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32 SEMINARI E CONVEGNI Giornata di studio. Pisa, Scuola Normale Superiore 8 febbraio 2012 Antiche stelle a Bisanzio Il codice Vaticano greco 1087 a cura di Fabio Guidetti e Anna Santoni © 2013 Scuola Normale Superiore Pisa isbn 978-88-7642-485-4 Sommario Presentazione Anna Santoni 7 Il Vat. gr. 1087 e l’astronomia bizantina: cenni introduttivi Filippomaria Pontani 9 Struttura e mani del Vat. gr. 1087 (con osservazioni paleografiche sul copista C e il Marc. gr. 330) Mariella Menchelli 17 Dall’arabo al greco. Considerazioni su una peculiarità del codice Vat. gr. 1087 Amos Bertolacci 57 L’ordine delle figure nel codice Vat. gr. 1087 Allegra Iafrate 63 L’ordine degli estratti di testo nel Vat. gr. 1087 (e alcune ipotesi di lavoro) Leyla Ozbek 69 Il testo dei Fragmenta Vaticana nella tradizione dei Catasterismi Jordi Pàmias 77 I Fenomeni di Arato e i Catasterismi di Eratostene nelle illustrazioni del manoscritto Vat. gr. 1087 Anna Santoni 91 L’apparato iconografico del codice Vat. gr. 1087. Per la ricostruzione dell’edizione tardoantica del corpus arateo Fabio Guidetti 113 Bibliografia 153 Indice dei manoscritti citati167 Indice dei nomi e delle cose notevoli171 Illustrazioni177 Presentazione Il codice Vat. gr. 1087 è un documento prezioso da molti punti di vista: è un prodotto del circolo di Niceforo Gregora, in parte di sua mano, e ci permette di conoscere meglio l’attività del gruppo e dello studioso; fornisce informazioni sull’astronomia bizantina e quella tardoantica (per la parte di commento a Tolomeo di Teone che include); oltre a questo, conserva una serie di fogli (300r-312r) che costituiscono per noi la principale testimonianza dell’esistenza di edizioni greche illustrate di Arato: contengono estratti dai Catasterismi di Eratostene, scoli e immagini delle costellazioni di eccezionale qualità artistica. Il codice non è mai stato oggetto di uno studio complessivo, forse proprio per la difficoltà di riunire insieme tutte le diverse competenze che un tale studio comporterebbe. Per questo motivo il gruppo di ricerca sui Manoscritti astronomici illustrati della Scuola Normale Superiore ha deciso di dedicare al codice una giornata di studio (Pisa, 8 febbraio 2012) cui hanno partecipato studiosi di discipline diverse. L’intento era di richiamare l’attenzione sull’importanza del codice e di contribuire a una riflessione generale su questo documento, soffermandosi in particolare su alcuni aspetti che lo riguardano. Senza la pretesa di offrire una trattazione esaustiva, ci siamo posti come obiettivo di mettere a fuoco e ridiscutere insieme almeno alcune delle molte domande che questo documento suscita. Secondo gli interessi di ricerca dei promotori dell’iniziativa un’attenzione particolare è stata rivolta agli estratti aratei, ma anche altri aspetti del manoscritto sono stati trattati. Questo volume raccoglie i contributi di quella giornata; essi contengono molti elementi nuovi per la comprensione del codice e del suo contenuto. Filippomaria Pontani colloca i testi astronomici contenuti nel manoscritto nel contesto dell’astronomia bizantina, di cui traccia un breve profilo; Mariella Menchelli data finalmente con precisione il manufatto e ne fornisce per la prima volta un’analisi codicologica completa; Jordi Pàmias mette in luce i caratteri originali della recensio dei Ca- 8 Anna Santoni tasterismi conservata nel codice e la loro importanza all’interno della tradizione eratostenica; Allegra Iafrate e Leyla Ozbek analizzano in dettaglio la disposizione dei materiali di tradizione aratea (estratti dai Catasterismi, immagini e scoli) per ricostruire il processo formativo di questa sezione del manufatto; Anna Santoni distingue aspetti aratei ed eratostenici nell’insieme di questi materiali, confermando l’ipotesi di Jean Martin della loro provenienza da un’edizione illustrata di Arato; Fabio Guidetti ricostruisce la storia delle illustrazioni dal punto di vista iconografico, riconducendo la loro origine alla revisione tardoantica (IV-V secolo) del corpus arateo. Anna Santoni Dall’arabo al greco. Considerazioni su una peculiarità del codice Vat. gr. 1087 Nella sua monografia Greek Thought, Arabic Culture, dedicata all’imponente processo di traduzione in lingua araba dell’insieme del patrimonio filosofico greco durante i secoli VIII-X, Dimitri Gutas pone un’interessante sezione finale intitolata Il lascito ad altri paesi: il movimento di traduzione ed il primo umanesimo bizantino del IX secolo1. In questa sezione Gutas documenta come nella prima metà del IX secolo le traduzioni di opere filosofiche greche eseguite nel mondo arabo coincidano sistematicamente con le opere greche copiate da scrittura onciale in minuscola nel mondo bizantino, e argomenta da ciò l’esistenza di una precisa relazione causale tra i due fenomeni, interpretabile come un contributo positivo che il movimento di traduzione grecoarabo ha apportato alla ‘rinascita bizantina’ del IX secolo (sebbene non sia del tutto chiaro come questa indubbia interazione debba essere intesa: se, cioè, la cultura bizantina abbia inteso fornire ai traduttori arabi dell’epoca gli strumenti del loro lavoro o se, al contrario, si sia arroccata in una mera reazione di autodifesa e di emulazione). Nel contesto dei rapporti scientifici tra Arabi e Bizantini durante il IX secolo Gutas sottolinea il ruolo cruciale rivestito dall’astronomia e menziona un curioso aneddoto, riferito da fonti bizantine, secondo cui l’imperatore bizantino Teofilo (reg. 829-842) ed il califfo di Baghdad al-Ma‘mūn (reg. 813-833) avrebbero rivaleggiato per accaparrarsi la competenza matematica di Leone il Filosofo (tra i cui vari appellativi figura anche quello di ‘Astronomo’), dotto bizantino nato a Costantinopoli e, al momento dell’episodio, docente privato nella capitale2: al-Ma‘mūn sarebbe Ringrazio sentitamente Jamil Ragep (McGill University, Montreal) per aver condiviso con me e con Anna Santoni alcune illuminanti considerazioni sul tema del presente contributo ed aver fornito preziose indicazioni bibliografiche al proposito. 1 Gutas 1998, pp. 206-218. 2 Da non confondere con Leone VI il Saggio o il Filosofo, imperatore bizantino (866-912, reg. 886-912), figlio di Basilio I. 58 Amos Bertolacci venuto a conoscenza della perizia geometrica di Leone grazie ad un suo allievo, caduto prigioniero delle truppe musulmane, e gli avrebbe scritto offrendogli un posto di insegnamento lautamente remunerato a Baghdad; Teofilo, in tutta risposta, avrebbe convinto Leone a non emigrare presso il califfo garantendogli una cattedra di insegnamento, non più privata ma pubblica, a Costantinopoli. Sulla veridicità storica di questo aneddoto Gutas mette opportunamente in guardia3: esso documenta, più che una vera e propria ‘guerra culturale’ in atto tra due imperi ed una scampata ‘fuga di cervelli’ dall’un fronte verso l’altro, la rinascita dell’interesse per le scienze laiche a Bisanzio nel IX secolo come conseguenza e per influsso della loro coltivazione nel mondo islamico. Il lungo viaggio che Leone il Filosofo sarebbe fortunosamente riuscito ad evitare, stando al nostro aneddoto, fu effettivamente compiuto, in senso inverso, da un suo omonimo arabo alcuni secoli dopo: da un luogo imprecisato del mondo musulmano il tragitto di questo secondo ‘Leone’ termina a Costantinopoli, nella cerchia di studiosi guidata da Niceforo Gregora nella prima metà del XIV secolo. Ma questa volta il viaggio avviene in incognito, senza alcuna sollecitazione del potere politico, e sfugge all’attenzione degli storici del tempo. Il mezzo di trasporto utilizzato, peraltro, garantisce la massima riservatezza al viaggiante, assolutamente inconsueto nelle ambascerie, nei commerci e nei pellegrinaggi: si tratta di un manoscritto. Sulla scritta araba riguardante un fantomatico ‘Leone’ che si trova nel f. 319r del codice Vat. gr. 1087 – all’interno di uno dei due trattati sull’astrolabio di Gregora ivi conservati – verte questa breve nota4. La presenza di una scritta araba in un manoscritto bizantino del XIV secolo riguardante l’astronomia non sorprende più di tanto. Sappiamo, infatti, che molte opere di argomento scientifico in generale, ed astronomico in particolare, furono tradotte dall’arabo e dal persiano in greco bizantino fino al XIII secolo inoltrato5. Un capitolo importante di questo movimento di traduzione ‘opposto’ rispetto a quello greco-arabo che ci è più familiare è rappresentato dal famoso viaggio – questa volta storicamente attestato – del bizantino Gregorio Chioniade (m. 1302) a Tabriz tra il 1295 ed il 1296. Chioniade si diresse nella città persiana per studiarvi l’astronomia e l’astrologia, e la Gutas 1998, p. 211. Si vedano, in questo stesso volume, i contributi di Filippomaria Pontani e Mariella Menchelli. 5 Gutas 1998, pp. 217-218. 3 4 59 Dall’arabo al greco. Considerazioni su una peculiarità del codice Vat. gr. 1087 sua permanenza a Tabriz gli consentì di raccogliere una collezione di opere in arabo ed in persiano, alcune delle quali egli tradusse in greco successivamente6. Significativamente, un altro codice vaticano (Vat. gr. 1058, ff. 237r-245v) – che preserva la traduzione greca di un trattato sull’astrolabio attribuito a Šams al-Dīn al-Buhārī (fl. verso la fine ˘ del XIII secolo), maestro di matematica ed astronomia di Chioniade a Tabriz – presenta tracce frequenti di scritte arabe, che servono da guida al traduttore greco (cioè Chioniade stesso) e caratterizzano la sua tecnica di traduzione7. Ma la scritta che ci riguarda pare essere di altra natura: non è accompagnata da altre scritte simili in altri luoghi del codice e non si presta ad una facile interpretazione, nonostante l’estrema chiarezza del suo contenuto. Nel presente contributo proverò ad indicare alcune possibili piste di spiegazione del misterioso ‘Leone’ (se il termine arabo corrispondente deve essere inteso come nome proprio e non come nome comune) che fa capolino nel codice Vat. gr. 1087. Non avendo eseguito un esame autoptico del codice in questione ed in attesa che lo studio della storia di questo manoscritto prenda in esame compiutamente anche le sue relazioni con il mondo arabo, le considerazioni che seguono hanno inevitabilmente carattere preliminare e provvisorio. Tutte le ipotesi qui formulate sono dunque soggette a conferma o smentita da parte della ricerca futura8. La scritta in oggetto rappresenta un unicum nell’intero manoscritto. Essa occupa quasi per intero il margine sinistro del f. 319r, dal limite superiore del foglio fino alla trentatreesima riga del testo principale, trovandosi tra quest’ultimo e la zona di rilegatura (fig. 4); è leggibile dal basso verso l’alto e recita: (traslitterazione: al-mubağğal al-hat.ir al-asad al-d.irġām al-bāsil). ˘ Su Chioniade si veda Hockey et al. 2007, p. 229. Ibid.: «During his stay in Tabrīz, Chioniades amassed an important collection of astronomical works in Persian and Arabic that he took with him on his return to Trebizond and later to Constantinople. Some of these works he translated into Greek, adding commentaries and incorporating his own notes written in Greek, Persian, and Arabic from his studies with Shams al-Dīn». 8 Sui documenti bizantini contenenti scritte arabe si vedano in particolare gli studi di Maria Mavroudi (University of California at Berkeley) e Alain Touwaide (Smithsonian Institution, Washington, DC). 6 7 60 Amos Bertolacci La scritta consta di cinque termini, tutti preceduti dall’articolo arabo al- e determinati pertanto da quest’ultimo. La sua traduzione letterale è la seguente: l’onorato l’imponente il leone il leone [= sinonimo del termine precedente] l’intrepido. Dal punto di vista sintattico, tre aggettivi qualificativi, in prima, seconda e quinta posizione, precedono e seguono due sostantivi sinonimi, in terza e quarta posizione. Intendendo tali aggettivi come attributi dei due sostantivi, si ottiene l’idea di ‘onorato, imponente, intrepido leone’, quest’ultimo termine ripetuto due volte. Peculiare è l’asimmetria data da due aggettivi che precedono, ed uno solo che segue, i due sostantivi centrali. La grafia è un tulut – uno dei sei stili principali di scrittura araba – accuratamente eseguito9. Si può innanzitutto escludere una relazione tematica stretta e precisa tra il testo greco e la scritta araba. Quest’ultima non è sicuramente una glossa che si riferisce al testo greco: la diversità della lingua, la sproporzione della sua grandezza rispetto alla piccolezza del testo greco che le sta a fianco e l’assenza di segni di rinvio che la connettano ad un passo specifico dell’opera di Gregora lo attestano in maniera evidente. Ugualmente improbabile è che la scritta funga da titolo, o da indicazione del contenuto, di un capitolo o di una sezione del testo greco: la sua posizione marginale sembrerebbe escluderlo. Anche ammettendo che la scritta possa riguardare la costellazione del Leone (si vedano le ipotesi discusse più avanti), il possibile legame tra la menzione nella nostra scritta di uno dei segni zodiacali, con esclusione degli altri, ed un trattato notevolmente tecnico sull’uso dell’astrolabio, quale quello di Gregora, rimarrebbe tenue e, tutto sommato, estrinseco. Tra le varie possibilità di spiegazione, due – entrambe parimenti ipotetiche – verranno tratteggiate in ciò che segue. Esse corrispondono ai due tipi di rapporti temporali (anteriorità e posteriorità, escludendo un’improbabile contemporaneità) che possono immaginarsi tra l’apposizione della scritta araba in questione e la copia del testo greco nel codice che la contiene. Se, come prima ipotesi, la scritta ha preceduto la copia del testo, è possibile che il copista greco abbia utilizzato un materiale scrittorio, di provenienza araba, destinato in origine ad una finalità differente, di cui la scritta manterrebbe la traccia. La posizione Gacek 2009, pp. 274-275. 9 61 Dall’arabo al greco. Considerazioni su una peculiarità del codice Vat. gr. 1087 eccentrica della scritta rispetto al testo nel codice vaticano potrebbe essere la conseguenza del riadattamento ad un formato più piccolo di un materiale scrittorio avente inizialmente formato più grande. Tale materiale scrittorio ‘riciclato’ potrebbe innanzitutto provenire da una cancelleria dell’amministrazione statale, nel qual caso la scritta elogerebbe le virtù di un personaggio altolocato, probabilmente un governante, il cui nome potrebbe essere appunto ‘Leone’ (non è dato sapere tuttavia chi sia questo personaggio). Il tono encomiastico e reverenziale della scritta avalla certamente questa ipotesi, che trova conferma nel fatto che la scrittura tulut è stata usata, tra l’altro, per la stesura di importanti documenti di cancelleria. Esempi di carta proveniente da cancellerie dello stato, rimaneggiata e riciclata per fini scientifici, non mancano nella codicologia araba10. Osta semmai a questa ipotesi la presenza nella scritta di due termini distinti che esprimono l’idea di ‘leone’, in contrasto con il fatto che il destinatario dell’onorificenza possedeva con ogni probabilità un unico nome proprio. In alternativa, si potrebbe pensare all’utilizzo da parte del copista greco di un codice arabo inizialmente destinato ad un trattato di astronomia oppure di zoologia, di cui la scritta rappresenterebbe il titolo o il tema di un capitolo o di una sezione (nel qual caso ‘Leone’ sarebbe la costellazione omonima oppure la specie animale). La grafia tulut risponde anche a questa funzione11. La seconda ipotesi, che cioè l’apposizione della scritta segua, invece che precedere, la copia del testo, è a prima vista meno plausibile, ma è supportata da ciò che osserviamo nel f. 319r stesso. Sempre sul margine sinistro, in corrispondenza della dodicesima linea del testo greco, si nota, infatti, un’annotazione marginale, anch’essa in greco, il cui inizio quasi combacia, a sinistra, con il ductus di una delle lettere della scritta araba (la d.ād. di al-d.irġām) e che sfiora, in basso, anche il punto diacritico sovrapposto alla d.ād. stessa ed il segno di raddoppiamento (simile ad una piccola ‘w’, detto tašdīd o šadda) con cui viene indicata l’assimilazione tra la seconda lettera (lām) dell’articolo e la d.ād.. È interessante notare a questo proposito che la suddetta annotazione marginale – così vicina, a sinistra, alla scritta araba – è invece abbastanza distante, a destra, dal testo greco cui si riferisce. In altre parole, chi ha apposto Bauden 2008, in part. p. 97. Gacek 2009, p. 275: «In the chancery thuluth was used for important documents, such as edicts, whereas in codices it was used as display script, mostly for book titles and chapter headings». 10 11 62 Amos Bertolacci l’annotazione avrebbe potuto scriverla assai più a destra di quanto ha effettivamente fatto, in modo da evitare qualunque interferenza con la scritta araba. Quindi, o non ha tenuto conto della scritta araba oppure quest’ultima ancora non si trovava nel codice quando l’annotazione è stata posta; in questo secondo caso la scritta araba sarebbe quindi successiva all’annotazione marginale ed a fortiori al testo greco stesso. Questa seconda ipotesi apre la strada alla possibilità che il codice sia stato utilizzato da un arabista dopo la copia del testo greco, o che abbia potuto addirittura circolare in territori arabofoni dopo la sua stesura. Essa pone tuttavia tutta una serie di questioni sull’identità di colui che avrebbe apposto la scritta a posteriori e sui motivi della sua scelta di questo luogo particolare del codice piuttosto che di altri. Tra le varie possibilità non si può escludere che un bizantino di nome Leone abbia potuto far sfoggio della propria competenza in arabo ponendo la scritta a mo’ di autoelogiatorio ex libris. Nell’opera citata all’inizio, Gutas afferma: «Nella generale penuria di informazioni per lo studio di questo secolo cruciale i manoscritti si presentano come una delle poche fonti attendibili» e conclude: «ed essi sono stati perciò studiati a fondo»12. L’affermazione di Gutas si riferisce alla situazione culturale nel mondo bizantino durante l’‘età oscura’ dell’VIII secolo, ma può essere applicata anche ai secoli successivi, ed al XIII secolo in particolare. Mentre la prima parte di questa affermazione rimane vera per qualunque periodo della storia antica e medievale fino all’invenzione della stampa, la seconda parte trova differenti applicazioni a seconda delle varie epoche. In questo spirito, la presente nota ha voluto contribuire ad una migliore conoscenza di un codice che sembra aver rivestito un ruolo significativo nel passaggio del sapere astronomico dall’arabo al greco durante i secoli XIII-XIV, pur nella consapevolezza che il numero dei problemi discussi è sproporzionatamente più grande delle soluzioni proposte. I manoscritti sono sempre una miniera di sorprese: è auspicabile che la meraviglia destata dalla scritta araba oggetto di questo articolo possa – aristotelicamente – fungere da stimolo alla ricerca futura per una più precisa conoscenza del movimento di traduzione dall’arabo al greco, di cui il codice Vat. gr. 1087 pare rappresentare – direttamente o indirettamente – uno specimen. 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