Charles Dickens (1810-1870) CASA DESOLATA

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Charles Dickens (1810-1870) CASA DESOLATA
Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752
Direttore responsabile: Antonio Zama
Charles Dickens (1810-1870) CASA DESOLATA / BLEAK HOUSE
29 marzo 2006
L’ingresso di Richard interruppe la conversazione. Mr George si alzò, fece un altro dei suoi inchini
soldateschi, salutò il mio tutore ed uscì pesantemente fuori dalla stanza.
Questo accadde la mattina del giorno della partenza di Richard. Non si dovevano fare altri acquisti; io finii i
suoi bagagli nel primo pomeriggio e c’era tempo fino a sera prima che Richard si recasse a Liverpool per
raggiungere Holyhead. Giacché quel giorno doveva essere di nuovo discussa la causa Jarndyce contro
Jarndyce, Richard mi propose di andare con lui alla Corte per vedere cosa succedeva. Siccome era il suo
ultimo giorno, lui era ansioso di andarci e io non c’ero mai stata, acconsentii e ci avviammo verso
Westminster dove allora si riuniva la Corte. Lungo la strada ingannammo il tempo facendo molti speranzosi
progetti e parlando delle lettere che Richard avrebbe dovuto scrivere a me e io avrei dovuto scrivere a lui. Il
mio tutore sapeva dove ci recavamo e perciò non ci accompagnò.
Quando arrivammo alla Corte, c’era il Lord Cancelliere - lo stesso che avevo visto nel suo ufficio di Lincoln’s
Inn -seduto con gran pompa e gravità sullo scranno, con la mazza e i sigilli su un tavolino rosso sotto di lui e
un immenso cuscino di fiori, quasi un’aiuola, che profumava tutto il tribunale. Sotto il tavolino, c’era una
lunga schiera di awocati con un fascio di carte sul tappeto ai loro piedi; e poi c’erano dei signori in parrucca e
toga - alcuni svegli, altri addormentati, e uno che parlava senza che nessuno facesse attenzione a quello che
diceva. Il Lord Cancelliere era appoggiato con la schiena alla poltrona, teneva il gomito sul bracciolo
imbottito e la testa sulla mano. Alcuni tra i presenti sonnecchiavano; altri leggevano il giornale; altri ancora
gironzolavano o bisbigliavano in gruppi, tutti facendo il loro comodo, senza fretta, indifferenti e tranquilli.
Vedere che si svolgeva tutto con questa calma e pensare alla durezza della vita degli attori e dei convenuti;
assistere a tutta quella pompa e cerimonia e pensare al deperimento, il bisogno e la miseria che
rappresentavano; considerare che, mentre il male delle speranze sempre rimandate attanagliava tanti cuori,
quel fine spettacolo continuava tranquillamente giorno dopo giorno, anno dopo anno, con ordine e
compostezza; contemplare il Lord Cancelliere, gli spettatori e tutta la schiera degli avvcati che si guardavano
l’un l’altro come se non avessero mai udito che in tutta l’Inghilterra l’istituzione nel cui nome si riunivano era
un’amara beffa; era considerata motivo di orrore, disprezzo e indignazione universale; era conosciuta come
qualcosa di così triste e perverso, che solo per miracolo qualcuno poteva ricavarne qualcosa di buono: tutto
questo era tanto strano e contraddittorio per me che non ne avevo esperienza, da parermi in principio
incredibile e poi incomprensibile. Me ne stetti seduta dove Richard mi aveva condotta e provai ad ascoltare
guardandomi intorno; ma mi pareva che in tutta la scena non vi fosse nulla di reale, tranne la presenza della
povera Miss Flite che, in piedi su un banco, annuiva con il capo.
Miss Flite ci vide subito e accorse dove ci trovavamo. Mi diede un grazioso benvenuto nel suo regno,
indicandomene con gioia e orgoglio le principali attrazioni. Venne a parlarci anche Mr Kenge e ci fece gli
onori di casa in modo simile, con la blanda modestia del proprietario. Non era un giorno adatto per una visita,
disse; avrebbe preferito il giorno dell’apertura della sessione; ma lo spettacolo era imponente, imponente.
Richard’s entrance stopped the conversation. Mr George rose, made me another of his soldierly bows, wished
my guardian a good day, and strode heavily out of the room.
This was the morning of the day appointed for Richard’s departure. We had no more purchases to make now;
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I had completed all his packing early in the afternoon; and our time was disengaged until night, when he was
to go to Liverpool for Holyhead. Jarndyce and Jarndyce being again expected to come on that day, Richard
proposed to me that we should go down to the court and hear what passed. As it was his last day, and he was
eager to go, and I had never been there, I gave my consent, and we walked down to Westminster where the
court was then sitting. We beguiled the way with arrangements concerning the letters that Richard was to
write to me, and the letters that I was to write to him; and with a great many hopeful projects. My guardian
knew where we were going, and therefore was not with us.
When we came to the court, there was the Lord Chancellor — the same whom I had seen in his private room
in Lincoln’s Inn — sitting, in great state and gravity, on the bench; with the mace and seals on a red table
below him, and an immense flat nosegay, like a little garden, which scented the whole court. Below the table,
again, was a long row of solicitors, with bundles of papers on the matting at their feet; and then there were the
gentlemen of the bar in wigs and gowns — some awake and some asleep, and one talking, and nobody paying
much attention to what he said. The Lord Chancellor leaned back in his very easy chair, with his elbow on the
cushioned arm, and his forehead resting on his hand; some of those who were present, dozed; some read the
newspapers; some walked about, or whispered in groups; all seemed perfectly at their ease, by no means in a
hurry, very unconcerned, and extremely comfortable.
To see everything going on so smoothly, and to think of the roughness of the suitors’ lives and deaths; to see
all that full dress and ceremony, and to think of the waste, and want, and beggared misery it represented; to
consider that, while the sickness of hope deferred was raging in so many hearts, this polite show went calmly
on from day to day, and year to year, in such good order and composure; to behold the Lord Chancellor, and
the whole array of practitioners under him, looking at one another and at the spectators, as if nobody had ever
heard that all over England the name in which they were assembled was a bitter jest: was held in universal
horror, contempt, and indignation; was known for something so flagrant and bad, that little short of a miracle
could bring any good out of it to any one: this was so curious and self-contradictory to me, who had no
experience of it, that it was at first incredible, and I could not comprehend it. I sat where Richard put me, and
tried to listen, and looked about me; but there seemed to be no reality in the whole scene, except poor little
Miss Flite, the mad woman, standing on a bench, and nodding at it.
Miss Flite soon espied us, and came to where we sat. She gave me a gracious welcome to her domain, and
indicated, with much gratification and pride, its principal attractions. Mr Kenge also came to speak to us, and
did the honours of the place in much the same way; with the bland modesty of a proprietor. It was not a very
good day for a visit, he said; he would have preferred the first day of term; but it was imposing, it was
imposing.
[Torino, Tascabili Einaudi, 1995, pp.327-329]
[Versione originale tratta dal sito: http://www.online-literature.com/dickens/bleakhouse]
Articolo pubblicato in: Artediritto
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