dal nostro inviato Carlo Ghiani Cagliari Tattoo Convention. Ok, è la

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dal nostro inviato Carlo Ghiani Cagliari Tattoo Convention. Ok, è la
30/08/2011
dal nostro inviato Carlo Ghiani
Cagliari Tattoo Convention. Ok, è la festa dei tatuaggi, lo dice anche il titolo, e davvero ci sono tutti, credetemi. La quarta edizione
della rassegna sbarca ancora una volta all’Hotel Setar, per un felice connubio di arte e spettacolo a due passi dal mare, ma l’orario di apertura (le
16:00, ndr) è davvero proibitivo per temperatura e scomodità, e non son pochi quelli che preferiscono il bellissimo litorale sardo alla sala congressi.
Così, le prime ore della convention sono dedicate agli irriducibili del tatuaggio, coloro che aspettano l’evento da settimane o, chissà, mesi, nell’attesa
del proprio artista preferito per dar finalmente vita al tatuaggio dei sogni; l’arrivo è alla spicciolata, e vien fatto di pensare che in fondo si sia fatto
tanto clamore per nulla. Si insomma, che l’evento sia marcatamente underground, e non solo perchè in effetti ci troviamo fisicamente sotto terra.
Tatuaggi, orecchini, piercing, acconciature stravaganti, d’accordo, ma la manifestazione non decolla, e il grande pubblico sembra preferire altri (è
proprio il caso di dirlo) lidi.
Centocinquanta stand tra tatuatori, piercer e punti vendita diventerebbero così una enormità, ma poi qualcosa cambia. Passate le ore più calde le sale
si riempiono, e il pubblico è finalmente vario: persone di tutte le età, si persino anziani e bambini, affollano l’ala congressi, e che la festa abbia inizio.
A quel punto capisci perchè la Tattoo Convention cagliaritana sia un fenomeno in espansione, capace di attirare come una calamita un’ampia gamma
di persone, dai veterani ai semplici curiosi: la body art, il tatuaggio, sono vere e proprie forme d’arte, modi più o meno velati di comunicare attraverso
il corpo, che offre infinite possibilità di espressione. Perchè ogni tatuaggio marchia non solo la pelle ma anche l’anima, ognuno con la sua sfumatura
che lo renderà sempre diverso da qualsiasi altro. Quasi come un essere umano.
L’unicità dello stile di ogni artista è palpabile, raccontata attraverso le esposizioni ad ogni stand ed ancor più dalle due mostre allestite per
l’occasione: la prima, “Under Your Skin”, raccoglie l’essenza di ogni tatuatore presente alla convention, un’unica opera per raffigurare il personale
concetto di arte e conquistare il visitatore. In questo senso, le tavole più interessanti sono quelle di Edoardo Lascano, Matteo Cascetti e soprattutto
Vanessa Greco: il suo busto di donna dalle sfiziose cromature grigie corteggia l’occhio, ed il viso è solo un pretesto per far risaltare i particolari di
una acconciatura in onor di Bacco e la cornice finemente vintage.
Nell’ “Idioteque”, che premia il lavoro di Francesco Liori in collaborazione coi migliori artisti isolani, la fantasia prende definitivamente il largo, ed
è l’opera di Moska a risaltare tra tutte. Qua il cartonato beige fa da sfondo a un desolato cimitero, che celebra simbolicamente la fine dell’hip hop,
mentre un improbabile zombie rappa sulla base sputata dallo stereo. Ma a rapire è lo splendido uso dei colori, tanto di quelli adoperati che di quelli
non impiegati: il cimitero, disegnato con una elementare china nera, combatte coi rossi della terra e dello stesso rapper, ma è soprattutto quell’unica,
impercettibile pennellata verde a raccontare un mondo a se. Tanto di cappello.
A chiudere la serata un set di due ore di musica, ma anche allora capisci che il protagonista è sempre lui, il tattoo. Quando cominciano i Worn Out il
pubblico si avvicina al palco, ma se alzi lo sguardo noti che il flusso negli stand è rimasto costante, e la musica segue l’imprimatur degli
organizzatori: principale attrattiva per una parte di pubblico, piacevole sottofondo per l’altra. Eppure Alessandro Brundu, dietro le pelli, pesta eccome.
La prima proposta è un rock indipendente con venature punk, trainato dalla grinta del chitarrista Koco e dalla voce punk di Martina, che a tratti
ricorda quella della Kim McAuliffe cantante delle Girlschool. I pezzi, spesso pregevoli, seguono prevalentemente lo stesso schema, ben riassunto
dall’ultima ‘You’, tra le più convincenti in rassegna: partenza col botto sui ritmi infernali imposti da Brundu, frenata nella strofa e nuova impennata
col ritornello a due voci. Bene così.
Dopo gli interminabili problemi di soundcheck (la prima ‘Feel All Right’ sembra un pezzo per batteria e basso) gli Speedy Rocky macinano una serie
di riff convincenti, memori della lezione di Led Zeppelin e Motorhead (‘I Wanna Live’); canzoni brevi, quadrate ed incisive,come se la New Wave Of
British Metal si fosse immersa nella musica, in particolare punk, anni ’90. Manca forse una chitarra, ma il concerto è intenso, la passione genuina, e
quando chi canta ha una voce al tempo stesso scura e raschiata – sul solco di Chris Cornell e Chad Kroeger – hai per forza di cose una marcia in più,
soprattutto se questa è legata ad una chitarra che predica più volte il sacro verbo di Angus Young. Col passare del tempo i pezzi si fanno forse più
punk, i bottoni della camicia son più allentati, e la stanchezza si mischia all’entusiasmo, fino alla conclusiva ‘I Wanna Feel I Wanna Know’. Ma il
meglio, come spesso succede, arriva alla fine.
Si chiamano King Howl Quartet, sul palco sembrano gli Who, sulle casse la miglior versione del blues datato 2011. Più potenti degli Allman
Brothers, più secchi del Jeff Beck Group – ve lo ricordate, quello con Rod Stewart alla voce – hanno incendiato il palco della Tattoo Convention per
45 minuti, e se prima il via vai tra gli stand era continuo, stavolta è ridotto al lumicino. Tutti ipnotizzati, tutti rapiti da quella voce insolitamente
potente che sembra nata per cantare il blues, e dall’approccio di chi si sta davvero giocando tutto in quei pochi momenti. E li vedi saltare, urlare,
dimenarsi per quel blues, perchè sei convinto che sia solo rock’n'roll, ma se vai a vedere c’è molto di più. La passione, certo, ma soprattutto la
necessità di comunicare le proprie emozioni, che si incidono quasi da sole sulla pelle. O meglio, si tatuano. E la batteria a momenti casca, il basso è
un ascia, la chitarra stoner, mentre Diego catalizza l’attenzione col suo carisma, e non ti ricordi l’ultima volta che hai ascoltato musica così buona.
Tutti a casa per oggi, o forse non proprio tutti, perchè mentre guadagni l’uscita noti che ancora tanti aghi sono in moto.
Buona la prima.
Il giorno successivo (sabato 27 Agosto) il vento spazza via il caldo che braccava l’isola, così già nelle prime ore del pomeriggio si registra
un’affluenza sorprendente. Merito dei tatuatori, naturalmente, ma soprattutto di un’organizzazione che stavolta punta forte sulla musica: Blatha
Family, ma soprattutto Salmo e Cool Caddish, sono nomi di primissimo ordine nella scena hip hop cagliaritana, ed allora ecco servito il pienone da
stadio. Prima però qualche considerazione.
Che la manifestazione sia in continua crescita è sotto gli occhi di tutti, l’evento nel settore è tra i più importanti in Italia e lo confermano le lusinghiere
attenzioni delle testate giornalistiche nazionali (leggi Corriere della Sera), ma qualcosa manca e si sente. Cosa? Desta perplessità soprattutto la scelta
di riservare tutte le attenzioni a tattoo e piercing; vero, il tema della convention è specifico, ma mancano intrattenimento e diversivi. Perchè anche
l’occhio più scrupoloso dopo qualche tour a caccia di dettagli tra gli stand si sarebbe arreso. Sarebbe bastato qualche piccolo spettacolo di magia, di
giocoleria, o semplicemente una manciata di breakers appena fuori dagli stand, per ravvivare il pomeriggio. Poi però lo spettacolo arriva per davvero.
Aprono le danze i Blatha Family, giovanissimo duo cagliaritano già responsabile di un album a nome proprio, ma i suoni mal equalizzati rendono
quasi impossibile qualsiasi commento. E dire che non sembravano niente male. Troppo forti i bassi, decisamente basse le voci, insomma un disastro.
Se ne accorge anche Caddish, che prima di cominciare si sincera che tutto sia in regola. Ed è lo spettacolo che tutti attendevano, frizzante, ironico e un
po’ trash. ‘Qui a Cagliari’, ‘Non rubarmi l’erba’, ‘Capitan Smegma’, ‘Mancano cose’, ci sono tutte, nonostante una ampissima gamma di scelta tra gli
otto dischi (in appena 5 anni) dell’artista cagliaritano: uno show di urban music, in collaborazione con Bravopie, Urtogang ed il festante pubblico
presente, ad accompagnare tutte le esecuzioni col calore che la situazione richiede, fino al campionamento finale di ‘We Are The World’, con Cool
Caddish lanciato in un improbabile canto melodico.
Appena il tempo di ricaricare le pile, e tutti pronti per l’uragano Salmo. Una bufera di hip hop su base indifferentemente drum’n'bass, elettronica e
perfino metal ha letteralmente travolto la Tattoo Convention, rivoltata come un calzino dai ritmi al cardiopalma del rapper di Olbia. Tutti a ballare e
perfino pogare, incitati da un ripetitivo “Ci sei Cagliari??” che però riesce sempre nell’intento di surriscaldare l’ambiente, in delirio sulle note di
‘Non ci resta che l’odio’, ‘La prima volta’ e ‘Flow Machete’. E quell’hip hop così originale ma che in qualche modo richiama il modello americano
rimbomba ancora sui muri della sala.
Un successo.
Il terzo giorno il palco è teatro dell’esibizione dei migliori tattoo, realizzati dentro e fuori convention. Niente strumenti, niente musica. Un flop, dite?
Macchè. Japan, tribali, figurativi, realistici, traditional hanno sfilato sulla pedana della sala congressi, sotto gli occhi incuriositi dei (tanti) spettatori e
lo sguardo severo dei giudici di gara. A formare la giuria Davide Ragazzo, Sacha Lombardi, Sailor Edo e Dino Casarin, tutti tatuatori professionisti
giunti dall’Italia in occasione dell’evento, tutti con uno stand in convention. “Per la scelta dei giurati siamo andati un po’ a esclusione” spiegherà
Sailor Edo “Perchè nessuno voleva farlo. Capisci, stare sul palco significa perdere più di due ore di lavoro. Ma in fin dei conti ci siamo divertiti,
abbiamo ammirato lavori meravigliosi, ne è valsa davvero la pena”. Premiate tutte le categorie, con Eduardo Lascano che fa incetta di statuette coi
suoi due premi e soprattutto Andrea Pallocchini, vicino all’en plein col suo punteggio di 39,5 / 40.
Per finire, quache numero: la convention, giunta al quarto anno, ha radunato anche stavolta migliaia di spettatori, raddoppiando così il numero di
presenze rispetto alla prima edizione; rispettivamente 2000, 3500 e ancora 3500 i biglietti staccati, per un totale di 9000 presenze. Inoltre, per la prima
volta al mondo in una tattoo convention, è stata allestita una postazione, quella di Stizzo, alimentata completamente da energia solare, in linea con la
politica sostenuta dallo staff in occasione del recente referendum contro il nucleare.
Arrivederci alla prossima edizione, magari con mostre più vaste e qualche distrazione in più. E sarà un altro successo, poco ma sicuro. In fondo ci
sarà un motivo per cui il tatuaggio va di moda da qualche millennio. A ognuno la sua risposta.