INTRODUZIONE: a) Democrazie e stati in via di sviluppo: due realtà
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INTRODUZIONE: a) Democrazie e stati in via di sviluppo: due realtà
INTRODUZIONE: a) Democrazie e stati in via di sviluppo: due realtà inconciliabili? Il Novecento è stato uno dei secoli più contraddittori della storia dell’umanità. Da un lato, abbiamo avuto, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, una grande diffusione della forma di stato democratica; dall’altro, abbiamo visto l’affermarsi di sanguinosi regimi totalitari e autoritari. La diffusione dei modelli democratici è stata senza dubbio imponente: a diverse ondate, tutti i continenti hanno recepito e sperimentato, con risultati diversi, questo modello. L’accezione moderna di democrazia si basa su alcuni concetti fondamentali: a) rappresentatività, cioè le decisioni politiche sono di norma prese da organi rappresentativi e solo raramente direttamente dal corpo elettorale; b) pluralismo, il cui riconoscimento implica che i cittadini siano portatori di interessi conflittuali e che si organizzino per farli valere, distinguendo tra la loro sfera privata e quella pubblica; c) massima estensione possibile del concetto di cittadinanza, ovvero la restrizione dell’intervento popolare è compensata dall’estensione del diritto di voto e dei diritti di partecipazione politica. Accingendomi a considerare il caso della Costa d’Avorio, c’è da dire che molti studiosi1 preferiscono considerare quella degli Stati in via di sviluppo una categoria a parte, inconciliabile con quella degli stati democratici. Questa categoria assumerebbe carattere residuale, ricoprendo esperienze molto diverse tra loro, alle quali è difficile 1 Volpi cita: B. Chantebout, “Le tiers monde”; V. P. F. Gondiec, “Les systèmes politiques africains”; V. M. P. Roy, “Les régimes politiques du tiers monde”. applicare i criteri elaborati in Occidente, per la profonda diversità del contesto economico-sociale, politico e giuridico in cui si ritrovano. Elementi comuni a gran parte di questi Stati in via di sviluppo sono: a) la colonizzazione, quasi tutti questi Paesi hanno infatti conosciuto la dominazione coloniale o comunque hanno subito l’influenza economico-finanziaria e politica degli Stati più avanzati. b) il sottosviluppo, che è innanzitutto di tipo economico-sociale: anche nei Paesi che possiedono importanti materie prime, l’aume nto della ricchezza è prerogativa di ristretti gruppi privilegiati. c) la debolezza dell’unità nazionale: molti Stati in via di sviluppo nascono prima che si sviluppi un’effettiva identità nazionale, spesso entro confini arbitrariamente disegnati dalle potenze coloniali. Quasi tutti questi Stati sono caratterizzati da un grande pluralismo etnico. Ciò spinge la classe dirigente ad assumere un’ideologia ultranazionalista, dapprima in contrapposizione al dominio coloniale, poi come riscoperta di legami con le proprie tradizioni. Ma spesso il nazionalismo viene utilizzato come copertura ideologica al dominio di un capo, o di una fazione etnica o religiosa, o di un partito unico. La Costa d’Avorio è senza dubbio un paese in via di sviluppo. Questa considerazione va ben oltre il fatto che tutti e tre i requisiti citati siano effettivamente riscontrabili: l’opprimente passato coloniale che ancora oggi si porta dietro nefaste conseguenze; il sottosviluppo, nonostante la presenza di materie prime abbondanti e di ottima qualità; l’intolleranza verso gli immigrati che causa una frattura del sentimento di unità nazionale, a lungo agognata e che l’indipendenza aveva fatto credere fosse raggiunta. Infatti è innegabile che, sebbene la Costa d’Avorio abbia conosciuto anni di grande prosperità e benessere, oggi gli oltre diciotto milioni di abitanti vivano in condizioni disperate. Il reddito medio procapite è di 660 dollari all’anno, il 49,4% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno e il 12% con meno di un dollaro. La speranza di vita raggiunge appena i 47 anni e ogni mille bambini nati vivi, 117 muoiono nel primo anno di vita. Ho citato solo alcuni dati che, se non forniscono un quadro di insieme, quanto meno possono dare un’idea generale delle problematiche che affliggono la maggior parte della popolazione. Ma sostenere che stati in via di sviluppo e modelli democratici siano difficilmente conciliabili, non equivale a dire che il benessere sia garanzia di democraticità. Infatti in Costa d’Avorio, che ha conosciuto almeno due decenni di prosperità, una vera democrazia non c’è mai stata. La Costa d’Avorio: una “democrazia di facciata”. La Costa d’Avorio, una volta raggiunta l’indipendenza nel 1960, è stata considerata dalla comunità internazionale un raro esempio di stato democratico in Africa. È innegabile che, se confrontata con molti dei regimi instauratisi nel continente africano, la Costa d’Avorio poteva essere considerata un “fiore all’occhiello”, ma la realtà era tutt’altra. Nei quasi cinquant’anni di storia da paese indipendente, la Costa d’Avorio non è mai stata una vera democrazia. Solo l’esplosione della guerra civile nel 2002 sembra avere aperto gli occhi alla comunità internazionale che ha potuto riscontrare come la realtà fatta trapelare negli anni fosse ben diversa da quella oggettiva. La Costa d’Avorio è, ed è stata, un classico esempio di democrazia di facciata, termine che identifica quegli ordinamenti che, pur adottando Costituzioni ispirate ai principi ed alle regole della democrazia, non li hanno resi effettivi nel loro funzionamento pratico. Ciò vale a dire che, per qualificare un sistema come democratico, non è sufficiente l’adozione di certe procedure, quali lo svolgimento delle elezioni a suffragio universale, la competizione fra opposti schieramenti politici per la conquista del potere, o ancora il principio di maggioranza in Parlamento. Occorre bensì verificare il rispetto di principi democratici quali l’effettività della tutela dei diritti dei cittadini e dei poteri di garanzia, dei diritti dell’opposizione, l’indipendenza della magistratura, il sindacato sulla legittimità costituzionale, il pluralismo dell’informazione e così via. Le caratteristiche essenziali delle “democrazie di facciata” sono: a) la non effettività dei diritti e delle garanzie pur sanciti nel testo della Costituzione; b) un pluralismo debole e la compressione dei diritti della opposizione e di quelle delle minoranze nazionali; c) l’adozione di una forma di governo presidenziale, che degenera in presidenzialistica, attribuendo al Capo di Stato eletto dal popolo un ruolo assolutamente predominante; d) la previsione di modalità forti di protezione dell’ordinamento, quali la proclamazione di un’ideologia di Stato, il divieto di dare vita ad associazioni incostituzionali, la revocabilità dei mandati, l’assegnazione al Capo dello Stato del ruolo di custode della Costituzione; e) l’influenza importante sul potere civile del fattore militare e/o di quello religioso. Negli anni, tutte queste caratteristiche, alcune con maggiore, altre con minore rilievo , sono state tipiche dell’ordinamento ivoriano. “Freedom House”2, sulla base di scrupolose indagini e rilevazioni, stila annualmente un rapporto sul livello di libertà democratiche in tutti gli Stati del mondo. In una scala che va da uno a sette, dove il sette è il valore maggiormente negativo, la Costa d’Avorio si è vista assegnare per l’anno 2006, un sei in merito ai diritti politici e alle libertà civili, e conseguentemente lo status di paese “non libero”. Combinando i dati di tutti i paesi, “ World Audit”3, ha elaborato, per il 2006, una “democracy rank”, una sorta di classifica degli stati democratici. Su un totale di 150 Paesi considerati, la Costa d’ Avorio si trova al 118°posto, preceduta da 2 3 Freedom house è un istituto di ricerca no profit che ha sede a Washington D. C. World Audit è un organizzazione non governativa, no profit. Stati quali Nord Korea ( 85° posto), Libano ( 96°), Pakistan ( 111°), Afghanistan ( 116°). “World Audit” ha anche stilato due graduatorie riguardanti la libertà di stampa, in cui la Costa d’Avorio occupa il 104° posto, e sul livello di corruzione della classe politica, dove viene collocata addirittura al 134° posto. Molto allarmanti sono anche i dati elaborati dalla rivista inglese “ The Economist”. Il settimanale ha stilato una graduatoria molto simile, che fornisce però una previsione del livello di democraticità per il 2007: i criteri presi in esame sono il processo elettorale e il pluralismo, il funzionamento dell’apparato governativo, la partecipazione politica, la cultura politica, il riconoscimento delle libertà civili. La Costa d’Avorio, su un totale di 167 Paesi presi in esame, occupa il 127°posto e viene fatta rientrare nella categoria dei regimi autoritari. Il dato, di per sé già preoccupante, diventa ancor più drammatico se si considera che, in questa speciale classifica, è preceduta da Stati quali Palestina ( 79° posto), Libano ( 85°), Iraq (112°), Pakistan ( 113°), Rwanda ( 118°), Cuba ( 124°). Per quanto questi dati siano opinabili e per quanto sia contestabile il fatto di esprimere il livello di democraticità di un Paese sinteticamente in una classifica, non si possono negare le lampanti contraddizioni che la Costa d’Avorio si trova ad affrontare: da un lato, fortunatamente, non siamo più di fronte allo scontro aperto fra due fazioni da oltre due anni e non c’è un regime dittatoriale che impone le sue scelte sulla comunità inerme di cittadini; dall’altro, le più elementari libertà civili continuano a essere negate.