Alberto Madricardo

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Alberto Madricardo
Identità e rivoluzione Identità è il principio logico per cui una cosa è identica a se stessa. In che senso una cosa è identica a se stessa? Nel senso che permane se stessa fuori del tempo e indifferente alla sua posizione nello spazio. L’identità di una cosa è il rapporto con sé che essa ha, concepito come precedente lo spazio e il tempo. Solo ciò che è identificato è certo e solo ciò che è certo è vero. Conoscere qualcosa significa identificarlo cioè confermarlo (questa cosa è proprio questa cosa che sembra). Un’identificazione può richiedere una ricerca (per esempio l’indagine di polizia ha come scopo l’identificazione del colpevole attraverso gli indizi). Per mantenere un’identità ci vuole la memoria attraverso il tempo. La memoria è sempre a rischio di tradirsi, è sempre in precario equilibrio tra immobilità e divenire. L’uomo arcaico non ha identità: è soggetto a forze superiori che ne guidano o condizionano gli atti. L’identità morale è data dalla coerenza tra norma e comportamento. Viceversa l’incoerenza distrugge l’identità morale. Il male è infido, il malvagio è inaffidabile. Le identità sociali sono immerse nel tempo, subiscono torsioni e rotture. Tutto ciò che ha identità, ha storia. Nelle società senza scrittura le identità sono labili. Un cambiamento irreversibile avviene con l’introduzione della scrittura. Il rito costituisce strutture di ricorsività simbolica intorno alle quali si costituiscono le identità culturali delle comunità. La tradizione è legata ai riti e costituita da un insieme di essi, la sua essenza non è la persistenza -­‐ che è dell’identità -­‐ ma il ritorno. La natura ripete, la scrittura eternizza. L’introduzione della scrittura costituisce elemento di discontinuità. Le cose scritte hanno una persistenza e generano bisogno di esattezza (nascono la storia e le identità storiche) ed allo stesso tempo si forma una coscienza più ampia del cambiamento. L’ampliamento della memoria sviluppa il bisogno di certezza, di fissazione delle identità. La coscienza singola, separandosi da tutti e da sé, va alla ricerca di se stessa, ma fa esperienza di sé solo attraverso il dolore. Il sé con cui identificarsi è sempre troppo sfuggente oppure troppo incombente, oppressivo, come nel rimorso. L’uomo massa perciò non si cerca e anzi si nasconde nella folla, al modo che un albero “si nasconde” nella presenza del bosco. Rivoluzione La rivoluzione è un moto celeste in astronomia e in politica è cambiamento di sistema: il passaggio da uno stato ad un altro attraverso l’anomia. Nella scienza è cambiamento di paradigma (dalla “scienza normale” alla situazione rivoluzionaria di conflitto tra paradigmi) in seguito al manifestarsi di anomalie che non possono essere spiegate entro il paradigma stesso. Rivoluzione è rottura irreparabile di un sistema divenuto troppo rigido, delle identità ad esso connesse e la creazione di un altro sulla base di principi diversi. 1 Solo una apparenza della rivoluzione è il carnevale, perché permette di cambiare la propria identità, di simulare un rimescolamento sociale generale. M. Bachtin: “Il carnevale celebra l'avvicendamento, il processo di sostituibilità e non ciò che in effetti si sostituisce. Il carnevale, per così dire, è funzionale, non sostanziale. Esso non assolutizza nulla, anzi proclama la gaia relatività di tutto" Tutte le immagini del carnevale sono uniche e duplici al tempo stesso, esse uniscono in sé i due poli dell'avvicendamento e della crisi: nascita e morte, benedizione e maledizione... Assai caratteristiche del pensiero carnevalesco sono le figure accoppiate, scelte per contrasto e per somiglianza. Caratteristico è pure l'uso degli oggetti alla rovescia: vestiti indossati alla rovescia....Questa è la particolare manifestazione della categoria carnevalesca dell' eccentricità, della violazione del consueto e del comunemente accettato, è la vita tolta dai soliti binari." Il carnevale è gioco a rendere incerte le identità, depotenzia quindi le tensioni rivoluzionarie. La metamorfosi e il caos L’ordine della polis è minacciato dai riti bacchici orgiastici. Nel dominio di Bacco nulla è certo tutto. Nelle Baccanti di Euripide la madre di Penteo, re di Tebe, sbrana il figlio insieme alle altre baccanti perché esso gli appare un animale. Ma dove non domina l’identità ma la metamorfosi, non ci può essere rivoluzione. La rivoluzione e la rivolta “La parola rivoluzione designa correttamente tutto il complesso di azioni a lunga e a breve scadenza che sono compiute da chi è cosciente di voler mutare nel tempo storico una situazione politica, sociale, economica, ed elabora dei propri piani tattici e strategici considerando costantemente nel tempo storico i rapporti di causa e di effetto, nella più lunga prospettiva possibile. Ogni rivolta si può invece descrivere come una sospensione del tempo storico. ” (Furio Jesi “Il tempo della festa” Ed. Nottetempo Roma 2013 p.43). Alla rivoluzione Jesi contrappone la rivolta. L’istantanea uscita dal tempo storico: “Nell’ora della rivolta non si è più soli nella città. Ma quando la rivolta è trascorsa, indipendentemente dal suo esito ognuno torna ad essere individuo in una società migliore, peggiore o uguale a quella di prima…. Ricominciano le individuali battaglie quotidiane” (cit. p. 46) “La rivolta era coincisa con l’apparizione subitanea e brevissima di un tempo di qualità inconsueta, in cui tutto ciò che avveniva, con estrema rapidità, sembrava avvenire per sempre.” Ma la rivoluzione è un processo ben più ampio di quello politico (noi viviamo ancora sulla scia della Rivoluzione francese, il solco di quella russa si è abbandonato, forse perché proponeva un rapporto troppo impegnativo per la coscienza nel processo storico. La coscienza doveva ancora storicizzare se stessa, divenire consapevole della complessità naturale nella quale si deposita e decompone la sua intenzionalità. Doveva mettere a fuoco lo scarto da sé, dal suo pensarsi, che è il suo esserci. 2 Il tempo della rivolta come tempo della sincronia assoluta, estasi, sfondamento della quotidianità. Il tempo della rivoluzione come successione imprevedibile di rotture e di riassestamenti che esulano da ogni progetto iniziale: per dirla con Hegel: è “il cambiamento del cambiamento”. Qualcosa che prima non c’era o era marginale diventa di colpo centrale e decisivo. Il campo di tensione fa scivolare il suo baricentro su una base nuova. Come nell’innamoramento, una persona prima sconosciuta, di cui non si poteva perciò sentire la mancanza, diventa di colpo indispensabile perché in lei si catalizza il senso della possibilità che prima aleggiava intorno alla propria vita senza riuscire ad incarnarsi. Ci si chiede come si faceva a vivere prima dell’incontro senza di lei. Tra lo stato precedente e quello in atto c’è discontinuità e quasi incomunicabilità. Un’incompatibilità tra sistemi diversi, tra diversi “paradigmi”. Il problema della transizione Nel passaggio da un principio d’ordine ad un altro, si attraversa una terra di nessuno? E quel momento è allora quello rivoluzionario, della libertà? Oppure la rivoluzione e la libertà non possono trovarsi in mezzo ad un né – né, su un culmine che è tale solo perché si trova in mezzo a due sprofondamenti? In altre parole, quanto le rivoluzioni sono create da un estremo bisogno di coerenza che mette in crisi il sistema che non lo sa contenere, e quanto invece sono il prodotto dello scontro cieco tra contrastanti inerzie? E’ illusorio e arrogante mantenere coerenza fino al pereat mundus della rivoluzione? Oppure, per quanto possa sembrare impossibile, niente di meno di questo salto mortale ci è richiesto dal nostro bisogno di senso? 3