Biografia - Letizia Minio
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Biografia - Letizia Minio
LETIZIA MINIO, una vita appassionatamente vissuta. Letizia Minio, figlia primogenita dell’Ammiraglio Alvise Minio Paluello e di Enrica Daina, nasce il 15 settembre 1932 a Taranto, uno dei vari porti militari dove Enrica segue Alvise in quegli anni. A Napoli, per la precisione a Nocera Inferiore, nella casa dei nonni materni, Letizia inizia la sua formazione di artista in grembo all’adorato Zio Cecco, che coglie immediatamente le precoci attitudini di questa prima nipotina di due anni appena. Sotto la guida paziente e brillante di Zio Cecco, Letizia impara i concetti sottostanti al cubismo e le prime basi delle teorie cromatiche; seduta sulle sue ginocchia per poter raggiungere il tavolo, ‘Letizin’ passa ore a colorare con matite e pastelli, facendo attenzione a non andare fuori dai margini. Con una rapidità che la caratterizzerà tutta la vita, Letizia inizia a parlare con grande proprietà di linguaggio prima dei due anni lasciando allibito uno psichiatra amico di famiglia, che certo non si aspettava tale dialettica in uno scricciolo alto un soldo di cacio; allo stesso modo, all’età in cui i bambini producono, per la gioia dei loro fieri genitori, degli omini tutta testa con braccine che spuntano dalle orecchie, Letizia si cimenta in ballerine viste di tre-quarti e ritrattini dei membri della sua famiglia riconoscibili da chiunque li abbia conosciuti. L’ambiente familiare, prima degli studi formali, ha grande influenza su Letizia, e sua sorella Silvia Minio in Yasuda, un’altra futura artista: padre appassionato conoscitore di incisioni antiche, nonna e zio bravi artisti dilettanti, madre piena d’estro. Letizia e Silvia disegnano e dipingono durante tutta l’infanzia e l’adolescenza, sperimentando le tecniche tradizionali di cui parla loro il padre. Nasce così una piccola Madonna in stile rinascimentale su fondo di foglia d’oro, dipinta con tempera stemperata nel tuorlo d’uovo. La passione per lo studio accurato di tutte le tecniche pittoriche, dell’incisione e della tessitura, resterà un leitmotif nella carriera di Letizia Minio. Una volta diplomatasi al liceo classico Letizia, lasciata a se stessa, si iscriverebbe all’Accademia di Belle Arti di Roma, ma i genitori glielo proibiscono perchè, negli anni del dopoguerra, sembra loro che quell’ambiente sia poco adatto ad una ‘giovane fanciulla’. Detta ‘fanciulla’ si iscrive allora di nascosto all’Accademia e segue, con profitto, in contemporanea, sia il corso di Laurea in Scienze Naturali, sia gli studi artistici sotto la guida della pittrice Beatrice Guj e del Prof. Siviere. Abbandona poi l’Accademia per laurearsi il più velocemente possibile e poter sposare il grande amore della sua vita, Giancarlo Battigalli. Nel 1954 Letizia, giovane sposa, si trasferisce a Milano, dove continua la sua crescita artistica sotto la tutela del pittore Contardo Barbieri. Seguono molti anni in cui Letizia si dedica anima e corpo alla sua famiglia e all’insegnamento delle scienze in vari licei meneghini. Tra scuola e figli (Laura, nata nel 1956, Silvia nel 1958 e Pierpaolo nel 1961), Letizia mette in secondo piano la pittura senza però mai rinunciarvi del tutto. Insegnante sempre attenta ed innovativa, in cerca di testi aggiornati per il suoi allievi, lavora nel poco tempo libero per l’Editore Mondatori, per il quale ha traduce dal francese alcuni libri di divulgazione scientifica e collabora al testo e alle illustrazioni di altri, eseguendo delle litografie a colori. In seno alla famiglia infonde ai figli l’amore per la natura, per l’arte e per il disegno appoggiata in questo dal marito Giancarlo, che sempre le è compagno durante le visite di gallerie e musei. Per i figli di questa artista-scienziata, una visita al Museo di Storia Naturale non si riduce mai ad una banale lezione di scienze davanti alle vetrine dei campionari di rocce o alle teche degli animali montani, perchè si arricchisce di lunghe soste durante le quali si possono disegnare, per esempio, le forme ed i colori delle stupende ali delle farfalle, che Letizia ammira incondizionatamente pur nutrendone un terrore irrazionale se svolazzano libere nel loro habitat. Anche nei week-end per scoprire i castelli della Valle D’Aosta, valle che diverrà in seguito luogo prediletto di pittura montana, le visite degli interni si alternano a soste frequenti per disegnarne gli esterni; ognuno in famiglia è munito di album e matite, Letizia non scoraggia nessuno a trovare la propria voce creativa. Verso la metà degli anni ’70, Letizia si sente sempre più insoddisfatta dei limiti di una vita ristretta al lavoro e alla famiglia: mille pulsioni accantonante per anni ritornano alla ribalta, la sua vita interiore è in subbuglio e chi la conosce solo come madre, moglie, insegnante, rimane stupito ed interdetto dal suo cambiamento. Letizia, crisalide a lungo ibernata, inizia la trasformazione nell’artista che potenzialmente è sempre stata. Inizia una lunga ricerca per trovare i mezzi più consoni ad esprimere la sua irrompente creatività. Pastelli, colori ad olio, matite, acquarelli, non bastano. Letizia studia con passione per impadronirsi di altri linguaggi artistici. Segue dei corsi di tessitura presso l’atelier di Paola Besana e da questa esperienza nascono splendidi arazzi eseguiti da lei personalmente, oppure commissionati all’estero secondo indicazioni precise, sia sulle scelte dei materiali che sull’esecuzione, possibili solo per chi è padrone della tecnica. Sono di quest’epoca gli eterei arazzi arlecchino ed i ricchi riflessi di case veneziane nelle acque scure dei canali. A Parigi fa tessere dei paesaggi marini, ricchi dei blu e turchesi del mare e delle testure della macchia mediterranea. Un viaggio in Giappone per andare a trovare la sorella Silvia, pittrice e scultrice sposata allo scultore giapponese Haruiko Yasuda, dà l’occasione a Letizia di confrontarsi sul significato di ‘essere artista’. Le sorelle hanno una stessa comune passione, ma opposte filosofie per quanto riguarda il dovere, o privilegio, di esporre le proprie opere. Silvia cerca di convincere la più irruente Letizia ad aspettare, a lasciar decantare, a fare il lungo percorso che deve tendere ad una quasi irraggiungibile perfezione. Letizia freme e scalpita come un puledro. Al suo rientro in Italia produce la bellissima serie di serigrafie intitolata “Nara o la scomparsa del nero” ispirata ad una caccia rituale col cormorano vista di notte su un lago giapponese. Tutto ciò che Letizia vede, si tramuta in opera visiva, interpretata con grande passione e raffinatezza. Per quattro anni frequenta il corso civico di arti incisorie del Comune di Milano. Lì impara le tecniche classiche dell’acquaforte, della serigrafia, della litografia ed altre tecniche più sperimentali. Letizia, donna di scienze, è affascinata dai processi chimici necessari alla stampa; Letizia, sensuale, si appassiona alla scelta delle costose carte fatte a mano; Letizia, pratica e bricoleuse, decide di stampare lei stessa le proprie opere ... ed un torchio a stella prende un posto permanente nel suo studio. Bulino, matite litografiche e schermi serigrafici diventano per alcuni anni un modo quasi esclusivo di creare. Risalgono ad allora (1979-1982) le prime esposizioni collettive, i primi passi per portare a conoscenza del pubblico le sue opere, nonostante lei non si consideri ancora un’artista completa, ma una dilettante estremamente dotata. E’ solo quando decide di prendere una pensione anticipata dall’insegnamento per potersi consacrare in tutta libertà alla pittura ed incisione, che Letizia si identifica come artista e si dedica alla sua arte con tale passione, che ci si domanda come abbia potuto aspettare così a lungo ad essere appieno se stessa. Gli anni ’80 sono all’insegna di ulteriore sperimentazione e studio. Le mostre personali e collettive si susseguono; il successo finanziario è elusivo, ma le critiche sono favorevoli e alcuni ammiratori iniziano a comprare con una certa regolarità i suoi quadri. Affidandosi ad intraprendenti galleristi, Letizia espone all’estero: Svizzera, Francia, Belgio, Stati Uniti ed Australia. Alcuni addetti ai lavori le suggeriscono approcci redditizzi, ma ‘impuri’ all’arte e lei rifiuta sempre la vile commercializzazione, sebbene negli ultimi anni non disdegni lavori su commissione per portare la sua opera presso il grande pubblico, come i grandi pannelli creati per alcune navi della Compagnia Tirrenia (2001-2005). Giancarlo inizia a documentare fotograficamente la produzione artistica di questa sua vulcanica moglie e così facendo scopre di avere occhio per i particolari e si appassiona alla macro-fotografia. Sceglie dettagli dei dipinti di Letizia e li ingrandisce fino ad ottenere delle rappresentazioni astratte. A sua volta Letizia, che predilige per lo più il figurativo, usa queste gigantografie per farne dei quadri dove le forme originali sono perse nel colore e nella matericità. Risale a quest’epoca la scoperta del mondo sottomarino durante un soggiorno sul Mar Rosso prima ad Eilat ed in seguito a Sharm El Sheik. A pochi metri dalla superficie, esplodono di colore i dei veri e propri giardini marini abitati da guizzanti pesci di ogni forma e dimensione. Letizia ritorna almeno una volta all’anno per immergersi in questo suo mare tanto amato e sviluppa un rapporto quasi personale con alcuni degli abitanti fissi della barriera corallina: la grande cernia, la murena grigia a pois turchesi, il pesce pappagallo, la maestosa manta. E’ qui che veramente il suo sguardo di naturalista acuisce la vista dell’artista. Munita di fogli di plastica e matita litografica, Letizia fa schizzi e prende appunti di colore; là dove altri avrebbero optato per la fotografia sottomarina, lei preferisce l’immediatezza del proprio sguardo e della sua memoria cromatica. Una volta tornata nella quiete della sua stanza, gli schizzi in bianco e nero vengono tradotti in disegni colorati a pastello o matita, che saranno il materiale su cui lavorare per mesi nel suo studio. Da vera erede dell’impressionismo, Letizia non finisce mai di studiare gli effetti della luce che filtra attraverso il mondo subacqueo e mai smette di stupirsene. Dipinge grandi tele, dittici e trittici che sono un trionfo di blu in tutte le gradazioni; dipinti dove ci si sente immersi nel profondo del mare con lo sguardo rivolto verso la luce, guardandoli viene voglia di risalire verso la superficie per prendere un respiro a pieni polmoni. Sotto o sopra il mare, tutto è materia di studio, osservazione, e trascrizione: le rocce del deserto, una conchiglia solitaria sulla sabbia, la superficie del mare che si stempera nel cielo con sottile soluzione di continuità. Due viaggi in India fatti col marito lasciano entrambi affascinati: le spezie dei mercati, gli occhi vellutati dei bambini, i colori intensi dei sahri delle contadine del Rajasthan, gli splendidi edifici. Nascono da questa esperienza indiana i brillanti dipinti, alcuni quasi astratti, di panneggi di sahri dai colori vivaci, anche questi prodotto di una collaborazione di marito e moglie: Letizia sistema le sete ed i cotoni dei sahri, Giancarlo li fotografa e, una volta sviluppate le foto, con l’aiuto di una mascherina che viene spostata sulla superficie delle foto, insieme scelgono i particolari più intriganti che costituiranno i soggetti di nuove opere della pittrice. Per rendere lo splendore dell’India, spesso Letizia crea dei brillanti sfondi di foglia d’oro che danno un tocco gotico ad opere altrimenti iper-moderne. I dipinti ispirati dalla Rocca di Jaipur mettono in primo piano il deserto, le formazioni rocciose e solo di sfondo si nota l’operato dell’uomo, gli edifici appena accennati o fluttuanti su di un fondo dorato. Letizia lavora con foga, ma per quanto lavori velocemente, ha sempre la mente piena di progetti in fieri, produce pagine di appunti e schizzi con l’ansia che le manchi il tempo per realizzare tutto. Questa sua fretta innata - in famiglia la si inizia a chiamare bonariamente “Sua Impellenza”- detta anche la scelta dei colori alchidici che, asciugandosi in tempi molto minori rispetto ai colori ad olio, le permettono di lavorare ai suoi ritmi, con mano sicura e decisa. E’ forse questo aspetto del lavoro fatto di getto, dell’immediatezza del tratto, che la riavvicina all’acquarello. Segue dei corsi, ma soprattutto passa ore, giornate intere, a studiare i molti libri acquistati durante i suoi frequenti viaggi in California dove risiede, dal 1984, la figlia Silvia. Le tecniche innovative e poco classiche suggerite dagli acquarellisti americani in questi libri estremamente didattici la intrigano immensamente, tanto che inizia a frequentare lezioni private sotto la guida dei maestri Gorlini e Pizzi. Ma le sue propensioni ‘eretiche’ verso l’acquarello (come l’uso della gommina per le riserve) rimanderanno di qualche anno la sua accettazione nella prestigiosa organizzazione AIA (Associazione Italiana Acquarellisti), alla quale verrà ammessa solo nel 2004. Agosto 1994, La Salle – Valle d’Aosta. Giancarlo parte per la prima gita della stagione insieme all’amico Benito Pizzi. Giancarlo adora le sfide offerte dalla montagna e vi si cimenta da tutta una vita; è immensamente felice di portarsi in quota e lasciar vagare lo sguardo sulle amate cime; deve sempre andare un po’ più in là, un po’ più in alto e questa volta lo fa da solo, ripromettendosi di raggiungere l’amico alla base del sentiero. Giancarlo muore di una crisi cardiaca seduto, apparentemente sereno, davanti allo spettacolo scenografico delle Alpi. Il mondo di Letizia affonda in un lungo periodo di angoscioso grigiore, di lancinante dolore, assalita dal rimpianto feroce di tutto ciò che gli anni della maturità con Giancarlo avrebbero potuto essere: viaggi assieme, passioni condivise, fotografia, libri, musica, disegni, nipotini da veder crescere. Come continuare la vita senza il compagno di sempre? Dove trovare l’energia creativa necessaria al suo lavoro? Il tempo lenisce, almeno in superficie, queste dolorose ferite. I figli, i nipoti (Davide nato nel 1989, Viola nel 1992 e Daniele nel 1993), gli amici le sono di appoggio, ma Letizia sa di dover affrontare questa prova, in ultima istanza, da sola. Giancarlo e Letizia avrebbero festeggiato i 40 anni di matrimonio nel novembre del ’94 con un soggiorno a Sharm-el Sheik, dove Giancarlo l’avrebbe accompagnata per la prima volta; invece è da sola che lei, col cuore a pezzi, parte per andare ad immergersi nelle acque del Mar Rosso senza poter condividere con Giancarlo questa sua passione. In questo triste periodo un’amica, anch’essa col cuore spezzato dalla recente perdita del marito e dell’unica adorata figlia, le è molto vicina. Abitano nello stesso condominio e quando arriva “l’ora dei lupi”, il crepuscolo con la sua insinuante malincolia, loro si vedono, si parlano, ridono fino alle lacrime, piangono, discutono di religione, di filosofia, della vita e delle sue vicissitudini. Valeria Volpati, scrittice, condivide con Letizia le poesie ed i brevi romanzi ancora in fase di stesura. Letizia contribuisce coi tesori olfattivi e visivi delle sue escursioni al vicino supermercato, gli aromi della frutta, i colori delle verdure ed i disegni da paesaggio cinese dei gusci delle vongole scrutate accuratamente quel giorno. Nell’autunno del 2004, Letizia subisce un intervento per rimuovere un tumore. L’inverno è duro, la chemioterapia difficile da sopportare, perché le causa una debolezza ed un’impotenza che le è estranea. Ma Letizia non può resistere a lungo lontano dal suo studio impregnato di trementina ed inondato dal sole. Nel maggio del 2005, Letizia, ripresasi, si immerge di nuovo con grande gioia nel suo ben amato Mar Rosso e con lei sono la figlia Laura, la nipotina Viola ed il genero Enzo Burbello. Riprende a dipingere, a studiare, a disegnare, a programmare mostre e frequentare altri artisti. Letizia passa l’estate 2005 nella bella casa di La Salle, in Valle d’Aosta, in compagnia dei figli e dei nipoti. La grande debolezza che la invade da settimane è finalmente diagnosticata: metastasi letali al fegato. Lei è quasi sollevata all’idea di potersi lasciare andare nel mare magnum di un aldilà infinito dove forse troverà riposo dalla lotta quotidiana della vita. In una delle sue ultime conversazioni discute con il medico della VIDAS di come abbia sviluppato avversione verso una certa tonalità di giallo, troppo acido a suo avviso e di come voglia riscaldare i colori dei girasoli del quadro che lei ha dedicato all’ammiratissimo Van Gogh. In questo ultimo periodo, la sua principale preoccupazione è di tener fede, grazie all’aiuto di amici che le sono sempre stati vicini, all’apertura di una mostra antologica all’Università Bocconi che lei prepara con cura e che sarà poi inaugurata tre giorni dopo la sua morte, un atto di memoria ed un’occasione eccezionale, per tutti coloro che la amano ed ammirano, di renderle omaggio. Nei dolci, strazianti ultimi giorni prima della sua morte, i fratelli (Anna, Amelia e Paolo con la moglie Patrizia) ed i figli le sono vicini ed è per tutti un’indimenticabile lezione di vita. Letizia, che ama la vita, che ha ancora tante cose da fare e decine di progetti da realizzare, sa accogliere la morte con saggezza e serenità. Si spegne il 9 settembre 2005, ma continua a vivere nella sua opera vibrante ed emozionante. Spesso nelle critiche, ci si riferisce a Letizia Minio come alla pittrice dei paesaggi sottomarini ed in effetti una gran parte della sua produzione artistica vi è dedicata. Ma che dire allora dei paesaggi montani: il Monte Bianco baciato dal primo sole che lo tinge appena di rosa, la vigna greve di neve, l’interno di finestra di baita da cui si intravede il mondo esterno? Letizia ama la natura tutta. Studia la figura umana, ma i suoi nudi si confondono nelle rocce delle coste sarde o in composizioni di frutta in cui il corpo si vede un istante per diventare subito dopo mela o pompelmo. Il suo suo amore infinito per gli alberi è testimoniato da incisioni, pastelli, e dipinti di vecchi ulivi che la inteneriscono e la lasciano sorpresa perché venerabili, cavi, antichi, testimoni della storia dell’uomo. I ‘giardini del mare’ hanno un loro riscontro terreno in giardini fioriti dai colori vibranti, in alberi riflessi sui laghetti di Princeton che sono un originale omaggio a ‘Nonno Monet’. Dicembre 2007