la patologia processuale nell`epoca del pct: esame di casi

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la patologia processuale nell`epoca del pct: esame di casi
Scuola Superiore della Magistratura
Napoli, Castel Capuano, 23 maggio 2016
LA PATOLOGIA PROCESSUALE NELL’EPOCA DEL PCT:
ESAME DI CASI GIURISPRUDENZIALI E PROSPETTIVE
INTERPRETATIVE
Sommario
PREMESSA ..................................................................................................................................................... 2
Bibliografia....................................................................................................................................................... 4
L’ABC DEL PCT: UN MANUALE D’USO PER RISOLVERE I CASI PROBLEMATICI .................. 5
1)
GLOSSARIO MINIMO ...................................................................................................................... 5
2)
LA GERARCHIA DELLE FONTI.................................................................................................... 9
3)
PRINCIPI GENERALI..................................................................................................................... 12
LE PRINCIPALI QUESTIONI E CRITICITA’ ........................................................................................ 15
1)
DOCUMENTO INFORMATICO E FIRME ELETTRONICHE ................................................ 15
originali, copie, estratti, duplicati, riproduzioni meccaniche e relativo regime probatorio ............... 15
2) LE NOTIFICHE TELEMATICHE NELL’AMBITO DEL PROCESSO TELEMATICO. IL
DOMICILIO TELEMATICO.................................................................................................................. 29
IL DEPOSITO TELEMATICO DI ATTI E DOCUMENTI NEL PROCESSO CIVILE. FORMA, FORMATO E
SCOPO DELL’ATTO. L’OBBLIGATORIETÀ DEL DEPOSITO TELEMATICO. Controllo anticipato delle
irregolarita’, tempestivita’ del deposito e rimessione in termini. .......................................................... 35
3)
4)
LA PROCURA ALLE LITI ............................................................................................................. 42
5)
LE TECNICHE DI REDAZIONE DEGLI SCRITTI DIFENSIVI E DELLA SENTENZA ..... 44
1
PREMESSA
Il tema assegnato presuppone che si individuino le disfunzioni, le anomalie
processuali proprie del processo civile telematico.
Senza voler affrontare qui il problema delle risorse, anche in termini di formazione,
investite nel processo telematico, il primo e principale rischio di disfunzione del PCT
consiste nel fatto che presuppone nel giurista cognizioni informatiche minime,
nonché l’acquisizione di uno specifico linguaggio, prerequisiti indispensabili per
affrontare il groviglio disarmonico di norme su cui poggia il PCT. Se è indubbio che
l’interpretazione delle norme è compito del giurista, non vale l’obiezione che al
giurista non possano chiedersi conoscenze di informatica. L’illustre e compianto
magistrato Renato Borruso è annoverato tra i padri dell’informatica giuridica, e tanto
l’informatica giuridica (che studia le modalità di applicazione delle tecnologie
informatiche e telematiche alla teoria e pratica del diritto), che il diritto
dell’informatica (che si occupa del trattamento giuridico di fenomeni informatici),
erano e sono materie nei corsi di laurea in giurisprudenza, specifiche ovvero di
trattazione interdisciplinare. Ciò chiarito, vi è l’impressione che tra i vari soggetti che
operano nel processo telematico solo una minoranza comprenda il significato del
proprio interagire nel processo dematerializzato, e di taluni fenomeni che si trova a
dover gestire. Impressione che purtroppo vale anche per taluni interventi normativi,
che portano a dubitare del fatto che lo stesso estensore della norma avesse ben chiari i
concetti che andava a definire. Ne consegue che la prima patologia del PCT consegue
al fatto che presuppone l’utilizzo di linguaggi diversi, la cui mancata conoscenza può
determinare il rischio di una sorta di babele di lingue. A parte l’espressione di Renato
Borruso, che soleva definire il computer come l’imago mentis dell’uomo, la lingua
veicolare è, tra l’altro, l’inglese, sicché averne poca dimestichezza costituisce
ulteriore motivo di svantaggio. La stessa normativa risulta infarcita di vocaboli in
lingua inglese, e ciò anche laddove esistono locuzioni sufficientemente sintetiche in
italiano (si consideri, solo per fare qualche esempio, l’art. 2 lett. q) e t) D.M. 44/2011,
2
con l’utilizzo dei termini spam per “messaggi indesiderati”, log per “registro delle
operazioni informatiche”..)
Per contrastare il conseguente rischio di confusione occorre un approccio pragmatico
e basico, che definirei come l’ABC del PCT, una sorta di manuale d’uso che mira ad
individuare modalità e strumenti d’ausilio nell’approccio alle nuove questioni
giuridiche che occorre affrontare quali operatori del PCT. Vi antepongo, quale
doveroso tributo, la bibliografia che costituisce la base del presente lavoro, da cui ho
tratto ispirazione, ed ho preso a piene mani.
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Bibliografia
Renato Borruso, Glaudo Riem, Andrea Sirotti Gaudenzi, Paolo Vicenzotto – Glossario di diritto
delle nuove tecnologie e dell’’e-government, Giuffrè Ed.
Vincenzo Di Giacomo – Il nuovo processo civile telematico, Giuffrè Ed.
Giusella Finocchiaro, Francesco Delfini (a cura di), Diritto dell’informatica, Utet Ed.
Emanuele M. Forner – Procedura civile digitale – Prontuario teorico-pratico del processo
telematico, Giuffrè Ed.
Sandro Merz – Manuale pratico delle notifiche in Italia e all’estero, Cedam Ed.
Elena Zucconi Galli Fonseca “L’incontro tra informatica e processo” Riv trim. dir e proc civile,
fasc. 4/2015
Ernesto Lupo, Ennio Amodio – Alla ricerca di linee guida affidabili per una motivazione concisa.
Giovanni Buonomo - Aniello Merone - La scrittura privata informatica, firme elettroniche, valore
probatorio e riconoscimento in giudizio (alla luce delle modifiche introdotte dalla L.n. 221/2012) in
Il diritto dell’informazione e dell’informatica, anno 2013, fasc. 2
Giusella Finocchiaro – La metafora e il diritto nella normativa sulla cosiddetta firma
grafonometrica” in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, anno 2012 fasc. 1
Roberto Alma - nota a Cass SSUU 20 giugno 2012 n. 10143, in Il diritto dell’informazione e
dell’informatica, anno 2012 fasc.6
Alberto Mazza – Attestazione di conformità su documento informatico separato: una prim lettura
delle specifiche tecniche ex art. 16 – undecies, d.l. n.179/2012, in ProcessoCivileTelematico.it,
gennaio 2016
Maurizio Reale – Processo civile telematico: le novità del D.L. n. 90/2014, in Treccani.it
Paolo Comoglio – Processo civile telematico e codice di rito. Problemi di compatibilità e
suggestioni evolutive – Rivista trimestrale diritto e procedura civile n. 3/2015
Daniel Estulin - Transevolution. L’era della decostruzione umana, Arianna Ed.
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L’ABC DEL PCT: UN MANUALE D’USO PER RISOLVERE I CASI
PROBLEMATICI
1) GLOSSARIO MINIMO
Il mondo del diritto è formato sul linguaggio, sulle definizioni e sui concetti,
indispensabili tanto per formare che per rendere interpretabile la volontà normativa. Il
“significato proprio delle parole” richiamato dall’art. 12 delle preleggi non può che
preesistere alla legge: “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro
senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole”.
Ciò posto, è peraltro evidente che l’ordinamento giuridico non può fare a meno, in
certa misura, di regolamentare le mutazioni dei sistemi di vita e di pensiero che
caratterizzano la nostra epoca. Si tratta di evoluzioni talmente rapide e convulse da
giustificare il disagio e la difficoltà del giurista, chiamato a misurarsi con una
normativa bulimica e disorganica, e comunque a pronunciarsi su fenomeni nuovi, per
esprimere i quali si ha impressione che manchi addirittura un linguaggio consolidato
e condiviso, ossia quel “significato proprio delle parole” che deve preesistere alla
legge. Del resto solo su cose e fatti generalmente conosciuti si formato quelle
categorie mentali che presuppongono il dato dell’esperienza. Preso atto della
complessità del fenomeno, non può peraltro disconoscersi che per il giudice, al pari di
ogni altro professionista, l’uso dello strumento informatico è divenuta parte
integrante del lavoro, essendo comunque la tecnologia informatica parte anche della
vita quotidiana extra-lavorativa, sicché un bagaglio minimo di conoscenze
informatiche diviene indispensabile per potersi approcciare sin anche ad istituti di
base del diritto processuale e sostanziale. Non può giustificarsi in alcun modo quindi
il rifiuto (conscio o meno che sia) a crearsi la necessaria cultura informatica.
A tal fine occorre pertanto: 1) garantirsi un minimo di dimestichezza con gli
strumenti informatici (cd. alfabetizzazione informatica, rispetto alla quale occorre
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pretendere adeguata formazione); 2) chiarirsi alcuni concetti fondamentali
dell’informatica. Tutto ciò presuppone l’acquisizione del linguaggio dell’informatica.
In alcuni casi è lo stesso legislatore che, nel regolamentare determinati fenomeni,
premette chiarimenti terminologici (vedi art. 1 CAD, art. 2 D.M. n.44/2011 ecc..). In
ogni caso vi sono meritorie monografie che si sono assunte questo compito. Occorre
tenersele sulla scrivania come dizionario del linguaggio dell’informatica giuridica, da
consultare alla bisogna, fino a che i relativi concetti non ci risulteranno familiari.
Ogni cambiamento deve misurarsi con resistenze culturali. Come vedremo in seguito,
in alcuni casi la scelta di utilizzare una determinata terminologia è stata fatta proprio
per vincere un determinato condizionamento culturale (firma elettronica e firma
autografa sono realtà ontologicamente distanti, ma il legislatore ha scelto di utilizzare
una metafora a fini cognitivi). E’ possibile che talune soluzioni giurisprudenziali
“radicali” rispetto alle nuove problematiche processuali connesse all’introduzione del
PCT siano la conseguenza di resistenze culturali, considerato che i principi giuridici
applicabili alla nuova realtà sono rimasti uguali, e potuto condurre a soluzioni
interpretative idonee ad evitare il moltiplicarsi di “trappole” procedurali.
Se è vero che occorre acquisire nuove esperienze e nuove categorie mentali per
approcciarci senza preconcetti e senza ansia alle novità del PCT, mai come ora, per
noi magistrati, risulta necessario ampliare gli spazi di condivisione delle conoscenze,
perché il “peso” di certe decisioni può e deve essere condiviso. Alla base di mailing
list come “organizzando” vi è per l’appunto detta intuizione, da ritenersi vincente.
Occorre comunque creare situazioni di confronto a livello di singolo ufficio
giudiziario, tramite magrif e rid, nonché canali di diffusione della giurisprudenza
anche di merito, e la SSM in primis dovrebbe farsi carico, anche attraverso le sue
strutture decentrate, di fornire uno specifico supporto in questo campo, in termini
costanti ed efficaci.
Rimando quindi ai menzionati glossari, ed ai suddetti “supporti”, le necessarie
definizioni ed i chiarimenti circa l’uso degli strumenti informatici, tra cui
l’applicativo “consolle del magistrato” (tranne ovviamente che per i concetti connessi
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alla problematiche che saranno di seguito rapidamente affrontate), e mi limito in
questa sede a proporre due brevi osservazioni, apparendo indispensabile dare un
senso ed una motivazione alla fatica ed alla pazienza richieste per affrontare la sfida
con il mondo che cambia.
Nella vita quotidiana, nelle relazioni umane, negli affari, nei rapporti con i pubblici
poteri, sono necessari continui scambi, raffronti ed elaborazioni di informazioni.
L’avvento degli elaboratori elettronici e lo straordinario sviluppo dell’informatica si
deve essenzialmente al fatto che il computer può elaborare e rendere fruibili enormi
quantità di informazioni; il problema è che può acquisire ed elaborare solo
informazioni digitali. Di qui la “digitalizzazione” quale fenomeno della nostra epoca.
Quando raffrontiamo realtà analogica e realtà digitale (e siamo circondati da
esempi: orologio analogico, digitale terrestre, suono analogico, fotocamera digitale,
documento analogico e digitale..) non si dovrebbe fare questione di qualità o
modernità dell’una piuttosto che dell’altra, ma semplicemente di esigenza pratica. Si
possono digitalizzare testi, immagini, suoni, con il vantaggio di poterli condividere,
con il coinvolgimento di tutti i sensi, con qualcun altro, anche a centinaia di
chilometri di distanza. Tutti noi facciamo esperienza quotidiana di siffatti innegabili
vantaggi, misurandoci al tempo stesso con i conseguenti rischi e problemi, poiché al
miglioramento incessante della sofisticatezza dei mezzi tecnologici corrisponde una
crescente alienazione. Secondo le teorie transumaniste, il miglioramento delle
capacità umane non potrà che richiedere una fusione tra scienze biologiche e
tecnologia. Già si sperimentano sistemi di interfaccia tra il cervello ed il computer, e
si parla di condizione post umana. Siamo tutti consapevoli di fornire incessantemente
dati che ci rendono facilmente controllabili. Come una sorta di mondo di Matrix, già
ora talvolta sperimentiamo l’impressione di poter essere “risucchiati” dai nostri
apparecchi elettronici.
Tutti questi cambiamenti ci toccano da vicino quindi, in primo luogo come uomini e
donne di questo tempo, con le conseguenti ricadute filosofiche ed etiche, essendo
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tuttavia evidente che, quali giuristi pratici, abbiamo il dovere di conoscere e capire
questi fenomeni, essendoci richiesto di applicare la legge alla mutevole realtà delle
cose, bilanciando accuratamente rischi e vantaggi nell’indagare la ratio legis, ed al
fine di valutare la compatibilità costituzionale della norme, e non essendoci
comunque concesso il non liquet.
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2) LA GERARCHIA DELLE FONTI
Premesso che il disegno di legge di riforma del processo civile, attualmente all’esame
del Senato, prevede che si dia corso all’adeguamento delle norme processuali
all’introduzione del processo civile telematico, anche mediante inserimento nel
codice di procedura civile delle relative norme di attuazione, nella speranzosa attesa
di una sistemazione organica delle disposizioni in tema di PCT, occorre comunque
chiarirsi le idee sulla collocazione delle regole tecniche e delle specifiche tecniche
nella gerarchia delle fonti, prendendo atto del fatto che il PCT si basa attualmente:
1) sull’art. 4 co 1 e 2 d.l. 193/2009 convertito in L.n. 24/2010, che rinvia ad uno o più
DM in cui “sono individuate le regole tecniche per l’adozione del processo civile e
del processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione” in
attuazione di quanto previsto dal D.Lgs n. 82/2005 (ossia dal CAD); 2) sul DM n.
44/2011 emanato in ottemperanza del suddetto rinvio, concernente appunto le
suddette regole tecniche, di seguito modificato ed integrato dai DM n. 209/2012 e
DM n. 48/2013. Con riguardo a detto DM ed alla questione dell’abrogazione delle
regole tecniche previste dal precedente d.p.r. n. 123/2001, ritengo convincente la tesi
secondo cui al DM in esame debba essere riconosciuta forza di legge in virtù dello
specifico rinvio che ad esso fa l’4 co 1 e 2 d.l. 193/2009 convertito in L.n. 24/2010, e
che l’efficacia temporale delle previgenti regole tecniche sia venuta meno per
l’effetto dell’entrata in vigore “dei decreti di cui ai commi 1 e 2” L.n. 24/2010, ossia
del DM in esame e successive modifiche ed integrazioni. L’art. 34 del suddetto DM
n. 44/2011 rinvia all’emanazione di specifiche tecniche ancora più dettagliate; 3) sul
Provvedimento del Responsabile DGSIA 16.4.2014, in vigore dal 16.5.2014 e che
ha sostituito il precedente provvedimento DGSIA 18.7.2011, emanati in
ottemperanza del rinvio contenuto nel citato art. 34 del DM n.44/2011, e contenente
per l’appunto le più dettagliate specifiche tecniche, e da ultimo integrato dal
Provvedimento del Responsabile DGSIA 28.12.2015.
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Regole tecniche e specifiche tecniche sono per loro natura assoggettate ad
aggiornamenti, dovendosi adeguare all’evoluzione tecnologica. Peraltro, per effetto
del rinvio a catena dalla L.n. 24/2010 al DM 44/2011 sulle norme tecniche e da
quest’ultimo al provvedimento DGSIA 16.4.2014 sulle specifiche tecniche, tanto il
DM che il provvedimento DGSIA non hanno la valenza di meri regolamenti
amministrativi, avendo per contro forza di legge (derivata). Si è in presenza del
fenomeno della legge che rinvia per il suo completamento ad un atto normativo
subordinato (caratterizzato da astrattezza e generalità) con funzione quindi integrativa
della legge stessa, avente esso stesso forza di legge in virtù di detto rinvio, ed entro i
confini concessigli (sicché l’autorità amministrativa è tenuta ad operare nei limiti
della cd. discrezionalità tecnica, e nella specie, nell’ambito dei parametri tecnici della
disciplina di riferimento). Trattasi quindi di ipotesi di rinvio materiale che eleva la
norma di rango subordinato alla sostanza di norma primaria, con la conseguenza, tra
l’altro, che la relativa invalidazione spetta pertanto solo alla Corte Costituzionale, che
dette norme, benché di rango subordinato, possono legittimamente derogare a
precedenti norme di legge ordinaria, e che il giudice deve averne conoscenza
d'ufficio, in applicazione del principio iura novit curia1.
Siffatte conclusioni possono condizionare la valutazione delle conseguenze delle
violazioni delle regole tecniche e delle specifiche tecniche nella predisposizione
dell’atto processuale informatico o del documento informatico prodotto quale
allegato, su cui si tornerà oltre.
Non senza evidenziare sin da ora che il disegno di legge delega recante disposizioni
per l’efficienza del processo civile, già approvato dalla Camera ed attualmente
all’esame del Senato, prevede, tra i criteri della delega, il divieto di sanzioni
processuali sulla validità degli atti per il mancato rispetto delle specifiche tecniche
sulla forma e sullo schema informatico dell’atto, quando questo abbia comunque
In
ne consegue che non sembra condivisibile in proposito Tribunale Vercelli 31.7.2014 e Tribunale
di Milano Sez IX sentenza n. 3115 del 19.2.2014; il Tribunale di Milano tuttavia disattende il limite
temporale delle ore 14.00 per la tempestività del deposito telematico anche argomentando circa il
fatto che il limite orario non era autorizzato né previsto dalla fonte primaria
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raggiunto il suo scopo nonché l’irrogazione di sanzioni pecuniaria a carico della parte
quando gli scritti difensivi, anche se sottoscritti da un difensore, redatti in difformità
delle specifiche tecniche, ledano l’integrità del contraddittorio o rendano inattendibili
le rilevazioni statistiche. Il che suggerisce di escludere che, nell’ambito del PCT, lo
scopo dell’atto processuale possa individuarsi nelle finalità perseguite dalle
medesime specifiche tecniche (vedi copia/incolla e formato PDF immagine). In altre
parole, come si ribadirà di seguito, occorre quindi interrogarsi sullo scopo dell’atto,
che va di regola cercato nel contenuto dell’atto stesso, avuto riguardo alle facoltà di
difesa ed alla garanzia del contraddittorio che esso per sua natura esprime, con la
conseguenza che tutte le volte in cui detto contenuto non sia destinato a cambiare a
seconda della forma, digitale o analogica, adottata, le conseguenze della violazione
delle regole formali devono ritenersi irrilevanti o comunque sanabili, non presidiando
un astratto interesse alla regolarità del processo.
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3) PRINCIPI GENERALI
Partirei dalla regola fondamentale secondo cui il miglior processo è quello che fa
parlare meno di sé. La possiamo tradurre nell’esigenza di fornire un’interpretazione
delle norme processuali coerente con l’obiettivo del processo (termine che deriva da
procedere, avanzare). A fronte di dubbi interpretativi ed in presenza di problemi di
compatibilità di talune forme telematiche con le norme del codice di rito, occorre
evitare di cedere alla comodità del ricorso a soluzioni formalistiche.
Costituiscono applicazione della regola di cui sopra i seguenti principi: 1) Principio
di libertà di forme; 2) principio di strumentalità delle forme; l’invalidità, per
quanto grave, va sempre vista come conseguenza non di un vizio formale ma di un
vizio giuridico, quale incapacità dell’atto di raggiungere il suo scopo (da valutarsi
come fine oggettivo dell’atto nel processo); 3) Principio di economia conservativa
(utilizzato da ultimo da Cassazione sentenza n. 9772/2016): se l’atto viziato ha
raggiunto il suo scopo, l’inosservanza di forme deve ritenersi irrilevante o comunque
sanabile. Non a caso l’art. 162 c.p.c. prescrive che il giudice “quando pronuncia la
nullità deve disporre, quando sia possibile, la rinnovazione degli atti ai quali la
nullità si estende”; rinnovazione che, in assenza di espressa previsione circa il
carattere retroattivo o meno, in applicazione dei principi generali in tema di nullità
deve ritenersi operare ex tunc allorquando il difetto del requisito di forma-contenuto
consenta comunque l’individuazione del potere processuale esercitato. Peraltro la
disposizione prevede la possibilità di condannare al risarcimento dei danni colui che
ha determinato la nullità.
Vi sono poi alcuni preziosi principi da tenere a mente, elaborati dall’UNCITRAL
(United Commission on International Trade Law) - organismo internazionale che ha
svolto un ruolo fondamentale nel commercio elettronico e che è stata tra le prime
istituzioni internazionali a dirimere talune fondamentali questioni teoriche e ad
individuare metodologie di lavoro in materia di comunicazioni elettroniche – e sono
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stati sostanzialmente recepiti dalle direttive europee in materia di firme elettroniche e
di commercio elettronico.
Principio di non discriminazione tra documenti cartacei e documenti elettronici
- A un documento non può essere negato valore giuridico per il solo fatto che è in
forma informatica. In ambito internazionale, sono state fatte raccomandazioni agli
Stati perché vengano rimossi eventuali ostacoli all’ammissione come prove in
giudizio dei documenti informatici. Le prove devono essere sottoposte alla
valutazione del giudice circa la relativa affidabilità, al modo in cui i dati sono stati
generati, archiviati e comunicati, al modo in cui è stata mantenuta l’integrità delle
informazioni ed al modo in cui il mittente è stato identificato.
Principio della neutralità tecnologica - Il diritto deve essere neutro rispetto alla
tecnologia. Un approccio tecnologicamente neutro consente di evitare che le norme
vadano costantemente aggiornate per inseguire la tecnologia ed evitare che il
legislatore condizioni il mercato. Il che presuppone che la norma non disciplini
l’oggetto ossia il cosa, ma si limitino a disciplinare il come, ossia la funzione.
Principio dell’equivalenza funzionale – è collegato al principio della neutralità
tecnologica, finalizzato a considerare la norma neutrale rispetto alla tecnologia anche
per non avere ricadute sulle teoriche preesistenti. Questo principio ha due corollari: 1)
La norma non deve necessariamente essere modificata ma può essere interpretata in
modo da comprendervi al suo interno anche il portato delle nuove tecnologie. I
concetti giuridici preesistenti non necessitano necessariamente di modifiche formali,
ma vanno reinterpretati avuto riguardo alla funzione. Così ad esempio in relazione al
documento informatico ed alle firme elettroniche, occorre valutare di volta in volta
quale sia la funzione della scrittura, della firma e dell’originale, in modo da valutarne
la sostituibilità con l’equivalente elettronico. 2) le norme sul digitale devono
salvaguardare le norme ed i concetti preesistenti in materia di documento e di firma.
Occorre quindi adottare un approccio di maggiore astrazione, al fine di consentire che
concetti giuridici fondamentali già presenti nell’ordinamento siano oggetto di una
nuova interpretazione senza che siano necessarie modifiche formali della norma.
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Principio di non disconoscimento – costituisce l’unico vincolo per il giudice
nell’ambito del libero apprezzamento circa gli effetti giuridici delle firme
elettroniche. Cfr. art. 25, co. 1° Regolamento UE sull’identificazione elettronica:
“alla firma elettronica non possono essere negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità
come prova (…) per il solo motivo della sua forma elettronica”.
Principio di autoresponsabilità Cass 24406/2011 nella rimessione in termini, nella
gestione del domicilio digitale e della casella PEC
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LE PRINCIPALI QUESTIONI E CRITICITA’
1) DOCUMENTO INFORMATICO E FIRME ELETTRONICHE
originali, copie, estratti, duplicati, riproduzioni meccaniche e relativo regime
probatorio
L’evoluzione delle tecnologie ha ampliato le tipologie di documento.
L’art. 1 co. 1 lettera a) D.M. 23 gennaio 2004, la delibera CNIPA 11/04 e l’art. 1
CAD prevedono due categorie di documento: il documento analogico ed il
documento informatico.
Tradizionalmente nel documento si distingue un elemento materiale (contenitore) ed
un elemento immateriale (contenuto). La funzione del documento è di garantire la
conservazione nel tempo dell’elemento immateriale. Deve quindi riconoscersi la
natura di documento a qualsiasi supporto materiale su cui sia possibile imprimere un
segno destinato a durare nel tempo.
Nel documento analogico l’elemento immateriale viene conservato nel tempo grazie
all’utilizzo di una grandezza fisica che assume valori continui, come le tracce
continue su carta per il documento cartaceo, le immagini impresse nella pellicola per
i film, le magnetizzazioni continue su nastri audio e video, ecc.. Ciò che caratterizza
il documento analogico è che la rappresentazione è immediatamente percepibile
attraverso i sensi senza la mediazione di un processo elettronico che la renda visibile.
La rappresentazione analogica esiste assieme al supporto analogico che la
rappresenta.
Nel documento informatico il contenuto del documento deriva da un insieme di
elettroni registrati in un supporto che assume valori binari2 ottenuti attraverso un
In
il computer come ogni circuito elettrico capisce solo due simboli O = mancanza di tensione 1=
presenza di tensione, ossia spento/acceso
2
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processo di elaborazione elettronica di cui sia identificabile l’origine e che ciascuno
può rendere intelleggibile a distanza di tempo attraverso un processo di elaborazione
elettronica, cioè in modo indiretto. La rappresentazione digitale e quindi il documento
informatico, esistono indipendentemente dal supporto informatico sul quale sono
impressi.
In conclusione, nel documento analogico la rappresentazione esiste insieme al
supporto analogico che la rappresenta, mentre nel documento informatico la
rappresentazione
digitale
(e
quindi
il
documento
informatico)
esiste
indipendentemente dal supporto (informatico) su cui è impressa. Nel documento
analogico rappresentazione e supporto esistono insieme e sono direttamente
percepibili, nel documento informatico la rappresentazione e supporto esistono
indipendentemente l’uno dall’altro; la rappresentazione è già documento informatico,
che tuttavia diviene intelleggibile in modo indiretto, necessitando di un processo di
elaborazione elettronica che lo registri su di un supporto3.
Tanto chiarito, per documento informatico si intende “la rappresenta informatica di
atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti” (art. 1 co. 1 lettera a) d.m. 23 gennaio 2004;
delibera CNIPA 11/04). La disciplina del documento informatico la troviamo nel
Codice dell’Amministrazione Digitale, art. 20 e 21 Art. 21 “Documento informatico
sottoscritto con firma elettronica. 1. Il documento informatico, cui è apposta una
firma elettronica, sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto
conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità , sicurezza, integrità e
In
3
. anche nel documento informatico vi è l’elemento materia, vi è la corporalità del contenente, il
fatto è che non è immediatamente evidente. I BIT (ossia i segnali che il computer memorizza ed
elabora) non sono qualcosa di virtuale, che in realtà non esiste, costituendo per contro una entità
fisica reale, corrispondendo ad un determinato posizionamento di un interruttore lungo il circuito
degli elettroni. (: mentre segni grafici, immagini e fotogrammi non sono scorporabili dal supporto
su cui sono impressi, sicchè trasferimento del contenuto equivale a trasferimento del contenente, i
bit registrati su un supporto informatico sono sempre scorporabili da esso e possono quindi essere
oggetto di diritto come bene mobile separato e distinto dal supporto
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immodificabilità. 2. Il documento informatico sottoscritto con firma elettronica
avanzata, qualificata o digitale, formato nel rispetto delle regole tecniche di cui
all'articolo 20, comma 3, che garantiscano l'identificabilità dell'autore, l'integrità e
l'immodificabilità del documento, ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del codice
civile. L'utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale si presume
riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria”.
Per esaminare il valore probatorio del documento informatico occorre affrontare
l’argomento FIRME ELETTRONICHE, avuto riguardo sin da subito al fatto che la
firma digitale (che è solo una delle possibili firme elettroniche), per le sue
caratteristiche di sicurezza, è uno dei capisaldi del processo telematico.
Per comprendere il valore probatorio del documento informatico risulta
imprescindibile esaminare come la firma elettronica viene considerata a livello
normativo, visto che si disciplina il valore probatorio al documento informatico cui è
apposta una firma elettronica, ed a seconda del tipo di firma elettronica.
Due premesse sono d’obbligo: 1) le firme elettroniche non sono firme, sono come
firme. E’ stato puntualmente osservato che il legislatore ha voluto usare una metafora
per vincere il condizionamento culturale che porta a pensare il documento come
necessariamente cartaceo. Pur a fronte dell’uso di un termine firma, reso comune
alla sottoscrizione autografa ed alle firme informatiche, occorre essere consapevoli
del fatto che si tratta di realtà ontologicamente diverse. Tra l’altro l’uso del termine
firma consente una opportuna sintesi linguistica4 Le firme informatiche sono il
risultato di una procedura tecnologica, e si era non a caso pensato anche all’uso di
terminologia diversa (sigillo elettronico o timbro elettronico).
La scelta di
In
la firma informatica è definibile come un “insieme di dati in forma elettronica allegati oppure
connessi a un documento informatico che consentono l’identificazione del firmatario del documento
e garantiscono la connessione univoca al firmatario, creati con mezzi sui quali il firmatario può
conservare un controllo esclusivo, collegati ai dati ai quali detta firma si riferisce in modo da
consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati, basati su un certificato
qualificato e su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro,
che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica,
rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento
informatico o di un insieme di documenti informatici”
4
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utilizzare il termine firma agevola il richiamo, per le firme elettroniche,
dell’esperienza giuridica già consolidata in relazione alla sottoscrizione autografa,
consentendo di associare due fenomeni, rendendoli assimilarli.
2) La firma elettronica, dunque, non è altro che un metodo di autenticazione
informatica5. Chiarito che le firme elettroniche non sono firme, occorre prendere atto
che nel CAD il concetto di firma elettronica è connesso a quello di autenticazione.
La firma elettronica è l’insieme di dati elettronici utilizzati come metodo di
identificazione informatica. Le procedure imposte dalla normativa per verificare
l’identità di chi tratta dati personali con strumenti elettronici (cfr. D.Lgs. 196/2013
Codice di protezione dei dati personali), possono essere di tre tipi: a) un codice per
l’identificazione di colui che tratta dati personali (username o nome utente) associato
ad una parola chiave (password) riservata e conosciuta solo dal medesimo; b) un
dispositivo di autenticazione in possesso e uso esclusivo dell’incaricato (carta
elettronica, smart card, badge ecc…) eventualmente associato ad un codice
identificativo o a una parola chiave; c) una caratteristica biometrica dell’incaricato
(impronte digitali, retina) eventualmente associata ad un codice identificativo o a una
parola chiave.
Pare importante sottolineare che l’ampia accezione di firma
elettronica la dobbiamo alla direttiva 1999/93/CE, che si pone come finalità di
favorire l’uso delle firme elettroniche mediante il loro riconoscimento giuridico in
ambito europeo, ispirandosi al principio di neutralità tecnologica, che vieta al
legislatore nazionale di condizionare, anche indirettamente, attraverso il riferimento a
standard tecnologici adottati da specifici prodotti, la libera circolazione dei prodotti e
dei servizi utilizzabili per le firme elettroniche.
Per semplificare (e omettendo dunque la cronologia e le varie tappe degli interventi
legislativi sull’argomento) la riscrittura degli articoli 20 e 21 del CAD consente
quindi di distinguere scritture forti e scritture deboli, o meglio ancora tra documento
In
Il Codice delle comunicazioni elettroniche, all’art. 1 co. 1 lett.b) definisce l’autenticazione
informatica come la “validazione dell’insieme di dati attributi in modo esclusivo ed univoco ad un
soggetto, che ne distinguono l’identità nei sistemi informativi, effettuata attraverso opportune
tecnologie al fine di garantire la sicurezza dell’accesso”
5
18
informatico privo di sottoscrizione, documento informatico su cui è apposta
firma elettronica semplice e documento elettronico su cui è apposta firma
elettronica avanzata.
La presenza di una firma elettronica, per quanto semplice, risulta sufficiente a
considerare il documento come mezzo di prova attribuendo al documento un maggior
grado di affidabilità e restringendo il grado di discrezionalità connesso alla libera
valutazione del giudice, che dovrà valutarne le caratteristiche oggettive di sicurezza
ed integrità ed il grado di affidabilità anche ricorrendo a presunzioni semplici
(principio di non disconoscimento).
I documenti informatici sottoscritti con firma elettronica avanzata, qualificata e
digitale, hanno invece un ben preciso valore giuridico, ossia la medesima efficacia
probatoria prevista dall’art. 2702 cc per la scrittura privata.6
Approfondendo la questione del valore probatorio del documento informatico cui sia
apposta una firma elettronica avanzata (di cui la firma elettronica qualificata e la
firma digitale costituiscono due declinazioni) occorre osservare che siffatta tipologia
di firma elettronica ha caratteristiche tecniche che consentono l’identificazione del
firmatario e la connessione univoca della firma al documento; risulta inoltre possibile
verificare se il documento sia stato modificato successivamente all’apposizione della
firma elettronica avanzata. Inoltre il firmatario conserva il controllo esclusivo sui
mezzi che creano la connessione della firma al documento. Il che ha consentito
l’introduzione normativa di una presunzione secondo cui l’uso della firma sia
In
6
le disposizioni dei co. 2° e 2° bis dell’art. 21 del Codice dell’amministrazione digitale che
attribuiscono al documento sottoscritto con firma elettronica avanzata l’efficacia probatoria della
scrittura privata ai sensi dell’art. 2702 del codice civile, nonché, salvo l’eccezione degli atti e
contratti aventi ad oggetto beni immobili, l’idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta se
richiesto a pena di nullità, restano peraltro valide anche alla luce dell’art. 25, co. 2° Regolamento
Ue sull’identificazione elettronica approvata dal Parlamento Europeo il 3 aprile 2014, che prevede
un’automatica equiparazione, quanto agli effetti giuridici, della firma elettronica qualificata alla
firma autografa
19
possibile soltanto al suo legittimo titolare, che risulta conseguentemente tenuto a
vigilare con diligenza sul proprio dispositivo di firma; l’utilizzo del dispositivo di
firma elettronica qualificata o digitale si presume riconducibile al titolare, salvo che
questi dia prova contraria. In altre parole l’apparente sottoscrittore della scrittura
disconosciuta dovrà provare che non ha utilizzato il dispositivo di firma elettronica
qualificata o digitale. Non si tratta quindi di disconoscimento della firma, che è
sempre vera in sé, bensì di disconoscimento che ha ad oggetto, a norma dell’art.
21 co. 2 CAD, l’utilizzo del dispositivo di firma. Si tratta quindi di una situazione
diversa da quella disciplinata dall’art. 214 c.p.c., così come sono ontologicamente
diverse la sottoscrizione autografa e le firme elettroniche. Come è stato correttamente
osservato anche dal Consiglio di Stato in sede consultiva (parere 30 gennaio 2006), si
passa dal criterio di paternità al criterio di responsabilità nella conservazione e
nell’utilizzo della chiave privata.
In proposito, si è osservato che l’art. 21 co.2 CAD rafforza sotto il profilo probatorio
il documento informatico sottoscritto con firma digitale in danno del documento
formato su supporto cartaceo, stante la maggiore difficoltà del disconoscimento
giudiziale della firma. Mentre colui contro il quale viene esibita in giudizio una falsa
scrittura cartacea può limitarsi a disconoscere la propria firma spettando a chi intende
utilizzarla di provarne l’autenticità, la parte contro cui viene esibita in giudizio una
falsa scrittura su supporto informatico oltre a disconoscere la propria firma deve
anche fornire le prove della sua falsità (sia pure non nelle gravose modalità della
querela di falso).
Si è così teorizzato che il documento informatico munito di firma avanzata costituisca
una sorta di tertium genus tra la scrittura privata e l’atto pubblico, avendo in giudizio
la stessa efficacia probatoria di una scrittura privata munita di sottoscrizione
legalmente riconosciuta pur essendo in realtà paragonabile ad una scrittura privata
munita di sottoscrizione non autenticata. (cfr. parere del Consiglio di Stato 30
gennaio 2006, secondo cui l’introdotta inversione dell’onere della prova “appare
ingiustificato”).
20
In realtà occorre considerare che la firma elettronica qualificata, per le sue
caratteristiche di sicurezza e affidabilità, risulta idonea ad ingenerare l’altrui
affidamento, cui l’ordinamento intende apprestare tutela. Se si tiene conto del fatto
che solo la compresenza garantisce il massimo della sicurezza nell’identificazione
delle parti, e che il contratto stipulato mediante strumenti informatici si conclude di
regola da remoto, occorre tutelare ciascuno contraente da remoto circa il fatto che la
controparte sia effettivamente chi afferma di essere mediante l’apposizione della
propria firma digitale. Tale risultato si persegue imponendo al titolare della firma
elettronica di custodire con attenzione sia il dispositivo di firma che le credenziali di
autenticazione, ed altresì gravandolo, in caso di disconoscimento, dell’onere di
dimostrare che l’utilizzo della firma è avvenuto a sua insaputa e contro la sua volontà
nonché di aver adottato tutte le opportune cautele contro l’utilizzo abusivo del
dispositivo di firma.
Con riguardo al documento informatico cui sia apposta una firma digitale va infine
rammentato il problema della validità nel tempo, che risulta connesso al fatto che la
validità del certificato qualificato da cui è stata generata la firma digitale ha una
durata predeterminata e può scadere. Il problema risulta tuttavia superabile mediante
l’apposizione sul documento, al momento della sottoscrizione con firma digitale
ovvero in un momento successivo, della cd. “marca temporale” che consente di
associare data ed ora certa ad un documento informatico (art. 20 co.3 CAD). Con la
precisazione che per i documenti informatici depositati in giudizio o comunque
presso una pubblica amministrazione la marca temporale viene apposta dall’ufficio
giudiziario (alla stregua dell’apposizione di un timbro e dell’annotazione del numero
di protocollo).
Passando all’esame del valore probatorio del documento informatico cui sia
apposta una firma semplice, il principio generale è quello fissato dall’art. 21 co. 1
CAD, secondo cui il valore probatorio del documento cui è apposta una firma
elettronica è liberamente apprezzato dal giudice, tenuto conto delle sue
caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità. Poiché
21
esistono differenti firme elettroniche semplici, il principio è che il giudice dovrà
valutarne le caratteristiche oggettive in concreto (in applicazione del cd.
principio di non disconoscimento). Occorre rammentare che i requisiti di qualità e
sicurezza si riferiscono al processo di creazione del documento informatico, mentre i
requisiti di integrità e immodificabilità al documento informatico; le caratteristiche
oggettive peraltro non sarebbero le uniche da indagare.
Il problema della valutazione discrezionale rimessa al giudice presuppone che sia
risolta la questione circa le caratteristiche stesse del documento informatico, ossia se
sia provvisto o meno di firma elettronica semplice.
Esempio paradigmatico è quello del valore probatorio della e-mail. In
giurisprudenza si registrano tre diverse tesi. 1) documento informatico non firmato
(es. Tribunale Milano 14 maggio 2014 – in caso di contestazione la e-mail perde
ogni efficacia, anche sul piano meramente indiziario; 2) scrittura debole, cui è
apposta firma elettronica semplice (es Tribunale Prato 15 aprile 2011); 3) mera
riproduzione meccanica, cui è applicabile l’art. 2712 c.c.. (es. Tribunale Roma 27
maggio 2010, Tribunale di Udine, ordinanza 17 febbraio 2014, nonché, sia pure
non in tema di e-mail, Cass. Sez. Lav. n.11445/2001; Cass. Sez Lav. n. 4297/2003).
Secondo le tesi di cui ai nn. 2 e 3 la veridicità del documento informatico e comunque
sorretta da presunzione semplice che va corroborata alla stregua del normale
ragionamento presuntivo, che il giudice deve condurre anche alla stregua della
valutazione dell’idoneità nel caso concreto ex art. 21 co. 1 CAD. Sull’argomento si
vedano anche Tar Puglia sentenza n. 562/2016 (la e-mail viene ritenuta idonea ad
esprimere la volontà di concludere un contratto),
Tribunale Prato 15.4.2011,
Tribunale Verona 26 novembre 2005, Tribunale Mondovì 7 giugno 2004.
Esemplificando ancora con riferimento alla e-mail quale documento informatico con
firma semplice, risulta importante valutare, nell’ambio del giudizio discrezionale, sia
le caratteristiche della firma elettronica semplice sia l’esistenza degli usi tra le parti, e
ciò in particolar modo nei casi in cui la parte nei cui confronti viene prodotta si limita
ad una generico disconoscimento. Così ad esempio un uso professionale della posta
22
elettronica, tale da giustificare una sorta di elezione di domicilio del soggetto, ad
esempio perché ha comunicato ed utilizzato il proprio indirizzo mail nell’ambito del
rapporto sostanziale (esempio: unico riferimento od indirizzo dato da un contraente
telematico) o se vi siano usi tra le parti circa l’utilizzo della posta contrattuale nella
corrispondenza e nell’esecuzione contrattuale. Si consideri poi che la direttiva
comunitaria 1999/93/CE, al considerando n. 16, prevede che “nella misura consentita
dal diritto nazionale, andrebbe rispettata la libertà delle parti di accordarsi sulle
condizioni di accettazione dei dati firmati in modo elettronico”, e comunque pare
difficile negare valore giuridico al documento informatico cui risulta apposta una
firma elettronica semplice, e quindi diversa da quelle considerate “sicure” (firma
elettronica avanzata), privando le parti della libertà di adottare soluzioni pratiche ed
usi maggiormente elastici. Il metodo di identificazione del mittente deve quindi
essere valutato non solo sotto il profilo tecnico ma altresì avuto riguardo alle
circostanza ed agli accordi, anche taciti, delle parti, nello scambio delle
comunicazioni e dichiarazioni di volontà. Si potrà inoltre valutare se per lo scambio
di e-mail si utilizza una rete interna od una rete pubblica internet (vedi esempio della
rete intranet propria del dominio giustizia), e se quindi siano necessarie credenziali
per accedere a detta rete, se la password debba essere creata o meno in modo
complesso (password alfanumerica, con numero minimo di caratteri, presenza di
minuscole, maiuscole, caratteri speciali ecc..), ovvero rinnovata con frequenza.
In definitiva, tenuti distinti i casi in cui la firma elettronica semplice abbia una mera
funzione identificativa (come avviene per esempio con la firma elettronica semplice
utilizzata per accedere ad uno sportello bancomat) da quelli in cui abbia anche una
funzione dichiarativa (e quindi il problema sia essenzialmente quello di attribuire al
mittente la paternità di una dichiarazione di volontà, come per l’appunto nella email), in tale seconda ipotesi sarà importante verificare che sussista un metodo di
identificazione del mittente, se vi sia l’approvazione da parte del mittente stesso delle
informazioni contenute nel messaggio, e se il metodo risulti appropriato in relazione
23
alle circostanze, considerando anche eventuali accordi fra il mittente e il destinatario
del messaggio. Circostanze tutte passibili di prova indiretta.
Occorre infine affrontare, sia pure in estrema sintesi, la questione della distinzione
tra originali, copie, estratti, duplicati e riproduzioni meccaniche e del relativo
regime probatorio. L’argomento è scivolosissimo….
Reperiamo in primo luogo nel CAD, agli artt. 22, 23 e 23 bis le relative definizioni,
anche tramite il richiamo alla regole tecniche (art. 71 CAD), il cui rispetto determina
il valore giuridico delle fattispecie documentali ivi considerate. Circa quest’ultimo
aspetto si rinvia al testo normativo, per non appesantire eccessivamente la presente
trattazione, e trattandosi di disposizioni di agevole interpretazione.
Merita invece chiarire che vi sono regole tecniche e specifiche tecniche per la
formazione e trasmissione di documenti informatici interne al PCT, da ritenersi
norme speciali, che non si estendono alla formazione dei documenti informatici
all’esterno del PCT. Ad esempio, un documento informatico può essere validamente
depositato telematicamente, essendo conforme alle regole e specifiche tecniche del
PCT, ma non essere formato secondo le regole tecniche di cui all’art. 71 CAD, e ciò
ai fini del relativo valore giuridico. Così ad esempio, la stampa di un documento
informatico prodotta quale allegato documentale (esempio la stampa di una e-mail)
può risultare validamente depositata in giudizio, pur essendo la formazione del
suddetto documento informatico in sé non rispondente alle regole tecniche che lo
riguardano e di cui agli artt. 23 co. 2 e 71 CAD.
Questa precisazione serve a dare una idea dell’importanza di delimitare l’ambito
regolamentato da una determinata disciplina.
Una ulteriore precisazione di impone, anche al fine di comprendere, e giustificare, la
fatica del giurista pratico nell’approccio all’argomento in oggetto. Si tratta di una
questione che attiene al già trattato problema del linguaggio e delle categorie mentali.
In primo luogo, occorre rammentare che il documento analogico, nella definizione di
cui all’art. 1 CAD, è categoria ampia, che contiene in sé il documento analogico
24
scritto (essendo infatti definito quale “rappresentazione non informatica di atti, fatti o
dati giuridicamente rilevanti”).
Ulteriormente, va rammentato che le copie degli atti (artt. 2714/2719 c.c.) e le
riproduzioni meccaniche appartengono entrambe alla più ampia categoria dei
documenti riproduttivi. La copia è il documento del documento, ossia un documento
di secondo grado, e si distingue dalle riproduzioni meccaniche in quanto la copia è la
riproduzione di dichiarazioni scritte giuridicamente rilevanti, mentre le riproduzioni
meccaniche sono la rappresentazione meccanica di fatti e cose. Così ad esempio,
nell’ambito dei documenti cartacei, è copia solo la nuova scrittura dello stesso
contenuto, mentre l’utilizzo di una macchina (ad esempio, della fotocopiatrice), fa
rientrare il documento tra le riproduzioni meccaniche di fatti e di cose, e ciò in
quanto, attraverso il processo di riproduzione, il documento originario si
“oggettivizza”.
Il documento informatico è qualcosa di profondamente diverso dal documento
scritto analogico. Il documento informatico è per sua natura interattivo e
multimediale, potendo contenere, correlati inscindibilmente tra loro, non solo
dichiarazioni, ma altresì voci, suoni, filmati, ed attraverso l’uso dell’ipertesto
rivoluziona la tradizionale modalità di espressione lineare del pensiero scritto. Con la
conseguenza che, nel documento informatico, la contrapposizione tra documento
scritto e riproduzione di fatti o cose perde di consistenza.
Tanto chiarito, diventa a questo punto problematico definire tecnicamente quale
copia il documento informatico “avente il contenuto e forma identici a quelli del
documento analogico da cui è tratto” (art. 22 CAD), in quanto non vi è identità tra
forma informatica ed analogica, con la conseguenza che il documento informatico,
anche qualora contenga la stessa dichiarazione contenuta nel documento analogico
scritto (e, ancor di più, quando contenga la rappresentazione per immagine del
documento scritto, riproducendo quindi, prima ancora che il contenuto della
dichiarazione, il documento oggettivizzato), è comunque e sempre un documento di
primo grado, formato in via originaria. Questa precisazione pare utile per
25
comprendere che il termine “copia” nel rapporto tra documento scritto analogico e
documento informatico risulterebbe impiegato quale metafora a fini cognitivi, per
associare fenomeni ontologicamente diversi sul piano giuridico. Resta peraltro
importante evitare di creare categorie concettuali incongrue rispetto all’eterogeneità
delle situazioni oggettive normate.
Fatte queste premesse, deve darsi atto che state finalmente pubblicate le specifiche
tecniche previste dall’art. 16-undecies, c. 3, d.l. n. 179/2012, indispensabili per poter
attestare – su un documento separato – la conformità all’originale di una copia
informatica (Provvedimento del responsabile per i sistemi informativi automatizzati
del Ministero della giustizia 28 dicembre 2015, in vigore dal 9.1.2016), integrando
quelle già dettate dal Provvedimento Responsabile DGSIA del 16 aprile 2014.
Semplificando al massimo, è previsto che l’attestazione di conformità sia un
documento in formato PDF (sia nativo che immagine, in difetto di precisazione a
riguardo), firmato digitalmente, che deve contenere una sintetica descrizione del
documento (o dei documenti) di cui si sta attestando la conformità e il nome del file.
Le modalità delle attestazioni di conformità sono dettagliatamente disciplinate a
seconda che riguardino 1) copie depositate telematicamente in giudizio; 2) copie
destinate ad essere notificate via posta elettronica certificata; 3) copie trasmesse in
allegato a generici messaggi di posta elettronica certificata (al di fuori delle notifiche
e dei depositi telematici); 4) tutti gli altri casi.
Se la copia informatica viene allegata ad atto processuale da depositarsi
telematicamente, l’attestazione viene inserita nella medesima busta telematica che
accompagna l’atto processuale, ma con l’utilizzo di dati identificativi che consentono
la più agevole individuazione, tra i vari allegati, delle copie e delle relative
attestazioni. Un discorso a sé meritano le copie informatiche da inviare in occasione
di notifiche PEC, su cui si tornerà oltre.
Prima di menzionare taluna giurisprudenza in materia di copie di atti ed attestazioni,
occorre ricordare che quando si tratti di documenti presenti nel fascicolo informatico,
la normativa riconosce ad una serie di soggetti abilitati esterni la facoltà di estrarre
26
con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche degli atti e dei
documenti informatici, esentandoli peraltro integralmente dal pagamento del diritto di
copia.
L'art. 16-bis, comma 9-bis, del D.L. 179/2012 (introdotto dall'art. 52 del D.L.
90/2014) disciplina il potere di autentica dei difensori e degli ausiliari del giudice
allorquando si attesti la conformità all'originale degli atti estratti dal fascicolo
informatico. Quest’ultima norma dispone, fra l'altro, testualmente "Le copie
analogiche ed informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico e
munite dell'attestazione di conformità a norma del presente comma, equivalgono
all'originale". Su un diverso piano si pone il potere di attestazione del difensore con
riguardo agli atti non presenti nel fascicolo informatico, di cui occorra fare copia per
procedere all’esercizio di poteri e facoltà processuali
Tribunale Bologna, ordinanza 22 ottobre 2015 – contestazione circa la mancanza
di attestazione di conformità sugli atti depositati dal creditore procedente
raggiungimento dello scopo dell’atto – ordine di esibizione degli originali e di
regolarizzazione dell’attestazione.
Tribunale di Napoli, Sez. XII civile, ordinanza 25.2.2016 – notifica di atti estratti
dal fascicolo informatico – attestazione di conformità mancante della firma del legale
– non costituisce motivo di nullità della notifica, che ha comunque raggiunto il suo
scopo.
Cassazione sentenza n. 3386/2016 – copia della sentenza emessa trasmessa via PEC
dalla Cancelleria e depositata in occasione del ricorso in Cassazione – equivale a
copia autentica, e non occorre l’attestazione di conformità dell’avvocato.
Cassazione S.U., sentenza 18 aprile 2016, n. 7665, Pres. Amoroso, rel. Cirillo. Nel
giudizio di cassazione, i ricorrenti, nella memoria difensiva, eccepiscono
preliminarmente la nullità del controricorso per vizi formali della sua notificazione
effettuata con PEC, in ragione della asserita violazione delle regole dettate dall’art. 3
bis, co. 4 e 5, L. 53 del 1994 e dall’art. 19 bis del provvedimento ministeriale del 16
aprile 2014. Le sezioni unite, investite del ricorso perché riguardante una questione di
27
giurisdizione, ritengono l’eccezione infondata perché: 1) opera, nella fattispecie,
l’insegnamento, condiviso e consolidato nella giurisprudenza di questa Corte,
secondo cui il principio, sancito in via generale dall'articolo 156 del codice di rito,
secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo
a cui è destinato, vale anche per le notificazioni, anche in relazione alle quali pertanto - la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto, malgrado
l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario”; 2) nella
specie i ricorrenti “non adducono né alcuno specifico pregiudizio al loro diritto di
difesa, né l’eventuale difformità tra il testo recapitato telematicamente, sia pure con
estensione.doc in luogo del formato.pdf, e quello cartaceo depositato in cancelleria.
La denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela
l’interesse all’astratta regolarità del processo, ma garantisce solo l’eliminazione del
pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata
violazione. Ne consegue che è inammissibile l’eccezione con la quale si lamenti un
mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea
applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del
diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della
Corte.
28
2) LE NOTIFICHE TELEMATICHE NELL’AMBITO DEL PROCESSO
TELEMATICO. IL DOMICILIO TELEMATICO
Considerato che l’argomento notifiche telematiche sarà oggetto di approfondito
esame in successiva sessione, mi limiterò a menzionare taluna giurisprudenza di
legittimità e di merito sull’argomento nonché sul domicilio telematico del difensore,
al fine più che altro di estrapolare i principi di cui si è fatta applicazione.
Premetterei peraltro una sintesi delle regole che presiedono le notifiche degli
avvocati tramite PEC: 1) gli avvocati sono autorizzati tutti, ex lege, a notificare in
proprio tramite PEC, senza quindi dover richiedere l’autorizzazione del Consiglio
dell’Ordine di appartenenza (necessità che permane per la notifica cartacea); 2) la
notifica via PEC può avvenire tra avvocati e quando il destinatario risulti da pubblici
elenchi; 3) l’avvocato è considerato pubblico ufficiale quando compila la relazione e
le attestazioni di cui agli artt. 3, 3 bis e 9 della L.n. 53/1994 (art. 18 DM 44/2011 e 6
L.n.53/1994); 4) alla notifica a mezzo PEC si applica l’art. 147 c.p.c. per cui se la
ricevuta di consegna giunge dopo le ore 21.00 la notifica si considera perfezionata
alle ore 7.00 del giorno successivo; 5) la notifica telematica presuppone che
l'avvocato sia munito di procura che deve essere rilasciata antecedentemente alla
notifica, pena la nullità della notifica stessa (art. 1 e 11 L.n. 53/1994); ne consegue
che la procura alle liti va notificata assieme all’atto introduttivo del giudizio solo ove
non sia possibile stabilirne in altro modo certo l’anteriorità; 6) se l’atto o il
provvedimento da notificare non è presente nel fascicolo informatico, l’avvocato
deve
estrarre
copia
informatica
del
documento
analogico
e
procedere
all’asseverazione di cui all’art. 22 co. 2 CAD. Se invece procede alla notifica di atti
estratti dal fascicolo informatico, l’avvocato dovrà attestare la conformità delle copie
ai corrispondenti atti e provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico e,
nell’ambito della notifica fatta in proprio dall’avvocato a mezzo PEC, detta
attestazione andrà inserita nella relata di notifica da allegare al messaggio PEC, e
29
dovrà contenere il nome del file e la sintetica descrizione del documento cui
l’attestazione si riferisce. L’attestazione non risulta peraltro necessari in caso di
estrazione di un duplicato. I due poteri certificativi in senso lato dell’avvocato si
differenziano perché rispetto agli atti inseriti nel fascicolo informatico l’avvocato ha
altresì il potere di estrazione dell’atto dal fascicolo. L’uso del potere di autentica, di
estrazione ed attestazione da parte dell’avvocato pone questioni deontologiche, e
comunque nella pratica va utilizzato con accortezza: ad esempio, l’atto può
considerarsi inserito nel fascicolo informatico solo se effettivamente presente in esso,
e dunque, se in formato analogico, occorre che la cancellaria ne l’abbia scannerizzato
ed inserito quale PDF immagine. In tal caso può essere estratto dal fascicolo e
l’avvocato può procedere con l’attestazione. Per la stessa ragione, non basta
l’attestazione se l’atto non sia stato effettivamente estratto dal fascicolo informatico
ad opera dell’avvocato, che per esempio non può limitarsi a notificare atto inviatogli
in allegato in messaggio PEC della cancelleria; 6) vi sono delle indicazioni da inserire
nel campo “oggetto” della PEC e nella relata di notifica previste a pena di nullità
della notifica stessa e la cui sussistenza va controllata d’ufficio dal giudice; 7) la
prova della notifica telematica non può più essere fornita mediante produzione su
supporto analogico del messaggio PEC, essendo per contro necessario il deposito
telematico dell’atto notificato, da inserire all’interno della busta telematica di cui
al’art. 14 delle specifiche tecniche, e, come allegati, la ricevuta di accettazione e la
ricevuta di avvenuta consegna relativa ad ogni destinatario della notificazione, con la
precisazione che la ricevuta deve essere completa, e non sintetica.
Come evidenziato da tempo dalla stessa Suprema Corte, le modifiche via via
intervenute nel quadro normativo in materia di notificazioni evidenziano il favor del
legislatore per modalità semplificate di notificazione, ed in particolare per la notifica
via PEC (cfr Cass n. 4061/2011; Cass n. 10143/2012). Su questa scia si pone anche il
disegno di legge delega recante disposizioni per l’efficienza del processo civile che,
in materia di notifiche, prevede tra i criteri della delega che se il destinatario è un
30
professionista od una impresa la notifica deve essere fatta obbligatoriamente via
PEC e che se la notifica non riesce per fatto imputabile al destinatario si procede ad
una sorta di art. 140 c.p.c. mediante deposito dell’atto di notificare in apposita area
web riservata e consultabile dal destinatario.
La trasmissione ai sensi di legge del documento informatico a mezzo di PEC equivale
alla notifica a mezzo posta, e quindi sostanzialmente ad una raccomandata con
ricevuta di ritorno (art. 48 co.2 CAD; art. 3 co. 1 dpr n. 68/2015) essendo opponibile
a terzi, data, ora di trasmissione e ricezione, sicchè il destinatario che voglia
contestare di aver ricevuto il messaggio risultante dalla ricevuta di avvenuta consegna
in possesso del mittente dovrà farlo tramite querela di falso.
Quanto alle possibili contestazioni del contenuto del messaggio di PEC e/o degli
eventuali allegati, occorre distinguere dato che le ricevute di avvenuta consegna
(RdAC) sono di tre tipi: 1) completa (default: v. art. 6 co.4 dpr n. 68/2005 e art. 1
lett. i d.m. n. 19818/2005) che è quella in cui sia il messaggio originale che gli
eventuali allegati vengono integralmente inseriti nella medesima ricevuta di
consegna; b) breve, ossia quella in cui il messaggio originale viene allegato
integralmente o per estratto alla ricevuta di consegna, mentre gli allegati, così come
lo stesso messaggio integrale, vengono sostituiti con i rispettivi hash, che
corrispondono ad una impronta, la quale attraverso particolari procedure di tipo
tecnico premette di ricollegare detti allegati al messaggio originale; c) sintetica; che è
quella in cui il messaggio originale non viene allegato neanche per estratto alla
ricevuta di consegna e tanto meno vengono allegati gli allegati al messaggio, sicchè
in questo caso non opera la certificazione sul contenuto del messaggio e sugli
allegati, residuando solo la certificazione fino a querela di falso del mittente e del
destinatario, dell’oggetto e della data e ora del messaggio. Nel primo caso (ricevuta di
avvenuta consegna completa) il valore certificativo della pec si estende anche
all’allegato e quindi deve ritenersi che quest’ultimo possa essere contestato solo con
querela di falso. Ciò dovrebbe valere anche nel caso di ricevuta di consegna breve.
31
Per contro, in caso di ricevuta sintetica la disciplina è analoga a quella di una e-mail
semplice.
Secondo giurisprudenza consolidata, nella raccomandata a/r l’onere della prova di
aver ricevuto una lettera diversa da quella indicata dal mittente grava sul destinatario,
così come l’onere di aver prontamente contestato al mittente di aver ricevuto una
raccomandata a/r con busta vuota. Probabilmente questo principio non si dovrebbe
applicare alla ricevuta sintetica, e ciò in applicazione del principio della vicinanza
della prova il mittente, giacchè la tecnica informatica consente oggi agevolmente al
mittente di munirsi anche della prova del contenuto del messaggio PEC e del relativo
allegato.
Il messaggio PEC è a sua volta un documento informatico composto dal testo del
messaggio, dai dati di certificazione (inseriti nelle anzidette ricevute) e dagli
eventuali documenti informatici allegati. Le operazioni relative alle trasmissioni
effettuate mediante PEC sono registrati in un registro informatico (LOG dei
messaggi) tenuto da ciascun gestore di ciascun titolare di casella di PEC. Il gestore
che del punto di accesso del mittente accetta il messaggio invia una ricevuta di
accettazione (RAC o RdA) e provvede ad inserire il messaggio stesso e gli eventuali
allegati in una busta telematica di trasporto, apponendovi la propria firma elettronica
avanzata per garantirne la provenienza ed inalterabilità. Provvede quindi ad inviarla
al punto di ricezione del gestore di PEC del destinatario. Quest’ultimo, verificata la
regolarità del messaggio e della firma elettronica apposta dal gestore del mittente,
invia ad esso una ricevuta di presa in carico (RPC). Dopo di che consegna al
destinatario il messaggio di PEC, inviando al mittente ed al suo gestore una ricevuta
di avvenuta consegna (RdAC che, come detto, può essere completa, breve o
sintetica), indipendentemente dall’avvenuta lettura o meno dei messaggi da parte del
destinatario.
Giurisprudenza
Cassazione sentenza 22352/2015 - carattere chiuso e predefinito delle varie fasi
delle notifiche telematiche – la notifica via PEC è regola primaria nella procedura per
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dichiarazione di fallimento – tipicità dei messaggi gestiti dai sistemi di posta
elettronica certificata per esigenze di “certezza e fidefacienza” – censura la
sbrigatività con cui il giudice di merito ha ritenuto la sussistenza dei presupposti per
dare corso alla modalità di notifica alternativa.
Tribunale Milano, Sezione Terza Civile, ordinanza 20 aprile 2014 - mancata
recezione di messaggio PEC della cancelleria per saturazione casella di posta
elettronica dell’avvocato. In proposito è bene ricordare che il titolare della casella di
PEC è tenuto (art. 20 D.M. 44/2011): 1) a dotarsi di software antivirus ed antispam;
2) a disporre di un servizio automatico di avviso di saturazione della casella;
3) a conservare, con ogni mezzo idoneo, le ricevute di avvenuta consegna dei
messaggi trasmessi al dominio giustizia.
Tribunale Monza ordinanza 7 gennaio 2015 – dichiara la nullità della notifica in
quanto l’atto notificato era copia autentica estratta dalla Cancelleria di atto cartaceo
non presente nel fascicolo informatico – esclusione del potere di certificazione della
conformità da parte dell’avvocato – mancata costituzione del convenuto –
rinnovazione della notifica.
Cassazione sentenza 10637/2011 - invio a casella pec di società cancellata –
estinzione della società – notifica nulla
Sul domicilio telematico del difensore:
Cassazione Sez. Lav. 2 luglio 2014 n. 15070 – a norma dell’art. 125, 1° co c.p.c.
nella citazione, nel ricorso, nella comparsa, nel controricorso e nel precetto deve
essere indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore “comunicato al
proprio ordine” nonché il numero di fax del difensore medesimo – l’art. 136, 2° co cc
comunicazioni di cancelleria a mezzo PEC
– responsabilità dell’avvocato nella
gestione del proprio indirizzo di posta elettronica – validità della comunicazione ed
irrilevanza dei problemi di gestione della PEC da parte del relativo titolare.
Cassazione Sez. Lav. 7 maggio 2014 n. 9876 – domiciliazione ex lege – obbligo del
difensore di munirsi di indirizzo PEC - comunicazioni di cancelleria – in difetto di
istituzione o comunicazione dell’indirizzo PEC, o di mancata consegna del
33
messaggio PEC per cause imputabili al destinatario, le comunicazioni sono eseguite
esclusivamente mediante deposito in cancelleria.
Cassazione sentenza 2 luglio 2014 n. 15070 – comunicazione PEC della Cancelleria
– rigetto richiesta di nuovo termine per pretesa mancata conoscenza del decreto
fissazione udienza stante l’impossibilità del procuratore di consultare la PEC in
quanto non ancora in possesso della password di accesso
Cassazione sentenza 28 novembre 2015 n. 16696 – domicilio avvocato - PEC
Cassazione SSUU sentenza 20 giugno 2012 n. 10143 – sancisce il principio secondo
cui la posta elettronica certificata in virtù delle sue intrinseche caratteristiche può
sostituire la necessità della domiciliazione.
Corte Appello L’Aquila, Sez. Lav. sentenza 23 ottobre 2014 – notifica sentenza
eseguita presso la Cancelleria anziché presso l’indirizzo PEC specificato nell’atto dal
procuratore costituito – inidoneità della notifica ai fini del decorso del termine breve
per l’impugnazione.
34
3) IL DEPOSITO TELEMATICO DI ATTI E DOCUMENTI NEL PROCESSO CIVILE.
FORMA, FORMATO E SCOPO DELL’ATTO. L’OBBLIGATORIETÀ DEL DEPOSITO
TELEMATICO.
CONTROLLO ANTICIPATO DELLE IRREGOLARITA’,
TEMPESTIVITA’ DEL DEPOSITO E RIMESSIONE IN TERMINI.
Gli argomenti in oggetto verranno trattati più diffusamente dal prof. Balena.
In sintesi, sappiamo che l’art. 16 bis c.1 d.l. n. 179/2012 (convertito con modifiche
nella legge n. 221/2012) ha introdotto l’obbligatorietà del deposito telematico degli
atti processuali a decorrere dal 30.6.2014 con riguardo a tutti i procedimenti civili
innanzi al tribunale, obbligo da ultimo esteso anche all’appello dal 30 giugno 2015.
Sulle conseguenze dell’affermazione secondo cui “il deposito degli atti processuali e
dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituita ha luogo
esclusivamente con modalità telematiche” si registrano diverse soluzioni
interpretative.
Va detto come premessa che modalità telematiche in un primo tempo erano una delle
possibili forme utilizzabili, e ciò costituiva espressione del principio di libertà di
forme di cui all’art. 121 c.p.c.; ora, premesso che per forma deve intendersi la
modalità di compimento dell’atto, è evidente che la forma telematica è divenuta
quella richiesta dalla legge ex art. 121 c.p.c., sicchè in materia non risulta più
invocabile il principio di libertà di forme. Peraltro detta norma aveva una portata
applicativa assai limitata anche prima dell’avvento del PCT, essendo rari i casi in cui
il legislatore non chiede forme determinate; la stessa quindi costituiva più che altro
ulteriore espressione del principio per cui nel processo le forme non sono mai fini a
se stesse, ma strumentali rispetto allo scopo che l’ordinamento auspica venga
raggiunto (cd. strumentalità delle forme).
Le questioni che si pongono sono le seguenti: 1) individuare i casi in cui il deposito
in forma cartacea è ancora ammesso; 2) stabilire le conseguenze della violazione
dell’obbligo di deposito con modalità telematiche.
35
La giurisprudenza si è occupata delle suddette questioni congiuntamente, perché nella
pratica si è trattato in primo luogo di definire la categoria degli atti cd.
endoprocessuali, e quindi di stabilire le conseguenze del deposito cartaceo di atto
appartenente a detta categoria.
Sono nel senso di valutare lo scopo dell’atto al fine di limitare le conseguenze della
violazione delle regole formali:
Tribunale Palermo ordinanza 10 maggio 2016 – riassunzione del giudizio con
modalità cartacee – invalidità – raggiungimento scopo dell’atto.
Cassazione sentenza n. 9772/2016 – opposizione a decreto ingiuntivo con modalità
telematica anziché cartacea – irrilevanza
In senso contrario, tra le altre;
Tribunale Lodi ordinanza 4 marzo 2016 – riassunzione in modalità cartacea –
estinzione del giudizio
Tribunale Milano Sez. Lav. 8 febbraio 2013 Sul rispetto del formato degli atti processuali si riportano: nullità della costituzione in
giudizio telematica per impossibilità di consultare i documenti inseriti nel fascicolo
informatico – improcedibilità dell’azione.
Tribunale Vercelli, ordinanza 31 luglio 2014 – l’atto PDF immagine integra mera
irregolarità in difetto di espressa sanzione
Tribunale Milano, sentenza 3 febbraio 2016 n. 1432 - atto PDF immagine –
mancato rispetto di forme non espressamente sanzionato – irregolarità suscettibile di
regolarizzazione o da ritenersi sanata per effetto del raggiungimento dello scopo
dell’atto
In senso contrario si erano espresse Tribunale Milano 14.1.2010, Tribunale Roma
9 giugno 2014 (scopo dell’atto: inserirsi in una sequenza assoggettata a regole
tecniche per la stessa funzionalità del PCT), Tribunale Udine 17 giugno 2014, vedi
però Tribunale Udine ordinanza 28 luglio 2014, che ha ordinato la regolarizzazione
dell’atto.
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Sull’ammissibilità del deposito telematico del ricorso introduttivo e della memoria di
costituzione in difetto di decreto dirigenziale DGSIA si segnalano ai soli fini
dell’evidenziazione dei principi applicati: Tribunale Bologna, sez. lav. ordinanza
Tribunale di Milano ordinanza 7 ottobre 2014, Tribunale di Brescia, sez. lav.,
ordinanza 7 ottobre 2014, Tribunale di Forlì ordinanza 29 ottobre 2014 e da
ultimo Cassazione sentenza n. 9772/2016
Ulteriore questione è quella relativa alle ricadute del formato dell’atto rispetto alla
procedura di invio all’ufficio giudiziario, con conseguenti possibili decadenze per
intempestività del deposito.
Il deposito telematico si risolve nell’invio di un documento informatico quale
allegato di un messaggio PEC. Occorre predisporre correttamente la busta
telematica avvalendosi di un redattore ossia di uno specifico programma informatico
(che non viene messo a disposizione dal Ministero della Giustizia e che l’avvocato
deve quindi procurarsi). Il messaggio PEC deve rispettare rigorosamente determinati
requisiti. L’atto deve essere in formato PDF nativo, non contenere elementi attivi ed
essere sottoscritto con firma digitale. Gli allegati sono a loro volta documenti
informatici, privi di elementi attivi e predisposti in uno dei formati ammessi. Atto e
documenti vanno infine inseriti nella busta telematica, che è a sua volta un file che
deve essere confezionato secondo precise modalità. Cosa succede se non vengono
rispettati detti requisiti?
L’avvocato depositante riceve nella propria casella quattro messaggi di posta
elettronica (invece dei due previsti per la normale PEC): 1) ACCETTAZIONE:
DEPOSITO: è la ricevuta di presa in carico del messaggio da parte del gestore PEC
del mittente (equivalente della ricevuta che l’ufficio postale rilascia al mittente di una
raccomandata A/R); 2) CONSEGNA: DEPOSITO: ricevuta con cui il gestore pec del
destinatario attesta che il messaggio stato ricevuto nella casella del destinatario
(equivalente dell’avviso di ricevimento di una lettera raccomandata con avviso di
ricevimento); 3) ESITO CONTROLLI AUTOMATICI DEPOSITO: è l’informativa
circa l’esito dei controlli automatici meramente formali che il sistema effettua sul
37
messaggio e sulla busta telematica: 4) ACCETTAZIONE DEPOSITO: è
l’informativa sull’esito dell’intervento di accettazione operato dalla cancellaria
dell’ufficio destinatario.
Sul messaggio vengono esperiti, in sequenza, diversi controlli, alcuni nel giro di
pochi minuti, come il primo controllo che viene operato dal sistema di gestione
dei servizi telematici e riguarda solamente gli aspetti tecnici relativi peraltro il solo
messaggio PEC. Dopo di che i controlli formali da parte del sistema vengono
effettuati sulla busta telematica, ossia sull’allegato del messaggio PEC. Le anomalie
riscontrabili sono codificate e di tre tipi (cfr. art. 14 co. 7 lett a) Provvedimento
DGSIA 16.4.2014): 1) anomalia cd. non bloccante (WARN oppure WARNING): la
busta telematica viene processata ma il sistema segnala alla cancelleria che vi sono
potenziali irregolarità di tipo giuridico (ad esempio: mancanza di procura); anomalia
cd. bloccante (ERROR) ma tuttavia lasciata alla determinazione dell’ufficio
ricevente (esempio certificato di firma non valido o mittente non firmatario dell’atto),
che può procedere all’accettazione forzando il sistema; 3) eccezione non gestita o
non gestibile (FATAL); la busta contiene difettosità tali da non essere processabile
dal sistema. Il deposito in tal caso viene rigettato in automatico. Il gestore dei servizi
telematici, all’esito dell’intervento dell’ufficio, invia al depositante un messaggio di
posta elettronica certificata contenente l’esito dell’intervento operato dalla
cancelleria, segnalando le eccezioni riscontrate. Se invece i controlli formali operati
dal gestore hanno avuto esito positivo, il mittente viene avvisato dell’avvenuta
consegna del messaggio al destinatario e si passa alla fase di controllo da parte della
cancelleria.
Il controllo effettuato dalla cancelleria è il medesimo che viene effettuato su di un
deposito cartaceo. Alla cancelleria compete l’accettazione del deposito telematico,
una volta che il sistema abbia esperito i controlli automatici preliminari.
L’accettazione è l’adempimento indispensabile affinché il deposito telematico entri
nel fascicolo informatico e sia pertanto accessibile e conoscibile alla controparte ed al
giudice. A differenza che nel deposito analogico, il controllo può perfezionarsi anche
38
a distanza di tempo dalla trasmissione effettuata dal depositante. Tendenzialmente
l’accettazione dei depositi dovrebbe avvenire entro il giorno lavorativo successivo al
deposito (considerandosi il sabato giorno festivo) e seguendo comunque l’ordine
cronologico di consegna delle buste telematiche. Il Ministero della Giustizia, con
propria circolare del 23.10.2015, ha dato istruzione alle cancellerie di accettare
sempre il deposito in presenza di anomalie, tanto bloccanti e non bloccanti (cioè di
tipo WARNING ed ERROR), segnalando al giudicante le informazioni circa
l’anomalia riscontrata. In caso di errore non gestibile (FATAL) la cancelleria deve
rifiutare l’accettazione, anche al fine di evitare che il deposito rimanga in attesa di
accettazione, in quanto l’errore “fatale” non impedisce un nuovo deposito entro i
termini assegnati o di legge.
L’asincronia tipica del deposito telematico può generare inconvenienti con riguardo
ai termini processuali perentori, considerato che rispetto ad un atto inviato nei termini
può seguire il rifiuto del deposito da parte della cancelleria.
Il deposito si ritiene infatti tempestivo se la ricevuta di avvenuta consegna da parte
del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia viene generata
entro il giorno di scadenza del termine fissato. E’ stato peraltro osservato che
occorrerebbe adeguare la disciplina del deposito telematico ai principi stabiliti da
Corte Cost n. 477/2002 perché se è vero che nella maggior parte dei casi i messaggi
sono resi disponibili nella casella del destinatario dopo pochi secondi dall’invio da
parte del mittente, non è improbabile il verificarsi di malfunzionamenti nel servizio
reso dai gestori, con conseguenza contrasto con principi costituzionali della disciplina
che individua il momento perfezionativo del deposito non già dalla generazione della
ricevuta di presa in carico del messaggio da parte del gestore PEC ma dalla
generazione della ricevuta di avvenuta consegna. Pretendere che il difensore proceda
al deposito con largo anticipo al fine di non incorrere in decadenze per fatti
imputabili al sistema si traduce in una intollerabile compromissione del diritto di
difesa. Peraltro detta asincronia potrebbe comportare una riduzione dei termini a
difesa. In tal caso la controparte può svolgere istanza di rimessione in termini.
39
Un’ultima annotazione: l’art. 13 del d.m. n. 19818/2005 (regole tecniche in materia di
PEC) prevede che qualora il gestore del mittente non abbia ricevuto dal gestore del
destinatario, nelle 12 ore successive all’inoltro del messaggio, la ricevuta di presa in
carico o di avvenuta consegna del messaggio inviato, comunica al mittente che il
gestore del destinatario potrebbe non essere in grado di realizzare la consegna del
messaggio; qualora entro ulteriori 12 ore il gestore del mittente non abbia ricevuto al
ricevuta di avvenuta consegna del messaggio inviato, inoltra al mittente un ulteriore
avviso relativo alla mancata consegna del messaggio (AMC) entro le 24 ore
successive all’invio (come previsto dal dpr n. 68/2005). Quindi per la complessiva
operazione possono trascorrere non più di 24 ore. Questa circostanza va tenuta
presente nel valutare la diligenza dell’avvocato nella tempestività del deposito
telematico? L’avvocato “prudente” deve notificare in tempo per potersi garantire la
tempestiva emissione della ricevuta di avvenuta consegna del messaggio?
Nel valutare le conseguenze dell’accoglimento o del rigetto di istanze di rimessioni in
termini ove si faccia questione di tempestività del deposito telematico, non pare
comunque irrilevante la considerazione che soluzioni eccessivamente rigorose
potrebbero avere la conseguenza di determinare il fenomeno dei cd. depositi
ridondanti. L’”ansia della quarta ricevuta” potrebbe indurre l’avvocato ad effettuare
più di un deposito, con conseguenze disastrose lato cancellerie. Tanto è vero che il
Tribunale di Monza risulta da ultimo aver adottato la decisione di esigere il
pagamento del doppio contributo unificato in caso di duplicazione dei depositi.
Casistica giurisprudenziale:
Tribunale Perugia, ordinanza 17.1.2014 – ricezione di tre ricevute positive cui
segue rifiuto a termini scaduti – errore scusabile – rimessione in termini.
Tribunale Milano, ordinanza 23 aprile 2016 – illegittimità del rifiuto dell’atto da
parte della Cancelleria – conseguente tempestività del deposito telematico del ricorso
in riassunzione
40
Tribunale Milano, Sez. lav., ordinanza 10 maggio 2016. - Rimessione in termini
in ipotesi di omesso esplicito rifiuto di accettazione del deposito effettuato nei
termini.
Tribunale Milano, Sez. IX, ordinanza 5 marzo 2014 – Il depositante deve essere
preservato dalle conseguenze organizzative dell’ufficio giudiziario ricevente, né può
ritenersi legittimamente posto un limite di orario con riguardo al momento in cui
viene generata la ricevuta di avvenuta consegna del gestore di posta elettronica
certificata del Ministero della Giustizia, sicchè sull’art. 13 co. 3 DM 44/2011 come
modificato dal DM 209/2012 prevale quanto previsto dall’art. 16 bis co 7 L.n.
221/2012 (pronuncia di cui ha preso atto il legislatore nell’emanare l’art. 51 co. 2 lett
a e b del D.L. n. 90/2014).
Per i casi, non rarissimi, di invio di deposito telematico di memoria in fascicolo
telematico diverso da quello di appartenenza si segnala Tribunale Torino ordinanza
26 agosto 2014 – memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. depositata con erronea indicazione
del numero di ruolo – no rimessione in termini.
41
4) LA PROCURA ALLE LITI
Anche della procura alle liti si occuperà in maniera più diffusa il prof. Balena.
In sintesi, in merito alla procura alle lite rilasciata al difensore e da questi autenticata
occorre distinguere, ai fini della costituzione telematica di quest’ultimo, l’ipotesi in
cui la procura sia stata rilasciata su supporto informatico da quella n cui la stessa sia
stata rilasciata su supporto cartaceo.
In ipotesi di procura su supporto informatico, che presuppone che il cliente sia
munito di firma elettronica, deve ritenersi che siffatta procura informatica/telematica
nativa possa essere rilasciata direttamente con l’atto nativo cui si riferisce, giusto
quanto previso dall’art. 83 co 3 c.p.c, secondo cui la procura si considera apposta in
calce anche se rilasciata su foglio separato. Diversamente, la procura nativa può
essere contenuta su documento separato e tale è il file che la contiene inserito nella
busta telematica separatamente dall’atto processuale nativo cui essa si riferisce.
A parte ciò deve aggiungersi, secondo indirizzo pacifico della SC affermatosi nel
processo analogico ma estendibile per analogia alla materia de qua, che il requisito
della congiunzione della procura all’atto non si sostanzia nella necessità di una
cucitura meccanica, ma ha riguardo ad un contesto di elementi che consentano, alla
stregua del producente apprezzamento di fatti e circostanze, di conseguire una
ragionevole certezza in ordine alla provenienza dalla parte del potere di
rappresentanza ed alla riferibilità della procura stessa al giudizio di cui si tratta (cfr.
Cass n. 336/2012) per cui è opportuno che la procura richiami la specifica lite cui
essa si riferisce (nomi delle parti, tipo di azione, oggetto della richiesta) al fine di
evitare possibili duplicazioni ed inserimento in buste telematiche relative ad altre liti.
Come ogni notifica in proprio da parte dell'avvocato, la notifica telematica
presuppone che l'avvocato sia munito di procura che deve essere rilasciata
antecedentemente alla notifica, pena la nullità della notifica stessa (art. 1 e 11 L.n.
53/1994). Ne discende che la notifica della procura in uno con l'atto da notificare sarà
necessaria nei soli casi in cui non sia possibile dimostrare diversamente l'anteriorità
del rilascio della procura rispetto alla notifica, mentre non sarà necessaria nel caso in
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cui sia stata rilasciata con atto pubblico o scrittura privata autenticata ovvero venga
notificata la copia per immagine di documento analogico che rechi la procura in calce
od a margine, ovvero ancora nel caso di decreto ingiuntivo, dovendosi ritenere in
quest'ultimo caso che la prova dell'antecedenza sia data dalla presenza della procura
nel fascicolo informatico.
Tribunale Milano Sez VIII, sentenza 14.1.2010 - non necessità della notifica della
procura alle liti assieme al decreto ingiuntivo
43
5) LE TECNICHE DI REDAZIONE DEGLI SCRITTI DIFENSIVI E
DELLA SENTENZA
De iure condendo, teniamo presente che il disegno di legge delega recante
disposizioni per l’efficienza del processo civile, già approvato alla Camera e ora
all’esame del Senato con il n. 2284, prevede, tra i criteri della delega, l’introduzione
del principio di sinteticità degli atti di parte e del giudice, da attuarsi anche
nell’ambito della tecnica di redazione e della misura quantitativa degli atti stessi.
De iure condito, in merito alle tecniche di redazioni degli scritti difensivi mi limiterei
ad osservare che concisione deve essere intesa come il contrario di prolissità, essendo
problematico nell’attuale quadro normativo imporre ai difensori limiti “quantitativi”
nella redazione degli atti, stante anche il rischio di limitare ingiustificatamente il
diritto di difesa costituzionalmente garantito. Si può certo ricorrere al potere della
moral suasion per indurre gli attori del processo a comportamenti più funzionali e
corretti, stigmatizzando i comportamenti incoerenti con la logica sottesa alla necessità
che gli atti siano concisi, in quanto integranti violazione del “dovere di comportarsi
in giudizio con lealtà” (art. 118 c.p.c.), nella misura in cui sono di ostacolo ad una
sollecita definizione del giudizio. Tra le patologie, ossia le disfunzioni del PCT,
possono certamente annoverarsi le innegabili ricadute sulla cd “usabilità” degli atti
processuali; alla facilità di scrittura consentita dai programmi e dalla funzione “copiaincolla”, si contrappone l’indubbia difficoltà della lettura degli atti a video rispetto a
quelli cartacei (vedi caso limite dell’ordinanza del Tribunale di Busto Arsizio sulle
“orecchiette” e le sottolineature, possibili nel cartaceo ma non a video). In ambito
linguistico, deve darsi per acquisito il principio di cooperazione conversazionale,
secondo cui ogni partecipante allo scambio linguistico deve fornire un contributo
informativo pari (ossia né inferiore né superiore) a quanto richiesto per gli scopi dello
scambio. Con la conseguenza che atto sintetico non equivarrà ad atto breve e
sommario, bensì ad atto completo e conciso.
44
Prima ancora dell’introduzione del disposto di cui all’art. 16-bis, comma 9-octies,
decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17
dicembre 2012, n. 22, secondo cui “gli atti di parte e i provvedimenti del giudice
depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica”, la
giurisprudenza ha già avuto modo di evidenziare che la particolare ampiezza degli
atti “concorre ad allontanare l'obiettivo di un processo celere che esige da parte di
tutti atti sintetici, redatti con stile asciutto e sobrio» (Cass. Civ., sez. II, sentenza 4
luglio 2012, n. 11199); che un atto eccessivamente prolisso, «costringe il giudice a
leggere tutto anche quello che non gli occorre conoscere» (Cass. Civ., Sez. Un.,
5698/2012)”, e non assolve all’onere, incombente sulle parti, “di agevolare l’esercizio
del dovere del giudice, facendo comprendere nel modo più chiaro quale sia la
specifica
materia del contendere” (Corte d’Appello Milano, ordinanza
14.10.2014).
Quanto alle tecniche di redazione della sentenza, a prescindere da quanto previsto dal
citato disegno di legge delega, occorre prendere atto che gli inviti normativi a ridurre
l’ampiezza della motivazione sono ormai plurimi. Art. 111 co. 2 e 117 co. 1 Cost
(ragionevole durata del giudizio), art. 132 n. 4 c.p.c. (soppressione del requisito dello
“svolgimento del processo”), art. 118 co.1 disp att cpc (esposizione succinta come
nelle ordinanze, rilevanza del riferimento a precedenti conformi), co. 9 octies dell’art.
16 bis D.L. 179/2012 (redazione sintetica degli atti depositati con modalità
telematiche).
Per approfondire la questione e verificare cosa può ritenersi superfluo nell’ambito
della motivazione, ricordiamoci che la novella del 2006 ha modificato l’oggetto del
vizio di motivazione, sostituendo al “punto” della controversia il riferimento al solo
“fatto” controverso. Nel periodo in cui ha presieduto la Suprema Corte, Ernesto Lupo
si è dedicato in modo particolare a chiarire i rapporti tra giudizio di merito e di
legittimità ed a sviluppare modelli di motivazione semplificata, sottolineando tra
l’altro come i giudici di merito debbano avere ben chiaro che il loro compito
esclusivo è “accertare compiutamente i fatti e di motivare adeguatamente tale
45
accertamento, mentre è loro consentito non diffondersi nella motivazione degli aspetti
giuridici”. Immutato l’impegno nello studio per la soluzione della quaestio iuris, una
volta compiuto e motivato l’accertamento del fatto, si deve essere concisi
nell’esposizione delle ragioni giuridiche della decisione, tranne ove si ritenga di
disattendere l’interpretazione della Suprema Corte o ci si esprima su questioni nuove.
Ciò che rileva è offrire la soluzione corretta, indipendentemente dalle ragioni che
giustificano la soluzione offerta.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con sent. n. 642 del 16 gennaio 2015, hanno
affermato che non è nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione
limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali
o provvedimenti giudiziali) senza nulla aggiungere, ove le ragioni della decisione
risultino comunque attribuibili al giudice ed esposte in maniera chiara, univoca ed
esaustiva. Siffatta conclusione viene offerta all’esito di un approfondito esame della
funzione demandata alla sentenza, che viene infine individuata nell’essere
espressione di una funzione dello Stato7.
Il rischio dell’appiattimento del linguaggio e del ragionamento giuridico, da taluni
giustamente paventato, potrà essere agevolmente evitato se le indicazioni fornite dalla
Corte verranno utilizzate dai giudici, com’è doveroso, distinguendo caso per caso,
sicché una più articolata motivazione dovrà ritenersi doverosa nei casi in cui si riterrà
di disattendere l’interpretazione della Suprema Corte, o ci si debba pronunciare su
questioni nuove, in fatto come in diritto.
Il ruolo del giudice non ne risulta affatto sminuito, nella misura in cui viene ribadito
che è necessario (e sufficiente) che la forma espositiva rispetti i caratteri di logicità e
solidità giuridica, e che il contenuto possa essere attribuito al giudice, quale
espressione del suo potere decisorio.
In
7
Vi è da dire che una legislazione meno caotica e raffazzonata, oltre ad abbattere i motivi di
contenzioso, aiuterebbe i giudici ad essere concisi. Nell’attesa che questo sogno diventi realtà nelle
aule di giustizia potrebbe scriversi: “la legge (pure se confusa e prolissa) è uguale per tutti – la
sentenza deve essere completa e concisa
46
Questa sentenza va letta e meditata con attenzione, offrendo spunti che possono farci
da guida nella ricerca del giusto equilibrio tra celerità del processo e “giustezza del
diritto”.
Il nuovo processo dematerializzato rappresenta l’occasione per rivalorizzare i principi
del Sommo Chiovenda di oralità, concentrazione e speditezza. Già Carnelutti
evidenziava la necessità di un “allineamento della tecnica della dichiarazione in uso
nel processo” con quella raggiunta nel campo degli affari, sottolineando sotto questo
profilo la drammatica arretratezza del processo civile. In questa prospettiva, lo
strumento telematico potrebbe risultare in grado di rafforzare l’efficienza del
contraddittorio fra le parti ed il giudice, consentendo a quest’ultimo, tramite un uso
accorto della tecnologia, di valorizzare maggiormente l’udienza, curando le occasioni
di confronto con le parti e l’esame congiunto delle prove costituite e costituende,
tenuto conto del fatto che oralità significa immanenza del giudice nel processo; un
giudice tenuto quindi ad una azione direttiva e moderatrice (art. 175 c.p.c), ed
all’acquisizione della piena consapevolezza del contenuto della controversia, sì da
essere pronto a stimolare la discussione orale, ed a decidere la causa appena chiuso il
dibattito. Si comprenderà allora che la concisione della sentenza ne costituisce una
conseguenza obbligata.
Un banalissimo consiglio finale, suggerito anche dalle suesposte considerazioni.
Nell’affrontare il nuovo che avanza, per evitare inutili affanni e conservare lucidità di
ragionamento basterà forse recuperare la saggezza dell’esperienza secondo cui “ciò
che è stato sarà e ciò che è stato fatto si rifarà”: nulla è veramente una novità.
Nihil sub sole novi… nothing new under the sun….
Maria Grazia Cassia
Giudice Tribunale Milano, Sezione Lavoro.
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