Scaricalo e stampalo

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Scaricalo e stampalo
Passaparola è un romanzo a più mani in cui sei
autori si alternano nel raccontare una storia che
non è decisa a priopri, ma che si reinventa di volta
in volta.
Gli autori sono, nell'ordine: Gianluca Morozzi, Luca
Martini, Eliselle, Francesca Bonafini, Heman Zed,
Caterina Falconi. Ogni autore scrive un capitolo, poi
passa la mano all'autore successivo. L'ultimo autore
della catena (Caterina Falconi) passerà di nuovo il
testimone a Gianluca Morozzi, e così via...
Sette stelle nel cielo di Roma
Settimo capitolo:
Gianluca Morozzi (settembre 2010)
E
ccola qua la soluzione!, pensa Lia.
Si catapulta fuori dai venticinque-trenta
minuti di sonno che ultimamente le sono
abituali, e ha la mente lucida e le idee chiarissime.
Dormire mezz’ora spesso regala soluzioni logiche
a un problema complicatissimo e in apparenza
insormontabile. Il problema che l’ha tenuta sveglia
sul letto a occhi sbarrati nel buio, mentre l’orologio segnava le tre di notte e le quattro di notte e le
cinque di notte.
La soluzione è: uccidere La Strega.
Era così semplice, alla fine.
Lia si alza dal letto con un mezzo sorriso. Ora
che sa come riprendersi Sauro, è molto più serena.
Davvero. Perché si è tormentata per tutto quel
tempo? Perché ha saltato dei concerti, perché ha
perso il sonno fino quasi a diventare pazza?
Bastava uccidere La Strega.
Ci voleva tanto poco.
Lia fa colazione con un goccio di caffè e mezzo
biscotto di farro – per uccidere La Strega le servirà tutta l’energia possibile – e poi va a informare
Mimì della decisione appena presa.
«Mimì, ho deciso. Uccido La Strega e mi riprendo Sauro. Era facile. Ciao ciao, vado a eliminarla e torno».
Mimì, come sempre, non dà alcuna risposta.
Né fa segno di averla ascoltata.
I primi dubbi sorgono quando Lia mette piede
in strada. Fuori, sul marciapiede, con la gente, le
auto, gli autobus, il rumore, i clacson...
Cavolo, sembrava un’idea così bella un attimo
prima, al risveglio, in casa sua... era così logico,
così ovvio... La Strega si era presa il suo – come
chiamarlo? – fidanzato, e per riprendersi il fidanzato lei doveva uccidere La Strega. Matematico.
Be’, ma ucciderla in che modo, prima di tutto?
Lia s’incammina pensando a questo trascurabile particolare pratico.
Mica può aspettarla fuori dalla palestra e strozzarla, che Lia ha la muscolatura e la struttura fisica
di una mozzarella e La Strega sembra uno degli All
Blacks, a parte la sesta misura di reggiseno, i capelli fucsia sparati in ogni direzione e quella bocca
che da sola potrebbe risucchiare tutto il petrolio
nel Golfo del Messico. Lo scontro fisico è inverosimile.
Accoltellarla? Lia è uscita di casa senza neppure un’arma. E poi il sangue le fa schifo, la impressiona...
Oh, quanti problemi pratici. Sembrava un’idea
così bella, appena sveglia!
Un chiodo! Ecco. Un chiodo abilmente collocato sotto una gomma del suo Suv. La gomma
si buca, il Suv esce di strada, La Strega muore
orribilmente. Lia non si deve sporcare le mani né
vedere la scena. Ecco, perfetto. Questo sembra un
piano migliore. Con qualche piccola, piccolissima
lacuna, d’accordo, ma ci sono venti minuti da fare
a piedi per arrivare alla palestra. I dettagli verranno messi a punto strada facendo.
Oh, era tutto così perfetto, prima che arrivasse
La Strega! Sauro era così dolce, così comprensivo,
così tenero... era così bello stare sul divano a darsi
i bacini per tutta la notte...
Certo, anche lui aveva le sue fissazioni, d’accordo. Per esempio, aveva la mania di fare domande
assurde.
Tipo, la centesima o duecentesima volta che Lia
si era rifiutata di fare l’amore con lui, anzi, di togliersi qualunque capo di abbigliamento collocato
sotto la cintola, Sauro l’aveva guardata incredulo
e aveva detto: «Ma senti, puoi dirmelo. Hai avuto
dei traumi da piccola? Hai subito molestie?»
Lei lo aveva guardato perplessa, aveva risposto:
«Molestie? Io? Ma quando mai!»
Che strano tipo, Sauro. Del resto scriveva libri
di fantascienza.
Passaparola
Lia aveva provato a leggerne uno ma non ci
aveva capito niente, con tutte quelle storie di universi paralleli, raggi laser e – com’è che si chiamavano? – ah, sì, doppelganger. Figurarsi. Doppelganger! Cosa diavolo è un doppelganger?
E poi, quando Lia gli aveva confidato alcune
delle sue fobie, tipo, il terrore dei pesci, Sauro aveva rilanciato.
Aveva detto «Ha qualcosa a che vedere con,
cioè...»
«Cioè cosa?»
«Con, voglio dire...»
«Vuoi dire cosa?»
«Con, ehm, la paura deee, uh, dell’organo sessuale maschile, o...»
«Cosa c’entra un pesce con, be’, quella cosa
lì?»
«No, sai, a livello simbolico...»
«Livello simbolico? Un pesce è un pesce. Rappresenta un pesce».
Scrittori di fantascienza. Che gente.
«Comunque, se vuoi saperlo» aveva aggiunto
lei, «è stata colpa di mio cugino».
«Tuo cugino? Nel senso che, non so, uhm, te
l’ha fatto vedere o...?»
«Cos’è che mi ha fatto vedere?»
«Niente. Vai avanti».
«Ascolta. Quando andavo a scuola mia mamma
mi metteva sempre nella cartella una banana. Lei
non voleva che mangiassi delle schifezze per merenda, e allora mi dava una banana. Be’, ti ho detto
che vivevo in un paese di mare, no? Un giorno mio
cugino mi aveva fatto uno scherzo, aveva rubato
un pesce appena pescato e me l’aveva ficcato nella
cartella. Così, quando avevo infilato la mano dentro, anziché la banana, avevo toccato quella cosa
viscida. E mi ero trovata davanti un orrendo pesce,
boccheggiante, mezzo morto, che mi guardava con
gli occhi sbarrati».
«Tutto qui?»
«Tutto qui».
«E da allora hai il terrore dei pesci».
«Sì. E delle banane».
«E c’entra qualcosa col fatto che non vuoi,
uhm, che facciamo l’amore?»
Lei si era rabbuiata, lo aveva guardato con aria
di rimprovero, a braccia incrociate. «Ma guarda
che sei proprio strano, Sauro. Cosa c’entra lo
scherzo di mio cugino col fare o non fare l’amore?»
Uomini, aveva pensato. Non capiscono proprio
niente. Poverini.
Lia gira a destra puntando dritto verso la palestra. È ancora ben determinata a portare a termine
la sua missione. Va bene, non ha un chiodo con sé,
ma questi sono sempre dettagli secondari.
L’importante è non incontrare cose brutte lungo il percorso. Cose brutte, bruttissime, tipo AAAAAAAAAAAAAH I PICCIONI!
Altrimenti i passanti potrebbero assistere a una
scena abbastanza surreale.
C’è questa ragazza che cammina rasente al
muro, una ragazza che sarebbe anche carina se
non pesasse, tipo, nove chili e non fosse bianca
come la calce e non avesse la faccia di una che ha
dormito l’ultima volta quando ancora c’erano le
lire, che d’improvviso caccia un urlo acutissimo
fissando con orrore un innocuo piccione che le
vola davanti senza aggredirla o disturbarla, del tutto indifferente alla sua esistenza.
Un attimo dopo l’elfo dei boschi insonne scappa via velocissimo con la testa fra le mani.
Lia se ne sta appoggiata a un cartellone pubblicitario a riprendere il fiato, evitata da tutti come
una tossica. Guarda il cielo in preda al terrore,
come se il piccione dovesse piombare giù in picchiata per cavarle gli occhi. Ha il terrore dei piccioni ancor più di quanto ne abbia dei pesci.
Poco a poco, sempre ansimando come un mantice, ricomincia a camminare.
Ora, l’importante sarebbe proseguire il percorso senza incontrare qualcuna delle altre cose che le
fanno paura. Tipo, un pescivendolo con la merce
esposta. O un fruttivendolo con dei caschi di banane in bella vista. Oppure AAAAAAAAAAAAH
UN UOMO PELOSO IN CANOTTIERA!
L’uomo peloso in canottiera – un impiegato
delle poste in ferie, impegnato a innaffiare le
piante nel proprio giardino – può a quel punto
assistere a un’altra scena surreale: uno scheletrino
femmina che passa davanti al suo giardino, si blocca paralizzata davanti al cancello, guarda verso di
lui, si tappa la bocca con una mano, con occhietti
disperati cerca un angolo riparato, si butta fra due
cassonetti dell’immondizia e, inequivocabilmente,
vomita.
Gesù, pensa l’impiegato delle poste continuando a innaffiare le piante, Poveri ragazzi, come vengon su strani.
Lia si pulisce la bocca con il dorso della mano,
si rialza tremante, si allontana un po’ debole dai
cassonetti, e continua il suo percorso. Ormai ha
perso il senso di quella pericolosissima camminata
per la città – in casa, oh, come si sta bene in casa!,
o a suonare, oh, come si sta bene a suonare! –, non
ha più neppure bene in mente come procurarsi
Passaparola
un chiodo, o cosa fare di preciso alle gomme della
Strega.
È difficile, troppo difficile uscire in città. Troppi pesci, troppe banane, troppi uomini pelosi in
canottiera, troppi piccioni, ora manca solo un AAAAAAH UN BARBONE CHE MI GUARDA!
Lia rientra in casa pochi minuti dopo. È distrutta, ancor più pallida del solito.
«Mimì» singhiozza, «non ce l’ho fatta, non ho
ammazzato La Strega, non ce l’ho fatta, c’è tanta
roba brutta là fuori, ho visto un piccione, e un
uomo peloso in canottiera, e un barbone, lo sai
che ho paura dei barboni, Mimì, come faccio ad
ammazzare La Strega?, dimmi tu, Mimì...»
Mimì non risponde e non fa segno di aver capito. Pochi cactus nani, in effetti, rispondono alla
loro padrona o fanno segno di aver capito. Si comportano come tutti i cactus nani, anche se battezzati con un nome di donna: ascoltano in silenzio, e
sereni vivono la loro vita da cactus.
***
Eccola qua la soluzione!, pensa La Strega.
Era così semplice. Come ho fatto a non arrivarci
prima? Troppo lavoro, pochi integratori, e poi il
mio cervello non funziona a dovere. Anche quello
stronzo di Sauro che non risponde al cellulare,
lo sa benissimo che deve tenerlo acceso, stronzo,
stronzo, stronzo, che poi se non risponde io ho
paura che sia con la violinista anoressica che parla
con le piante, cretina, nana, come faceva a pensare
di poter stare col mio Sauro?, cosa ci trovava in lei
quel cretino?, non gliela dava neanche, almeno,
questo è quel che mi racconta lui, sarà vero o non
sarà vero?, magari scopavano dalla mattina alla
sera e lui a me racconta che non gliela dava neanche dipinta, cazzo, è vero, e io che ci ho creduto,
e io che dicevo Oh, io te la do quanto e quando ti
pare bello mio, non me ne frega un benenamato
cazzo se devi finire il capitolo del tuo romanzetto,
ciccio, sono in casa tua e noi adesso facciamo quel
che si deve fare, ma ti pare?, hai ’sto bel pezzo di
femmina qui in casa tua e devi perdere tempo a
scrivere le tue boiate, con rispetto parlando, eh?,
quelle storie lì dei marziani che vanno sulla Luna o
cose così, no, no, adesso si tromba, bello mio, non
son mica come la violinista di ’sto cazzo che non te
la faceva vedere neanche disegnata, io te la faccio
vedere e ti ci faccio una foto e te la appendo sul
letto così quando sei da solo ti ricordi bene come
son fatta, bello mio, e adesso invece mi viene il
dubbio, cazzo, se non è vero che la nana non gliela
dava?, ah, ma comunque ho avuto la genialata in
questo momento, ah, che testa che hai, Marta, era
così facile, Sauro mi ha detto che la deficientina ha
il terrore dei barboni, no?, e allora, quel barbone
che ho pagato stamattina per aggirarsi intorno a
casa della nana e controllare se per caso andava da
Sauro mentre io ero qua al lavoro, ecco, lo pago
il triplo, gli dico di stare seduto dalla mattina alla
sera davanti a casa della mentecatta, quella mette
il naso fuori, vede che c’è un barbone, se ne torna
subito in casa, sì, sì, certo, così son sicura che la
cretina non se ne va dal mio Sauro, ma perché
spegne il cellulare quel demente?, va bene, mi ha
detto Oh, Marta, io devo lavorare, l’editore vuole
il romanzo entro due giorni, io spengo tutto, mi
chiudo in casa, devo pensare solo alle mie cazzo
di astronavi e ai miei cazzo di marziani, va bene,
non ha detto così, il cazzo di astronavi e i cazzo
di marziani ce li ho messi io, comunque, cazzo, io
son qua che lavoro, faccio un lavoro vero, questo è
un centro fitness con i contromaroni e non azzardatevi a chiamarlo palestra e io sono una personal
trainer con i contromaroni, ma io sono anche una
donna innamorata e gelosa, che gliel’ho anche detto alla signora Boldrini prima di sbatterla a correre
sul tapis roulant per farla star zitta, signora Boldrini, le ho detto, lei mi vede come la sua personal
trainer tutto d’un pezzo ma io sono anche una
donna gelosa e innamorata, e...
Oddio.
Ma da quanto tempo è sul tapis roulant, la signora Boldrini?
***
Eccola qua la soluzione, pensa Sauro. Era così
semplice. Semplicissima. Arrivano in sogno le soluzioni, arrivano sempre in sogno. Uno si arrovella
tanto, si maciulla le meningi su un problema, poi si
fa un bel sonno, ed eccolo qua. Tutto risolto.
Sauro si stiracchia sotto le lenzuola, soddisfatto. Aaah.
Era così facile.
Il Conte Cremisi è il clone difettoso del leader
della Resistenza di Terra 32! Fatto. Si chiude perfettamente la trama, il romanzo fila, e si capisce
perché la bella e combattiva Darkena si è fatta ingannare così facilmente nel decimo capitolo.
Ah, che bella la vita dello scrittore di fantascienza. Senza neppure un problema al mondo.
«Sauro? Sei sveglio?» Sbadiglia Claudine, nuda
sotto le lenzuola.
«Sì, tesoro, mio unico amore, passerotta mia.
Sono così felice che ti preparo la colazione, guarda!»
Sauro si alza in piedi, controlla che il cellulare
verde sia spento – sia mai che lo cerchino Lia o
Passaparola
Marta o la cameriera del pub –, che quello giallo
sia acceso – sia mai che lo chiami la sua agente o
l’editore o un importante giornalista – e va a fare
il caffè.
Il clone difettoso del Conte Cremisi.
Era così facile risolvere il problema.
La vita non è meravigliosa?
Passaparola