la superbia della vita: la vanagloria

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la superbia della vita: la vanagloria
LA SUPERBIA DELLA VITA: LA VANAGLORIA
Il mondo, che – secondo la Parola di Dio – noi non dobbiamo amare, è costituito non solo dalla concupiscenza
degli occhi, della quale abbiamo già parlato nella riflessione di ieri, ma anche dalla superbia della vita, che si
manifesta, fra l‟altro, nella vanagloria, sulla quale ci intratterremo nella riflessione di questa sera.
La vanagloria, che i Padri greci chiamavano cenodossia, è il tarlo della vita spirituale. Tante azioni buone che
noi compiamo sono del tutto rovinate da questa passione. Basta che riascoltiamo quel brano del Vangelo che è
stato proclamato nella Messa del mercoledì delle Ceneri per rendercene conto:
“Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati,
altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l'elemosina,
non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere
lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai
l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e
il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che
amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In
verità vi dico: hanno gia ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera
e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”
( Mt 6,1-6).
Ascoltando questo brano non possiamo non condividere il pensiero dei Padri secondo i quali “la vanagloria è il
tarlo della vita spirituale”.
S. Francesco lo raccomandava caldamente ai suoi frati. Essi dovevano guardarsi attentamente dalla vanagloria :
“Ammonisco poi ed esorto nel Signore nostro Gesù Cristo – così egli scrive nella Regola bollata – che si
guardino i frati da ogni […] vanagloria” (cfr Rb 10, 8: FF 103).
I sintomi di quella malattia spirituale, che si chiama vanagloria
La vanagloria, secondo i Padri greci, è una malattia spirituale, fonte di altre numerose malattie, che spinge
colui che ne è vittima a mostrarsi fiero e a gloriarsi dei beni che egli possiede o crede di possedere, nonché a
desiderare di essere visto, considerato, ammirato, stimato, onorato, lodato e persino di essere adulato.
A. - I beni, di cui il vanitoso si mostra fiero, possono riguardare innanzitutto i beni materiali posseduti o quei
beni legati alla sua corporeità. È, questa, la prima specie di vanagloria, la più grossolana, quella che colpisce
più immediatamente, più facilmente e più abitualmente l‟uomo decaduto. Il vanitoso può, così, gloriarsi e
desiderare l‟ammirazione degli altri per i doni che la natura gli ha concesso, come bellezza (reale o presunta)
del suo corpo; ma anche per il portamento, la prestanza; per tutto ciò che contribuisce a dargli una bella
apparenza (abiti, profumi, gioielli); per la sua abilità manuale; per il suo savoir-faire in questo o in quel campo;
per le ricchezze e i beni materiali che ha potuto accumulare; per la macchina, per la casa, per la veste nuziale
ecc…
La vanagloria può costituire il motore di un‟altra passione: l‟avarizia, della quale abbiamo già parlato, e
„avarizia a sua volta può portare l‟uomo a una maggiore vanagloria. Pertanto, vanagloria e avarizia si generano
a vicenda. Il vanitoso tende ad accumulare denaro e beni materiali, e il ricco di denaro e di beni materiali è
portato alla vanagloria.
Anche il piacere del lusso appare legato alla vanagloria, e quanto più un tale piacere è soddisfatto, tanto più
genera vanagloria. Inoltre, l‟aspirazione a raggiungere una situazione sociale più elevata può essere
determinata, anch‟essa, dalla vanagloria. Infine, la corsa al potere, sotto tutte le sue forme, o alle cariche
ecclesiastiche, può essere causata dalla vanagloria. Colui che ha il potere o ha una carica di prestigio ed è
posseduto dalla passione della vanagloria cerca di essere ammirato e lodato, e si sforza costantemente anche di
piacere agli altri onde conservare e far crescere una tale ammirazione, come pure allo scopo di conservare il
potere e i vantaggi che da esso ne derivano.
Su un piano più sottile, la vanagloria, per colui che ne è vittima, consiste nel mostrarsi fiero delle sue qualità
intellettuali: della sua intelligenza; della sua immaginazione; della sua memoria; ma anche della sua
conoscenza e del suo sapere; della padronanza del linguaggio; della capacità di parlare o di scrivere.
Il vanitoso cerca, per tutto questo, l‟attenzione, l‟ammirazione e le lodi degli altri. Anche l‟ambizione, nel
campo intellettuale e culturale, ma anche in altri campi, è molto spesso un prodotto della vanagloria.
B. – Esiste una seconda specie di vanagloria, individuata da S. Giovanni Cassiano, ed è quella che “si gonfia
dei beni spirituali e nascosti” (Conferenze, V,11) .
Nell‟uomo spirituale, ancora però sottomesso alle passioni, questa seconda specie di vanagloria coesiste con la
prima , della quale abbiamo appena parlato, e prende “del tutto” il suo posto quando egli ha superato
quest‟ultima, ossia quella vanagloria legata ai diversi beni materiali.
Questa seconda specie di vanagloria consiste, per chi ne è vittima, nel gloriarsi da sé o davanti agli altri per le
sue virtù e per la sua ascesi spirituale e nel ricercare per mezzo delle proprie virtù e della propria ascesi
l‟ammirazione e le lodi degli altri.
Così, quando l‟uomo si sforza di combattere le passioni e di praticare le virtù, egli viene a trovarsi
particolarmente assediato da questo secondo grado di vanagloria. A questo proposito, S. Giovanni Climaco fa
notare che “il demonio della vanagloria sente una gioia particolare quando vede che in qualcuno le virtù si
moltiplicano” (La Scala, XXI,3 ). Fa pure notare che “come la formica aspetta che avvenga la raccolta e che il
grano sia maturo, così la vanagloria aspetta che tutte le nostre ricchezze spirituali siano ammassate” (ib., 2).
Evagrio, poi, rileva che “tra i pensieri, solo quello della vanagloria e quello dell’orgoglio sopraggiungono
dopo la disfatta degli altri pensieri” (Riflessioni, 57). Anche S. Massimo fa notare che “se tu vinci le passioni
più vergognose, subito ti assalgono i pensieri della vanagloria” (Centurie sulla carità, III, 59).
La vanagloria, allora, è capace di prendere da sola, nell‟uomo, il posto di tutte le altre passioni prese insieme,
che nel combattimento spirituale dovessero essere state tutte sconfitte. La vanagloria possiede un potere
straordinario: il suo carattere sottile, la sua capacità di rivestirsi di varie forme, la sua capacità di scivolare
dovunque e attaccare l‟uomo da diverse parti, la rendono particolarmente difficile da percepire e da
combattere.
In realtà tutto nell‟uomo può costituire un motivo di vanagloria.
“Gli anziani (= i maestri di spirito) – scrive S. Giovanni Cassiamo – hanno graziosamente descritto la natura
di questa malattia, paragonandola a una cipolla: quando le si toglie una pelle, se ne ritrova subito un’altra, e
per tante che se ne tolgono, altrettante se ne ritrovano” (Istituzioni cenobitiche, XI, 4).
E S. Giovanni Climaco spiega: “Il sole brilla per tutti allo stesso modo, e la vanagloria trova gioia per tutte le
nostre attività. Per esempio, traggo vanagloria dal mio digiuno; poi, quando lo sospendo per non essere
notato, mi glorio della mia prudenza. Quando porto abiti belli, sono vinto dalla vanagloria e quando ne
indosso di poveri, ne traggo ancora vanità. Quando parlo, sono vinto da essa (= dalla vanagloria), e quando
sono in silenzio, ancora essa mi domina. La vanagloria è come quelle trappole a tre punte; in qualunque modo
tu le getti, una delle punte rimane sempre dritta” (La scala, XXI, 5).
Pertanto, Evagrio conclude che “è difficile sfuggire alla vanagloria, perché per quanto tu faccia per
sbarazzartene, tutto ciò diventa per te una nuova fonte di vanità” (Trattato pratico sulla via monastica, 30).
La sottigliezza della vanagloria è tale che può portare l‟uomo paradossalmente: a mostrarsi zelante nell‟ascesi;
a combattere alcune passioni; a praticare alcune virtù; a esercitare alcuni carismi.
Occorre, tuttavia, ricordare con i Padri: che ogni ascesi fatta sotto l‟impulso della vanagloria si rivela vana; che
le virtù praticate sotto l‟impulso della vanagloria sono illusorie e che i carismi ottenuti sotto l‟impulso della
vanagloria sono apparenti.
Noi a volte – ci dicono i Padri – vediamo uomini raggiungere risultati spirituali sorprendenti, ma ciò solo nel
tempo in cui si dedicano all‟ascesi sotto la spinta della vanagloria. Ma li vediamo penare miseramente e
inaridirsi quando sono posti nelle condizioni in cui questa passione, che li ispirava, non può più essere
esercitata. In verità i beni spirituali, così acquisiti, non hanno nessun valore dinnanzi a Dio.
Natura della “vanagloria”
La vanagloria è considerata dai Padri una malattia spirituale che immerge l‟uomo nell‟illusione e anche nel
delirio.
1) - Il carattere patologico della vanagloria sta essenzialmente nel fatto che essa non è se non una perversione
di un atteggiamento sano e naturale. La vanagloria, cioè, è costituita dalla deviazione del suo esercizio secondo
natura, deviazione che si esprime in un esercizio contro natura. Mi spiego.
Dio ha dato alla natura umana la possibilità di tendere alla gloria. Ma era la gloria divina che l‟uomo era
destinato a ottenere attraverso la sua unione con Dio, non la gloria umana che la passione della vanagloria
ricerca.
Questa distinzione tra le due forme di gloria, e cioè quella che proviene da Dio e quella che proviene dagli
uomini, si ritrova in molti testi biblici, come pure in molti testi di autori della Chiesa orientale. S. Giovanni
Climaco precisa chiaramente: “Vi è una gloria che viene da Dio, secondo la Parola della Scrittura:
“Glorificherò coloro che mi glorificano, dice il Signore” (1Sam 2,30) e vi è una gloria che proviene solo dalla
malizia artificiosa del demonio (La scala,XXI,36) e san Paolo scrive: “Chi si gloria, si glori nel Signore” (1Cor
1,31; 2Cor 10,17).
La gloria che l‟uomo riceve da Dio è la sola che – come scrive Origene – “ne merita veramente il nome”. È la
sola ad essere reale, assoluta ed eterna; la sola che corrisponde alla finalità della natura umana e l‟unica che sia
a misura della grandezza che Dio ha voluto conferire all‟uomo.
Ora, essendosi l‟uomo allontanato da Dio a causa del peccato, egli ha smesso di tendere verso questa gloria
divina, alla quale Dio lo destina. Tuttavia, dal momento che, anche dopo il peccato, l‟uomo continua ad avere
desiderio di gloria, egli dopo il peccato si volge al mondo sensibile per cercare di soddisfare questa tendenza
che è presente in lui. Nella gloria del mondo egli trova, così, un surrogato della gloria celeste e spirituale, che
purtroppo ha perso di vista. La ricerca della gloria del mondo appare, così, come il modo con cui l‟uomo
compensa miseramente, in sé, l‟assenza della gloria celeste e l‟assenza di tutto ciò che, unendolo a Dio, lo
renderebbe partecipe di questa gloria divina.
La vanagloria appare, dunque, come una perversione, ossia come un allontanamento patologico dalla tendenza
naturale dell‟uomo verso la glorificazione divina. E si tratta di una stessa tendenza, orientata, però, in due sensi
opposti e non di due tendenze di diversa natura che coesisterebbero indipendentemente l‟una dall‟altra.
Conseguentemente, i Padri della Chiesa osservano che la ricerca della gloria celeste e quella della gloria umana
(=vanagloria) sono antagoniste e si escludono a vicenda. Pertanto, lo sviluppo dell‟una si traduce
immancabilmente in un indebolimento dell‟altra.
Da aggiungere che la vanagloria costituisce una perversione patologica della natura anche in un altro senso.
Infatti, se il termine “natura” va inteso in senso molto generale per indicare tutti i beni che l‟uomo ha ricevuto
da Dio, sia che si tratti delle sue qualità naturali o acquisite, o delle sue virtù o anche dei beni materiali che egli
possiede, avviene che l‟uomo usando questi beni per la propria gloria anziché farli servire esclusivamente alla
gloria di Dio, egli “falsa la natura e la virtù stessa” (S. Massimo) e quindi la natura viene patologicamente
pervertita.
2) - La vanagloria è, dunque, una malattia spirituale. E‟ quanto abbiamo visto. Dobbiamo aggiungere che è una
malattia che immerge l‟uomo nell‟illusione. La vanagloria, infatti, rivela che l‟uomo si illude di avere fede in
Dio. Chi è schiavo della vanagloria, in verità pone fede non in Dio, ma negli uomini, dai quali si aspetta:
attenzione, stima, ammirazione, lodi e tutto ciò che può suscitare in essi questi atteggiamenti nei suoi confronti.
Diceva a questo proposito Gesù: “Come potete credere voi, che vi gonfiate gli uni gli altri e non cercate la
gloria che viene dal solo Dio!”(Gv 5,44).
Questa illusione di avere fede presuppone una ignoranza: “L’ignoranza di questa vita”. È, infatti, questa specie
di ignoranza che fonda una tale illusione di cui è vittima il vanitoso.
Questi, infatti, ignora: il valore vero delle cose, dalle quali egli trae gloria; come pure ignora il valore di questa
stessa gloria umana.
Egli, infatti, attribuisce alle cose, dalle quali trae gloria, una realtà e un‟importanza di cui esse in verità sono
sprovviste.
Egli si comporta come se le cose, dalle quali egli trae gloria, avessero un valore assoluto, mentre - lo sappiamo
- sono molto fragili e provvisorie.
Egli ignora che solo la gloria divina è perfetta ed eterna, e che i motivi spirituali di glorificazione in Dio sono
gli unici ad essere autenticamente reali.
Pertanto, la vanagloria sembra includere una visione delirante della realtà, poiché, sotto il suo influsso, l‟uomo
smette di concedere realtà, valore e importanza a ciò che ne ha, per conferire realtà, valore e importanza a
quelle cose che ne sono sprovviste. La sua visione del mondo è, perciò, sconvolta e rovesciata.
3) - La vanagloria è, dunque, una malattia spirituale. E‟ una malattia spirituale che immerge nell‟illusione.
Dobbiamo, infine, aggiungere che è una malattia che immerge l‟uomo nel delirio. E‟, questo, un altro dei suoi
effetti patologici fondamentali, che giustifica come essa sia spesso qualificata dai Padri come “follia”.
La vanagloria è follia, perché sembra includere una visione delirante innanzitutto di se stessi: “La vanagloria –
scrive S. Giovanni Climaco – è una passione che ci fa vedere noi stessi diversamente da come in realtà siamo”
(La scala, XXI, 2). Per la vanagloria, infatti, l‟uomo si attribuisce delle qualità e delle virtù che non possiede, e
non vede invece i difetti e le passioni che in realtà gli sono propri (cfr ib).
Ma ammesso che l‟uomo, quando si gloria, si glori delle virtù che possiede veramente, di fatto egli ha una
visione delirante di sé. Infatti, da un lato egli con la sua vanagloria si considera come sorgente e proprietario di
queste virtù, mentre sono in verità dono di Dio e fondamentalmente appartengono a lui; dall‟altro lato, come
sottolinea giustamente S. Giovanni Climaco (cfr La scala, XXI, 10), allorché l‟uomo si gloria delle sue virtù,
cessa per ciò stesso di essere virtuoso, e così si vanta di ciò che non possiede più, e si viene così a trovare in
una visione delirante di sé.
Ulteriori effetti patologici, causati dalla “vanagloria”
Terminiamo mettendo in risalto come la vanagloria voti coloro che ne sono vittime ad ogni sorta di male:
•
Coloro, infatti, che agiscono con lo scopo di essere glorificati, hanno già ricevuto la loro
ricompensa (cfr Mt 6,2).
•
La vanagloria distrugge, inoltre, la pace interiore, mettendo agitazione nell‟anima, e ciò in diversi
modi.
•
Essa rende l‟uomo, prima di tutto, preoccupato di ottenere l‟ammirazione e le lodi che desidera.
•
Essa riempie, così, la sua anima di una preoccupazione costante e lo porta a un‟agitazione spesso
febbrile e ansiosa; tale preoccupazione si moltiplica quando non arriva ad essere soddisfatta.
•
Inoltre, frequentemente accade che il vanitoso non solo non riceve dagli altri l‟attenzione e
l‟ammirazione da lui pregustate, ma incontra anche il risultato opposto. Al posto delle lodi attese,
egli non suscita, nel migliore dei casi, che indifferenza; ancor peggio egli si attira odio, provoca
invidia e gelosia, fa nascere critiche e sarcasmi, soprattutto quando la sua vanagloria si manifesta
nelle sue parole o traspare nei suoi atteggiamenti.
•
Evidentemente una tale situazione non può generare nell‟uomo se non tristezza e angoscia, perché
egli è frustrato nel piacere che si attende dalla vanagloria, deve fare fronte poi all‟aggressività del
suo ambiente e deve, infine, preoccuparsi della ricerca più difficile di altri mezzi che lo facciano ben
figurare.
•
Sotto l‟influsso della vanagloria, infine, l‟uomo perde la sua autonomia e si rende schiavo non solo
della passione stessa, ma di tutti coloro dei quali egli ha bisogno per nutrirsi delle loro lodi. Egli
diventa, pertanto, schiavo di tutti per il desiderio di piacere a tutti e di ricevere da loro le lodi.
La vanagloria ha, come ulteriore effetto pericoloso e temibile, quello di immergere l‟uomo in un mondo di
fantasmi:
•
Sotto la sua ispirazione, infatti, l‟uomo si immagina di avere ogni sorta di qualità, di virtù, di
merito…, si immagina di trovarsi in situazioni che gli valgono considerazioni e lodi.
•
Ciò ha come prima conseguenza patologica quella di staccarlo dalla realtà che vive, di distogliere la
sua attenzione da ciò che lo circonda, di rallentare la sua attività dai suoi compiti più essenziali e di
paralizzare il suo dinamismo vitale fino a portare la sua anima in uno stato di intorpidimento.
Sul piano spirituale, gli effetti patologici della vanagloria sono anche molto estesi. Essa infatti: introduce
nell‟uomo la morte spirituale; turba e acceca il suo spirito; riduce considerevolmente la sua conoscenza;
distrugge le virtù che egli ha acquisito; rende totalmente inutili tutti i suoi sforzi ascetici e, a causa sua, molte
cose, che sono buone in se stesse, cessano di esserlo: infatti, l‟ascesi e le virtù hanno come funzione quella di
unire l‟uomo a Dio e di renderlo finalmente partecipe della gloria divina. Per la vanagloria l‟uomo allontana
l‟ascesi e le virtù da questa finalità normale, per farli servire alla propria gloria e per suscitare una gloria che
proviene dagli uomini o da se stesso e non da Dio come dovrebbe essere.
Questa perdita dei frutti dell‟ascesi e delle virtù, oltre a costituire in sé una catastrofe spirituale, ha come
conseguenza inevitabile quella di generare nell‟anima uno stato di sofferenza: l‟anima, privata dei suoi beni più
preziosi e del godimento spirituale che ne trarrebbe, si ritrova vuota, smarrita, si riempie di turbamento e di
inquietudine, e si vede votata ad una insoddisfazione permanente. Difatti, se il piacere che si collega alla
vanagloria può per qualche tempo colmare l‟anima, non potrà però per molto tempo conservare questo potere,
e ciò in ragione – lo abbiamo detto – del suo carattere parziale, fugace, irreale così come gli oggetti materiali
dei quali si nutre, e alla fine immerge l‟uomo nella delusione e nell‟amarezza.
Distruggendo le virtù acquisite, la vanagloria fa riapparire nell‟anima le corrispondenti passioni e in seguito
apre le porte a tutte le altre passioni:
•
La vanagloria introduce prima di tutto l‟orgoglio con tutte le passioni ad esso legate: giudizio,
disprezzo degli altri, spirito di dominio, amore del potere, indurimento del cuore, disobbedienza.
•
La vanagloria, poi, genera collera e tutti i suoi satelliti: odio, rancore, gelosia, discordie, discussioni
animate.
•
Da essa provengono anche menzogna, ipocrisia, parole vane, pusillanimità, lussuria, avarizia,
avidità, tristezza.
Si aggiunga, infine, che per i Padri della Chiesa i demoni giocano un ruolo molto attivo nella nascita e nello
sviluppo della vanagloria (cfr Jean-Claude Larchet, Terapia delle malattie spirituali, ed S.Paolo, 2003, pp. 226240).
Quando la malattia della “vanagloria” dovesse colpire la Chiesa
Se, poi, la vanagloria dovesse coinvolgere non l‟individuo, ma la Chiesa tanto locale che universale, allora,
come ha rilevato con lucidità Papa Francesco nella sua Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, le
conseguenze negative, che già abbiamo visto nell‟individuo, si ingigantirebbero come all‟infinito e si
manifesterebbero in quella che il Papa chiama “mondanità spirituale” , mondanità che “sarebbe infinitamente
più disastrosa di qualunque altra mondanità semplicemente morale” e che si nasconderebbe “dietro
apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa” ( n.93). Scrive il Papa:
[“Questa mondanità può alimentarsi specialmente in due modi profondamente connessi tra loro. Uno è
il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una
determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e
illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o
dei suoi sentimenti. L’altro è il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in
definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché
osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio
del passato. È una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista
e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare
l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare. In entrambi i casi, né Gesù Cristo né gli
altri interessano veramente. Sono manifestazioni di un immanentismo antropocentrico. Non è possibile
immaginare che da queste forme riduttive di cristianesimo possa scaturire un autentico dinamismo
evangelizzatore”].
“Questa oscura mondanità si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente opposti ma con la stessa
pretesa di “dominare lo spazio della Chiesa”. In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della
dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel
Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia. In tal modo la vita della Chiesa si trasforma in un
pezzo da museo o in un possesso di pochi. In altri, la medesima mondanità spirituale si nasconde dietro
il fascino di poter mostrare conquiste sociali e politiche, o in una vanagloria legata alla gestione di
faccende pratiche, o in un’attrazione per le dinamiche di autostima e di realizzazione autoreferenziale.
Si può anche tradurre in diversi modi di mostrarsi a se stessi coinvolti in una densa vita sociale piena
di viaggi, riunioni, cene, ricevimenti. Oppure si esplica in un funzionalismo manageriale, carico di
statistiche, pianificazioni e valutazioni, dove il principale beneficiario non è il Popolo di Dio ma
piuttosto la Chiesa come organizzazione. In tutti i casi, è priva del sigillo di Cristo incarnato, crocifisso
e risuscitato, si rinchiude in gruppi di élite, non va realmente in cerca dei lontani né delle immense
moltitudini assetate di Cristo. Non c’è più fervore evangelico, ma il godimento spurio di un
autocompiacimento egocentrico.
In questo contesto, si alimenta la vanagloria di coloro che si accontentano di avere qualche potere e
preferiscono essere generali di eserciti sconfitti piuttosto che semplici soldati di uno squadrone che
continua a combattere.
Quante volte sogniamo piani apostolici espansionisti, meticolosi e ben disegnati, tipici dei generali
sconfitti! Così neghiamo la nostra storia di Chiesa, che è gloriosa in quanto storia di sacrifici, di
speranza, di lotta quotidiana, di vita consumata nel servizio, di costanza nel lavoro faticoso, perché
ogni lavoro è “sudore della nostra fronte”. Invece ci intratteniamo vanitosi parlando a proposito di
“quello che si dovrebbe fare” – il peccato del “si dovrebbe fare” – come maestri spirituali ed esperti
di pastorale che danno istruzioni rimanendo all’esterno. Coltiviamo la nostra immaginazione senza
limiti e perdiamo il contatto con la realtà sofferta del nostro popolo fedele.
Chi è caduto in questa mondanità guarda dall’alto e da lontano, rifiuta la profezia dei fratelli,
squalifica chi gli pone domande, fa risaltare continuamente gli errori degli altri ed è ossessionato
dall’apparenza. Ha ripiegato il riferimento del cuore all’orizzonte chiuso della sua immanenza e dei
suoi interessi e, come conseguenza di ciò, non impara dai propri peccati né è autenticamente aperto al
perdono. È una tremenda corruzione con apparenza di bene.
Bisogna evitarla mettendo la Chiesa in movimento di uscita da sé, di missione centrata in Gesù Cristo,
di impegno verso i poveri. Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!
Questa mondanità asfissiante si sana assaporando l’aria pura dello Spirito Santo, che ci libera dal
rimanere centrati in noi stessi, nascosti in un’apparenza religiosa vuota di Dio. Non lasciamoci rubare
il Vangelo” (cfr nn.94-97).
La terapia per guarire dalla “vanagloria”
La terapia di questa malattia, che è la vanagloria, si rivela particolarmente delicata, perché essa si alimenta
persino di ciò che facciamo per combatterla ed è rafforzata dalla sua disfatta, come spiega S. Giovanni
Crisostomo: “Tutti i vizi, una volta dominati deperiscono e quando sono vinti s’indeboliscono di giorno in
giorno…La vanagloria, al contrario, una volta abbattuta, si riprende per attaccarci più aspramente e, allora,
quando la si crede spenta trae, nella lotta contro di essa, un supplemento di forza. Gli altri vizi generalmente
non attaccano se non quelle persone che essi (= i vizi) hanno vinto. Ma questo vizio (= la vanagloria)
perseguita più aspramente i suoi vincitori, e più lo si schiaccia energicamente, più approfitta della fierezza del
suo vincitore per attaccarlo con più violenza” (Istituzioni cenobitiche, XI, 7).
Alla luce di quanto abbiamo appena detto, ne consegue che colui che intraprende la terapia della vanagloria
dovrà dar prova, dall‟inizio fino alla fine, di grande discernimento spirituale e di costante vigilanza.
Una conoscenza dettagliata delle molteplici sfaccettature della vanagloria, dei suoi sotterfugi, delle sue
trappole, come pure dei mezzi che permettono di eludere le sue astuzie, costituisce pertanto, fin dall‟inizio, un
elemento fondamentale della sua profilassi come della sua terapia.
Potremo essere stimolati a combattere questa malattia che è la vanagloria, se prenderemo maggiormente
coscienza dei rischi che corriamo qualora essa dovesse prendere campo, quali per esempio quello di perdere
totalmente la ricompensa delle sofferenze che abbiamo fino ad allora sopportato, così come di tutte le virtù che
abbiamo acquistato, e di vederci poi alla fine ridotti a nulla secondo la parola del Salmista: “Dio ha disperso le
ossa di coloro che piacciono agli uomini” ( Sal 53 (54), 6).
Contribuiscono alla lotta contro la vanagloria la meditazione e il timore del giudizio divino, sia per il presente
che per il futuro, giudizio cui si riferisce in particolare questa parola di Cristo Gesù: “Chiunque si innalza, sarà
abbassato” (Lc 14,11).
Adesso vediamo qual è la terapia, proposta dai Padri, per guarire da questa malattia spirituale che è la
vanagloria. Si tratta di una terapia diversificata, che tiene conto delle diverse manifestazioni di questo vizio.
a) - Proprio perché la vanagloria è ricerca della gloria umana, mondana, terrena, se vogliamo guarire,
dobbiamo riconoscere la vanità di tale gloria, prendendo coscienza, in particolare, dell‟inconsistenza
dei suoi fondamenti e della nullità dei fini che persegue. La morte rivela la piena misura della vanità e
caducità delle cose terrene, che la vanagloria ha per oggetto. La morte è il momento cruciale in cui il
giudizio divino viene manifestato all‟uomo. Ecco perché “il ricordo della morte” è per S. Giovanni
Climaco un‟arma efficace contro questa passione (La Scala, XXI, 41).
b) – Poiché la vanagloria è ricerca di considerazione, di fama, di onore, di gloria, per guarire è necessario
rinunciare a tutto ciò che può esserne la fonte e l‟occasione. Pertanto, secondo i Padri:

bisogna evitare, qualora abbiamo cessato di essere sale della terra e luce del mondo, di
frequentare quelle persone che sono manifestamente sotto il dominio della vanagloria e che
costituiscono, per noi, data la nostra debolezza, un esempio infelice nel quale saremmo
coinvolti;

bisogna rifiutare, per quanto dipende da noi, ogni incarico che sia onorato dagli uomini a motivo
del potere o del prestigio che esso conferisce;

bisogna, infine, respingere ogni singolarità che può attirare l‟attenzione su di noi e, per
conseguenza, l‟ammirazione o le lodi degli altri.
c) – Poiché la vanagloria consiste nel desiderio di essere notati dagli altri, secondo i Padri per guarire:

è opportuno evitare, anche qui per quanto dipende da noi, tutto ciò che può farci notare dagli
altri tanto nelle parole come nelle azioni o nei comportamenti;

come pure far di tutto per divenire o per restare ignorati dagli uomini.
d) – Inoltre, poiché la vanagloria consiste nell‟esaltarsi non solo a motivo dei “beni materiali”, ma anche a
motivo dei beni spirituali, come pure nel gloriarsi davanti agli altri o davanti a se stessi della propria
ascesi e delle proprie virtù, secondo i Padri per guarire:

conviene che di fronte agli altri, dai quali la vanagloria attende ammirazione e lodi, non lasciamo
trasparire nulla della nostra ascesi e delle nostre virtù né delle azioni che le manifestano. E‟ su
questa linea S. Massimo, il quale scrive: “Quello della vanagloria è un duro combattimento. Ci si
può liberare per mezzo della pratica nascosta delle virtù” (Centurie sulla carità, IV, 43);

si deve badare, poi, a controllare accuratamente il proprio comportamento e le proprie parole, non
lasciando trapelare nulla del proprio stato interiore e non rivelando nulla della propria vita
spirituale: “L’ inizio della vittoria sulla vanagloria – scrive S. Giovanni Crisostomo – è il controllo
della lingua” (La scala, 39);

bisogna evitare, inoltre, di nascondere agli altri le proprie colpe, tranne che ciò dovesse essere
motivo di scandalo;

bisogna, infine, accettare di essere umiliati, anzi è bene ricercare ciò che ci può procurare disprezzo:
“L’inizio della vittoria sulla vanagloria – scrive S. Giovanni Climaco – è l’amore per le
umiliazioni” (La scala, XXI, 39). Per questo un anziano consigliava: “Se il diavolo viene a farti
perdere nella vanagloria, compi un’azione o assumi davanti agli uomini un atteggiamento tale che
essi ti disprezzino, perché, sappilo bene, satana non è mai tanto desolato come quando l’uomo
desidera l’umiliazione e il disprezzo” (Apoftegmi, N 592/54). A sua volta S. Giovanni Climaco
osservava che “Dio gioisce quando ci vede correre incontro alle umiliazioni allo scopo di
reprimere, battere e annientare la vana stima di noi stessi” (La scala,XXV,42). Questo stesso Santo
rivelava che alcuni igumeni (= Padri spirituali) erano propensi a umiliare coloro che non lo
facevano da sé, allo scopo di guarirli dalla vanagloria.
L‟umiliazione può essere voluta da Dio stesso con lo stesso scopo, come notava ancora S. Giovanni
Climaco: “Il Signore – diceva – spesso toglie ai vanitosi la vanagloria con qualche umiliazione che
capita loro” (La scala, XXI, 38).
Pertanto, non si può non vedere, nelle diverse umiliazioni che subiamo, dei rimedi provvidenziali e,
in colui che ci ha afflitto, leso, disprezzato o insultato, come un medico che ci ha rivelato la nostra
malattia e ci ha dato i mezzi per guarire dalla vanagloria. A questo riguardo un Padre consigliava:
“Se qualcuno conserva il ricordo di un fratello che lo ha afflitto, leso o insultato, deve
ricordarsi di lui come di un medico inviato da Cristo e considerarlo come un benefattore: se
ti affliggi in queste circostanze è perché la tua anima è malata. In realtà se non fossi
ammalato, non soffriresti. Devi, dunque, ringraziare questo fratello poiché, grazie a lui, tu
scopri la tua malattia; devi pregare per lui e ricevere ciò che viene da lui come rimedio
datoti dal Signore stesso. Se, al contrario, sei adirato contro di lui, è come se dicessi a
Gesù: “Non voglio ricevere le tue medicine, preferisco che la cancrena rimanga nelle mie
ferite” (Apoftegmi XVI, 17).
Più avanti questo stesso Padre diceva:
“Se vuoi essere guarito da queste terribili ferite dell’anima (ossia dalla vanagloria) devi
sopportare ciò che il medico ti impone. Non è certo con piacere che colui che è ammalato
nel suo corpo subisca un’amputazione o prenda una purga; ne conserva anche un cattivo
ricordo e tuttavia, persuaso che senza questo trattamento non può essere liberato dalla sua
malattia, sopporta ciò che il medico gli impone. Egli sa che con un piccolo inconveniente
sarà liberato da una lunga malattia. Ebbene, il cauterio di Gesù è colui che, insultandoti o
causandoti un torto, ti libera dalla vanagloria” (Apoftegmi, 18).
Lo stesso Padre, per ciò che lo riguardava personalmente, affermava:
“Io non accuso quelli che mi rimproverano, ma li chiamo miei benefattori e non respingo il
medico delle anime che apporta un rimedio umiliante alla mia anima impura e orgogliosa”
(Apoftegmi, 19).
S. Francesco la pensava alla stessa maniera. Ecco l‟esortazione che faceva ai suoi frati: “Frati miei
tutti, ascoltiamo ciò che dice il Signore: “Amate i vostri nemici e fate del bene a quelli che vi
odiano”. Infatti anche il Signore nostro Gesù Cristo, di cui dobbiamo seguire le orme, chiamò
amico il suo traditore e si offrì spontaneamente ai suoi crocifissori. Sono dunque nostri amici tutti
coloro che ingiustamente ci infliggono tribolazioni e angustie, ignominie e ingiurie, dolori e
sofferenze, martirio e morte, e li dobbiamo amare molto poiché, in virtù di ciò che ci fanno,
abbiamo la vita eterna” (Rnb 22, 1-4: FF 56).
Secondo i Padri il segno che l‟uomo è guarito dalla vanagloria sta nel fatto che egli:

non prova nessuna sofferenza nell‟essere umiliato in pubblico;

non ha più rancore quando incontra colui che lo ha offeso, disprezzato, umiliato o che ha
detto e ancora dice male di lui, anzi lo ringrazia come se fosse un amico e un benefattore.
e) - Poiché la vanagloria è anche una passione per mezzo della quale l‟uomo si stima da sé, si ammira,
onora se stesso e si gloria, per combatterla a questo livello i Padri suggeriscono che:

è necessario ignorare la propria ascesi e le proprie virtù;

è necessario nascondere a se stessi ciò che c‟è di buono, come pure il bene che noi abbiamo fatto:
“Non sappia la tua destra quello che ha fatto la sinistra” (Mt 6,3);

è necessario, dopo aver compiuto tutta la volontà di Dio, considerarsi, come raccomanda Cristo
Gesù, servi inutili, che hanno fatto nulla di più di quanto dovevano fare ( cfr Lc 17,10);

ma molto prima di ciò è necessario esaminare la propria coscienza e considerare quanto siamo
lontani dall‟avere compiuto tutti i comandamenti del Signore;

è necessario, inoltre, ricordarsi dei propri peccati. S. Giovanni Climaco così consiglia: “Quando i
nostri adulatori …cominciano a lodarci, riportiamo brevemente alla memoria i molti peccati
commessi, e ci riconosceremo indegni di ciò che viene detto o fatto in nostro onore” (La scala XXI,
42; cfr anche 41);

è, infine, necessario ricordare il ruolo essenziale che ha la preghiera nella guarigione dalla
vanagloria, come da ogni passione. Per mezzo della preghiera noi riceviamo da Dio l‟aiuto senza il
quale siamo impotenti nel vincere qualsiasi passione. Ma nel caso della vanagloria, per mezzo della
preghiera, riceviamo anche il discernimento che ci è necessario per eludere tutte le trappole che
questa passione ci tende. La preghiera ci permette altresì di staccarci da questo mondo che la
vanagloria ha come oggetto e di unirci a Dio. La preghiera, infine, ci permette di glorificare Dio
riconoscendo che a lui spettano ogni gloria, onore e adorazione.
Terminiamo, ricordando quanto avevamo detto precedentemente, che cioè la gloria che viene dagli uomini e
quella che viene da Dio sono antagoniste e si escludono a vicenda. Se l‟uomo deve rinunciare a ogni gloria
umana, ciò gli è richiesto allo scopo di avere accesso alla gloria divina, alla quale Dio lo destina. Infatti,
fintantoché l‟uomo rimane attaccato alla gloria terrena, non potrà mai gustare la gloria celeste. “Come il fuoco
– osserva S. Giovanni Climaco – non genera la neve, così coloro che cercano la gloria quaggiù non ne
godranno lassù” (La scala, Ricapitolazione, 3).
Ecco perché l‟umiliazione è la via obbligata e la condizione indispensabile per partecipare alla gloria divina.
“Se vuoi essere conosciuto da Dio – osservava un anziano – devi essere ignorato dagli uomini” (Apoftegmi,
Arm II, 250).
L‟uomo per natura, lo abbiamo visto, tende alla gloria. Ma la gloria che viene da Dio è la sola che gli conviene
veramente. Per questo noi dobbiamo gloriarci solamente in Dio conformemente alla parola dell‟Apostolo
Paolo: “Gloriandoci in Cristo Gesù, noi non riponiamo la nostra fiducia nella carne” (Fil 3,3). Se lo avremo
fatto, allora saremo glorificati da Dio stesso, il quale dice: “Io onorerò quelli che mi onorano” (1Sam 2,30).
Più l‟uomo tende alla gloria divina, più egli si disinteressa della gloria che viene dagli uomini. Ecco perché
l‟amore di Dio e la sua gloria appaiono come un mezzo per liberarci dalla vanagloria.
L‟antidoto specifico della vanagloria è l‟umiltà. “Non appena… la santa umiltà – così scrive S. Giovanni
Climaco – inizia a fiorire in noi, noi ci mettiamo subito… ad odiare ogni gloria e ogni lode umana” (La scala
XXV, 4). E, a sua volta, S. Massimo dice: “L’umiltà libera lo spirito… dalla vanagloria” (Centurie sulla carità,
I, 80) (cfr Jean-Claude Larchet, Terapia delle malattie spirituali, ed S. Paolo, 2003, pp. 226-240; 644-651).
Concludiamo, rileggendo insieme un brano degli scritti di S. Francesco, che riassume quanto abbiamo ascoltato
questa sera. Egli, rivolgendosi ai suoi frati, così li esorta:
«Scongiuro, nella carità che è Dio (cfr 1Gv 4,8.16), tutti i miei frati occupati nella predicazione,
nell’orazione, nel lavoro, sia chierici che laici, che cerchino di umiliarsi in tutte le cose, di non
gloriarsi, né godere tra sé, né esaltarsi dentro di sé delle buone parole e delle opere anzi di nessun
bene che Dio dice, o fa o opera talora in loro e per mezzo di loro, secondo quello che dice il Signore:
"Non rallegratevi però in questo, perché vi stanno soggetti gli spiriti" (Lc 10,20) E siamo fermamente
convinti che non appartengono a noi se non i vizi e i peccati (…) Quindi tutti noi frati guardiamoci da
ogni superbia e vana gloria; e difendiamoci dalla sapienza di questo mondo e dalla prudenza della
carne (Rm 8,6-7). Lo spirito della carne, infatti, vuole e si preoccupa molto di possedere parole, ma
poco di attuarle, e cerca non la religiosità e la santità interiore dello spirito, ma vuole e desidera avere
una religiosità e una santità che appaia al di fuori agli uomini (…) E restituiamo al Signore Dio
altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamogli grazie,
perché procedono tutti da Lui. E lo stesso altissimo e sommo, solo vero Dio abbia, e gli siano resi ed
Egli stesso riceva tutti gli onori e la reverenza, tutte le lodi e tutte le benedizioni, ogni rendimento di
grazia e ogni gloria, poiché suo è ogni bene ed Egli solo è buono (cfr Lc 18,19)» (Rnb 17, 5-8; 10-12;
17-18, FF 47- 49).