie degli antichi vincoli corporativi, furono trasformati in soggetti di diritto e lavoratori salariati formalmente liberi. Marx contrappone alla storiografia borghese, che legge la trasformazione dei produttori in lavoratori salariati nei termini radiosi della liberazione dalla servitù e dalla coercizione corporativa, la storiografia materialista, che scrive invece la storia a lettere di sangue e fuoco dei neoaffrancati diventati venditori di se stessi62. La storia di questo «peccato originale» non serve solo a mostrare i tratti tutt’altro che idillici dell’accumulazione originaria, ma anche e soprattutto la possibilità di un’altra storia. Una storia che avrebbe potuto iniziare all’origine della modernità, segnandone un corso diverso. Invece quella possibilità fu repressa e i suoi autori trasformati da sudditi e servi di un principe in soggetti di diritto liberi ed eguali, cioè sudditi dello Stato e venditori della propria forzalavoro al capitale. La temporalità storica della modernità capitalisitica, in quanto reazione e neutralizzazione di quelle insorgenze, è anche la risultante di quei vettori, che frizionano gli uni sugli altri e carsicamente riemergono nel corso della modernità, mostrando, sempre di nuovo, la possibilità di un’altra storia. La questione riguarda quindi l’interazione fra livelli non-contemporanei di un multiversum storico63 per l’altra possibilità della storia: non l’uscita dal tunnel della crisi, ma il deragliamento dai binari della modernità. Se la sincronizzazione è data dalla temporalità del lavoro socialmente necessario64, gli anacronismi vanno letti non in termini di arretratezza, ma come tempi non sincronizzati dalla 58 Ivi, p. 111. «La prima generazione di operai di fabbrica era stata istruita dai padroni sul valore del tempo; la seconda generazione formò le sue commissioni per la riduzione d’orario nell’ambito del movimento delle dieci ore; la terza generazione scioperò per lo straordinario come tempo maggiorato del 50 per cento. Gli operai avevano accettato le categorie dei loro padroni e avevano imparato a lottare all’interno di esse; avevano appreso la loro lezione – che il tempo è denaro – anche troppo bene»: E.P. Thompson, “Tempo, disciplina del lavoro e capitalismo industriale”, in Id., Società patrizia cultura plebea, Torino, Einaudi, 1981, p. 33. 60 M. De Certeau, La presa della parola e altri scritti politici, Roma, Meltemi, 2007, p. 203. 61 E. Bloch, Thomas Müntzer als Theologe der Revolution, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1969, trad. it., Thomas Münzer. Teologo della rivoluzione, Milano, Feltrinelli, 1980. Cfr. M. Farnesi Camellone, La politica e l’immagine. Saggio su Ernst Bloch, Macerata, Quodlibet, 2009. 62 MEW 23, p. 743, trad. it. cit., p. 779. 63 Costante, anche in ciò che segue, è il riferimento a E. Bloch, Erbschaft dieser Zeit, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1985, pp. 104 ss.; si veda anche R. Bodei, Multiversum. Tempo e storia in Ernst Bloch, Napoli, Bibliopolis, 1979. 64 Ho sviluppato questi aspetti in M. Tomba Historical Temporalities of Capital: An Anti-Historicist Perspective, in «Historical Materialism», Vo. 17, Nr. 4 (2009), pp. 44-65. 59 macchina capitalistica e come controtempi di insorgenze operaie. Abbandonare quella metafisica della storia significa anche riconsiderare il colonialismo: «Per quanto riguarda il caso delle Indie Orientali, è a tutti noto, fatta eccezione per H. Maine e altra gente della stessa schiatta, che là la soppressione violenta della proprietà comune della terra fu solo un atto del vandalismo inglese, che spinse gli autoctoni non in avanti, ma indietro (nicht nach vorn, sondern nach rückwärts stieß)».65 L’azione del colonialismo inglese e la distruzione della proprietà comune della terra vengono ora visti da Marx come fenomeni regressivi66. Abbandonato il paradigma crollista e la concezione unilineare dello sviluppo storico, anche il rapporto tra crisi, storia e politica si riconfigura. La crisi investe l’intero sistema sociale occidentale in «in lotta contro la scienza, contro le masse popolari e contro le forze produttive da esso create»67. Il modo di produzione capitalistico è condannato per la sua incapacità di sviluppare la tecnica e il processo sociale di produzione senza minare al tempo stesso le fonti di ogni ricchezza, vale a dire la terra e il lavoratore. Il punto di osservazione è ora la comune russa, in quanto contemporanea della produzione capitalistica e, al tempo stesso, possibilità altra rispetto al corso dell’accumulazione e della modernità capitalistica. Il modello storiografico non è più lineare: la «storia della decadenza delle comunità primitive (si commetterebbe un errore a volerle mettere sulla stessa linea [sur la même ligne]; come nelle formazioni geologiche [formations géologiques], ci sono, nelle formazioni storiche, tutta una serie di tipi primari, secondari, terziari ecc.) è ancora da scrivere»68. L’immagine della linea storica è sostituita da quelle delle formations géologiques, degli strati di tempo sovrapposti e compresenti69. L’indagine deve fare attenzione agli scorrimenti e agli attriti fra strati diversi. Agli urti fra temporalità storiche non sincronizzate. Il modo di produzione capitalistico, la sua dismisura si mostra ora come immane meccanismo di distruzione. Volatilizzato il valore d’uso nel valore di scambio, il processo di valorizzazione si presenta come «processo di distruzione» delle «fonti dalle quali sorge tutta la ricchezza: la terra e il lavoratore»70. Dopo la lettura del libro di Fraas71, Marx scrive a Engels che il primo effetto della Kultur in agricoltura è rendere i campi sterili, perché «quando la Kultur avanza spontaneamente e non è controllata in modo cosciente, lascia dietro di sé deserti»72. La “questione ecologica” non è contrapposta a quella del lavoro, infatti «ogni progresso dell’agricoltura capitalistica costituisce un progresso non solo nell’arte di rapinare il lavoratore, ma anche nell’arte di rapinare il suolo; ogni progresso nell’accrescimento della sua fertilità per un dato periodo di tempo, costituisce insieme un progresso della rovina delle fonti durevoli di questa fertilità»73. 65 Marx, Brief an V.I. Sassulitsch, Dritter Entwurf, in MEW 19, p. 402. Osserva Mohri in relazione a questo cambiamento di prospettiva che la "double mission" of British free trade should be interpreted not in the sense of a combination of "the destruction of the old society" and "the regeneration of a new society," as Marx thought up to the late 1850s, but rather in the sense of a double mission of destruction, meaning both "the destruction of the old society" and the destruction of some of the essential conditions for "regeneration of a new society"»: Mohri, Marx and “Underdevelopment”, cit., p. 41. 67 Marx a V. Zasulič, Prima bozza, in Rjazanov, Marx–Engels Archiv, cit., pp. 319; MEW 19, pp. 385-6. 68 Cfr. Marx a V. Zasulič, Prima bozza, in Rjazanov, Marx–Engels Archiv, cit., p. 320; MEW 19, pp. 386, trad. it. parziale in Marx e Engels, India, Cina, Russia, cit., pp. 303-14. 69 In u altro contesto, Koselleck osserva che la «metafora spazializzante, che permette di pluralizzare il concetto di tempo, ha un vantaggio. “Strati temporali” (Zeitschichten) rimandano, come nel modello geologico, a più livelli di tempo (Zeitebenen) di diversa durata e differente provenienza, ma che ciononostante sono contemporaneamente presenti e attivi»: Koselleck, Zeitschichten, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2001, p. 9. Secondo K.P. Anderson, Marx’s Late Writings on Non-Western and Precapitalist Societies and Gender, in «Rethinking Marx», vol. 14, n. 4 (2002), pp. 87-88, gli studi storici di Marx lo avrebbero portato, nei primi anni Settanta, a considerare «alternative pathways» rispetto a quello dell’industrializzazione capitalistica. In questo senso, il nocciolo teorico dei Quaderni etnologici sarebbe costituito da un «modello multilineare di sviluppo storico» contrapposto a uno unilineare: ivi, p. 90. 70 MEW 23, p. 530, trad. it. p. 553. 71 C. Fraas, Klima und Pflanzenwelt in der Zeit : ein Beitrag zur Geschichte beider, Landshut, Krüll, 1847. 72 Marx a Engels, 25.3.1868. 73 MEW 23, p. 529, trad. it. p. 552. 66 Pensare la fine di questa crisi, come fa Marx, in termini di «ritorno delle società moderne al tipo “arcaico (archïque)” di proprietà comune»74, significa pensare la politica in una nuova congiuntura nella quale l’incontro fra temporalità storiche diverse, la comune agricola russa e la crisi del capitalismo, accende possibilità inedite di liberazione. Riprendendo Morgan, Marx scrive che le società moderne tendono a una «rinascita (a revival) in una forma superiore di un tipo sociale arcaico (archïque)». E glossa: «Solo non ci si deve far spaventare troppo dalla parola “arcaico”»75. Non si tratta infatti di un ritorno romantico all’arcaico. Questa veduta è ancora prigioniera di una concezione lineare della storia76. Si tratta invece di considerare lo spazio globale non come superficie omogenea del capitale, ma nelle striature delle controtemporalità, delle insorgenze e degli attriti che si danno fra strati di tempo diversi. Diritti comuni, consuetudini e forme comunitarie innescano continuamente forme di conflittualità assolutamente contemporanee a quelle dei paesi occidentali tecnologicamente più avanzati. Il ritorno all’arcaico è costituito da «un piano superiore di società (a higher plan of society)»77. Una società che organizza scientemente il lavoro in vista della soddisfazione dei bisogni della comunità umana. In un modo di produzione non capitalistico «l’uomo socializzato (der vergesellschaftete Mensch), cioè i produttori associati, regolano razionalmente il loro ricambio organico con la natura, lo portano sotto il loro controllo comunitario (gemeinschaftliche Kontrolle) invece di essere dominati da esso come da una forza cieca»78. Modi di produzione non capitalistici indicano da un lato la possibilità di una alternativa al capitalismo, dall’altro il carattere storicamente provvisorio della modernità capitalistica, che viene così confinata in un infimo segmento della storia umana. La storia va letta con un nuovo metro: «The time which has passed away since civilization began – ricopia Marx da Morgan – is but a fragment (u. zwar sehr kleines – aggiunge Marx in tedesco) of the past duration of man’s existence; and but a fragment of the ages yet to come»79. Calcolando in generazioni successive, la modernità capitalistica conta all’incirca 20 generazioni. Un piccolo episodio nella storia dell’umanità, che però è stato in grado di produrre un nuovo tipo umano individualista ed egoista. La compresenza e l’urto fra temporalità diverse mostra che le possibilità storiche non collassano nella sola temporalità unidirezionale della civilizzazione capitalistica, ma che al contrario percorsi alternativi vengono continuamente riaperti. 74 Marx a V. Zasulič, Prima bozza, in Rjazanov, Marx–Engels Archiv, cit., pp. 320; MEW 19, pp. 386. Ibidem. 76 W. Benjamin, Über den Begriff der Geschichte, in Id., Gesammelte Schriften, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1974, Bd. I/2, trad. it. in Id., Sul concetto di storia, Torino, Einaudi, 1997. 77 K. Marx, Ethnological Notebooks of Karl Marx, a cura di L. Krader, Assen, Van Gorcum, 1972, p. 139, trad. it. parziale (Quaderni: L.H. Morgan e H.S. Maine) in Id., Quaderni antropologici. Appunti da L.H. Morgan e da H.S. Maine, Milano, Unicopli, 2009, p. 90. 78 MEW 25, p. 828, trad. it. p. 933. 79 Marx, Ethnological Notebooks, cit., p. 139, trad. it. cit., p. 90: «Il tempo trascorso da che è cominciata la civilizzazione è solo un frammento (e certamente assai breve) della passata esistenza dell’uomo; ed un frammento delle età che verranno». 75