Postfazione
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Postfazione
Postfazione di Antonio Sileo* Uno dei vantaggi dello scrivere una postfazione, oltre a prendersi più libertà del prefatore, è che si può molto più speditamente iniziare in media res. Cosa che, in verità, a ben vedere viene già fatta in questo bel meta-racconto. E dunque iniziamo da il «Domani gliela ristampo» che Emma pronuncia all’indirizzo del suo “ragnetto”, prototipo di robot teleguidato, oggetto della sua tesi di laurea, ma anche vero e proprio mezzo di salvezza grazie alla sue capacità di movimento e comunicazione. Non “gliela riparo” o “gliela ricompro” ma proprio «gliela ristampo»; dandoci così subito un fondamentale indizio sulle attività dei “maker”, gli artigiani digitali che ormai costituiscono un ramificato e organizzato movimento culturale che rappresenta un’estensione e un’evoluzione tecnologica – potenzialmente professionalizzante – del tradizionale mondo del fai da te. Delle potenzialità (di rivoluzione) economica e industriale intrinseche all’approccio dei maker si è già fatto cenno nelle pagine e nelle schede di approfondimento precedenti. Possiamo però aggiungere qualche ulteriore, obliquo, spunto ispirato proprio dal funzionamento delle stampanti 3D. Queste, infatti, a differenza dei più grandi e costosi strumenti di produzione tradizionali, le (industriali) macchine a controllo numerico, non operano “per rimozione” partendo da un blocco di materiale sottraendone quantità variabili fino ad ottenere il manufatto desiderato, ma plasmano oggetti additivamente depositando materiale. 125 Tuttavia, oltre al materiale, sono le idee a sedimentarsi, contaminandosi e potenziandosi, questo è il vero valore aggiunto della fabbricazione digitale distribuita, che trova nei laboratori, come i Fab Lab, sparsi per il mondo, gli orti migliori. Questi, infatti, possono dare frutti locali per rispondere a bisogni globali, ma anche e soprattutto frutti nuovi, diversi da quelli della produzione di massa e a quest’ultima non necessariamente contrapposti. Frutti che, come nel caso della prototipazione rapida, possono essere fondamentali per imprese medio-piccole o artigianali, tanto più in un tessuto produttivo come quello italiano. Il fatto, poi, che oltre ad essere globalmente diffusi i laboratori sono strettamente e continuamente interconnessi permette, ci sia concesso, un’efficace teletrasporto delle idee. Come del resto avviene nel racconto, che peraltro, grazie allo stesso sponsor promotore, viene pubblicato ad un anno da “Marta non è ancora spacciata”, altro racconto lungo ambientato in un lontano (o prossimo?) 2027. Se allora, ricorrendo a uno dei percorsi classici della science fiction, quale la distopia, si faceva un balzo in avanti, focalizzandosi sull’energia prodotta così diffusamente da diventare tascabile; oggi con “Emma e il mistero del catino di cristallo”, concentrandosi sull’innovazione, si fa un passo laterale, che viene facile associare ad un pensiero laterale già presente sul territorio. La fabbricazione digitale distribuita, infatti, implica anche nuovi (indiretti) approcci ai problemi che, in fondo, riguardano poco le produzioni di massa ma afferiscono invece molto a nuove nicchie – non solo di mercato – che possono e potranno svilupparsi. Ed anche il nostro racconto, che non a caso evita accuratamente di contrapporre i nostri eroi ad una corporation, ne dà un’efficace esemplificazione, naturalmente un po’ estremizzata dalle esigenze di narrazione. L’approccio giallo è, infatti, rapidamente contaminato da stilemi della spy story. E agli appassionati di James Bond in 126 particolare – e siamo tanti – leggendo di videocamere a raggi infrarossi, quadricotteri, mini robot, etc., non può non venire in mente l’armamentario di cui solitamente dispongono, oltre alla temibile “licenza di uccidere”, gli agenti della Sezione 00 (Doppio Zero) della Mi6. Tuttavia, nel nostro caso, non c’è bisogno delle spiegazioni del Maggiore Geofrey Boothroyd, meglio noto come Q, né delle sue raccomandazioni sul riconsegnare intatto l’equipaggiamento (pagato dal contribuente) al termine della missione. Se proprio il nostro tecnologico gadget dovesse danneggiarsi o rompersi possiamo sempre riprodurlo, “da soli”. *Ricercatore IEFE-Università Bocconi, direttore dell’Osservatorio Innov-E sull’innovazione energetica dell’I-Com, Istituto per la Competitività, pubblicista ed editorialista della Staffetta Quotidiana. 127